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 La folla

La folla manzoniana riflette la concezione dell'umanità dello scrittore. Pochi retti ed onesti, molti indecisi e pronti a schierarsi da una parte e dall'altra, molti altri capaci di fare il male solo per il gusto di farlo.
La folla è vista in azione durante la sommossa di San Martino. I suoi primi rappresentanti sono due milanesi che, svaligiato un forno, appaiono a Renzo mentre non è lontano dalla porta della città.
Sono due popolani che trasportano pagnotte fresche e farina e, dato che hanno arraffato più di quanto possono portare, sbuffano e battibeccano.
Il marito, sudato, arranca sotto il peso dei sacchi, la moglie, scontenta, è descritta da Manzoni con singolare cattiveria. Brutta, grassa, con le gambe nude fino al ginocchio, è l'immagine più degradata che Manzoni dà della plebe .
Un'altra folla descritta nel romanzo è quella che assalta la casa del vicario di provvigione. Divisa fra facinorosi, pronti a seguire l'una o l'altra corrente, e benintenzionati, pronti a calmare e mettere pace, questa folla si agita e schiamazza e pare indomabile, ma viene facilmente gabbata da un demagogo, il Ferrer, che, guadagnatosi il benvolere della gente abbassando il prezzo del pane ad una somma iniqua e non rapportabile al prezzo del grano, ora passa da benefattore e fende quella massa agitata raccogliendo qualche fischio ma la simpatia dei più .
Il suo intervento serve a trarre d'impaccio il vicario della provvigione, capro espiatorio del momento, e gli vale delle acclamazioni come punitore del reo.
Renzo si è associato a quel putiferio con buoni intenti. Il suo desiderio è quello di salvare il vicario, e viene colto da una indignazione irrefrenabile quando vede fra la gente un vecchio già imbiancato che, agitando un martello e dei chiodi, proclama di voler inchiodare il vicario, una volta ucciso, ai battenti della sua porta .
Contro questo vecchiaccio egli sbotta, e mal gliene incoglie perchè la gente si volge contro di lui e lo assalirebbe se non fosse distratta da un altro evento.
Un'altra pessima prova la folla manzoniana la dà durante la peste. Pronta a cadere nel terrore per le superstizioni più ridicole, e pronta in nome di esse a torturare e ad aggredire, è credulona quanto incredula.

All'inizio non si lascia convincere dell'evidenza del contagio, e accetta qualunque pretesto pur di affermare che i morti non sono morti di peste, anzi, prende a male parole i medici più illustri che hanno riconosciuto il male. Poi però, messa dinanzi ai fatti, sbanda ed è presa dal terrore .


Questa gente proterva, guidata da un governo incapace, fa il ducato di Milano. Eppure in questo stesso paese ci sono gli umili, i laboriosi, i cheti, i credenti. I cappuccini riescono ad organizzare questa massa agitata e sofferente, a creare con le forze della fede ed il coraggio dei poveri un baluardo contro la malattìa dilagante. E, fra quelli che dicono, come Don Abbondio, che la peste è stata una scopa che ha spazzato via tanto lerciume , e quelli che sostengono che il dolore è inviato da Dio per migliorare e purificare, il Manzoni tiene decisamente per i secondi.