MANUEL FANTASY

Primo Turno




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L'ISOLA




C'era nebbia, nebbia così fitta che Angran mai avrebbe creduto potesse esistere. Così fitta che non si vedeva ad un passo, così fitta che non si sentiva altro che il proprio respiro, così fitta che anche i pensieri erano cupi e incerti. Era fredda, densa, sempre di più, ad ogni passo.
Cercò di chiamare, di gridare, ma la nebbia si prese anche la sua voce, sembrò avvolgerlo, ebbe la sensazione di tentacoli che lo lambivano, gli si attorcigliarono a gambe e braccia; gli diedero l’impressione di cercare qualcosa, forse lui stesso! Volevano prenderlo! Possederlo, sempre di più, cercarono di entrare in lui, dalla bocca, dal naso. Gli mancò l'aria. L'ansia cedette presto il posto al panico e più si agitava, più la nebbia entrava in lui, lo stava contagiando! Iil panico divenne terrore. Cercò di urlare ma non emise nessun suono.
Percepì il suo corpo perdere di consistenza, solo il dolore ai polmoni, ormai pieni d’acqua, lo legava ancora al mondo materiale. Il respiro cessò. Cercò di liberare il collo dalla presa eterea, ma le mani ormai erano diventate come un'ombra o forse il collo o tutto il corpo? .
Non esisteva più! I solo pensiero lo inorridiva. .
Poi un suono. .
Un tonfo, ovattato, attutito. La salvezza! .
Aprì gli occhi, era nel suo letto sudato, ma coi brividi, era ancora fermo nella stessa posizione in cui si era coricato.
Molto scosso da quello che era appena successo si sedette.
Cercò di riordinare le idee, si guardò intorno, era solo un sogno, o forse un incantesimo.
I suoi pensieri erano ancora confusi.
Era buio, anche fuori. Nessun suono, silenzio.
“La sentinella!” Il pensiero gli balenò nella mente.
Un’ancora, un faro per tornare nel sicuro porto della ragione, un volto amico gli avrebbe fatto riprendere il controllo dei nervi.
Si alzò di scatto, con un gesto unico prese la spada e la legò in vita, dirigendosi verso l'uscita della tenda.
Qui si fermò. Nel buio riusciva a vedere da sotto il fine tessuto della tenda lingue di vapore esili che si insinuavano incerte.
Allungò cautamente la mano verso il telo che fungeva da porta. Il silenzio era assordante.
Lentamente lo scostò e di nuovo, nel volgere di un attimo il panico tornò a sbirciare nel suo animo.
Nebbia!
Fitta, impenetrabile, quasi riusciva a toccarla.
Non era mai indietreggiato dinnanzi a nulla, mai, nemmeno dinnanzi al suo primo leone bianco,da ragazzo nei boschi di Chrace. Chrace ora però era lontana, nel tempo e nello spazio, ora c'era la nebbia! Dovette far appello a tutto il suo coraggio per fare un passo, ma non bastò.
L'ignoto, il buio, il silenzio, l’ignoranza, lo atterrivano. Lo paralizzavano.
Un attimo, forse due, restò immobile sembrò un'eternità.
La disperazione allentò la presa della paura e gli fece spingere avanti il piede.
Il sogno o qualunque cosa fosse stata, stava tornando vivida nella sua mente! Come se neanche avesse cercato di allontanarlo al risveglio!
Senti qualcosa sotto il piede, abbassò lentamente lo sguardo, era una lancia.
Il tonfo! Quello che lo aveva svegliato.
Ora era troppo! Solo la morte poteva togliere la lancia ad una sentinella Asur!
La follia ormai aveva creato una breccia nella sua millenaria integrità elfica, aveva incrinato la sua risolutezza e ora stava dilagando nella sua mente.
Una serie di pensieri, di paure, i più terribili, iniziarono a profilarsi nel suo subconscio.
Morte e sangue le conosceva, ma non le temeva, tuttavia oggi era diverso, oggi c'era quella maledetta nebbia.
Voleva gridare con tutte le sue forze e questa volta fu rabbia;la rabbia dell'impotenza, la rabbia di chi si ribella!
Il leone che era in lui infine spezzò le catene della paura, nuovamente forte cercò di riprendere il controllo.
Non poteva cedere all'avventatezza, non ora, c’era troppo in gioco perché lui si lasciasse andare a comportamenti sciocchi, i suoi uomini si fidavano di lui, non poteva tradire la loro fiducia.
Qualcosa di fortemente radicato in lui si svegliò. Il soldato.
La risolutezza del guerriero prese il posto della rabbia del leone. Decadi di addestramento e battaglie assopirono la belva feroce e lasciarono spazio al raziocinio, il sangue tornò a scorrere, il cuore a placarsi e la mente a ragionare.
La freddezza di chi è rassegnato e in un attimo capisce di non aver più nulla da perdere, di chi è cosciente di aver già perso tutto.
Qualsiasi cosa stesse accadendo l'avrebbe affrontata. Anche se fosse stata l’ultima l'avrebbe fatto in piedi.
Portò la mano all'elsa, lasciò ricadere il telo dell'entrata e lentamente senza mai lasciare la sua fidata arma girò lentamente il capo verso la sentinella o perlomeno dove avrebbe dovuto essere.
Si aspettava di trovarne i resti massacrati e scomposti, impiegò un attimo a mettere a fuoco, più per la nebbia che per l'oscurità.
Era lì, in piedi al suo posto. Lo sguardo vitreo perso nel vuoto, ma respirava.
Si accorse in quel preciso instante di aver trattenuto anche lui il respiro.
Non sapeva più cosa pensare. Alzò lentamente una mano dinnanzi agli occhi spalancati della guardia, ma non vi fu nessuna reazione.
Si guardò attorno, nella direzione in cui guardava, o meglio in cui era puntato lo sguardo della sentinella, ma non vide nulla. Non si vedeva nulla!
Poggiò delicatamente una mano sul braccio del suo sottoposto, quasi timoroso delle conseguenze che il contatto avrebbe potuto provocare.
Il lanciere ebbe un sussulto, sbattè le palpebre e si voltò lentamente verso il suo signore, sembrava perso, come se cercasse di capire cosa fosse successo, aveva l’impressione che negli attimi precedente fosse lontanissimo dal suo corpo e ora stava lentamente riprendendo coscienza del proprio corpo.
Capì quasi subito che mancava qualcosa, la sua lancia!
Si la lancia! Per gli dei! Era senza lancia.
Era di guardia al suo signore e aveva perso la lancia.
La vide a terra poco distante dai suoi piedi. Accennò un inchino per raccoglierla, poi si bloccò.
Era troppo tardi.

Lo avevano scelto per vegliare sul riposo del suo signore ed aveva fallito. Lo aveva deluso.
Guardò costernato e umiliato Angar, il suo signore, cercando di capirne i pensieri, ma non trovo ne disprezzo ne ira.
Angran si rivolse al lanciere, non ne ricordava il nome, ma non era in collera con lui, anzi in fondo gli era grato era vivo grazie a lui.
Il rumore della lancia che cadeva lo aveva riportato alla realtà da quell'incubo!
Sempre che la realtà non fosse peggiore.
“Guardia raccogli la lancia, stai all'erta! Sta succedendo qualcosa di strano. Resta qui!”
Il suono determinato della sua stessa voce che impartiva ordini gli ridiede ulteriore determinazione.
Si incamminò verso il centro dell’accampamento, incespicò in quelli che probabilmente dovevano essere i resti del falò al quale aveva cenato la sera, ma proseguì.
Urtò qualcosa di duro, una fitta al ginocchio gli ricordò che non aveva indossato la sua armatura.
Abbassò una mano e all'altezza della coscia incontrò fredda pietra, forse un altare o qualcosa di simile. Senza staccare la mano iniziò a seguirne il bordo nella direzione in cui doveva trovarsi la tenda di Halion. Avrebbe voluto chiamare, ma urlare nel silenzio equivaleva a dare la propria posizione anche ad un eventuale nemico.
“Ma quale nemico?” si chiese “maledizione, questa è magia, ne sono sicuro! Chi l'ha fatta non è amico, di sicuro!”
Udì un rumore ovattatato, qualche oggetto che cadeva. Si immobilizzò cercando di capirne la provenienza, ma non ci riuscì.
Una debole imprecazione ruppe ancora il silenzio innaturale del campo, due voci, ma non riuscì a capire il senso del loro discorso.
Sicuramente erano Asur, ne aveva intuito la direzione. Forse il fenomeno si stava attenuando, un barlume di speranza si accese nel suo animo.
Riprese a seguire il bordo dell'altare. Lo lasciò nel punto in cui secondo lui si trovava la tenda di Halion.
Fèvrandiel invece non usava una tenda, preferiva dormire per terra all’aperto. Era strano Fèvrandièl, un elfo di poche parole, più attento a piante e animali che i suoi simili, le sue abitudini somigliavano molto a quelle degli elfi grigi gli Asrai. Probabilmente si trovava nei pressi della tenda di Halion.
Era palese che a modo suo lo rispettasse e lo ammirasse, però era meglio non rischiare, puntò quindi verso Halion, servivano risposte e servivano subito.
Con questi pensieri, in barba alla sua speranza che la nebbia si stesse diradando, andò quasi a sbattere contro un soldato tanto la visibilità era limitata, ma almeno non era solo. Nel medesimo istante ne comparve un'altro al suo fianco.
“Mio signore” era Fearnoth. La voce fredda e imperturbabile di sempre.
“Grazie ad Asuryan ci sei anche tu! Vieni, stò cercando Halion solo lui può sapere cosa sta succedendo.”
Si diresse con passo più deciso verso la tenda di Halion seguito dai due. Ne intravide i contorni, il campo si stava lentamente svegliando, udiva suoni e voci tutti intorno a se.
Mentre si avvicinavano alla tenda, Halion uscì, la nebbia si stava lentamente diradando.
“Halion” esordì Angran “Cos'è questa nebbia, che è successo?”
“Mio signore, non so, mi è successo...” Halion era titubante “Non capisco sembrava un sogno, ma non lo era…”si interruppe “E’ magia, non so ancora che magia, ma lo è di sicuro!”
“niente risposte, almeno per ora” constatò il comandante elfico.
Rinfrancato dalla presenza dei compagni cercò di elaborare velocemente un piano, ma cosa?
Pensare, agire, gli restituiva quella sicurezza che la nebbia gli aveva sottratto.
Era come riprendere le redini, il controllo, ma che fare? Scendere dal colle? “E se fosse una trappola?” pensò “Se volessero farci uscire allo scoperto e farci abbandonare una posizione difendibile per attaccarci all'improvviso?” “Non possiamo restare qui . D’altra parte ordini diretti senz'altro alzerebbero il morale agli uomini, gli ordini gli impediscono di pensare, fare congetture o più semplicemente avere paura. Avrebbero lo stesso effetto che fa a me! Sì! Dobbiamo fare qualcosa”
“Farnoth, manda gli esploratori giù dal colle, che esplorino un raggio di un centinaio di passi e tornino a fare rapporto e che siano rapidi come il falco che piomba sulla preda!”
“Se non trovano tracce, scendiamo tenendoci vicini al torrente, almeno un lato sarà coperto...”
“Mio signore..” lo interrupper Fevrandièl con voce quasi tremante.
Scocciato e spazientito per l'interruzione Angron inveì contro il giovane sapiente.
“Mio signore cosa? per favore Fèvrandièl cerca di parlare coerentemente almeno oggi, niente monosillabi o indovinelli!”
Fèvrandiel guardò colto alla sprovvista i volti dei compagni e per un attimo sembrò non capire, non se ne erano accorti!
“Il torrente...” e si fermò cercando un modo di spiegarsi.
“Il torrente cosa!!??! sbottò Angran ormai esasperato, Fèvrandieèl al contempo rimase spiazzato dal tono del suo signore e fece un passo indietro.
Sussurrò intimidito “non c'è il torrente, non siamo più sul colle..”, cercando di dimostrar la veridicità delle sue parole alzò il mento, come se stesse annusando l'aria, cercando però di non perder di vista i volti sbigottiti dei compagni.
Lo imitarono incerti, come se stessero imitando un pazzo...o forse nò...mentre parlavano una leggera brezza si era levata da est e stava lentamente dissipando la nebbia, però portava qualcosa di sbagliato, come poteva essere? Come avevano fatto a non accorgersene?
La paura? O forse semplicemente Fèvrandièl l'aveva percepito subito perché era in sintonia con la natura, più di chiunque altro?
In lontano lo starnazzare di un gabbiano, poi un'altro. Per un attimo lasciarono che la brezza riempisse il loro olfatto di salsedine, ne assaporarono l'odore pungente, mai dimenticato, tanto caro agli Asur, poi si voltarono ad est.
La nebbia era quasi completamente dissolta e oltre i menhir, oltre la spiaggia, sulla schiuma della risacca, tra i saluti dei gabbiani, un pallido sole sorgeva accendendo di mille scintille ...
il mare!

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