Tradizioni
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Espressioni indicate comprensivamente le centinaia di
lingue locali parlate sul territorio italiano, per quanto
i “dialetti italiani” non siano in alcun modo derivati
dall’italiano standard e non rappresentino adattamenti
locali o corruzioni della lingua nazionale. Ogni
dialetto è infatti una lingua indipendente,
direttamente evolutasi dal latino e dotata di fonetica,
grammatica e lessico autonomi. Sarebbe perciò più
appropriato parlare di “dialetti romanzi”, in parallelo
con le lingue romanze; tanto più che queste formano
un’unità continuata sul territorio: un viaggiatore che
procedesse, ad esempio, dall’estremità del Portogallo
fino al Belgio o all’Istria non avvertirebbe alcuno
stacco netto nelle lingue che incontra, ma un
mutamento graduale del dialetto, l’uno simile all’altro
(indipendentemente dalle frontiere nazionali), e non si
accorgerebbe neppure di aver incontrato quattro o
cinque lingue nazionali diverse.
Evoluzione e differenziazione
La varietà dialettale italiana, in particolare, è la più
alta all’interno delle lingue romanze: ogni minima
comunità, frazione di comune o, addirittura, gruppo di
case presenta una propria parlata, che differisce da
quelle vicine anche per poche caratteristiche. Le
ragioni di questa enorme differenziazione sono
storiche e sociali.
Una prima ragione sta nel fatto che con l’impero
romano si impose l’uso del latino, questo si mescolò
alle lingue allora parlate –ad esempio le lingue italiche- e prese caratteri diversi a seconda dei luoghi
e delle
lingue con cui veniva a contatto. Il latino parlato
dunque non era unitario in partenza: solo l’azione
della scuola e dell’amministrazione dell’impero fece si
che, accanto ai dialetti latini effettivamente parlati,
esistesse una lingua comune per la comunicazione
fuori della propria area e per gli usi letterari e
burocratici.
Il crollo dell’impero e le invasioni barbariche spezzarono questa unità; inoltre furono introdotte nuove lingue (gotico, longobardo, greco, arabo) che si mescolarono con quelle esistenti, in modo e proporzioni diverse secondo i luoghi. Il latino sopravvisse, ma come lingua lontana dalla vita quotidiana, usata solo negli ambienti colti e parlata da pochi eletti: ogni varietà locale, liberata dal peso della tradizione, ebbe un’evoluzione autonoma e assai rapida, portando a una capillare differenziazione. Anche dopo l’emergere del fiorentino come varietà prestigiosa e dotata di potere unificante –anche se soltanto sul piano letterario- il persistere della mancanza di un’unità nazionale favorì la frammentazione locale delle parlate, almeno per l’uso quotidiano. Secoli dopo, ad esempio, Alessandro Manzoni non sapeva “parlare” l’italiano: a casa e in città usava il milanese, fuori il francese; e così era per tutti.
Solo l’unità d’Italia (1861) con la scuola e i giornali, e
soprattutto il XX secolo con la radio e la televisore
portano elementi effettivi di unificazione linguistica.
Varietà dialettica
Pur nella loro varietà, i dialetti italiani si possono
distinguere in tre grandi gruppi: i dialetti
settentrionali, il toscano, i dialetti centromeridionali.
I dialetti settentrionali comprendono ligure, piemontese, lombardo (che comprende a sua volta il ticinese e il trentino), veneto ed emiliano-romagnolo: questi dialetti fanno parte delle lingue romanze occidentali e sono più vicini al provenzale, al catalano e al retoromanzo che non al toscano. Tra i fenomeni fonetici più importanti, al di là della grande differenziazione delle parlate locali, si possono citare la caduta delle consonanti doppie latine, il fatto che le consonanti sorde diventano sonore fra vocali o cadono. Il toscano è fra i dialetti italiani quello che subì meno cambiamenti e si mantenne più simile al latino; grazie al prestigio intellettuale e letterario della sua variante fiorentina, le sue caratteristiche sia fonetiche sia grammaticali diventeranno in parte quelle della lingua italiana. Tra le peculiarità prettamente locali del toscano vi sono la cosiddetta gorgia, ovvero la pronuncia aspirata della c dura, e la costruzione impersonale del verbo alla prima persona plurale. I dialetti centromeridionali possono essere ripartiti fra centrali e meridionali.
Fra le particolarità dei dialetti meridionali vi sono
l’assimilazione di nd a nn, il passaggio del gruppo
latino pl a chi- e la presenza –in alcune varietà- dei
cosiddetti suoni retroflessi, ossia pronunciati con la
punta della lingua rivolta all’indietro, in particolare
dd per ll. Nella Basilicata meridionale sopravvivono
dialetti particolarmente arcaici. Il sardo è
considerato una lingua a sé stante.
Anche la grammatica dei dialetti può però essere molto diversa da quella dell’italiano: un fenomeno diffuso in molti dialetti sia al Nord sia al Sud, ad esempio, è la metafonesi, ossia l’alterazione fonetica della vocale accentata, che può assumere valore grammaticale, per differenziare il singolare dal plurale o il femminile dal maschile. Ad esempio, nel dialetto della Val d’Ossola “gatto” si dice gat e “gatti” get.
Analogamente, il napoletano ha neré per “nera” e niré
per “nero”. Così, anche dopo la caduta delle vocali
finali latine, tipica di molti dialetti, la distinzione fra
generi e fra i numeri poté essere mantenuta.
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