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Non preoccuparti del suo cuore, cuore mio. Abbandonalo nell’oscurità. Cos’è, dunque, se la perfezione non giunge che dal solo suo viso? Lasciami ubriacare d’un suo semplice sguardo splendente!
Io non voglio sapere se c’è una ragnatela illusoria con la quale le sue braccia m’hanno avvolto, perché proprio la ragnatela è squisita e rara. Del disincanto poi, per dimenticare, si può sorridere.
Non preoccuparti del suo cuore, cuore mio. Vivi felice se la musica è sincera, nonostante la menzogna delle parole.
Godi delle sue grazie, fino a quando ondeggiano come una ninfea su una sfavillante e deludente superficie d’acqua, e che Lei sia qualcosa che dorme in fondo allo stagno!
- da Petali sulle ceneri -
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Mi ricordo d’un giorno.
C’è un istante di tregua nella pioggia battente, poi cade nuovamente, fitta e capricciosa, come violentata da bruschi soffi.
Ho preso la mia arpa. Senza fretta ne pizzico le corde finché una musica incosciente ha sposato le cadenze folli di questo monsone.
Lei ha lasciato il suo lavoro, s’è fermata sulla porta, va via con passo incerto. Poi torna, s’appoggia contro il muro, aspetta, infine entra e lentamente si siede.
A testa bassa, si curva senza parlare, ma ben presto lascia il suo lavoro ad ago e guarda dalla finestra, verso la linea confusa degli alberi.
Solamente questo: un’ora d’un tramonto piovoso, un’ombra, un canto... Del silenzio.
- da Petali sulle ceneri -
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L’uccello libero grida: «Mio caro, cantami le canzoni della foresta». L’uccello in gabbia dice: «Siedi vicino a me, ti insegnerò il linguaggio dei sapienti». L’uccello dei boschi dice: «No, no! Le canzoni non possono essere insegnate». L’uccello in gabbia risponde: «Ahimé, non conosco i canti della foresta».
Il loro cuore è intenso e appassionato, ma non possono mai volare insieme. Attraverso le sbarre della gabbia si guardano e invano desiderano conoscersi. Scuotono ansiosamente le ali e cantano: «Vieni più vicino, amore mio!»
L’uccello libero grida: «È impossibile! Temo le porte chiuse della gabbia». L’uccello in gabbia mormora: «Ahimé! Le mie ali sono impotenti e morte».
- da Il Giardiniere -
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Un ironico sorriso sembra errare nei tuoi occhi, quando vengo da te per salutarti. Tu pensi che tornerò tra poco, come ho fatto tante volte. In verità anch’io ho lo stesso dubbio. Perché torna di anno in anno la primavera, e la luna piena ci dice addio, e poi di nuovo viene a visitarci, e i fiori tornano a germogliare sugli alberi, così è probabile che io m’allontani solo per tornare poi da te. Conserva però l’illusione per un po’ di tempo, non affrettarti a cacciarla via. Quando ti dico che ti lascio per sempre, accetta come vere le mie parole e versa qualche lacrima, che renderà più profondo il cerchio scuro dei tuoi occhi. Poi sorridi pure finché vuoi, ironicamente, quando torno da te.
- da Il Giardiniere -
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Di mattina gettai la rete in mare. Pescai dal profondo abisso cose d’aspetto bizzarro e di strana bellezza: alcune brillavano come sorrisi, altre luccicavano come lacrime, altre ancora erano rosa come le guance d’una sposa. Quando, col carico del giorno sulle spalle, tornai a casa, il mio amore sedeva in giardino, sfogliando lenta i petali d’un fiore. Esitai un momento e, standomene silenzioso, deposi ai suoi piedi tutto quello che avevo pescato.
Lei guardò distratta e chiese: «Che strani oggetti sono questi? Non capisco a cosa possano servire». Chinai per vergogna la testa, pensando: «Non ho lottato per averli, non li ho comprati al mercato, perciò non sono doni degni di lei». Per tutta la notte li gettai a uno a uno nella strada. Al mattino passarono dei viandanti; li raccolsero e li portarono in paesi lontani.
- da Il Giardiniere -
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L’uccello giallo canta sul loro albero e il mio amore danza per la gioia. Io e lei viviamo nello stesso villaggio e questo ci rende felici. La coppia dei suoi agnellini preferiti viene a pascolare all’ombra degli alberi del nostro giardino. Se si perdono nel nostro campo d’orzo li prendo tra le mie braccia. Il nome del nostro villaggio è Khanjanà, e il nostro fiume si chiama Anjanà. Il mio nome è conosciuto in tutto il paese e il nome di lei è Ranjanà.. Solo un campo ci divide. Le api che hanno fatto il loro alveare nel nostro bosco calano a cercare miele nelle loro siepi. I fiori lanciati dal loro approdo scendono galleggiando nel torrente fino a dove noi ci bagnamo. Cesti di fiori secchi di kusm vengono dai loro campo al nostro mercato. Il nome del nostro villaggio è Khanjanà e il nostro fiume si chiama Anjanà.. Il mio nome è conosciuto in tutto il paese e il nome di lei è Ranjanà..
Il prato che circonda la loro casa in primavera è fragrante di fiori di mango. Quando il loro lino è maturo per il raccolto, la canapa fiorisce nel nostro campo.
Le stelle che sorridono sulla loro casetta ci mandano lo stesso sguardo ammiccante. La pioggia che riempie la loro cisterna rallegra la nostra foresta di kadam. Il nome dei nostro villaggio è Khanjanà, e il nostro fiume si chiama Anjanà. Il mio nome è conosciuto in tutto il paese e il nome di lei è Ranjanà.
- da Il Giardiniere -
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