LETTERATURA ITALIANA: PETRARCA

 

Luigi De Bellis

 


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Francesco Petrarca

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Beatrice e Laura

Laura

Canzoniere 294-252


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Francesco Petrarca


Solitudine e malinconia

Solo e pensoso i più deserti campi
vo misurando a passi tardi e lenti":

In questi due versi di uno dei più famosi sonetti del "Canzoniere" è racchiuso il sentimento più profondo e costante della vita intima del Petrarca e della sua poesia.

Il Poeta ama vagare "solo" e meditabondo per campi "deserti": ciò vuol dire che disdegna non solo la compagnia, ma anche la presenza, anzi la vista di altre persone. E vuol dire, evidentemente, che egli sente pressante il bisogno di meditare fra sé e sé sui suoi personali problemi esistenziali e non certo su questioni di storia o di letteratura per i quali pretendeva un folto pubblico di persone scelte che potessero applaudirlo e soddisfare la sua sete di gloria mondana. Infatti si sa che il Petrarca ebbe sempre vivo il desiderio di gloria e questo riconobbe come uno dei suoi vizi maggiori. Ma questo desiderio intese egli come "fine" della sua esistenza, o piuttosto come "mezzo" per eludere l'affanno della mente, la pena del cuore, il dubbio della coscienza?

C'è ancora da osservare che amare la solitudine, preferirla al consorzio umano può anche essere una libera scelta dell'individuo e costituire perciò una condizione appagante, ma il Petrarca aggiunge che i campi deserti li va misurando a passi "tardi e lenti", cioè segnati dalla stanchezza psicologica e morale e perciò in una condizione di profonda tristezza e malinconia. Ed è questa la situazione psicologica in cui visse l'intera esistenza il Petrarca.

Nello stesso sonetto il Poeta confessa che, pur nella solitudine, l'Amore non cessa di seguirlo e di perseguitarlo, e, quindi, sembra voler attribuire all'amore una funzione negativa, un'azione tormentosa di cui farebbe volentieri a meno. Sennonché la fonte di quell'amore è Laura, la donna per la quale egli ha scritto versi ricolmi di tenerezza sentimentale, ma anche vibranti di passione carnale. Ed è qui la differenza fra Laura e Beatrice: dopo la morte, questa rimprovererà a Dante di essersi allontanato dal suo ricordo e lo potrà fare con piena dignità perché l'amore di Dante per lei era veramente puro, non macchiava minimamente la sua condizione di sposa fedele, mentre quella rimprovererà al suo amante di averla desiderata anche nel corpo.

A questo pianto è ovvia una deduzione: Beatrice e la donna-angelo, la stella polare che guida il navigante sperduto nella tempesta indicandogli il porto della salvezza, è la virtù che liberò dal vizio e dalla passione, è 1'Amore che consola; Laura è un pensiero fisso che sollecita anche i sensi dell'amante senza pero appagarli, sicché il Petrarca non si asterrà dal definirla una "fiera", pur sognando che essa, fatta "mansueta", vada un giorno a versare lacrime pietose sulla sua tomba, e come si legge nella canzone "Chiare, fresche e dolci acque". Nella stessa canzone il Poeta paventa la morte ed afferma di essere convinto che sia proprio l'onore a chiuderg1i gli occhi lacrimanti. Ma perché teme la morte? Non è forse liberazione dalle pene angosciose di un amore impossibile, non è forse approdo al porto della Verità e della Beatitudine eterna? Niente affatto! La morte è per lui distacco dà Laura ed è per questo che egli implora il Destino che consenta almeno al suo corpo di essere sepolto sulle rive del Sorga, laddove tutto parla di Laura: la morte gli sarà "men cruda" se egli potrà portare questa speranza a "quel dubbioso passo".

Così Laura diventa per il Poeta, più che il simbolo del suo attaccamento ai piaceri terreni, il Piacere stesso. Ed il Petrarca, che ha consapevolezza del suo "mal perverso" ed ha appreso da Dante e da Sant'Agostino che ben altro deve essere l'impegno dell'uomo nel breve passaggio sulla terra, si dibatte incessantemente tra i due poli del Cielo e della Terra e vive amaramente i suoi giorni tra esaltazioni e abbattimenti, tra propositi di virtù e debolezze di seduzione, tra momenti di estasi ascetica e momenti di lascivo abbandono.

Tutto questo si traduce in poesia nel sentimento diffuso della malinconia: la malinconia di un uomo che ama alla pari il Cielo e la Terra, Laura e la "Vergine bella" che non sa rinunziare a nessuno dei termini contrapposti pur sapendo che una scelta si impone.

Il Petrarca è insomma l' "uomo nuovo" del Trecento che guarda al futuro senza voler dimenticare il passato, che vive con particolare sensibilità tutto il travag1io di un mondo in trasformazione.

A questo punto si impone di essere più espliciti e di individuare nella poesia del Petrarca i luoghi ove più apertamente si esprimono il senso della solitudine ed il sentimento della malinconia.

Anzitutto nel "Secretum" il Petrarca confessa che il suo vizio maggiore è l'accidia, che consiste, come riferisce il vocabolario, nella "avversione all'operare associata all'idea di tedio". Questa condizione psicologica non può certo considerarsi di serenità e di gaudio, ma piuttosto di depressione e di mestizia, che portano dritto alla malinconia ed alla solitudine. Noi però sappiamo bene che il Petrarca fu un instancabile ricercatore e studioso dei classici antichi ed un operoso scrittore e, d'altra parte, nel "De vita solitaria" e nel "De ocio religiosorum" egli fa l'elogio della solitudine come dell' "otium" degli antichi, cioè come condizione ideale per dedicarsi agli studi. Ed allora l'accidia di cui parla non può riferirsi al suo concreto, reale vivere ed operare, quanto ad un pernicioso stato di malessere psicologico che non lo abbandonò mai, neppure durante i suoi studi, e fu la sostanza della sua poesia.

E poiché il meglio della poesia petrarchesca è nel "Canzoniere", è qui che dobbiamo rintracciare le espressioni più significative della malinconia del Poeta.

Una canzone che tratta esclusivamente la pena dell'amore impossibile, pena sentita ed espressa come "solitudine" e come "malinconia", è quella che inizia col verso "Ne la stagion che il ciel rapido inchina": racchiude cinque quadretti agresti in ciascuno dei quali alla serenità degli altri si contrappone il dolore del Poeta. Per esempio, nella prima strofa, il Poeta confida che quando il sole volge al tramonto ed anche la vecchietta si consola per il riposo che l'attende dopo una faticosa giornata, a lui si accresce il dolore del giorno e fa spavento la notte insonne che gli si apparecchia.

Nel sonetto "Padre del ciel..." il Poeta implora misericordia da Dio "dopo i perduti giorni, dopo le notti vaneggiando spese": esplicito riferimento a notti insonni trascorse tra solitudine e malinconia.

Numerose ancora le espressioni di tristezza nella canzone "Chiare, fresche e dolci acque": rivolgendosi alle fresche acque del Sorga le prega di dare ascolto alle sue "dolenti parole estreme"; la morte gli sarà meno cruda se potrà sperare di lasciare in quei luoghi "la carne travagliata e l'ossa".

Note di struggente malinconia sono infine nei sonetti "Passa la nave mia colma d'oblio" e "Zefiro torna e il bel tempo rimena". In quest'ultimo il Poeta descrive il raggiante e profumato ritorno della primavera, che allieta i cuori e li esorta all'amore, mentre a lui si fa più aspra e pungente la pena d'amore e il canto degli uccelli e il fiorir dei prati non sono altro che "un deserto et fere aspre e selvagge".



2000 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it  - Collaborazione tecnica Iolanda Baccarini - iolda@virgilio.it