Solitudine e malinconia
Solo e pensoso i più deserti campi vo misurando a passi tardi e lenti":
In questi due versi di uno dei più famosi sonetti
del "Canzoniere" è racchiuso il sentimento più profondo e
costante della vita intima del Petrarca e della sua poesia.
Il Poeta ama vagare "solo" e meditabondo
per campi "deserti": ciò vuol dire che disdegna non solo la
compagnia, ma anche la presenza, anzi la vista di altre persone. E vuol
dire, evidentemente, che egli sente pressante il bisogno di meditare fra
sé e sé sui suoi personali problemi esistenziali e non certo su
questioni di storia o di letteratura per i quali pretendeva un folto
pubblico di persone scelte che potessero applaudirlo e soddisfare la sua
sete di gloria mondana. Infatti si sa che il Petrarca ebbe sempre vivo
il desiderio di gloria e questo riconobbe come uno dei suoi vizi
maggiori. Ma questo desiderio intese egli come "fine" della
sua esistenza, o piuttosto come "mezzo" per eludere l'affanno
della mente, la pena del cuore, il dubbio della coscienza?
C'è ancora da osservare che amare la solitudine,
preferirla al consorzio umano può anche essere una libera scelta
dell'individuo e costituire perciò una condizione appagante, ma il
Petrarca aggiunge che i campi deserti li va misurando a passi
"tardi e lenti", cioè segnati dalla stanchezza psicologica e
morale e perciò in una condizione di profonda tristezza e malinconia.
Ed è questa la situazione psicologica in cui visse l'intera esistenza
il Petrarca.
Nello stesso sonetto il Poeta confessa che, pur nella
solitudine, l'Amore non cessa di seguirlo e di perseguitarlo, e, quindi,
sembra voler attribuire all'amore una funzione negativa, un'azione
tormentosa di cui farebbe volentieri a meno. Sennonché la fonte di
quell'amore è Laura, la donna per la quale egli ha scritto versi
ricolmi di tenerezza sentimentale, ma anche vibranti di passione
carnale. Ed è qui la differenza fra Laura e Beatrice: dopo la morte,
questa rimprovererà a Dante di essersi allontanato dal suo ricordo e lo
potrà fare con piena dignità perché l'amore di Dante per lei era
veramente puro, non macchiava minimamente la sua condizione di sposa
fedele, mentre quella rimprovererà al suo amante di averla desiderata
anche nel corpo.
A questo pianto è ovvia una deduzione: Beatrice e la
donna-angelo, la stella polare che guida il navigante sperduto nella
tempesta indicandogli il porto della salvezza, è la virtù che liberò
dal vizio e dalla passione, è 1'Amore che consola; Laura è un pensiero
fisso che sollecita anche i sensi dell'amante senza pero appagarli,
sicché il Petrarca non si asterrà dal definirla una "fiera",
pur sognando che essa, fatta "mansueta", vada un giorno a
versare lacrime pietose sulla sua tomba, e come si legge nella canzone
"Chiare, fresche e dolci acque". Nella stessa
canzone il Poeta paventa la morte ed afferma di essere convinto che sia
proprio l'onore a chiuderg1i gli occhi lacrimanti. Ma perché teme la
morte? Non è forse liberazione dalle pene angosciose di un amore
impossibile, non è forse approdo al porto della Verità e della
Beatitudine eterna? Niente affatto! La morte è per lui distacco dà
Laura ed è per questo che egli implora il Destino che consenta almeno
al suo corpo di essere sepolto sulle rive del Sorga, laddove tutto parla
di Laura: la morte gli sarà "men cruda" se egli potrà
portare questa speranza a "quel dubbioso passo".
Così Laura diventa per il Poeta, più che il simbolo
del suo attaccamento ai piaceri terreni, il Piacere stesso. Ed il
Petrarca, che ha consapevolezza del suo "mal perverso" ed ha
appreso da Dante e da Sant'Agostino che ben altro deve essere l'impegno
dell'uomo nel breve passaggio sulla terra, si dibatte incessantemente
tra i due poli del Cielo e della Terra e vive amaramente i suoi giorni
tra esaltazioni e abbattimenti, tra propositi di virtù e debolezze di
seduzione, tra momenti di estasi ascetica e momenti di lascivo
abbandono.
Tutto questo si traduce in poesia nel sentimento
diffuso della malinconia: la malinconia di un uomo che ama alla pari il
Cielo e la Terra, Laura e la "Vergine bella" che non sa
rinunziare a nessuno dei termini contrapposti pur sapendo che una scelta
si impone.
Il Petrarca è insomma l' "uomo nuovo" del
Trecento che guarda al futuro senza voler dimenticare il passato, che
vive con particolare sensibilità tutto il travag1io di un mondo in
trasformazione.
A questo punto si impone di essere più espliciti e
di individuare nella poesia del Petrarca i luoghi ove più apertamente
si esprimono il senso della solitudine ed il sentimento della
malinconia.
Anzitutto nel "Secretum" il Petrarca
confessa che il suo vizio maggiore è l'accidia, che consiste, come
riferisce il vocabolario, nella "avversione all'operare associata
all'idea di tedio". Questa condizione psicologica non può certo
considerarsi di serenità e di gaudio, ma piuttosto di depressione e di
mestizia, che portano dritto alla malinconia ed alla solitudine. Noi
però sappiamo bene che il Petrarca fu un instancabile ricercatore e
studioso dei classici antichi ed un operoso scrittore e, d'altra parte,
nel "De vita solitaria" e nel "De ocio religiosorum"
egli fa l'elogio della solitudine come dell' "otium" degli
antichi, cioè come condizione ideale per dedicarsi agli studi. Ed
allora l'accidia di cui parla non può riferirsi al suo concreto, reale
vivere ed operare, quanto ad un pernicioso stato di malessere
psicologico che non lo abbandonò mai, neppure durante i suoi studi, e
fu la sostanza della sua poesia.
E poiché il meglio della poesia petrarchesca è nel
"Canzoniere", è qui che dobbiamo rintracciare le espressioni
più significative della malinconia del Poeta.
Una canzone che tratta esclusivamente la pena
dell'amore impossibile, pena sentita ed espressa come
"solitudine" e come "malinconia", è quella che
inizia col verso "Ne la stagion che il ciel rapido inchina":
racchiude cinque quadretti agresti in ciascuno dei quali alla serenità
degli altri si contrappone il dolore del Poeta. Per esempio, nella prima
strofa, il Poeta confida che quando il sole volge al tramonto ed anche
la vecchietta si consola per il riposo che l'attende dopo una faticosa
giornata, a lui si accresce il dolore del giorno e fa spavento la notte
insonne che gli si apparecchia.
Nel sonetto "Padre del ciel..."
il Poeta implora misericordia da Dio "dopo i perduti giorni, dopo
le notti vaneggiando spese": esplicito riferimento a notti insonni
trascorse tra solitudine e malinconia.
Numerose ancora le espressioni di tristezza nella
canzone "Chiare, fresche e dolci acque":
rivolgendosi alle fresche acque del Sorga le prega di dare ascolto alle
sue "dolenti parole estreme"; la morte gli sarà meno cruda se
potrà sperare di lasciare in quei luoghi "la carne travagliata e
l'ossa".
Note di struggente malinconia sono infine nei sonetti
"Passa la nave mia colma d'oblio" e "Zefiro
torna e il bel tempo rimena". In quest'ultimo il Poeta
descrive il raggiante e profumato ritorno della primavera, che allieta i
cuori e li esorta all'amore, mentre a lui si fa più aspra e pungente la
pena d'amore e il canto degli uccelli e il fiorir dei prati non sono
altro che "un deserto et fere aspre e selvagge".
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