CRITICA LETTERARIA: VITTORIO ALFIERI

 

Luigi De Bellis

 
 
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Individualismo e passionalità della tragedia alfieriana

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Il "sublime" e la morte nella tragedia alfieriana

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LA STRUTTURA DELLA TRAGEDIA ALFIERIANA

di  GYORGY LUKACS



La pagina di Lukàcs sull'Alfieri rientra nella complessiva trattazione che il filosofo e critico ungherese compie dei caratteri generali della tragedia, che è per lui essenzialmente conflitto fra ordinamenti sociali. In questa prospettiva, prendendo come esempio la Mirra, Lukács, mentre nota la profondità con cui l'Alfieri tratta il conflitto psicologico e morale della protagonista, la coerenza del personaggio, la linearità e l'essenzialità dello svolgimento della vicenda, tuttavia osserva come l'opera manchi, in realtà, di vero carattere e interesse drammatico proprio a causa dell'argomento troppo esclusivamente psicologico e soggettivo. In esso non c'è scontro di figure, di situazioni; anzi una sola situazione, quella della lotta interiore di Mirra contro il proprio sentimento colpevole, viene prolungata con abilità dal poeta fino alla rivelazione finale e alla catastrofe, che costituisce l'unico, limitato momento drammatico della tragedia.

Vittorio Alfieri è un tragediografo di profondo pensiero teorico. Disdegna ogni effetto che non risulti direttamente dall'essenza tragica dell'argomento di volta in volta trattato. Ora, affrontando a sua volta il tema del perventimento sessuale, la fatale passione della figlia per il padre I, egli lascia da parte tutte le conseguenze di carattere generale dell'amore proibito che cerca di superare questi ostacoli. Egli rinuncia a tutti quei mezzi con cui l'istinto spontaneamente drammatico di Ford conferiva alla sua materia un'azione apparente, una tensione apparente. Vittorio Alfieri vuol rappresentare davvero in forma drammatica il conflitto psicologico e umano della passione perversa, dell'amore incestuoso. I suoi intenti sono anche qui puri e grandi; ma qual è il risultato nella tragedia stessa? In breve: egli converte tutto il dramma in un monologo represso. Descrive, in modo molto giusto e drammatico, la sua eroina come dotata di nobili e delicati sentimenti morali, come inorridita dalla sua stessa passione, a cui però soggiace irresistibilmente nonostante la sua eroica ribellione. Durante l'intera tragedia vediamo questa nobile creatura lottare interiormente contro un oscuro e indeterminato destino, prendere una risoluzione insensata dopo l'altra per soffocare in se stessa la passione a tutti taciuta e nascosta, della quale abbiamo soltanto un vago presentimento e il cui oggetto non viene mai svelato. Finché da ultimo Mirra, minacciata dalla maledizione del padre amato, si tradisce involontariamente di fronte a lui e col suicidio, compiuto subito .dopo, pone termine al suo tormento.
Dal punto di vista drammatico Alfieri è superiore a Foíd in quanto colloca al centro dell'opera il conflitto reale, intimo e tragico, delle passioni perverse e su di esso, e su di esso soltanto, costruisce la sua azione drammatica. Proprio cosí facendo, però, egli rivela il carattere profondamente antidrammatico di ogni argomento del genere. L'unico momento veramente drammatico nel suo dramma non può essere che l'estrema confessione di Mirra, la cui portata scenica, peraltro, non va oltre, a rigore, una rivelazione mezzo balbettata, un grido di orrore del padre e quindi il suicidio di lei. Tutto il resto è soltanto preparazione, è soltanto un rinviare abilmente ripartito.

2000 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it  - Collaborazione tecnica Iolanda Baccarini - iolda@virgilio.it