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Una poesia sulle Foibe (scritta dal Sig. Armando Bettozzi). 

Cornaredo (MI): Via il nome di Tito dalla via a lui dedicata. Ferretto: ho insistito 3 anni.

Sono iniziati a maggio i lavori della Commissione avente il compito di esaminare le domande per il riconoscimento delle vittime delle foibe.

Clicca qui per visualizzare l'opuscolo digitale realizzato dalla Lega Nazionale di Trieste dal titolo "40 Giorni a sessant’anni dall’occupazione jugoslava di Trieste". (file pdf)

Cercasi Santo per le foibe. Una preghiera per gli infoibati.

Il Gruppo Speleologico Monfalconese.

Un macabro gioco on line che offende la memoria di migliaia di triestini barbaramente uccisi dai comunisti titini nelle foibe (11/03/'03).

 Livorno: uno striscione indecente in Livorno-Triestina scatena la protesta della città giuliana (03/03/'02).

 All’Università di Roma si inneggia alle foibe (9/11/'04). 

 Foiba di Grizane: dopo 60 anni riconosce il corpo del padre dagli stivali (tratto da "Il Piccolo" del 30/08/'04).

 Regione di Fiume : Grizane, nuova foiba con resti umani (da "Il Piccolo" dell' 8/07/'04).

 Trieste - Rifondazione : «Da Veltroni un attacco alla verità storica» (dal "Gazzettino" dell' 01/07/'04).

 Croazia: avviate ricerche in quattro cavità carsiche (ANSA, 19 marzo 2004).

 Trieste: imbrattato il monumento dedicato alle Vittime delle Foibe con tre stelle rosse (15/02/'04).

 Venaria (To): un esponente di Rifondazione ironizza davanti agli studenti: "le foibe erano un luogo scivoloso" (06/10/'03).

 Marghera (Ve): la Piazza ai "Martiri di Tito" scatena i centri sociali (06/10/'03).

 Basovizza: è stata imbrattata, per l'ennesima volta, l'imboccatura della locale Foiba (19/07/'03).

 San Pietro dell'Olmo (MI): una via dedicata a Tito, il maresciallo assassino (13/02/'03).

 Per i Martiri delle foibe Bettin minaccia le dimissioni (04/09/'02).

 Monte Maggiore: trovati i corpi di quattro infoibati (28/04/'02).

 Slovenia, da una fossa comune spuntano i resti di 52 italiani (13/03/'02).

 Il sindaco di Parenzo fa abbattere la lapide posta in ricordo degli italiani uccisi da Tito (27/01/'02).

 Parenzo: riappare la lapide ma senza la parola "foibe" (30/01/'02).

 

 

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Una poesia sulle Foibe (scritta dal Sig. Armando Bettozzi).

Per leggere la poesia clicca qui, si aprirà una nuova pagina contenente il file pdf (visibile con Acrobat Reader).

 

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 Cercasi Santo per le foibe. Una preghiera per gli infoibati.

1) Articolo tratto da "Avvenire" del 24/03/'04: "Cercasi Santo per le foibe".

2)  Preghiera per i morti delle foibe.

 

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Maggio 2005 - Cornaredo (MI): Via il nome di Tito dalla via a lui dedicata. Ferretto: ho insistito 3 anni.

«Finalmente il consiglio comunale mi ha dato ragione. Non era possibile intitolare una strada all'artefice delle foibe»

Paola Fucilieri

«È una mia battaglia, ci tenevo molto. E finalmente il Consiglio Comunale di Comaredo ha messo fine a quella che era una vera e propria vergogna nazionale. Com'era possibile festeggiare il 10 febbraio, la giornata del ricordo,e poi intitolare una via al maresciallo Tito?».È molto soddisfatta Silvia Ferretto. Sono ben tre anni che il consigliere regionale di Alleanza Nazionale denuncia l'esistenza della via intitolata al maresciallo Tito a Cornaredo, chiedendo che venga dedicata ad altri, magari ai martiri delle foibe. Quest'anno il consiglio comunale ha ascoltato la voce della Ferretto e quella di tanti altri, scandalizzati da sempre dal nome di quella via.«Ogni anno, da tre anni, il 10 febbraio andavo a Cornaredo e sulla scritta "via maresciallo Tito" applicavo un'etichetta adesiva, un foglietto sostitutivo con la scritta "via dei martiri del maresciallo Tito" - spiega la Ferretto -, Dalla prima volta, nel 2002, non venne fatto nulla. Per questo decisi di intervenire di nuovo, personalmente. Come ho fatto poi puntualmente negli anni successivi. E sempre in occasione della giornata del ricordo».«Considero veramente vergognoso - continua l'esponente regionale di An - che in Italia siano presentì vie dedicate a Tito, un dittatore che si è reso responsabile del dramma delle foibe e dell'esodo forzato di 35Omila istriani, fiumani e dalmati, costretti a lasciare le proprie case, la propria terra e la propria cultura per sfuggire alle persecuzioni dopo la rottura tra il maresciallo e Stalin».«Delle foibe e della tanta vessata questione giuliana, peraltro, - prosegue la Ferretto - si continua a non parlare nemmeno sui libri di testo scuola, o se ne parla mistificandolo con la conseguenza che moltissime persone non sanno neanche chi sia Tito o cosa siano le foibe.«Ho inviato un mio dossier sulle foibe a tutti gli istituti superiori milanesi - spiega Ferretto - con la speranza di poter contribuire a far conoscere una pagina di storia a troppi ancora sconosciuta e abbattere un muro di silenzio che deve essere al più presto abbattuto».Silvia Ferretto ha scritto anche la sua recente tesi di laurea sulle foibe, «La storia sepolta di una tragedia italiana», premiata a dicembre, a Verona, come migliore opera della sezione "nuove ricerche attualizzazione e divulgazione della storia taciuta" dall'Associazione nazionale Venezia Giulia Dalmazia.«Scelsi questo argomento, lo stesso su cui Giampaolo Pausa ha pubblicato un libro, "I prigionieri del silenzio", perché ciò che è avvenuto in quelle terre rappresenta una delle più grandi ingiustizie nella storia dell'Italia: ricordare queste pagine di storia dimenticate è un passo importante per superare la cultura dell'odio ed arrivare finalmente ad una memoria condivisa».Un argomento sul quale la Ferretto l'anno scorso, a marzo, scrisse anche un'accorata lettera aperta all'onorevole dei Comunisti Italiani Armando Cossutta.«È ancora convinto, come mi disse nel corso di una trasmissione televisiva tanti anni fa, che nelle foibe siano finiti "solo fascisti e nazisti". E ho voluto rammentargli che, invece, furono tanti comunisti, suoi compagni di partito, a fare quella fine, esponenti della Resistenza Italiana e membri del Comitato di liberazione Nazionale. È possibile che ancora oggi non sappia che nelle foibe finirono oltre 12mila persone, uomini, donne e perfino bambini, la cui unica colpa era di essere "etnodiversi", come usava definirli l'ex ministro di Tito, Vasa Cubrilovic?».

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Sono iniziati a maggio i lavori della Commissione avente il compito di esaminare le domande per il riconoscimento delle vittime delle foibe.

Il 6 maggio 2005 iniziano i lavori della Commissione avente il compito di esaminare le domande per il riconoscimento delle vittime delle foibe. La legge n. 92/2004, istitutiva del "giorno del ricordo", stabilisce infatti la concessione di un'apposita insegna metallica e di un relativo diploma a titolo onorifico senza assegni, al coniuge superstite, ai figli, ai nipoti e, in loro mancanza, ai congiunti fino al sesto grado di coloro che, dall'8 settembre 1943 fino all'anno 1950 compreso, in Istria, in Dalmazia o nelle province dell'attuale confine orientale, sono stati infoibati, o riconosciuti quali scomparsi o soppressi. Il riconoscimento avviene per domanda diretta alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. A tal fine è stata appunto istituita una Commissione di dieci membri, presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri o da persona da lui delegata, avente il compito di esaminare le domande.

http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/ricordo_giorno/index.html 

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 Articolo tratto da "Avvenire" del 24/03/'04: "Cercasi Santo per le foibe".

L’istriano don Francesco Bonifacio potrebbe essere il primo martire della persecuzione anti-religiosa jugoslava a meritare l’aureola A nome degli altri 26 mila. Picchiati, martoriati, legati col filo spinato, decine di sacerdoti furono gettati (spesso ancora vivi) nelle cave naturali della regione.

Di Roberto Beretta

L' 11 settembre avrà forse il suo santo. Un martire. Un prete istriano scomparso l’11 settembre 1946, gettato per odio ideologico in qualche foiba: e il baratro – a ben guardare – non è poi tanto diverso da quello delle Twin Towers. Don Francesco Bonifacio era un parroco normale. Uno di quelli nati per farsi prete, si direbbe: docile, pio e chierichetto; infatti in seminario lo chiamano «el santin». Anche da sacerdote, cappellano a Villa Gardossi presso Buie in Istria, don Bonifacio non fa nulla per distinguersi se non in carità e zelo; nei tempi tormentati della guerra, che dopo il 1943 vedono susseguirsi l’occupazione slava a quella tedesca, si interessa solo dell’apostolato, cercando di dribblare come può le continue difficoltà frapposte alla Chiesa dai comunisti di Tito. Addirittura, per non cadere nelle accuse di far propaganda politica, giunge a fare catechismo con le porte della chiesa spalancate, perché chiunque possa sentire di che cosa parla. Non basta, come non sono sufficienti i meriti acquistati allorché – durante l’occupazione nazifascista – don Francesco interviene più volte per impedire rappresaglie sanguinose, seppellire le vittime (a qualunque fazione appartengano), nascondere i ricercati. Proprio dopo la «liberazione» slava, e fino al 1948, la guerra nei territori italiani oltre Trieste si trasforma in una vera persecuzione anti-religiosa; dunque il cappellano di Villa Garbossi ne diventa bersaglio proprio perché non fa politica ma si sforza di essere un santo prete, attirando così molti giovani. Prima gli tagliano le corde delle campane. Poi lo circondano di delatori. Quindi intimidiscono i suoi fedeli. Infine, direttamente o no, lo minacciano e lo diffidano dal girare per la parrocchia. «Mi pare proprio impossibile di venir derubato da coloro che si dicono i nostri liberatori», scrive il prete nel suo diario. E intanto comincia a pensare alla possibilità del martirio: «Bisogna essere prudenti perché quelli possono essere nascosti anche fra i cespugli ai lati della strada – confida a un confratello nell’estate 1946 –.Devo stare molto attento perché mi stanno spiando». Il suo realismo coraggioso, pochi giorni prima della morte, giunge al punto di consigliare a una fedele di farsi un tatuaggio sul braccio in modo da poter essere riconosciuta in caso di morte, «perché adesso i drusi tagliano le teste». Pur essendo solo una scrupolosa pedina della fede, infatti, don Bonifacio intuisce con l’esperienza ciò che l’indomito suo vescovo – quello di Trieste monsignor Antonio Santin, che sarà aggredito e ferito a Capodistria nel giugno 1946 – denuncia a forti lettere proprio in quell’anno: ormai in Istria e Dalmazia «parlare di libertà religiosa è offendere la verità» e si vive sotto un’«intensa propaganda antireligiosa» nutrita di «calunnie suggerite dall’odio contro la Chiesa». Il modello di Tito è, per il momento, ancora la Russia di Stalin; ma il dittatore ha la scaltrezza di procurarsi anche l’appoggio degli Alleati contro l’Italia che – dopo tutto – ha perso la guerra. È proprio monsignor Santin a confermare don Bonifacio nel proposito di non fuggire, di rimanere sul posto a ogni costo. Ma l’Ozna, la polizia segreta di Tito, ha già deliberato il suo arresto insieme a quello di altri parroci. La sera dell’11 settembre il prete viene avvicinato per strada da alcune «guardie popolari», che lo portano via. Malgrado le immediate ricerche dei familiari (il fratello verrà incarcerato per qualche giorno sotto l’accusa di «falso», e di lì a un anno tutta la famiglia prende la strada dell’esodo come moltissimi istriani), di lui non si saprà più nulla; in paese – anche se i militi che l’hanno preso sono ben noti – nessuno parla. «Ancora negli anni Settanta – testimonia Sergio Galimberti, che nel 1998 ha curato una biografia del sacerdote per la chiusura diocesana del processo di canonizzazione – è pericoloso occuparsi del caso Bonifacio». Molto più tardi sarà un regista teatrale ad avere informazioni parzialmente attendibili sulla fine del cappellano, ottenendole a pagamento da una delle guardie popolari che l’avevano arrestato sotto l’accusa di «fascismo» e «nazionalismo italiano»: don Francesco sarebbe stato caricato su un’auto, picchiato, spogliato, colpito con un sasso sul volto e finito con due coltellate alla gola; il cadavere sarebbe poi stato gettato in una foiba vicina. E così sarà forse proprio don Bonifacio il primo dei molti «santi delle foibe».

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 Preghiera per i morti delle foibe.


La preghiera venne composta dall'allora vescovo di Trieste, monsignor Antonio Santin, in occasione della copertura del pozzo della miniera. Viene tradizionalmente recitata in occasione delle cerimonie commemorative a Basovizza.

O Dio, Signore della vita e della morte, della luce e delle tenebre, dalle profondità di questa terra e di questo nostro dolore noi gridiamo a Te. Ascolta, o Signore, la nostra voce. De profundis clamo ad Te, Domine. Domine, audi vocem meam.
Oggi tutti i Morti attendono una preghiera, un gesto di pietà, un ricordo di affetto. E anche noi siamo venuti qui per innalzare le nostre povere preghiere e deporre i nostri fiori, ma anche per apprendere l'insegnamento che sale dal sacrificio di questi Morti. E ci rivolgiamo a Te, perché tu hai raccolto l'ultimo loro grido, l'ultimo loro respiro. Questo calvario, col vertice sprofondato nelle viscere della terra, costituisce una grande cattedra, che indica nella giustizia e nell'amore le vie della pace. In trent'anni due guerre, come due bufere di fuoco, sono passate attraverso queste colline carsiche; hanno seminato la morte tra queste rocce e questi cespugli; hanno riempito cimiteri e ospedali; hanno anche scatenato qualche volta l'incontrollata violenza, seminatrice di delitti e di odio. Ebbene, Signore, Principe della Pace, concedi a noi la Tua Pace, una pace che sia riposo tranquillo per i Morti e sia serenità di lavoro e di fede per i vivi. Fa che gli uomini, spaventati dalle conseguenze terribili del loro odio e attratti dalla soavità del Tuo Vangelo, ritornino, come il figlio prodigo, nella Tua casa per sentirsi e amarsi tutti come figli dello stesso Padre. Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il Tuo Nome, venga il Tuo regno, sia fatta la Tua volontà. Dona conforto alle spose, alle madri, alle sorelle, ai figli di coloro che si trovano in tutte le foibe di questa nostra triste terra, e a tutti noi che siamo vivi e sentiamo pesare ogni giorno sul cuore la pena per questi nostri Morti, profonda come le voragini che li accolgono. Tu sei il Vivente, o Signore, e in Te essi vivono. Che se ancora la loro purificazione non è perfetta, noi Ti offriamo, o Dio Santo e Giusto, la nostra preghiera, la nostra angoscia, i nostri sacrifici, perché giungano presto a gioire dello splendore dei Tuo Volto. E a noi dona rassegnazione e fortezza, saggezza e bontà. Tu ci hai detto: Beati i misericordiosi perché otterranno misericordia, beati i pacificatori perché saranno chiamati figli di Dio, beati coloro che piangono perché saranno consolati, ma anche beati quelli che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati in Te, o Signore, perché è sempre apparente e transeunte il trionfo dell'iniquità. O signore, a questi nostri Morti senza nome ma da Te conosciuti e amati, dona la Tua pace. Risplenda a loro la Luce perpetua e brilli la Tua Luce anche sulla nostra terra e nei nostri cuori, E per il loro sacrificio fa che le speranze dei buoni fioriscano.
Domine, coram te est omne desiderium meum et gemitus meus te non latet. Amen.

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All’Università di Roma si inneggia alle foibe (9/11/'04). 

L’Università La Sapienza di Roma, la più grande d’Europa, ancora al centro della cronaca per incresciosi episodi di intolleranza politica. 
Dopo che la scorsa settimana gruppi di “pacifisti” hanno impedito al vicepresidente del Consiglio di parlare della Costituzione, le notti scorse ignoti hanno imbrattato i muri di alcuni edifici sedi di facoltà con scritte che inneggiano alle foibe titine. 
«All’interno de "La Sapienza" la tensione è ormai insostenibile - denuncia il presidente romano di Azione Universitaria Simone Pelosi -. Ieri sera, alcuni teppisti della sinistra extraparlamentare, dopo aver "bivaccato" presso la Facoltà di Lettere, partecipando ad una festa non autorizzata dei collettivi universitari, hanno ritenuto di concludere degnamente la serata dandosi alla pittura. Ora i muri della Città Universitaria erano imbrattati da scritte inqualificabili; alcune, le più "politiche", che rievocavano la cacciata di Luciano Lama dall’Università, accostandola alla mancata visita del vicepremier Fini, del 3 novembre scorso; altre, più consuete, incitanti, come al solito, alla violenza e ad un becero odio politico; altre ancora, gratuitamente infami, inneggianti addirittura alle foibe. L’opera è stata poi completata, "decorando" i muri anche con alcune bestemmie». 
Sui muri scritte come “W le foibe” che inneggiano alle fosse scavate in Jugoslavia alla fine della guierra nelle quali furono seppelliti vivi migliaia di nostri connazionali, e poi “Fini come Lama” “Via i fascisti” e bestemmie varie. 
Duro anche il commento di Giorgia Meloni, presidente nazionale di Azione Giovani: «Quanto accaduto è indicibile, vergognoso. Dopo aver impedito al vicepresidente del Consiglio Fini di parlare, ora campeggiano sui muri dell’ateneo queste scritte così ostili e anti nazionali, che rievocano alla mente quel "10, 100, 1000 Nassirya" che infangava la memoria di militari italiani morti in Iraq per difendere la pace. Siamo stanchi di assistere a questi episodi di intolleranza e queste provocazioni che mirano solo a generare violenza. Abbiamo intenzione di reagire, ma certamente non come loro vorrebbero: ci batteremo fino in fondo per ripristinare al più presto la sicurezza e la tranquillità all’interno de "La Sapienza"». 

Tratto da http://www.giornale.it/folder/news9Nov200481551.shtml

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Foiba di Grizane: dopo 60 anni riconosce il corpo del padre dagli stivali (tratto da "Il Piccolo" del 30/08/'04).

Aveva all’epoca 45 anni, Wilhelm Neumann, ed era inquadrato quale fante dell’esercito tedesco che stava combattendo contro i partigiani jugoslavi nell’area del Quarnero. I suoi resti sono stati rinvenuti lo scorso luglio in una foiba nel bosco di Grizane, nei pressi della cittadina turistica di Crikvenica (poco a Sud-Est di Fiume). A essere convinta che si tratti di Wilhelm Neumann è la figlia, la 76.enne Waltrand Neumann, che alla rivista amburghese Bild ha detto di aver riconosciuto nella foto quelli che sarebbero stati gli stivali del padre. Nella voragine, profonda 17 metri, gli speleologi della società Pauk di Fuzine (Gorski kotar) hanno rinvenuto 44 scheletri, appartenenti ad altrettanti soldati tedeschi, deceduti nei mesi conclusivi della seconda guerra mondiale. Gli inquirenti hanno riportato inoltre alla luce del sole equipaggiamento militare, forchette e cucchiai metallici, targhette d’identificazione e altri oggetti. I resti umani si trovano ora all’Istituto di medicina legale di Fiume, dove – stando al medico legale Valter Stemberga – ci vorranno almeno cinque mesi per l’opera di identificazione. Un periodo molto lungo, ma vi è da dire che contemporaneamente si stanno analizzando i resti umani rinvenuti in una foiba dell’Istria.

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Regione di Fiume: Grizane, nuova foiba con resti umani (da "Il Piccolo" dell' 8/07/'04).

CRIKVENICA - Sono stati attratti da quella cavità che all’imboccatura presentava una colata di cemento, quasi a cercare di occultarne il contenuto. Il gruppo di speleologico della società Pauk di Fuzine è sceso nella foiba e prima di arrivare sul fondo ha rinvenuto delle granate inesplose e di fabbricazione italiana. Quindi la macabra scoperta: decine di ossa e diversi teschi umani. Eccezionale scoperta l’inverno scorso in una fossa nel bosco di Grizane, nelle vicinanze della località di villeggiatura di Crikvenica (regione di Fiume). La scoperta è stata fatta in inverno ma soltanto adesso, con condizioni climatiche più favorevoli, gli inquirenti hanno reso noto il ritrovamento disponendo la riesumazione dei resti umani e il loro trasferimento all’istituto di medicina legale di Fiume. Sempre secondo gli inquirenti che hanno analizzato brandelli di divise e suppellettili, si tratterebbe dei resti umani di militari tedeschi, scheletri che risalirebbero all’epoca del secondo conflitto mondiale. Stando al medico legale fiumano Valter Stemberga, l’opera di identificazione potrebbe durare da cinque a sei mesi, un periodo lungo anche perché si sta lavorando sui resti umani rinvenuti in una foiba istriana. «Abbiamo rinvenuto molte ossa fratturate, che presentano deformazioni assortite – ha spiegato Stemberga – il lavoro di identificazione sarà lungo e complesso, ma contiamo di poter dare un nome a questi sventurati». La voragine di Grizane è profonda circa 17 metri e qualcuno (leggi lo strato di cemento) doveva esserne a conoscenza. Ne è convinto il procuratore di stato conteale, Drago Marincel. «Il cemento è la prova provata. Forse si voleva far depistare speleologi, curiosi e le forze dell’ordine. In ogni caso cercheremo di scoprire le cause del loro decesso e se gli sventurati siano stati gettati già morti nella voragine, oppure lasciati morire in condizioni strazianti.
Andrea Marsanich

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Trieste - Rifondazione : «Da Veltroni un attacco alla verità storica» (da "Il Gazzettino" dell' 01/07/'04).

Per la sinistra triestina di Rifondazione Comunista, la decisione del sindaco di Roma, Walter Veltroni di recarsi con una delegazione della capitale, accompagnata dai rappresentanti della comunità giuliano-dalmata nei luoghi teatro della tragedia delle foibe rappresenta «un attacco che il sindaco di Roma porta alla verità storica sulle vicende che la guerra fascista ha causato a queste terre nel 1945». In un comunicato, la sinistra di Prc accusa Veltroni di «ignorare volutamente il dibattito storico in corso su quelle vicende». «Facendo propria la versione da sempre patrimonio della destra più estrema - osserva la nota - il già comunista Veltroni si accinge a ripercorrere le strade già segnate da Luciano Violante e da Riccardo Illy, pronto a leggere pedissequamente le veline preparate sull'argomento dal signor Stelio Spadaro», il dirigente dei Ds di Trieste che per primo ha sollevato nella sinistra la questione, sostenendo la necessità di una rilettura di quelle pagine di storia». «La storia, però - osserva la nota - va fatta con dati e con documenti, in base al metodo critico di ricerca; quello, ad esempio, usato da Sandi Vouk nell'ultimo suo libro scritto proprio sull'esodo degli Istriani. Sarà difficile che Veltroni trovi il tempo di leggerlo, ma noi segnaliamo ai cittadini ancora forniti di spirito critico che esiste una ricerca storica seria in corso su questi argomenti e che la verità in proposito non può ridursi alle esternazioni propagandistiche di Veltroni e tanto meno alle asserzioni di Spadaro». 
Fu il 21 agosto 1996 che, con un articolo sull'Unità, l'allora segretario del Pds di Trieste, Stelio Spadaro, sollevò a livello nazionale il problema delle foibe, auspicando una «severa autocritica» della sinistra «colpevole - a suo dire - di aver rimosso la tragedia delle foibe e i crimini di Tito». Alcuni giorni dopo, in un'intervista alCorriere della Sera, lo stesso Spadaro rilevò che la sinistra italiana aveva «rimosso a lungo tale vicenda» e che ora doveva «fare i conti con la storia». Queste dichiarazioni furono duramente criticate da Rifondazione Comunista e dagli storici triestini.Gli storici, soprattutto, sostenevano che a Trieste delle foibe e delle conseguenze anche tragiche dell'occupazione della Venezia Giulia da parte delle truppe del maresciallo Tito, tra il maggio e il giugno del 1945, si era parlato da subito, con articoli, saggi, libri che inquadravano storicamente tale vicenda, la quale invece, da destra, veniva presentata come una sorta di effetto dell'odio «sviscerato» degli «slavo-comunisti» per tutto ciò che era italiano, senza tener conto delle colpe del fascismo in queste terre. Era il periodo del processo a Priebke per le Fosse Ardeatine e la querelle sulle foibe portò, soprattutto negli ambienti della destra a equiparare i due eventi, frutto di «altrettanti totalitarismi».

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Croazia: avviate ricerche in quattro cavità carsiche (ANSA, 19 marzo 2004).

ZAGABRIA, 19 MAR - Le autorità croate hanno ordinato delle ricerche in quattro cavità carsiche nella zona di Buzet (Pinguente), in Istria, con lo scopo si ritrovare resti umani di persone uccise durante la seconda guerra mondiale. Lo ha reso noto l'agenzia di stampa 'Hina'. In base a un'ordinanza della procura istriana da ieri gruppi di lavoro stanno conducendo accertamenti nelle cavità di Hrbice, Brsljanovica, Na Krogu e Trstenik, situate nel nord della penisola nei pressi del Monte Maggiore. Il procuratore Vlatko Nuic, che non ha voluto confermare se sono gia state ritrovate delle ossa, ha spiegato che l'inchiesta è stata avviata dopo che, nel 2000, un gruppo di speleologi ha ritrovato in alcune grotte dei resti umani. Gli esperti di medicina legale stanno cercando di stabilire l'identità delle vittime e il periodo nel quale sono scomparse. Commentando l'avvio dell'inchiesta sulle foibe Miho Valic, presidente di un'associazione di antifascisti istriani, ha detto che per le vittime delle foibe non sono responsabili solo i partigiani titini."Anche loro sono finiti nelle cave, insieme ad altre vittime innocenti del nazismo e del fascismo" ha detto. "Non ho niente in contrario che la questione delle foibe venga finalmente chiarita, ma mi oppongo alla politica dell'odio che sessant'anni fa ci ha portato alle foibe", ha detto Valic ribadendo che continua a chiedersi a chi serve oggi che la questione delle foibe venga di nuovo aperta. Secondo il rappresentante italiano al parlamento di Zagabria, Furio Radin, il dibattito sulle foibe deve essere lasciato agli storici, mentre le inchieste sulla responsabilità "oggi non hanno più senso, come non ha più senso riaprire la questione né per motivi politici né per motivi legali". (ANSA)19/03/2004 20:29 

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Trieste: imbrattato il monumento dedicato alle Vittime delle Foibe con tre stelle rosse(15/02/'04).

Il monumento che ricorda le vittime delle foibe, che si trova nel Parco della Rimembranza del Castello di San Giusto a Trieste, è stato imbrattato nei giorni scorsi con tre stelle rosse. 

Un atto vandalico sul quale stanno indagando gli inquirenti e che arriva proprio nei giorni delle celebrazioni organizzate dal Comune di Trieste e dalla Federazione delle Associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati.

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Il Gruppo Speleologico Monfalconese.

Dal sito: http://www.fante.speleo.it/lastoria.php 

LA NOSTRA STORIA
Il Gruppo Speleologico Monfalconese Amici del Fante si costituisce in uno dei periodi storici più travagliati per queste terre di confine, la sua nascita avviene non per fini sportivi o esplorativi, ma purtroppo per cause umanitarie e patriottiche. Verso la fine della seconda guerra mondiale queste zone si trovano nel mezzo di due sistemi di gestione di vita dei popoli. Nella parte italiana si va instaurando dopo decenni di dittatura fascista, l’egemonia dell’America e degli alleati con l’annesso sistema di elezioni democratiche. Nella parte yugoslava, come in tutti gli altri paesi dell’est, l’Unione Sovietica allinea i popoli all’ideologia e al metodo socialista. Le ideologie, assieme alle religioni, sono da sempre una fra le principali cause delle più grandi guerre e lotte fra popoli e stati. Nella guerra voluta da Mussolini contro le popolazioni slave gli italiani si macchiano di numerosi crimini verso quelle genti. Volendo imporre il fascismo come "modus vivendi", come unico sistema giusto, schiacciano tutto quello che si oppone a questa volontà. Finita la guerra, la voglia di rivalsa di questi popoli, ormai già sotto l’influenza di un’altra visione totalitaria dell’amministrazione di uno stato, può sfogarsi. Il fascismo, perdente, viene accomunato senza troppe distinzioni all’italiano. Già dopo l’armistizio dell’otto settembre 1943, chiesto dall’Italia agli alleati, le formazioni partigiane jugoslave del maresciallo Tito occupano l’entroterra istriano, iniziando così una sistematica opera di ritorsione verso quelli che erano stati collusi con il regime fascista. Basta anche un piccolo sospetto, o anche una delazione senza alcuna prova valida, per essere sottoposti a processi sommari il cui esito è quasi sempre scontato. Un sistema rapido per far sparire la gente viene trovato usando le cosiddette "foibe", che sono molto numerose nell’entroterra calcareo della regione. In questi crepacci e grotte, profondi anche centinaia di metri, vengono gettate molte persone il più delle volte senza alcuna colpa. Le vittime in molti casi sono buttate dentro ancora vive; gruppi di più persone vengono legate assieme con del filo spinato, e, giustiziando il primo sull’orlo della voragine, questi cade tirando dietro di sé tutti gli altri sventurati. La seconda puntata della tragedia delle foibe (la prima fase era avvenuta dopo l’otto settembre ’43 nell’entroterra istriano) che riguarda da vicino la nascita del nostro gruppo, inizia il primo maggio 1945 quando le avanguardie del "decimo corpus" dell’esercito partigiano di Tito scendono lungo la via Fabio Severo per occupare Trieste assoggettando così anche questi territori. E’ l’inizio dei terribili quaranta giorni di occupazione della città, gli infoibamenti incominciano nelle cavità dell’entroterra triestino, monfalconese e goriziano lasciando in queste genti di confine una cicatrice di dolore che solo il tempo e le generazioni che si susseguiranno potranno sanare. Ancora oggi non è chiaro quante sono state le vittime italiane degli infoibamenti alla fine della seconda guerra mondiale; nel contesto di questi tragici eventi la ristretta cerchia di speleologi facenti parte dell’Associazione del Fante, fino alla fine del 1951 recupera 36 salme esplorando 90 foibe con profondità che arrivavano a 96mt., altri 67 corpi sono recuperati dalle fosse comuni. Nel mezzo di questa pietosa opera esattamente nel 1951, il Gruppo Speleologico si distingue nel soccorso degli alluvionati del Polesine nel paese di Cavarzere. Riprendendo il duro lavoro di recupero, nel 1953 le salme recuperate assommano a 800 e le foibe visitate a 300. Nel 1954 i corpi recuperati sono oltre 1000 (sempre fra fosse comuni e foibe). Nel 1955 sono già state esplorate 380 foibe con recupero di oltre2000 combattenti. Da analisi recenti è stata formulata una lista di cinquemilasettecanto scomparsi fra infoibati e deportati in campi di lavoro oltre cortina da Trieste Gorizia e Monfalcone, fra questi duemila circa come detto sono recuperati dalle cavità carsiche dal Gruppo Speleologico Monfalconese a.d. Fante. Per correttezza bisogna specificare che in questi duemila sono compresi pure molti caduti durante il primo conflitto mondiale, trovati al di sotto dei più recenti infoibati. (Per approfondire clicca sul link idicato all'inizio del presente articolo).

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Venaria (To): un esponente di Rifondazione ironizza davanti agli studenti: "le foibe erano un luogo scivoloso" (06/10/'03).

È accaduto al Liceo “Gobetti” di Venaria Reale (TO), dov’era in corso un’assemblea studentesca alla quale partecipava Augusta Montaruli, militante di Ag, dalla quale è pervenuta la segnalazione delle affermazioni gravissime pronunciate da un’esponente di Rifondazione Comunista, Raphael Rossi, capogruppo al consiglio comunale di Bottigliera Alta, non uno sprovveduto studente quindi ma un dirigente locale di un partito che pretende di impartire a tutti lezioni di democrazia.“Mentre il dibattito si incentrava sulle lacune dei libri di storia – racconta Augusta Montaruli – è stata denunciata la colpevole omissione nei manuali e nell’insegnamento del martirio subito dal popolo italiano nel Friuli Venezia Giulia. A questo punto Rossi definiva le foibe “ un semplice fenomeno carsico”. Io ho replicato facendo riferimento alle migliaia di vittime trucidate senza alcuna colpa, tra le quali donne e bambini. Rossi allora ha sorriso e ha fatto una macabra battuta, affermando che purtroppo “le foibe erano un luogo scivoloso”. La gravità delle affermazioni, che offende la memoria storica e la memoria delle vittime, ha indotto Azione giovani alla decisione di querelare il dirigente di Rifondazione per apologia dei crimini contro l’umanità.

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Marghera (Ve): la piazza ai martiri di Tito scatena i centri sociali (06/10/'03).

Domenica scorsa, durante la cerimonia di inaugurazione del Piazzale Martiri delle Foibe a Marghera (Ve), quella che doveva essere una pacifica a e doverosa commemorazione si è trasformata in una violenta guerriglia urbana: un gruppo di una cinquantina di appartenenti ai centri sociali ha aggredito una ventina di ragazzi di Azione giovani che si stavano recando alla cerimonia. 

Gli esponenti dei centri sociali a Marghera (Ve)

Un attacco talmente violento da mandare al pronto soccorso cinque ragazzi di Ag, un dei quali con prognosi di quaranta giorni per la frattura della mandibola.

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Basovizza: è stata imbrattata, per l'ennesima volta, l'imboccatura della locale Foiba (19/07/'03).

La Foiba di Basovizza è stata imbrattata, ancora una volta, dai ignoti che, col favore delle tenebre, hanno ricoperto le lapidi poste all'imboccatura della Foiba stessa con frasi inneggianti a Tito. Furiose le associazioni degli esuli ed infoibati che hanno richiesto la videosorveglianza per 24 ore al giorno.

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Un gioco on line macabro che offende la memoria di migliaia di triestini barbaramente uccisi dai comunisti titini nelle foibe (11/03/'03).

La drammatica storia di tanti italiani massacrati a guerra finita diventa un passatempo. Un gioco tipo "Unreal II" dove il giocatore deve sconfiggere gli alieni. Cliccando su http://www.mladina.si/projekti/igre/fojba2000/ sito dell'omonimo periodico sloveno si può accedere direttamente al game "Foiba 2000". Vince chi riesce ad infoibare il maggior numero di partigiani comunisti o cattolici a seconda dei gusti del giocatore. Le "pedine" possono essere scaraventate con un calcio dentro una foiba insieme a lische di pesce, carogne di animali, immondizia e teschi. E’ previsto un punteggio massimo e vittoria finale per chi ne elimina nel minor tempo di più. La scoperta del macabro gioco "on line" è del parlamentare di An Roberto Menia che, in un'interrogazione al ministro delle Comunicazioni Maurizio Gasparri sollecita l'oscuramento del sito in Italia (ecco come appare il "gioco").

«Il gioco», dice Menia, «non prevede l'infoibamento di italiani ma è ben noto che, nella realtà storica, furono proprio migliaia di italiani ad essere vittime della barbara e disumana mattanza delle foibe: va ricordato che la stessa motivazione della medaglia d'oro concessa alla città di Trieste richiama il "martirio delle stragi delle foibe"». Per Menia «il gioco del "Mladina" oltre ad essere di pessimo gusto offende la memoria di tutti quegli uomini, donne e bambini che proprio nell'orrore delle foibe conobbero la fine della propria vita». Per questo motivo il parlamentare di An chiede a Gasparri, che oltre ad oscurare il sito, vengano adottali altri provvedimenti per tutelare «la memoria delle migliaia di infoibati, vittime dell'odio e della barbarie, il cui seme evidentemente alberga ancora nella meschinità di alcuni».

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- San Pietro dell'Olmo (Mi): una via dedicata a Tito, il maresciallo assassino (13/02/'03).

Esistono nella provincia di Milano vie intitolate al maresciallo Tito, diretto colpevole del massacro delle foibe a danno degli italiani. A scovarle è stata il consigliere regionale di An Silvia Ferretto che, indignata per questo oltraggio toponomastico che la sinistra "politicamente corretta" non ha mai denunciato, ha chiesto che vengano cancellate le targhe della vergogna. «Pochi giorni fa, il 10 febbraio - ha detto l'esponente di An - abbiamo celebrato la giornata della memoria per le vittime delle foibe e dell'esodo forzato di 350mila istriani, fiumani e dalmati. Un evento storico fino ad oggi censurato o mistificato nei manuali scolastici. In ricordo di quel sacrificio propongo che le strade dedicate a Tito vengano al più presto intitolate ai Martiri delle foibe». Le vie "incriminate" si trovano a San Pietro all'Olmo (nella foto),

La via in questione.

a Calvignasco e a Montecavolo di Quattrocastella, tutti comuni ubicati nella provincia di Milano. Ma forse lo scandalo di un omaggio a Tito in terra italiana non è "radicato" solo nella provincia di Milano: teniamo d'occhio gli stradari cittadini, allora, almeno per evitare il paradosso di una sinistra che si scandalizza se si propone di intitolare una via a Giorgio Almirante ma "tollera" certi "inchini" a chi è colpevole di violenze ingiustificate contro gli italiani.

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- Per i Martiri delle foibe Bettin minaccia le dimissioni (04/09/'02).

VENEZIA - Chi insabbia la memoria delle foibe? Per anni la destra ha condotto una battaglia perché fossero ricordati i martiri delle truppe titine fatte precipitare nelle gole carsiche fra Italia e Slovenia. Ora, a riaprire la vicenda, è il prosindaco di Mestre, il vice coordinatore nazionale dei Verdi Gianfranco Bettin , che in una lettera al sindaco Paolo Costa minaccia la dimissioni se piazzale Tommaseo, a Marghera, non sarà intitolato ai martiri delle foibe. La questione, scrive Bettin , si trascina da tre anni, con un certo imbarazzo nei confronti delle associazioni degli esuli giuliani e dalmati, che a Marghera contano una comunità di alcune centinaia di persone. La prima volta, scrive Bettin , la richiesta fu bloccata dallo scioglimento della Giunta Cacciari; un secondo tentativo si arenò davanti a «ulteriori trafile burocratiche». La terza richiesta di intitolare ai martiri delle foibe l'attuale piazzale Tommaseo, acquisiti i pareri, sarebbe ferma «per ragioni per ora ignote», nonostante nel frattempo la questione sia stata sollevata da un'interrogazione del consigliere di An Luciano Pomoni e a un convegno dell'associazione Europa Koinè. «Non mi spiego perciò - scrive Bettin - ulteriori ritardi - È vero che la commissione toponomastica ci ha abituato a certe lungaggini, a volte incomprensibili. In questo caso, però, credo sia direttamente la Giunta, il sindaco in primis, a dover tagliar corto». Da parte sua, Bettin è pronto a mettere a disposizione il suo incarico, se l'intitolazione della piazza non avverrà in tempi rapidi, ovvero per le prossime celebrazioni del ciclo «Da San Michele alla Sortita». È lo stesso Bettin a spiegare il perché del suo gesto, annunciato dopo un ennesimo incontro con gli esuli giuliani e dalmati, ovviamente delusi per il protrarsi della vicenda: «Se qualcuno pensa che non valga la pena compiere un atto così dirompente per una questione di "memoria", vuol dire che ignora il significato di questa grande tragedia storica e le implicazioni correnti che essa ha, oltre a non riconoscere il peso del dolore e dell'esperienza che tocca una parte della nostra comunità cittadina».

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Monte Maggiore: trovati i corpi di quattro infoibati (28/04/'02).

FIUME - Non ci sono più dubbi: le ossa rinvenute lo scorso gennaio nella foiba di Plahuti nella zona di Vrutki sovrastante Abbazia, non erano di animali, appartenevano a persone decedute più di cinquant’anni fa, probabilmente nel corso della seconda guerra mondiale o nell’immediato dopoguerra. Lo ha dichiarato Renata Dobi Babic, perito dell’istituto di medicina legale del capoluogo quarnerino. La dottoressa Dobi Babic, chiamata a compiere una perizia dopo il ritrovamento, ha affermato che in fondo alla voragine, profonda 35 metri, si trovavano i resti di quattro persone. «Non ho motivo di ritenere che vi fosse una donna tra esse – ha aggiunto – e posso confermare che le ossa giacevano lì da più di mezzo secolo». Sollecitata a rispondere su quali fossero le cause della morte la Dobi Babic è stata molto cauta: «Il procedimento è tuttora in corso, posso soltanto dire di aver notato un femore fratturato, ma sulla scorta di ciò non si può risalire alle cause dei decessi. Sono necessarie ulteriori indagini di laboratorio». La dottoressa ha quindi concluso rivelando che assieme alle ossa umane ce n’erano anche di animali e che sarà la magistratura a decidere se le indagini dovranno continuare. Comunque le rilevazioni del medico legale confermano che le viscere del Monte Maggiore hanno nascosto per tanto tempo le prove, le testimonianze di uno dei tanti tragici episodi che hanno contraddistinto la storia della guerra e del dopoguerra in queste terre. In proposito Mario Dassovich, studioso di storia fiumana, ricorda che la cavità di Plahuti, presso Apriano (Veprinac) viene menzionata insieme ad altri due pozzi nel volume «Duemila Grotte» di Bertarelli Boegan, pubblicato nel ’26 e recentemente ristampato a Trieste. La zona di Vrutki nel periodo italiano era chiamata Vassania e proprio in questa località abitava Rodolfo (Rudi) Bonessi, istruttore al circolo del golf di Abbazia, scomparso subito dopo l’arrivo dei partigiani jugoslavi in quella zona. La foiba è situata su un terreno oggi quasi inaccessibile a 200 metri sul livello del mare. Ma Dassovich, citando la «Guida di Fiume e dei suoi monti» del 1913 di Guido Depoli, ci riporta un’immagine diversa. Scriveva Depoli: «Da Veprinaz all’Abbazia si scende in tre quarti d’ora per una bella mulattiera. Arrivati presso le prime case di Abbazia si viene alle sorgenti Vrutki in una pittoresca gola...
In gennaio gli speleologi della società «Estrarela» di Castua si calarono nella voragine per un’ispezione quasi di routine, e si trovarono davanti ai resti umani. Avvisarono immediatamente la polizia che transennò l’area del ritrovamento per permettere il recupero degli scheletri. Prima però furono tolti di mezzo diversi ordigni esplosivi, fabbricati negli anni Quaranta che giacevano nella cavità e che vennero fatti brillare.
Adesso, come accennato, i magistrati fiumani, dopo aver preso visione di tutte le perizie, dovranno decidere se aprire un’indagine che cerchi di stabilire la verità su quanto il «ventre» del Monte Maggiore ha custodito per lunghi decenni.
Andrea Marsanich 

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Slovenia, da una fossa comune spuntano i resti di 52 italiani (13/03/'02).

Fra la terra smossa si notano rigonfiamenti uniformi, uno accanto all'altro. Sotto uno strato di fango marrone c'è qualcosa di strano, che ha il colore bianco e grigio delle ossa. Appaiono teschi: uno, due, cinque, dieci, quindici. La fossa è profonda un metro e mezzo, larga il doppio, e contiene i resti di 67  disgraziati massacrati dai partigiani jugoslavi del maresciallo Tito.Cinquantadue sono italiani e quindici tedeschi, probabilmente militari. Non si esclude però che nella fossa ci possano essere anche civili, deportati nel maggio del 1945 dalla zona di Gorizia e spariti nel nulla. Una storia terribile di esecuzioni sommarie a guerra finita, raccontata in anteprima su "Il Giornale" del 13 marzo 2002.

Gli scavi nella fossa.

Le ossa spuntano a grappoli mentre si scava con attenzione  e ogni tanto saltano fuori pezzi di orologio, di occhiali, monete italiane contenute in portafogli consumati dal tempo. C'è anche una piastrina, come quella di un soldato tedesco, Martin Amann, numero di matricola 18765/41 E.

La piastrina del soldato tedesco.

I boia hanno ammazzato i prigionieri sparando colpi singoli da distanza ravvicinata, spesso alla nuca. Nel fango vengono trovati anche i bossoli. Alcuni italiani hanno ancora le mani legate dietro la schiena ed un medico sloveno constata che si tratta di giovani tra i venti ed i trent'anni. Alla fine della guerra i partigiani di Tito occuparono Gorizia e deportarono circa quattromila persone, di cui almeno mille sono sparite nel nulla, compresi antifascisti del Comitato di liberazione italiano e 250-300 sloveni.

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Livorno: uno striscione indecente in Livorno-Triestina scatena la protesta della città giuliana (03/03'02).

Livorno è nella vergogna per alcuni suoi pseudo-tifosi che domenica scorsa nella sfida casalinga con la Triestina (serie C1 girone A di calcio) hanno offeso i giuliani con un irriguardoso striscione: "Tito ce l' ha insegnato - la foiba non è reato". 

Lo striscione della vergogna.

Il sindaco del capoluogo giuliano, Roberto Dipiazza (Fi), ha chiesto immediatamente alle massime autorità di Livorno, tramite un documento, "di prendere le distanze da quanto accaduto" e di scusarsi "ufficialmente con la città di Trieste". 
Nel documento si domanda anche perché la Polizia non abbia fatto togliere lo striscione e perché la Lega Calcio abbia fatto svolgere la partita "in un simile contesto".
Il Consiglio Comunale di Trieste ha poi approvato una mozione che condanna l' esposizione di tale striscione inneggiante alle foibe. Renzo De Vidovich, presidente della delegazione di Trieste del Libero Comune di Zara in esilio, ha chiesto al sindaco di Livorno, di intestare una via della città ai martiri delle foibe e di attuare nelle scuole di Livorno "un ciclo di conferenze - ha rilevato - sull' Esodo di 350.000 istriani, fiumani e dalmati, in seguito all' azione terroristica dei partigiani di Tito e sulle Foibe dove morirono diecimila innocenti".
Il Capo dell'ufficio indagini della Federcalcio, Italo Pappa, ha disposto l'immediata apertura di un'inchiesta sullo striscione comparso domenica scorsa, lo rende noto la Figc. Il club toscano rischia ora pesanti provvedimenti disciplinari, che potrebbero arrivare fino alla squalifica del campo. 

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Parenzo: riappare la lapide ma senza la parola "foibe" (30/01/'02).

Non c’è pace per la lapide, collocata dalla Famiglia Parentina nel cimitero della città istriana in ricordo delle vittime delle foibe. Dopo averla fatta rimuovere, il sindaco Josip Pino Maras ha deciso ieri di ricollocarla al suo posto, però scalpellando piuttosto brutalmente la scritta sottostante, dedicata appunto ai martiri delle foibe e non ha riposizionato la targa ai piedi della lapide, eretta dal circolo culturale «Norma Cossetto». Riappaiono così sul muro del camposanto i nomi delle vittime della seconda guerra mondiale dal ’43 al ’45. Una decisione a sorpresa e piuttosto contraddittoria perché gli strali degli antifascisti locali, che avevano esortato il sindaco a togliere la lapide, erano diretti contro i nomi riportati, che secondo loro, erano di fascisti. Ma evidentemente il termine tabù è quello delle foibe. Piuttosto sorpreso dalla decisione il presidente della Famiglia Parentina, l’ingegner Romano Roman, il quale rileva che la ricollocazione «non cambia nulla». Il suo sodalizio è rimasto molto scosso, spiega Roman, e ha bisogno di un po’ di tempo per valutare la questione. «Riuniremo il direttivo la prossima settimana – afferma –. Per il momento aspettiamo e non abbiamo nessun contatto con il sindaco Maras. Ci ha fatto comunque piacere la solidarietà che abbiamo ricevuto».
Per quanto riguarda i nomi, molto pacatamente Roman rileva che certamente non si tratta di fascisti colpevoli di crimini contro la popolazione. «Parliamo soprattutto – sottolinea – delle vittime del ’43, dei primi infoibati, quando non era ancora nata la Repubblica di Salò. E poi si tratta di gente che è stata portata via dalle sue case ed è stata infoibata o è sparita, senza alcun processo». Secondo Silvio Delbello, presidente dell’Unione degli Istriani, promotrice dell’iniziativa di collocare la lapide insieme alla Famiglia Parentina, il comportamento di Maras è «doppiamente scorretto. Questo atto è peggiore di quello di rimuoverla – afferma – perché vuole imporre agli altri il modo di ricordare i propri morti». Delbello ricorda che l’Unione degli Istriani vuole investire della questione la autorità croate al massimo livello, tramite l’intervento del governo italiano.
Intervento che viene invocato anche dal deputato triestino di Alleanza Nazionale, Roberto Menia, il quale ha presentato un’interrogazione a risposta orale al presidente del consiglio e al ministro degli Esteri. Menia chiede se il governo è «a conoscenza di tale barbarico e disgustoso gesto (riferendosi alla rimozione, non era ancora giunta notizia della ricollocazione, ndr.)». E, in caso affermativo, quali passi siano stati mossi dalle rappresentanze consolari italiane in Croazia. Menia chiede ancora come «si valuti l’accaduto, anche in relazione alla prosecuzione della trattativa sul presunto accordo di amicizia con la Croazia e se il governo croato abbia ritenuto di sconfessare e meno l’azione del sindaco di Parenzo». Una ferma presa di posizione contro l’iniziativa di Maras è stata presa pure dal Comune di Trieste il quale ha inoltrato una nota ufficiale al capo dello stato Carlo Azeglio Ciampi e al premier Berlusconi. Secondo il vice sindaco Renzo Codarin si tratta di un «gesto sacrilego, indegno e irrispettoso dei valori della memoria, delle sofferenze e dei tragici eventi che hanno accompagnato la storia degli italiani dell’Istria».

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Il sindaco di Parenzo fa abbattere la lapide posta in ricordo degli italiani uccisi da Tito (27/01/'02).

Le picconate hanno smantellato la lapide degli esuli istriani di Parenzo. La lastra marmorea ricordava il dramma delle foibe. La demolizione è stata ordinata ieri dal sindaco della città, oggi in territorio croato, Josip Pino Maras. I mandanti sono gli ex partigiani che hanno combattuto agli ordini del maresciallo Tito, secondo i quali molti dei nomi riportati sulla lapide appartenevano a fascisti. "Agli occhi dei titini bastava essere italiani per venir bollati come fascisti. I caduti di Parenzo non sono combattenti e tantomeno criminali di guerra" replica Silvio Delbello, presidente dell'Unione degli istriani. C'erano voluti degli anni per far erigere la lapide nel cimitero di Parenzo

La lapide ora rimossa.

durante i quali si è sempre tentato di smussare gli angoli per non urtare suscettibilità politiche. Anche la frase "ai caduti nel vortice della guerra 1943-1945" incisa sul piccolo monumento, era frutto di un compromesso. La lapide era stata apposta il 27 settembre dello scorso anno alla presenza di Graziano Musizza che presiede la comunità degli italiani rimasti a Parenzo. Il presidente dell'Unione, Delbello, ha informato dell'accaduto il ministro Carlo Giovanardi, in visita a Trieste, che ha garantito l'interessamento del governo.

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