SCUOLA MEDIA STATALE

"GIOVANNI XXIII"

PIETRAMELARA

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La rivoluzione bolscevica

Essa porta a compimento e amplifica la rivoluzione francese e naturalmente porta a compimento e amplifica le sue contraddizioni. Essa contesta qualsivoglia idea di ordine sino a promulgare l'estinzione dello Stato. Essa proclama con ciò la piena e assoluta uguaglianza tra gli uomini e la ripulsa assoluta di ogni forma di discriminazione e re­pressione politica. Non solo. Essa individua nel diritto di proprietà l'origine di ogni disuguaglianza sociale e politica e ne proclama l'abolizione. Tali finalità vengono tuttavia perseguite attraverso un dispiegamento mai prima di allora visto di moderno terrore: e cioè attraverso la privazione non solo della proprietà ma dell'onore, della libertà e della vita di un grandissimo numero di persone, associata a una analoga azione «sullo stesso piano» verso quadri politici, militari statali. Il nuovo grande terrore contemporaneo. A ciò, nel passaggio da Lenin a Stalin, si aggiunge il fatto che le esigenze dell'ordine, astrattamente rifiutate, si prendono la rivincita, inducendo il dittatore georgiano e reintrodurre elementi di repressione culturale, sociale e politica e a metter mano a un processo di inaudita concentrazione di potere statale a partire dalla sfera economica.

Il contraccolpo dei nazionalsocialismo

La svolta terrorista impressa dalla rivoluzione bolscevica alla storia d'Europa ha inevitabilmente un suo contraccolpo, che prende corpo nella nazione «di centro» e al centro delle attenzioni bolsceviche in vista della nuova tappa della epifania rivoluzionaria: la Germania. Qui è proprio la paura del terrore a scatenare la reazione. La paura, delle donne, di perdere la propria verginità o il proprio onore, che rinfresca la memoria di una analoga paura legata al terrore prodotto, nella Ruhr dalla prima guerra mondiale. La paura di ogni ceto sociale di perdere, per via del terrore, quanto accumulato attraverso il proprio lavoro e garantito dall'ordine statale. La paura delle classi alte di perdere i propri privilegi e della cittadinanza tutta di vedere infine cancellata la propria civiltà. La paura di molti di fronte alle notizie di torture e stermini di massa perpetrati dal potere bolscevico. Vi è un accumulo di paura per il terrore promesso e dispiegato dalla rivoluzione che viene catalizzato da Hitler e dal nazionalsocialismo. E' questa emozione fondamentale, intimamente difensiva, che dà l' avvìo a quella che è stata definita l'epoca dei fascismi. E che ideologicamente si configura come resistenza della proprietà e dell'acquisito, della libertà, della vita e della tradizione contro l'espropriazione e il collettivismo, L' eguagliamento assoluto e l'asservimento di tutti allo Stato; come lotta della identità nazionale, radicata nella propria terra e nel sangue contro il cosmopolitismo multietnico e sradicato, della civiltà europea contro l' asiatismo, ma anche del capitalismo nazionale contro quello globale, dell'ordine statale contro il sovversivismo terrorista. Infine come lotta tra un conservatorismo estremízzato e un progressismo estremizzato.

Da questo punto di vista si comprende come il concetto di totalitarismo sia del tutto incapace di dare effettivamente conto della genesi e della morfologia dello Stato bolscevico e staliniano, da un lato, di quelli nazi-fascisti dall'altro.

Il terrore ugualitario fu la sostanza del primo la reazione autoritario militare quella del secondo. La dissoluzione dell'ordine borghese fu la sostanza del primo la sua difesa quella del secondo.

Naturalmente, essendo questa una contrapposizione dialettica di antica data (risalente come abbiamo visto alla rivoluzione francese), il bolscevismo, con Stalin, fu costretto a far proprie alcune ragioni del campo opposto: la tradizionale repressione politica, l'ordine di fabbrica, l'ordine familiare etc., in certa misura persino la proprietà. Il secondo fu non ugualmente costretto e tuttavia indotto, passando da una fisionomia conservatrice-autoritaria a una di fatto eversiva, quanto meno dell'ordine europeo ma al fondo della sua stessa civiltà, a copiare alcune caratteristiche del nemico: il metodo del terrore e quello di un certo universalismo (germanico). Sino a negare tradizione, libertà e persino, in certa misura, la proprietà. E qui, come studio dei modelli organizzativi degli Stati, a prescindere cioè dalla loro genesi, il concetto di totalitarismo può avere un senso.

Due conseguenti osservazioni

La prima è che se nell'originaria contrapposizione al bolscevismo in nome del diritto acquisito, dell'onore, della libertà personale, dell'identità nazionale, della terra, del sangue e dell'ordine statale i diversi fascismi sono accomunabili, nella finale contrapposizione, voluta da Hitler, tra due universalismi fondati sul terrore e sul fattore militare, e infine sulla logica di sterminio, i diversi fascismi (hitleriano, mussoliniano, franchista etc.) sono assai dissimili tra loro. Al punto che se è possibile definire fascismo e franchismo come regimi autoritari e illiberali è più problematico definirli totalitari proprio perché infine non aspirano a un universalismo.

La seconda è che l'antiebraismo di Hitler, culminato nell'Olocausto, non fu una azione di repressione politica esercitata dall'alto verso il basso. Essa fu rivolta a un popolo conside­rato temibile perché di alto rango. Considerato spiritualmente responsabile, per via del suo messianismo universalistico, sia del capitalismo globale sia della rivoluzione socia­lista (cioè, appunto, dei due grandi processi storici universalistici), considerato alla testa di Wall Street e del Cremlino, essendo constatabile empiricamente che forte era la presenza ebraica nella élite di Wall Street e insieme in quella bolscevica. E tuttavia se già l'identificazione operata tra ebraismo, bolscevismo e in certa misura capitalismo internazionale appare un passaggio forzato oltre ogni misura, quel che appare non razionalmente conseguente e infine come frutto di un meccanismo di autentica follia è il Passaggio dalla contrapposizione allo spirito antigiudaico all'idea dello sterminio di un popolo. All 'Olocausto. Se anche non risulta definitivamente chiarito se vi fu un piano di soluzione finale, se ancora non è stato contestualizzato a sufficienza lo sterminio degli ebrei nel quadro di una fase di guerra estremamente dura, dove era difficile tenere in vita i propri soldati e tanto più, quindi, i prigionieri, resta il fatto che Hitler e il gruppo dirigente nazionalsocialista promossero una persecuzione su base ideologica del popolo ebraico già prima di quelle fasi drammatiche, e che tale opera sfociò nel più drammatico genocidio consumato nell'Europa moderna.

Considerazioni conclusive

La prima è che i cosiddetti Stati totalitari del Novecento sono straordinariamente diversi tra loro quanto a struttura, genesi storica responsabilità morali e politiche, al punto che lo stesso concetto di totalitarismo, come si è detto, se ha una utilità normativa in quanto consente di creare uno spartiac­que tra sistemi democratici, se consente di individuare alcuni meccanismi comuni legati all'esercizio del terrore, alla manipolazione e mobilitazione delle masse, a un certo uso dei nuovi mezzi mediatici di propaganda, se serve a indivi­duare meccanismi simili di funzionamento tra gli Stati op­posti, quello nazíonalsocialista e quello bolscevico, non ha tuttavia una grande funzione esplicativa riguardo genesi e dinamica politica dell'Europa della prima metà del Novecento. Da questo punto di vista, la storiografia più recente ha non solo evidenziato le differenze tra «fascismi» ma ha anche messo in luce un rapporto di causa/effetto tra bolscevismo e nazionalsocialísmo.

La seconda considerazione è che il nazionalsocialismo tedesco pur potendosi con molte ragioni considerarsi una reazione provocata dal bolscevismo e al suo inaudito regime di terrore, ha però sopravanzato quello, proprio quanto a esercizio del terrore, giungendo all'Olocausto.

La terza considerazione è che l'Europa e la sua civiltà hanno pagato un altissimo prezzo per il fenomeno nazista e che in modo ancora più speciale tale prezzo è stato pagato da quello che si può in estrema sintesi definire lo spirito conserva­tore europeo.

Una quarta considerazione, volta più al futuro, può essere aggiunta. La rivoluzione bolscevica nacque e si propagò a partire dall'idea dell'abolizione della proprietà privata e scatenò una reazione perfettamente comprensibile nella sua genesi anche se inaccettabile nei suoi effetti. Tuttavia, la spinta bolscevica nasceva anche dal fatto che il diritto di proprietà è ri­masto a lungo legittimato in chiave metastorica (si veda il riferimento a Locke). In altre parole tale diritto non è stato giu­stificato in chiave storica o di utilità sociale. E vi è natural­mente una ragione di principio per ciò, oltre che molteplici spiegazioni storiche. Infatti il diritto di proprietà appare per un verso incorporato nel diritto alla libertà personale e alla vita, talché ove esso viene integralmente abolito, all'uomo si sottrae ogni dignità. E tuttavia esso è anche mezzo di accu­mulazione sociale e un medium del progresso economico e in tal senso esso è parte di una più ampia cerchia di socializzazione entro la quale va legittimato. Questo carattere anfibio della proprietà fa sì che se l'uguaglianza tra gli uomini o l'u­guale diritto alla vita appaiono immediatamente ed evídentemente diritti naturali  non è altrettanto evidente che ciò sia vero riguardo alla proprietà anche se non si può dire che ciò suoni totalmente falso. E in effetti il diritto alla proprietà non era incondizionatamente considerato diritto naturale neanche dai teorici classici del giusnaturalismo.

In questa inclusione o esclusione del diritto di proprietà dalla sfera dei diritti inalienabili dell'uomo è il nocciolo del tremendo conflitto della prima metà del Novecento europeo e questo lo rende qualcosa di estremamente serio e di non demonizzabile. E ancora oggi, se la democrazia appare universalmente riconosciuta come il sistema più omogeneo all'uomo in quanto fondato sulla legge di natura, non altrettanto pacifico è il giudizio sul meccanismo economico che sottende quel sistema politico e cioè il capitalismo fondato appunto sulla proprietà privata. Proprio su questo punto si stanno riaprendo  grandi conflitti in grado  di minacciare la democrazia politica e la stessa convivenza pacifica nel mondo ( vedi questione Iraq  http://pietramelarairaq.altervista.org) . Si può presumere, infatti, che quel nocciolo duro potrebbe produrre l'energia sufficiente allo scatenamento di conflitti globali a espressione religiosa, etnica, tra civiltà.

Le odierne teorie del capitalismo democratico o dell'economia sociale di mercato possono essere utili a disinnescare tali potenziali. Ma questo, naturalmente, è solo un auspicio. Resta il fatto che non comprendere le ragioni di chi scatenò conflitti devastanti nel secolo scorso non è un buon viatico per padroneggiare i conflitti che già si annunciano su scala persino più larga nel secolo che si è appena aperto.  

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