Sono passati più di due mesi (dal dicembre 1996) da quando il Ministero per la trasformazione economica e patrimoniale della Repubblica di Serbia ha presentato la versione ufficiale della Legge sulla trasformazione della proprietà. Le discussioni su questa versione della legge, iniziate già molto prima della stessa elaborazione, non si attenuano ed in sostanza vertono tutte sulla modalità di tale trasformazione e non sulla ragione di essa.
In generale si accetta l'ipotesi - solamente
accennata - che il nostro sistema di autogestione socialista,
cioè dell'economia socialista delle merci, è inefficace e
che il nuovo sistema di alternanza tra la proprietà privata e
quella statale sarà più efficace.
La maggiore efficienza economica del promesso sistema,
si dice, verrà garantita dai privati - proprietari dei
mezzi di produzione - cioè da quei burocrati "tutori di
proprietà" - come vengono popolarmente chiamati - che, spinti
dagli interessi per conservare il proprio capitale e
aumentarlo con profitto, potranno assicurare salari maggiori
anche agli operai! E dunque gli operai potranno, con salari
maggiori, comperarsi la casa, l'appartamento, l'automobile,
il mobilio, potranno fare vacanze invernali ed estive e coprire
tutte le loro necessità, cioè pagare il medico, il
professore e così via.
Con questi servizi a pagamento potrebbero vivere
meglio che nell'autogestione sia i medici che i professori, e
tutti gli altri che vengono pagati dai salari degli operai,
per non parlare degli sponsor della scienza, della
cultura e dell'arte!
I fautori della Legge sulla privatizzazione, siano
essi al governo o all'opposizione, uomini di scienza o
laici, non cercano però di rispondere alla domanda: come mai
alcuni paesi con proprietà privata, e che non conoscono
altro sistema che quello, possano essere economicamente
efficienti, come il Canada ad esempio, ma anche inefficaci,
come il Messico dall'altra parte dell'America. Perciò i fautori
della privatizzazione dovrebbero innanzitutto rispondere
alla domanda se questo paese (quando tutto verrà privatizzato)
sarà economicamente efficiente come la Svezia e la Svizzera,
o al contrario, come la Turchia e il Pakistan.
D'altronde, anche nella Jugoslavia tra le due
guerre era tutto privato, ed esisteva una legislazione
"europea", eppure l'economia non era efficace come quella
svedese o quella svizzera.
Di 200 paesi nel mondo, solo circa una ventina di
loro, intorno agli USA e al patto NATO, fruiscono di tutti i
privilegi del vigente ordine economico mondiale e sono tuttora
economicamente efficienti, mentre gli altri 180 già da un
ventennio - dall'inizio della crisi mondiale - vivono di anno
in anno l'agonia della produzione, del reddito e dell'occupazione,
e cioè l'aumento del debito estero, l'abbassamento del
tenore di vita, la crescita delle tensioni sociali e delle
diverse forme di criminalità, il continuo calo della funzionalità
dello Stato e così via.
E' il caso di paesi anche molto grandi come la Russia,
il Brasile, il Messico, l'Indonesia, e paesi molto ricchi
esportatori di petrolio, metalli, materie prime come la Russia,
il Brasile, il Messico, l'Indonesia...
Alcuni di questi paesi non sono mai stati socialisti,
e nessuno di loro conosceva l'autogestione! Per di più,
in tutti loro regna la proprietà privata in grande, con tutto
quello che al nostro paese deve ancora arrivare con la
trasformazione della proprietà.
Purtroppo, la trasformazione della proprietà è
inevitabile. L'inevitabilità sta nel fatto che gli interessi
della nuova borghesia recrutata nelle precedenti
strutture burocratico-amministrative (SPS, HDZ - che sono i
partiti al governo in Serbia e Croazia, n.d.T. - e simili
organizzazioni) e quelli della vecchia borghesia sconfitta
nella II Guerra mondiale (la coalizione "Insieme" - a Belgrado,
n.d.T. - ad esempio) si sono fusi con l'illusione della maggior
parte della classe lavoratrice operaia, e tutto ciò è sostenuto
dalla "economia aperta del mercato", dai concetti di "libertà
e democrazia" e di "tutela dei diritti civili" dell'Occidente
e dell'immancabile Chiesa.
La Lega
dei Comunisti di Jugoslavia - SKJ -
è, naturalmente, assolutamente ed energicamente contro la
privatizzazione. Essa ritiene tutte le forme di questa soltanto
dei modi per ingannare gli strati operai e per operare la
rapina brutale di tutto ciò che le generazioni di questo
paese hanno creato nei 45 anni della ricostruzione socialista.
Quando si tratta di pure illusioni, quelle che hanno dominato
anche gran parte dei ceti lavoratori e della stessa classe
operaia, la Lega dei Comunisti parte dalla posizione che
aveva Marx: non si tratta di annullare queste illusioni, ma di
annientare la situazione che crea tali illusioni. L'annientamento
di questa situazione e il mutamento del senso di essa sarà
possibile soltanto con la costante dimostrazione di almeno due
cose: 1) il fatto che la sicurezza nazionale (e statale) della RSF
di Jugoslavia fosse minacciata è un'invenzione, usata a bassi
scopi e per gli interessi economici dalle strutture nazionaliste
al potere o all`opposizione in tutti gli "Stati" appena
fondati sul territorio della RSF di Jugoslavia; 2) non è
vera la supposizione che l'economia socialista sia
economicamente inefficiente; 3) non c'è, e non ci sarà, nessun
capitale straniero che possa promuovere l'economia di
questo paese, o un'economia che consenta salari più elevati
di quelli nell'autogestione.
Sul nazionalismo quale principale causa degli scontri
nella RSFJ non ci sono divergenze, però viene all'esame il fatto
che ad esso non si arriva casualmente. Esso si progetta, si
produce e si lancia nel momento e nel luogo adatto. In una
condizione di crisi economica accompagnata necessariamente da
crisi sociale, ideale e politica, non era difficile che
emergessero forze politiche le quali vedevano il proprio
interesse nel "proprio" Stato, nella "economia di mercato",
nell'appoggio sull'Europa e così via.
Questa è l'ideologia che hanno abbracciato i quadri
dirigenti delle società autogestite e che, purtroppo, hanno
imposto anche agli strati operai. Così, questa ideologia è
diventata dominante in tutte le parti del paese, e il peggio
è che essa continua ad essere dominante. La maggioranza
della popolazione, sia serba, croata, albanese, etc., si aspetta
che con la risoluzione del "proprio" problema (nazionale e
statale) si risolva il problema della posizione economica e
dello sviluppo. In questo, essi pensano - e l'opinione è molto
diffusa - verranno aiutati "dagli amici" nel mondo, impressionati
dal pericolo che corre la loro nazione!
Per quanto riguarda l'efficacia economica del sistema
politico di autogestione socialista, sarà sufficiente elencare
soltanto alcuni dati.
La RSFJ (Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia),
autogestita, contava 6 milioni di lavoratori con un reddito
nazionale pro capite di oltre 2.000 dollari, esportava merce per
circa 10 miliardi annui, produceva oltre 5,5 tonnellate di grano,
quasi 12 ton. di mais, 72 miliardi di Kwh di energia elettrica,
65 miliardi di ton. di carbone, oltre 4 miliardi di ton. di
petrolio ed altrettante di acciaio. La RSFJ estraeva 130.000 ton.
di rame, oltre 80.000 ton. di piombo, più di 300.000 ton. di
alluminio. Si costruivano oltre 250.000 automobili, 60.000 trattori,
16.000 camion, 3.600 autobus e 3.000 vagoni ferroviari all'anno.
Si producevano 4 milioni di ton. di concime, 260.000 ton. di
detersivi. Si costruivano 140.000 appartamenti all'anno - in
economia socialista con i mezzi di produzione collettiva. Inoltre
si costruivano idrocentrali, strade, ferrovie, sistemi di
irrigazione, centri per congressi interni e internazionali e per
attività sportive. La RSFJ ha costruito i migliori carriarmati al
mondo, costruiva aerei e altre armi, la cui produzione era riservata
soltanto ad alcune repubbliche.
Come era possibile tutto ciò, se nell'autogestione
non si lavorava e niente andava bene a nessuno?! Sarà possibile
qualcosa di tutto ciò nelle condizioni dei "detentori di proprietà"?
A questa domanda dovrebbero rispondere i fautori della
privatizzazione prima di iniziare a riversare sugli operai la
loro autoconvinzione riguardo l'economia socialista e la proprietà
collettiva.
Inoltre, bisognerebbe forse ricordare la previdenza
sociale, il diritto al lavoro e tanti altri vantaggi che i
lavoratori avevano nel sistema della proprietà collettiva, e che
non potranno neanche sognare quando saranno impiegati presso
il privato o come dipendenti statali.
La terza illusione che bisogna annientare è l'esistenza
di un capitale che giace da qualche parte sulle frontiere del
nostro paese e aspetta solo l'occasione favorevole per piombare
sotto forma di mezzi, tecnologia all'avanguardia,
organizzazione moderna, e che porterà profitto ai proprietari,
salari ai lavoratori, entrate per il fisco col quale pagare le
pensioni, i professori, i medici e così via.
No, il capitale non c'è e non ci sarà. Se Marx fosse
stato anche solo una volta nel giusto, ciò riguarderebbe la
definizione del capitale.
Per una ridicola somma di denaro, la borghesia
straniera, alleata naturalmente a quella nostrana, si comprerà
intere fabbriche - cortili, cancellate, edifici, macchinari - e
dunque convertiranno i nostri mezzi di produzione nel loro
capitale. E poi, inizieranno i licenziamenti. Quei pochi
fortunati che rimarranno riceveranno un salario forse un po'
più alto che nell'autogestione, ma la maggioranza dovrà
andarsene! Quelli che rimarranno dovranno lavorare ore ed ore,
e vedranno quanto vale il loro salario soltanto quando dovranno
pagare l'affitto, o comprare la casa, o pagare il conto dell'ospedale,
le medicine, l'istruzione dei figli... La casa, la macchina,
le ferie: l'operaio, in questo paese come negli altri 180 a regime
di proprietà privata, potrà guardarsele solo in TV!
D'altra parte, il capitale che finora era impossibilitato
a spadroneggiare in una buona parte del mondo, si trova ora
nella posizione di essere disputato, con tutti i possibili
privilegi, tra Russia, Ucraina, Bulgaria, Romania, Serbia e Croazia
e tutti gli stati di nuova formazione che ora legano il loro
sviluppo e addirittura la loro stessa esistenza solo ed
esclusivamente al capitale straniero!
I partiti governativi e l'opposizione in tutti i nuovi Stati
fondati sul territorio della RSFJ si adoperano per smantellare il
patrimonio collettivo e per una quanto più veloce privatizzazione.
In questo modo, realizzano due cose: 1) fanno concessioni al
capitale internazionale che non sopporta restrizioni e 2) si
assicurano l'alleanza della NATO contro una inevitabile rivolta
operaia alla quale si arriverà quando i lavoratori capiranno la
truffa. Ecco perché tanta smania di entrare quanto prima "in Europa",
nella "Comunità internazionale", nel "Fondo Monetario
Internazionale", nella "Banca Mondiale", sia pure tramite
"movimenti per la pace".
Nel frattempo tutte le potenzialità produttive della
nazione sono bloccate. Si è creata una grande disoccupazione,
la concorrenza tra i disoccupati assume dimensioni enormi. Il costo
del lavoro si è abbassato fino all'inverosimile, e con ciò si è
arrivati alla seguente situazione: il mercato nazionale si è
aperto alle automobili, ai televisori, alle armi ecc. straniere,
e quel poco di capacità produttiva che lavorerà con il "capitale
venuto dall'estero" usufruirà delle agevolazioni contributive
perché offrirà una qualche occupazione da una parte, mentre
dall'altra pagherà dei miseri salari ricavati dai super-profitti.
Quando si stabilizzerà questa situazione - il che sembra
inevitabile - essa verrà difesa con tutti i mezzi, inclusa la
forza militare, perché il capitale non rischia mai niente.
D'altronde, è per questo che le truppe della NATO hanno
già occupato gran parte del territorio della RSF di Jugolavia,
con l'intenzione di rimanerci benché, naturalmente, la parte
più sporca del lavoro, cioè la sottomissione dei lavoratori e
di interi Stati, verrà lasciata alla polizia e all'arma locale,
agli staterelli locali o a quello che di essi avverrà o resterà.
Le promesse che il capitale "valutato col metodo di
sconto del corso monetario - (il che, per quelli che ora non
hanno soldi nemmeno per mantenersi decentemente, non ha nessuna
importanza) verrà distribuito equamente" e che gli operai delle
cosiddette ditte efficienti avranno un buon salario e dividende
pride, sarebbero grottesche se non fossero solamente
tragiche. L'ingenua illusione che i salari e i profitti, in
quanto categorie da sempre contrapposte, si possano coordinare,
si presenterà proprio così: una storiella per gli ingenui nel
momento in cui gli operai dovranno decidere se vogliono migliori
salari (per i quali sciopereranno), o i dividendi (contro i
quali sciopereranno). La società per azioni operaia è non soltanto
un'assurdità economica, ma anche logica.
Il problema essenziale risiede nel fatto che per la
società borghese, vista come società ideale dagli attuali
governanti in tutti gli staterelli sorti sul territorio della
RSFJ e dalle loro "opposizioni parlamentari", "il proletariato
non è un membro, ma uno strumento della società borghese, e ciò
perché esso è escluso dalla proprietà".
Da molto tempo è noto il ruolo dei partiti politici
quali difensori di determinati interessi privati. Se per i nuovi
partiti politici nazionalisti sorti da poco, siano essi al
governo o all'opposizione, in Serbia, Croazia, Slovenia,
Macedonia, Bosnia-Erzegovina o Montenegro, si può liberamente
affermare che essi invero, sotto una coltre di interessi
nazionali, nascondono i propri interessi privati, il proprio Stato
e il proprio potere, la propria dogana e i propri permessi,
e così via, allora alla classe operaia non resta altro che
organizzarsi per tutelare i propri interessi, i quali sicuramente
non sono nella privatizzazione della proprietà collettiva.
Purtroppo si è arrivati al punto che la classe operaia
di ogni nostra nazione e nazionalità non ha contro se stessa
soltanto la propria borghesia, ma anche tutta la borghesia
europea e mondiale, unita nelle cosiddette Organizzazioni
internazionali e nel loro patto NATO. Il prezzo che la classe
operaia dovrà pagare è grande e, a nostro avviso, pagherà anche
con la propria vita. Ma non c'è altra scelta, e quanto più si
esiterà a formare e consolidare il partito che difenderà i suoi
interessi, tanto più lunga e dura sarà la lotta! Perciò, per
la classe operaia è una necessità storica quella di unirsi non
soltanto nell'ambito del proprio popolo o nazionalità, ma di
rinnovare la sua unione nelle dimensioni jugoslave (e internazionali).
Questa unità difficilmente può essere diversa dalla Unità e
Fratellanza della Jugoslavia di Tito, dall'AVNOJ
(Consiglio antifascista di liberazione), dalla Costituzione del 1974
e dalla ZUR (Legge sul lavoro cooperativo), per la semplice
ragione che migliori soluzioni accettabili da tutti, almeno finora,
non le ha proposte nessuno. Perciò la
Lega
dei Comunisti di Jugoslavia
è l'unica soluzione per la classe operaia e per tutti gli
altri lavoratori di questi territori. E quanto prima questa
occasione verrà utilizzata, tanto più aumenteranno le
possibilità per il progresso e anche per l'esistenza di ogni
nostra nazione e nazionalità.
Belgrado, 20 maggio 1997