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Il metodo Schumann.
Il criminologo.
Qualcosa di misterioso.
Il caso Giering.
Il commissario e l'albero delle mele.
Il Catalogo.

«Volevo evitare i soliti commissari che spesso finiscono per avere un'aria tronfia. Io ho scelto per Schumann una veste più minimalista, meno drammatica come spesso accade di vedere in televisione. Schumann è piuttosto un introverso, una persona riservata».

Per dare corpo al suo personaggio Christian Berkel ha cercato di puntare sulla professionalità del poliziotto: «Abbiamo deliberatamente evitato qualsiasi storia privata, era quello che volevamo fin dall'inizio. Il modo migliore per conoscere Schumann è guardarlo al lavoro. Per lui la vita privata è alla fine ancora una parte del suo lavoro. E anche lui, come me, non ha hobby classici forse proprio perchè si ritrova completamente assorbito dal suo ruolo di commissario». Separato dalla moglie Charlotte, Schumann ha qualcosa in comune con il commissario Lanz. Anche lui, invertiti i ruoli, intrattiene una relazione clandestina con il Procuratore Lara Solov'ëv, così come la bella poliziotta di Monaco con il suo Procuratore, Berger.

Per calarsi nel personaggio Christian Berkel ha seguito due strade. La prima è quella del realismo e per questo ha visitato commissariati e chiacchierato con diversi poliziotti. La seconda è stata quella di confrontarsi con i colleghi: «Per settimane uscivo dalle videoteche con pile di film in cui ho potuto vedere come altri attori hanno dato vita ai loro commissari». Tra i personaggi che Christian Berkel cita come fonti di ispirazione ci sono quello di Gene Hackman in «Il braccio violento della legge», quello di Steve McQueen in «Bullit» e il commissario interpretato da Alain Delon in «Notte sulla città».

Ricorda l'attore: «Nei commissariati mi hanno aperto le porte con cordialità e qualche volta è successo anche che i poliziotti abbiano espresso delle critiche all'operato delle forze dell'ordine così come apparivano nelle sceneggiature. Ma sono anche loro consapevoli che la realtà in cui si trovano a lavorare quotidianamente non può essere rappresentata in un film, non sarebbe più intrattenimento...».

«All'inizio abbiamo chiesto a veri poliziotti quale fosse la cosa più importante sulla scena del crimine. Non sai quasi nulla quando arrivi sul posto. Abbiamo chiesto: cosa ci fai lì? La risposta migliore ci è arrivata da un commissario berlinese che ha detto: "Metti le mani in tasca e sbircia con intelligenza"».

Della sua carriera e dei suoi ruoli Berkel dice: «Il pubblico mi conosce per avere interpretato tante volte ruoli ambivalenti, personaggi di cui non si è mai certi di cosa potranno fare nella scena successiva. Certo mi piace interpretare personaggi che portano in sé qualcosa di misterioso: non bisogna mostrare troppo ma nemmeno troppo poco. Esiste un detto: "Degli armadi chiusi a chiave possono anche rivelarsi vuoti" a cui fa da contraltare "Il segreto della noia e quello di dire tutto". Ecco, occorre stare nel mezzo».

Dei vecchi tempi in cui recitava in «Derrick» e «Der Alte», Christian Berkel non nutre una particolare nostalgia: «Certo in quel momento andavano bene, ma ora è tutto finito. E comunque io sono da sempre un grande fan di "Der Kommissar", che è stato un vero e proprio pioniere del giallo televisivo».

 

 

Una figura complessa quella del commissario Schumann. (Foto ZDF/Claudius Pflug)
Bruno.

A pochi giorni dall'inizio delle riprese non era ancora stato scelto il nome per il protagonista; ogni volta che veniva presentata una proposta, questa veniva bocciata.

«Mancavano due o tre giorni al primo ciak - ricorda Christian Berkel - e durante una riunione proposi Schumann. Su quello sembrarono essere tutti d'accordo. Spontanemanete mi venne anche di associargli un nome di battesimo: Bruno. Suonavano bene insieme quelle due parole. "Non ti crea problemi questo nome?" mi chiese il regista. Non capii cosa volesse dire con quella domanda. Realizzai solo in un secondo momento che avevo dato al mio personaggio lo stesso nome di mio figlio».

 

Andrea Sawatzki con i figli Moritz (sin.) e Bruno. (Foto André C. Hercher)