L'avvento della
Border Music
Girolamo De Simone
La
“musica di frontiera” o “Border Music” può alludere alla world o Global
music, alla ambient, in parte alla fusion, ad alcune atmosfere della new age più
evoluta. Ma si tratta di riferimenti sempre temperati dalla nostra rilettura,
che dà a queste ‘etichette’ un connotato di grande novità rispetto a tutto
quello che era stato fatto alla fine del Novecento. Nella “Border” c’è
maggiore consapevolezza di cosa possa significare proporre una musica che sia
figlia del nostro tempo, riuscendo tuttavia molto più comunicativa rispetto
alla cosiddetta produzione ‘colta sperimentale’.
La
musica di frontiera utilizza stilemi appartenenti a diversi generi ed a diverse
zone geografiche. Potrà usare la tecnica dei clusters pianistici o quella del
respiro circolare, e poi accostarle ad una progressione modale jazz. Può
utilizzare le voci del popolo dei Tuva e miscelarle ad un formicolante quartetto
d’archi che funge da tappeto sonoro con il live
elettronics (lo ha fatto il Kronos Quartet). Può affiancare tecnologie
avanzatissime a strumenti tradizionali, orientando la ricerca di senso verso i contenuti
piuttosto che verso il vuoto formalismo dei linguaggi. Per questo la
musica di frontiera si lascia alle spalle molti presupposti ‘accademici’,
infrangendo i ruoli tra esecutore e compositore (lo fanno il Balanescu Quartet e
molte altre formazioni), dando spazio all’improvvisazione e pari dignità
estetica alla produzione musicale di musicisti provenienti da settori non
convenzionali (dal rock, ad esempio, come Frank Zappa; o dal jazz, come John
Zorn).
Tra
i compositori italiani di musica di frontiera, non sono numerose le figure che
riescono ad intermediare i ruoli tra scrittura ed esecuzione. Si tratta di
musicisti provenienti da differenti ambiti geografici ed esperienze personali.
Come autore del neologismo “Border Music”, e teorico delle nuove forme di
musica di frontiera, ritengo che il mio lavoro estetico e la mia opera possano
farmi collocare assieme al pianista-compositore Eugenio Fels. Entrambi veniamo
dalla cosiddetta ‘nuova avanguardia’ attestatasi negli anni Settanta a
Napoli grazie all’opera ed all’attività di Luciano Cilio, e che oggi è
rappresentata dal Konsequenz Music Project: una rivista, una stagione
concertistica, un sito Internet. A Milano ci sono
Ludovico Einaudi, con precedenti nel campo della musica sperimentale, ma
oggi quantomai lontano da quell’esperienza, e Cecilia Chailly, che media new
age e folk (penso soprattutto al suo primo disco come autrice), ed infine il
romano Arturo Stalteri della factory fiorentina Materiali Sonori, con studi
classici ma frequentazioni pop e rock. Collocherei nell’alveo della “Border
Music” anche il violoncellista palermitano Giovanni Sollima, e, da qualche
anno, Carlo Boccadoro, ispiratore dell’ensemble milanese “Sentieri
selvaggi”.
Tra
i dischi che considero come punti di riferimento obbligato posso citare
(sintetizzando molto): “Salgari” (Ricordi), “Stanze” (Ricordi), “Eden
Roc” (BMG) di Ludovico Einaudi; “Anima” (Eastwest) di Cecilia Chailly; “Alkèmia”
(Konsequenz) di Eugenio Fels; il mio
“Ice-tract” (Konsequenz 1998 - Curci 2000); “André
sulla luna” (MP Records) e “Flowers” (Materiali Sonori) di Arturo Stalteri.