09/08/00 15.27

Dovrei aggiungere qualche parole a chiosare lo squallore di questo pomeriggio qualunque.
Parlare- già un fuggire nel passato. Scrivere- come potrebbe non essere scrivere delle mie memorie? Nulla di ciò che è vita mi appartiene, la vita stessa come nome per un divenire altrimenti-che-me mi è sconosciuta, tutto è coazione, ripetizione, iterativa dinamica apparente di cui compiacersi, appunto, fra belle parole e ricamini di bit.
Avrei dovuto immaginarlo anni fa, il dolore di oggi, e smetterla per tempo con illusioni funeste. A che serve ora rimpiangere?
Tutte forme per una nostalgia che è il modo più proprio della mia negazione della vita. E’ molto tempo ormai che ho capito che tacere è l’unica maniera d’essere onesto, in questa situazione, l’unico modo per essere coerente. E’ come se avessi fatto un patto con- con chi?- con un qualcuno che poi avrebbe impugnato il contratto, anni dopo, al primo inadempimento: e io non sono nemmeno al primo, ho perso anche il conto delle volte in cui non ho tenuto fede al mio impegno.
Avrei dovuto mettere in salvo la pelle- ovvero metterla nel pericolo, nel massimo pericolo, lì dove il Poeta annunciava la possibilità di impossibili salvezze. Ora sembra quasi giusto, che si venga a ritirare la mia anima ipotecata, per farne svendita e brandelli, e rivalersi per le mie mancanze.
E’ come se io stessi svuotando la mia casa-anima, perché i creditori non abbiano più nulla su cui rivalersi…se volessimo far metafore, potremmo girare a lungo attorno a queste parole, ma io, io devo tacere, parlare è già un ritornare, e ci sono troppe vie sbarrate, su quella via.
Dove evadere, dove?
Il dolore di oggi pomeriggio risponde a ogni domanda, come il segnale di fuori posto all’altro capo di un telefono.


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