DALL’ESSERE ALL’ALTRO
saggio su Paul Celan
Verso l'altroNon vedo differenza, scrive P. Celan a Hans Bender, tra una stretta di mano e una poesia. Ecco la poesia, linguaggio completo (compiuto, finito) ricondotto al livello d’una interiezione, d’una espressione così poco articolata quanto un batter d’occhio, quanto un segno offerto al prossimo! Segno di cosa? di vita? di benevolenza? complicità? O segno di niente, o di complicità per nulla: dire senza detto.
La trascendenza
Il movimento così descritto va da un luogo
a un non-luogo, da qui verso l’utopia. Che ci fosse nel saggio di Celan
sulla poesia (poème) un tentativo di pensare la trascendenza appare
evidente. La poesia – conversione in infinito della pura mortalità
e lettera morta. Il paradosso non è solo nell’avventura infinita
d’una lettera morta; è nell’antinomia in cui si sviluppa il concetto
stesso di trascendenza – salto sopra l’abisso spalancato nell’essere a
cui l’identità stessa del saltatore infligge una smentita. Non è
necessario morire per trascendere contro-natura e anche contro-essere?
O allo stesso tempo saltare e non saltare? A meno che il poema non permetta
all’io di separarsi da se stesso. Nei termini di Celan: scoprire un
luogo o la persona in cui nel brivido dell’io in quanto straniero a sé
si libera. A meno che il poema che va all’altro rivolto, face à
lui – differisce la sua estasi, s’aggrava nel frattempo (entretemps)
– nei termini di Celan, ma quanto mai ambigui, persiste ai confini di
se stesso. A meno che il poema, per durare, non rinvii il suo acme
– nei termini di Celan… si revoca… si riconduce senza tregua, per sussistere
dal suo Già-non-più al suo Ancor-sempre. (De son Déjà
plus a son Toujours encore). Ma per questo toujours ancore,
il poeta dall’angolo d’incidenza della sua esistenza, dall’angolo d’incidenza
dove creatura s’enuncia, in cui la traccia (che traccia il poema) gli si
rivela dedicata. Singolare de-sostanziazione dell’Io! Farsi tutt’intero
segno, sarebbe.
Basta con le gloriose moine del creatore! Che ci si
lasci tranquilli con il poiein e altre sciocchezze – scrive ancora
Celan a Hans Bender. Cenno fatto all’altro, stretta di mano, dire senza
detto
– importanti per la loro incidenza, per ciò che interpellano piuttosto
che per il loro messaggio; importanti per la loro attenzione!
Attenzione
preghiera dell’animo di cui parla Malebranche con tante impreviste
sonorità sotto la penna di W. Benjamin: ricettività estrema
quanto estrema donazione; attenzione – modo della coscienza senza distrazione
– sarebbe a dire senza potere d’evasione attraverso oscuri sotterranei;
piena luce proiettata non per vedere le idee, ma per proibire (anche impedire)
di tirarsi indietro; senso primo dell’insonnia che è la coscienza
– rigore (rettitudine) della responsabilità dinanzi a tutto il risultare
di forme, immagini, di cose.
Le cose apparirebbero certo – il detto di questo
dire poetico – ma nel movimento che le porta all’altro, come figure di
questo movimento.
Ogni cosa, ogni essere, come il cammino verso l’altro,
sarà figura per il poema, di quest’altro… intorno all’io che interpella
e lo nomina lei può raccogliersi . Il movimento centrifugo del
per l’altro sarà l’asse mobile dell’essere? O la sua incrinatura?
o il suo senso? Il fatto di parlare all’altro – le poeme – precede ogni
tematizzazione; è in esso che le qualità si raccolgono in
cose; ma il poema lascia così al reale l’alterità che l’immaginazione
pura strappa, concede all’altro una briciola della sua verità;
il tempo dell’altro.
Uscita verso l’altro uomo, è una
uscita? Un passo fuori dell’uomo – ma portarsi dentro una sfera diretta
all’umano, eccentrica. Come se l’umanità fosse una genere che
ammette nell’interiore del suo spazio logico – della sua estensione – una
rottura assoluta, come se andando verso l’altro uomo si trascendesse l’umano,
verso l’utopia. E come se l’utopia fosse non il sogno e il premio maledetta
erranza ma la clarière dove l’uomo si mostra; …luce dell’utopia…
e l’uomo? e la creatura? – In tale luminosità (bagliore).
Nel bagliore dell’utopia
Questo fuori insolito non è
un altro paesaggio. Al di là del meramente strano dell’arte e dell’apertura
sull’essere dell’ente – il poema fa un passo avanti; lo strano, è
l’estraneo o il prossimo. Niente è più strano né più
estraneo dell’altro uomo ed è nella luce dell’utopia che si mostra
l’uomo. Fuori ogni radicamento e ogni domiciliazione; apolidia come autenticità!
Ma la sorpresa di questa avventura in cui
l’io si dedica all’altro non-luogo, è il ritorno. Non a partire
dalla risposta dell’interpellato, ma per la circolarità di questo
movimento senza ritorno, di questa traiettoria perfetta, di questo meridiano
che, nella sua finalità senza fine, descrive il poema. Come se andando
verso l’altro mi ricongiungessi e mi radicassi in una terra, ormai natale,
sgravata di tutto il peso della mia identità. Terra natale che non
deve niente al radicamento, niente alla occupazione prima; terra natale
che nulla deve alla nascita. Terra natale o promessa? Vomita i suoi abitanti
quando essi dimenticano il percorso circolare che a reso loro familiare
questa terra, e la loro erranza che non era per lo spaesamento, che de-paganizzazione?
Ma l’abitazione giustificata dal movimento verso l’altro, è per
essenza ebrea.
Celan non si riferisce al giudaismo come
a un particolarismo pittoresco o a un folclore familiare. Senza dubbio
la Passione d’Israele sotto Hitler – tema di venti pagine di Stretta
contenute in “Stretta”, lamento di lamento, mirabilmente tradotta da Jean
Daive – aveva, agli occhi del poeta, un significato per l’umanità
tout court, di cui il giudaismo è una possibilità – o un’impossibilità
– estrema, rottura della ingenuità dell’araldo, del messaggero o
del pastore dell’essere. Deiscenza del mondo che offre non un soggiorno,
ma, per passare la notte, pietre contro le quali colpisce il bastone dell’errante
in linguaggio minerale. Insonnia nel letto dell’essere, impossibilità
di raggomitolarsi per obliarsi. Espulsione fuori della mondanité
du monde, nudità di colui il quale chiede in prestito tutto
ciò che possiede; insensibilità alla natura… perché
l’ebreo, sai, cosa possiede che gli appartiene veramente, che non sia in
prestito, richiesto, mai restituito… Eccoci ancora nella Montagna tra
il martagone e il raponzolo. Due ebrei stanno o uno solo in due con se
stesso. Ma a loro, cugini di secondo grado mancano…occhi o, più
esattamente, ai loro occhi un velo ricopre l’apparire di ogni immagine,
perché l’ebreo e la natura, divisi nel tempo, anche oggi, anche
qui… povero martagone, povero raponzolo!… Poveri voi, voi non ci
siete, non fiorite, e luglio non è luglio. E queste montagne
e la loro imponente massa? Che ne è di queste montagne di cui Hegel
diceva così è con sottomissione e libertà? Celan scrive:
…la terra si è fratturata in alto, una volta due tre volte e
aperta nel mezzo, e nel mezzo c’è acqua, e l’acqua è verde
e il verde è bianco e il bianco viene da più in alto ancora,
viene dai ghiacciai…
Al di sopra e al di là, di
questo silenzio anche l’insignificanza di una incrinatura del terreno dice
montagna, e per interrompere il rumore del bastone che colpisce la pietra
e la ripercussione di questo brusio attraverso le rocce, è necessario
– contro la lingua in uso qui – una vera parola.
Per Celan – in un mondo che Mallarmè tuttavia non
avrebbe potuto sospettare – il poema è l’atto spirituale per eccellenza.
Atto, allo stesso tempo, inevitabile e impossibile a causa di un poema
assoluto che non esiste. Il poema assoluto non dice il senso dell’essere,
non è una variazione sul “dichterisch wohnet der Mensch auf dieser
Erde“di Hoerderlin. Dice la defezione di ogni dimensione, va verso
l’utopia, sull’impossibile cammino dell’Impossibile. Più
o meno che essere. Il poema assoluto – certamente, non esiste, non può
esistere. Celan evoca l’idealità dell’irrealizzabile? Parola
gratuita e facile che è difficile attribuirgli. Non suggerisce piuttosto
una modalità altra a dispetto di quelle che alloggiano tra i limiti
dell’essere e del non-essere? Non suggerisce la poesia lei stessa quasi
una modalità inaudita dell’altrimenti che essere? Il Meridiano
– come la parola, immateriale, ma terrestre. A partire da ogni poema
senza presunzione…Questa interrogazione che non si può eludere,
questa presunzione inaudita. L’ineludibile: interruzione dell’ordine
ludico, del bello e del gioco dei concetti e del gioco del mondo; l’interrogazione
dell’Altro, ricerca dell’Altro. Ricerca dedicantesi nel poema all’altro:
un canto monta nel dono, nell’uno-per-l’altro, nel significato stesso della
significazione. Significazione più antica dell’ontologia e del pensiero
dell’essere e che suppongono sapere e desiderare, filosofia e libido.
(Traduzione dal francese
a cura di Alessandro Ciappa)
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