EMMANUEL LEVINAS

DALL’ESSERE ALL’ALTRO
saggio su Paul Celan

Verso l'altro
Non vedo differenza, scrive P. Celan a Hans Bender, tra una stretta di mano e una poesia. Ecco la poesia, linguaggio completo (compiuto, finito) ricondotto al livello d’una interiezione, d’una espressione così poco articolata quanto un batter d’occhio, quanto un segno offerto al prossimo! Segno di cosa? di vita? di benevolenza? complicità? O segno di niente, o di complicità per nulla: dire senza detto.
O segno che è il suo proprio significato: il soggetto esprime questa donazione di segno al punto di tramutarsi interamente in segno. Comunicazione elementare e senza rivelazione, balbuziente infanzia del discorso, ben maldestro inserimento nella famosa lingua che parla, nella famosa die Sprache spricht, entrata mendica nella dimora dell’essere.
Si da il caso che P. Celan – che Heidegger ha saputo tuttavia celebrare nel corso di uno dei suoi soggiorni in Germania – ci dica quanta poca comprensione egli ha per certo linguaggio che instaura il mondo nell’essere, inteso (significante?) come il bagliore (anche frammento) della physis dei presocratici ; dal momento che Celan paragona a una lingua un cammino così bello in montagna dove sulla sinistra fiorisce il martagone selvaggio, fiorisce come in nessun luogo e sulla destra si drizza la campanula rapenzola, e dove Dianthus Superbus, garofano splendido, s’erge non lontano da lì… lingua non per te e non per me – perché io domando, per chi è dunque concepita, la terra, non è per te, dico, che è concepita, e neanche per me – una lingua di sempre, senza Io senza Tu, null’altro che Ei (Lui), null’altro che Questo (ça), comprendi, Elle semplicemente, è tutto. Lingua del neutro.
  E’ dunque per Celan così, che la poesia [in francese “poème”, termine notevolmente più esteso che in italiano. Nota mia.] si situa precisamente a questo livello pre-sintattico e pre-logico ( come è, certamente, di rigore oggi) ma anche pre-disvelante: al momento del puro tocco, del puro contatto, dello sbigottimento, della stretta, che è, forse, una maniera di donare perfino la mano che dona. Linguaggio della prossimità per la prossimità, più antico di quello della verità dell’essere – che probabilmente lo porta e lo supporta – il primo dei linguaggi, risposte che precede la domanda (question), responsabilità per il prossimo, che rende possibile, attraverso il suo per l’altro la meraviglia tutta del donare.
  Il poema (poème) va d’un tratto verso quest’altro che esso suppone poter essere raggiunto, liberato – rilasciato – vacante, forse…[traduzione di traduzione; differisce dal testo di Bevilacqua pag.14 notevolmente]  Intorno a questa proposizione dal “Meridiano” sorge un testo in cui Celan consegna ciò che egli percepisce del suo atto poetico. Testo ellittico, allusivo, interrompendosi senza sosta per lasciare passare nelle interruzioni la sua altra voce, come se due o più discorsi si sovrapponessero, con una strana coerenza che non è quella di un dialogo, ma ordinata secondo un contrappunto che costituisce – malgrado la loro unità melodica immediata – il tessuto delle sue poesie. Ma le formule vibranti del Meridiano chiedono interpretazione.
  Il poema va verso l’altro. Esso spera di raggiungerlo liberato e vacante.
L’opera solitaria del poeta che incide la materia preziosa delle parole è l’atto di stanare[scovare] un vis-à-vis. Il poema diventa dialogo, esso è sovente un dialogo disperato,…incontro, cammino di una voce verso un tu vigile – le categorie di Buber! Saranno esse preferite a tanta geniale esegesi colata sovranamente su Hoerderlin, Trakl e Rilke dalla misteriosa Schwarzwald [forestanera/selvoscura] per mostrare la poesia che apre il (un?) mondo, e il luogo tra terra e cielo? Saranno preferite alla sistemazione delle strutture nello spazio intersiderale dell’Oggettività di cui, a Parigi, i poeti sentono appena l’esitazione, la buona o la cattiva sorte di sistemarsi, ma appartenendo, loro, in tutto il loro essere all’oggettività di queste strutture? Poetiche d’avanguardia dove il poeta non ha un destino personale. Buber a loro è preferito, senza dubbio.
Personale sarà la poesia del poema:…il poema parla!  Della data che è la sua…della circostanza unica che propriamente lo riguarda.  Personale: da me all’altro. La meditazione ansante di Paul Celan- che osa citare Malebranche dopo un testo di Walter Benjamin su Kafka e Pascal, dopo Léon Chestov- non obbedisce ad alcuna norma. E’ necessario ascoltarlo da più vicino: il poema che parlava di me, parla per conto [concerne] di un altro; un tutt’altro; già parla con un altro, con un altro che sarà fors’anche vicino, che sarà del tutto vicino, esso va d’un tratto verso quest’altro, già siamo lontano fuori, già nel chiarore dell’utopia…La poesia ci anticipa, brucia le tappe.
 
La trascendenza


Il movimento così descritto va da un luogo a un non-luogo, da qui verso l’utopia. Che ci fosse nel saggio di Celan sulla poesia (poème) un tentativo di pensare la trascendenza appare evidente. La poesia – conversione in infinito della pura mortalità e lettera morta. Il paradosso non è solo nell’avventura infinita d’una lettera morta; è nell’antinomia in cui si sviluppa il concetto stesso di trascendenza – salto sopra l’abisso spalancato nell’essere a cui l’identità stessa del saltatore infligge una smentita. Non è necessario morire per trascendere contro-natura e anche contro-essere? O allo stesso tempo saltare e non saltare? A meno che il poema non permetta all’io di separarsi da se stesso. Nei termini di Celan: scoprire un luogo o la persona in cui nel brivido dell’io in quanto straniero a sé si libera. A meno che il poema che va all’altro rivolto, face à lui – differisce la sua estasi, s’aggrava nel frattempo (entretemps) – nei termini di Celan, ma quanto mai ambigui, persiste ai confini di se stesso. A meno che il poema, per durare, non rinvii il suo acme – nei termini di Celan… si revoca… si riconduce senza tregua, per sussistere dal suo Già-non-più al suo Ancor-sempre. (De son Déjà plus a son Toujours encore). Ma per questo toujours ancore, il poeta dall’angolo d’incidenza della sua esistenza, dall’angolo d’incidenza dove creatura s’enuncia, in cui la traccia (che traccia il poema) gli si rivela dedicata. Singolare de-sostanziazione dell’Io! Farsi tutt’intero segno, sarebbe.
Basta con le gloriose moine del creatore! Che ci si lasci tranquilli con il poiein e altre sciocchezze – scrive ancora Celan a Hans Bender. Cenno fatto all’altro, stretta di mano, dire senza detto – importanti per la loro incidenza, per ciò che interpellano piuttosto che per il loro messaggio; importanti per la loro attenzione! Attenzione preghiera dell’animo di cui parla Malebranche con tante impreviste sonorità sotto la penna di W. Benjamin: ricettività estrema quanto estrema donazione; attenzione – modo della coscienza senza distrazione – sarebbe a dire senza potere d’evasione attraverso oscuri sotterranei; piena luce proiettata non per vedere le idee, ma per proibire (anche impedire) di tirarsi indietro; senso primo dell’insonnia che è la coscienza – rigore (rettitudine) della responsabilità dinanzi a tutto il risultare di forme, immagini, di cose.
  Le cose apparirebbero certo – il detto di questo dire poetico – ma nel movimento che le porta all’altro, come figure di questo movimento.
Ogni cosa, ogni essere, come il cammino verso l’altro, sarà figura per il poema, di quest’altro… intorno all’io che interpella e lo nomina lei può raccogliersi . Il movimento centrifugo del per l’altro sarà l’asse mobile dell’essere? O la sua incrinatura? o il suo senso? Il fatto di parlare all’altro – le poeme – precede ogni tematizzazione; è in esso che le qualità si raccolgono in cose; ma il poema lascia così al reale l’alterità che l’immaginazione pura strappa, concede all’altro una briciola della sua verità; il tempo dell’altro.
   Uscita verso l’altro uomo, è una uscita? Un passo fuori dell’uomo – ma portarsi dentro una sfera diretta all’umano, eccentrica. Come se l’umanità fosse una genere che ammette nell’interiore del suo spazio logico – della sua estensione – una rottura assoluta, come se andando verso l’altro uomo si trascendesse l’umano, verso l’utopia. E come se l’utopia fosse non il sogno e il premio maledetta erranza ma la clarière dove l’uomo si mostra; …luce dell’utopia… e l’uomo? e la creatura? – In tale luminosità (bagliore).
 

Nel bagliore dell’utopia


    Questo fuori insolito non è un altro paesaggio. Al di là del meramente strano dell’arte e dell’apertura sull’essere dell’ente – il poema fa un passo avanti; lo strano, è l’estraneo o il prossimo. Niente è più strano né più estraneo dell’altro uomo ed è nella luce dell’utopia che si mostra l’uomo. Fuori ogni radicamento e ogni domiciliazione; apolidia come autenticità!
   Ma la sorpresa di questa avventura in cui l’io si dedica all’altro non-luogo, è il ritorno. Non a partire dalla risposta dell’interpellato, ma per la circolarità di questo movimento senza ritorno, di questa traiettoria perfetta, di questo meridiano che, nella sua finalità senza fine, descrive il poema. Come se andando verso l’altro mi ricongiungessi e mi radicassi in una terra, ormai natale, sgravata di tutto il peso della mia identità. Terra natale che non deve niente al radicamento, niente alla occupazione prima; terra natale che nulla deve alla nascita. Terra natale o promessa? Vomita i suoi abitanti quando essi dimenticano il percorso circolare che a reso loro familiare questa terra, e la loro erranza che non era per lo spaesamento, che de-paganizzazione? Ma l’abitazione giustificata dal movimento verso l’altro, è per essenza ebrea.
   Celan non si riferisce al giudaismo come a un particolarismo pittoresco o a un folclore familiare. Senza dubbio la Passione d’Israele sotto Hitler – tema di venti pagine di Stretta contenute in “Stretta”, lamento di lamento, mirabilmente tradotta da Jean Daive – aveva, agli occhi del poeta, un significato per l’umanità tout court, di cui il giudaismo è una possibilità – o un’impossibilità – estrema, rottura della ingenuità dell’araldo, del messaggero o del pastore dell’essere. Deiscenza del mondo che offre non un soggiorno, ma, per passare la notte, pietre contro le quali colpisce il bastone dell’errante in linguaggio minerale. Insonnia nel letto dell’essere, impossibilità di raggomitolarsi per obliarsi. Espulsione fuori della mondanité du monde, nudità di colui il quale chiede in prestito tutto ciò che possiede; insensibilità alla natura… perché l’ebreo, sai, cosa possiede che gli appartiene veramente, che non sia in prestito, richiesto, mai restituito… Eccoci ancora nella Montagna tra il martagone e il raponzolo. Due ebrei stanno o uno solo in due con se stesso. Ma a loro, cugini di secondo grado mancano…occhi o, più esattamente, ai loro occhi un velo ricopre l’apparire di ogni immagine, perché l’ebreo e la natura, divisi nel tempo, anche oggi, anche qui… povero martagone, povero raponzolo!Poveri voi, voi non ci siete, non fiorite, e luglio non è luglio. E queste montagne e la loro imponente massa? Che ne è di queste montagne di cui Hegel diceva così è con sottomissione e libertà? Celan scrive: …la terra si è fratturata in alto, una volta due tre volte e aperta nel mezzo, e nel mezzo c’è acqua, e l’acqua è verde e il verde è bianco e il bianco viene da più in alto ancora, viene dai ghiacciai…
    Al di sopra e al di là, di questo silenzio anche l’insignificanza di una incrinatura del terreno dice montagna, e per interrompere il rumore del bastone che colpisce la pietra e la ripercussione di questo brusio attraverso le rocce, è necessario – contro la lingua in uso qui – una vera parola.
 

Per Celan – in un mondo che Mallarmè tuttavia non avrebbe potuto sospettare – il poema è l’atto spirituale per eccellenza. Atto, allo stesso tempo, inevitabile e impossibile a causa di un poema assoluto che non esiste. Il poema assoluto non dice il senso dell’essere, non è una variazione sul “dichterisch wohnet der Mensch auf dieser Erde“di Hoerderlin. Dice la defezione di ogni dimensione, va verso l’utopia, sull’impossibile cammino dell’Impossibile. Più o meno che essere. Il poema assoluto – certamente, non esiste, non può esistere. Celan evoca l’idealità dell’irrealizzabile? Parola gratuita e facile che è difficile attribuirgli. Non suggerisce piuttosto una modalità altra a dispetto di quelle che alloggiano tra i limiti dell’essere e del non-essere? Non suggerisce la poesia lei stessa quasi una modalità inaudita dell’altrimenti che essere? Il Meridiano – come la parola, immateriale, ma terrestre. A partire da ogni poema senza presunzione…Questa interrogazione che non si può eludere, questa presunzione inaudita. L’ineludibile: interruzione dell’ordine ludico, del bello e del gioco dei concetti e del gioco del mondo; l’interrogazione dell’Altro, ricerca dell’Altro. Ricerca dedicantesi nel poema all’altro: un canto monta nel dono, nell’uno-per-l’altro, nel significato stesso della significazione. Significazione più antica dell’ontologia e del pensiero dell’essere e che suppongono sapere e desiderare, filosofia e libido.
 

(Traduzione dal francese
a cura di Alessandro Ciappa)



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