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Cefalonia: un massacro dimenticato

di Peppe Nuzzo         peppe.nuzzo@libero.it

Cafalonia, a sole 16 ore di nave da Brindisi, non è certamente tra le più note isole greche, fuori dai circuiti turistici italiani che le preferiscono le più mondane isole dell’Egeo. Ancor meno noto, anche ai suoi più assidui visitatori, è quanto vi accadde durante la Seconda Guerra Mondiale.

L’isola di Cefalonia fu teatro di uno degli episodi d’eroismo più belli delle nostre truppe, una storia tenuta misteriosamente nascosta per decenni e solo in tempi recenti rievocata, in particolare quest’inverno, grazie alla visita del Presidente Ciampi ed al libro di Alfio Caruso, Italiani dovete morire. .

Anche sull’isola, quest’anno, si sono ricordati di quel tragico settembre del ‘43 grazie all’opera del parroco della Chiesa Cattolica di Argostoli che ha organizzato una piccola ma intensa mostra.

Sita proprio fuori il Golfo di Patrasso, Cefalonia era ritenuta strategica nello scacchiere ionico della Seconda Guerra Mondiale. Per questo motivo fu occupata dai militari italiani fin dall’aprile del 1941, subito dopo l’occupazione della Grecia da parte delle truppe dell’Asse.

Fino al settembre 1943 l’occupazione di Cefalonia da parte di circa 11.500 soldati italiani della Divisione Acqui, fu di tutto riposo. Come loro costume, i nostri connazionali fraternizzarono con la popolazione locale. La povera economia locale trasse giovamento dalla nutrita presenza militare e numerosi furono i matrimoni tra i nostri soldati e le donne greche. Ancora oggi i vecchi cefaloniti conservano un ottimo ricordo dei militari italiani; Antonio, anziano bagnino di Platys Gyalos, ricorda con simpatia i soldati italiani che dividevano il loro rancio con i ragazzini greci.

Durante l’estate del 1943, dopo il colpo di stato del 25 luglio, nella prospettiva di un disimpegno italiano dalle operazioni belliche, sbarcarono sull’isola anche 1.800 tedeschi. Quella estate la spiaggia di Platys Gyalos era frequentata da soldati italiani e tedeschi che, nella quiete della guarnigione, trovavano modo e tempo di bagnarsi nelle acque ioniche

Questo fino al fatidico otto settembre.

Le farsesche condizioni dell’armistizio arrivarono a Cefalonia in maniera incompleta e frammentata a causa del quasi totale silenzio radio: fu forse per questo che la smobilitazione dell’esercito italiano non toccò la Divisione Acqui. Il Generale Antonio Gandin, da poco subentrato al comando della Divisione, si trovò nella difficile situazione di trovare un’onorevole via d’uscita per i suoi soldati. Lui sostanzialmente filotedesco, aveva in cuor suo l’idea di arrendersi: per trovare la maniera più onorevole per raggiungere questo suo proposito e portare a casa sani e salvi i suoi uomini, intraprese una lunga trattativa con il colonnello Barge comandante della guarnigione tedesca, di cui parlava la lingua e, come segno di buona volontà, fece abbandonare dagli italiani le alture di Kardakata e l’omonimo bivio, centro nevralgico dell’isola.

Chi è stato a Cefalonia sa che da queste alture si domina tutta l’Isola e Gandin non era uno stupido, da buon alpino era ben conscio dell’importanza di mantenere il controllo delle montagne: in cuor suo, Gandin si era già arreso. Durante la trattativa Gandin non prese mai una posizione chiara e decisa, conscio delle conseguenze che qualunque gesto avrebbe causato: fu così che si lasciò prendere la mano dalla truppa, sobillata da alcuni ufficiali subalterni il cui ruolo fu a dir poco dubbio. Già durante le trattative, l’artiglieria italiana aprì il fuoco contro due motozattere tedesche senza informare il comando. Lo stesso Gandin fu bersaglio di un attentato fallito. Ci fu poi l’azione nefasta dell’ELMAS greca, la resistenza comunista che fece credere agli italiani che con il loro appoggio avrebbero sbaragliato i pochi tedeschi che sul continente erano ormai in difficoltà: dopo aver preso armi e rifornimenti dagli italiani i partigiani greci non parteciparono alle operazioni belliche, neppure con operazioni di intelligence.

Infine in un clima di ribellismo generale Gandin accettò un plebiscito tra la truppa per decidere sul da farsi.

Illusi di potersi disfare dei tedeschi, che erano in inferiorità numerica (un tedesco per ogni sei italiani) e di poter così tornare, senza grossi problemi, a casa, la truppa, che nella grande maggioranza non aveva neppure avuto il battesimo del fuoco, decise di non cedere le armi e di opporsi agli ex alleati.

Le ostilità iniziarono il 15 settembre. Dopo una prima giornata favorevole, con la splendida vittoria di Punta Telegrafo, gli italiani si impelagarono nella riconquista delle alture di Kardakata, subendo pesanti perdite; poi le operazioni belliche volsero a favore dei tedeschi, appoggiati dagli aerei della Luftwaffe, che partivano indisturbati dall’aeroporto di Patrasso, e presto affiancati dai rinforzi della Divisione Edelweiss, sbarcati a capo Akrotiri e nella Baia di Mirtos, lasciata sguarnita dall’abbandono delle alture di Kardakata..

Mai gli Alleati intervennero sullo scacchiere ionico, forse perché non ne avevano compreso l’importanza, o forse perché la divisione del mondo tra Est e Ovest era, all’epoca, già in atto.

Mai il Comando Supremo del Governo Badoglio mosse un dito per indurre gli alleati ad inviare rifornimenti o ad agevolare l’evacuazione dall’Isola della guarnigione..

Ma gli effetti più devastanti della condotta del Comando Supremo furono causati dalla ritardata dichiarazione di guerra alla Germania.

Da questo fatto scaturì la tragedia di Cefalonia, che non fu solo una sconfitta militare: tutti i militari italiani, in mancanza di una dichiarazione di guerra furono considerati dai tedeschi "franchi tiratori" ed in quanto tali, immediatamente fucilati sul campo di battaglia subito dopo essersi arresi. Dopo i 1.250 militari italiani morti valorosamente in combattimento, fu in tal modo che 5.000 nostri connazionali furono trucidati dai tedeschi. Immediatamente dopo la resa, il 24 settembre nella famosa "casetta rossa" nei pressi del faro di San Teodoro, furono fucilati 139 ufficiali, rei di tradimento per aver comandato le truppe italiane contro i tedeschi senza che ci fosse stata una dichiarazione di guerra. Altri tremila italiani morirono nei mesi successivi, parte di stenti e di malattie, parte in tre differenti naufragi mentre erano trasportati in terraferma.

E così i circa 10.000 nostri connazionali che, come dice Alfio Caruso "tra la vita e l’onore, scelsero quest’ultimo" oltre a morire fisicamente, morirono pure nella memoria dei connazionali. L’episodio di resistenza ai tedeschi avvenuta nell’isola di Cefalonia, non essendo avvenuta sotto le bandiere rosse come la resistenza italiana, non fu ritenuta dalla sinistra che ha gestito onori e ricordi nel dopoguerra, degna di essere ricordata. Inoltre, le intese De Gasperi- Adenauer che dettero il via all’Unione Europea, certamente consigliarono di tenere in freddo questo drammatico episodio.

Cefalonia merita di essere visitata per le sue bellezze i suoi fenomeni naturali e per il suo mare cristallino. Ma merita anche di essere ricordata come il più fulgido esempio di eroismo nell’ambito di un conflitto in cui la nostra patria tocco il momento più basso della sua storia.

Giuseppe Nuzzo

 

 

 

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