DELLO STESSO AUTORE PRESSO L'EDITRICE MORCELLIANA:
Meditazioni -
5" ed.
Affinità - 4'1 ed.
Doveri • 4'3' ed.
S. Tomaso d'Aquino • 2a ed.
77 miracolo della Chiesa - 32 ed.
Il Cristianesimo e le filosofie - 2 volumi
II mese di Maria
11 problema del male
I LUI
Chi, Lui? — l'Uomo, la personalità del quale è così
alta che rimane unica e persino sola in un certo modo, essendo divina;
l'Uomo che, come tale, è solo del suo grado eppure si comunica a tutti,
colui che non soltanto è se stesso, ma è noi, essendo sostanzialmente
nostro, essendo spiritualmente identico alla nostra unità che non si
realizza se non in Lui.
Egli è il nostro ideale vivente, la nostra guida,' il
fratello e il salvatore nostro. Plasmarci su di lui, camminare con lui,
appoggiarci a lui, chiedere la »ua testimonianza innanzi alla Giustizia
e all'Amore è ciò che egli chiama seguirlo. Non c'è vita umana se non
in Lui.
Il cristianesimo non è un insieme di articoli di fede e
di precetti, ma l'espressione del rapporto totale di Dio con la
creazione intera, e il fulcro di tale rapporto è il Cristo.
Se Gesù Cristo non è tutto per noi, non è nulla,
poiché sua natura è, come Dio, di essere tutto, e come uomo di essere
la via di accesso a tutto.
Gesù Cristo parla a tutti gli uomini perché Egli è la
Verità e la verità è universale. Egli rivolge la sua chiamata a tutti
gli uomini perché è la Via e il • destino è comune. Si offre a
tutti gli uomini, perché è la Vita e noi non formiamo per sempre in
lui che una sola famiglia di viventi, quasi un essere aolo.
Dio avrebbe potuto dire come Archimede: Datemi un. punto
d'appoggio e solleverò il mondo. Ma Egli se Fé dato da sé nel suo
Cristo.
Sapere chi e il Cristo è più importante che sapere
cosa abbia detto. Unirsi al Cristo è più importante che accettare la
sua dottrina e metterla in pratica come una dottrina umana. Poiché una
dottrina umana, per quanto elevata sia e fosse essa pure praticata con
una fedeltà perfetta non è in grado di stabilire un legame intimo tra
l'uomo e Dio. Mentre Cristo è questo legame stesso. Egli è la Porta,
la Via, il Ponte. In lui si compie il congiungimento del divino con
l'umano. Unirsi a lui, è possedere Dio direttamente, e con Dio tutto,
la dottrina, la pratica, la pace attiva del tempo e la vita eterna.
Ciò che Pascal ha dettò è di una grande importanza,
non così Pascal. Ciò che ha detto Gesù, è di un'importanza
fondamentale; ma molto più ancora lo è la sua Persona. I Pensieri
anche se piovuti ano-
nimi dal cielo avrebbero avuto un valore
indipendente dall'autore che li aveva formulati, ma Gesù, Gesù è lui
stesso, « il pane vivo disceso dal cielo •» (giovanni, VI,
51). ^i., • • ' '^;1 • :
L'incarnazione non avviene in Dio, poiché in Dio nulla
avviene; ma ha il suo termine in Dio, tocca Dio, è un avvenimento che
coinvolge Dio. Similmente accade, fatte le debite proporzioni, della
santificazione di un'anima, che vien giustamente chiamata la sua
deificazione.
Renan ha rappresentato Gesù come un « fosco gigante »
che, essendo fallito nella sua impresa, decide di morire per essa e di
prepararle così un avvenire. E vi riesce. Per cui Renan prorompe in
escla-; inazioni ammirate e dichiara prodigioso questo
successo. Ma non si tratta affatto di ciò. Gesù è ugualmente riuscito
e fallito tanto nella sua vita temporale ^quanto in quella eterna. Egli
è un segno di contrad-„ dizione rispetto ai suoi contemporanei come
pure a rispetto nostro. La sua opera, benché si sviluppi nella storia e
vi si mostri, in realtà, prodigiosa, non è fondamentalmente storica,
ma mistica, e la storia stessa è al servizio di questa misticità. Chi
non comprende ciò falsa il Cristo; ne fa un grande uomo, invece che il
Salvatore universale, uomo e Dio insieme.
Poiché egli domina la storia, e poiché c'è in lui un
principio extra-temporale. Gesù ha il mezzo di essere presente senza
intermediari in tutti gli uomini e in tutti i tempi.
Il Vangelo non è un passato. Il piccolo libro che porta
questo nome non è che la testimonianza temporale d'un fatto
extra-temporale: l'offerta di Dio agli uomini del suo amore e della sua
intimità, la Buona novella.
Chi non si sente contemporaneo di Gesù non è
cristiano. Poiché, non accettando di Cristo se non l'uomo e
respingendolo nel passato, costui l'annulla per noi; misconosce il
legame religioso; rinuncia alla realtà stessa per appagarsi di un
ricordo.
Gesù Cristo non è un essere un tempo sofferente, ora
glorioso, e che perciò non si può più accostare, in ispirilo o
realmente, se non nella sua gloria, come Scorate dopo la cicuta. No. «
Gesù Bara in agonia fino alla fine del mondo ». Il nostro rapporto con
lui è un rapporto d'uomo sofferente a uomo sofferente, fuori del tempo,
di conseguenza per tutti i tempi, che la presenza attiva del Cristo
avvolge e penetra.
Questo il Santo Sacrificio della messa vuoi significare,
con la sua pretesa di rinnovare costantemente i la Passione del Cristo e
di applicarla a noi non come ricordo soltanto, ma in concreto, benché
nel mistero,'
Socrate sperava, certo, che la posterità gli avreb-.;
be reso giustizia e non avrebbe più visto in lui un
condannato. La speranza di Cristo, al contrario, è di
.essere perpetuamente un crocifisso, crocifisso ingiù-, stamente per
gli uomini, essendosi offerto a tutti gli
uomini e essendosi fatto liberamente peccato per tutti
e per tutti i tempi.
— 10 —
« Beato, ha detto Gesù, colui che non si
scandalizzerà per causa mia » (matteo, XI, 6). ^La personalità di
Gesù da luogo a un doppio scandalo: lo scandalo di un uomo particolare
che si dice Dio o che dicono Dio; lo scandalo del Dio che dicono uomo,
che riveste una natura d'uomo. Il primo scandalo, il greco, è ciò che
S. Paolo chiama follia; il secondo è lo scandalo ebreo, che il
grande apostolo (p. 6), chiama bestemmia. Se non ai riesce a
vincere questo doppio scandalo, non si può credere nell'Uomo - Dio ne
ricevere la salvezza dall'-Uomo-Dio. Ma la vittoria che si richiede non
è una vittoria ideologica, è una vittoria dell'umiltà, una vittoria
del cuore. « Noi abbiamo creduto all'amore », dice S. Giovanni
(ep. I, IV, 16).
« Sapete voi che noi ci troviamo su un granello di
polvere situato a miliardi d'anni luce dagli universi lontani? » — «
Sapete voi, voi ancora, che noi siamo un universo del medesimo ordine
gigantesco di grandezza in rapporto agli infinitamente piccoli
attualmente conosciuti? E non capite che questi due ordini di
osservazioni si annullano? Noi non siamo ne grandi ne piccoli.
L'Universo non è ne grande ne piccolo in rapporto nostro. E in rapporto
a Dio non esistono ne grande ne piccolo.
Esiste un uomo colto, pienamente conscio di gè, che
oserebbe accostarsi al Cristo, e lì, proprio sul viso, non dico
insultarlo, questione che non si pone neppure, ma dirgli : tu non sei un
uomo come me ? Io credo che quel tale ha da nascere ancora.
'—i^—
Per anni ai dice di credere, e un bei giorno, in una
illuminazione improvvisa, si scopre che cos'è la fede.
La fede, atto meraviglioso, nel quale, sul terreno
dell'intelligenza. Dio e l'anima non sono per così dire che una sola
cosa. ! . ! i'i•'.''i::i'^4':
• ! •ii:•li'!\i.
La fede è alla base dell'intelligenza religiosa come il
lavoro dei sensi è alla base di quello dello spirito.
La dottrina del Cristo non è una dottrina libresca;
essa è fatta per imprimersi nei cuori. Gesù Cristo, da parte sua ha
scritto nella polvere col dito : ecco tutto l'onore che egli ha reso
alla scrittura.
Gesù Cristo vuole che si renda testimonianza di lui. Ma
per testimoniare di ciò che si vede, bisogna prima vedere, e spesso non
si vede, non si vuoi vedere. La verità trova in noi stessi il suo
peggiore nemico.
Com'è molesta la verità! Essa intralcia tutto;
compromette tutto; Condanna ciò che si ama e impone
ciò che si odia. Tra le sue mani il sì e il no, sono armi crudeli. Si
può trovare che la verità è assurda e ostile. Perché mai deve essere
necessario che fuori della verità nulla abbia un valore, e progredisca,
e si compia?
12
L'anima del nostro tempo è lontana dalla fede, perché
è troppo vicina a se stessa e fiduciosa in se stessa. Essa ha troppa
salute per morire, e di conseguenza per vivere.
Gesù, dice Ch. Péguy, « si è dato in balìa del-l'esegeta,
dello storico, del critico, come si è dato in balìa dei
soldati, degli altri giudici, delle altre turbe ». Ma il cristiano ha
una difesa contro tutto ciò che si può contrapporre al Cristo: portare
il Cristo in se stesso.
La fede non ci è richiesta soltanto nei confronti
dell'invisibile, ma anche dell'incredibile. Credere l'invisibile è il
primo merito della fede; credere l'incredibile è il suo eroismo.
La verità dal punto di vista di Dio deve facilmente
apparirci incredibile: essa ci supera. La verità dal nostro punto di
vista, in caso di divergenza, deve sembrarci incredibile per Dio, cioè
falsa.
Se si domandasse oggi a certi uomini: siete credenti?
essi dovrebbero rispondere per essere sinceri:
«Credo di sì», oppure: «Non so»,
oppure: «Non credo ». Essere credenti o no non è più
un dilemma.
Uno che nel pensiero come nella condotta è un pagano
autentico, è ritenuto credente. Un altro che pensa ardentemente di non
credere è un cristiano che si ignora e forse un santo.
— 13.^-S1"
Il mistero è l'elemento naturale della fede. Nei suoi
riguardi la conoscenza ha il compito di eccitare la nostra attenzione,
indicarci la dirczione, preparare la strada, dopo di che s'arresta. Ma
per ritrovare al di là una comprensione nuova e migliore.
L'uomo più grande sa meno cose necessario di ;
uno scolaro qualsiaai di catechismo. Se le sa e può
allora formularle meglio, non le comprende di più) , e forse ha meno
possibilità di conformarvi il su® cuore. ',.
Come se, in una stanza illuminata ci venisse aperta una
finestra au una notte di stelle, così ci vengono rivelati i misteri.
Nel mistero del Cristo, dice San Paolo, sono contenuti
tutti gli altri (coloss. II, 2). Per comprendere il Cristo bisognerebbe
tutto comprendere: il divino, Fumano con le sue relazioni universali, e
i loro rispettivi rapporti. Colui che unifica tutto, unifica anche la
scienza.
Bossuet ha dimostrato che nella vita dì Gesù l'umiltà
e la grandezza non si trovano mai l'una senza l'altra. Si potrebbe
credere che esse abbiano così a equilibrarsi e quasi a neutralizzarsi.
Ma no; poiché l'umiltà in questione è una grandezza spirituale
incomparabile, e soltanto grazie ad essa la grandezza visibile è una
vera grandezza.
L'Incarnazione prova l'amore divino ; essa lo proverebbe
persino troppo e la fede ci sarebbe troppo
— 14 —
facile, se questo amore non si riducesse nel Cristo allo
stato di mistero. Esso vi si riduce per mettere alla prova il nostro
cuore, come per permetterci in .seguito di mettere alla prova il cuore
divinò.
È necessario che siamo messi non soltanto in condizione
di ricevere, ma di scegliere ciò che il Ciclo ci offre. È necessario
che, attraverso l'atteggiamento da noi prescelto, di fronte a un mistero
a metà trasparente e che dunque possiamo rinnegare o ammettere a
volontà nostra, si manifesti il nostro valore spirituale, così che la
nostra volontà sia giudicata e il nostro merito fondato.
Gesù Cristo potrà ben dire: io sono Dio, e
potrà ben ispirare confidenza; lo scandalo dell'Uomo-Dio, implicito in
questa parola, potrà sempre insinuarvi un dubbio. Ciascuno giudicherà
secondo il suo cuore. Per questo la fede nel Cristo è un atto di
libertà.
L'amore è libero, nessuna testimonianza lo impone;
qualunque pegno esso stesso fornisca, può essere sempre misconosciuto.
Ora potrei io meritare l'amore, se non so riconoscere l'amore? Davanti a
una prova normale — e nel caso del Cristo questa prova era necessaria
— Famore misconosciuto si ritrae, ed è l'onore stesso dell'amore a
esigere così.
Coloro che rimpiangono di non aver vissuto al"
tempo di Gesù Cristo, sospettano essi di desiderare di^ esser stati
testimoni di uno « scandalo », di una « fol-
— 1S'—
Ha », secondo che fossero stati in quei tempi ebrei o
gentili? Forse allora essi presumono troppo della loro intelligenza o
della loro forza d'animo, i,1; ';'
Si dice che Bismarck solesse rivelare chiaramente le sue
più segrete intenzioni. Egli pensava di poter dissimulare tanto meglio
in tal modo; avendo prima perfettamente consolidata la sua fama di
principe impenetrabile. Q dando Gesù dichiara la sua divinità, molti
non gli credono e inventano ogni genere di spiegazioni per evitare di
credergli senza con ciò recargli offesa. La ragione ne è la stessa.
Dipende dal fatto che l'incognito della divinità è in questo caso
perfetto. Si ha davanti a sé un uomo di carne ed ossa, un Giudeo, un
Galileo, un figlio di falegname, un contemporaneo di Tiberio. Come poter
credere a un uomo che si dice Dio e che si mostra così eviden-s temente
uomo? Vincere questa contraddizione in ap-' parenza flagrante, è il
miracolo della fede.
Quando Pietro afferma la divinità del suo Maestro,
Gesù gli dice : « Tè fortunato. Si-mone, figlio di Giovanni,
poiché non la carne ne il sangue tè Fhanno rivelato, ma il Padre mio
che è nei cieli ». (matt., XVI, 17). La carne e il sangue, cioè
l'evidenza immediata e la ragione stessa, operando secondo la pro-•
pria legge, non vedono in Gesù che un uomo. La sua divinità non è se
non oggetto di fede. Si pretende provarla; ma la fede sola accetta la
prova, e per questo il caso di Gesù è un reagente che manifesta lo
stato delle coscienze nei confronti con l'invisibile;
esso rivela i pensieri dei cuori (luca, II, 35).
-N-
Situazione crudele di Gesù! Egli si umilia e soffre per
noi, e proprio per questo diventa uno scandalo per noi. L'estremo a cui
egli porta il suo amore, ci induce a dubitare di lui. Quando poi, ancora
per amore, ci invita a condividere la sua croce, nuovo scandalo; il suo
scopo è misconosciuto; le sue intenzioni misericordiose irritano e
deludono. Noi dubitiamo di lui e del Padre suo proprio per il fatto di
esseme, ancora una volta, troppo amati.
I Giudei domandano ripetutamente a Gesù di provare la
sua missione, e egli lo fa. Ma casi ne vogliono prove che
dimostrerebbero precisamente il contrario. Gesù sarebbe il Cristo, ai
loro occhi, se egli pensasse come loro, se perseguisse i medesimi fini
carnali e respingesse i mali che fanno loro orrore. « Se tu sei il
Figlio di Dio discendi dunque dalla Croce». Ma perché Figlio di
Dio, proprio per questo egli non ne discende. '
Ci si stupisce che la folla giudea abbia dapprima
acclamato Gesù con delirio e, così poco tempo dopo, abbia reclamato
freneticamente la sua morte. Ecco davvero la volubilità popolare, si
osserva. Questa in-terpretazione è fondata; ma ce n'è un'altra molto
più profonda. La collera del tempo della Passione non è che la
continuazione dell'entusiasmo precedente, la sua maturità, se così si
può dire ; poiché quell'entusiasmo era equivoco; si riferiva a un
falso Cristo, il? Cristo di carne che concepiva la folla, e quello che'
si vuoi crocifiggere è proprio Io stesso falso Cristo.
2 - Spiritualità
Al Giudeo carnale. Gesù ha mancato di parola;
egli ha deluso la speranza riposta in lui e vi ha
sostituito speranze illusorie. Gli si rinfacciano i suoi discorsi
d'impostore.
Gesù non vuole che lo si faccia rè. Allora che cosa
vuole? La potenza? È veramente quanto si merita se si è preso gioco di
noi.
Gesù Cristo ha sofferto a causa degli uomini in
proporzione di ciò che era, non soltanto perché lo era, ciò che
aumentava la sua capacità di sofferenza, ma perché lo diceva, e tali
dichiarazioni, una tale grandezza manifestata non potevano provocare che
la fede e l'amore senza limiti o l'esasperazione.
Che si pensi fino a qual punto il « discorso della
Montagna » sconvolgeva la natura delle cose e capovolgeva i valori
di vita quali gli uomini li concepivano. Benedetti i poveri,
benedetti coloro che piangono, benedetti coloro che soffrono
persecuzione per la giustizia, ecc... Bisognava che si fosse già
intimamente cambiati, convcrtiti, per non irritarsi, e se la
esigenza si faceva pressante, quasi costrittiva (Compelle intrare),
non si poteva non arrivare a ciò che;
uno scrittore chiama un « furore viscerale », in cui
il fondo della natura umana, in istato di difesa, tende • alla
distruzione del perturbatore.
Gesù guarisce malati, guarisce incurabili, e altri
invidiano questi fortunati, mortali. Ma se avessero. coscienza del
sottinteso che accompagna questi mi-';
racoli : « ora seguimi, cioè imitami nella mia vita
è'
— 18 —
nella tnia sofferenza », la maggior parte di questi
eventuali miracolati non vorrebbero più essere guariti.
Guarendo i mali di-questa vita. Gesù intende unicamente
mostrare di aver ogni potere sulla loro fonte, che è il peccato.
Guarire, convertirsi, è per lui tutt'uno, anche. se non ne fa accenno
alcuno e si accontenta di passare facendo il bene (atti, X, 38).
Non si è rivoltatidall'ignominia di queste parole^, « ha
salvato altri; salvi dunque se stesso! » (Lue.,, XXIII, 35)? Ma
dopo tutto!... Ha aiutato gli altri, è vero ; ma li ha anche ingannati,
e l'inganno è più grave di quanto non fosse prezioso l'aiuto ; poiché
si tratta in-questo caso di tutto Israele, del tutto di ogni essere
umano. E per noi,, oggi, non è ancora il tutto della vita che è in
gioco nel problema della fede e della pratica cristiana? Quanto valgono,
a paragone, i benefici della Chiesa spàrsi nella storia o seminati
intorno a noi? Il grave è che si prende di mira la nostra anima tutta
intera, la nostra vita in ogni sua manifestazione, e persino la nostra
morte e persino la nostra posterità. Ciò e inespiabile, a meno che non
sia divino.
Chi è Giuda rispetto a Cristo? Un ammiratore deluso che
tradisce per cavarsi d'imbarazzo. Che cos'è un falso cristiano rispetto
al cristianesimo? Un ammiratore che non vuole essere deluso e che evita
di mettersi nell'imbarazzo, i;'
— 19 —
L'inettitudine estrema è da parte di uà
falsario una specie di onestà. Non si potrà restare ingannati con lui.
Gesù, dandosi per il Messia e assumendo tuttavia con piena evidenza,
atteggiamenti di falso Messia, secondo l'idea dei suoi contemporanei,
avrebbe dovuto disarmarli. Al contrario, li esaspera. In verità
il caso di coscienza ch'egli pone è irritante al massimo. I suoi
atteggiamenti sono d'un falso Messia:
la sua povertà, il suo rifiuto degli onori,
l'austerità della sua vita... Ma ci sono pure la sua dottrina e i suoi
miracoli. Bisogna arrendersi o soffocare i segni. Lasciar passare
sarebbe inaudito; perché si tratta o del grande evento atteso o di una
bestemmia. Così nel corso dei secoli il cristianesimo scandalizza con
le sue esigenze e attira con la sua grandezza. Bisogna scegliere. Non
c'è davvero possibilità di rimanere neu- ;
frali; perché o la storia e l'anima trovano spiegato in
esso il loro segreto, o un'enorme frode esige l'eatir- ;:
pazione e la vendetta.
Noi non comprendiamo in qual modo Gesù, che;
è Dio, possa soffrire come uomo, e soffrire nel suo
spi-L rito così come nella sua carne, soffrire nei suoi rap-;
porti con Dio come nel suo rapporto con gli uomini. Noi
non lo comprendiamo, cioè non possiamo raffi-i gurarci uno stato così
misterioso e in apparenza con- ;
traddittorio. Ma ne afferriamo tuttavia la ragione,
comprendiamo cioè come Dio che si è legato all'urna-'nità con
l'Incarnazione ne subisca poi anche gli effetti con uguale onnipotenza.
..';;i:" ' ' '
La gravita dell'impresa redentrice è una gravita-,
divina e tale che sfida perciò il paradosso, che offre'
— 20 —
aspetti di contraddizione nei confronti di un pensiero
umano. Il punto estremo del paradosso si rivela in queste parole così
profondamente inquietanti per una fede debole: «Dio mio! Dio mio!
perché mi hai abbandonato? » (matt., XXVII, 46).
Bisognava che il Cristo non fosse nulla in questo mondo,
non facesse mostra di alcuna grandezza mondana, per poter esprimere
nella sua persona il nulla delle cose di questo mondo di fronte allo
spirituale e all'eterno di cui egli era il rappresentante. Senza di
questo, la parola del Cristo avrebbe potuto essere ancora una parola di
verità; ma lui,, non sarebbe stato, nel visibile, la verità.
Se Gesù Cristo avesse rappresentato una parte gloriosa
in questo mondo, non per questo sarebbe stato meno, nell'intimo, il
modello dell'umiltà e dell'abnegazione; la sua parte sarebbe stata per
lui un dovere, non un privilegio, e proprio così egli intende che
avvenga in caso simile dei suoi discepoli. Ma che dico, non per questo
egli si sarebbe trovato meno, come Dio, nello stato ultimo ed estremo
dell'abbassamento. Ma conveniva ch'egli venisse ancor di più abbassato
ai nostri occhi, affinchè il nostro orgoglio e il nostro folle
attaccamento a noi stessi fossero senza scusa.
Noi siamo vicini a noi stessi e lontani dagli altri,
fossimo pure preoccupati di insignire gli altri del nome di prossimo,
la bellezza del qual termine ci accusa. Gesù è vicino a noi tutti e
lontano da sé stesso, sia pure quando ci invita ad amarlo.
• --21 —
Nella ricerca della pecorella smarrita, il divino'
Pastore non si è risparmiato fatiche; si è perduto nel deserto degli
uomini, ha preso il cammino infinito dell'Incarnazione e il cammino più
infinito an- ;
cora, se possibile, del Gethsemani e della Croce.
' Il fatto che Geaù non si sia stancato del suo am-^biente,
quale il Vangelo ce lo dipinge, è la dolcfc "certezza ch'egli non
si stancherà di noi così come" ' siamo. ! ^ ;^;^
^'; i;, /^ ,.''1
Gesù ha voluto essere solo neiragoniia,p,pier^aB noi
non abbiamo ad agonizzare soli. I ;^
; Gesù può fare tutto ciò che vuole, e soffre. Può
fare tutto ciò che vuole ed è ben in realtà ridotto all'impotenza. Ma
proprio in questo la sua' Passione è una incomparabile prova d'amore.
Dirsi e mostrarsi intimamente uno con l'ultimo dei
miserabili così come con l'uomo più nobile e grande, è un gesto che
non può appartenere se non all'Uomo-Dio; poiché c'è in esso il
marchio del Creatore, per il quale tutto ciò che è, acquista un valore
sovrano, e il quale considera come simile a se, fosse pure
interamente spoglio in apparenza, il soggetto pensante e volente, la persona.
Quando dico dell' Uomo-Dio che egli è 1' amico della persona,
mi si crede volentieri così in astratto. Ma che io mostri un pezzente
che sogghigna e racco-
— 22 —i^
glie mozziconi sull'asfalto, e si riderà di me se evoco
a suo proposito, questo versetto della più toccante fra le prose:
Tu ti sedesti, stanco, nel cercarmi.
Gesù, tuttavia, è l'amico di costui; lo chiama;
per lui solo sarebbe morto.
Gesù è l'amico del Papou di Renan. E anche l'amico di
Renan, questo povero traditore.
Gesù dorme durante la tempesta, perché non c'è nulla
che possa alcunché contro di lui. I discepoli hanno paura. Ma una volta
chiamato il Cristo e ab-bandonatisi a lui, hanno il diritto anch'essi di
dormire; poiché le tempeste del lago o quelle della vita non hanno
ormai più contro di loro alcun potere.
Gesù non ha potuto salvarci che perdendo se stesso, che
diventando una pietra d'inciampo e di scandalo, un oggetto d'opposizione
e di collera, e restando tale da vivo, da morto, da risuscitato e da
ridivenuto nostro, ora e fino alla fine dei tempi.
Gesù Cristo, secondo Pascal, vuole che si preghi come
se fosse per lui; perché facendosi uomo e uomo in qualche modo
universale. Dio si è interessato a fondo alla causa degli uomini e la
considera sua. Perché essendo uomo, ma anche Dio, Gesù Cristo è
interessato all'uomo quasi in quanto Dio.
Noi siamo verso il Cristo più crudeli-ancora che verso
noi stessi, quando non utilizziamo i suoi soc-
—. 23Ì'—
corei; poiché in essi è ogni sua ragione
d'essere. A questo proposito si può dire che gli indifferenti che
passano deliberatamente vicino a lui senza seguirlo sono peggiori per
lui dei carnefici; poiché il carnefice non impedisce a Gesù Cristo
d'essere salvatore;
il miscredente glielo impedisce.
, '•; Chi non conosce il prezzo della sua anima, lo
valuti dall'ansia dell'Uomo-Dio, ansia ossessionante, che occupa tutta
la sua vita, che sfida la morte, che gli fa accogliere la sua ultima
aera con un sospiro di tenera gioia : « Ho così profondamente
desiderato di mangiare questa Pasqua con voi, prima di morire» (Lue.,
XXII, 15).
Si ha come l'impressione che Gesù passi aprendosi la
strada attraverso una folla, per recarsi in un luogo appartato. Sul
percorso egli semina benefici e rapide parole; ma senza che nessuno lo
sospetti egli si affretta, la meta l'attira. Alla fine, scansata la
folla, Gesù arriva in un luogo in cui, persino in mezzo al;
tumulto, la solitudine è sempre totale. Egli è
riuscito a morire.
Per dare autorità alla sua dottrina Geaù ha impiegato
del tempo; ha impiegato del tempo per predicarla ; ma non ha sprecato
tempo per farla accettare e tradurla in un'istituzione a lui
contemporanea. Ha bruciato le tappe : ha precipitato le cose. In
verità, la sua azione intera non era che una testimonianza, • e una
testimonianza di cui la sua morte stessa faceva parte. Da quel momento
non c'era più nulla da pre-
; -:-- 24 —
disporre; tutto poteva svolgersi d'un tratto, come la
corsa di una meteora che brilla ed esplode. Le sistemazioni e le
tappe saranno per dopo.
La legge del cristianesimo sociale e la legge del Cristo
sono ben diverse. La Chiesa vive nel tempo e si vede costretta a
obbedire a esigenze del tempo. Il Cristo folgora al punto stesso di
partizione dei tempi.
La Passione di Gesù riesce un oggetto di timore per
ciò che essa ci rivela del peccato, un oggetto di speranza in quanto da
essa il peccato è vinto. Per ciò che conceme la persona di Gesù e la
nostra, essa è soprattutto un oggetto d'amore.
Agli occhi di chi la contempla, la Passione di Gesù è
sublime e straziante in proporzione dell'amore che la ispira, amore che
a sua volta si misura dalla sofferenza liberamente accettata. Così che
man mano si approfondisce il mistero, non si sa ciò che prevale: una
compassione sempre più tenera, o una ammirazione e un amore sempre
crescenti.
Il Cristo, che non aveva nulla da imparare, ha tuttavia
imparato qualche cosa alla scuola del dolore :
« Ha imparato l'obbedienza », dice l'Epistola
agli Ebrei, cioè la sottomissione affettuosa dell' anima a ciò che in
Dio è la legge primordiale d'ogni cosa: la legge dell'amore.
Quale strana compassione quella di Filato, che tenta di
ridurre Gesù a nulla, per poter dire: Ecco l'uomo! cioè:
lasciate passare colui che non conta più.
: i'—^s'—:1-
Piiate domanda a Gesù: « Che cos'è la verità?
». Ma se Gesù non gliel'ha insegnato con la sua vita, che cosa mai
potrebbero aggiungere delle parole? Proprio perché Gesù è Verità noi
sappiamo che cos'è la verità.
Nelle narrazioni della Passione, il tradimento di Giuda
porta l'emozione al massimo, e l'atteggiamento di Gesù verso Giuda è
il punto culminante del sublime. Ma un imitatore del Cristo non ha
sempre la possibilità di essere circondato da un pathos così eletto.
£ tradito da comparse, da avvenimenti anonimi, ben lontani dal lustro
invidiato di un dolore regale. In verità il suo caso non ha il compito
di illustrare il libro del genere umano; è abbastanza che istruisca lui
stesso, e che cosa importa allora la qualità o lo splendore del fatto?
Giuda mette in moto il meccanismo della Redenzione; il minimo tradimento
della vita può far sì che la Redenzione si applichi a quel tal uomo, a
quel tal caso con una indicibile potenza.
Gesù Cristo è morto a se stesso e a tutte le cose
sulla croce: solo così egli ha potuto, come persona e come primizia
dell'umanità, eternamente rivivere. A questo stesso scopo, il suo
discepolo vuoi morire spiritualmente a se stesso e a tutte le cose,
vivere nella croce come in una sosta felice, e aspettare così la
partenza.
Il Cristo è stato assalito dalla Morte come da un
condannato che credesse di salvarsi imprigionando con sé il suo
esecutore. Ma egli l'ha colpita nell'ombra.
— 26 —
Pensate a un povero uomo che lavora e che soffre senza
la speranza di un cambiamento sostanziale nella sua situazione, che
lavora per poter continuare a lavorare, che soffre per poter continuare
a soffrire:
tale è veramente, presa'a poco, la condizione umana
sulla terra; poiché sulla terra, a guardarvi senza puerile compiacenza,
ogni sistemazione è instabile e compromessa in anticipo, ogni corpo è
malato, ogni spirito è ottenebrato, ogni cuore pesante, ogni desiderio
insoddisfatto, ogni speranza vana. Ma proprio a questo male essenziale e
per sempre ineluttabile Gesù porta rimedio offrendo se stesso come «
Porta », come via di passaggio nella dirczione della vita.
In un senso Gesù Cristo salva il mondo, cioè procura a
tutti i mezzi di salvezza che sono loro necessari. In un altro senso
Gesù salva i suoi dal mondo, cioè dalla massa di quelli che non
utilizzano e non vogliono utilizzare la loro salvezza.
Perché Cristo abbia potuto rinunciare a questo mondo e
denunciarlo agli occhi nostri, bisogna che ce ne sia un altro. Ma se ce
n'è un altro dove raggiungerlo, come dovrebbe essere tacile rinunciare
a questo !
La grandezza del Cristo e la nostra si misurano quaggiù
dalle umiliazioni e dalle volontarie rinunzie, in attesa che più tardi
queste umiliazioni e queste rinunzie siano la misura della nostra
grandezza,
— 27 —
Gesù Cristo non ha avuto bisogno di rivoluzioni per
liberare l'uomo da tutto e da lui stesso. Il cristiano è un essere
essenzialmente e universalmente affrancato. ^ t
O uguaglianza delle anime in Cristo! Nessuno può
essere, spiritualmente, e più tardi realmente, ciò che non potrei
essere anch'io.
Noi siamo tutti rè. Noi siamo tutti più che rè,
essendo passati dalla parte di Colui che è il Creatore stesso dei
sudditi e dei rè.
Il Cristo lascia nei loro rapporti reciproci tutti i
valori di questo mondo; ma li annulla in rapporto a un altro mondo che
è il loro fine e la loro unica ragione d'essere. Che essi servano ormai
o non esistano.
£ divinamente vero che Gesù-Cristo è la vita, ma la
vita attraverso la morte; la morte a se stessi.
Si parla del popolo deicida. Non lo siamo tutti? La
generazione che ha ucciso il Cristo non era più malvagia di un'altra.
Quelli che si accaniscono contro il cristianesimo o organizzano contro
di lui la cospirazione del disprezzo fanno più male a Gesù dei suoi
carnefici. Gesù non teneva forse alla sua opera di più che alla sua
vita? E quelli che nell'intimo tradiscono lo Spirito da lui ricevuto o
profanano, nel Sacramento, la sua intima presenza, non sono anch'essi
dei deicidi?
— 28 —
Quando si dice che se Gesù Cristo, ritornasse al mondo,
sarebbe di nuovo misconosciuto e messo a morte, si intende dagli empi e
dagli increduli. Si : avrebbe vergogna di pensare, come è
vero, che egli sarebbe trattato così da una folla di credenti. Ma
quando si professa, come tanti fanno, un falso cristianesimo, si
possiedono tutti i requisiti per perseguitare il fondatore e il modello
del cristianesimo vero.
Molti cristiani, come gli increduli, non accettano del
Cristo, che ciò che loro piace o ciò che avrebbero potuto trovare da
soli. S un modo molto sicuro di annichilire il Cristo. '^
Molti cristiani hanno al posto di Dio un idolo, è al
posto di Cristo un prestanome per la loro vita ' completamente pagana,
oppure un soggetto da eleo-:
grafia.'' ' 1! ! ! !
' ' ' !' ' ! !, l::l"'i
Gesù Cristo ha sempre occupato e riempito tutto di sé,
con la sua presenza o la sua assenza, con la sua virtù autentica o le
sue adulterazioni.
Gesù comanda con una canna. Quale simbolo1?;
La sua onnipotenza sta nella sua volontaria debolezza,
nell'umiltà accettata della sua opera, nel suo abbassamento e nel suo
dolore.
Chi deve agire sugli uomini può mai essere vero ? nel
senso pieno del termine? Non gli occorre sempre < usare più o meno
sotterfugi o aspettare almeno? Se ^ Gesù, la Verità stessa, avesse
seguito senza precau- ;
— 29 — "
zioni la sua propria legge di verità, nessuno l'avrebbe
creduto, e egli non avrebbe trovato un apostolo solo. Lo si vede
costantemente reticente, per misericordia. A volte egli se ne
giustifica: « Ho ancora molte cose' da dirvi, ma voi non potete
sopportarle ora » (giov.,! XXI, 12). E egli muore, ciò passa allo
Spirito la cura' degli sviluppi e delle applicazioni della aua
dottrina.' Ma lo Spirito a sua volta subisce la stessa legge. Esso, rinnova,
quanto lentamente! la faccia della terra. Si può dire che
l'azione del fermento evangelico, nella nostra massa resistente o :
inerte, sia incominciata appena.
« Quando sarò stato innalzato da terra, attirerò
tutti gli uomini a me » (giov., XII, 32). Gesù sulla croce è nel
punto intermedio tra la regione delle sue umiliazioni e quella della sua
gloria. Attirandoci verso questo luogo dello sforzo e della nobile
sofferenza, egli fa compiere a noi pure la metà del cammino.
Noi seguiamo Gesù Cristo sulla croce non a causa delle
sue umiliazioni soltanto, ne soltanto a causa della sua gloria, ma
perché si tratta di Lui, del Dio nostro fratello. E noi aderiamo a lui
per passare là dpv'égli è passato, non per alcuna scelta esclusiva,
ma mossi unicamente dalla confidenza totale e dall'amore.
Quando Gesù vuoi fare di Saulo un vaso d'elezione,
cioè un apostolo, gli dice : « Saulo, Saulo, perche mi perseguiti?
», sottintendendo: tu che dovresti lavorare alla mia opera. A un uomo
ordinario direbbe: Perché mi fuggì, quando la tua salvezza si trova in
me?
— 30 —
Per Gesù, attirarci a lui, è prima di tutto, donarci a
noi stessi; poiché non sarebbe nulla attirare qualche cosa che non
esistesse, una libertà che non si possedesse. Il dominio di Gesù
Cristo su di noi incomincia dal nostro proprio dominio su noi stessi,
ina operato in suo nome e a lui appartenente come a principio primo.
Gesù Cristo ci ha salvati in quanto ci ha reso
possibile la verità, possibile il bene, possibile la gioia. Ma come
avrebbe potuto acquistarceli senza la nostra volontaria cooperazione? Si
può imparare per noi? Si può operare il bene in nostra vece, e così,
quasi in assenza nostra, farci gioire? La salvezza del Cristo è una
possibilità infinita, non un dato acquisito; e ciò è abbastanza, ed
è meglio per l'onore dell'uomo.
Si suoi provare la trascendenza di Gesù Cristo con la
trascendenza della sua opera e l'argomento è buono. Ma quando esso ha
vinto, ecco che questo argomento manifesta una strana debolezza. Come
mai una tale trascendenza nella causa, come mai in una parola la
divinità non offre nei risultati che una trascendenza tanto relativa?
— Qui s'introduce l'uomo, e il rispetto di Dio per l'uomo, e l'umiltà
di Colui che può tutto in un'impresa che coinvolge tuttavia la sua
gloria.
L'Incarnazione ha per se stessa un valore infinitamente
più grande di ognuno dei suoi risultati. L'Incarnazione è da sola un
mondo. L'Incarnazione
— 31 —
è come un ritorno di Dio a Dio in vista di un culto
assoluto e di un amore uguale a lui stesso. Che cosa vale di fronte a
questo fatto tutto il contentuo della .storia?
• Non i risultati danno valore all'Incarnazione, ma
l'Incarnazione da valore ai suoi risultati.
Poiché il cristianesimo e la sua storia hanno in sé e
nel più profondo un aspetto di splendore morale e un aspetto di
scandalo, basta esperii imparzialmente sotto il loro duplice aspetto per
operare subito una scissione tra gli uditori. Si vede chiaramente allora
ciò che ciascuno ha nel cuore e ciò che vale.
; Non se ne può dubitare: la sorte che è stata
riservata al Cristo storico e quella che è riservata al Cristo etemo
misurano esattamente il valore morale del mondo, l'equilibrio del bene e
del male nella creazione.
Si dice che l'editto di Milano, grazie a Costan-tino,
abbia fatto trionfare Gesù-Cristo nella società. Ciò si può capire.
Ma in verità tale trionfo non è quello che il Cristo ha ricercato.
Trionfare nella società è necessariamente adattarvisi, andare dello
stes- ' so passo con lei, mentre invano si cercherebbe la società che
sia mai andata al passo col Cristo. Lo po':
Irebbe essa? È il caso di domandarlo; poiché non do-'
vrebbe essa allora dichiarare come Gesù : « II mio regno non è di
questo mondo »?.
Il trionfo costantiniano e tutti quelli che la storia
registra sono per molti aspetti altrettante disfatte,
—32—
e nel complesso vigilie o perlomeno minacce di di-;
sfatta. II Cristo è militante sulla terra e non trion";
fante; egli Io è sempre, nei suoi fedeli come nella sua
Chiesa, II suo trionfo non è che in ciclo. ; ; -
Ci sono stati principi, uomini politici, apologisti,
organizzatori che hanno più o meno preteso di salvare la Chiesa. E come
dire che essi volevano salvare il Cristo, il loro Salvatore, che
volevano salvare Dio stesso, il loro Creatore. La Chiesa non ha bisogno
d'essere salvata da noi, ma noi dalla Chiesa. II Cri-' sto trionferà
senza di noi del trionfo che è il suo, puramente spirituale, senza
altra condizione veramente necessaria che il riconoscimento segreto
'delle anime di buona volontà.
Renan ha grandemente ammirato Gesù Cristo. Ma Gesù
Cristo non vuole essere ammirato, così, come un qualsiasi pensatore
illustre; egli vuoi essere riconosciuto per ciò che è, e così amato,
e così imitato. L'ammirazione che si dispensa deliberatamente
dall'imitazione e dall'amore è nei confronti del Cristo una bestemmia.
In Renan, che loda il Cristo e poi lo dimostra;
inutile, Pammirazione e la profanazione si confon-, '
dfno.
Renan e i suoi simili ammirano in Gesù Cristo non la
sua vera realtà ma un idolo del loro proprio spirito.
— 33 —
3 - Smvf^mm*
Quando si ha finito d'ammirare un oggetto la cui ragion
d'essere sta tutta nell'esser imitato, o si incomincia ad imitarlo,
oppure bisogna rinunciare anche all'ammirazione.
L'imitazione di Gesù Cristo presuppone la fede,
l'adorazione, la grazia; infatti come imitare ciò che non si conosce, e
come imitare ciò che si trova sì sul piano dell'infinito ma senza il
potere di innalzarci fino ad esso?
C'è sempre stata nella Chiesa una tendenza a copiare
il Cristo. Si potrebbe dire persino: scimmiottarlo se si pensasse a
certi eretici, e non era certo imitarlo nel senso vero e mistico del
termine. Copiare il Cristo, è adottare le forme esteriori della sua
vita, come vi si sforzò, senza alcun pregiudizio nel suo ; caso il
glorioso S. Francesco d'Assisi. Imitarlo, è entrare nei suoi sentimenti
e seguire le sue vie circa l'orientamento della nostra vita, quali che
ne possano essere le forme.
Ci si commuove che Gesù abbia scelto la povertà e ci
si sdegna che sia stato, per questo, esposto al disprezzo. Ma si fa di
tutto per sfuggire alla povertà, per timore di incontrare il medesimo
disprezzo, non
: vedendo che in questo modo si legittimano i giudizi
i che si condannano.
:
Ammirazione senza imitazione: ammirazione da
teatro, un po' più appassionata qualchevolta perché si rivolge a una
realtà, molto meno appassionata il
Spiù spesso, a causa dei duemila anni e della mancanza
di fede.
— 34 —
Il rispetto della maggior parte dei mondani per^ il
Cristo è pieno di una segreta ipocrisia. Assomiglia al cenno del capo
reso da lontano a un uomo com":
promettente con il quale non si vuoi certo aver a che
fare, benché ci si creda obbligati a usargli qualche riguardo. ;,
Mi piace colui che, invece di evitare garbata-,^ niente
il Cristo, Io affronta con franchezza dicendo:
Tu mi secchi : io ti temo ; più tardi forse ci
ritroveremo; per il momento, passo oltre; ma abbi ugualmente pietà di
me. — Oh! come mi sento di voler bene a costui.
Contemplare efficacemente la croce di Gesù Cristo, è
consentire che se ne eriga un'altra. ;
Gesù Cristo esprime lui solo ciò che espressero,
esprimono e esprimeranno tutti i santi dell'Annunciazione e dai suoi
antecedenti fino alla fine dei tempi. E tuttavia bisogna che ognuno
esprima a sua volta, per suo conto e come se fosse solo, quello stesso
Culto vivente di Dio e quella perfetta Umanità. Questo solo fa
veramente cristiani, e d'altra parte, nel senso mistico del termine, il
Cristo non è costituito se non dall'insieme di tutta l'umanità
cristiana.
1
^"; Tra i capovolgimenti di valore che Gesù
Cristo ha operato, ecco l'essenziale: tutto il valore della vita umana
si misura dall'interno, dal suo rapporto con Dio e con noi stessi,
mentre lo spirito pagano e profano lo valuta dal di fuori, dal rapporto
dell'uomo
!
-t.:3S —
'con la natura nutrice e con la società. Proprio qui si
biforcano le due fonti della morale e della religione quali Bergson le
ha concepite.
Quando si divinizzano la natura o la società, facendo
d'esse valori assoluti, non si può far a meno di pensare che il
cristiano, che si rifugia dalla parte di Dio, oltraggia la natura e la
società, si fa « nemico
• del genere umano » e si divinizza lui stesso in
qualche modo. E uno scandalo orribile. E' tutto il dramma dei primi
cristiani di fronte a Cesare. E' il dramma attuale tra le confessioni
religiose e gli stati « totali-tari ». S pure il dramma segreto tra
l'uomo di carne e l'uomo spirituale, in ogni individuo vivente sopra la
terra.
Sarebbe forse orgoglio, da parte dell'individuo"
spirituale, sottrarsi alla natura e alla società quando si tratta di
preservare il proprio rapporto con Dio? Lo si potrebbe credere, se si
trattasse di procurarsi
•un destino a parte, lontano dal proprio ambiente
naturale e dai propri fratelli. Ma il cristiano non si f'isola certo
così; egli vede la natura e l'umanità non ; meno che se stesso in Dio;
non si riconosce alcuna superiorità e, al contrario, si proclama
volentieri l'ultimo degli uomini, a motivo della distanza infinita in
cui si trova dal suo Dio.
« Venite a me, voi tutti che siete affaticati ed
oppressi, e io vi consolerò » (matt., XI, 28). Richiamo
toccante, e misterioso, poiché sottintende l'acccttazione e non la fuga
del dolore. Quegli stesso che dice : venite e io vi consolerò, commenta
dicendo : « Se quat-
— 36 —
cimo vuoi essere mio discepolo, rinunci a se stesso,
prenda la sua croce e mi segua
» (matt., XVI, 24). Ma aggiunge, pensando alla « perla » che egli
offre nello scrigno della croce: « Prendete su di voi il mio giogo e
troverete il riposo delle vostre anime, poiché il mio giogo è dolce e
il mio fardello leggero ».
« Venite!... ». Bisogna che Gesù ne prenda lui
stesso riniziatìva; poiché noi non sappiamo dove siano i nostri veri
ripari. La sofferenza ci ripugna, mentre abbracciandola con la croce, ne
facciamo una dol-,';cezza e uno strumento di vittoria.
Esclamando: Venite a me! Gesù non da forse
l'impressione di gridare aiuto? A me! A me! In realtà, soccorrerci è
la sua pace, fuori della quale un tormento infinito lo divora.
'; « Venite a me voi tutti...)). Chi può
invitare così tutti gli uomini, se non il Figlio dell'Uomo? E chi ne ,
ha il cuore, se non il Cuore universale, l'Amore viven-yte e
senza limiti?
Gesù può ben chiamare a sé quelli che sono , afflitti
e oppressi ; la sua propria condizione non sarà in contrasto con la
loro; egli ha preso su di sé tutti i , loro mali prima di facilitarne
loro la sopportazione.
« Voi che siete affaticati ed oppressi sotto il
far-y detto ». Quale fardello? Egli non specifica. Specificare è
ridurre, è limitare. Non esitate, uomini : qualunque sia il vostro male
esso è stato previsto ; esso ,è ammesso al soccorso; se voi lo volete,
è guarito 'in anticipo.
— 37 — '
« E io vi consolerò ». Gesù non dice: Vi
insegnerò dove eia il sollievo, in qual luogo voi dobbiate
trovare un balsamo. Egli dice: Io vi consolerò; poiché lui stesso è
il conforto,
Dire venite a me, per Gesù è già venire, è
venire lui per primo, è esser già venuto; poiché questo appello egli
lo rivolge nel cuore. ,
« II mio giogo' è dolce e il mio fardello leggera
». Contraddizione nei termini? Sì. Che un fardello possa! essere
pesante, poiché è un fardello, e tuttavia leggero dda portar,e, è
-quanto una logica futile ignora; ma Ao sa l'amore. ,
Io chiamo pesante il mio fardello se lo giudico in se
stesso; lo dico leggero quando penso all'amore» E siccome la realtà
del peso fa la verità della mia prima parola, appoggio la seconda alla
realtà del^ l'amore.
38
II
NOI
L'uomo è all'ordine del giorno. Ciò è bene, quando
non è a spese di Dio e di conseguenza, a spese dell'uomo!
La personalità umana è situata al limite di molti ;
mondi: il mondo della natura, il mondo sociale, il mondo spirituale
formato dalla comunanza delle anime, il mondo divino.
Noi abbiamo per così dire due io : l'uno che ci viene
dato, l'altro che noi stessi creiamo. La natura
'ci ha dato tendenze che sono sue e che non diventano
nostre se non attraverso la nostra scelta. La libera scelta che facciamo
d'esse, o, al contrario, la resistenza che opponiamo loro, le deviazioni
che tacciamo loro subire, ecco ciò che è nostro, e l'io che si
costruisce così giorno per giorno, per spontaneità ormai cosciente,
per abitudine consentita, quello è la nostra vera
"persona.
La personalità è prima di tutto un dovere, poi ; una
conquista. ' ; - «:^
''.•'•«T-l- .'39,.,;-!—T
La personalità umana si fonda
sull'incosciente e sull'irrazionale, poicliè essa implica in noi
la materia cieca e il concorso rischioso delle forze cosmiche
di cui l'elemento intcriore si compone. In tali condizioni, la
personalità libera, la personalità spirituale, opera
della ragione, è una costante vittoria. Bisogna vincere il mondo
e vincersi per essere se stessi.
Il vero superuomo, è l'uomo che supera se stesso
e diventa degno di superare le forze universali in vista. d'un'ampia e
superiore civiltà.
Si crede che i nostri impulsi naturali ci rappresentino
eminentemente, e che le nostre scelte non abbiano se non un valore
diminuito in rapporto alla • nostra personalità autentica. Ma è vero
il contrario. I nostri impulsi appartengono alla natura; essi non
rappresentano che il conflitto delle forze ambientali canalizzate
dall'eredità e dalle circostanze esterne o interne delle nostre vite.
Le nostre scelte, al contrario, provengono da ciò che è esclusivamente
nostro:
e non potrebbe venire d'altrove. Esse manifestano la
nostra persona e la creano ; la realizzano e la fissano per l'avvenire,
supponendo che il nostro avvenire non le smentisca.
La nostra libertà di scelta non deve essere messa al
servizio degli impulsi naturali; ma dominarli, giudicarli, operare tra
di essi una scelta, che senza spezzare la forza di nessuno, li utilizzi
tutti in favore dei! migliori tra di essi, soprattutto del più
profondo, che è una illimitata volontà di vivere il cui termine è
Dio. ;
_ a(\ __
——— TiU
L'essere totale di Dio ci riduce, in suo paragone, allo
stato di nulla. L'azione totale di Dio ci riduce, relativamente, allo
stato di passività e d'inerzia. E tuttavia anche noi siamo, e siamo
liberi.
Esistere in concorrenza con l'Onniesiatente !
Col-laborare con l'Onnipotente! Fierezza incomparabile! rapimento!
terrore ! Poter tutto sperare da questo, e tutto perdere! ,
Nel momento in cui nasciamo, siamo ; ma non siamo ancora
in apparenza che un fagotto di materia dolente o gioiosa, un frammento
d'universo che non conosciamo. Soltanto poco a poco, così esteriori a
noi stessi, entriamo e ci stabiliamo in noi per mezzo della conoscenza
dei nostri atti e di lì dei nostri poteri e di lì della nostra persona
stessa. Sarebbe bene non arrestare questo movimento, penetrare sempre
più intimamente nel nostro essere. Allora, 'ai suoi limiti, al contatto
della Sorgente da cui perpetuamente esso sgorga e che l'alimenta,
riconosceremmo Dio.
Noi non possiamo essere noi stessi e realizzare noi
stessi che con l'adesione di tutta la nostra anima a Colui che ci crea e
a tutto ciò che egli crea. Poiché tutto è uno in lui, e non sussiste,
e non cresce che grazie a questa unità senza rottura.
Le cose sono forse comprese nell'esigenza di una
.unità spirituale tra noi e gli altri? Sì, ma nel loro 'rapporto con
le persone, per cui esse son fatte. Di
— 41 —
modo che, in conclusione, sono Dio e i nostri fratelli a
formare con noi e a dover formare ai nostri occhi un tutto solo. \
L'umanità corporale appartiene alla natura;
l'umanità individuale alla società; l'umanità
spirituale appartiene a se stessa sotto l'impero del divino che avvolge
e regge tutto.
L'opera della vita consiste nell'appoggiarsi sulla
natura per oltrepassarla, nell'offrirsi agli uomini per trovare e
portare aiuto, e nel conservare dappertutto — insieme a Dio — la
padronanza di sé.
È la nostra personalità che ci rende simili a Dio;
l'individualità non è che la più alta manifestazione della natura.
Perciò si giustificano queste due definizioni, Runa e l'altra
eccessive, se prese alla lettera: a Voi siete degli dei » (Ps.
LXXXI, 6), e: « Dio è un uomo » (Swedenborg).
L'individualità è egoista e chiusa su se stessa. La
personalità è aperta. Ad essa appartengono il sentimento del mondo, il
sentimento della comunità delle anime, il sentimento del destino
universale sotto un governo divino.
ir Esiste un'impronta digitale dell'anima. Essa sì
imprime nella minima azione, nella minima parola, e la persona vi si
rivela infallibilmente.
— 42 —
I/unità dell'espressione nel viso è il miglior simbolo
dell'unità umana: spirito e materia; anima, 'natura e Dio. 'tl^/•l''';;•ll/lS
^ '1''1••^1::^' '
Quaggiù noi iRèrchiamo il nostro essere, e non
10 trowiamo che -diB^o averlo costruito.
Ogni istante della nostra vita è sempre nuovo:
ci ripone incessantemente all'inizio del nostro essere,
ricollegandoci all'Atto creatore da cui quest'essere incessantemente
proviene, con il diritto di dire come
11 Salmista : Nunc coepi; incomincio ora.
; Solo quando ospitiamo Dio in noi prendiamo coscienza
dell'estensione, della profondità e dell'eternità del nostro essere.
;% :; ,;
Quando l'anima si unisce al suo Dio in una
.contemplazione amorosa, essa sente vagamente fluire ;al di sotto di sé
la durata dell'universo e la sua pro-ipria durata temporale. Vivendo in
un istante fuggevole e inafferrabile, essa si sente tuttavia congiunta
.attraverso di esso all'Istante etemo.
Il possesso di tutte le conoscenze non aiuta
necessariamente un uomo a conoscere se stesso : forse anzi esse lo
dissipano — ne a conoscere e incontrare Dio:
forse esse gli sbarrano la strada. Dio e l'anima si
ritrovano prima l'un l'altro, e allora diventano possibili, e un giorno
certi, la conoscenza e il possesso .di tutto. , . ' ;/:11,;.-1'
-•"'i.'1 . :
11
— 43 —
Noi ci conosciamo nella misura in cui ci sappiamo
conosciuti da Dio, in cui ci guardiamo con lo sguardo di Dio.
Nulla istruisce quanto il fatto, e quando si tratta di
istruirci circa noi stessi, l'efficacia del fatto è particolarmente
sensibile. Occorre l'urto del reale perché il nostro intelletto, che si
nutre di possibili, che si soddisfa di supposizioni, di vaghe
interpreta-zioni, d'ipotesi, arrivi a una conoscenza vitale da cui
potrà nascere l'azione.
C'è un circolo nella nostra vita. Dall'azione
all'azione la conoscenza fa da legame. L'azione precede la conoscenza
chiara, che a sua volta precede l'azione efficace. Donde la necessità
di intensificare la propria vita religiosa per poter avere una
conoscenza profonda della propria fede, e di fortificare la propria fede
per animare la propria vita religiosa.
La personalità parte dalla sua realtà concreta per
procedere verso l'ideale ; ma essa ritorna dopo ogni slancio alla sua
realtà concreta, per impegnarla d'ideale.
Io non posso essere attualmente che ciò che sono;
ma posso diventare ciò che non sono. Rassegnazione e
speranza.
Per mezzo della nostra libera attività, utilizzando
tutto ciò che ci è dato prima dell'azione e dall'azione, noi «
edifichiamo » noi stessi, e poiché la nostra atti-
— 44 —
vita è caratterizzata dallo scopo perseguito, si può
dire che la causa di ciò che noi siamo è ciò che noi vogliamo. '
Noi siamo creati, spiritualmente, allo stato di
possibilità pura; noi dobbiamo acquistare tutto, compresa la coscienza
del nostro essere e in seguito il suo progressivo sviluppo. Ma per
questa conquista abbiamo con noi l'universo di Dio e Dio stesso. Tutto
ci asseconda se Io vogliamo, persino ciò che ci riesce di ostacolo, e
Dio aiuta sempre.
Vincenzo Van Cogli osservava germogliare le piante,
crescere il grano silenziosamente, svilupparsi le cose, e diceva: Come
non dovrei aver pazienza? Sarei una cosa così assolutamente morta da
non poter più crescere, proprio io, in mezzo a tutto ciò che vive?
Di fronte a ciò che bene o male, è già fatto in me,
come di fronte a ciò che è già fatto intomo a me, la mia libertà non
può esplicarsi. Ciò che è è, ciò che è dato è dato, e ciò che ho
fatto è fatto. Ma c'è in me un potere di rinnovamento che senza
annullare nulla può cambiare tutto di segno, volgere in più ciò che
era in meno, ricrearmi un essere spirituale e dare un valore assoluto a
queste parole dell'Apostolo : « Per quelli che amano Dio, tutto
concorre al bene » (rom., Vili, 28).
Quando dalla dissipazione esteriore facciamo ritorno a
ciò che c'è in noi di più profondo, a ciò che coincide in qualche
modo con Patto creatore che ci pone e ci mantiene in essere, cioè alla
nostra capa-
— 45 —
cita essenziale di giudizio e alla nostra volontà nuda
— questo dinamismo chiaroveggente che ci porta al bene in generale,
concretamente alla beatitudine e finalmente a Dio — allora la nostra
vita cambia.
Ogni vita è un'assimilazione che parte da un germe; Se
il germe restasse solo e non si assimilasse la natura circostante, la
crescita non avverrebbe e la vita diventerebbe possibile. Così l'anima
è un germe divino; essa si nutre delle cose eteme, e se le rifiuta, non
è più che morte.
Come la pianta cresce allo sguardo del sole, così anche
la nostra anima la si fa crescere con lo sguardo. Ma questo sguardo non
deve tanto rivolgersi su di noi stessi, quanto su Dio in noi.
Si suoi deridere coloro che restano in eterno sui banchi
della scuola; li si chiama per derisione « studenti del
trentacinquesimo anno ». Ma chi, alla scuola della vita, riceve fino
alla fine lezioni utili, non offre più occasione di sorriso; egli non
consuma l'esistenza in una preparazione, Futilità della quale è sempre
rimandata; ma si istruisce per l'eternità.
Bisogna costruire i ripari della nostra anima così come
l'uccello si costruisce il suo nido, fuscello per fuscello.
Molti cercano di sviluppare in estensione la loro vita,
con relazioni più numerose, una riputazione più larga, possessi più
vasti, un maggior numero d'opere.
— 46 —
Il vero valore della vita non è così in superficie, ma
in profondità; esso non si misura in quantità, ma in qualità, e se
l'eterno può sì talvolta esserne la testimonianza, non ne è mai la
realtà stessa.
Noi ci lamentiamo spesso della nostra impotenza di
fronte agli avvenimenti e a noi stessi. Non ne avremmo il diritto se non
qualora avessimo ormai esaurito tutte le capacità che sono in noi. E se
l'avessimo fatto, ci saremmo accorti che queste capacità crescono con
l'esercizio; che si può sempre supe-, rare se stessi, essendo ogni
realizzazione un seme e ogni possibilità realizzata una promessa di
nuove possibilità.
Gli altri sanno spesso meglio di noi ciò che noi siamo;
ma non sanno mai altrettanto bene ciò che ci soddisfa o ci delude, ciò
che ci fa gioire o soffrire. Ne consegue che la loro azione su di noi
non è mai così precisa e efficace come la nostra. Noi eoli possiamo
essere i nostri propri vincitori.
Che l'uomo sia il suo primo padrone, è una grandezza;
ma è anche una debolezza temibile;
poiché se è difficile comandare e duro obbedire, è
ancor più delicato e aleatorio essere nello stesso tempo quello che
comanda e quello che obbedisce, quello che deve imporre la durezza e
subirla. Per mancanza di indipendenza nel giudizio e di libertà nel
comando, il soggetto si turba e s'imbroglia; diventa perplesso, o vile,
o le due cose insieme; si oppone a se stesso e così paralizza la
propria azione. Di qui l'utilità dell'obbedienza, che distribuisce i
compiti là dove
— 47 —
la loro distinzione è riconosciuta possibile. La
decisione sarà da una parte, l'esecuzione dall'altra. Ma per non
sommergere in questa utilità la primitiva grandezza, bisogna che
l'obbedienza sia libera e che tale rimanga, anche nell'apparente
costrizione e nella pretesa abdicazione dello spirito.
Gridano che l'obbedienza ci abbassa! Non capiscono o
vogliono dimenticare che noi serviamo unicamente il Cristo, e nel Cristo
l'ideale della nostra propria vita.
« Con sentimenti buoni si può ottenere tutto da me».
Non sei magnanimo! Con sentimenti buoni si ottengono altri sentimenti
buoni, ma non l'obbedienza. Un uomo libero obbedisce a Dio e a chi gli
rappresenta Dio, cioè alla ragione individuale o collettiva, derivante
in realtà o per supposizione da una istituzione divina. In questo solo
sta l'ordine. :
L'età ingrata della spiritualità è P età matura,
perché essa rischia di dedicarsi totalmente ai fini terrestri. Le età
dell'idealità sono l'infanzia, l'adole-/scenza, poi la vecchiaia che
rinuncia, ricorda poeti-; camente e si volge verso l'eterno. ,'
<V^ '^m l • rf,;^ :
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Y^_ La giovinezza non è un'età, è un'atmosfera del
cuore.
La libertà è un dono che la virtà dell'uomo fa
all'uomo stesso. *
— 48 —
Come la natura, così la vita, ha due facce: l'una
sublime, l'altra spaventosa. — E la verità consiste nel loro accordo?
— No, nel loro disaccordo. Bisogna vincere.
Noi nasciamo nello squilibrio e nella costrizione;
nasciamo vinti. Ma come Bonaparte a Marengo, noi
possiamo riguadagnare la vittoria. O Desaix! O Cristo liberatore! •"
Noi siamo eredi della colpa del primo padre e degli
altri, ma anche della loro virtù, ma anche delle loro fatiche.
Soprattutto noi siamo eredi del Cristo.
L'anima : uccello misterioso che può volare contro
vento in una pace perfetta, costruire sulle onde il suo nido e cantare
in mezzo al frastuono del mare.
Non mi preoccupo più gran che del mondo, quando posso
rifugiarmi nel mio cielo inferiore, con, i miei astri familiari.
Uno spirito libero non è mai vinto; esso è sempre i]l
rè della sua propria sfera.
•: Quando taccio, ognuno può constatare il mio
silenzio—i o supporlo; perché forse io sono in tal momento in attiva
conversazione intcriore con altri o con me stesso. Ma se parlo con
animazione, mi si crederà tutto al di fuori, mentre forse proprio
allora il mio silenzio intcriore è più profondo.
— 49 —
4, - K-nlnfunJff^i
Non c'è che l'uomo abbastanza grande per saper essere
solo, per saper immergersi volontariamente nella solitudine. Ma più
egli si ritrae così da tutto, più si avvicina alla grande Realtà che
avvolge e lui, e ciò che procede da lui, e ciò ch'egli abbandona.
Tutto così gli è reso.
« Come un buon agricoltore per lavorare questa pesante
terra, così il Signore Iddio ha aggiogato il corpo all'anima », dice
Péguy. È proprio così. L'anima senza il corpo non può nulla sulla
natura e non la conosce neppure. Il corpo senza l'anima non esiste. La
natura senza l'anima e il corpo non è compiuta in se stessa; a più
forte ragione essa non può realizzare il suo destino : la civiltà
temporale, la civiltà eterna.
La natura prolunga l'umanità al di fuori, l'arricchisce
al di dentro del tesoro delle sue forme e le permette, grazie alla
parola e all'azione, di costituire una società d'anime, una
confraternita spirituale. Spetta poi all'umanità di superare la materia
che l'ha così portata.
L'uomo è un compendio del mondo. Il mondo è uno
svolgimento dell'uomo.
' La natura descrive la sua danza davanti all'uomo. Il
padre medita; i figli giocano.
La natura è musicista, poeta, moralista, architetto, e
testimonio dello spirito. Il tutto insieme. E il tutto è testimonianza.
«.Ciò che appare è una visione dell'invisibile », ha scritto
Anassagora.
—50—
Noi ci rivolgiamo troppi interrogativi riguardo alla
natura; chiacchieriamo troppo. Alle questioni che le si pongono, la
natura risponde continuando la sua opera. È una grande lezione.
La storia della natura intera^ la storia del globo e
quella degli uomini, è la storia mia propria, di me che sono solidale,
in Dio, con tutta la creazione.
La durata di questo mondo ha un doppio significato —
un significato positivo : essa crea ; un significato negativo : essa
distrugge. L'alternativa è tale, che si potrebbe definire ugualmente
bene come una vita morente o una morte vivente. E in noi pure, mortali,
c'è questa durata in partita doppia, questa vita di morte, questa
morte-vita.
Chi sei tu, uomo, tu che secondo il tuo essere passi e
che, col tuo pensiero, ripugni disperatamente a passare e a,che nulla
passi di ciò che ami?
In un certo senso io sono nel mondo; in un altro il
mondo è in ine*. Ma io non sono nel mondo che per utilizzare il mondo a
fini che lo superano e che mi appartengono, e il mondo non è in me che
per destarmi a me stesso e di lì alPIo divino in cui tutto respira.
Questo universo che sembra contrastarci e accordarsi
così poco con 'le nostre libertà, è nei confronti di queste
l'obbedienza stessa, a condizione che le nostre libertà siano unite a
Dio, che esse siano con
_ c;i _
A^-l
Dio. Poiché allora tutto obbedisce al medesimo
Principio, e là dove non e' è che una legge, e' è sempre:;
accordo.
Aderendo a Dio, non aderiamo forse liberamente all'opera
di Dio? La natura intera non è forse allora nostra sorella, meglio
ancora, la nostra ancella, creatura nostra quasi, dal momento che è
creata da Colui a cui noi siamo uniti in tutte le cose e che la crea per
noi?
Santa Matilde vedeva, all'appello dei santi, le creature
presentarsi davanti a Dio per lodarlo « come persone viventi ».
Viventi, esse lo sono per noi e in noi che diamo loro il sentimento e,
in un certo modo, l'essere.
La natura non è fatta per se; essa non ha significato
che come oggetto, strumento e terreno d'azione della creatura
ragionevole. Posta tra Dio e noi, essa fa da legame, come può fare pure
da ostacolo. A lui essa permette di manifestarsi e per un lato ce lo
dona; a noi lo rappresenta e ci permette di servirlo.
Che cosa importa l'imperfezione di questo mondo
considerato in se stesso, se esso è perfetto per il servizio che
ne aspetta la Provvidenza e che le nostre libertà ne possono con lei
attendere?
Non è il mondo abbastanza bello per risvegliare in
tutti gli spiriti l'ammirazione nei riguardi del suo Autore, e
abbastanza benefico per rivelare alle coscienze in cerca di
felicità l'infinita generosità che
,—52—
le chiama? Questo basta. Questo stesso sarà inutile,
quando le intelligenze inquiete di verità vedranno la verità faccia a
faccia, quando le coscienze ansiose avranno trovato il riposo beatifico.
Allora, non saremo più noi a soffrire, come nel tempo dell'imperfezione
del mondo; sarà il mondo ad accedere al perfetto, perché il perfetto
sarà prima venuto per noi.
La natura ci distingue gli uni dagli altri
distribuendoci particelle definite della sua materia e combinazioni
diverse delle sue forze. Nello stesso tempo essa ci riunisce con la rete
delle azioni di cui le nostre persone sono un punto di passaggio. Noi
siamo diversi perché la natura è estesa e diversa. Siamo uni perché
la natura è una.
La vita della natura è strana e terribile. Ogni essere
vi appare il nemico di tutti gli- altri e tutti gli altri, per lui, una
materia da divorare, una preda da afferrare. Eppure anche nella natura
si mostra la simpatia, e per quanto paradossale ciò sembri, la strage
stessa vi è un segno di solidarietà e di amore. Poiché l'animale non
uccide che per vivere e per promuovere la vita. Esso uccide e genera.
Agisce nei due casi in favore della vita generale, che a sua volta è
giustificata dal suo orientamento verso la coscienza, cioè verso la
conoscenza e l'amore. Così, per un controsenso, la strage stessa è
un'opera d'amore, purché l'umanità sia disposta a non voler frustrare
la natura del risultato del suo lavoro e la Provvidenza dei suoi fini.
—53—
Quando tutto cambia per tè, la natura è la stessa. (lamaktine)
Ahimè! Nulla è lo stesso; tutto fugge, e tu non meno, poeta, non sei
lo stesso, tu cambi. Aiutaci, poeta, a portare i nostri sguardi verso
ciò che veramente non cambia, a seguire il flutto delle còse fino
all'oceano dove si riversa e che è la nostra dimora.
La pianta e l'animale nascono nella natura e resistono
in parte al suo fluire; ma sono presi nelle sue reti e non se ne possono
districare. L'uomo, attraverso la -riflessione su di sé e il suo
destarsi alla coscienza dell'universale, domina le forze naturali e ha
il mezzo di trasformarle, attraverso la contemplazione e Fazione, in
valori spirituali. La scienza, l'arte, le tecniche, la speculazione
filosofica e la vita religiosa sono il frutto di questo meraviglioso
potere di cui gli effetti ultimi si riflettono altrove.
Come mai un mondo che viene da Dio, potrebbe essere, per
noi che veniamo a nostra volta da Dio, uno scandalo, un ostacolo e non
un mezzo? Possono aversi malintesi e conflitti tra fratelli ; ma queste
dit- :
ficoltà di famiglia sono fatte per risolversi in una
comprensione comune, in un amore comune che è quello del padre. Dio è
il padre della sua creazione e padre nostro ; tutto in lui ci è
fratello, e in un modo o nell'altro, fratello amoroso e soccorrevole.
I cavallerizzi sanno che il cavallo condotto con
decisione ama la marcia e non teme l'ostacolo; mentre guidato
debolmente, recalcitra. Così l'anima nelle strade della creazione. La
certezza di trovare le pro-
—54.—
prie vie, la fermezza del volere che tende verso il suo
scopo e conosce il cammino fanno la sicurezza' e la pace del
camminatore.
Chi dubita del suo cammino non ha neppure la metà delle
sue forze. Colui che ignora il senso della vita è a metà vinto. Sapere
è potere. Aver fiducia nella vittoria, è esser vincitori.
La vita non ha valore che per i pensieri e i sentimenti
che noi mettiamo in essa. La nostra indifferenza e la nostra
disattenzione, la nullificano; la nostra mediocrità la abbassa; la
nostra magnanimità la eleva; un sentimento religioso profondo,
ricollegando ognuno dei suoi istanti fuggitivi con la Realtà eterna, la
divinizza.
Noi siamo finiti e tendiamo ' verso l'infinito: è la
giustificazione dello sforzo e quella della grazia nello stesso tempo.
L'infinito non deve essere inteso come un oggetto che ci
trascende e ci trascenderà sempre, ma come il Bene che attualmente ci
colma e promette di colmarci sempre più. Solo con l'unirci a questo
Bene in un perpetuo dono pieno di desiderio e di riconoscenza, e non col
sospirare verso l'avvenire, noi realizzeremo la nostra vita e ne
asiscureremo il progresso.
Ci sono persone che non si accontentano che del
perfetto, e ne traggono motivo per diaprezzare negli altri e rifiutare
per se stesse ogni umile sforzo di progresso e ogni attrattiva di un
bene limitato. L'idea-
— 55 —
le, in questo caso, è il peggior nemico del reale. Esso
coincide praticamente con il nulla e sopprime ogni-ragione di vivere.
>'
II sentimento dell'infinito può essere disperante, se
l'anima che vi si abbandona non pensa nuli'altro che a ciò che le manca
e sospira costantemente verso un al di là sempre inaccessibile,
nell'oblio di ciò che già le è stato dato. Questo stesso sentimento,
al contrario, è un meraviglioso stimolante, se invece di gemere su ciò
che manca si gustano il bene già acquistato e la prospettiva sempre
aperta, come un doppio motivo di speranza.
Che se, tuttavia, invece di gustare soltanto il bene
particolare ottenuto vi ci si arresta, si arresta contemporaneamente la
speranza, e non si ha più che l'insufficienza di tutto il creato di
fronte all'infinito del nostro slancio e ali' insaziabilità del nostro
appello.
Noi non siamo nell'opera di Dio come una pietra in un
mosaico, ma come un « granello d'energia » in una sostanza attiva. Noi
prendiamo parte al lavoro:
vi abbiamo la nostra responsabilità; vi impegnarne
liberamente o malgrado noi stessi il nostro destino. A noi di scegliere
tra una passività o una resistenza colpevoli e una cooperazione che ci
rende partecipi del merito e dei risultati.
56
in
Ì NOSTRI
SENTIMENTI
I nostri sentimenti sono come una famiglia d'es— 'seri
infinitamente diversi e che non hanno se non un padre solo: l'amore. ,
L'amore ha voluto porci fuori di Dio perché pò-'tessimo
amare Dio, e distinguerci dal prossimo per". che potessimo amare il
prossimo come noi stessi è! noi stessi in Dio.
L'amore di Dio è il nostro creatore ancor più che non
Io sia la sua potenza, poiché è l'amore a muovere quella potenza. E
essendo noi pure incaricati di crearci noi stessi, il nostro proprio
amore è il nostro creatore poiché esso presiede a tutte le nostre
iniziative. Quando questi due amori si corrispondono, il nostro essere
si realizza completamente e il nostro destino è sióuro della sua
riuscita finale.
Se io prendo coscienza di me, non posso amare in me che
lo slancio d'amore che mi ha dato vita e che non attende che il mio
proprio amore per portare a termine la sua opera.
— 57 —
L'amore di Dio è in me; ma il mio proprio amore deve
uscire da me; caso implica rinuncia; poiché esso mi crea senza dubbio
con Dio, ma per concessione, di Dio, e io mi riduco a nulla se ritorno a
me staccandomi dalla mia Sorgente. i(;
Due individualità non comunicano mai che in una terza,
la chiamino verità, bellezza, bontà o valore qualsiasi, e si tratta
sempre di Dio.
Appunto perché in Dio siamo uno dobbiamo essere uniti
in Dio. L'unità deriva dalla creazione; la unione è opera di libertà,
ma di una libertà accordata col suo Principio e cosciente della sua
legge che è il suo essere stesso.
Dio ci ama infinitamente di più di quanto noi possiamo
amare noi stessi. Non siamo invitati a crescere in amore appoggiati sul
suo amore e ad avanzare « di chiarezza in chiarezza », come
dice l'Apostolo, nella via che l'Amore ci ha aperta e dove noi dobbiamo
incontrare l'amore.
Che io scopra questo Amore che è tutto, e allora già
possiedo tutto in speranza e mi avanzano verso tutto. L'offerta è senza
limiti; io solo potrei ostacolarne la consumazione.
Non è forse perche viene da Dio, e per sé tende a Dio,
che l'amore si associa subito istintivamente la natura intera, prendendo
a testimoni gli alberi, il ;' ciclo, il mare e tutti gli esseri umani
dell'ardore che ;
— 58 —
l'anima? Un sentimento dove è fatta tanta parte
all'universale non può non essere in parentela con lo Universale
vivente, con la Sorgente d'essere donde tutto attinge una nascita
perpetua.
Dietro la natura, c'è l'Autore della natura con la sua
infinita potenza e il suo inesauribile pensiero. Dietro ogni anima, e
soprattutto se essa ci ama, c'è lo Spirito sovrano, c'è il Padre.
L'amore è una felice presenza a se stessi e a tutto
grazie alla meditazione di un solo essere.
L'io e il tu sono il fondamento dell'amore. Il mio e il
tuo sono la distruzione dell'amore.
Esistere per un altro così pienamente e intimamente
come si esiste per se stessi è qualche cosa di così commovente che
dapprima non vi si osa credere. È il primo e forse il più profondo
degli stupori dell'amore.
L'amore realizza il paradosso di due esseri che danno e
che ricevono mutualmente una stessa cosa, come due fiaccole che l'un
l'altra si accendano. Ed è in ciò il segno di una terza attività che
supera i due esseri. Non c'è bisogno di primo in amore, là dove si
insinua il Primo amore.
Io non posso essere del tutto intemo a me stesso che
nell'intimità di un altro con me. Io non arrivo all'assoluto di questa
intimità, che nella comunione
— 59 —
con l'Assoluto dell'essere in cui il mio essere affonda
le sue radici. Prima di attìngere Dio, prima di entrare in lui in
contatto con un'anima nata insieme a me stesso da lui, io non mi
ritrovo.-^
I mistici parlano di una mutua inerenza, di una,
compenetrazione delle anime per effetto dell'amore, t È quanto si può
dire di più forte per indicare l'unione, e, come essi dicono ancora,
Pestasi per la quale quelli che s'amano escono ciascuno da se stesso per
eleggere come abitazione la personalità dell'altro. Ma ciò non è
possibile se non perché si ha già un essere comune nel quale ci si
possa unire, ed è l'Essere divino, nel quale noi tutti siamo radicati e
che permette la comunicazione delle radici.
L'amore è in rapporto col desiderio ma lo oltrepassa
infinitamente. Esso ne è una sublimazione, cioè una trasposizione e
una elevazione che operano le nostre facoltà superiori. Partito dalla
natura, l'amore si eleva fino alle vette dello spirituale e tocca il
divino.
L' amore carnale si avanza istintivamente verso la
morte, l'amore spirituale vergo l'immortalità. L'uno ai inabissa
l'altro si innalza, ì-^ S';'
'" '" • . '•'"•'' '"''•'
'''i'..'.
L'amore passione è esclusivo per natura. L'amore
spirituale non esclude che l'esclusione.
Amore aperto, amore chiuso, amicizia aperta, amicizia
chiusa sono moralmente degli opposti.
— 60 —
Un egoismo a due non cessa per questo d'essere un
egoismo. Un io doppio è ancora un io.
Io e io, restando nella categoria dell'io, non fanno ne
tè, ne voi, ne noi. Non vi è così associa";
zione umana.
Si vive soli, dicono i pessimisti; la personalità umana
è una barriera insuperabile e non comunichiamo mai che con fantasmi. Vi
è in ciò qualche cosa di ^ero; la vita con altri importa una
parte di rappre-;tentazione, un atteggiamento voluto e più o'meno
sincero, una maschera. Ma non si può dedurne l'impossibilità
dell'amore. L'amore è uno sforzo di infrangere la maschera e di far
comunicare le personalità. Se esso non vi riesce che a metà in questa
vita, non ne è tuttavia impotente. Meglio ancora, l'amore vuole dei
limiti da superare; vuole che l'altro sia altro, poiché esso ama
l'altro e non se stesso. Vuole che l'altro abbia una personalità, una
volontà, per potervi trasportare la sua. Esso amerebbe il capriccio
quasi, per provare a se stesso che non calcola. Se vi resiste, è
perché nella volontà dell'amato esso ne ama anche la rettitudine.
Si potrà forse trascurare nói stessi di scoprirci e di
riconoscerei, di mettere alla prova tutte le nostre possibilità, di
vagliare tutte le nostre risorse, dopo esser stati scoperti e
riconosciuti da altri con la pienezza che vi apporta l'amore? Chi mi
attribuisce un tal valore mi invita a non disprezzare il mio essere, a
non abbandonarlo, a non profanarlo.
— 61 —
Può sembrar strano che il dono di noi stessi nell'amore
sia quanto ci dilata e ci arricchisce maggiormente. Non è a causa della
reciprocità; è perché il dono, e quello soprattutto, è il segno e
l'esplicazione della nostra personalità in ciò che essa ha di più
spontaneo e di più libero. È naturale che noi prò-S viamo allora un
sentimento possente di noi etessi e questo allargamento senza limiti a
cui aspiriamo.
L'amore, per quanto accresca di valore colui che ama,
non gli lascia attenzione e stima che per il valore dell'essere amato.
Il fatto è che l'amore è come una trasposizione di personalità. Ciò
che ci piacerebbe attribuire a noi stessi, lo si attribuisce ad altri
quando si ama.
Chi è incatenato dall'amore, non potrà mai essere
libero. Ma è l'amore che è libero.
' Dal momento in Cui l'amore diventa analizzabile, esso
non esiste più. Dal momento in cui non è più analizzabile, esao è il
mistero proiettato su un essere, esso è Dio. ;
Ciò .che fa la bellezza dell'amore, è, dalle due
parti, la generosità e la gratuità del dono. Che due esseri siano
colmati senza che ne l'uno ne l'altro pensi a se stesso, questo è il
meraviglioso. Non è quanto significa questa frase del Signore in una
visione di S. Caterina da Siena: « Occupati tu di me, io mi occuperò
di tè? ». Solo che qui è il Maestro della vita che parla. Nella vita,
questo richiamo earebbe di troppo.
— 62 —
La volontà non determina l'amore; poiché l'amore non
è soltanto una cosa che si dona, è anche una cosa che si riceve, fosse
pure all'insaputa dell'essere che la dona. Ma per la stessa ragione
l'amore determina la Volontà con onnipotenza, e ciò è bene, quando
l'amore è retto.
Se si potesse amare quando si vuole, si potrebbe allora
amare per interesse, per ambizione, per calcolo, amare per odio, se
occorre, e si tocca l'assurdo. Non si ama che gratuitamente; non si ama
pure che liberamente, ma di una libertà dapprima conquistata, e più
l'amore è forte, più ha approfondito e consumato il suo possesso, e
anche più liberamente si ama.
Se la volontà non produce l'amore, essa può tuttavia
aprirgli le strade, allontanarne gli ostacoli, ripararne gli errori, e
così render l'amore a se etesso, e noi o il prossimo all'amore. Quale
segreto in ciò che concerne l'amicizia ! Quale preziosa risorsa e quale
fonte di doveri nel matrimonio! Quale scienza nei confronti di tutta la
vita, quella chi consiste a mettersi in istato d'amare ciò che
la Provvidenza ha proposto alla nostra azione, messo sul nostro cammino,
legato alla nostra persona o alla nostra situazione ;
La felicità di questo mondo dipende da tale scienza, e
anche l'altra a volte.
L'amore cerca la reciprocità, anche se è capace di
fame generosamente il sacrificio. Poiché se esso, può ben fare un
sacrificio per se stesso, non lo può per l'essere a. cui crede di poter
procurare un tale dono.
-+- 63 —
Se l'amore fosse sempre reciproco, colui che ama
sarebbe, quanto ali' amore, in balìa di colui che è amato. Ora l'amore
è indipendente. Se io amo, posso sfidare chiunque, e il mio oggetto
stesso, a rapirmi questo bene.
Amare, non è solo dare amore, è ricevere in sé
l'amore. Ricchezza suprema!
Quando io cerco di essere uno in Dio con un altro
essere, in mancanza dell'altro essere, trovo Dio.
C'è un simbolismo degli estremi. La più alta
spiritualità, non trovando il mezzo di esprimersi nella sua propria
efera, al di là dei concetti e del linguaggio umano, prende in prestito
la sua espressione da quanto di più sensuale vi possa essere,
dall'erotismo. Esseri puri come S. Bemardo, come l'angelico Tom-maso
d'Aquino commentano minutamente e con entusiasmo il Cantico di
Salomone, l'uomo dalle settecento principesse e dalle trecento
concubine. Essi vi trovano tutto il movimento del cuore nell'amore
divino. Mistero dell'essere e mistero dello spirito!
Se mi succede qualche cosa dì buono, io dico :
Grazie, mio Dio! ed eccomi ben rassicurato dall'amore di
Dio per me. Se mi succede qualche cosa di male, io credo sufficiente
sottomettermi in silenzio, rifiutando di dubitare, ma sperando meglio
per un'altra volta. Tutto questo non è che razionalismo puro. Essere
cristiano, è credere nell' amore e rispondere all'amore in ogni
circostanza; è accettare i beni, come
— 64 —
mezzi e presagi; è vedere nei mali altri mezzi e altri
presagi. Essere cristiano, è amare, ma amare Dio, e non se
stessi se non in Dio e secondo Dio.
L'amore di me stesso non fa che tutt'uno con l'amore di
Dio per me e con il mio amore per Dio, una volta compreso che l'amore di
Dio per me è il mio creatore, che il mio amore di me stesso ha la
stessa ambizione creatrice, e che il mio amore per Dio è il mezzo del
successo in me, di me stesso e di Dio.
L'amore di me stesso, che non fa se non tutt'uno con
l'amore di Dio per me e con il mio amore per lui, non fa che tutt'uno
anche con il mio amore per gli altri, dal momento che Dio non mi ama
solo, che io non posso dunque amare da solo, e che non posso amare lui
stesso senza seguire il suo amore in tutte le sue inclinazioni.
Amare se stessi nel senso egoistico della parola, è non
amare che la parte d'essere che si ha o che si può avere da se stessi,
e è dunque in sostanza non amare che i propri limiti, poiché ciò solo
ci appartiene. Amarsi in Dio, amare Dio in sé, è legarsi
all'illimitato e spalancare completamente le ali della speranza.
Lo slancio che mi porta alle felicità egoistiche è
esso pure uno slancio divino, ma che io svio dalla sua dirczione e che
delude. Riconducendolo nelle sue vie, io non faccio che rientrare nella
mia autentica natura e non ho a segnare alcuna perdita.
'—-M1 65 —
5 - .SnirMiToir^A
Per donarsi, bisogna prima possedersi. L'indipendenza
della persona nei riguardi dell'oggetto e di se stessa è alla base dei
suoi liberi rapporti.
Arrossire per un torto davanti ad altri più che davanti
a se stessi, è forse ipocrisia? Non è piuttosto rispetto di se stessi
in altri, rispetto dell'uomo? Succede di arrossire davanti a un morto.
Si può arrossire davanti a un vivo come davanti al meglio del proprio
essere.
Le cose etesse non esistono con pienezza che a
condizione d'essere conosciute e non valgono che per essere amate. Così
noi stessi, come è dato specialmente notare negli uomini d'azione, nei
capi, nei regimi, nelle istituzioni sociali.
Tutti gli antagonismi umani, sia tra individui che ^ tra
famiglie, razze, nazioni, classi, generazioni, sessi, etc., sono un
effetto del peccato originale, cioè del ;, rilassamento dei legami tra
l'umanità e Colui che è alla sorgente della sua unità come del suo
essere. Peccato vale dispersione.
Non la grandezza d'animo ma l'egoismo fa con maggior
ardore l'elogio dell'amicizia. Avere un amico, che comodità, che
fortuna! Ci si lamenta della rarità del fatto, ma se appena se ne
sospetta l'avvicinarsi, subito ci si dispone in modo da evitare di
essere noi stes&i un amico.
— 66 —
Se fossimo sinceri» non ci stupiremmo d'essere più o
meno traditi dai nostri amici. Quando è pur vero che ci tradiamo da noi
stessi e che tradiamo noi
stessi.
I nostri nemici non possono nuocerci affatto; sono
troppo lontani. I nostri amici sono più vicini.
Chi è incapace di resistere a un amico deve confessarsi
capace di diventare un nemico della verità, un nemico del bene, un
nemico del proprio amico e di se etesso.
Per adempiere tutti i doveri, dell'amicizia,
bisognerebbe poter amare e odiare nello stesso tempo.
Adulare un uomo, è dimenticare e invitarlo a
dimenticare che tutte le sue doti sono un dono di Dio. Ma rendergli
onore nobilmente e delicatamente delle sue doti, è lodare Dio in lui.
È ben raro che un amico o una donna spingano l'uomo
all'eroismo. La donna è troppo presa dall'amore; l'amico è troppo
simile al compagno. Solo nel più profondo della coscienza solitària
devono quindi rassegnarsi a nascere, eccetto che nei casi migliori, i
grandi pensieri fecondi, i grandi sacrifici e i grandi disegni.
Quanto un amico ha in sé di più grande di se stesso è
proprio ciò che si rivolge a quanto ho in me:
di più grande di me.
— 67 —
Quando si ascolta profondamente in se stessi, vi si
sentono soprattutto dei morti.
Morte dell'essere amato: un vuoto sempre presente.
L'intollerabile presenza della sua assenza,
Grazie alla loro morte in Dio, i nostri cari vivono
definitivamente in noi, se noi, viviamo in Dio.
Non andiamo a cercare la solitudine consolatrice al
cimitero, « il solo luogo dove non si possono ritrovare i propri morti
», ma nella nostra anima, nel luogo santo o nel tempio della natura;
non in un sotterraneo, ma sotto il cielo intcriore, il ciclo delle volte
mistiche , o il cielo stellato.
Ristorarsi il cuore vicino al tabernacolo, vicino a un
cuore, vicino a del verde. Saper gustare tutto ciò che dicono il
silenzio di Dìo e il sorriso di un'anima, la pace dei campi, l'acqua
calma e i profili dell'orizzonte.
La tristezza e la gioia sono sorelle. La gioia
-.sublime è sempre accompagnata da una certa tri-^ stozza, perché essa
fiorisce qui su questa terra e non |' può evaderne per la sua naturale
dimora; per";
che, come dice Kimbaud, « nous ne sommes pas au, monde
».
Quando ricordo, tutta la durata è dietro di me e
l'eternità stessa prende ai miei occhi la forma d'un passato senza
fine. Quando desidero o mi decido al-
—68—
l'azione, tutta la durata è davanti a me con il suo
sfon- ;
do d'eternità ancora. Quando contemplo e mi unisco A
all'oggetto della mia contemplazione, la mia durata è tutta
nell'istante, e questo istante mi diventa eterno.
Non c'è che un modo di sfuggire alla malinconia del
tempo che fugge: rifugiarsi nell'Eternità vivente che lo contiene e ne
unifica le fasi. In Dio, il tempo non corre più, e tutti i valori del
tempo si ritrovano : ' senza quel frazionamento in passato,
presente e futuro, che costituisce la nostra tortura, i;
II nostro passato non è in noi un semplice ricordo, ma
un'opera d'arte. Il nostro avvenire non è una previsione, ma un sogno.
La realtà sta nel presente visto in rapporto con l'eterno.
Il compito supremo della coscienza morale è di,
impadronirsi di se stessa, di esplorare il suo contenuto e di esaminare
i suoi fini. Ridiventare coscientemente noi stessi dopo la dispersione
dell'istinto, essere l'io del nostro io; in questo sta tutta l'opera
nostra.
Staccarci dalle cose, non è in fondo che staccarci da
noi stessi, e così staccandoci ritroviamo le cose. Il desiderio
appassionato vi ci incatenava; la libertà ce le dona.
Passare la vita a ricercare ciò che piace è
un'aberrazione. La saggezza è di compiacersi di ciò che ci è dato
dalla Provvidenza o di ciò che liberamente e eaggiamente si ha scelto.
— 69 —
Desideri assoluti non possono riferirsi che ai beni
assoluti. Attaccarsi ad ogni costo al mutevole, al mortale, è morire
senza fine.
Si parla di scelte « ridicole » a proposito di
carriere, di matrimoni, di impegni politici o sociali, dì credenze. Non
c'è davvero da ridere!
Falsi cristiani, falsi mistici, falsi poeti, falsi
oratori, falsi intellettuali: chitarre di Picasso.
E facile desiderare e difficile ottenere. Il desiderio
non dipende che da noi, e per questo esso tradisce il nostro carattere.
L'avvenimento dipende da noi e da molte altre cose, così esso non può
essere uno specchio fedele.
Non giudicatemi da ciò che mi avviene, neppure da 'ciò
che faccio, ma da ciò che voglio. ; '"^^
Per il mondano, cristiano o non cristiano, la ricchezza
è una specie di bene sovrano ed egli la desideriti' come tale. Agli
occhi del vero cristiano, essa è una' disgrazia per la quale dovrà
implorare un aiuto, un aiuto divino.
Desiderare, è portarsi in avanti e sempre, in sostanza,
verso l'illimitato. Possedere, è chiudersi sul limitato. Desiderare
sarebbe dunque essere liberi, e
:/-- 70 —
possedere essere schiavi? Sì, se l'oggetto posseduto
non è l'illimitato stesso, o il suo provvisorio sostituto, il suo
simbolo, il suo messo. Ma anche l'inverso è vero in un certo modo, se
il desiderio, sempre, quanto alla sua sostanza, illimitato non ne ha
coscienza;
poiché esso è allora schiavo del limitato e chi lo
libera è proprio, questa volta almeno, il sempre delusivo possesso. .
,.
Io sono dispostissimo a familiarizzare con le pie";
cole cose ae esse consentono a non togliermi le grandi.
Si trascura l'altro mondo ; ma quanto pochi si
interessano realmente alle cose di questo ! Quanto pochi escono da sé
per un arricchimento vero e cessano di murarvisi come in una
strettissima cella! Al parlamento, all'accademia, nei salotti, in una
discussione in cui si ricerca a quanto si dice la verità, chi pensa
veramente alla verità? Non si ascolta; si pensa a come replicare. Al
concerto, si dice bene o male della musica, ma non si è preoccupati che
dell'effetto di ciò che si dice. E avviene così di tutto. O vanità
della vanità! Vanità delle cose viste così al di fuori di se stesse!
Vanità dei rapporti senza impegno che valga! Vanità di noi stessi!
Kierkegaard scrive di se stesso : « Faccio dello
spirito; la gente ride — io piango». Destino della maggior parte dei
comici. Destino dell'anima che giudica se stessa abbastanza dall'alto
per trovare contemporaneamente in sé l'essere tragico, l'essere vano e
ridicolo, e il critico.
~ n —
Si può forse continuare ad èssere ancora agitati,
ansiosi, pieni di desideri, riguardando una folla dall'alto d'una
montagna, la vita dall'alto d'un grande pensiero?
Si ha così poco tempo per credere a ciò che si fa che
bisogna affrettarsi a farlo.
Colui che nei riguardi della vita profonda, abbandona se
stesso, vuoi dire che ha prima di tutto abbandonato Dio.
Quante grandi anime, forse, all'inferno! Esse si sono
misconosciute ; esse hanno sopravvalutato il futile. Esse
avevano, per eccesso o per difetto, tutto ciò che occorre per scalare o
perdere il ciclo.
Quando un uomo soffre per aver « esagerato » nel bene,
si dice: È sua colpa! Sicuramente, e il suo merito è precisamente che
la colpa sia sua.
Donarsi è il mezzo per eccellenza di disporsi a
possedere, o piuttosto di possedere; poiché l'atto atesso del dono è
la più preziosa ricchezza. Per questo Gesù ha detto: « È più felice
(e non soltanto migliore) dare che ricevere » (Atti, XX, 35).
Vi può essere cosa più bella dell'atto di un uomo
coraggioso che aiuti dolcemente un essere debole, o porti lievemente lui
stesso un pesante fardello?
Vi sono persone che quando si sentono morire si mostrano
piene di generosità. Generosità postuma. Si direbbe che esse vogliano
avere contemporaneamente il cielo e la terra sacrificando questa
all'altro
— 72 —
quando essa non conta più, « Se esse avessero il
potere di vivere sempre, osserva Ruysbroek, non darebbero mai nulla ».
.;-
Un padre, una madre che vogliono essere « continuati »
dai loro successori non sono che degli egoisti. Un vero padre desidera
per suo figlio una vita che gli sia adatta e migliore della sua. Un vero
maestro è felice che il suo discepolo approfitti di lui, ma anche Io
superi e se necessario proclami il vero contro di lui.
Sono le anime piccole, e non viceversa, a schiacciare i
grandi spiriti sotto il loro giudizio e i grandi cuori sotto la loro
critica. Le anime grandi eanno invece trovare bellezza anche in un umile
pensiero e sublimità in un umile gesto, perché li vedono nella luce di
quel vero, nell'irradiazione di quel bene, che sono loro familiare
consuetudine.
Il fango delle strade non mi impedisce di amare la
natura, ne il peccato le anime.
Vi è chi ha sostenuto il diritto di essere « un
cerebrale cattivo ». Non si dovrebbe essere buoni che « di fatto ».
Come se il nostro stato d'animo non fosse un fatto, come se essere
cattivi nell'intimo, verso chi si evoca nell'intimo, non fosse
un'ingiuria diretta.
Bisogna attribuire poco valore alla propria vita
intcriore, per non capire che vi si commettono, ae si vuole, degli
assassini, come Gesù stesso ha detto degli adulterii. (matt., V, 28).
— 73 —
Quella verità di cose, che sembra seppellirei nello
spirito, rinasce nella parola.
La parola è una specie di esistenza intermedia tra
resistenza reale delle cose e la loro esistenza nel pensiero.
Parlare, è riflettere Resistenza per mezzo dello
specchio del pensiero. Esistere, è Concretare la parola grazie alla
mediazione del pensiero.
Il pensiero del poeta non arricchisce forse la bellezza
della terra, e il &uo poema non è un duplicato di quest'ultima?
Il pensiero prolunga resistenza e la parola la completa.
In un senso assoluto, tutto ciò che può esistere può
esser pensato, e tutto ciò che ipuò esser pensato può esser detto.
Solo le imperfezioni di questi tré termini impongono delle barriere.
Dio ha il suo Verbo ; anche la natura ha il suo che
proviene dalla stessa fonte e che si esprime in noi con la parola
mentale e col discorso.
Si può abusare con leggerezza della parola, se è vero
che essa è in continuità naturale non solo con il nostro spirito, ma
con la realtà universale e con il suo Autore?
74
Un linguaggio veramente cristiano uguaglia tutte le
anime e permette, genio o ignorante, di comunicare a proposito degli
argomenti più alti.
Amare la verità, è amare l'universo, che è una
verità concreta, e è soprattutto amare Dio, la Verità stessa. Ora
questo amore è il principio della vera conoscenza; poiché non si può
conoscere se non diventando intcriormente ciò che si conosce, e non si
può diventare intimamente se non ciò che si ama.
L'essenziale per noi sta in questa verità intcriore,
che è sincerità e che ci giudica, mentre la verità esteriore, la
verità oggettiva, giudica soltanto i nostri discorsi e le nostre
opinioni.
Una folla di menti direttive, di propagandisti, di
apostoli, spiegano una attività ardente in favore di un simulacro di
verità al quale essi stessi non credono. Alcuni, sono i migliori, non
sanno se vi credono.
Essere ignorante con il desiderio di sapere, non è
meglio che sapere? In ogni cosa la speranza esalta e il possesso qualche
volta delude. Sapere abbastanza per meglio desiderare di sapere, questa
è senza dubbio la felicità più certa che la scienza può dare.
Arrivati a un certo grado di formazione, si trova
profitto nelle letture non in ragione del loro grado di verità, ma
della loro profondità.
La stupidità naturale di un uomo non è per nulla
abolita, anzi aggravata dalla sua cultura.
— 75 —
Quando si contrappone l'umanesimo al cristianesimo, si
dimentica che l'umanesimo sul quale •viviamo, è quello del
cristianesimo, "i "
Comprendere è la parte che spetta all'uomo di pensiero
e volere all'uomo d'azione. Ma che cos'è comprendere, se una volta
penetrato l'oggetto dal pensiero, tutto è detto e se non resta più che
cercare qualche cos'altro? E che cos'è volere, se l'oggetto una volta
posseduto non ha più valore e vi rilancia verso altri oggetti? Il
comprendere e il volere non valgono se non per l'amore: il quale vuoi
sì esaurire il suo oggetto per mezzo delle sue ricerche, ma per
placarsi allora e riposarsi in lui.
L'intelligenza rischiara la notte. Il pregiudizio fa
della notte etessa una luce.
Uno spirito limitato è quello che condanna tutto ciò
che gli sfugge in nome di ciò che vede.
Lo stolto! Pretende misurare gli altri con un metro di
un millimetro e se stesso con un metro di un chilometro.
L'amor proprio ha là capacità di sciupare le più
belle cose, perfino l'amore e il sentimento della venerazione. Si ama
per dar a pensare che si ha un'anima interessante e appassionata. Si
ammira un'opera d'arte pensando di dar prova di buon. gusto. Si applaude
una bella azione in nome del proverbio: Dimmi ciò che ammiri, ti dirò
chi sei. Più nulla di franco e di diretto nella vita intcriore; tutto
è sfalsato, e,
— 76 —
sotto apparenza di andare alla ricerca degli alti valori
;
umani, in realtà si gin su se stessi come lo scoiat-'
tolo nella sua botticella,
Non sono le dottrine a urtarsi il più violente-
' niente tra di loro, sono gli interessi e le passioni;
risono perciò le politiche. Le dottrine sincere sono in
fondo tutte amiche; le politiche più vicine sono
spesso' l^nemiche.
^ Dopoguerra. Il mondo è stato, durante cinque anni,
atroce; in seguito è diventato fiacco, poi odioso e a volte ignobile.
Oggi esso è pazzo.
;
II mondo è ferito; il sangue della sua anima
'gronda, e questa minaccia di prossimo deliquio gli
piace; esso ride dei medici che gli vogliono fasciare
e curare la ferita.
Meglio vale, da parte del proprietario, una leale ,
difesa dei suoi privilegi che una vigliaccheria e una demagogia
corruttrici. Meglio vale, da parte del proletario, una nobile rivolta
che una falsa rassegnazione.
Donde viene che, nelle Scritture, Dio sembra detestare
tanto l'orgoglio? Dal fatto che Dio da tutto, non riceve nulla, e che
c'è dunque nell'orgoglio che';
si drizza davanti a lui una misconoscenza radicale dei
rapporti reciproci, quasi una infinita usurpazione.
Andre Suarès paragona l'orgoglio che porta rime-;' dio
ai vizi a « quegli acidi che risanano la piaga, ma divorando il tessuto
».
- 77 —
Dio ama ciò che non è, affinchè sia. Dio ama :
colui che sa di non essere, affinchè impari ad essere.
;
La forza di Dio in noi è fatta esattamente della;
nostra debolezza e l'essere di Dio in noi della nostra,
propria inesistenza.
È l'orgoglio a concepire le idee più basse sul-'
l'uomo, e è l'umiltà a gustarne la grandezza. ^A
È l'orgoglio a aspirare meno in alto, disdegnando -di
superare se stesso, e è l'umiltà ad esser tutta pronta alle vedute
sublimi.
Certi uomini sarebbero capaci di grandi cose, se non si
credessero grandi.
L'umiltà è la verità accettata e venerata, e la
verità dell'uomo è insieme miseria e grandezza. Ora l'orgoglio, in
conflitto con la verità, la inverte; esso si dilata nella miseria e
nega la grandezza. Identificare l'umiltà con la modestia è un errore.
Grande ne è la differenza. La modestia è una specie di volontaria
timidezza e così una finzione. Essa non esclude l'orgoglio. L'umiltà
è il contrario dell'orgoglio, e è uno stato autentico dell'anima, non
un belletto.
L'umiltà non è che un'altra faccia dell'adorazione, e
ne ha tutta la grandezza.
78
IV LE NOSTRE PROVE
I mali di questa vita non basterebbero a vincerci, se
non prestassimo loro la nostra abilità e la nostra forza per
tormentarci.
Nessuno vuole per natura soffrire: la sofferenza è
contro natura. Ma si può volere soprannaturalmente ciò che la natura
respinge, come si vuole ragionevolmente ciò che la sensibilità ha in
orrore. Cambiamento di punto di vista, cambiamento di valore. E un
saggio apprezzamento si rivolge al valore.
• Quelli che leggono nel Discorso della Montagna:
« Beati coloro che piangono perche saranno consolati
», pensano con ragione che si prometta alla loro pazienza la vita
eterna. Ma essi non hanno compreso allora che a metà. Non in un altro
mondo soltanto la sofferenza cristiana è fonte di gioia; questa fonte
scaturisce subito, quando invece di respingere il dolore come nemico vi
si riconosce uno strumento di Dio, un segno del suo amore, una grazia di
purificazione, di distacco, di luce, di progresso.
— 79 —
La sofferenza o non ci insegna nulla, o ci fa conoscere
l'Unico Necessario. Il resto, un'esperienza banale dell'incertezza degli
avvenimenti o dell'incostanza degli uomini, non varrebbe nulla.
L'
fiorume
est un appronti, la douleur est san meatre. Et mil ne se connait lan
quii n'a pas souffwt.
Sì ammirano queste parole; ma chi è disposto a tirarne
le conseguenze? Non si accetterebbe un tirocinio così laborioso che se
si ambisse veramente a diventare un maestro, e se la conoscenza di sé
fosse considerata come un bene sovrano. Ora è proprio questo che
bisognerebbe imparare dapprima.
Senza il dolore, si sarebbe felici forse; ma non
10 si saprebbe. Allora, che cosa varrebbe questa
felicità?
Non basta soffrire per acquistare esperienza. Questa
esige una riflessione su di sé e sulle condizioni essenziali della
vita. A più forte ragione l'utilizzazione dell'esperienza non si
acquista in tal modo; vi occorre la pacificazione dell'anima in Dio; vi
occorre l'amore, in mancanza del quale la sofferenza inasprisce e
sconvolge l'anima, invece di rischiararla.
La sofferenza è un rimedio violento che guarisce
11 male o l'aggrava, che rinvigorisce o che uccide. E
necessario il dosaggio del medico, e così pure la sua presenza attiva.
« Infelice, dice S. Bemardo, colui che porta la croce di Gesù Cristo e
non è con Gesù Cristo ».
— 80 —
Cuore arato dal dolore, bisogna che tu ami la
lacerazione del solco e il suo doppio versante di luce.
« II Paradou è bello, scrive Vincenzo Van Gogh;
ma il Gethsémani è tuttavia più bello ».
Si può consolare qualcuno compatendo''jl&uo dolore;
ma soprattutto mostrandoglielo bello. :
Importa poco vincere il dolore quando lo si ama. Se il
nemico diventa amico, io non lo combatto più.
Che io soffra con gioia per Dio, e ci si affretterà a
dire: « Com'è dunque tranquillo, costui! ». E è vero. Ma non per
questo il complimento riesce meno inopportuno; poiché la gioia che io
provo non soltanto non esclude la sofferenza, ma la suppone, dato che è
la gioia stessa di soffrire.
Amare la propria sofferenza è ancora ima felicità,
poiché il sentimento che essa provoca e il pensiero che la fa sua ci
mettono in possesso di noi stessi, e se noi sappiamo superare questo io
per giungere fino alla sua Fonte, allora sgorga la felicità vera. '
II credente si stupisce così come tutti gli altri delle
parole evangeliche : « Beati quelli che piangono. Beati quelli che
soffrono persecuzioni per la giustizia » ; ma non lo fa per
emettere un dubbio, lo fa per aggiungere alla gioia della fede anche
quella dello stupore. :. ;
— 81 --
6 - Spiritualità
Si vuole avere un'idea dell'atteggiamento cristiano di
fronte alle persecuzioni? Non si ha che a evocare la tranquilla cortesia
di S. Paolo davanti al rè Agrippa e alla sua corte di giustizia. « Piacesse
a Dio, dice l'accusato in catene, che non solamente tu, ma tutti
quelli che oggi m'ascoltano, foste come me. A differenza di questi
ceppi! » (atti, XXVI, 29).
Si cerca di scansare le prove come fossero ostacoli sul
cammino della vita. Ma se la prova fosse essa stessa il cammino?
I due ladroni rappresentano le due parti dell'umanità,
di cui una venera e l'altra insulta il Cristo; ma per quanto essi
facciano, tutti e due aono in croce.
Di due cose Runa: bisogna rassegnarsi alla prova, o
respingere il senso cristiano della vita.
Rassegnarsi, quale parola strana, quando ai sa dove ci
si vuoi condurre!
Chi pretende avanzare nella vita evitando le afflizioni,
segue una via falsa; bara; poiché, dato che il cammino conducente alla
meta passa per il dovere, e il dovere è attivo e passivo, esige
da noi sforzo e pazienza, non si può mai evitare l'afflizione.
Aprire una strada in una regione, è, per un ingegnere,
creare comodità in quella regione e allontanarne gli ostacoli. Aprire
all'anima la strada del suo destino e della sua perfezione è, per
Dio, prepa-
— 82 —
rarle difficoltà e crearle ostacoli. Solo che
all'ingegnere provvido s'aggiunge qui la guida, il compagno soccorrevole,
l'amico.
Dal fatto che la mia guida è amica e che la prova è il
suo strumento essenziale; dal fatto che il mio cammino è prova e la mia
prova cammino, io devo ricavare la certezza di non incontrare mai,
finché vivrò, prova insormontabile. Una tale fede la supererà sempre;
poiché grazie ad essa il mio capo sarà sempre nel cielo e la
mia prova sulla terra; il mio cammino sempre sotto i miei piedi.
Quanto ci vien chiesto di accettare, non consiste
soltanto nelle sofferenze non cristiane, cioè nelle prove della vita :
malattie, separazioni, rovine, morte ; ma anche nelle sofferenze
propriamente cristiane, quelle che procura la rinuncia a tutte le cose,
se occorre, per il regno dei cicli. Le prime di tali sofferenze, si ha
il diritto e spesso il dovere di evitarle il più possibile;
le seconde mai, perché proprio nella loro acccttazione
consiste la professione di cristianesimo.
Quando una carriera terrestre non termina che alla
contraddizione e alla sofferenza, si è autorizzati a domandarsi se non
ci si sia sbagliati di strada. Ma se la nostra vita cristiana termina
là, è un buon segno;
poiché il suo ideale è la rassomiglianza con Cristo.
II trionfo di Gesù nel giorno delle Palme era in
realtà una marcia al Calvario, ed egli lo sapeva. Così il trionfo del
cristiano nel battesimo, nella cresima, nella prima comunione, nel
matrimonio, nel sacer-
—83—
dozio o nella professione religiosa è e deve essere
anch'esso una marcia al Calvario. Felici coloro che ne prendono
coscienza e vi consentono, e trovano proprio in questo la loro
consolazione.
Quando la Chiesa trionfa sulla terra, essa anticipa, e ciò
si risolve quasi sempre a suo svantaggio ;
la corruzione la attende al varco poiché essa si è
confusa con il mondo. Come non dovrebbe essere altrettanto di ogni
cristiano?
Se gli avvenimenti mi favoriscono, io sento che Dio è
buono. Se mi opprimono, non lo sento più;
ma dovrei saperlo maggiormente. Quanto bisogna che Dio
ci ami, per accettare di non sembrar più buono!
Se Dio volesse spiegarsene con noi, gli sarebbe facile
provarci il bene fondato delle nostre sofferenze e la saggezza della sua
provvidenza. Ma che egli non se ne spieghi è l'oggetto di un'altra
spiegazione e una nuova prova di saggezza.
Dio non ostacola l'empio, qua'si volesse dire nel
provarlo: perché non mi servi? Il tempo di questo giudizio non è
venuto. Ma Dio procura intralci all'uomo di buona volontà che si avanza
su una via facile, poiché solo la via difficile conduce a buon porto.
I mistici hanno ragione di piangere oggi sul dolore del
Cristo, poiché si tratta del dolore etemo.
La croce: ombra del Cristo che dappertutto l'ac-sompagna
e per così dire non se ne distingue.
— 84 —
Gesù Cristo chiama a sé quelli che soffrono perché
trovino nella sua dottrina la spiegazione della loro sofferenza invece
di soccombere al mistero o di accontentarsi di spiegazioni meschine; —
perché vi trovino la loro consolazione, invece di lasciarsi accasciare ((.come
quelli che non, hanno speranza»; — •perché comprendano a suo
contatto che la consolazione non è nell'attesa di una liberazione
temporale dal dolore, ma nella fiducia che lo riceve come un pegno e vi
riconosce l'amore. ;
Gesù ci mette nelle mani la sua croce gloriosa, la sua
croce salutare, la sua croce simbolo di somiglianzà e d'amore tra lui e
noi: è un dono esaltante! Ma noi rileviamo soltanto che il legno è
rude e che taglia le mani.
E bene commuoversi al ricordo delle sofferenze^' del
Cristo; ma è ancor meglio tenersi, a motivo di lui, saldi e silenziosi
quando, da ogni parte, vi assalgono mali. '
Accettare di salire sulla croce, è distaccarne Gesù.
Discenderne, è rimettervelo.
^
La sofferenza senza il Cristo, è esattamente l'inferno.
Con il Cristo, è l'annuncio e il segreto del ciclo.,
Si esalta nei sermoni la gloria dei Dodici che hanno
conquistato il mondo, e non mancano bravi cristiani che invidiano la
loro sorte. Forse essi cambierebbero parere se si dicesse loro che i
Dodici
— 85 —
hanno conquistato il mondo con il loro obbrobrio,
sopportando di esser considerati come « il rifiuto del genere umano »
e di vedersi trattati come tali.
Se Dio ci accordasse la sua amicizia e nello stesso
tempo la tranquillità temporale, noi vedremmo volentieri in questo
l'effetto di uno speciale favore. Ed equivarrebbe a chiamare un uomo
ricco il migliore dei padri, per aver fatto di suo figlio, un semplice
erede, un « figlio di papa », invece di preparargli un'esistenza
laboriosa e feconda.
Se possiedo un grande coraggio, conviene che Dio mi dia
grandi cose da fare o da sopportare: è l'utilizzazione del mio essere.
Se possiedo un coraggio piccolo, conviene che Dio mi provochi ad
accrescerlo, aumentando poco a poco il mio fardello.
Il fardello mi schiaccia? Nessun fardello può mai
schiacciare alcuno; poiché quell'annientamento preteso se non è una
defezione del cuore, è semplicemente una gloriosa liberazione. A colui
che si è esaurito nel dovere, Dio fa gustare non la caduta, ma la
vittoria e l'ebbrezza della vita.
Siccome l'infelicità avvicina a Dio, e poche persone la
desiderano per avvicinarsi a Dio, bisogna che talvolta Dio stesso la
desideri loro.
Se io confesso l'utilità della sofferenza perché la
constato, rendo omaggio alla verità, ma non esplico così che la
funzione quasi obbligatoria della mia
— 86 —
intelligenza. Quando riconosco Futilità della
sofferenza senza poterla constatare, a Dio stesso allora rendo omaggio,
l'omaggio generoso della fede.
Noi non sappiamo riconoscere Dio che quando egli apre la
mano e ne lascia scorrere l'abbondanza. ? Ma dobbiamo imparare a
comprendere che vi sono per noi delle grazie anche nella sua mano
chiusa!
Dio ci fa sentire la sua dolcezza, poi per un po' di
tempo tace e si allontana come per vedere ciò che saremo ben capaci di
fare, soli.
Alcuni si dicono che Dio si è allontanato a causa delle
loro colpe. Può darsi. Ma era dunque per i tuoi meriti, uomo, che Dio
era presente prima? Cieco! Ingrato!
Dio permette giustamente che non ci venga resa
giustizia. Egli permette per amore che noi non gustiamo l'amore.
Essere l'oggetto della collera di Dio, è essere ancora
l'oggetto della sua misericordia. Collera di padre che colpisce di
fianco, con il semplice rumore che avverte, o con la scossa che provoca
o raddrizza la marcia. ;
L'insidia più grave del dolore non è in esso, ma nel
sentimento della sua stranezza, in tutto l'insieme di problemi che esso
pone, nei confronti di un essere che crede istintivamente all'ordine del
mondo
— 87 —
e sa di esser fatto per là felicità. Chi può arrivare
a non più vedere nel dolore un problema, chi si tien saldo in esso,
oppure si è ormai consolidato in un tale stato di fiducia che non sente
più il bisogno di tenersi saldo, quegli è forte contro di esso. E tale
è la condizione del cristiano.
Perché soffrire? si domanda l'incredulo o l'uomo di
poca fede. Come soffrir bene? si domanda il credente. Là dove il primo
tergiversa e divide le sue forze, il secondo solleva il fardello. Non
dubitando, egli raduna e applica tutte le sue energie e respira
largamente nel vento della vittoria.
Il bimbo che « ride agli angeli » al suo risveglio. è
il simbolo dell'anima che esce dalla sua pena per sorridere con fiducia
al Padre dei cicli.
Nulla di deprimente quanto l'idea della mia debolezza,
se la considero solo. Ma essa diventa un pensiero esaltante se il mio
cuore è unito a Dio;
poiché nella mia fragilità vedo allora il rovescio di.
una onnipotenza.
Soffro: dunque Dio non è contento di me. Dovrò dunque
cambiare condotta? — Anzi! Se soffro è forse perché Dio è molto
contento di me e conta molto su di me. Non c'è che da procedere con
coraggio.
Mi fa pena vederti soffrire, fratello; ma gioisco nel
vederti manifestare tutta la misura del tuo valore e innalzarti, quando
sai soffrire bene.
— 88 —
Volete respingere dalla vostra vita le sofferenze, le
difficoltà, gli ostacoli, gli urti? Ma cercate di indovinare prima ciò
che essi possano apportare. Dio solo Io sa.
La sofferenza 8 una diminuzione di vita •— di questa
vita. Ma accettata, amata, essa è un accrescimento di vita — di vita
eterna.
Accade che grandi disgrazie conducano un uomo a
rifugiarsi in qualche angolo di silenzio e in una rinuncia solitària
senza che per questo egli abbia rinunciato cristianamente a se stesso.
Forse, sarebbe stato meglio per lui, umanamente, subire prove minori,
che l'avessero avvicinato alla vera vita senza ritirarlo dalla vita.
Obbedendo, si impara a comandare. Soffrendo, ei impara a
governare se stessi e a obbedire quando comanda Dio.
i:,: Se il dolore è una coercizione, sapendolo
inevitabile non si può che disperare di questa vita, oppure sperare
scioccamente, come se si potesse sfuggire all'inevitabile. Ma se il
dolore diventa un'occasione di libertà, un nobile sforzo che si sa
fruttuoso, un cammino che conduce a buon porto, un'assicurazione di
vittoria, tutto cambia e il conflitto inferiore si risolve.
La sofferenza involontaria: l'insegnamento elementare
della vita. La sofferenza accettata, ma ancora
— 89 —
passiva : l'insegnamento secondario. La sofferenza
amata: l'insegnamento superiore, dopo il quale si ha ingresso nella
carriera; l'unione con il pròprio Dio..1'
Noi dobbiamo « sopportare Dio ». Ma è Dio ancora che
porta segretamente chi lo sopporta.
Il mondo, quando perseguita, spia avidamente nella sua
vittima un lamento o una parola d'orgoglio. Se non li trova, si
stupisce. Esso ignora che un Altro è lì presente.
Che l'afflitto non si accusi troppo facilmente d'aver
ceduto al lamento. Può darsi che non lui, ma il dolore stesso, abbia
emesso il suo grido.
Si ritiene essere più virtuoso il rassegnarsi puramente
e semplicemente a una sofferenza che ci si decide a considerare come
irrimediabile. Ma no. fi più virtuoso conservare la speranza, si fosse
pure così condannati a aggravare la sofferenza, perché essa sarà meno
dimenticata, perché le speranze deluse la faranno rivivere a ogni
istante, perché invece di immobilizzarsi nel cespuglio di spine, si
avrà consentito a conservarvi la vita. Agendo in tal modo, ci si
rimette più perfettamente nelle mani della Provvidenza, a lei
sottomessi per la consolazione come per il dolore, invece di scegliere
noi stessi il nostro destino.
Quando abbiamo bisogno di essere colpiti perché la
nostra anima si distacchi, o espii, o collabori generosamente con il
Cristo alla salvezza degli uomini,
— 90 —
Dio colpisce con il nostro consenso anticipato, se siamo
fedeli. Ma non è ne sorprendente ne colpevole che al primo momento,
l'anima resti stordita e recalcitri, come un paziente respingerebbe la
mano del chirurgo se lo si lasciasse libero. L'essenziale è che ci si
riprenda e che si riacquisti e riconfermi così la propria volontà.
Dire con il Cristo : « Padre mio, se è possibile,
si allontani da me questo calice, tuttavia che la tua volontà sia fatta
e non la mia », non è togliere nulla all'acccttazione e
all'obbedienza, al contrario. Quegli obbedisce più perfettamente che si
assicura prima, presso colui che comanda, che tale è veramente la sua
volontà.
Il cristiano peseguitato è più forte della sua unione
con Dio che il mondo di tutta la sua malizia;
ma esso non ne abusa; mette la sua forza al servizio dei
suoi persecutori, i suoi amici in Dio.
Come è bello, quando si soffre, trovarvi occasione di
consolare gli altri!
:
Portare la propria sofferenza è già difficile.
Accade tuttavia che si trovi molto più duro imporre ad altri il peso
dei propri dolori. Essere a carico dei propri cari, quale fardello per
un'anima generosa! Ma, figlio amato di Dio, consenti a aver male al
cuore, così come al braccio o alla testa, e se un altro figlio di Dio
ha bisogno come tè, della sua prova, permetti che essa gli giunga
tramite tuo.
— 91 —
Vi sono di quelli che si offendono e gridano al
paradosso quando si dice loro che per il cristiano non vi sono se non
sofferenze piccole o addirittura nulle. Vi sono certamente grandi
sofferenze; ma è in riguardo all'eternità che si dice piccole o nulle.
Il grande e il piccolo, osserva Plafone, non sono quantità ; esprimono
una relazione. È questa relazione che deprezza , o annulla, in rapporto
all'eternità, ogni sofferenza umana, i
La nostra sofferenza non ha altra ragion d'essere ' che
quella di impedirci di avere indebitamente, egoisticamente, troppo
presto o troppo gratuitamente la' nostra felicità.
Perché la felicità eterna annulli tutte le sofferenze
terrestri, non è necessario che essa faccia sentire tutta la sua
potenza; basta che essa appaia. Una vita intera di dolore e un lampo di
felicità eterna sono pur sempre in una sproporzione infinita,
sproporzione di valore, questa volta, che lascia sussistere l'altra
sproporzione, quella della durata; yoichè davanti all'etemo, il
passeggero, per quanto si prolunghi, non esiste.
Quando un cristiano si dispera nella sofferenza,
evidentemente egli ha perduto la coscienza dell'eterno. Quando questa
coscienza rivive essa prevale, e di fronte ad essa nessuna sofferenza
umana conta più.
Dato quanto ci si promette, sarebbe normale, a prendere
le cose assolutamente, che la nostra vita non
— 92 —
comportasse altro che prove. « O soffrire, o morire
»,, diceva S. Teresa. È la logica purissima della fede. Ma, Dio non
vuole che la vita serva soltanto a metterci alla prova. Essa deve pure
provare lui, con la sua, bontà, e tutt'al più metterci alla prova in
un altro modo. Quale prova la gioia! Da qui viene il dosaggio delle
gioie e delle pene.
Come siamo imprudenti, senza parlare dell'in-'
gratitudine, quando ci lamentiamo dei nostri mali in' presenza di Colui
che, benché invisibile, è sempre lì, con in mano i suoi beni eterni!
Sia io gioioso o triste, l'eternità mi è sempre
pregente. Gioioso, la mia gioia la rinette ; triste, la mia tristezza la
proclama come suo felice contrappeso e suo effetto.
v
LA NOSTRA VITA MORALE
Tutto il mondo si crede moralista e pensa di poter
parlare del bene e del male, della vita e dei valori di vita come si
parla della pioggia e del bei tempo, delle malattie e della salute. È
un segno di volgarità intellettuale, diceva Nietzache; è pure un segno
di decadenza sociale, quando il giudizio si mostra abitualmente falso o
incerto.
Il sentimento morale e il sentimento religioso non
consistono in ciò che si 'sa o in ciò che si può ma in ciò che si
vuole. « Quando tu vuoi, tanto tu fai », scrive S. Gregorio. Non vi
sono dunque scuse. Io sono esattamente, in religione, in morale, ciò
che voglio, nella misura in cui lo voglio e finché lo voglio. Su questo
solo. Dio mi giudica.
Nella morale d'Aristotele, non si parla affatto di
umiltà, non si parla affatto di abnegazione. La sola umiltà e la sola
abnegazione che si esigano è l'ebbe-dienza .alle leggi civili. Nulla
può 'segnare meglio la distanza che separa questa morale dalla morale
cristiana. Per noi, il rapporto con Dio è immediato, e
— 94 —
l'umiltà di conseguenza, invece di consistere
nell'in-chinarsi davanti allo Stato supposto « divino », esige
l'annientamento dell'adorazione, e l'abnegazione non consiste solo
nell'evitare ciò che può intralciare la vita pubblica, ma a
sottomettere tutto ciò che si ha e tutto ciò che si è all'unica
volontà del ciclo.
Forse che un uomo d'onore trova più facile ripu-'diare
un debito d'onore che liberarsi da una obbli-gazione legale? Un vero
cristiano non può affran-f carsi nei confronti del suo Dio e del suo
Cristo dal suo debito d'amore. Esso è la sua « obbligazione », la
sola, nel senso che essa riassume e implica tutte le altre. Poiché la
legge della Nuova Alleanza non è di natura giuridica: questa legge è
l'amore, e se vi si sostituisce un conformismo in cui l'abitudine e una
folla di interessi si congiungono, si può essere un battezzato forse,
ma non un cristiano.
«Nessuno può servire due padroni» (matth.,;
VI, 24). Non si può, ma Io si fa. Non vi sono che Gesù
e sua Madre che non abbiano mai servito due padroni. Ognuno di noi ne
serve a ogni istante due o più e si trova alla fine ad averne servito
un gran numero. Si serve Dio e il danaro. Dio e la propria sensibilità.
Dio e il proprio orgoglio, Dio e la propria ambizione o la propria
collera. Ridurre la parte;
dei concorrenti e ingrandire quella di Dio è il solo
sforzo che noi possiamo realmente compiere. Con-1 tessiamo almeno questo
diritto di Dio e consacriamogli l'omaggio di un onesto desiderio. Non si
può servire due padroni.
— 95 —
Gesù insegna a rendere a Cesare ciò che è di Cesare e
a Dio ciò che è di Dio. Ciò che è di Cesare, nella parabola, è la
moneta che porta la sua effige. Ciò che appartiene a Dio, è l'anima
che porta la sua effige. Sottomettendosi a Cesare in ciò che è
temporale è sottomettendo la propria anima a Dio, si da dunque a
ciascuno il auo; si è nell'ordine, e poiché l'ordine è voluto da Dio,
tutto in sostanza si riversa in Dio.
Si. crede che le vette più alte della vita siano quelle
a cui pochi possono accedere. La verità è che la vetta più alta e la
sola stessa che conti è accessibile a tutti.
Si crede che i grandi abbiano più merito nella rinuncia
che i piccoli. Ma è forse vero il contrario;
poiché i grandi non rinunciano spesso che a falsi beni
palesatisi tali in piena luce, i piccoli invece a speranze.
Non dipende da noi d'essere i successori di un uomo
ricco, di un uomo potente, di un sapiente, di un artista. Dipende da noi
d'essere i successori del Cristo, altri Cristi dice S. Paolo. Lo
spirituale ha risorse di cui il temporale più nobile non dispone, e ci
onora meglio.
Noi, pur con i nostri sforzi più generosi, non ci
possiamo salvare se non dopo aver compreso, grazie al Cristo, che senza
di lui i nostri sforzi non sono nulla. Un colpo di remi derisorio per
attraversare il mare.
— 96 —
L'uomo non può perseverare nel suo sforzo, anche unito
alla grazia, se non a condizione che il donò della grazia gli abbia
fatto comprendere d'essere già salvo. S il frutto della speranza.
Quale supplizio per un povero animale quando si cerca di
farlo agire .da uomo, di fargli eseguire, a volte per un'ora, atti
d'uomo. Che sarebbe per lui se Io si costringesse così per tutta la sua
vita! Ma non si domanda a un cristiano di condurre una vita quasi
divina, di fare per tutta la vita atti divini?
La vita cristiana è impossibile, se non in quanto
essa implica Dio, cui tutto è possibile.
II P. Lacordaire ha parlato di « virtù riservate al
cristianesimo ». Ma tutte le virtù, che siano tali nel pieno senso e
con piena efficacia, sono riservate-ai cristianesimo.
Senza Dio, l'uomo può dire come Augusto: Sono
padrone di me stesso come dell'universo. E glorioso! È comodo! Ma a
rifletterci ciò è ridicolo e molto meschino.
Più un'anima' si eleva nelle vie di Dio, e più essa
prova il sentimento della sua bassezza; poiché Dio ingrandisce ai suoi
occhi infinitamente più che essa stessa non possa ingrandire. Così ci
si sente più piccoli davanti a un'alta montagna a misura che se ne
scalano le prime cime.
..-_ 97 _
Il vero cristiano è il solo che da alle parole umane il
loro senso vero, che chiama i mali mali e i beni beni. Il vocabolario
corrente è falsificato; è un linguaggio cifrato esprimente sentimenti
segreti e non la verità delle cose. La Genesi non usa una vana
allegoria quando dice di Adamo che diede il loro nome agli esseri in
presenza di Dio.
La verità è una; chi la tradisce nel piccolo non le è
mai fedele nel grande; chi la tradisce nel fattoi:
non le sarà fedele a lungo nel principio. Uno spirito,
una parola, una vita : è il programma del « figlio di verità »
secondo la Verità stessa.
Quando si dice, per scusarsi di qualche colpa:
Io non sono un santo, si intende procurarsi un doppio
vantaggio: dispensarsi dal perfetto, e in più accordarsi la gloria di
un giusto apprezzamento delle cose e di se stessi.
È un errore considerare i santi come cristiani fuori
delle regole e come eccessivi. I santi stessi sanno molto bene di non
essere ancora cristiani, e a più forte ragione di non superare mai il
cristianesimo. Ma siamo noi ad essere al disotto del cristiano normale,
che deve essere caratterizzato dall'abnegazione completa di sa e della
propria volontà, dall'imitazione e dall'amore del Cristo.
Come siamo lontani, tutti, dal comprendere soltanto il
cristianesimo, e ancor più lontani dal praticarlo sull'esempio del
Cristo!
'•^—
98 —
Il linguaggio del Cristo per dirci il suo amore è
quello 'del sacrificio. Il nostro linguaggio a sua volta .non può
essere una chiacchierata sentimentale in cui il sacrificio non
rientrerebbe per nulla.
C'è il mondo della fede e il mondo della natura, ; il
mondo del mondo, se così si può dire. Il primo è 'da parte nostra
oggetto di dichiarazioni, di confes-; sioni e di gesti. Il secondo
occupa il più spesso in 'realtà la nostra vita.
« Se voi non diverrete come i piccoli, non entrerete
nel regno dei deli » (matth., XVIII, 3). Essere fanciulli è ben
facile quando ne è il tempo, e anche un'altra infanzia è facile
all'altra estremità della nostra durata. Ma l'infanzia volontaria come
l'intende il Cristo è una laboriosa conquista, poiché essa consiste in
una purificazione e in una subordinazione completa di tutte le potenze
attive e passive della vita,
Succede che il celiare sia il solo modo di salva-' ',
guardare quanto di serio si custodisce in sé, in mezzo';
a tutta la falsa serietà dei divertimenti di questo*
mondo. Lo spirito d'infanzia è messo così al sicuro e;
è dispensato 'dallo scandalizzare quell'assurdo
ambiente che è il suo proprio scandalo.
In mezzo a falsi cristiani un vero cristiano da
l'impressione di portare un travestimento bizzarro e provocante. Lo si
invita a rivestire l'uniforme. A stento si sopporterà sulla stoffa, a
titolo di decorazione poco visibile, un abbozzo di IHS o di croci.
— 99 —
Per molti, la religione consiste nel contare su Dio e
nel pregarlo per la riuscita dei propri affari, per i propri piaceri, e
in ogni caso per la propria pace. Dopo di che, essi contano su se
stessi. Essi non sanno che la religione vera subordina tutto a Dio, vede
il suo regno stendersi su tutto e si adopera essa stessa corpo e averi
alla pienezza e all'estensione di questo regnò.
Si dice: Noi dobbiamo riferire tutto a Dio, tutto
sottomettere a Dio. Ma in questa bella frase per noi si intende
Pietro, Paolo, Giacomo o Giovanni, non colui che parla, e per tutto,
questo, quello o altra cosa, ma non tale oggetto preciso che
occorrerebbe presentemente rettificare, sacrificare o perfezionare.
Il cristianesimo è una vita continua, non una questione
di quarti d'ora o di domeniche. Quale ipocrisia quella della domenica, o
della preghiera quotidiana, se esse ci servono di pretesto a esonerarci
dai nostri doveri del tempo! Tutto il tempo appartiene a Dio: che la
preghiera lo profumi; che la domenica serva a santificare e nobilitare
tutti i nostri giorni.
» Solo una piccola parte della nostra vita religiosa si
svolge in Chiesa; il resto si svolge a casa, al tavolo di lavoro,
all'officina, nei campi. Là pure c'è Dio, e sé il suo Spirilo è in
noi, la nostra attività Io adora.
Onesti nella vita di famiglia e nell'amicizia, onesti
nella vita privata, e disonesti negli affari, nei contratti di lavoro,
nell'amministrazione, nelle finan-
—100—
ze, in politica, in diplomazia... Come se ci fossero due
morali, e come se le potenze buone cedessero alle potenze malvagio i
più vasti domimi della vita!
Senza la giustizia intcriore nata dall'amore, il
funzionamento sociale tutto intero non è che una ributtante ipocrisia.
Si gettano persone in prigione per proteggere il proprio forziere; si fa
impiccare un domestico — ciò succedeva non più di un secolo fa —
per aver rubato cento trancili, e le carceri danno la persuasione a
quelli che non vi abitano che la loro vita sia senza macchia. Ma tutto
ciò non inganna Dio e non inganna a lungo neppure l'avvenire. La
verità profanata si vendica, e la società (perisce per i suoi vizi,
meno perché si tratti di vizi che per averli chiamati virtù.
Nella famiglia, non avvengono fatti storici. Eppure la
storia proprio li si scrive.
Se la vita internazionale non è fondata sulla riforma
dei costumi e perciò sulla ricristianizzazione del mondo, il problema
che essa tenta di risolvere si riduce a questo: data una società
d'egoisti, di gaudenti e di accaparratori, ricavare il regno della
giustizia dalla somma delle loro azioni.
I falsi cristiani, quando credono nel ciclo, vorrebbero
comperarlo a buon mercato. Ma esso non è in vendita. Si da a chi si
dona.
Il cristiano è in qualche modo un essere sacrificato, sepolto
con il Cristo, dice S. Paolo. Non ne
— 101—
segue 'che lo si seppellisca o che debba essere marti*
rizzato; ma si vuoi dire che egli si da incondizionatamente, che Dio
potrà disporre di lui per mezzo della sua legge, degli avvenimenti,
delle sue particolari suggestioni ed esigenze segrete senza che egli
possa dire:
Io non ho voluto questo. Dio è il padrone; è il Padre;
è l'Amore: ci si sottomette al padrone, ci si confida al Padre, si
crede nell'Amore, e si ha fede nel destino -temporale e etemo a dispetto
d'ogni apparenza e contraddizione.
Si dice: la dottrina cristiana; e c'è effettivamente,
una dottrina cristiana; ma il cristianesimo non è essenzialmente o
principalmente una dottrina; esso è una vita, cioè una realizzazione
la cui norme compongono poi la dottrina. Tanto che a rigore, può
es-serci, accidentalmente e vero, una realizzazione senza dottrina,
almeno esplicita, mentre la dottrina senza, realizzazione non è nulla.
Molti di quelli che son chiamati cristiani conducono una
vita religiosa puramente collettiva, gregaria. Essi sono cristiani come
tanti altri; vanno in chiesa e seguono le funzioni come gli altri; li ai
ha battezzati, cresimati, comunicati, sposati e li si seppellirà come
tutti. Soltanto comparendo davanti a Dio essi proveranno veramente il
loro rapporto individuale con Dio; nel qual rapporto eppure consisteva
tutta la religione, come essa avrebbe dovuto essere, anche quando era
vissuta fraternamente e in Chiesa.
La vera fede non consiste nel dire: i cristiani credono
in questo, dunque io vi credo o sono tenuto a credervi. La vera vita
religiosa non consiste nel
—, 1Q2 —
dire: i cristiani fanno questo, dunque lo lo farò, per
conformismo, come un animale di un gregge. No, la fede e la religione
vere procedono dall'interno, come uno slancio del cuore, anche se ci
sono suggerite dal di fuori come volute dal cielo.
Si direbbe che certi cristiani, una volta redenti,
credano di poter ormai condurre la loro vita senza pensieri, e
raggiungere la vita eterna come si dice raggiungere tale località nel
corso di un viaggio. Volentieri essi direbbero a Gesù Cristo con un
tono amabile: Grazie per la Redenzione!
Certi ascoltatori di prediche fanno pensare a quegli
intenditori che davanti a uno specchio esaminano curiosamente lo
specchio, ma non pensano per nulla a guardarvisi.
I precetti del Vangelo sono ben chiari; ma prima
d'obbedirvi noi ci guardiamo attorno, e vediamo ciò che troviamo in
noi: resistenze ostinate, un egoismo incoercibile in luogo della
rinuncia, il culto dell'io sostituito al culto di Dio e all'amore dei
fratelli. Allora entriamo nella corrente, ci nascondiamo nel numero,
come dice Pascal. Ed è come se si consultasse circa l'obbedienza ai
genitori una squadra di discoli scatenati.
Tutti sono cristiani in quella che ai chiama una
società cristiana. Anche un libero pensatore, in tale società, è
dunque cristiano; egli figura nelle statistiche con la qualifica di
cristiano; ma si tratta di
? — 103 —
un cattivo cristiano. 3E quale sarebbe il buon
cristiano? Colui che non è libero pensatore, colui che crede o si
ritiene che creda. Ma come chiamare allora l'uomo che crede seriamente e
che vive la sua fede? Sarebbe per caso un super-cristiano, un esagerato
forse, un fanatico? Questi giudizi vengono a coincidere e si ha così
modo di vedere a quale grado di abbassamento può arrivare la religione
di un gruppo.
Quale terribile giudizio contro il mondo costituisce la
gioia di un uomo giusto perseguitato dal mondo! Se la distanza dalla
virtù alla corruzione è grande, e più grande ancora dalla virtù
perseguitata alla corruzione che vorrebbe trionfare d'essa, di quanto la
virtù gioiosa delle persecuzioni non domina la corruzione, il preteso
trionfo della quale non è se non un aggravarsi di bassezza!
Lasciato a se stesso, l'uomo giusto pensa volentieri di
non esser nulla. Perseguitato, egli è obbligato a sentire se non a
convenire di essere grande.
Un povero schiavo cristiano più grande di Marco
Aurelio! Un Benedetto Labre più grande della folla sciocca dei suoi
detrattori.
Massillon ha quasi suscitato uno scandalo parlando del
piccolo numero degli eletti, e in realtà egli fu presuntuoso ; poiché
nessuno sa ciò che avviene nell'altro mondo. Ma che sia un piccolo
numero — forse più piccolo ancora di quanto egli non pensasse —
quello che si vede entrare e avanzare nella via
— 104 —
della salvezza, ciò è un'evidenza. Così lo constata
Gesù per nostro avvertimento; poiché non abbiamo il diritto di
calcolare su una misericordia che ci farebbe giungere alla salvezza
senza che abbiamo opportunamente preso la via che- vi conduce.
Il motto dal mondo è : arrivare. Il motto cristiano è:
rinunciare. Ma non per questo il cristianesimo è una religione di
morte; poiché si può rinunciare spiritualmente pur arrivando
temporalmente, grazie a un lavoro considerato come un dovere, non come
mira ambiziosa. In questo caso, la rinuncia è eventuale e il successo
effettivo; l'una è una disposizione dell'anima, l'altro un fatto
provvidenziale. In tal modo tutto si concilia; la vita eterna può
essere ottenuta, può essere vissuta fin d'ora, la civiltà può
costruirsi.
Il distacco cristiano non è un pessimismo e un
disconoscimento delle cose; è il distacco deIPamore. Bisogna esser
distaccati da tutto secondo l'egoismo, per poter amare tutto.
Il distacco, senza Dio, è impossibile e assurdo. Senza
Dio, non si ha che se stessi: « O Dio e se stessi, o se stessi e nulla
», dice giustamente Andre Suarès.
La parola, così dura in apparenza, di Gesù a un
eventuale discepolo : « Lascia i morti seppellire i loro morti •»
(luca, IX, 60) è spesso mal compresa. Non si tratta di disprezzare il
culto dei morti o il pensiero della famiglia; ma ai condanna questo
pensiero quando sia preferito alla salvezza e posto come con-
— 105 —
dizione preliminare all'entrata nella via della
salvezza. A questo riguardo, dato soprattutto che la salvezza di
ciascuno toma di vantaggio a tutti, il seppellimento dei morti o ciò
che esso simboleggia è senza importanza ; esso è degno dei « morti »
spirituali che non hanno neppure l'idea della vera vita.
Le privazioni imposte o raccomandate dalla morale
cristiana non sono fatte per limitarci ma per accrescerei distaccandoci.
Per il prigioniero, distaccarsi, non è forse diventar libero e in grado
di esplicare la sua vita? Non ci distacchiamo dalle catene della 'carne,
dalla gogna dell'egoismo istintivo, dalla natura ristretta e
accaparratrice per slanciarci nell'universale e uguagliarci in qualche
modo alla erezione.
La morale cristiana « morale di schiavi » ? No, ma
morale di padroni di se stessi, attraverso la sottomissione appassionata
a Dio.
Gli schiavi sono quelli che obbediscono alle
inclinazioni, l'ambizione di potenza ivi compresa.
L'asceta cristiano non è l'uomo « malnato » di
Nietzsche, che non ammette se non una piccola parte di se stesso; è
l'uomo mirante all'integralità e all'integrità attraverso il
sacrificio, al superuomo attraverso la virtuosa coartazione dell'uomo
traviato.
Asceti cristiani: Essi sono viventi per il fatto di
essere morti, e morti per il fatto d'essere vivi.
— 106 —
La fede non nega la vita terrestre ; essa la capovolge
per orientarla verso il cielo.
L'uomo è un aerostato prigioniero; non può far a meno
ne della fune che lo unisce alla terra, ne del meccanismo che regola la
sua ascesa.
L'opposizione del cristiano ali' esistenza si trasforma
nella più libera e ricca armonia di vita.
« Tutto dare per tutto possedere », dice YImita-zione.
Non si tratta per questo di spostare oggetti, di cambiar situazione e di
sconvolgere l'esistenza. Si tratta di consacrare al Cristo ciò che si
ha e tutto ciò che si è, perché Egli ne disponga. Se Egli non vi
cambierà nulla, lo si vedrà bene; tuttavia, spiritualmente, tutto
sarà in ogni modo cambiato, e se egli deciderà di prenderci in parola,
sapremo che a questo prezzo noi acquistiamo tutto, acquistando il Cristo
stesso « in cui è la nostra vita e la nostra risurrezione ».
Quando ci si predica la Passione di Gesù, il gran
merito è di renderla presente per così dire. Ma allora bisognerebbe
unirvisi veramente, prender partito, caricarsi della croce in
sostituzione del Cireneo e impegnarsi con Cristo nel cammino verso il
suo regno. Ci si accontenta invece di asciugare una lacrima e di
ammirare il predicatore, a meno che non si preferisca persino di
estasiarsi davanti alla propria sensibilità. ;;
. -Ì107-—
Bisogna esser felici di appartenere al Cristo; ma ciò
vuoi dire felici di portare la sua croce, poiché soltanto come
porta-croce si può appartenere al Cristo.
Ai inalati che aveva guariti. Gesù ingiungeva spesso di
non dir nulla. Al loro posto, molti di noi" avrebbero pensato:
meglio così! egli non vuole che se ne parli ; non andiamo a crearci
difficoltà con i farisei. Così una persona avara ripone il suo denaro
quando un'altra a cui essa si crede obbligata di offrirlo resiste per
decoro. Ma i beneficati del Cristo, generosi, non l'intendevano in tal
modo. Più egli vietava loro di parlare, più essi parlavano (makco VI,
36), > perché il loro cuore traboccava di riconoscenza e perché
c'era pericolo. Ma per noi il pericolo del rispetto ;
umano sarebbe dunque così grande da farci dimenticare
ciò che è per noi Gesù, di quali beni ci da la ,< certezza, e da
quali mali ci salva?
Gesù Cristo è stato crocifisso perché non voleva,
essere rè — all'ebrea. Noi lo sacrifichiamo a nostra ' volta perché
egli non vuole regnare su di noi a nostro ma a suo modo.
Il cristianesimo pone un'ipoteca generale su tutte le
attività della vita.
II cristianesimo dice: Credi, spera, ama.
Credere, è affidare nell'intimo la propria intelligenza alla verità
eterna, perché essa la ammaestri. Sperare, è respingere ogni
inquietudine sul destino e sui mezzi di
— 108 —
raggiungerlo. Amare di carità è entrare nell'unità di
Dio e delle sue creature ragionevoli, e spezzare ogni barriera
separatrice fra di noi e loro.
Tutto si può dire in una parola, e non vi è che un
ordine: quello dell'amore.
Come è fredda la morale senza l'amore! Essa è perfino
vuota, poiché l'amore implica tutto. Ma le sue rigidezze ci appaiono in
ogni modo contro natura e puramente astratte. La morale, è ciò che è
convenuto che si debba fare e che non si farà affatto.
L'ispirazione può ben venire allo scrittore, ma solo a
condizione che egli sia ben deciso a non aspettarla. Così la voglia di
far bene.
Per rapir l'anima, il precetto ha bisogno di esser
cantato. Il salmo CXVIII, in cui la legge è celebrata m lunghe
modulazioni, faceva la gioia di Pascal, che capiva queste cose.
Quelli che si offendono del rigore cristiano sono
persone incapaci di vedere in un programma d'amore altro che un freno e
una consegna. Visto così, il Vangelo è insopportabile.
Certi rinfacciano alla Chiesa le sue severità, altri la
sua rilassatezza e la sua facilità al perdono. Non si fa così che
mostrare le due facce d'una istituzione perfetta, la sua conoscenza
dell'uomo e il suo culto inalterato dell'ideale.
— 109 —
Sono talvolta gli stessi a rinfacciare alla Chiesa le
sue severità, sostenendo che il peccato è inevitabile, e
contemporaneamente la sua facilità al perdono, come si trattasse di una
rilassatezza colpevole. Essi intendono in tal modo provare — se così
si può dire! — che ogni vita religiosa è impossibile.
La Chiesa ammette che ciò che essa domanda non possa
essere ottenuto dall'uomo solo; ma essa offre soccorsi divini. Ciò che
essa non può sempre ottenere nella realtà, è bene che l'ottenga nel
desiderio, che l'ottenga per periodi interrotti da cadute, che l'ottenga
fedelmente da alcuni, i quali senza le sue esigenze non si eleverebbero
a un tale livello. Il suo Dio è il Dio di ogni santità, e è pure il
Dio di misericordia.
Si dice con ragione che il modo migliore d'esser felici
in questa vita è ancora quello di compiervi il proprio dovere. Ma se il
dovere domanda il sacrificio di questa vita? Ogni calcolo è allora
fuori causa. Del resto ne è sempre il caso, visto che la gioia del
dovere, la sua vera ricompensa, è incompatibile con il calcolo.
Il sentimento del dovere non è in noi che il
complemento della nostra creazione, per mezzo del quale il Creatore ci
confida, noi e la sua opera, alla nostra propria iniziativa, come un
possesso e come un lavoro insieme.
Rifiutare il dovere, è ripudiare le condizioni della
creazione e la parte che ne deriva alla creatura.
— 110 —
Con l'azione retta, io mi stabilisco in contatto con
Dio, dal quale ricevo l'iniziativa e la legge del mio agire. Mi
introduco nello stesso tempo nell'opera di Dio e manifesto la mia
solidarietà con essa. Lavoro a fondare una società di fratelli e
assumo la mia parte di responsabilità nell'andamento della creazione.
II minimo individuo, potrebbe sentire, al minimo gesto,
l'universo che lo guarda; poiché nell'universo egli ha posto un atto
unico e insostituibile.
Ogni moto 'della natura è una ricerca d'equilibrio tra
un essere particolare e il Tutto. In ciò consiste l'ordine. Così
Fazione morale deve essere in equilibrio con l'universo morale, e
rientrare perciò nelle sue leggi.
Nell'istante più fuggitivo della nostra vita, nel più
piccolo dei suoi oggetti possono accogliersi tutto l'infinito e tutto
l'eterno.
' ",
' . .
<
Ogni circostanza è un appello al quale la nostra anima
deve dare una risposta. Dio ci parla attraverso la natura, gli uomini,
noi stessi, tutto ciò che è. Egli aspetta il nostro sì di
acccttazione e la nostra azione collaboratrice. Egli vuole portare a
termine la sua creazione e portare a termine noi stessi attraverso di
noi.
ì
.. Dovere del proprio stato. Si tratta di
restare là dove Dio ci mette, affinchè egli possa ritrovarvici. Si
tratta di adattarci al piano della nostra vita così come
-.fÌH-
egli l'ha concepito, fosse pure attraverso di noi. A
questo piano sono connesse le sue grazie, compresa pure l'ultima, quella
de] risultato finale.
Il dovere del mio stato è l'insieme delle occasioni che
io ho di vivere, di sviluppare e di arricchire la mia vita.
Se un peso immenso d'aria non lo sollevasse, il ^pallone
non salirebbe. Se sulla nostra anima non vi fosse il carico def nostri
doveri, essa neppure si innalzerebbe.
' Certe azioni monotone e che non contano profumano
dinanzi a Dio come profuma dinanzi al passante il fresco prato dagli
steli inodori.
Far bene ciò che si fa è molto più importante '•
che fare molte cose. La quantità e la qualità sono in •una
sproporzione quasi infinita. Non si tratta di dire 1 quanto,
ma che cosa e quale, e è vano cercar di addizionare quando si
tratta di perfezionare.
Non il nostro successo prova la legittimità e il valore
del nostro lavoro. Di questo valore, di questa legittimità, non vi è
che una prova che conti, la testimonianza inferiore dello Spirito.
Quando i nostri lavori riescono, noi ci sentiamo buoni
servitori di Dio. Quando falliscono, ci sembra di essere « servitori
inutili ». Ma anche quando riu-
— 112 —
sciamo ci è chiesto di eaperci inutili, e anche quando
falliama dobbiamo aver la fiducia d'essere buoni e fedeli Servitori. :
•"•'"•/• •
'.' ^
La parola di Dio è un pane che nutre la nostra anima.
Ma anche i pensieri della nostra anima sono un pane per la parola di Dio
che vuoi crescere e mol-tiplicare, che vuoi ingrandire in estensione e
in forza, e che in noi, come noi in essa, fonda le sue speranze.
Ogni stato della nostra vita spirituale, come ogni stato
della società, ha la tendenza di considerarsi come sufficiente e
definitivo, come la verità assoluta, dimenticando d'esser stato poco
prima una verità sulla breccia. L'uomo morale come quello politico deve
diffidare di questa tendenza che è sovversiva pur sotto la sua
apparenza di conservazione. Essa non tende ' null'altro che a
neutralizzare l'attrazione dell'ideale, la brama dell'essere verso il
miglior essere, cioè a mi- :
sconoscere la creazione in ciò che essa ha di più
profondo e di più nobile, e a negare Dio.
Il progresso è un dovere. E tuttavia in una situazione
aggrovigliata come la nostra, chiunque si muove o si da da fare sembra
votato a fare del male. Tutto dipende dalla posizione di ciascuno; ma il
più spesso il bene consiste nel fare ciascuno il proprio dovere
individuale, al proprio posto e senza « piani » ambiziosi quasi sempre
nefasti.
Vi sono di quelli che osano maledire l'esistenza e
pretendono esonerarsi dal loro dovere dicendo: Io non ho domandato di
esistere. Essi non riflettono che
113
8 - SpiritwWà
partecipare all'essere di Dio è un favore così insigne
che la sua gratuità, prevenendo i nostri desideri, chiama, esige la
più profonda riconoscenza. Il primo dei nostri doveri, è di voler
essere; gli altri non ne sono che i corollari e che vi si rifiuta non si
rende conto di maledire Dio.
Il primo oggetto della nostra gratitudine, è questo
dono della vita che ci permette di ottenerli tutti. Colui che lo rinnega
si rende ingrato in un solo attimo di tutte le specie di ingratitudine.,
poiché non esiste oggetto che la vita non contenga e non preceda.
Lo stoicismo autorizza in certi casi il suicidio.
Sistema elegante di dispensare l'uomo, in certi casi, dall'insieme dei
suoi doveri e dall'abbandono filiale al suo Dio.
I Noi possiamo trovare qualche motivo di fierezza , nel
dirci che dipende da noi di non vivere più. Ma il nostro potere si
arresta lì. Possiamo ucciderci; non possiamo annullarci. Disponiamo
negativamente della nostra vita; ma del nostro essere non disponiamo
neppure negativamente.
E pericoloso per il viandante notturno lasciare la
strada; c'è per lui molta probabilità di perdersi. Anche per i nostri
oscuri destini è pericoloso lasciare la via del bene e eludere la
Provvidenza. Può anche darsi che si abbia a ritrovare ancora la strada
più lontano e che si giunga a buon fine ; ma in verità non se ne sa
nulla.
^H4 ^
Obbedire a Dio non è difficile che quando manchi la
fede, e credere in Dio non è difficile che quando manchi l'obbedienza.
Cerchio fatale della vita spirituale, che esige lo sforzo di tutta
l'anima, perché la fede trovi le sue condizioni morali e la pratica
morale la sua fiaccola. .';
I doveri seri si compiono nel segreto. Il rumore
accompagna sempre non annuncia che opere basse 'e meschine.
II dovere è un albero da frutto,
La legge naturale o ogni legge che ne deriva
garantiscono la nostra vita, l'amplificano e l'innalzano. Na-: tura
significa nascita o fecondità.
L'eroe e il santo rappresentano la trasformazione di una
vita istintiva e meccanizzata in vita spirituale, di una vita automatica
in vita libera e ardente. Essi procedono nella dirczione dell'ascesa e
incarnano così l'ideale stesso del mondo.
Vi sono poveri infatuati che immaginano di acquistarsi
nobiltà e grandezza col dire: Io non servirò!, Anche una brocca rotta
non serve. Anche una lama intaccata, una botte forata hanno l'onore di
essere fuori servizio. Tutto ciò che è nella sua legge, invece, a meno
d'essere il fine stesso supremo, serve, e servendo si libera, o per
meglio dire regna. Proprio un pagano, Seneca, ha scritto : Parere Deo
regnare est.
_ -ne; _
——~ 4--*-^
L'uomo virtuoso ha ogni motivo di essere felice, poiché
nulla gli manca, eccetto il compimento del proprio lavoro. Ora su questo
terreno il tempo è suo alleato e la provvidenza sua garanzia sicura.
Assumere gli atteggiamenti esteriori della virtù non è
sempre assumerne soltanto le apparenze. Il rispetto d'altri è
pur esso una virtù, e può aiutare una riforma intcriore là dove
questa si rende necessaria. Gridare allora all'ipocrisia sarebbe
ingiusto, e d'altra parte bisogna guardarsi dal confondere la sincerità
col cinismo. Resta che bisognerebbe essere al di dentro così perfetti
come di fuori, poiché il tribunale supremo è di dentro, e l'esempio
vuole essere una manifestazione di ciò che è, non soltanto una sincera
testimonianza di ciò che si deve.
Il nostro progresso nel mondo va di desiderio in
successo e di successo in nuovo desiderio. Il nostro progresso
spirituale va spesso da una resitenza di peccato a una vittoria di Dio,
e da una vittoria a una nuova resistenza. Fortunatamente c'è già un
elemento di vittoria nel rammarico stesso d'aver desiderato di non esser
vinti.
La virtù è una vittoria continua sul gioco delle
passioni anarchiche, come la traiettoria dell'imbarcazione Io è sui
movimenti del mare.
Bisogna amare le passioni, ma le passioni .che attivano
la vita umana e non quelle che piuttosto la divorano. ^ ^
——lie11:1^'1
C'è in noi un brulichìo di serpenti e una società
d'angeli. Non si tratta di distruggere ne questo ne quello ; poiché
tutto è energia utilizzabile. Ma bisogna convertire ciò che ne
ha bisogno, trasformarlo, e allora, sotto gli auspici del bene. Punita
regna.
I nostri istinti più imperfetti sono spesso i più
potenti e quelli che ci possono fornire —come le ,cascate
— le più abbondanti riserve d'azione, la più
grande quantità di fluido. Se la vitalità intcriore ha
'preso la loro dirczione, essa è certo da raddrizzare,
ma non da infrangere. Che tutta l'energia ne possa
esser sfruttata e preservata.
La prova che la passione può essere creatrice è il
fatto che essa distrugge. L'imprenditore di demolizioni è pur sempre un
imprenditore; egli dispiega. le stesse forze, e ha lui pure una sua
abilità. ,
II corpo è 'un nemico necessario e un amico possibile.
Noi dobbiamo nello stesso tempo dominarlo e cattivarcelo, guardarci
dalle sue esigenze e reclamare i suoi servigi per una sorte comune.
Ciò che vuole il corpo, Io soffre l'anima. Ciò che
vuole l'anima, lo patisce il corpo. Contrasto, lotta. Eppure l'interesse
è uno solo. ;
Tantalo non era privato se non delle bevande che
venivano allontanate dalle sue labbra. Il voluttuoso manca di quelle
stesse che gli si concede, poiché esse non lo dissetano; la sua sete
anzi se ne esaspera.
— 117 —
Molti uomini avrebbero vergogna della loro castità, e
molte donne di non mettere in pericolo quella dell'uomo. Sembra
veramente che vedano una puerilità in questa salvezza della razza. '
Le precauzioni della purezza paralizzano come le
precauzioni dell'igiene. E seccante non poter mangiare qualsiasi cosa.
Vi ci si assoggetta iper la buona salute del corpo. Ma tutti i nostri
sensi non sono come bocche, e la nostra anima come un organismo da
nutrire, non da rovinare?
La tentazione fa parte della virtù come le difficoltà
della scienza fanno parte della scienza. Non si può concepire,
quaggiù, virtù senza tentazione più di quanto non si possa una
scienza senza problemi.
La sensualità e l'orgoglio sono il fondo stesso della
nostra natura peccatrice. Il secondo non potrà esser vinto del tutto
che al Giudizio universale, davanti alla luce indefettibile. Quanto alla
sensualità, il verme sepolcrale troverà bene tra i suoi arnesi uno
scalpello per questa turgescenza, le cui ramificazioni si estendono fino
alle ultime partìcelle di noi stessi. Mortificarsi, è anticipare, è
accettare di morire di questa prima morte per evitare la morte etema.
Ci occorrono rimedi violenti, perché la nostra malattia
è grave. Si tratta di strapparci a un pericolo mortale. A dir il vero
la vita se ne incarica quando la lasciamo fare. Ma bisogna che noi pure
ce ne occupiamo.
— 118 —
Il mezzo migliore di sventare certe tentazioni è di
perder di vista il loro oggetto per una mira più alta, differente in
ogni modo. Dirsi, fosse pure nella preghiera: ecco e ecco ciò che deve
essere vinto, è spesso essere vinti.
Vi sono « sì » che equivalgono a molti « no », e
«no» che contano per molti «sì». L'uomo che, per un'inezia
tentatrice, rinuncia all'ordine morale pronuncia un sì che è una
specie di no infinito ; poiché l'ordine morale include in sé tutto il
resto. Inversamente, se per rispettare l'ordine morale, l'uomo dice di
no a un oggetto di tentazione, egli pronuncia un sì che vale tutto
l'essere e per Dio.
Non ciò che mi manca può mettermi in rapporto con Dio,
ma ciò che ho e che egli mi da. Il gustarlo e svilupparlo, è la
sicurezza di nuovi contatti e nuovi sviluppi. A considerare troppo le
mie deficienze, rischio la depressione e la disperazione.
Chi domanda alla virtù frutti immediati si incatena e
si mette nella dipendenza di tutte le cose;
poiché gli avvenimenti non ci obbediscono. Chi fa il
bene senza altra preoccupazione che la propria rettitudine e la
soddisfazione dell'amore, quegli invece è libero, e riesce sempre,
poiché per tramite di Dio il bene è onnipotente e l'amore vincitore.
Spiegare particolareggiatamente ciò che deve fare un
cristiano nelle diverse circostanze della vita, sarebbe un lavoro
infinito e impossibile. Questo cristiano ideale, inoltre, non sarebbe
che un mito. Che
—il»—
cosa devo fare, io, ora e qui? Per fortuna ho un mezzo
che semplifica tutto e può indirizzare in ogni istante la mia
coscienza: che cosa farebbe il Cristo al mio posto?
Il mio modello non è un essere indeterminato, fuori
della realtà, fuori delle regole, incapace così di fornire norme
precise alla mia vita. Il Cristo è stato un individuo concreto, un
figlio di famiglia, un operaio, un compagno, un amico, un
concittadino... La sua vita non è una vita di sogno. Del resto, sul
piano della redenzione, la sua vita e la nostra non sono che una sola.
Noi siamo, ciascuno, ciò che egli stesso non fu, e egli è, attraverso
di noi, ciò che noi siamo. Consultando lo Spirito che ci è comune, noi
sappiamo con sicurezza ciò che egli farebbe e ciò che noi dobbiamo
fare. Egli lo fa per mezzo nostro.
La virtù più eletta sembra sempre in certo modo
contraria alla legge, perché ne è al disopra. La legge lavora
nell'imperfetto e tutte le sue realizzazioni lo riflettono. L'uomo
perfetto attraversa la legge per [Andare liberamente più lontano, e
egli può aver così Paria di offenderla quando la perfeziona.
C'è un ideale che supera la legge. C'è un ideale
'invece che non sa neppure arrivarvi. Quanti novizi della vita cristiana
si dichiarano pronti a tutto per il servizio del Cristo, mentre
l'istante dopo non son capaci di sopportare nemmeno una parola un po'
viva. Essi sono dunque pronti a tutto, senza essere pronti a nulla,
pronti a scalare il cielo, ma non una topaia.
— 120 —
Ci; si illude dicendo: Se Dio mi domanderà il tal
sacrificio, lo farò. In attesa che tale condizione si realizzi, l'anima
se ne dispensa; essa rimane aggrappata ai beni di quaggiù e fermamente
fissa nella sua propria volontà. Come se non fosse fin d'ora e sempre
che il distacco da se stessi e da questo mondo è domandato per amore di
Cristo. Realizzate quella condizione, e vedrete l'anima nello
smarrimento e nella stupefazione di quanto succede. Questo non è
giusto! Il sì antecedente non avrebbe dovuto bastare? Farne una
posticipazione sarebbe dunque — secondo lei — una indiscrezione del
cielo.
Una risoluzione decisiva, una conversione, un voto, un
dono di sé irrevocabile, sono una vita o un frammento di vita che si
riduce a un punto per fare di sé offerta attraverso la mediazione di un
sol atto. L'esecuzione, è quello stesso punto che vien riesteso secondo
le vere dimensioni dell'esistenza. Tutto si trovava nel punto, o
solamente questo, quello, un inizio, una ripresa; Dio solo lo può
sapere prima della esperienza completa.
Quando ci si sforza troppo d'essere sinceri, la verità
è probabilmente che non lo si è affatto.
Essere troppo sicuri di piacere a Dio, è sicuramente
non piacergli. Averne un'umile fiducia, è piacergli sicuramente.
Una -prima ragione per non accontentarsi di buone
intenzioni, è che non possiamo mai essere sicuri di ciò che esse
valgono. Una seconda, è che una inten-
— 131 —
zione, realizzandosi, si accresce e ai arricchisce. Il
volere iniziale, stimolato dal fatto, trova nuovi cammini su cui la
gioia creatrice lo attira. Quanto io faccio si incide nel mondo e si
incide in me. Dal momento in cui mi sono avventurato, io mi sento
portato al di là di me stesso nel visibile. L'intenzione non era che un
io povero e in attesa; quello della realizzazione è più sicuro di se
stesso, più costante e più forte.
Realizzando le mie intenzioni, io esco da me stesso, ma
vi rientro anche nel medesimo tempo per un approfondimento di coscienza
e di sapere; approfondimento che mi procura la reazione del di fuori sul
di dentro che l'ha provocata.
Realizzando le mie intenzioni, io mi divido, ma mi
concentro pure; unifico i miei poteri, che l'azione ha forzato a
manifestarsi nella loro solidale diversità.
Realizzando le mie intenzioni, io le metto alla prova e
varco i loro limiti. Faccio sì che esse siano sicuramente se stesse e
ancor più che se stesse.
Si dice spesso, iper scusare i propri difetti: Io , non
sono più negligente di un altro, non più orgoglioso, non più
ambizioso, ecc. Prima di tutto, ciò non ha molto senso.
« Un altro » : Quale altro? Si tratta di fare una
media? Non sarebbe ambizioso, davvero! E poi, non è il caso. Gli altri
non ci giustificano e non ci salveranno. Noi siamo buoni o cattivi di
fronte a Dio, presso il quale ognuno deve rispondere per conto suo.
— 122 —
L'idea che Dio si fa di noi, il giudizio che egli porta
su di noi, ciò che egli è in diritto di attendere da noi dato la sua
creazione originaria, le sue grazie, i suoi appelli, i suoi soccorsi di
gioia o di pena : tutto questo è qualche cosa di preciso e di
pressante.
Il nostro dramma è individuale. Non vi si sfugge.
Nessun confronto può valere in questo caso, poiché i dati non sono gli
stessi. Il prossimo ha il suo particolare problema morale e noi il
nostro. Dio è il Dio di ognuno come è il Dio di tutti. In ogni
istante, su di noi, stanno il suo sguardo e la sua muta interrogazione
ai quali la nostra vita deve rispondere. Rispondere secondo ciò che ne
dice la nostra coscienza, la nostra, non quella vaga e indeterminata che
si farebbe scudo di un conformismo accomodante, si farebbe forte della
massa, come se il libro in cui tutto si scrive non avesse casi
individuali, come se il giudizio non dovesse farai uno per uno, gli
occhi negli occhi, o come se noi potessimo ingannare fin d'ora la
pazienza attenta dell'Eterno.
123
VI
LE NOSTRE CADUTE E LE NOSTRE RIPRESE
I filosofi definiscono l'uomo come un animale
ragionevole. Si potrebbe definirlo altrettanto bene co' me un animale
irragionevole, un animale peccatore.
La Chiesa è una società di peccatori, il Capo della
quale ha dovuto farsi peccato per noi (II cok.,
V, 21).
L'invenzione del peccato spetta ad Adamo. Egli ha così
inventato il suicidio, come Caino l'omicidio. :
È stato lui stesso a darsi la morte, e in lui a noi
tutti, e noi tutti in lui.
Si è spesso paragonata l'umanità, per il fatto del
peccato, a un monumento in rovina. La rovina è l'opera dell'uomo e un
segno della sua ragione, ma nel momento in cui sta per dissolversi nella
natura, di cui evoca l'indecisa grandezza e l'incommensurabile durata.
Memoria e oblio, dissoluzione e creazione sono incisi ugualmente sulle
sue pietre. Così una grande anima decaduta. Così la nostra natura.
— 124 —
Quando un uomo viene colto in fallo e punito, succede
che tutti gli altri trovino motivo di pensare di essere innocenti, e
così veramente essi interpretano la cosa. Ma mettete al suo posto un
vero innocente, come il Cristo, e la situazione si rovescia. Tutti,
davanti a questo unico innocente, sono obbligati a riconoscersi
colpevoli. L'ipocrisia di prima non va più. Non per questo essa era
meno reale. Non vi sono tra ognuno di noi che differenze di
colpevolezza, o d'opinione, o d'apparenza. Tutti siamo peccatori.
« La maggioranza dei criminali non è nelle prigioni,
dice il dottor Carrel, ma appartiene a una classe superiore ». La
sapienza popolare aveva già detto ridendo che le prigioni sono fatte
per attestare l'onesta condotta di quelli che ne sono fuori, ma che esse
li aspettano.
*
La morte di Scorate è bella. Allo sguardo della fede o
di una ragione acuta, essa non va tuttavia esente da una specie di
latente ipocrisia e da un orgoglio segreto. Scorate posa da nobile
innocente. Ammessa la sua pretesa, egli è sublime. Ma il vero assoluto
non lo assolve così facilmente, poiché, per quanto superiore alla
massa degli uomini, egli pure non è innocente.
Il peccato si fa passare per una espansione e una
liberazione, e, nel momento in cui vi cede, ogni peccatore è portato a
crederlo. Ma è il contrario del vero. Peccando, io non mi libero che
della mia propria natura retta, del mio proprio destino felice,
scegliendo una falsificazione di me stesso, prendendo una strada
— 12^: —
senza uscita, o che piuttosto sbocca là dove io non
vorrei andare: alla mia perdita. Strana liberazione! Strana apertura del
mio cammino questo vicolo cieco imposto al Figlio di Dio, erede della
creazione intera.
Non è forse la mia libertà a farmi me stesso? Abusando
della mia libertà io abuso dunque di me stesso; mi nego nel momento in
cui mi pongo; mi distruggo esaltandomi. Pretendendo l'emancipazione, io
obbedisco a un falso io che incatena il vero. Inversione curiosa, ma
rischio spaventoso pure, poiché la morte ribadisce le catene del
prigioniero volontario, e nessuno potrà infrangerle più.
Chi ha voluto appropriarsi il mondo dimenticando Dio,
dovrà affrontare un giorno Dio nell'abbandono del mondo.
, Lo spirito può credersi soddisfatto da un errore;
ma non può esser veramente soddisfatto che dalla
verità. Così l'anima può credersi colmata da una attività
peccatrice, ma essa non lo è — e Io sente allora — che dalla
virtù.
Noi trasformiamo in assoluto l'oggetto della nostra
tentazione. Perisca il mondo e noi stessi piuttosto che rinunciarvi! E
per uno spaventoso paradosso, togliamo a questo sedicente assoluto ciò
che potrebbe renderlo veramente tale : il suo legame di subordinazione
all'Assoluto vivente, da cui noi stessi ci separiamo insieme con lui.
— 126 —
II peccato non consiste soltanto nell'offendere Dio
nelle sue opere e nell'ordine della sua creazione. Esso ha in sé
qualche cosa di più profondo, come la virtù stessa. Virtù e peccato
ci mettono in un rap-; porto personale con Dio, un rapporto privato, un
;;^ rapporto intimo, che supera l'ordine del reale, per quanto generale
sia, e che supera il tempo per toc-'' care l'etemo.
• Quando Abramo sacrifica suo figlio, non alla morale
umana egli obbedisce, ma all'Etemo. Al con-
, trario, chi non offende in alcun modo l'ordine creato,
non resta giustificato per questo; nell'ordine eterno egli può essere
ugualmente colpevole : così Àbramo
i il giusto, se avesse rifiutato il sacrificio
del figlio ;
così un uomo chiamato a un'alta perfezione e che vi si
rifiuta. L'interesse per tutti di questi rilievi, è che il peccato,
come la virtù, è qualche cosa di sor-; prendentemente profondo. Se
esso può colpire Dio senza toccare la sua creazione, a più forte
ragione, perturbando questa, esso è in opposizione al Creatore e al
Padre.
i 'C'è nel peccato qualche cosa d'infinito, un assoluto
di negazione e di rifiuto opposto a Colui, il pensiero e la volontà del
quale rappresentano un valore senza limite, essenzialmente
indiscutibile.
Come possiamo dire di no al nostro Creatore in ciò che
conceme il cammino di questa vita, mentre continuiamo a dirgli di sì in
ciò che concerne la vita? Noi vogliamo bene vivere; ma non
vogliamo
— 127,—,
vivere bene.
Siamo in questo dei rivoltosi, ma rivoltosi che continuano a stendere la
mano, rivoltosi che intascano. Non siamo molto fieri!
Noi siamo per sempre incapaci di dire a Dio un no
decisivo, un no assoluto. Questo no ci toglierebbe l'essere, e noi non
abbiamo potere sull'essere. Non possiamo distruggere nulla; non possiamo
creare nulla. Possiamo soltanto peccare cioè abusare della nostra
creazione e traviare l'essere.
Noi non possiamo rifiutare le offerte di Dio che
accettandole; poiché senza di lui noi non possiamo nulla, il gesto di
rifiuto non meno che qualsiasi altro gesto. E noi non possiamo offendere
Dio che per mezzo dei suoi doni, poiché non disponiamo di nulla e non
abbiamo alcun potere che non ci sia concesso da Lui. E questo che fa
l'incredibile malizia del peccato. II peccatore abusa dell'ammirabile
potere che Dio gli ha accordato sulla sua opera e quasi su Dio stesso.
Egli rivolge la sua propria regalità contro il Rè eterno dal quale
solo l'ha ricevuta.
Il peccato grave ha un'importanza infinita a causa
dell'infinità del rischio, a causa del carattere assoluto dei beni
eterni. Colui che con il sire di Joinville dicesse: Preferirei fare
trenta peccati mortali piuttosto che avere la lebbra, può ben essere
toccante di onestà e franchezza; ma egli ignora i valori cristiani.
Questi si esprimono in termini penetranti in queste parole del Maestro
stesso : « Se la tua mano o il tuo piede sono per tè occasione di
peccato, tagliali e get-
—"1:28 — • • '
tali lontano da tè: vai meglio per tè entrare nella
vita mutilato o zoppo che essere gettato, con due mani e due piedi nel
fuoco eterno. E se il tuo occhio,
étc. » (matteo, XVII, 79). . . ^L.-. , ,'.%
Il peccato fondamentale è 1' amor proprio, che consiste
nel darsi egoisticamente la vita e in qualche modo Dio stesso, invece
che darsi alla vita e al suo Padrone per una eterna restituzione.
Supponete un proiettile che indugi per suo conto invece
di correre al bersaglio. Esso cade. Così il peccatore egoista e
incosciente, che misconosce e abbandona il fine della vita.
Il paganesimo esigeva dal cristiano non che egli
confessasse d'esser cristiano per punirlo in conseguenza, ma che
assicurasse di non esserlo: allora lo si assolveva. Quando il mondo
spinge il cristiano al male per rispetto umano, esso pure non gli
domanda di non essere ciò che è: di questo il mondo non si cura, ma di
confessare così di non. esserlo. Soltanto questo rinnegamento di se
stessi davanti a Dio offende Dio. L'offende in se stesso come testimonio
e fine segreto di tutti i nostri atti, e in noi, figli e beneficiari dei
suoi doni.
Il giovane crede nell'uomo, e per questa ragione è
facilmente vittima del rispetto umano. L'uomo maturo non crede più
tanto nell'uomo, ma pensa maggiormente di averne bisogno, e sotto questo
aspetto il suo rispetto umano ha più bassezza.
—129—
9 - Snirifìiflììf/i
Quando io sono, per il peccato, in istato di rottura con
Dio, Dio è ancora nel suo pieno rapporto con ciò che io sono,
ma non più con me che Io sono. i
A rigor di termini, Dio non è il padre dei peccatori;
egli è il padre dei giusti. Fortunatamente, attraverso il Cristo,
Giusto per eccellenza e che risponde per tutti, Dio è anche il padre
dei peccatori.
Gli effetti del peccato ai sviluppano per forza propria
nell'uomo.
Accade che il corpo del peccatore sia come la caricatura
della sua anima e la denunci in tratti violenti. Accade che l'anima sia
la caricatura del corpo e ne ingrandisca i difetti o ne smentisca la
ingannevole bellezza.
« Chi commette il peccato è schiavo del peccato
». (giovanni, Vili, 24).
Ogni anima si tesse una rete, poi rimane presa nella sua
rete.
Ogni azione cattiva, e così pure ogni sentimento basso
o ingiusto è un'ingiuria all'uomo e a tutta la umanità di conseguenza.
:
£ naturale che l'uomo, spirito incarnato, realizzando
se stesso acceda all'ordine dello spirito puro e fraternizzi con lui
nella gloria degli esseri, E è na-
--. 130 —
turale che lo spirito incarnato, uscendo dalle
sue vie, cada sotto l'impero dello spirito puro anch'egli traviato, e
incomparabilmente più potente di lui.
Negare Satana, non è sfuggire al suo potere; e
piuttosto dargli la propria anima in balìa.
; La paura del peccato può essere molto facilmente
un'occasione di peccato; essa stabilizza il nemico sul posto e
indebolisce il combattente. La tattica buona è l'indifferenza quando si
può e l'energia quando si deve. Ogni altra è nefasta.
La contrizione vera del peccato è il cambiamento di
condotta, e la sua consolazione il progresso.
Quando ci inganniamo, l'errore è nostro, e
quando siamo in fallo, la colpa è nostra. Eppure l'amore di Dio
assume i nostri errori, assume pure le nostre colpe, e basta lasciarlo
fare con cuore consenziente perché tutto non torni che a vantaggio
nostro.
Una nobile scienza; ((Fare di una sconfitta una
bellezza » (maukice babkès).
Le nostre colpe passate, riparate, sono segnalazioni che
indicano a noi e all'uomo di buona volontà la via retta.
Nella vita morale, la volontà di bene ha l'iniziativa.
Il pentimento ha l'esperienza.
-. 131 —
Nella corsa, non si tratta di non cadere, ma di arrivare
lontano.
I convertiti rendono grandi servigi ai cristiani. Essi
soli possono sapere — e non soltanto per avervi guardato da lontano
— dove sono i pantani. Le scarpe imbrattate che essi spogliano
rientrando ci informano delle strade; essi ne danno testimonianza
all'imprudente; ne procurano conferma per il saggio.
E facile immaginare la conversazione tra il Prodigo e il
figlio maggiore, una volta calmata in questi la sua piccola crisi
gelosa: Fratello, si sta bene in casa. La sua dolce monotonia mi aveva
stancato; ma laggiù, tra i porci e nella miseria, ne ho riconosciuto la
nobiltà e il valore.
, Nella natura il bene è spesso un dottore paterno che
lascia languire il malato, e il male un carnefice benefico che lo fa
guarire. Nell' ordine umano succede più d'una volta così. Senza i
peccati di Agostino, avremmo forse avuto Agostino? Senza l'orgoglio di
Luigi XIV, avremmo forse Versailles, e senza l'egoismo capitalista le
reti di strade ferrate, i piroscafi che hanno coperto in poco tempo la
terra e il mare?
L'innocenza e il peccato cercano l'una e l'altro Dio; ma
l'innocenza Io trova nella giustizia, il peccato nel perdono.
La virtù acquistata o la virtù riacquistata hanno meno
poesia dell'innocenza; ma ne hanno più valore.
— 132 —
Ho creduto uà giorno che per causa mia tutto fosse
perduto. E ho riconosciuto in seguito che tutto era salvo, in ragione
stessa della mia stoltezza, in ragione stessa delle mie colpe. O Dio
saggio e misericordioso senza limiti! O Dio Amore!
Dio non solo permette che mi lamenti con lui delle
conseguenze del mio peccato e del mio peccato stesso come d'una
disgrazia che mi sarebbe accaduta e che egli avrebbe permessa, ma Egli
stesso interpreta così; Egli stesso così confessa nel mio cuore. O
misericordia infinita!
Quando iì prodigo ritorna a casa, non vi trova più
nulla come prima. Anche suo fratello è cambiato. Ma egli ritrova il
cuore di suo padre.
Se non si avesse nulla da farsi perdonare, si
conoscerebbe veramente l'amore redentore? Fortunatamente anche i santi
sono dei peccatori, senza di che la loro conoscenza del Dio Amore
sarebbe debole e essi non ce ne parlerebbero con quell'ardore che
trafigge.
QuelU che non sono dei santi devono, ancor più dei
santi, esperimentare Dio nella sua misericordia, fare dei loro stessi
peccati un legame di più con lo Sposo divino, il Fratello generoso, il
Padre, gustare quella infinita indulgenza che non può appartenere che
alla Purezza senz'ombra e all'Amore senza fondo.
Non bisogna vergognarsi di esser stati castigati.
Bisognerebbe farlo per aver peccato e non esser poi stati castigati.
— 133 —
Benediciamo anche la folgore, se i lampi ci guidano
nella notte. Il rischio di essere incenerito ha meno importanza per il
viaggiatore che l'ignoranza o l'oblio del proprio cammino.
Convenirsi, è semplicemente ritrovarsi in vista di
realizzare completamente se stessi.
Un uomo che si con verte è un uomo che cambia
radicalmente il suo pensiero essenziale e che colloca diversamente la
sua fede.
Convertirsi, è accettare di vedere la verità delle
cose e conformarvi la propria condotta.
Con il pentimento, io assumo la responsabilità di ciò
che ho fatto, e nello stesso tempo la depongo. Mi rinnego e mi
riconquisto. Mi respingo e mi riprendo.
La conversione è un rivolgimento. Ma rivolgersi non è
cambiare. Ciò che si era, lo si è sempre. Di ciò di cui si disponeva,
si dispone sempre. Quanto di passione e di risorse si apportava al male
lo si può ritrovare ancora per il bene. Convertirsi è essere gli
stessi.
Unito al suo Principio e ricreato senza fine, l'uomo è
sempre completamente nuovo.
Bisogna convertirsi ogni giorno, ogni ora: con-vertirsi,
cioè cambiarsi e rivolgersi verso Dio da cui l'impetuosa corrente della
vita ci distoglie senza fine.
— 134 —
La conversione non consiste propriamente nel rinunciare
al male, ma nel volgersi verso il bene. Rinunciare non sarebbe nulla,
rinunciare potrebbe essere persino assurdo, senza l'attrazione
vittoriosa di un oggetto più alto. Non si tratta di vivere meno, ma di
vivere meglio. Nessuna vera distruzione qui, ma una Crescita e una
correzione.
Una conversione è come uno scioglimento di ghiacci al
sole. Una vita aveva una solidità fittizia perché la sua temperatura
morale era al disotto del livello normale: la grazia la riscalda, e
avviene il benefico sgelo, avviene per l'avvenire la libera espansione
del flutto.
Il pentimento è un giudizio in cui non c'è accusatore,
ma in cui l'accusato stesso proclama la sentenza in nome d'un visibile
giudice etemo.
Più il convcrtito avanza nel bene, più egli si
addolora dei suoi vecchi errori; ma più ancora gli è dolce la forza
che ne lo ha rialzato poiché giorno per giorno egli ne esperimenta un
po' più Fazione.
I perdoni di Dio non devono essere ricevuti con
leggerezza, come se il peccato non fosse nulla, e neppure con cuore
afflitto, come se si mettesse in dubbio la generosità del perdono.
Tutte le delicatezze dell'amicizia, un sentimento elevato della
giustizia, l'entusiasmo per il bene, l'odio del male : queste sono le
disposizioni adatte a una ripresa della vita spirituale e che ne
assicurano l'avvenire.
—•'"135.—
Ci si ricorda spesso troppo delle proprie colpe;
non ci si ricorda mai abbastanza del perdono. Mentre il
pensiero delle colpe opprime, quello del perdono ha tutta la forza
stimolante dell'amore.
Il peccato non è forse dimenticato grazie al perdono?
Perché il peccato resti dimenticato, occorre dunque che il perdono non
lo sia.
Solo chi ha coscienza di non meritarla, merita veramente
la grazia di Dio.
Pascal odia con ragione la 'pretesa degli stoici di
trattare direttamente con Dio, come se essi ne fossero in grado, come se
essi si trovassero sul piano del divino e non irrimediabilmente separati
come peccatori. Ma il peccato grave ci ricolloca oggi nella stessa
situazione. Una mediazione ci è una volta di più necessaria: quella
del sacramento, che prolunga fino a noi quella del Cristo.
Le tré croci del Calvario ci rappresentano — quella
del Cristo l'efficacia della conversione e la sua nobiltà; quelle del
buono e del cattivo ladrone l'ac-;cettazione e il rifiuto di questo
potere redentore.
'/. La grazia è come un ponte che Dio cala
in noi per manifestarsi a noi e agire su di noi, in modo che noi
possiamo a nostra volta salire a lui e godere di lui in un'unione intima
che diventerà un giorno beatitudine, che è fin d'ora luce, dirczione,
salvaguardia, forza e gioia.
— 136 —
Per togliere l'uomo a Dio, basta l'uomo. Per restituire
l'uomo a Dio, occorre Dio. La ragione è che nel primo caso si tratta di
una defezione, nell'altro di una creazione, di una ri-creazione.
Si ha bisogno della grazia per evitare il male. Si ha
bisogno della grazia per fare il bene e avanzare nel bene. Si ha bisogno
della grazia per guarire dal peccato, dall'abitudine del peccato e dalle
conseguenze del peccato. Si ha bisogno della grazia per rialzarsi dagli
abusi della grazia e per crescere in essa. Si ha bisogno della grazia
dovunque e sempre, come le piante hanno bisogno della pioggia e delle
sorgenti. Ma la grazia, effetto dello Spirito, circola nella nostra
atmosfera come quell'invisibile umidita che diventa volta a volta
rugiada, acquazzone, riserva sotterranea, e torrenti, e fiumi, e mari.
Noi non possiamo avanzare da soli nella via del bene,
nel senso che ciò ci sia possibile senza Dio;
ma ciò che Dio ci dona con la sua grazia, è
precisamente che noi possiamo avanzarvici da soli. Così noi non
possiamo esistere senza Dio ; ma ciò che Dio ci dona con la sua
creazione, è che noi abbiamo il potere di esistere.
Dio che continuamente ci crea, può in ogni istante
creare la nostra innocenza intatta come quella del nostro primo padre.
Il nostro passato di colpe, quando l'abbiamo rinnegato, non lo intralcia
in questa creazione. Ancor meglio, la sua provvidenza ne fa un mezzo ;
egli può così porci nelle condizioni in cui ormai egli stesso ci
vuole, benché noi vi ci siamo
— 137 —
posti ieri con la nostra volontà peccatrice. Proprio da
questo stato nuovo egli intende trarre ora, con la nostra
collaborazione, il nostro progresso e la nostra felicità.
L'uomo che lo Spirito di Dio anima, trova la sua via e
vi si avanza come l'uccello migrante verso la contrada dove svernare.
Egli non è ne tratto in avanti uè spinto indietro; egli è condotto
dal suo spirito stesso; poiché il carattere di questa azione misteriosa
è di fare 'di Dio e dell'uomo « uno spirito solo» (I cor., VI, 17).
L'argilla che è stata cotta al sole o al fuoco può
sfidare i secoli in forte muraglia, in cattedrale, o in piramide.
Perché l'argilla umana non dovrebbe poter consolidarsi e diventare
eterna al sole di Dio, al fuoco del suo amore?
Quando pensiamo ai nostri traviamenti non lo facciamo
mai soli. Da peccatori, non fummo soli; c'era pure la presenza di Dio
offeso, di Dio misconosciuto a danno di noi stessi e dell'opera
provvidenziale. Quando riviviamo in ispirilo questo passato, facciamo
sì che Dio abbia, di nuovo, ad esser presente, come Padre questa volta,
questa volta riconosciuto per ciò che è e noi per ciò che siamo. La
conversione è un amore in lacrime, un appello confidente e una
speranza. ;
Perché pensar sempre al modo in cui abbiamo potuto
perderci, invece di gustare le arti miaericor-
—^SS ^-
diose che ci liauno salvato? Perché sondare senza
tregua l'abisso, invece di scalare serenamente la montagna?
Sotto l'arcobaleno, come sotto un grande arco, passa la
pace di Dio per il rinnovamento della terra. Addio tempesta! nasce la
speranza; la rettitudine traccia il suo cerchio perfetto; la bellezza
risplende.
Quando il turbamento m'invade e temo di ritornare su
vecchie posizioni, di perdere il mio vantaggio, e quando in questo
timore mi sforzo di riprendere il dominio di me stesso da solo invece di
confidarmi in Dio, io sembro a quei discepoli che dicessero al Signore
nella tempesta non : « Salvaci, periamo » ; ma : Lascia fare,
affinchè noi ci salviamo da soli e salpiamo anche tè con noi.
Discepoli d'Emmaus. Vi sono di quelli che entrano nella
locanda della morte in compagnia del Signore senza aver saputo
riconoscerlo. Essi lo riconosceranno alla frazione del pane.
Vi sono convertiti segreti. Vi sono conversioni che non
sono precedute da appelli. Gesù non ha guarito soltanto quelli che gli
gridavano la loro miseria, egli ha guarito i silenziosi: come quella
donna che lo seguiva dicendosi : « Se io tocco soltanto la frangia
del suo vestito, sarò guarita » (matteo, IX, 21). Fiducia sublime!
Ma anche virtù sublime del Salvatore segreto, che lui pure non dice
nulla, e tuttavia agisce da corpo a corpo, da spirito a spirito,
convertendo e guarendo, illuminando e traendo seco quelli stessi
— 139 —
che non gli domandano nulla, che torse non vi pensano
neppure, non lo conoscono, ma che camminano al suo seguito, come la
donna di Cafarnao, facendo le opere che egli ama e prendendo così posto
tra i,-suoi discepoli.
« Chi fa la volontà del Padre mio che è nei deli,
quegli è mio fratello, e mia sorella, e mia madre rt (matteo, XII,
50). Non si rinnega la propria famiglia. Il Cristo soccorre questi
parenti segreti; ascolta :i loro desideri; guida i loro passi; infonde
loro chiarezze che possono anche non arrivare fino alla piena luce e
alla fede esplicita, ma che, almeno, ne danno loro l'intenzione
efficace, e perciò stesso il frutto. •
Malati dell'anima, contemporanei nostri, che vi
mantenete retti, nonostante tutto, pur nei cammini
dell'errore, che fate la verità che il vostro spirito
ignora, abbiate fiducia. Le frange del vestito sacro non si
sottrarranno. Anche senza toccarle voi potete ; riceverne la
virtù che già vi anima certamente. « Tu non mi cercheresti se
non mi avessi già trovato » :
è dire troppo poco; obbedendo alla mia legge, tu mi
troverai, anche qualora non mi avessi cercato.
140;
VII GLI ALTRI
Non si è per se stessi una persona che grazie ai
propri legami spirituali con gli altri simili. Senza di ciò non si è
che un io privato dei suoi vincoli naturali, e si tende a non essere che
un esemplare del gruppo ominide, un campione della specie uomo, un individuo.
Non si può pensare se non evocando un'idea ;'
non si può volere se non avendo di mira un oggetto;
non si può amare se non affezionandosi a un essere.
Ora, che cosa saremmo senza pensiero, senza volontà, senza amore? E a
che cosa ci abbasseremmo, se non consacrassimo ai nostri simili il
meglio dei nostri pensieri, delle nostre volontà, dei nostri amori? II
prossimo è dunque un'esigenza stessa della nostra vita, come il pane,
come i sogni.
Ridotti a se stessi, o ridotti a nulla, sarebbe la
stessa cosa; poiché in qualsiasi condizione sociale e in qualsiasi
campo, noi non viviamo che di prestiti-, Per essere veramente se stessi,
bisogna darsi a tutti e al Tutto.
—141 —
Appunto perché mi amo devo amare il prossimo;
poiché non posso amarmi che là dove sono, in Dio, dove sono pure gli
altri. Solidale con Dio, non sono per ciò stesso solidale con tutto
ciò che egli anima e con tutto ciò che egli contiene?
Uno stesso slancio creatore ci trasporta tutti, come un
vento d'autunno carico di semi. Lo slancio creatore è uno slancio
d'amore; esso non può ispirare che amore. Tutti quelli che ne
partecipano per essere, ne partecipano necessariamente per amare.
II sentimento stesso della mia indipendenza mi inclina
ad amare gli altri ; poiché la mia indipendenza è fondata in Dio, non
è nulla senza Dio, e incontra in lui indipendenze sorelle
l'inclinazione delle quali, come la sua, è 'di legarsi liberamente
nell'amore.
Vi è un'adorabile sorpresa nell'incontro esatto di due
spiriti o di due cuori in uno stesso pensiero o in uno stesso
sentimento, quasi essi penetrassero d'improvviso l'uno nell'altro e non
facessero, sotto questo aspetto, che un essere solo.
Il prossimo non è prossimo che per l'interposi-sizione
di Dio, come il fratello si unisce al fratello passando per il padre.
Questa infinita interposizione ci separa forse? Sì, in caso di
conflitto decisivo del prossimo con Dio; ma normalmente e fino alla
rottura estrema del legame, essa ci congiunge.
Chi non ama tutti gli uomini non ne ama nessuno come prossimo;
poiché il prossimo è una per-
»:—<.. ,142^-
sona fraterna, e noi tutti siamo fratelli in Dio.
Escludere un uomo da questa comunione è escludere Dio, e escludere Dio
è escludere ogni rapporto fraterno.
L'amore di Dio per noi e il nostro amore per i nostri
fratelli sono tra di loro come la voce e l'eco.
Dio può dirci da solo : Figli ! Ma soltanto insieme noi
possiamo rispondergli : Padre!
Dio non ci ha creati distinti gli uni dagli altri,
nell'umanità, che per metterci in grado di superare questa distinzione,
pur rispettandola e procurandole i frutti che essa comporta. E quanto fa
l'amore. Grazie ad esso noi conserviamo coscienze, attività e gioie
distinte, e tuttavia facciamo tutt'uno.
Dio non riversa i suoi beni spirituali, da cui tutti gli
altri dipendono, se non in quel punto d'ogni coscienza che la mette in
comunicazione con tutte le altre coscienze. Non vi sono doni che
collettivi, e proprio per questo tutto è stato rimesso a Gesù
Cristo, espressione vivente e mezzo necessario della nostra intima
solidarietà.
Non vi è se non un solo beneficio di Dio nei riguardi
dell'uomo: è Pamore che egli porta al suo Cristo e in lui a tutti gli
uomini. Tutto il resto è conseguenza. E la trafila del ritomo è la
stessa. Non vi è culto o servizio che possa pervenire a Dio se non
passando per il Cristo e per tutti gli uomini. Un isolato sarebbe
necessariamente un maledetto.
Si potrebbe veramente amare un amico se non lo si amasse
com'egli vuole essere amato, come egli
— 143 —
stesso si ama? Chiunque pretende amare Dio deve dunque
amarlo negli altri, come egli domanda, e deve amarlo come egli stesso si
ama, di un amore aperto, di un amore di generosità e di dono.
Dio agisce in noi e attorno a noi in uno stesso modo;
egli è dappertutto amante e dappertutto creatore. CoIIaborando con gli
altri e aiutando gli altri, • noi siamo i cooperatori di Dio e gli
artefici di noi stessi. L'egoismo solo è sterile e impotente.
Quando io rientro in me stesso, mi sento emanato da una
Sorgente inestinguibile e istintivamente cerco attorno a me, come Adamo,
un essere simile a me. Adamo non si conosceva senza Èva e non aveva,
senza di lei e senza i loro figli, un sentimento perfetto del suo
essere. Così il commercio e l'amore del prossimo sono necessari a un
sentimento pieno e a un pieno amore di se stessi. -,
Più un uomo è grande, più egli deve sentirsi debitore
di tutti; poiché non si è grandi che del proprio rapporto diretto o
indiretto con Dio, e questo rapporto ci rende debitori di ogni creatura.
Quando si dice che noi siamo uno in Dio e che dobbiamo
essere liberamente uniti in Dio, non bisogna intender ciò
superficialmente, come se Dio non fosse che un termine di riferimento,
un legame in qualche modo verbale. Ciò non significa solo: Dio ci ha
creati perché fossimo uniti e noi dobbiamo essere uniti in questa
volontà. Ciò vuoi dire che molto realmente noi esistiamo gli uni e gli
altri in Dio, e che non possiamo dunque cessare di essere uno della
—144—
gua unità stessa, come le membra di un corpo, se così
si può dire. Ma ciò che noi non possiamo evitare
? quanto al fatto, bisogna volerlo moralmente e dame
delle prove. Noi siamo uno per natura e, situazione nell'Essere; bisogna
che ci rendiamo uno per nostra
libera scelta.
Amare, non è esercitare da soli un'iniziativa, è
canalizzare l'amore creatore, al quale si devono il proprio essere e
tutte le proprie potenze. Chi non ama che sé riceve dunque l'amore come
un vaso riceve un liquore che non sa versare. Amando gli altri, si fa
ritomo alla propria natura attiva e si fa parte, gustandolo
maggiormente, di ciò che si ha ricevuto.
Ogni essere è un intermediario tra noi e Dio,
soprattutto un essere umano, figlio di Dio come noi, rappresentante come
figlio una paternità facile da riconoscere, poiché essa è anche
nostra. Amore del prossimo, amore di Dio nel prossimo, amore di Dio
attraverso il prossimo : tutte queste espressioni sono equivalenti, se
ben comprese.
Il prossimo, se noi sapessimo contemplarlo, invece di
guardarlo soltanto, di subirlo o utilizzarlo, ci aprirebbe, nel
visibile, una prospettiva su tutto l'universo, visto che l'umanità è
il punto più elevato di concentrazione di tutte le forze cosmiche, e la
sua anima ci incamminerebbe verso i domini più alti dello spirito. Al
di là, al termine dell'una e dell'altra prospettiva, vi è il punto
inaccessibile di incontro, vi è Dio.
Ogni personalità è un mondo, e può ben esservi
comunicazione, unità tra i diversi elementi di un
— 145 —
mondo; ma perché mondi diversi comunichino e si
uniscano altrimenti che per legami accidentali e trafl-sitori, bisogna
passare per Colui che è l'origine di-tutti i mondi e che può unirli in
sé. !,'<
Più noi siamo noi stessi, più desideriamo che altri
siano pure loro stessi e siano loro stessi per noi;
poiché il centro di noi stessi è nel punto di incontro
delle nostre anime con tutte le altre, là dove esse toccano Dio.
Quando amo un altro in Dio, amo subito i suoi caratteri
propri, le sue differenze, che sono in lui il segno di una
intenzione provvidenziale e come il marchio della sua creazione. Io non
gli domando di assomigliarmi. Più egli diversifica da me, e più, in un
certo modo, egli mi è fratello, in quanto esprime così come me una
sfumatura particolare nel? idea creatrice dell'umanità.
E certo che le differenze e le opposizioni fanno da
ostacolo; ma l'amore che le supera sa utilizzare esse pure; grazie a
loro esso si purifica, accresce la sua generosità, e offrendo la sua
collaborazione giunge a constatare che differenze e opposizioni, se
vengono armonizzate, moltiplicano la forza.
Quegli stesso che la pronuncia non aa sempre quanta
profondità vi sia in queste parole di innamorato riconoscente: Ti
ringrazio di essere tè. La personalità d'altri — e non soltanto d'un
essere par-ticolarmente caro — è una incomparabile ricchezza a
servizio nostro. Se noi sapessimo cogliere quanto essa contiene per noi
di accrescimento, di stimolo,
— m —
di rettifica, di controllo, di prova nel senso tecnico
del termine, noi ringrazieremmo tutte le anime. Senza di esse la nostra
non si realizzerebbe in misura alcuna; per mezzo di esse non potremmo
realizzarci in perfezione.
Un falso misticismo sostiene di amare il prossimo
perché ama Dio nel prossimo. Ma esso l'intende in modo tale che l'amore
non fa allora che attraversare il suo oggetto senza lasciarvi nulla di
se stesso. Tanto vale amare un crocifisso, attraverso il quale è ben
Dio che si incontra. Il prossimo che bisogna amare, è il prossimo
umano, lui stesso, lui nella sua personalità unica, impossibile da
confondere con un'altra o con Dio, benché la si ami in Dio e nella
comunione di tutte le altre persone con Dio.
Vi sono di quelli che credono di amare gli uomini
perché amano in essi l'umanità astratta, o all'inverso perché amano
in essi qualità concrete spogliate del loro senso umano e universale.
Tutto ciò non è che abbassamento dell'amore o parola vana. L'umanità
concreta non ha valore che in rapporto al suo significato spirituale e
universale. L'umanità astratta non ha interesse che negli individui
concreti, in cui essa si realizza in casi sempre unici e sempre nuovi.
Quale differenza tra il prossimo e il vicino, il
compagno, il concittadino, il socio, il camerata, il collaboratore, il
correligionario stesso! Il prossimo è una persona fraterna, un
io prolungato; tutti gli altri prima di una adozione simile, non sono
che individui tagliati in quel blocco che si chiama la specie, in
; — 147 — !
quell'altro blocco che è la società. Ora, vi è tra
l'individuo e la persona tutta la differenza che passa dalla materia
allo spirito, dal corpo ali' anima. Così gli individui sono
naturalmente nemici, oppure amici in vista di un'utilità o del piacere.
Ma le persone sono naturalmente amiche; esse sono in comunione e mettono
in comune valori « che non si trovano in commercio », fosse pure il
commercio dei valori spirituali.
Molti compagni d'esistenza, collaboratori, soci, «
amici » persino, sembrano a quell'asinaio che sella dapprima il suo
umile servitore a pieno carico e poi vi aggiunge anche il suo proprio
peso.
Si mettono in guardia i giovani contro i cattivi
compagni e gli ambienti cattivi; chi pensa a metterli in guardia contro
i buoni?
La massima abituale degli uomini : « Non essere troppo
severi con se stessi, e non esigere dagli altri che la perfezione » (jules
renard).
Vi è una specie di invidia insidiosa che si da
volentieri arie di virtù. Essa invidia i doni altrui, sognando senza
dubbio di poter trame meraviglie. Ma prima di tutto queste eventuali
realizzazioni sono mal garantite, e si dimentica che il valore della
nostra vita non dipende dai doni che noi mettiamo in opera, ma dalla
maniera in cui ne usiamo. Chi ha ricevuto la libertà ha ricevuto tutto
con essa, persino la grazia, che non si rifiuta mai, e gli effetti della
grazia, cioè l'oggetto delle più esigenti ambizioni. Non c'è bisogno
di attitudini speciali per volere il
— 148 —
bene, e tutte le ricchezze dell'essere Dio le fa
dipendere dal solo buon volere;
Espressione di un ironista : « Mi farebbe tanto piacere
essere buono!». Togliete «piacere» e mettete gioia; poi rivolgete
questo augurio alla vostra personalità libera.
;' Pescatori di acque torbide. Succede che non sap--piano
poi come allestire il pesce. E la rivincita delle cose e la vendetta
dell'ordine divino.
Ciò che separa gli esseri è superficiale e si misura
col tempo. Ciò che li avvicina è fondamentale e si misura con
l'eternità.
Esseri che si conoscessero veramente andrebbero sempre
d'accordo; poiché tutti gli elementi del reale sono amici in Dio e
fatti per intendersi nella sua' provvidenza. In ogni malinteso c'è una
incompren- ;
sione, come in ogni colpa un errore.
Chi ama il bene negli altri, ha un merito doppio: egli
ama il bene e ama gli altri. Non potete amare due volte anche a causa
del male? Amate almeno una.
Una cosa sola ci mantiene in pace con noi stessi
malgrado tutti i nostri contrasti intcriori : l'attaccamento istintivo
che portiamo al nostro io. AI di fuori, ' dove ritroviamo gli stessi
conflitti, la pace non può venire che dalla simpatia umana, sostenuta e
rafforzata dalla carità. . .r!
— 149
l'-4i•-
Coloro che disdegnano di soccorrere il prossimo
materialmente, riservandosi, essi dicono, per le anime, dimenticano che
il loro Maestro ha guarito malati, nutrito affamati, purificato
lebbrosi, aperto gli occhi a ciechi, e spesso senza aspettare una sola
parola di invocazione.
L'elemosina è un'ingiuria, quando non ha assicurato
prima la giustizia e non passa per la carità.
Una giustizia senza carità è un palazzo senza
fondamenta e senza piani, un pianterreno in rovina.
Un cuore caritatevole e una mano disarmata, una mano
vuota : questa, davanti a Dio, è la testimonianza più bella della
carità.
Gesù ha lavato e asciugato i piedi dei suoi discepoli,
e ci ha invitato a fare lo stesso. Noi lo faremmo volentieri come lo si
fa il Giovedì santo, con bei gesti e una pietà convenuta. Ciò che
più difficilmente accettiamo, è che il prossimo scelga di sua testa i
nostri bei palazzi, i nostri bei tappeti, i nostri bei vestiti e la
nostra pelle stessa per asciugarvi i suoi piedi.
Tutti amano la pace. Il male è che ognuno nutre
passioni più forti d'essa.
La parola ci è data per favorire l'accordo. Musica di
scambio, di cui noi facciamo una cacofonia di strumenti discordi.
Una carità delicata: obbligare il prossimo a coltivare
il meglio di sé, col riconoscerlo e lodarlo.
— 150 —
Quante anime schiave di ciò che sono, e che non
domandano se non d'esseme liberate!
Dio prende per sé ciò che noi facciamo agli altri;
per questo egli ci tratta a sua volta come noi trattiamo
gli altri.
Chi rifiuta l'amore indurisce il cuore di Dio. Chi
rifiuta il perdono rende il Giudice implacabile.
E un'insidia o una misericordia il fatto che Dio affidi
a noi stessi la misura del nostro perdono? È un'insidia per
l'implacabilità, è una misericordia per la misericordia.
Chi degli altri non pensa ne bene ne male, ne pensa
male. Chi non scopre del bene in nessun luogo manca di bene.
« Non giudicate, affinchè non siate giudicati
» (matteo, VII, 1). Imprudenti, voi che giudicate gli ; altri, non
vedendo che offrite a chi vi ascolta i dati 'per il vostro stesso
giudizio!
Quando io accuso il mio prossimo, automatica-' mente
prendo davanti a Dio posizione di accusato.
Sono quelli la cui vita è tutta occupata a mal;
fare che trovano più tempo per criticare gli altri. :
È molto indovinata e gustosa questa massima di un
autore contemporaneo: Per disgustarsi dei propri gusti e delle proprie
suscettibilità, considerarli negli altri. Per sopportare i gusti e le
suscettibilità degli altri, considerarli in se stessi.
— 151 —
La dolcezza cristiana non trova ricompensa sulla terra;
essa è considerata una « viltà », una « bassezza », un « inganno
». Ma poiché essa lascia il compito di far giustizia a Colui che è il
Giudice giusto, e poiché riflette in sé l'attributo per eccellenza di
Colui che è l'Amore, essa trova nei cicli la sua ricompensa.
L'uomo caritatevole non viene mai ingannato. Non lo
potrebbe essere che se si avesse il mezzo di impedirgli di essere
caritatevole.
Essendo la carità nei nostri rapporti il solo valore
assoluto, e non dipendendo questo valore che da me stesso, chi può mai
arrecarmi danno? Il ladro che mi lascia tutta la mia ricchezza non mi ha
sottratto nulla.
Io solo posso ingannare me stesso. Nessun altro, nel
campo spirituale, ha questo potere.
Quando mi si accusa di ciò che non ho fatto, oserei,
sotto lo sguardo di Dio, rivoltarmi e gridare all'ingiustizia se penso a
ciò che ho fatto?
Un vero cristiano in mezzo a cristiani tiepidi, per
quanta cura abbia e si prenda di farsi piccolo, acquista sempre aspetto
di giudice. Il suo silenzio stesso significa: Voi vi dite cristiani, ma
non lo siete. Così non lo si ama affatto; lo si odia facilmente; ci si
studia di sminuirlo, di trovargli lati deboli, come per creare
l'uguaglianza della denigrazione. Ma un tale atteggiamento è una
confessione di colpabilità, e il cristiano fedele, per quanto umile si
faccia, se ne trova innalzato.
—• 152 —
Chiunque ama Gesù Cristo cerca di comunicarlo.
Elettrizzato, egli elettrizza. Per Colui nel quale risiede la pienezza
dello Spirito, ogni spirito che lo ritrova è un luogo di passaggio.
Non c'è bisogno di due lampade, in una stanza, perché
la notte ne venga scacciata.
Siete un uomo illuminato? Dovete allora essere una luce.
Siete forte? Siate allora una forza.
Il Cristo ha fatto in questo mondo tutto ciò che vi
doveva fare; ma nulla di ciò che egli è venuto ad annunciare è fatto
veramente. Egli ha voluto « mettere il fuoco alla terra »
(luca, XII, 49), infiammare il globo d'un fuoco spirituale, e a stento
vi circolano fiamme corte e rare, accendendo davanti allo sguardo un
fuggevole bagliore.
Solo col comunicarsi ad altri si può raggiungere il
limite perfetto di sé. Solo al servizio dei piccoli un grande uomo si
supera veramente. L'albero ha forse finito di germogliare prima del
frutto che contiene il seme? Un animale è forse perfetto, «intiero»,
se non è fecondo?
Quando si sa dov'è la vita e che si ama, come è
possibile conservare il segreto per sé soli?
Certi uomini onesti che arrossirebbero di non pagare i
loro debiti non pensano di dovere al loro prossimo la suddivisione dei
propri beni spirituali, il consiglio o l'esempio trascinante, la
preghiera, l'amore.
— 153 —
Per far fronte agli incidenti minuti della vita:
una caduta, un incendio, una malattia improvvisa, è
facile trovare l'aiuto di molti. Ma se si tratta dei più grandi mali,
che sono l'oblio di Dio e la corruzione morale, il contagio del male, e
l'incredulità, non si suscita l'interessamento di nessuno.
La Scrittura paragona gli apostoli alle nubi fé"
condatrici. I nostri allora sono i tempi della nuvolaglia senz'acqua.
Non c'è ricompensa temporale per l'apostolo; ciò che
esso annuncia è incommensurabile con ogni valore del tempo. Non si può
pagarlo; si può soltanto seguirlo. £ vero che il legame fraterno così
formato in Dio è per lui un tesoro.
Io non ho missione d'apostolo, dicono certi cristiani.
Forse che i nemici del Cristo hanno una missione? Essi se la danno per
passione, per odio: noi non ce la daremo per amore?
L'apostolato è prima di tutto adorazione.
Le porte a cui è più necessario che si batta sono
quelle che non s'apriranno.
La porta che si apre non cede alla sola spinta esterna;
vi occorre un concorso di varie altre forze che forse avrebbero potuto
bastare a aprire senza aiuto. La porta che non cede prova dunque ancor
meglio che bisognava battere.
La porta che cede rende l'apostolo utile all'uomo;
quella che resiste, a Dio solo.
— 154 —
Le imprese più eroiche per l'avvento del regno di Dio
appaiono sempre un po' assurde. Vi è una tale sproporzione tra Poggetto
e lo sforzo! Si pensa a un Atlante nano che si carichi del globo e del
suo Signore insieme! Ma proprio questa sproporzione infinita, infiamma
più di ogni altra cosa di zelo l'anima profonda; poiché il sentimento
dell'adorazione la spinge a gettarsi con ebbrezza nel suo nulla, e
proprio questo essa dona all'amore.
Nulla impressiona l'uomo esteriormente come l'evidenza
di un mistero in noi. Simili agli altri, per quanto noi ne diciamo,
siamo degli impotenti. Divinizzati, noi irradiamo Dio.
Quando io parlo del bene a degli ascoltatori, non li
posso vincolare, la verità sola li impegna; Dio solo è il loro
Maestro; ma io impegno me stesso davanti a Dio facendomi suo testimonio,
suo portavoce, e guai a me se non me ne ricordo.
L'apostolato normale si fa da anima a anima, non da tesi
a uditorio come in un corso d'università, o da dramma a platea come in
un teatro. Ne consegue che il predicatore è nullo, spiritualmente, se
non è un santo lui stesso. Si potrà dire: ha parlato bene — successo
da teatro, o : ha ragione — successo scolastico. Ma quella muta
adesione che viene dalle anime comunicanti in Dio e passantisi Runa
all'altra la fiamma, egli non la potrà conoscere affatto.
I predicatori citano come gli altri queste parole di
Cicerone : « Io non posso mai prendere la parola in pubblico senza che
i capelli mi si rizzino sulla
— 155 —
testa ». Riflettono essi che questo spavento
dell'oratore è semplicemente l'emozione che gli proviene dalla folla? E
che cosa pensano dello sguardo che discende da più in alto? Da questa
Presenza invisibile che essi sono venuti a affrontare assumendo un
compito spirituale? Che cosa pensano essi anche dell'interrogazione muta
delle coscienze che, da parte di Dio, sembrano dire: E tu? E tu? Una
emozione ben diversa dall'altra non drizzerà allora ben più
giustamente i capelli sulla loro testa?
Il predicatore che dal Vangelo non pensa se non a
ricavare e a distribuir ricette, ricetta per far danaro, per ottener
gloria, influenza, posizione, e che quasi si disinteressa delle anime,
quegli è ben lontano dal rappresentare Gesù Cristo, quegli è
traditore di Gesù Cristo.
Il compito dell'apostolo non è propriamente di esporre
il vero — compito di professore; ma di mettere le anime in faccia del
vero, mettendovisi egli stesso. La scena si svolge nelle coscienze, non
in una sfera ideale in cui verità diverse farebbero la sfilata con
altre verità solo per l'interesse speculativo della gente, senza che
questo abbia ad impegnare nessuno.
Nel rapporto vero della spiritualità e delle anime, non
sono io, oratore, che guarda la verità e invito a-guardarla, è la
verità che ci guarda. Non sono io che giudico 'della verità e invito a
giudicarla, è la verità che ci giudica.
L'uomo che parla di religione senza aver un cuore
religioso rassomiglia a chi descrivesse per sentito dire,
—156.—
senza esservi mai stato, i Propilei di Atene o gli
affreschi della Slatina.
L'uomo d'oggi non vuole soltanto capire, vuoi vedere.
Che cosa gli possiamo mostrare?
Un apologista fa gran caso e mena gran rumore di tutto
quello che la Chiesa ha fatto nel mondo. E
10 cerco in lui lo spirito di don Bosco, di S. Vincenzo
de' Paoli, dei cristiani che gli Atti degli apostoli ci
descrivono. O miei fratelli apologisti, qui sta l'apologià vera!
Ogni uomo semplice e retto potrebbe dire come
11 personaggio delYElettra : « Io ho una
qualità ; non comprendo le parole degli uomini, non ho istruzione;
ma comprendo gli uomini ». Vi sono molti che non
comprendono forse la vostra apologetica; ma comprendono voi stessi.
L'apostolo cerca di imitare il Cristo predicatore. Ma è
disposta a essere lui pure, al suo umile posto, YAgnello di Dio che
toglie i peccati del mondo?
Si può pretendere di condurre un'azione reden-trice
senza la croce?
Al predicatore succede di enunciare idee, di proiettarle
in qualche modo davanti a sé, per il pubblico, senza sentirsi in
rapporto con esse.
Certe prediche: — Una musica in cui non si fa
attenzione alle parole. Una parola in cui non si fa attenzione al senso.
Un senso ideologico o mitico in cui non si fa attenzione all'oggetto.
— 157 —
Certi predicatori cercano inconsciamente di prò- ;
vocare un'emozione che si rivolge a loro stessi, al
sen-t 'timento che li domina, ai pensieri patetici che esprimono e alle
espressioni vivaci che adoperano, distogliendo così l'attenzione
dall'oggetto stesso di cui trattano e non potendo dunque ravvicinarne
l'uditore.
La verità religiosa apparirà sempre più o meno ;
nella misura di chi l'annuncia, e per questo, nel senso 'umilmente umano
dei termini, il predicatore del Cristo deve sforzarsi di essere un altro
Cristo.
Quale disgrazia, se la mia chiave apre la vostra. dimora
perché Dio vi entri; e non la mia. ;
Un santo che parla a semplice brava gente, non ha in
fondo vero uditore che se stesso. Trasportato nell'assoluto, questo è
il caso di Dio o del Cristo che parla agli uomini...
Si condanna giustamente il fariseo. Ma dopo tutto meglio
vale per me un fariseo che mi mostri la buona strada che non un uomo
sincero che mi fuorvii. Il fariseo è allora il rappresentante di Dio
per la verità, l'uomo sincero per la rettitudine. Ma io non cammino con
la rettitudine degli altri, e non posso camminare' con la verità che
appartiene a tutti.
La verità vuole che si combatta l'errore. La giustizia
vuole che lo si combatta con armi probe. La carità vuole che si
combatta solo l'errore, e non l'uomo
traviato.
Regnare sugli spiriti e sui cuori è una ebrezza che sì
interpreta facilmente per zelo; ma è un falso zelo,
— 158 —
poiché a Dio solo spetta di regnare, e ci si è
insegnato ,a dire pregando: venga il tuo regno!
. Non si convince che con la simpatia. Non soltanto
una simpatia personale, che certe volte fuorvia, ma una simpatia nel
vero e nell'oggetto particolare della
.ricerca. « Bisogna che voi siate vittime della stessa
passione», diceva Nietzsche. «Siamo due, ma che la causa sia una sola
», dice Alberto il Grande.
Comprendere quelli a cui si rivolge, entrare nella loro
notte per apportarvi il giorno.
L'uomo che resta sulle sue posizioni vi resterà
solo.
L'interlocutore non progredisce che a partire da se
stesso. Chi rifiuta di farsi tutto a tutti potrà discutere ancora, ma
non convincerà nessuno.
Oh ! come la discussione è vana ! e come efficace un
discorso semplice in cui si indovina il cuore!
Contagio della simpatia nella verità, contagio di luce.
Il ciclo della sera si dischiude dapprima per una sola stella. Le altre
la seguono.
15%
Vili I/ ACCESSO A^ PADRE?
Quando mi chiedo se Dio esiste, farei meglio a
domandarmi se io stesso esisto. E senza l'Essere per eccellenza
come si poserebbe la questione d'essere o quella di non essere?
Se non metto in accordo, in me, l'essere con Dio, è a
me che io rifiuto l'essere.
Se io accordassi a Dio, in me, tutto l'essere che
merita, io sarei Dio.
Si dice che vi siano degli atei tranquilli. Forse. Ma
sono pur sempre dei disperati, come chi non pensa alla morte è pur
sempre un mortale. Non manca a questi uomini che la coscienza della loro
disperazione.
L'idealista crede il suo spirito indipendente da Dio —
che non l'ha creato —, e dall'universo — che lui stesso crea. È una
bella audacia! Il cristiano crede che Dio lo crei di continuo, che Dio
crei di continuo il mondo, e che, inoltre, Dio crei di nuovo il mondo e
si crei in qualche modo se stesso nel pensiero.
— 160 —
Dio ci offre un tesoro che è il suo universo. Il tesoro
nasconde il donatore, e le sue attrattive ci ineb-briano. Allora noi non
abbiamo più Dio.
Non è vero che la luce spegno la luce e che il giorno
nasconde gli astri? Così una povera scienza fa dimenticare Dio, osa
bandire Dio. Ma anche la conoscenza che abbiamo di Dio ce Io nasconde
nella sua essenza pura; è uno schermo di luce, come di una nuvola
translucida, ma non trasparente. Dio è veramente un Dio nascosto
(isaia, XLV, 15), un Dio « che si nasconde e si manifesta » (pascal).
E una legge comune ad ogni essere creato d'avere
inclinazione verso la propria causa, come verso il proprio riposo.
Senza Dio, noi siamo soli. Soli e debitori della
morte. Ciò vale dire che noi siamo già morti, poiché la morte ci
tiene in suo potere, ha un diritto totale su di noi, diritto che essa
esercita in ogni istante, prendendosi soltanto — e con tutto comodo
— il tempo di roderci.
Il nostro tesoro più prezioso è anche il più vicino ;
10 si afferra aprendo gli occhi : « Signore, fate
che io veda! » (luca, XVIII, 41).
« Cercate e troverete » (matteo, VII,
7). E se sei tu, mio Dio, che io cerco?
L'ombra di Dio, già ci illumina e ci fa desiderare
11 suo sole.
—-lér;"-11 - Spiritualità
Più siamo vicini a Dio, più dobbiamo sentircene ,
lontani, talmente egli ci supera. Avvicinarsi all'infi-,;;
nito, è sentir meglio la sua sproporzione con noi, e'i
non è questa un'impressione di allontanamento? Eppure egli è lì molto
vicino, i,;
La mia unione con Dio ha per principio la mia
separazione da lui e coincide in certi modo con essa. ;Io sono separato
da Dio dal? atto della mia creazione, che mi fa distinto dal suo essere
e partecipe del suo essere. Io mi unisco a lui spiritualmente e cerco la
coincidenza del mio spirito con il suo spirito, del mio volere con il
suo volere, del mio riposo beatifico con il suo eterno e beatifico
riposo. Ma questa coincidenza spirituale non è che il compimento della
mia creazione stessa, senza della quale, in ogni momento,
10 non sarei e non sarei per conseguenza ne questo, ne
quello, ne pensante, ne volente, ne amante, ne in beatitudine. Io non
abbandono dunque Dio, partecipando di lui, che per ritrovarlo vivendo, e
poiché questa vita è anch'essa una partecipazione, una creazione, io
non abbandono mai Dio; la mia pretesa separazione è ancora un'unione;
io non abbandono Dio che in Dio. E dalle sue braccia che io mi getto
nelle sue braccia.
Che cos'è più eloquente tra la parola di Dio e
11 suo silenzio? L'uno e l'altro procedono dallo stesso
verbo, sempre pieno di luce e sempre segreto.
Non è Dio che e, silenzioso, siamo noi che siamo sordi.
— 162 —
E comodo per la nostra viltà far Dio così grande che
ci sia estraneo e che possiamo così occuparci tranquillamente di noi
stessi. Ma farlo ciò che veramente è: fuori d'ogni misura e d'ogni
paragone, intimo quanto immenso, è l'umiltà vera, è la saggezza, è
il fondamento dei rapporti giusti e buoni.
Se ogni essere pensa di non esser nulla davanti a Dio,
ma che l'umanità sola conta, o l'universo, o la totalità degli esseri,
allora, poiché ogni totalità non è fatta che dei suoi esseri, non ci
sarebbe più nessuno davanti a Dio.
In lontananza, sulla montagna, attraverso la valle in
cui dormono le ombre, io vedo, ogni sera, un fioco raggio di luce che
filtra da una capanna i cui abitanti non sanno di occupare il mio
sguardo. Io penso che tutte le nostre piccole vite sono allo sguardo
divino come quelle vite lontane, molto vicine per lui. Dio ci vede, ,Dio
ci vigila con uno sguardo materno e noi non lo sappiamo.
Bisogna che Dio si nasconda perché noi lo cerchiamo,
come bisogna che la madre si allontani perché il bimbo impari a
camminare nella dirczione , delle sue braccia. ;
Chi pone la sua vita a contatto di Dio nell'intimo della
propria coscienza, non è mai portato a considerare gli avvenimenti
esterni come ostacoli, ma sem- ;
pre come occasioni, mezzi, testimonianze eventuali,
avvertimenti, segni divini, grazie.
— 163 —
Quante volte Dio apparentemente si gioca di noi per
condnrci alla verità e al bene, e ci opprime in vista della nostra
felicità! Sono, queste, severità di Padre. Sono giochi divini. • ; ^
Quale follia e quale insolenzà osar citare Dio dinanzi
al proprio tribunale, e lì, di fronte alle opere di Dio assunte come
documenti d'accusa, forzarlo a dichiarare che egli è o non è giusto,
che è o non è amore, o che non esiste! Un tale atteggiamento nei
confronti dell'Infinito è di una puerilità atroce, se questi due
termini si possono accostare; esso ci mette in ridicolo e ci condanna.
Chi sei tu, uomo, per osare di fare il giudice di fronte all'Eterno?
Nelle lagnanze che eleviamo contro la Provvidenza, vi è
spesso qualche cosa di odioso che non può sfuggirci se non grazie a
un'incredibile profondità d'incoscienza. Noi citiamo Dio davanti al
nostro tribunale come se fosse possibile che egli fosse colpevole e come
se noi stessi fossimo innocenti. La prima supposizione offende Dio; ma
che pensare della seconda?
Che dire di un proprietario egoista, alieno da ogni
senso di adorazione, forse ingiusto e corrotto, che tutt'a un tratto si
ricorda di Dio per bestemmiarlo perché una tempesta ha colpito i suoi
terreni? Quante volte nel segreto delle nostre coscienze, le nostre
lagnanze sembrano a quella di costui!
Noi non cessiamo di dimenticare Dio se non quando,
secondo il giudizio del nostro piccolo cervello, Dio « si dimentica ».
. 'M- 164 —
Nulla di più assurdo, ma anche di più disperante che
l'idea di una Provvidenza in fallo. Poiché se la Provvidenza stessa è
in fallo, non c'è più nulla da fare: come risalire una tale corrente?
Ma se siamo noi ad essere in fallo, o nella prova, o nella fatica,
davanti a noi sta la via del pentimento o dello sforzo, con la felicità
alla fine.
« Se riceviamo i beni dalla mano di Dio, perché non
anche i mali? » (giobbe, II, 10). Sarebbe dunque la stessa cosa?
Oh! quanto ciò è diverso per noi! E anche in sé. Ma è ben vero
invece che per Dio ciò ,è completamente identico, ugualmente elemento
della ;sua saggezza, ugualmente mezzo del suo amore.
Noi sappiamo che è folle giudicare Dio nella sua
provvidenza e esporci così alla probabilità di lagnarci delle grazie e
ringraziare per i mali. Noi lo sappiamo ; ma abbiamo sempre bisogno che
ce lo si insegni, [ e questo non è il compito di un professore sulla
sua cattedra, sia pure di un benevolo consigliere, ma dello Spirito
parlante nei nostri cuori.
Come il Vangelo lo vuole, la confidenza cristiana non si
preoccupa dell'indomani, e tutto l'avvenire essa include nella parola:
l'indomani. In modo che essa 'fa a Dio l'omaggio di tutta una vita in
questa umile parola, parola che esprime ciò che è molto vicino, mentre
l'angoscia dell'avvenire può portare così lontano.
— 165 —
Gi dicono all'immagine di Dio, e è vero. Ma ciò che in
questa immagine corrisponde a Dio, è Dio stesso. Noi non possiamo
dunque assomigliare a Dio che rimuovendo i limiti della nostra
personalità per far regnare in noi Dio stesso. Allora sì, noi siamo
all'immagine di Dio. .
Che si mediti la sorprendente osservazione di Tauler
: Se si potesse vedere un'anima veramente unita a Dio, non li si
potrebbe distinguere l'uno dall'altra!
Quando si dice al cristiano che egli è il tempio dello
Spirito Santo, egli si stupisce. Come può lo Spirito di saggezza e di
purità abitare questo cuore contaminato, questo spirito abbandonato
alle follie o assopito nella sua incoscienza? In verità, anche in noi,
questo Spirito che aspira e lavora in segreto, non si riposa mai che in
se stesso.
La presenza di Dio nell'anima non si riconosce da un
collo chino o da degli occhi al cielo, ma da parole di giustizia e di
carità, e da un'onesta condotta.
Noi giochiamo con Dio al gioco di : vince chi perde. La
nostra vittoria più grande è d'essere inte- ' ramente vinti.
Che cosa mi separa da Dio? Il mondo e me
stesso. Che cosa mi unisce a Dio? Il mondo e me stesso. In
qual modo mai posso fare così di un ostacolo un mez-,
zo, di un mezzo un ostacolo? Non si tratta che
d'una? cosa : aver gli occhi chiusi o gli occhi
aperti, in modo che tutto rimanga opaco o diventi trasparente.
— 166 —
« La nostra frequentazione è n-ei dell » (filipp.,
Ili, 20). Noi non siamo lassù come ospiti di passaggio, uniti a Dio nel
corso di una preghiera o di un sacramento; noi abbiamo lì il nostro
domicilio segreto, la nostra permanente dimora. Come il tempo è
nell'eternità: così, esseri del tempo, noi dobbiamo vivere
nell'eternità.
Chi frequenta Dio è il più ricco di doni verso i suoi
fratelli, come l'ape che ritoma all'alveare dopo aver succhiato il
fiore.
Vi sono alcuni che fanno il bene senza pensare a Dio. Se
essi pensassero a Dio farebbero un bene di più; ma il bene che essi
fanno è già un pensiero verso Dio, se non un pensiero di Dio, e Dio lo
tiene loro in conto.
« Chi lavora prega » ; chi fa il bene prega, posto che
il suo cuore non smentisca i suoi atti.
Quando Dio sembra muto, cieco ai nostri bisogni e sordo
ai nostri appelli, spirito sommerso, si crederebbe, nel silenzio delle
sfere, egli è come un padre che nasconde a un figlio scialacquatore i
suoi tesori, ma per prodigarli al momento opportuno; come una : madre
che nasconde agli occhi della figlia un pizzo prezioso, ma per trarlo
fuori per i suoi vent'anni.
Quale dolcezza veder definire come amore Colui •a'cui
tutto è possibile, e dirsi, quando l'amore si rivela e possiede il
cuore, che tutto è possibile all'amore!
— 167 —
Se Dio non è Amore;, noi, non abbiamo alcun Dio,
poiché Dio non può essere nostro. E se noi non abbiamo alcun Dio, non
abbiamo più nulla al mondo, poiché ciò che deve perire non è nulla.
Ricevere la rivelazione dell'amore, è dunque guadagnare tutto;
rifiutarla, è perdere tutto.
[
« Dio ci ha amati per primo » (giovanni, IV,
10). Sì, senza dubbio, un tempo, ;con la creazione, con la redenzione,
e appunto di ciò parla l'Apostolo. Ma oggi ancora, in tutto ciò che
facciamo, in tutto ciò che pensiamo, in tutto ciò che vogliamo. Dio è
sempre il primo. Senza il suo amore, noi non sapremmo dargli amore, non
sapremmo provargli il nostro amore.
Quale bisogno ha Dio di noi? Come supporre in Dio un
bisogno? Non tutti i bisogni sono una mancanza. Il bisogno di insegnare,
il bisogno di amare sono un segno di ricchezza. Dio non vien diminuito
dal bisogno di creare, di aiutare e di dare beatitudine.
Dio non è il benefattore che apre la sua casa e i suoi
forzieri a chi vuoi venire a installarvisi o a prenderli; egli è colui
che insegue il dimentico o il recalcitrante, che li obbliga in qualche
modo a entrare e a saziarsi, che trova il mezzo di soffrire dei suoi
inseguimenti e della sua generosità, e giunge fino a morire di questa
fatica.
Tu ti lamenti della parsimonia di Dio nei tuoi riguardi;
tu pesi e confronti? Ma a chi dunque Dio ha dato poco, a chi ha dato
più o meno, se si è dato
se-stesso?
,!
, ,,' - ' '
—•fl68 —
La vita che Dio ci ha dato è come una parte minima
della sua e può così passare per una generosità limitata, quasi
parsimoniosa. Ma avendo la vita nostra valore per gli oggetti che si da,
e Dio stesso pro-ponendolesi come oggetto, ne consegue che la vita che
egli ci ha donato riveste il medesimo suo valore, che essa assume colore
d'infinito e che il dono è così d'una generosità senza limiti.
Dio ha cura dei passeri e dei fiori di campo e non
domanda loro un contraccambio: perché dunque ne domanda all'uomo? In
realtà Egli non gliene domanda di più. I passeri e i fiori del campo
rispondono a Dio approfittando dei suoi doni : tutto quanto si attende
dalla nostra riconoscenza è che noi facciamo lo stesso, liberamente e
fino in fondo.
Scegliere Dio, è scegliere colui al di fuori del quale
non c'è possibilità di scelta, colui che non si può dunque non
scegliere. Eppure Io si può. Paradosso della libertà, rischio
spaventoso e grandezza!
Se la coscienza parla molto forte in favore di Dio, in
favore del bene, l'uomo pensa di non aver più libertà di scelta. Ma
proprio in questo è la sua scelta.
Che Dio riempia il mio cuore secondo la sua capacità
attuale, e sarò appagato; ma oh! come sono lontano dall'essere
soddisfatto! Io domando che colmando il mio cuore Dio lo dilati, che lo
forzi se necessario, e ciò sempre più, fino a quell'ultima capacità
colmata che è la vita eterna.
— 169 —
Si dice: andare a Dio, camminare verso Dio, prendere Dio
per meta della propria esistenza, e va bene; ciò contrassegna certi
aspetti dei nostri rapporti con Dio. Ma è tuttavia un po' come se si
dicesse d'un pesce che esso nuota verso il mare o di un astro che naviga
verso lo spazio. Noi siamo in Dio ben più intimamente che il pesce e
l'astro nel loro elemento. Noi non siamo che attraverso il suo essere.
Sentire questa intimità e dedurne le conseguenze nell'intimo e
all'esterno, non è fare un viaggio, ma è vivere, semplicemente.
« Mio Dio e Mio tutto », mormorava S. Francesco in
estasi. Questo doppio possessivo ci illumina. Esso significa che per
arricchire le nostre vite. Dio deve cessare di essere per noi un Dio
lontano e inaccessibile, e diventare invece un Dio intimo, ricondotto
dall'amore e da una umiltà ineffabile alla capacità dei nostri cuori.
L'incontro con Dio non si compie solo nell'avvenire,
esso eie offerto sempre. Esso consiste in un legame segreto, che il
tempo, per se stesso, non può ne procurare ne rompere. Ciò che
l'avvenire ci permette, è un incontro più sentito e più perfetto nei
suoi risultati; ma a condizione che l'incontro quotidiano non sia stato
trascurato, che esso sia stato utilizzato di giorno in giorno con un
crescente fervore. Così soltanto si attinge il Perfetto.
Le nostre parole e la nostra condotta nei confronti di
un uomo, sono molto diverse secondo che egli è presente o assente. Nei
confronti di Dio, la
—''170'—
nostra vita non sarebbe completamente diversa, se noi
10 giudicassimo realmente presente. Ma come non pensare
che una cosiddetta assenza di Dio non è che l'assenza del
nostro spirito da se stesso? Che il nostro spirito si svegli;
Dio è lì presente, e, davanti a lui, il nostro agire
necessariamente sarà retto.
Ogni nostro bene è nell'amore di Dio, e per questo
l'Amore infinito non soltanto ci invita, ma ci obbliga e ci aiuta a
uniformarvici come alla più stupenda vocazione, come alla vita stessa.
Dio è Creatore nostro senza di noi. Egli non può
essere nostro Padre senza di noi.
Non vi è che un genere di rapporto tra il temporale e
l'eterno, e è quello che si esprime nel governo di Dio e
nell'obbedienza della creatura. Sottrarsi a tale governo, nella misura
in cui lo possiamo, è rompere ogni legame. L'uomo che deserta la legge
divina non ha più Dio.
L'uomo giusto soltanto, o che aspira ad essere giusto,
ha il diritto di dire: mio Dio!
Il credente ama pensare, nell'addormentarsi, che '
11 suo Dio veglia su di lui. Quando riprende vita, non
ha egli ancor più bisogno di questa veglia patema? Nel sonno ci si
dismemora; ben più ci si dismemora nel peccato, in cui si discende fino
a:l di sotto di se stessi. Che Dio ci protegga e ci eviti questo sonno
mortale.
—1117^;,—
Dio fa in qualche modo l'esperienza della nostra miseria
per il fatto stesso della sua creazione, di cui ogni miseria non è mai
che il limite, non da sua parte, ma dalla nostra. Come dubitare che egU
non compatisca questa debolezza della nostra collaborazione e che non
sia pronto a soccorrerla dietro domanda nostra quasi con un supplemento
di creazione?
Gesù entra nel Cenacolo a porte chiuse. Anche nella
nostra anima egli entra a volte così. Egli apre allora dal di dentro.
Quale stoltezza credere Fazione di Dio ostile alla
nostra libertà! Quando si sa che cos'è il Creatore, che cos'è la
creazione e che cos'è la creatura, si deve capire che più Dio agisce a
nostro riguardo, più noi siamo, e più Dio agisce in noi, più noi
siamo noi. Il momento della più alta attività divina nella nostra
anima è quello che coincide con la nostra sovrana libertà.
Forse che un uomo libero non può portare liberamente
una catena, e il fatto che egli la porti annulla forse la sua libertà
intima? Perché dunque, sotto una catena che Dio mi propone e che io
ricevo dalle sue mani, non sarei libero? Io sono due volte libero: una
volta perché voglio, un'altra perché lo ha prima voluto il mio Altro
me stesso. •
Quelli che credono che Dio non dia nulla per niente non
lo conoscono. Quelli che credono che egli dia tutto per nulla non
conoscono meglio ne lui, ne
— 172 —
se atessi. I doni di Dio iniziano e portano a termine le
cose dell'uomo. Tra i due tipi di doni stanno i nostri, molto umili, e
che in fondo gli appartengono, come gli appartengono i nostri grappoli e
le nostre messi.
Per quanto Dio sia onnipotente, la sua invisibilità lo
rende tutto debolezza in noi; un nulla Io neutralizza; una festuca lo
intralcia e lo fa cadere.»
Quando il sole discende all'orizzonte, le piante
intirizzite hanno forse paura. L'astro le abbandona. Dove ritroveranno
esse, senza luce, senza calore, quel misterioso ardore che le fa ritte,
e la loro salute e il loro colore? Ma il sole ritoma, e il ciclo delle
stagioni si perpetua sulla terra. Il nostro sole spirituale ha esso pure
la sua notte; si nasconde; ritoma; sparisce ancora. La nostra anima
sembra abbandonata a volte; essa non sa più dove poter attingere la sua
luce e il suo fuoco; essa languisce certi giorni fino ai confini della
disperazione. Ma Dio ci domanda di credere nella perennità della sua
grazia. Sotto l'orizzonte, il sole non rimane inattivo, e a suo tempo,
che non sempre è il nostro, ricompare, > !' :;
'T?1'?' • ' ' ' ^ .
Se il cuore resta fedele a Dio in mezzo alle oscurità,
di questo mondo, agli urti e alle incoerenze della vita, ai turbamenti e
alle involontarie divagazioni dell'anima, allora esso ha motivo di
rallegrarsi e di trovare la sua parte più bella. Poiché là dove la
sua fedeltà incontra meno luce, essa dispiega un amore più grande.
—1?3—
È classico, presso gli autori spirituali, che una vita
mistica si inauguri nella gioia e pervenga subito alle prove. Ciò vuoi
dire che tutto comincia con l'invito e si continua con la fatica. La
gioia ci fa certi della bontà di Dio; il dolore e lo sforzo ce le fanno
meritare. Poi Dio ci incorona.
E bene, talvolta, sentirsi abbandonati da Dio e dagli
uomini. Quando si è generosi, si ha modo di dispiegare allora tutta la
propria forza. Non si può navigare con pieno vigore finché una mano vi
sostiene.
La Provvidenza è lenta, .e noi vogliamo darle tempo.
Anche la nostra anima è lenta, e noi non vogliamo darle tempo. Pazienza
per Dio e pazienza per tè stessa, anima inquieta, che misconosci la tua
propria durata e dimentichi l'eterno!
Io mi induco a credere che se il tale stato della mia
anima fosse l'effetto di una volontà di Dio, io Faccetterei di buon
cuore e cesserei di lamentarmene. Ma in fondo, la persuasione contraria
che me ne faccio non è se non un'astuzia del mio malcontento. Io mi
rimprovero di non saper dominare la situazione e in fin dei conti di
dover abdicare nelle mani di Dio.
Piuttosto che fare il gesto dell' abbandono che mi
libererebbe dai miei tormenti e mi acquieterebbe nel sacrificio della
mia volontà propria, io preferisco accusare me stesso e maledirmi. Io
chiamo col mio nome l'avvenimento interno od esterno, mentre esso si
chiama Dio.
•— 174 ,—
Anche supponendo che io abbia ragione di accusarmi,
nulla giustifica il diritto allo scoraggiamento che mia piace
rivendicarmi e che mi paralizza. Se io sono colpevole, non ho che
deporre questa colpevolezza. Dio è tutto pronto a riceverla. Dopo
questo gesto filiale, è lui che si prende cura di tutto. Ciò che era a
mio carico è ormai al suo, e i miei sofismi senza coraggio non hanno
più nulla di valido.
Una cosa sola può turbarmi legittimamente: il male, e,
con Dio, il male non dipende che da un semplice movimento del cuore.
Fallo, anima mia, invece di imbrogliare tutto e di disperarti
stoltamente. Quando tu non lo fai, è in fondo perché ci tieni alla tua
pena, che ti serve di pretesto per sottrarti al governo divino.
wi
Da il tuo spirito a Dio, anche nell'oscurità
più;
teera. Se tu non lo vedi, tutto si svolge
nondimeno
/.sotto la sua guida. Tu non ne intendi la voce:
persevera nel cercarne la mano.
175
IX
PREGHIERA PRIVATA E PREGHIERA PUBBLICA
Quante ragioni in favore della preghiera! Adorare.
Vedere la vita dall'alto. Tenersi nella vicinanza di Dio, per mezzo del
quale tutto si chiarifica e verso,' il quale tutto procede. Ottenere
l'appoggio del ciclo? di fronte ad avvenimenti intemi ed esterni che
ci;;
trovano impotenti. Ringraziare Dio dei suoi benefici.
Dirgli i nostri buoni propositi. Confidargli le nostre:!! pene.
Implorare i suoi perdoni in cambio dei nostri.;
Aspirare filialmente al suo incontro. Invocare il suo
regno in noi, nei nostri fratelli, nell'universo del tempo e in quello
dell'eternità.
Che cosa può mai valere, domanda l'incredulo, la
preghiera di un essere così piccolo, abitante un mondo così piccolo?
Più l'essere che prega è piccolo e più piccolo è il luogo dove
abita, più il fatto della preghiera deve apparire misterioso e grande.
Non c'è che dire, la preghiera di questo piccolo essere terreno parte
come una freccia nell'immensità, e
— 176 —
rivolgendosi all'infinito. Io uguaglia. Qualunque ne sia
la risposta, c'è per questo fatto, in una preghiera pura, una dignità
in certo modo infinita.
« Padre nostro che sei nei deli ». Prima di
ogni preghiera, vengono queste prime parole della preghiera modello, che
rilevano immediatamente il carattere grandioso e fervido. Esse sono come
la prua della nave in preghiera. Sono le mani del nuotatore che si
congiungono per far cuneo nell'onda. Sono il cono del proiettile.
Nessuna preghiera può innalzarsi e ritornare, grazia per grazia, se non
in virtù di queste parole.
L'universo che mi sostiene mi è un oggetto di terrore
quando paragono la mia fragilità alla sua massa e alla sua potenza.
Così Dio che mi anima nell'intimo mi fa qualche volta paura. Ma quando
prego, non sento più la sproporzione ne il timore. Sono come l'aereo
che dopo aver girato decolla trepidando, mentre sotto le sue ali scivola
un lembo di ciclo.
Condizione meravigliosa dell'anima, che può in ogni
istante e senza intermediario comunicare con l'Essere primo,
accaparrare, in una intimità così perfetta come se essa fosse la sola
al mondo. Colui che crea i mondi e che presiede al risveglio
innumerevole degli spiriti!
Ogni anima ha il diritto di assumere di fronte a Dio,
pregando, un atteggiamento di figlio preferito, poiché l'Amore
infinito, sopravanzando Punita e il numero, il tutto e le parti, si
rivolge per così dire [
1
--. 177 —
per predilezione a ciascuna delle sue creature. Eppure,
si trova una preziosa sicurezza, nei momenti in cui si sarebbe tentati
di dubitare dell'Amore per :
il fatto che si dubita di se stessi, nel dire che dopo ,
tutto egli ci ama tutti.
« La preghiera è per le donne e i bambini. Fazione per
gli uomini ». Questa alta persuasione è un assioma per molti spiriti
forti. Ma uno spirito virile, quando vi si proverà, si renderà conto a
qual punto la preghiera è un'azione virile.
Un'ascensione dell'anima verso Dio. Un accesso
all'universale da parte del particolare e dell'indigente. Un giudizio
d'eternità e un rifiuto del giudizio temporale quando sia svincolato
dalle sue relazioni celesti : questa è la preghiera. Se essa non è
tutto questo, non è nulla, e se essa è tutto questo, chi oserà dirla
puerile?
« Perché domandare a Dio di tare i nostri affari, in
luogo nostro? ». Noi non domandiamo a Dio di fare i nostri affari in
luogo nostro. Noi gli domandiamo un supplemento a noi stessi, e ciò
risponde alla nostra situazione nell'essere, poiché come creature noi
siamo in continuità con Dio; e ciò risponde pure al nostro stato
religioso, che è una specie di simbiosi soprannaturale, uno stato
umano-divino.
« Dio non sa meglio di noi ciò di cui abbiamo
bisogno?». Ascoltate la risposta di Gerson: «Dio sa meglio di noi ciò
di cui abbiamo bisogno, e proprio
— 178 --
per questo egli vuole che voi glielo domandiate; poiché
Dio è lui stesso il vostro primo bisogno, e pregare Dio è incominciare
a possedere Dio ».
Pregare per il bene è già farlo oscuramente.
Domandando a Dio di aiutarci, noi incliniamo verso di lui il nostro
cuore, e non è già questo una parte della virtù?i
La preghiera è un elemento indispensabile dell'ordine
morale; poiché, a non tener calcolo che di noi e della legge esigente a
cui dobbiamo obbedire, il bene sarebbe impossibile. La nostra piccola
saggezza, nel tumulto delle passioni, non è che una bussola nella
tempesta, e il nostro potere di volontà, teoricamente libero, un timone
tarlato. La preghiera accorda la natura e la legge, senza di essa
discordanti;
essa lega e consolida il covone del bene.
Quando vi e decisamente troppa distanza tra il nostro
dovere e noi, noi possiamo varcare ancora questa distanza con
un'invocazione.
Solo con lo spirito di preghiera si costruisce l'uomo
morale; poiché la vita è un movimento intemo. Il nostro essere non si
forma dal di fuori come un calco; esso sorge dall'interno come l'albero
che cresce e si dilata sotto la spinta della linfa. La linfa, in noi, è
lo spirito del Cristo. La preghiera ne provoca la salita.
È fin troppo vero che molti cristiani fanno preghiere
esteme alla loro vita, sovrapposte alla loro
--i'S'19 —
vita, che non sono dunque atti di vita. La vera
preghiera è l'espressione estrema della vita, un appello della vita
verso le sue proprie altezze, nello stesso tempo che verso Colui che la
fonda, la regola e la esaudisce.
Quando la preghiera non è più un effetto del desiderio
e dell'amore, si comprende che essa diventi noiosa. Quando le ali non
portano più l'uccello, esse gli pesano.
II contenuto della preghiera è spesso elemento
passeggero, terrestre; ma l'essenza della preghiera — il rapporto con
Dio — è sempre elemento eterno e vale per l'eterno.
Che Dio ci ascolti, come noi gli domandiamo, è
l'accessorio della preghiera, anche se essa è scevra da preoccupazioni
temporali. L'essenziale della preghiera, è che noi ascoltiamo Dio.
Bisogna parlare a Dio semplicemente, come semplicemente
ci ha parlato Gesù, come semplicemente, ;
dandoci l'esempio, egli ha parlato al Padre suo. Bi-,
sogna dirgli ciò che è in noi, nella nostra anima e nella nostra
vita, nella nostra situazione, nelle nostre relazioni, nei nostri
affari, affinchè tutto venga a santificarsi e a correggersi sotto
questa irradiazione, a;
dilatarsi, a perfezionarsi, a vivere in Dio e a
attingervi ciò che Dio da.
« Tutto ciò che voi domanderete al Padre in, nome
? mio, egli ve lo darà» (Giov. XVI, 23). Che cos'è
domandare in nome di Gesù, se non presentare una
— 180 —
supplica con la firma di Gesù, e formulare così una
domanda che Gesù sottoscriverebbe, non da ministro sollecitato, ma da
teste dei suoi propri desideri per noi? Allora sì, l'efficacia della
preghiera è certa.
Pretendere di piegare Dio a forza di grida, quando gli
rivolgiamo preghiere irragionevoli, è un abuso della bontà di Dio. Per
fortuna egli non ci ascolta. Se egli ci esaudisse, non abuserebbe egli
stesso della nostra debolezza, col provocare la nostra riconoscenza
proprio nel momento in cui saremmo invece presi al laccio e giocati?
Quante volte, nella preghiera, stoltamente e senza da
parte mia ingannarmi, io tento di ingannare Dio!
Inconsciamente, noi rivolgiamo a Dio lusinghe
interessate, all'indirizzo della sua bontà, saggezza e munificenza,
sperando bene che in contraccambio egli vigilerà sui nostri affari e ci
dispenserà dal soffrire. Bassezza di schiavo, non atteggiamento di
figlio.
Chi non accede alla preghiera che con domande temporali
o anche spirituali avrà spesso da disilludersi quanto prima e mettersi
a accusare Dio che gli sembra far orecchie da mercante. Solo chi domanda
prima di tutto alla preghiera l'unione con Dio e la conformità al suo
volere, quegli prega in pace e con sicurezza.
Invece di cessar di pregare per non aver ottenuto ciò
che si desiderava, bisognerebbe incominciare a pregare per ottenere ciò
che ci desidera Dio.
— 181 —
La preghiera del cristiano è sempre esaudita in certo
modo, poiché volendo egli prima di tutto la :
volontà di Dio, questa attraverso la carità coincide ;
con la sua. Se Dio non la vuoi esaudire, è questo;^
stesso che egli domanda; questo stesso è, per lui, es-;;
sere esaudito. X'
Meditate queste parole : « Padre, se è possibile,
che si allontani da me questo calice. Tuttavia che la tua volontà sia
fatta e non. la mia ». Confrontatele^ con queste altre: « II
Padre mi esaudisce sempre».';:
flutto l'insegnamento intorno alla preghiera è rac-4f
chiuso in queste due frasi.
Pregare tutta la propria preghiera come si piangono
tutte le proprie lacrime. Dire tutto il desiderio del proprio cuore come
si dettano a un amico tutte le proprie volontà. Dopo di ciò dire: A
tè, Padre! A tè di volere ciò che vuoi, e in anticipo io mi vi
uniformo; poiché ciò che tu vuoi è buono.
Se avete il dono della preghiera, non domandate :i
altro; tutto il resto vi sarà dato in soprappiù. Gesù;;
Cristo non ha detto: Beati quelli che possiedono la '
giustìzia, ma quelli che ne hanno fame e sete. A . più forte ragione
beni meno puri non possono aver;, più valore dell'umile e ardente
elevazione dell'anima. ^
Ciò che la natura ha di meglio, è d'esser cono-i^
scinta e amata dall'uomo. Ciò che l'uomo ha di me-,,' glio, è di esser
conosciuto e amato da Dio. Ora, con^i" lo spirito di preghiera, noi
possiamo ancor meglio gustare e accrescere questo beneficio.
— 182 —
Bisogna ringraziare Dio di ciò che egli non ci da.
Allora egli ce lo da. Virtù della Speranza! Essa anticipa il dono. Essa
è la madre del dono.
Bisogna domandare a Dio anche ciò di cui si è sicuri,
anche ciò che già si possiede; poiché la sicurezza del fatto, come
quella della speranza, viene dalla sua liberalità e vuole dunque essere
anch'essa richiesta da un appello dell'anima libera o artefice di se
stessa. Davanti a una tavola imbandita o davanti alla madia vuota, io
dico con uno stesso cuore:
Dacci, oggi, il nostro pane quotidiano.
t( Non c'è nella preghiera che implora una certa
bassezza? ». Bassezza, la preghiera che fa assegnamento su Dio, che
agisce sui decreti di Dio, che crea con Dio, che mette in opera con Dio
il mondo dei nostri desideri?
« Se voi vi trovate nel bisogno e se Dio è ricco,
perché Dio esige la preghiera invece di prevenirla? ». Se Dio non
prevenisse la preghiera, noi non la formuleremmo neppure perché non
saremmo affatto, perché non avremmo la capacità anche di quei soli
inizi che domandiamo egli conduca a termine, perché mancheremmo di
desideri retti e dei mezzi di utilizzare un soccorso. Ma Dio avendoci in
realtà prevenuti ci aspetta ancora, affinchè noi a nostra volta non
restiamo passivi e dimentichi davanti ai suoi doni.
Dio è a disposizione di chi lo prega così naturalmente
come la fonte a disposizione del ruscello
— 183 —
per gonfiarne le onde. Egli ci ha dato tutto : tutto
egli conduce a termine. Ma grazie alla preghiera e allo sforzo egli
conduce a termine per mezzo nostro.
Dio gioca al più debole con noi e si fa quasi strappare
ciò che il suo amore ci da, come una madre fa « guadagnare » al
figlio ciò che il suo cuore teneva già in serbo.
« Non vi danno fastidio le vostre preghiere già fatte,
invece della preghiera libera dei protestanti? ». Le nostre preghiere
già fatte sono il più spesso ben fatte, il più spesso divinamente
fatte, essendo testi sacri. Esse interpretano perfettamente i nostri
bisogni permanenti, essenziali e ce li ricordano. Esse sono un
insegnamento e una suggestione. Le preghiere improvvisate e cosiddette
libere sono preghiere casuali, inferiori per la sostanza, impacciate di
tono, e spesso stonate.
Esiste, sì, un problema filosofico dell'efficacia della
preghiera; ma per il cristiano dotato di spirito di fede questo problema
è trascurabile. Un credente agisce con Dio come con suo padre, un padre
che può tutto. Non gli passa per la mente che l'universo di Dio possa
fare ostacolo a Dio, ne la volontà di Dio essa stessa paralizzarsi
sotto pretesto d'immutabilità o di fedeltà alle leggi della sua
saggezza. La fede semplifica tutto, ed essa ha ragione, qualsiasi
difficoltà vi possa essere in seguito a sistemare le idee e a tesserne
la trama.
— 184 —
L'esaudimento della preghiera pare esigere interventi di
una complessità inestricabile, una sospensione delle leggi, un arresto
delle iniziative o delle reazioni spontanee della natura, un
perturbamento di tutto l'universo. Ma questa apparenza deriva unicamente
dal fatto che la ragione analitica spezzetta tutto, divide e suddivide
il reale in fenomeni e in leggi indipendenti dall'ordine morale, e
legati tra di essi in tal modo che non si può trovare se non per caso
concordanza tra un fatto e i nostri desideri, op-.pure a prezzo di un
rivolgimento universale. Ora una tale visione del mondo, se basta al
sapiente, non basta già più al filosofo e molto meno ancora al
credente. Il filosofo domanda qual'è il principio primo di tutto questo
ordinamento, e vi trova posto per il pensiero di un Dio provvidente e
saggio. Il credente, sicuro di questa saggezza, la sa inoltre animata
d'amore. Allora tutto cambia.
Se il principio dell'ordinamento delle cose è Dio e se
Dio è amore, la preghiera che si rivolge all'amore, può con lui
disporre di ogni cosa, determinare avvenimenti, realizzare desideri, non
nel tempo, in cui i disegni provvidenziali si eseguiscono, ma
nell'eternità, in cui essi si organizzano.
Attraverso Dio, che la preghiera attinge là dove egli
è, nella sua eternità, si interviene in tutto e non si turba nulla;
anzi si collabora, e così una concor" danza può stabilirsi tra il
corso cieco delle cose e il nostro desiderio.
Non è possibile che il sistema del mondo, tutto intero
collegato in Dio, non sia dotato da lui di un
— 185 —
carattere morale, in rapporto con tutti gli esseri a cui
la moralità serve di legge come la gravitazione agli astri. Non vi sono
nature separate. Non vi sono leggi naturali indipendenti, se non per noi
che prendiamo le cose a rovescio, dal lato della loro esecuzione
materiale, come se, nella tessitura di un broccato prezioso, non si
facesse attenzione che al va e vieni della spola. All'altro estremo vi
è il modello d'arte e l'intenzione dell'artista. Nell'universo, vi è
ciò che Dio concepisce, ciò che egli vuole, ciò che decide di una
volontà d'amore in cui trovano posto il nostro desiderio e il suo
esaudimento.
Se tutto è per gli eletti, come afferma S.
Paolo, tutto viene dagli eletti in certo modo. In Dio, gli eletti
agiscono a, guisa dei fini, che determinano la forma delle opere. In
Dio, nel pensiero di Dio in cui tutta la durata è presente, un'anima
orante predetermina eternamente ciò che esaudirà il suo desiderio.
Leibniz diceva: Dio ci esaudisce creando a domanda
nostra un altro universo. L'espressione è paradossale, perché essa
sembra dire che, nel momento stesso del nostro appello, Dio si fa di
nuovo per noi costruttore sovrano. Ma il pensiero di Leibniz è un
altro. Esso è sul piano dell'etemo, e là, dove tutto si decide, la
concezione attiva di un ordine in cui un certo desiderio si troverà
realizzato mediante opposizione a un ordine in cui questo desiderio non
si potrebbe realizzare, è veramente la creazione di un altro universo.
Voi pensate che Dio stabilisca le sue leggi e ci
esaudisca in due momenti distinti? Illusione di pie-
— 186 —
colo essere travolto nel tempo, e che non sa sciogliere
neppure il suo pensiero da questa matassa per afferrare e giudicare
l'assoluto delle cose.
Quando noi preghiamo Dio per questo o per quello è
sempre perché gli avvenimenti ci sorprendono e non s'accordano con le
nostre previsioni. Ma ci indurremo forse a pensare che Dio stesso sia
sorpreso dagli avvenimenti, in modo che di fronte alla nostra preghiera
sia costretto a dire: Troppo tardi! ora non vi posso nulla? Quale
puerilità sarebbe questa! Ma se Dio non è sorpreso dagli avvenimenti,
se egli ne dispone senza distinzione d'oggi o di ieri, che cosa gli
impedisce di esaudirci per mezzo degli avvenimenti stessi?
Dio è abbastanza potente per assistere
contemporaneamente, con la sua provvidenza, gli avvenimenti perché
seguano la loro china, e l'uomo perché aia esaudito.
Dio soddisfa tutti i bisogni della preghiera universale
con l'unico mezzo dell'andamento generale delle cose, strumento della
sua provvidenza. Proprio in questo consiste la sua onnipotenza e la sua
onni-sapienza. In modo che il miracolo, se interviene talvolta tra lui e
noi, non è assolutamente da parte sua una necessità che l'esaudirci
richieda; è un « segno ».
La preghiera fa di Dio e di noi, di Dio e della natura,
nell'intento di esaudirci, un unico principio. La preghiera è uà
meccanismo del mondo e una molla del cuore.
— 187 —
Il vero cristiano non prega mai per sé solo, poiché
egli non si sente mai solo, mai indipendente da tutti i suoi fratelli.
Sempre l'accompagna il sentimento della comunità cristiana e del suo
contatto con la natura stessa: quadro dalle prospettive infinite, con
primi piani più in rilievo.
L'anima pensante è la coscienza del mondo ; essa deve
esserne pure l'amore e l'adorazione.
L'anima pensante è la sorella di tutti gli spiriti
creati: per essa, pregare deve essere intrattenere con gli spiriti di
tutti i tempi e di tutti i mondi un rapporto segreto.
i. Il modo migliore di pregare per sé, è di pregare
per tutti. Vi resterà compresa anche la nostra parte, e più ricca,
perché in felice legame con tutte le altre.
« Qual'è la preghiera migliore per gli altri? » —
Questa: Dio mio, rimetti loro i loro debiti e ripagatene su di me.
Conseguenza: accettare le sofferenze che vengono da loro o d'altra parte
e non lamentarsene più.
« E qual'è la preghiera migliore, semplicemente? »
— Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua
volontà come in cielo così in terra.
« Si può pregare per intermediario? » — Si può
pregare per mezzo di tutti quelli che la loro situazione spirituale e il
loro merito interpongono tra noi e Dio.
— 188 —
Pregare per mezzo dei santi è invocare per es-
•sere esauditi i nostri titoli di famiglia. I santi
sono 'nostri: essi sono parenti illustri. II loro intervento ^fraterno
ha influenza presso il Padre che essi hanno
servito prima di noi, con una fedeltà senza macchia ;
e amandoci. ;;
••• y ' . , . , 'i.; ";', ,, Pregare per
mezzo di Maria significa toccare .Gesù Cristo dalla parte del cuore, e
dunque toccare , Dio nel fuoco del suo essere, là dove il Verbo fatto
carne si congiunge con Io spirito d'amore.
Per quanto i peccatori facciano, essi vivono della
preghiera dei santi, della preghiera della Vergine e della preghiera del
Cristo. ^
Quando prego Dio per un impulso misterioso,;, mi sento
come un bimbo al quale il padre dettasse un bei complimento per il
giorno della sua festa.
Quelli che quando pregano non sanno cosa dire non sanno
neppure ascoltare? Meno ancora, forse? Proprio a questo, allora, essi
devono consacrare il loro primo sforzo.
A parità d'anima, il più poeta dei poeti è quello che
non parla; il più pio <legli adoratori è quello che adora in
silenzio.
Dio ci parla col silenzio, quando le passioni dei nostri
cuori si acquietano.
II silenzio è la preghiera migliore, quando è fatto di
una unione intima con Dio presente, con Dio amante, con Dio che guida il
suo universo per vie in cui i nostri desideri lo seguono.
— 189 ~
L'ideale della parola dell'uomo è di equivalere al
silenzio dei cicli.
La preghiera mentale: Una preghiera dalle ali ripiegate.
L'orazione non è una meccanizzazione dell'anima, uno
sforzo unicamente personale; è una passività attiva nella luce divina,
è la vita dell'organismo eccitata da un bagno di sole.
«.Bisogna pregare sempre» (luca, XVIII, I). —
Facendoci della preghiera un precetto, ha pensato Dio alle nostre
impossibilità di pregare, ai nostri accessi di paralisi spirituale,
alle nostre timidezze, alle nostre vergogne di peccatori, ai nostri
timori di essere esauditi o troppo ben esauditi? Senza dubbio! Il compelle
intrare non concerne soltanto la sala del convito, ma anche il « cubiculum
» segreto, ma anche l'oratorio.
(.(.Bisogna pregare sempre e non cessare mai » (Ibid.).
Sarebbe crudele da parte di Dio esigere che il nostro spirito fosse
sempre teso verso di lui senza distrazione umana e senza allontanamento.
Ma è bene egli ci domandi che il nostro cuore resti rivolto verso di
lui. Bene sovrano, e che i nostri desideri seguano la atessa
inclinazione. Ora è questa una continua preghiera.
Non bisogna immobilizzarsi nella preghiera per la fede a
spese della fede, nella preghiera per la scienza a spese della scienza,
nella preghiera per
— 190 —
Fazione a spese dell'azione. Quando l'anima è pronta,
si tratta di realizzare, non di pregare, o, meglio, la preghiera è in
tal caso la realizzazione con Dio e in Dio.
Chi ci darà la preghiera perfetta, quella che riversa
tutto il cuore in Dio e tutto Dio nel cuore? Tale preghiera, è il
cielo, e tutte le altre hanno per scopo di prepararla con l'esercizio
dell'amore, nel-;:! l'acquietamento dei desideri cattivi e dei timori
vani, ,' e nella speranza. '
La preghiera perfetta, poiché è un'adorazione, è;
un abbandono di se stessi di fronte a Dio, un abban-:';
dono di se stessi in Dio.
Le distrazioni? — Esse importano molto poco quando
sono soltanto nella testa, basta che non ce ne siano nel cuore.
Le distrazioni del cuore, sono i nostri affetti vani o
colpevoli. Esse ci separano da Dio ben altrimenti di quanto non facciano
le mosche che volano nell'immaginazione o nello spirito.
L'attenzione pura, invero, non è per noi che un ideale.
Noi siamo sempre distratti, non fosse che dal sentimento di noi stessi
da cui non siamo mai lasciati.' Ma l'attenzione essenziale si
impadronisce di questi;
motivi di molestia, che non devono più allora apparirci
ostili. Non potendo allontanare da noi gli oggetti,, resta a scoprirne
il senso, il giusto rapporto con la;
nostra vita, la portata etema. La distrazione può es- ;
sere molto bene un ponte oltre che un fossato, una •
porta e non una barriera.
— 191 —
Noi andiamo a cercar Dio in chiesa per apportarlo con
noi « nel segreto », con noi nella vita. Tuttavia, fossimo pur
sicuri di trovarlo cobi, sarebbe il caso di andarlo a cercare
ancora in chiesa, per tro"; ' vario insieme. :
T Quelli che pretendono che la religione sia affare».
privato sono quasi tutte persone « private » di reli-,^ gione. .a;
La preghiera non soltanto trova nella natura là'S' sua
coralità, ma anche la sua espressione: in ciò che si chiama il culto;
di conseguenza anche nelle attività che si ricollegano al culto e
arricchiscono il culto, , come l'arte liturgica e più largamente ancora
Parte cristiana. '^
Ogni sentimento, ogni rappresentazione intima, ogni
affermazione è l'abbozzo di un gesto, e ogni gesto è l'abbozzo di
un'opera. Adorazione, slancio dell'immaginazione, parole, musica,
prostrazioni, evoluzioni, coreografia, monumenti, tutto ciò si
concatena.
L'incenso : preghiera silenziosa. — L'acqua benedetta
: battesimo rinnovato. — II cero, la lampada del santuario: anima
ardente che veglia. — La navata:
assemblea che congiunge le mani nelle volte. — La luce
delle vetrate: una irruzione del ciclo nella folla orante. — L'organo
: voci d'angeli e ruggiti al cospetto di Dio. — II suono delle
campane: cupole che si costruiscono nell'aria e nello spazio interiore.
— La cattedrale : la città in ginocchio in mezzo al paesaggio ;
la madre Chiesa circondata dai suoi figli.
— 192 —
Come il corpo è l'anima resa visibile e palpabile,
così il culto esterno è la preghiera esteriorizzata e simile a tutto
l'uomo, ivi compreso il suo gusto della bellezza.
Tutta la natura ci insegna il culto. II flusso ''•
del mare, il rullìo del vascello, l'ondulare delle palme sotto il
vento, la corsa delle nuvole, le rivoluzioni degli astri, evocano
l'azione rituale ; perché esse sono una figurazione e un omaggio
d'obbedienza nei con-i fronti delle leggi, un riconoscimento costante
del loro ' regno e un'adorazione inconscia del loro Autore.
Più si è religiosi, meno si ha bisogno del culto
esterno per infiammare l'anima; ma più se ne ha bisogno per
manifestare, per trascinare l'estemo nella medesima dirczione del cuore.
Più si è religiosi, meno si ha bisogno per se stessi
dell'arte religiosa; perché possedendo la realtà, si presta minor
attenzione al simbolo, o tutt'al più alla qualità del simbolo, a cui
si sostituisce la qualità del culto intemo.
In chiesa un fedele distratto ammira le vetrate;
un santo sente la loro presenza senza vederle.
Un cristiano mondano si prende gioco di una banale
statuetta pia; un mistico vi attinge slancio meglio che in un'opera di
Michelangelo che potrebbe distrarlo. Ma il segno c'è sempre ed
è lì a testimoniare. La santità l'esige, anche se non lo utilizza.
— 193 —
13 - KnMfnnìiff,
Le nostre processioni, le nostre sfilate, le nostre
evoluzioni davanti all'altare e tutti i nostri gesti liturgici non sono
che un gioco, « ma solenne, ma regolato, ma significativo », come la
poesia quale Paul Valéry la concepisce. E nel nostro caso il
significato è soprannaturale; la regola viene spesso da Dio stesso e
indirettamente essa ne viene sempre; la solennità si riferisce
all'azione immediata attraverso il dovere compiuto e la vita posta più
in alto.
La messa, preghiera pubblica per eccellenza, anche
quando è bassa, fornisce da sola un'idea di tutto il culto, di
cui essa è il centro d'espansione e la forza animatrice.
La messa si vocalizza, si ritma e si recita. Vi si parla
a voce alta, a mezza voce e a voce segreta. Vi si stendono le
mani. Vi si batte il petto. Vi si inchina, vi si inginocchia e vi si
gira. Vi si scendono gradini e vi se ne salgono. Vi ci si volge per il
saluto e vi ci si nasconde per i misteri, come il pontefice nel Santo
dei Santi. Si bacia il calice, la patena e il lino. Si tracciano
molteplici croci su di sé, sull'ostia e sul popolo. Si innalza
l'offerta. Ci si lava le mani in segno di purificazione. Durante il canone,
nel momento più segreto del Santo Sacrificio, quando tutto si mormora
come nel silenzio della Trinità, il prete alza il tono su tré parole: nobis
quoque peccatoribus : a noi pure, peccatori; e per la comunità
presente il richiamo d'attenzione e una ripresa di contatto. Tutto ciò
non tende che a una cosa sola: unirci al Cristo presente e offren-tesi
per noi. Ma ciò che è semplice in sé ha bisogno della molteplicità
dei nostri gesti, perché senza di essa
— 194——
noi stessi non saremmo completi, ne Poggetto completo
per noi.
L'apparato della messa, perché la messa compia la sua
parte, non ha bisogno d'essere bello. La bellezza vi può contribuire;
la dignità vi è sempre richiesta; ma c'è nella messa una bellezza
intrinseca e una dignità essenziale di cui nulla la può spogliare.
Rodin vi pensava quando diceva: È la messa che è sublime, e è il Parsifal
che è una cattiva copia. Pace al genio musicale! Ma onore e gloria a
ciò che raffigura e realizza i rapporti di Dio con l'uomo e che
contiene Dio.
195
x
L'AL DI LÀ
Lo spirito cristiano è uno spirito d'ai di là. £ una
vita in un altro mondo in relazione con azioni e oggetti di questo.
Lo spirito cristiano è uno spirito d'attesa, uno
spirito di passaggio.
Il cristiano: un rapido viaggiatore. La Chiesa:
una persona che aspetta.
Strana situazione la nostra! Proprio grazie alla
materia noi entriamo in possesso della nostra anima, che in seguito, di
sua libera elezione, utilizza la materia, aspettando di sembrar farvi
ritomo. I nostri sentimenti del tempo percorrono lo stesso ciclo: la
materia li provoca, li soddisfa e infine li riassorbe. Da un'altra
parte, essendo l'anima di creazione divina, destinata a un destino
divino, i rapporti si capovolgono a questo riguardo senza che i primi si
aboliscano. Dalla materia alla materia attraverso lo spirito: ecco
l'uomo temporale. Dallo spirito allo spirito attraverso la materia: ecco
l'uomo spirituale e immortale.
— 196 —
II mio cammino verso Dio e il mio ritorno a Dio, sono il
compimento della mia creazione da parte di Dio con la mia propria
collaborazione.
Spingendomi nell'essere Dio mi ha lanciato in un grande
cerchio d'azione che mi riconduce necessariamente a lui. La sua spinta
è già una chiamata, come lo slancio di un pianeta al suo afelio è
già un ritomo. La risposta all'appello divino sta nell'obbedire alla
spinta creatrice senza deviazione di peccato.
La vita fisica cade nella morte come in un cantiere in
cui la natura industriosa se ne riimpadronisce in vista delle sue nuove
costruzioni. L'anima, che sfugge a questa caduta, compie il suo destino
secondo come essa l'ha preparato con l'azione morale, determinando così
poco a poco il suo ultimo stato. Nell'una e nell'altra cosa non vi è
che un travaglio di vita, con soltanto un « incidente » intermedio,
come Pascal lo chiama.
La vita dell'uomo si estingue, come quella del-'
l'albero, quando ha prodotto il suo frutto. Buono o cattivo, il frutto
della vita è nel riposo e nel silenzio, come il suo principio è nel
riposo e nel silenzio divino. L'agitazione della terra è una
transizione.
Noi ci lamentiamo della fuga del tempo, e è vero che
esso ci trascina verso la morte; ma esso realizza anche la nostra vita,
la sola di cui noi siamo attualmente capaci. Se il tempo non fosse e non
scorresse, noi non potremmo essere, e non servirebbe a nulla di non
poter morire.
14 - Spiritualità
Vivere, è traversare il tempo. Il dovere di vivere, è
dunque il dovere di traversare il tempo, ma anche di non fissarvisi;
poiché il tempo non ai utilizza che cogliendo giorno per giorno, con un
pensiero e una volontà insensibili al suo scorrere, ciò che e^»o:
contiene di eterno.
Arrestarci a un 'oggetto di questo mondo come se ci
bastasse e seppellirvi così la nostra capacità infinita, è spegnere
la nostra anima, questo fuoco che nessuna materia del tempo non basta a
nutrire. Ma che, senza arrestarvisi, l'anima utilizzi i suoi oggetti
mano a mano che passano, che essa li spinga alla perfezione e vi prenda
occasione di perfezionare se stessa, è un modo per essa di provare la
sua natura superiore e di consacrare l'alimento a tener desta la fiamma,
invece che a soffocarla.
Volete che qualche cosa conti? Presto, toglietela dal
tempo.
Tutto l'universo è nell'inquietudine perché è
sottomesso all'instabilità del tempo. Così l'anima è inquieta, e
turbata, e insoddisfatta, fin tanto che la durata temporale la trascina
e che essa rifiuta il dominio dell'eterno.
L'ascensione del Cristo non è una fine, è un inizio;
essa inaugura, concludendo la sua vita terrestre, il suo regno glorioso
alla destra del Padre. Così l'agonia del cristiano non è per lui
inizio della fine, è la fine di quell'inizio che è la vita di prova.
-•r'198 —
Noi pensiamo di fare una scelta giudiziosa preferendo
una cosa temporale importante a una futile. Ma se la cosa cosiddetta
importante non vien riferita all'eterno, la scelta è vana. Si paragona
il nulla al nulla, e la deliberazione in apparenza più saggia non :
e che una illusione.
Stimare una cosa, nel senso vero e assoluto del termine,
è paragonarla all'eterno.
II nostro desiderio di vita, insoddisfatto nel presente,
può ben protendersi verso l'avvenire; esso deve incontrarsi con la
morte prima che sia venuta la soddisfazione che cerca. Non è forse
invitato allora a cercare in un'altra dirczione: in profondità, e non
più nella corrente di ciò che la morte trascina?
Vi sono di quelli a cui l'affermazione che il
vuoto della nostra anima è infinito e che l'infinito solo potrà
colmarlo appare orgogliosa. Dio stesso, essi dicono, non si da a noi che
secondo la nostra capacità, e il minimo segno della sua presenza non
basta forse a colmare l'anima più spaziosa? Certo! Ma è precisamente
questa presenza che si richiede, e si domanda che essa sia reale, e
diretta, non per persona interposta, e non sotto gli auspici fallaci
della creatura.
In questo mondo Dio si dona nel senso che si promette.
La sua presenza è un'assenza temperata di simboli e consolata dalla
realtà di una speranza.
La vita terrestre in rapporto con il destino etemo
potrebbe essere rappresentata dal punto che incomincia una linea. La
linea incomincia, e in questo
—W —
senso il punto è reale; ma distinto dalla linea non lo
è più.
Ogni giorno di vita è guadagnato sulla morte, ma anche
perduto per la vita a vantaggio della morte.
Accordiamo almeno di tanto in tanto un pensiero al morto
che saremo.
Non si vive che una sola volta, e bisogna dunque trar
profitto dall'esistenza. Ma se si usa dell'esistenza in modo da
compromettere la vita eterna, si dimentica che non si muore pure che una
volta sola.
Vi sono, umanamente, altrettanti motivi di morire
precisamente quanti ve ne sono di vivere. Tutti i nostri oggetti possono
servire a questo doppio fine. Si può dunque domandarsi perché non vi
sia un maggior numero d'uomini senza fede a darsi la morte. È paura
dell'atto violento? O perché il motivo di vivere, il fallimento del
quale farebbe morire, ha bisogno per questo di diventare una passione
frenetica che non è nell'indole di ogni uomo? Non sarebbe, come si
vorrebbe sperarlo, perché la mancanza di fede è poco sincera? «
Morire!... Dormire!... Sognare, forse! E qual sogno poi? ».
Quando si giunge, dopo la giovinezza, al sentimento
della brevità del tempo, della corsa sempre più rapida degli anni e
delle cose, come mai non si prova un sentimento atterrito di questa
corrente, di questa discesa accelerata verso la morte di tutto, e non ci
si aggrappa all'imperituro?
— 200 —
Quanto più tempo dedico a impregnarmi di cose eterne,
più io ringiovanisco in esse e più accorcio la durata della mia prova
terrestre. Il tempo è già dietro di me, quando mi istruisco circa
l'eternità.
Oh! come è puerile la nostra anima! Disponendo
dell'eternità nel tempo e dopo il tempo, essa non si attacca che a ciò
che le sfugge; essa stabilisce la sua dimora in ciò che le
sfugge.
Che cos'è questo chiasso che fai, anima, al di dentro e
al di fuori di tè, questo tumulto d'oggetti, di sollecitudini, di voci,
se non un alibi che tu opponi a Colui che ti inquieta? Tu senti pesare
su di tè l'appello ineluttabile, la promessa tenera, ma esigente, e la
tua indolenza non vuoi saperne. Malgrado tutto questo frastuono,
bisognerà pur intendere un giorno. Vi sarà un appello che non
aspetterà risposta. La « cattura » avrà luogo più tardi se non
avrai ascoltato ora.
C'è una maniera di essere più pazzo di un pazzo :
quella di credere a mente fredda che il vero saggio è
il pazzo. Così il pensatore che erige a principio Pap-pagamento della
vita e rinnega l'eternità come una inutile fantasticheria è più pazzo
del gaudente che va alla morte cantando.
Uno scettico si sorprende a piangere : egli ride allora.
Un credente si rimprovera di aver riso egli piange.
Vi sono persone pie che praticano la devozione di
pregare per i morenti, per quelli che sono moribondi nel momento della
loro preghiera. Ve ne sono molte a pensare che questa preghiera le
concerne?
— 201 —
Viventi, morenti, come ciò si rassomiglia ! Un
intervallo di un attimo sul grande orologio del tempo.
Anche questo mondo è morente. Il mondo si fa e
si disfa sotto i nostri occhi come le figure di un caleidoscopio. Esso
non vive se non nell'istante, che
; cambia sempre. Esso nasce e muore senza fine e non
.sussiste mai.
; Questa morte rallentata che è la morte delle cose,
•questa morte e questa risurrezione provvisoria con ricaduta e
catastrofe finale inganna la nostra attenzione, o meglio sfugge ai
nostri sensi grossolani che non percepiscono affatto i ritmi segreti. Ma
il nostro spirito, il nostro spirito avvertito da tanti richiami e da
tanti segni, non dovrebbe essere più acuto?
È incredibile, è quasi miracoloso che noi possiamo
vivere noncuranti dell'eterno e senza pensare al nulla di questa vita,
pur così manifesto, non appena la si consideri in se stessa e si valuti
la meschinità dei suoi oggetti in confronto dei nostri desideri, o si
tenga conto del fatto che essa passa spaventosamente rapida e può
finire ad ogni istante. Questo mistero 'di acciecamento non si può
spiegare se non con la strana allucinazione che la vita stessa
costituisce, e con la convalida che al nostro errore procura il numero
di quelli che ne sono sedotti. Ma si muore soli, si ha un destino per
sé soli, e non si è dotati di ragione che per superare in sé la
natura inferiore, quella che è serva degli « astri », cioè
trascinata nei ritmi dell'universo e quasi inconscia dei suoi movimenti.
— 202 —
La terra è come un disco brillante dietro il quale si
nascondono il ciclo e l'inferno. Il nostro accieca-mento fa sì che il
doppio orizzonte, infinitamente grande, ma infinitamente lontano in
apparenza, non ne oltrepassi i margini.
La morte: — Una rottura con l'universo per un avvenire
di forma inconoscibile.— L'entrata in una luce nuova che è una notte
di fronte alla nostra. — Un sentimento di dissoluzione che nessuna
chiara previsione compensa. — Uno sradicamento della coscienza in un
deliquio della carne. — Un cammino vergo il grande freddo a partire da
questo dolce calore vitale che dopo averlo disprezzato come gratuito si
prende ad amare disperatamente.
Alla visione della natura provocatrice di orrore, il
pensiero cristiano sostituisce una concezione della morte completamente
diversa. Vi si crede. Per degli anni si dice che vi si crede, e uri bei
giorno, quando il velo d'illusione cade, si ha una improvvisa e
folgorante illuminazione.
Quando si tratta del destino temporale, si può
scegliere tra molte strade, perché diversi sono i valori che
sollecitano la nostra esistenza. Ma per giungere al supremo non vi è
che una strada sola, quella che ha preso il Cristo e che egli ci
propone. Vi è tuttavia un'alternativa; perché si può'dire sì o no al
proprio Signore.
Il Cristo stesso è la via; perché per andare al Padre
bisogna passare attraverso di lui. « Nessuno può venire al Padre se
non attraverso di mev> (giov.,
XIV, 6). • f*';1- , • '
-^..2(B -—
Il Cristo, che è la Via, ci fa sapere in parole e con
l'esempio che noi non siamo di quaggiù, che-questo mondo non è un
termine, e che anche negli oggetti di questo mondo noi dobbiamo, in
certo modo, attraversandoli, scoprire il vero e unico Oggetto.
Gesù chiamava l'avvicinarsi della sua Passione e della
sua morte: la sua ora. La sua morte era per lui l'ora di Dio; era
dunque l'ora del Figlio dell'Uomo obbediente e generoso. Anche la nostra
morte è un'ora di Dio; nel mistero di Dio essa si cela; nella
provvidenza di Dio essa è stata fissata; nell'amore di Dio essa assume
il suo significato, perché essa apre un passaggio da noi a questo Amore
che ci attende.
Se siamo degni dell'amore divino, la morte compie la sua
funzione. Essa non ci introduce soltanto là dove andiamo, essa ci
arricchisce; ci rende utili agli altri; poiché l'ora di Dio accettata
con il Cristo ci rende partecipi dei ineriti del Cristo, della sua
missione redentrice e della sua gloria.
Non c'è uomo così vile che non sia destinato alla
gloria e non la porti in sé. Non c'è uomo così glorioso che non possa
nascondere nel segreto la testimonianza della sua vergogna e della sua
disfatta finale.
Sulla terra, noi siamo più grandi del nostro sogno ' di
felicità; nel ciclo esso ci supera. Ma anche dell'infelicità avviene
così.
La folla ha chiamato su di sé il Sangue del Cristo : «
Che il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli ». Ma il
Cristo ne lo ha allontanato : « Padre
— 204 —
mio, perdona loro...
». Tra il delitto e la misericordia chi prevarrà? Qui sta tutto il
dramma umano e tutto il senso della storia.
Nell'ultimo giorno, il Cristo, Giudice sovrano, non
avrà da pronunciare sentenza; egli ci giudicherà con la sua sola
presenza, poiché noi siamo buoni o cattivi secondo che consentiamo o no
a rassomigliargli.
Somigliare al Cristo, cioè penare per una vita intera,
perché? Per la stessa ragione per cui si pena una parte della vita a
vantaggio di un'altra. La vita tutta intera poi non è a sua volta che
una parte del destino, la minima, quella che, a dir vero, non conta.
Non si parla forse con simpatia del « collocamento a
riposo dei vecchi? ». Si pensa che dopo i suoi anni di lavoro, l'uomo
debba godere di un po' di pace e di sicurezza prima di scomparire. Per
il cristiano, questo calcolo è differito, perché il lavoro è la vita
stessa nel suo caso.
Ho ben lavorato : mi riposerò infine. Ho ben
vissuto : mi riposerò dopo. Il collocamento a riposo dei vecchi,
per il cristiano, è la giovinezza etema.
E forse sufficiente voler essere « salvo », cioè
preservato dalla sofferenza e dalla morte in un altro mondo che ci si
rappresenta all'immagine più o meno di questo? Quanta mediocrità a
volte in questo desiderio macchiato di egoismo e viltà più che animato
da vero spirito religioso! La salvezza cristiana non è così negativa;
è una conquista, il risultato di uno
— 20^—
sforzo, una creazione, una ascensione Verso la verità,
la bellezza, la libertà e tutti quei valori che la parola Dio può
contenere agli occhi dei mortali.
Ogni istante della nostra durata è come uno sguardo
che s'apre sull'altro mondo. Ogni atto del tempo, che la memoria annette
al passato, viene con-; giunto al presente etemo da quella parte di lui
stesso che sfugge al tempo : il suo significato spirituale, il suo ((
merito », la sua identità parziale con l'io immortale che Io ha posto.
Certi si compiacciono di tacciare di calcolo egoista la
rinuncia cristiana a causa del centuple promesso e della vita
eterna. Essi dimenticano che merita ricompensa solo colui che ama il
bene fosse pure senza ricompensa. L'uomo che merita la legion d'onore
non è quello che aspira alla legion d'onore, è quello che vuoi servire
il suo paese e compie grandi cose a questo fine. L'uomo che merita e
ottiene le gioie dell'amicizia non è quello che ricerca le gioie
dell'amicizia, ma il bene dell'amico, anche contro se stesso ae occorre.
Quando tendiamo alla vita etema, non è a titolo di
ricompensa per una virtù interessata e mercantile;
noi ubbidiamo alla natura delle cose, che fa della vita
etema un compimento. Vi è omogeneità tra ciò che ci si promette e
ciò che ci si domanda: l'uno deve condurre all'altro. Che cos'è la
virtù, se non l'armonia perfetta della vita sotto gli auspici
dell'amore e della gioia? E la vita eterna è tale. Così Gesù non ha
fatto distinzione tra i due mondi, tra i due stati della virtù, che
egli chiama con un termine solo il Regno di Dio.
— 206 —
Quelli che non tanno il bene che in vista di un
vantaggio lavorano per la morte. « Essi hanno la loro ricompensa
», dice il Vangelo (matteo, VI, 2-5), una ricompensa che sfugge di tra
le dita come tutto ciò che è mortale. Chi fa il bene per il bene si
mantiene nell'eterno e ha una ricompensa etema; poiché le nostre
opere ci seguono (apoc., XIV, 13).
La morte riunisce in fascio dietro di sé tutto ciò che
essa taglia con la sua falce per il fuoco in cui la zizzania si consuma
e per i granai del ciclo.
Il fatto che l'empio prosperi senza Dio e che il
cristiano soifra con Dio, è per questo ultimo la felicità, per l'altro
la perdizione. Non è dunque uno scandalo.
Ciò che la maggior parte degli uomini chiamano la vita
non è che un gioco da bambini. Ma è cosa ben seria, l'appartenere a
Dio o all'Avversario.
In questo mondo soltanto. Dio fa ugualmente piovere su]
giusto e sull'ingiusto, e fa levare il suo sole sui buoni e sui cattivi.
La legge di ciò che passa non si ritrova più nel definitivo, e il
risultato dimentica le condizioni della prova.
Una contadina del paese di Gruyère diceva, per
significare che viene infine un giorno in cui il male si distìngue
ineluttabilmente dal bene : « Quando la neve si scioglie, tutto si
ritrova ».
« Chi mette mano all'aratro e riguarda indietro non
è degno del regno dei deli » (luca, IX, 62). Chi mette mano
all'aratro? Colui che si accosta alla vita
spirituale, avendo riconosciuto la superiorità del
regno dei cicli su tutti i valori terrestri. Ma aggravandosi la vita,
sopravvenendo le prove e le tentazioni, succede che i valori sembrano
capovolgersi. Il regno dei cieli impallidisce e i valori terrestri
trionfano. Allora si guarda indietro. E non si è più degni del regno
dei '•cieli, perché lo si ha disprezzato.
; Non il morire è triste, ma il non aver vissuto. E il
peccatore, come tale, non ha vissuto, poiché ha volto le spalle al
significato dell'esistenza.
La vita lasciata a se stessa, è la morte. Con Dio, :
è la vita. Contro Dio, è una morte aggravata, una « seconda
morte » (apoc., II, 11).
Non è da stupirsi che le nostre possibilità supreme
coinvolgano con sé i nostri pericoli supremi. Il rischio non può
essere che in partita doppia. L'inferno è il corollario del cielo.
Il nulla, che per il giusto sarebbe la suprema
disillusione, è per il malvagio la più terribile delle illusioni.
Chi ha rifiutato di portare nella vita il peso della
virtù, sarebbe giusto che ne fosse esonerato dalla morte?
Concedere al cattivo saldo finale all'atto della morte,
sarebbe di un'ingiustizia suprema. Il cattivo ne sogghignerebbe in
faccia all'uomo giusto, e la sua ironia sarebbe un nuovo scandalo.
— 208 —
Le nostre buone opere ci seguono per compierai
nell'armonia del bene e della felicità, le cattive perché Perdine si
compia contro di esse e le costringa a entrare in un'armonia di cui esse
saranno le vittime.
Quando un'armata marcia alla vittoria, l'uomo nelle file
partecipa allo slancio e al trionfo. Il renitente è calpestato e la
vittoria stessa lo opprime.
Noi siamo puniti per mezzo stesso di ciò in cui abbiamo
peccato, cioè l'ordine turbato si rivolge contro il perturbatore, non
sempre l'ordine immediato, la piccola sistemazione passeggera in mezzo
alla quale cade il nostro atto, ma l'ordine universale in ogni modo,
quello di cui Dio è il capo e al quale nulla sfugge di ciò che la
Saggezza infallibile ha creato.
« Allora, dice la Scrittura, sarà il tempo
di ogni cosa: Tempus omnis rei tunc erit » (eccles., Ili,
17). Sarà il tempo della giusta discriminazione delle attività e degli
esseri, del discernimento degli spiriti, del vaglio dei cuori, della
distribuzione senza parzialità, del giudizio senza arbitrio, della vera
gerarchla, manifestazione splendida e definitiva di ciò che è.
Si trova ingiusto che un istante possa valere per
l'eternità, un istante o anche quella serie di corti istanti che si
chiama una vita. Ma la verità è che l'istante vale più dell'istante;
esso non appartiene unicamente al seguito dei minuti, delle ore, dei
giorni, degli anni; esso fa parte dell'eternità attraverso l'anima
immortale, attraverso quella volontà fondamentale
— 209 —
,,che è al di fuori della durata e non fa che
manifestar-,yisi per fasi successive. Quando questa manifestazione è
giudicata sufficiente viene la morte.
L'istante terminale della vita, che prende il nome di perseveranza
finale o di impenitenza finale, è da parte di Dio provvido e
giusto una sintesi veridica del tempo di vita che ci fu dato ; esso ne
esprime il signi-; ficaio totale, la portata etema, e regola così
equamente la nostra sorte. In questo senso può esser preso il detto di
Eraclito: «II carattere dell'uomo è il sue»;
destino ». A r •
« L'uomo non muore, dice Tolstoi, se non per la ragione
che il bene della sua vera vita non può più. essere accresciuto in
questo mondo ». Questo è vero, se l'ultimo istante è veramente una
sintesi. Si può allora piamente credere anche ciò che il pensatore
aggiunge : « L'uomo non muore che allorché ciò è indispensabile per
il suo bene », fosse egli pure un dannato.
La virtù arriva sempre, riesce sempre. Quando ci si
imbarca da una riva si sa di essere sempre sulla strada del mare e basta
che il percorso sia ben tracciato perché si arrivi in porto. Ora le
strade della vita virtuosa sono sempre ben tracciate, poiché lo sono da
Dio stesso. Quanto alle strade della perdizione, esse non hanno bisogno
di essere tracciate;
tutte le chine della nostra anima vi conducono.
Amare la virtù respingendone poi le sanzioni, sarebbe
voler le radici senza l'albero, o l'albero senza frutti.
— 210 —
Il giusto non può sfuggire alla felicità.
Nell'universo di Dio, la virtù, quando ne è il tempo,
prorompe spontaneamente e naturalmente in gioia e all'uomo cui non
importa d'essere in gioia, non importa per ciò stesso d'essere
virtuoso.
Colui a cui noi domandiamo tutto e lui stesso,
incomincia col toglierci tutto al di fuori di lui, e finisce per darci
tutto in lui e con lui.
II tutto e l'essenziale per l'uomo è di conciliare la
sua aspirazione alla pace con l'ardore di vivere, e dove trovare questa
conciliazione, se non in quella pienezza che ci è promessa, dopo
l'ansietà delle no-' stre ricerche e l'universale delusione delle
nostre vite?
Un bambino che si addormenta dicendo: Mamma! e che sa di
dover ritrovare al risveglio il dolce sorriso: tale è il cristiano che
muore dicendo: Gesù! poiché è stato detto : « Colui che crede in
me, quanti'anche fosse morto, vivrà » (giov., XI, 25).
La beatitudine: quello stato in cui l'anima non gioisce
più di se stessa ne di nulla che essa possieda in se stessa, ma di Dio
unicamente e di ciò che essa trova in Dio.
L'anima poiché non deriva che da Dio solo tende a
dissolversi in Dio solo, a « trapassare in Dio » come dice
l'Ammirabile Ruysbroek, e a ritrovarsi così in una beatitudine
eminentemente « superessenziale ».
— 3lf:i- !
Non è possibile descrivere nei suoi elementi la
beatitudine futura. Ce ne mancano le parole, e così pure i concetti, e
così pure le radici di emozioni, lo sviluppo supposto delle quali
suggerirebbe questo alato insigne. Ma S. Paolo ha trovato il modo di
darcene un'impressione profonda per mezzo della;
nostra stessa impotenza : « L'occhio dell'uomo non
ha mai visto, il suo orecchio non ha inteso, il suo cuore non ha sentito
ciò che Dio prepara per quelli che l'amano » (I cob., II, 9).
In cielo ci si rivede. Là dove c'è il massimo della
gioia, non può essere assente la gioia dell'amore.
I viventi che ci lasciano stabiliscono con noi e noi con
essi tutto un ordine di comunicazioni nuove. Gli assi si rovesciano.
Ciò che si manifestava per noi al di fuori, si ritrova al di dentro, se
sappiamo fame l'esperienza.
Una madre porta il suo bimbo nel seno : essa non lo
vede; non lo intende; ma Io sente misteriosamente;
lo pensa; gli prepara il nido; gli parla in segreto;
l'ama; è felice che egli dipenda da lei. Poi egli
nascer e nuovi e visibili rapporti si stabiliscono tra di essa e lui. Se
egli muore, egli fa ritomo non alla carne ma all'anima di lei; poiché
se essa è cristiana, sapendo che nella propria anima abita Dio, ritrova
in questa tutto ciò che è in Dio, come prima ciò che era nel proprio
corpo. Il mistero le ha ripreso il suo bimbo;
ma, come nel corso dei nove mesi, essa sa che egli vive;
si sente sempre responsabile di lui; vuoi fargli del bene; prega, e la
fusione delle vite, per quanto
— 212 —
differente sia, non è per questo meno intima. Questo
stesso genere d'intimità stabilisce la morte tra i vivi 'e i partenti.
A1
Non ho bisogno che mi si parli del ciclo, quando^ mi si
parla in un certo tono delle cose della terra.' Non ho bisogno che un
essere provato mi confidi le;
sue speranze, se lo vedo sorridere al dolore come a un
amico e se lo sento sereno nel fondo del suo cuore.
Quando si parla del nulla delle nostre gioie in paragone
della felicità eterna, non lo si fa per tur-1 bare le nostre gioie, le
quali, al di là del loro proprio valore ne hanno uno di riflesso e di
presagio; lo si fa per turbare ciò che esse possono avere di falso, e
per turbare anche la tristezza e obbligarla a cambiarsi in gioia.
La gioia etema non ci libera soltanto dalle sofferenze,
ci libera anche dalle gioie.
Dicendo addio al nostro essere temporale, al;
« corpo animale », noi abbandoniamo anche per ciò
stesso la società umana presa come corpo, come mas- -sa, come specie.
Resta liberata allora in noi la spiritualità individuale, e ogni essere
umano forma un:
tutto indipendente, un in sé, non avente se non
rapporti liberi, così come gli angeli del cielo.
Perché questa parola: il cielo, per significare la
beatitudine etema? — Perché il cielo fisico è il simbolo più alto
delle realtà spirituali; — perché a somiglianzà dell'eternità esso
ci pone mille domande e
— 213 —
differisce la risposta; — perché esso è
inaccessibile ai nostri propri mezzi e ci rende infinitamente piccoli,
sotto l'ammiccare degli astri; — perché esso ci attira con
l'ammirazione, e ci tiene a distanza col timore; — perché il Tutto
che esso pare tener celato corrisponde a quel Tutto che è la Divinità,
oggetto delle nostre speranze.
Ora, il nostro sguardo soltanto può salire al cielo
fisico. La nostra anima, meglio dotata, trova accesso in ogni istante, e
soprattutto nell'ultimo, presso Colui che è il Ciclo dei cieli.
le rosaike, Les Siernes, 15 agosto 1938
214