Noi abbiamo letto attentamente l'opera del M, A. D.
Sertillanges intitolata « La Chiesa ». La più sicura' dottrina,
adattata ai più profondi bisogni della società moderna, in una lingua
ad un tempo luminosa e ricca, dona a quest'opera apologetica un valore
eccezionale.
Crediamo che la sua pubblicazione sarà d'un grande
profitto per le anime e contribuirà largamente a far comprendere ed
amare la Chiesa.
M. J. GiUet, O. P. Dottore in Sacra Teologia T.
Mainage, O. P. Dottore in Sacra Teologia
Nihil otostaf.,:
Imprimatur:
Parigi, 29 Settembre 1916.
V, se ne permette la stampa. Alba, 15 Dicembre 1946.
Monpeurt.
E. Adam,
Vicario Generale
Can. G'ianolio, Vie. Gen.
PROPRIETÀ RISERVATA
Stampato nella Pia Società San Paolo —ALBA
LIBRO III
LA VITA SACRAMENTALE DELLA CHIESA
2-SACRAMENTALI
CAPO I IDEA GENERALE DEI SACRAMENTALI
II carattere sacramentale della Chiesa, cioè la sua
.tendenza ad utilizzare, per uno scopo religioso, simboli espressivi ed
attivi, si mostra soprattutto in ciò ch.e si chiama, in senso proprio,
«Sacramenti», ma non vi si esaurisce. E' essa, la Chiesa, nella sua
parte fondamentale, e per conseguenza in tutto ciò che da essa emana,
che è sacramentale.
La Chiesa è sacramento in tanto in, quanto è simbolo e
mezzo d'unione tra l'uomo e Dio, mentre il suo Cristo, capo, «testa»
del corpo mistico organizzato, è sacramento, essendo essa l'espressione
di Dio in quanto egli si è dato all'uomo, e dell'uomo in quanto 'questi
si è dato a Dio.
Si dovranno dunque trovare nella Chiesa segni di questo
carattere profondo, all'infuori dei sacramenti propriamente detti, tali
segni si distinguono dai sacramenti per il fatto che questi rispondono
ai bisogni fondamentali della vita religiosa ed anche perché essi sono
stati, per questa ragione, oggetto di un'istituzione speciale e sono
stati dotati di un'efficacia più diretta. Ma per i riti secondari si è
conservata una parola che li ricollega al principio comune, una parola .
attenuata e pertanto espressiva dell'idea centrale: si
chiamano cioè sacramentali (sacramentalia, cose sacramentali). •
Vi sono persone che, volendo esplorare questo angolo
di teologia, vi si perdono un po'; all'occorrenza, vi si scandalizzano.
Esse constatano che necessità di parallelismo hanno fatto distinguere
sette sacramentali cosi come vi sono sette sacramenti. Poi, consultando
gli autori profondi o i documenti: S. Tommaso, il Concilio di Trento,
ecc., intendono dire che ve ne sono molti (multa); che ce n'è un numero
indeterminato (si quae aliae res...). E si meravigliano.
Ciò è molto naturale.
Nei manuali per i fanciulli tutto viene, definito con
chiarezza; ma nella scienza, ciascuno sa che la Chiarezza si diffonde in
mille sfumature meno afferrabili, e cosi è assai di più nella realtà.
•
Si potrebbe dire con esattezza quanti colori esistono
nell'arcobaleno? Ve ne sono tré, sette, ve ne sono innumerevoli. Nei
pensieri e nei sentimenti vi sono ancor più sfunfature.
Si possono tentare classificazioni; esse però non
saranno mai esaurienti. La realtà è inesauribile; la realtà è
ineffabile nel senso etimologico della parola;
essa non può essere espressa con un numero
determÌT nato di concetti o di parole; essa si sprofonda nel doppio
infinito in cui il nostro essere è immerso: infinito della materia, che
si suddivide sino al nulla;
infinito dello spirito che spinge le sue
conquiste sino a Dio, limite ideale e inaccessibile.
Il carattere sacramentale della Chiesa, poiché impregna
la Chiesa a fondo sino a confondersi con essa, risente di questa
condizione, I suoi sacramenti sono
sette, come vi sono sette colori nello spettro; ma
l'atmosfera dei sacramenti, se ci si può così esprimere, tutti i riti
che li accompagnano e quelli che se ne staccano per arrivare a
santificare la vita dandole' un significato, un andamento e una portata
religiosi;
tutto ciò è pure sacramentale. E se si dice, come si
dice effettivamente qualche volta; vi sono sette sacramentali, ciò è
dovuto al fatto che si è convenuto di tenersi ai principali — la cui
scelta potrà'd'altronde dar luogo a controversia.
In realtà, vi sono tanti sacramentali quante sono le
.cose, i gesti, le parole, i riti che permettono di entrare — e per
mezzo dei quali la Chiesa invita a entrare nella grande corrente
santiflcatrice che, dal sensibile, in nome dell'Incarnazióne, ci
conduce al divino intelligibile.
Non potremo perciò far altro che dare alcuni esempi. La
loro scelta sarà del tutto utilitaria. Prima di enumerare, cominciamo
con una definizione generale.
I sacramentali sono atti esteriori di religione od
oggetti consacrati dalla religione allo scopo di avvicinarsi a Dio
mediante il Redentore.
Gli effetti che da essi si attendono sono quelli che
richiede la vita cristiana. La purificazione dell'anima;
la soddisfazione della giustizia per le nostre colpe;
l'espulsione degli spiriti maligni; il soLievo delle
nostre pene, se il nostro Padre dei cieli lo trova opportuno;
l'allontanamento dei flagelli sotto le stesse condizioni e la libertà
interiore dei figli di Dio; tali sono quelli che registra la teologia.
Gesti minuscoli e familiari, cose da nulla;
un'aspersione, una croce tracciata sulla fronte o sul petto, una
formula: queste cose, entrando nella grande corrente
religiosa, diventano efficaci. E lo diventano a cagione
della nostra costituzione psicologica, nella quale 11 sensibile ha tanto
posto. Lo diventano anche a cagione dell'istituzione della Chiesa che ha
il potere di captare forze superióri: forza di associazione che è
creatrice riguardo all'individuo; forza del Redentore, nel quale la
società cristiana trova il suo centro; forza di Dio, che è congiunto
al Redentore e che, per mezzo di lui e della Chiesa, è congiunto con
noi.
E' una tendenza naturale dell'uomo quella di cercare
simboli nella, natura; di parlare o di agire per metafore; di dare alle
cose in uso nella vita materiale un senso relativo alla vita morale.
Tutte le letterature lo mostrano e la costituzione intima delle lingue
lo prova, poiché il simbolismo ne è il fondo.
, Una preghiera ardente, non è un'allusione
all'ardore del fuoco? Un diluvio di calamità, non è una
metafora tolta all'acqua? ,11 sale attico, il sale della
saggezza non è un richia-no delle proprietà attive e conservatrici
del sale? Parlare con unzione; ^ mettere un balsamo sui
dolori, ecc. ecc. non sono una serie di parole simboliche? E se faccio
un gesto di 'negazione, non ho l'aria di cancellare alla lavagna quello
che un sì sta dicendo, o di allontanarlo come un ostacolo al mio
spirito, come si allontana dal proprio cammino un ciottolo o un ramo
secco?
Tutti i nostri gesti protocollari, tutti i, nostri
saluti, i biglietti da visita scambiati, i mazzi di fiori inviati in
occasione di feste o di fidanzamenti, gli usi funerari, tutto, nella
vita sociale, è pieno di simbolismo e tende ad avvicinare la materia
allo spirito, per esprimere lo spirito e così svilupparlo.
Mettete simboli di questo genere al servizio del-
10
l'idea religiosa, fatelo con sentimenti che rispondano
all'azione; fatelo in nome di una tradizione comune tra i cristiani;
sotto la protezione dell'autorità o in base ad istituzione formale
dell'autorità che esprime e regge il gruppo; sperando o piuttosto
credendo che il Redentore capo dell'umanità religiosa, unito ai suoi
mèmbri in ciò che essi fanno in suo nome da ai gesti pii e
significativi istituiti un'efficacia in rapporto colle nostre
disposizioni ulteriori e in rapporto con le disposizioni superiori della
sua provvidenza: e voi avrete i sacramentali.
Tutta la poesia della natura potrà esservi incorporata,
come lo si potrebbe vedere considerando le mirabili liturgie antiche.
E con la poesia della natura, alla quale attingono allo
stesso scopo i nostri autori, si trovano nei sacramentali tutte le perle
che i culti pagani, sbocciati dai popoli piiù artisti dell'universo,
hanno nei secoli accumulato senza poterli infilare in un dogma corretto
o in una morale pura.
Per arrivare al cuore dell'uomo, la cui porta è aperta
a tutte le influenze naturali, questi segni pure così naturali, così
vicini alla vita quotidiana, così espressivi nei riguardi del senso
universale, saranno molto 'efficaci, 'a condizione però che essi
serbino il loro valore intrinseco.
Questo è dato dal senso cristiano che vi si unisce, dal
loro significato superiore, dalla dottrina che li riempie e dal genere
di sentimenti che essi sono destinati a promui, 'ere. Senza di
che essi non sono che cadaveri e si .- ,^-ebbe tentati di dire a chi se
ne serve senza comprei. ierli, 'senza pensare ad essi, senza volere il
loro effe,.,''o morale e che vede, a lato, il sorriso incredulo:
11
E' vero! L'incredulo ha ragione. Lasciate che si faccia
beffe di ciò che voi stessi rendete puerile; lasciate che consideri
senza valore ciò che voi avete ucciso.
Lasciate che i morti seppellisc,ano i morti.
Ma non si giudica una cosa in base a coloro che ne
abusano, ne di una lingua in base agli stranieri che la deformano.
L'azione sacramentale ha un'efficacia per se stessa,
come simbolo espressivo ed evocatore, come idea-forza, direbbe un
filosofo.
Essa ne ha un'altra o, se si vuole, la prima si rafforza
per il fatto dell'unità cristiana, nella quale l'individuo che agisce
si trova impegnato.
La nostra unità, di cui le nostre autorità
costituiscono il legame, mette a servizio di ciascuno la preghiera e il
merito di tutti. Quando la Chiesa dice, co-. me nella benedizione del
cero pasquale: «Signore, Dio, Padre Onnipotente, luce che non si
spegno, voi che avete creato tutte le luci, benedite questa luce santa,
fate che per mezzo di essa siamo infiammati e illuminati della vostra
chiarezza... », pensiamo che ciò non sia vano.
E come mai questo sarebbe vano, quando alla testa della
nostra unità si trova Colui che ha detto:
« Quando voi sarete in due o tré riuniti nel mio nome
— a maggior ragione la società universale che l'istituzione evoca e
mette in opera — ecco che io sono in mezzo a voi »?
La nostra unità è feconda di Divino, essendo essa
collegata a Dio mediante il Redentore. Primo dei suoi fratelli,
capo dell'umana.tà deificata in lui, il Messia comunica a tutto ciò
che egli tocca un'efficacia divina. Se la Chiesa mette in contatto, con
la sua liturgia,
12
gli umili gesti detti sacramentali con la sorgente
irradiante preparata per noi tutti sulla Croce, solo nostre disposizioni
insufficienti o necessità provvidenziali potranno limi'tarine gli
effetti.
Tutti in uno per il Cristo; Dio in tutti per il Cristo;
noi stessi uniti gerarchicamente, i fedeli sotto i pastori, i fedeli e i
pastori sotto l'Uomo — Dio; tale è la condizione perché la corrente
passi, perché la preghiera efficace salga e il benefìcio discenda su
di noi.
Dio allora si diffonde per mezzo dei nostri riti e per
mezzo di essi ci attira a sé. Dio si fa uomo una volta ancora,
sotto quest'umile forma, affinchè l'uomo sia fatto Dio.
Prolungamento dell'Incarnazione diffusa ovunque, in
tutte le direzioni della vita, il rito sacramentale tende ad assicurarne
gli effetti. Se noi corrispondiamo a ciò che esso cerca, la nostra vita
si organizza felicemente, cioè in conformità dei suoi fini. I nostri .
mali si acquetano o cambiano di segno, direbbe un matematico. In
luogo di una schiavitù in relazione alla materia o allo spirito
oppressore, umano o .sovrumano, essi diventano una prova salutare, un
con-, trollo del nostro valore e uno stimolante affinchè esso cresca;
in una parola, un aiuto.
Bisogna ripeterlo, poiché è la base dell'idea
sacramentale, la materia è serva dello spirito; l'ordine :
morale domina l'ordine fisico e, unito a Dio per il
Cristo, esso esercita il suo .dominio .a vantaggio di chiunque vi sia
disposto.
Se ci stacchiamo da questa azione religiosa, che ci
ricollega ad un'onnipotenza redentrice, ricadiamo nel conflitto feroce
delle forze. Forze naturali schiaccianti, forze sociali rivolte alla
lotta per l'esistenza, forze Anteriori abbandonate a una molteplicità
estenuante di azioni: noi diventiamo loro schiavi.
Con Dio, i cui fini patemi governano tutto l'Universo,
ritroviamo la sicurezza. La malattia, la debolezza interiore, gli
accidenti della vita, la tentazione, la morte, che sono sue serve,
diventano altresì le nostre. Esse sono le nostre « sorelle », come
diceva S. Francesco d'Assisi. Noi siamo liberi dalle loro imprese ^e
sicuri, al contrario, del loro aiuto.
E' là che mirano, un quanto applicazioni della re-;ide'nzione,
tutte le azioni sacramentali della Chiesa. Le ^piccole azioni, dette
sacramentali, sacramenti minori,, , come li chiamava
l'antichità, vi si presentano al loro .'posto. Non li sacrificheremo
agli spiriti ipercritici.
Non diciamo che è veramente degno e ragionevole, :
eguo e salutare impiegare, per servire Dio e salire ;;
verso di lui, tutte le realtà naturali, tutti i valori del .simbolismo,
tutti i frutti della nostra unione col Cri-;'sto, affinchè Dio venga a
noi e noi possiamo andare a lui secondo la nostra natura e le nostre
relazioni di' ' vita; affinchè entriamo nel piano di redenzione baii
sato sull'incarnazione; affinchè liberiamo la creazione, che pure «
geme » della sua dissoluzione anarchica, della « schiavitù che
le impone la corruzione »!
Ben lungi dal materializzare lo spirito, come glielo
^rimproverano i protestanti e i razionalisti, il nostro 'culto ha per
iscopo di infondere spirito nella materia. ;, Esso non vuole quel
dualismo ingannatore che, avendo ; nazionalizzato a oltranza e non
avendo pur tuttavia la : possibilità di abolire la carne ne il suolo
sul quale '• essa si muove, ne gli oggetti esteriori di cui essa vive,
:. arriva semplicemente a lasciar corrompere la carne e a far sì che le
cose riescano domina trici, mentre lo ; spirito vi si esaurisce per non
aver saputo servirsein'e. i. Ciò è tanto più vero perché la natura'umana
è 'più debole. E ciò è tanto più vero per la parte più debole
dell'umanità, cioè per i piccoli.
14
Senza alcuna parzialità la Chiesa, che si da tutta a
tutti, si volge più volentieri verso coloro che non possono contare,
per essere spiritualizzati, che su di lei; verso coloro che la materia
conquista facilmente, perché ne sono più vicini dovendo vivere
quotidianamente senza poter risalire, poveri minatori sepolti nelle
gallerie oscure della vita, verso le regioni della luce.
La Chiesa li prende là ove essi si trovano e parla loro
di ciò che essi, sanno. Essa impiega un linguaggio immaginoso, un
linguaggio d'azione, il linguaggio dei primitivi. Ed è questa una
maternità che tutti devono apprezzare, alla quale tutti devono unirsi,
anche se non ne hanno bisogno per loro stessi.
La grande fraternità, si oppone alle nostre cariche
gerarchiche. E d'altronde, pensiamoci, il regime adatto per il
fanciullo, lo è pure per l'uomo, Che resta un grande fanciullo. Il
regime del primitivo è adatto per il civilizzato per ciò che gli
rimane di primitivo.
«Grattate il russo, diceva Napoleone, e apparirà U
cosacco ». Grattate il razionalismo orgoglioso e vedrete comparire
l'uomo di sensibilità e di automatismo. Impadronirsi, per il suo bene,
della sua sensibilità e dirigere il suo automatismo, questa è, da
parte della religione, una misericordia.
Lasciamo che l'Immenso ci tratti da fanciulli, da
primitivi nell'ordine morale, da selvaggi dell'eterna civilizzazione,
nella quale sì tratta di umilmente entrare per mezzo delle
santificazioni tentate dai nostri riti.
la
CAPO II LA MESSA
Se i sacramentali sono, a lato dei sacramenti, come
segni secondarii del carattere sacramentale della Chiesa, non ci si deve
stupire di constatare che i sacramenti propriamente detti siano per una
parte la sorgente e per il resto i centri d'attrazione dei sacramentali.
Quelli di questi ultimi che se ne staccarono, come Tacqua benedetta o il
confiteor, non mancano di farvi ritorno; quelli che nacquero nella
loro atmosfera, come il segno della croce o l'elemosina rituale, vi si
ritrovano sotto la forma di cerimonie accessorie o annessi.
Così l'Eucaristia, sacramento per eccellenza,
sacramento dal quale dipendono tutti gli altri, richiama a sé tutto
ciò che si può dire sacramentale, ed è per questa ragione che la
Messa, la Messa solenne soprattutto o Messa gr.ande, è il centro
di tutta la liturgia cattolica (1).
La Messa si propone di essere una commemorazione
(1) « La Méssa è stata come il grano di senape, donde
è uscita tutta la liturgia cattolica a DON CABROL, n libro de;la
preghiera antica. Pag. 84.
16
e una riproduzione mistica dell'atto redentore. Ora, per
il cattolicismo, la redenzione è il punto di partenza, la condizione
totale, la spiegazione e il sostegno del movimento religioso, tutte le
fasi della storia :n cui esso si inquadra, tutti i -suoi punti di
contatto, tutte le sue tendenze e tutti i suoi risultati.
La religione è adorazione; essa è lode e azione di
grazie; la religione è pentimento; essa è un appello, confidenza,
tenerezza. La religione è mtfunione che aspira all'intimità e alla
pienezza e nello stesso tempo all'eternità.
La sua estensione si pretende universale. La materia
stessa, con tutte le sue manifestazioni, fatta per servire lo spirito,
entra nel suo dominio. Le diverse parti della Messa, parole o azioni, si
adattano a questa essenza multipla, e ne danno la più precisa e
talvolta la più splendida espressione. Il rito sacro, per la sua stessa
suddivisione evoca già la ripartizione dei tempi religiosi e,
parallelamente, la successione degli atti umani riguardò all'oggetto
religioso. La preparazione, o Messa dei catecumeni, che va
dall'inizio al-l'offertorio, appartiene all'Antico Testamento, cioè
purificazione intcriore, condizione per la venuta di Dio in noi.
Storicamente essa è una sopravvivenza dell'ufficio del sabato sera
tenuto alla sinagoga, quello che praticò il Salvatore a Nazaret, a
Cafarnao, a Gerusalemme e che i primi cristiani, ricordandosi delle
parole del Maestro: « Io non sono venuto per abolire ma per
perfezionare» conservarono.
Quando gli apostoli scrivevano alle chiese lontane, le
loro lettere vi erano lette col nome di Epistole. Quando furono redatti -i
Vangeli in memoria dei fatti divini, essi presero nella Messa un posto
d'onore. E come nelle letture bibliche nelle sinagoghe si leggevano
commenti adatti alle circostanze, così al
2. — La Chiesa.
Vangelo e all'Epistola si aggiunse la spiegazione.
L'asperges, col quale ha inizio la Messa solenne. da il
tono del Confiteor, come simbolo purificatore, formula mirabile
che viene commentata e che suscita più avanti suppliche alternate che
sono come una litania di pentimento e di dolore: Signore, abbi pietà
di noi! Cristo, abbi pietà di noi! Signore, Cristo, Signore,
abbi pietà di noi!
E si esprime questo in greco (Kyrie...), anche
nei nostri riti latini, come nei riti greci e latini si conservano
parole ebraiche: Osanna, Amen, Sabaoth... allo scopo di
conservare parole consacrate dal lungo uso, ma: anche per far risaltare
l'universalità del pensiero e dell'istituto Cristiano. Sulla Croce,-
l'iscrizione che designava il Redentore era scritta in tré lingue: la
lingua mistica, la lingua fìlosofica e la lingua giuridica o
amministrativa: l'ebraico,., il greco e il latino.
Si aggiunge ancora alla parte preparatoria della Messa
il Gloria, questa perla liturgica di grande antichità, e di cui
Beethoven ha fatto un mondo a sé (1). In seguito si sgranano le
orazioni, la cui collezione è ' una miniera di splendori, si sgranano
in seguito con la partecipazione della folla. Preghiamo, dice il
celebrante (oremus), ed innalza le braccia nel gesto dell'orante delle
catacombe, ed alza la voce per esprimere il pensiero del giorno,
invocare i meriti del santo che si celebra, richiamare i bisogni
permanenti, riferendo il tutto a Colui che è intermediario di .diritto
e senza la cui menzione nessuna orazione non
(1) Beethoven nella Méssa in rè mira
manifestamente ad esprimere l'umanità intiera ai piedi della croce
mi-;, stica. Il suo Dona noWs •pacem, in particolare, col suo
accompagnamento di suoni guerreschi, vuole opporre ft pensiero religioso
ai conflitti umani. II suo Gloria è ve ' ramente una lode universale.
18
si conchiude: Per Christum Dominum nostrom. Amen.
risponde la folla e questa parola ha due significati':
Amen! E' bene così: tu hai ben espresso la
nostra anima. Amen! Che sìa così: che Dio ti intenda!
Fatti i preparativi, traversato il vestibolo, la li- ;
turgia accede al tempio. ;
Nella Chiesa primitiva, divisa in catecumeni e fé-\
deli, poiché la Chiesa si sviluppa in un ambiente di reclutamento non
cristiano, un diacono si voltava e-;
diceva, come noi lo diciamo oggi alla fine: Ite,
mis-s» est. Andate, siete liberi; era il congedo. Donde la nostra
parola: la Messa, E i catecumeni uscivano.
Allora cominciavano i misteri, li si apriva col
Credo. La professione di fede vi è ridotta ai suoi elementi
principali; ma essa percorre tuttavia tutta la gamma, da Dio eterno e
dagli inìzi, sino alla reintegrazione, ;, per mezzo della
risurrezione in Dio e della vita eterna, ::
di tutte le cose. ^;
In seguito il prete si volta e dice, come sia alìe ./
orazioni: n Signore sia con voi! Questo saluto, figlio del salam
antico, figlio del grave e dolce saluto di Gesù ai suoi, ritorna spesso
nel corso della liturgia. '^
Esso segna il rapporto tra il rappresentante e
l'assemblea. •
, Che il Signore sia con voi! dice chi per
istituzione comunica il sacro (sacerdos). Che il Signore sia coi tuo
spirito! risponde i} popolo, affinchè tu concepisca, esprima e
ottenga ciò che è il voto e il bisogno di noi tutti.
E il celebrante si sprofonda nel mistero liturgico,
mentre l'organo, cosciente della solennità del momento, suona qualche
pezzo magistrale e medita con noi, poiché il prete ha detto:
Preghiamo.
10
In altri tempi a questo punto i fedeli venivano ad
offrire doni, che ricordavano quelli dell'Epifania, e che consistevano
principalmente nel pane e nel vino del sacrificio poi altri doni in
natura o in denaro per il mantenimento del culto. L'offerta,
praticata in certe occasioni, ne è una sopravvivenza. Il pane benedetto
ne è un'altra, senza contare che esso significa la fraternità, e si
ricollega così alle agapi (1).
Durante questo tempo il prete procede all'off er-torio.
Egli presenta il pane, i cui granuli riuniti esprimono l'unità
cristiana; il vino, prodotto da una moltitudine di acini spremuti,
dovuto alla fermentazione comune. Egli mescola al vino alcune gocce di
acqua, ' che vi vengono assorbite, e chiede che, per mezzo di questo
mistero, siamo assorbiti anche noi nella divinità del Salvatore.
Incensa poi l'oblazione, l'altare e la croce. Egli stesso viene quindi
incensato dal diacono come rappresentante di Gesù, e tutto il clero,
tutti 5 •, fedeli vengono pure incensati, quantunque in modo ineguale,
perché tutti, sia pure in modo diverso, fanno parte dell'unità nel
Cristo e sono dunque, in una certa maniera, dei Cristi, del Santi,
come li chiamava S. Paolo, uniti al Santo dei Santi. E'
all'altare, al diso-''" pra e al disotto di esso e tutto intorno
che le incensazioni si intensificano. Si direbbe che ci si sforza di
impregnarlo, di spiritualizzarlo, affinchè la vittima,-, sacra, portata
dagli efflussi odorosi, salga, come sul- ^ 'le ali delle nostre
aspirazioni, verso il trono ove essa interpella. .: , , , ' .
' • : ,, ,V;''
Dopo di ciò il sacerdote si lava le, mani allo scoper
(1) Si può ricordare, nello 'stesso spirito, ''offerta
che fa il vescovo, nella Messa , della sua consacrazione, di due,
piccoli barili di vino rosso e bianco, di due pani e di due ceri.
.20 . • ' . *
di toccare solo con mani pulite, simbolo d'un'anima
pura, l'assoluta purezza dell'Agnello senza macchia.
Egli prega, riassumendo le intenzioni di tutti e':
invita a pregare con lui (Orate tratres). Le
preghiere segrete completano la determinazione del senso
dell'oblazione, lo scopo che essa si propone. E così si termina la
prima parte della Messa dei fedeli.
Il prefazio inaugura la seconda. Il collegamento
tra le due parti si realizza per mezzo dell'inizio avvincente che è
anche la fine delle preghiere segrete e che annuncia la risonanza del
fatto della redenzione attraverso i secoli: Per omnia saccaia
saeculormn.
E' noto il sublime dialogo scambiato allora nella Messa
cantata tra il celebrante e i fedeli; poi si svolge quel recitativo che
ha infiammato di entusiasmo tutti gli artisti e che sale, sempre più
grandioso, sino al Sanctus, elevando in alto i cuori (Sursum corda);
rendendo grazie per il Dono vivente la cui presenza sta per essere
rinnovata al pari dal sacrificio; proclamando giusto e ragionevole,
equo e salutare di moltipllcare le lodi ovunque, sempre,
all'indirizzo del Signore santo, dell'Onnipossente, del Dio
eterno; lanciando come nuvole di incenso o, meglio, come se fosse la
voce stessa dell'universo estasiato, elevando 16 parole: Santo!
S.anto! Santo! che nella Bibbia sono il canto delle armate celesti (Sabaoth),
cioè delle stelle e dell'armata più sublime degli spiriti (1).
La terra vi aggiunge il suo Osanna, e la voce dei
fanciulli, come nel giorno delle Palme, vi si aggiunge dicendo:
Benedetto sia Chi viene nel nome del Signore!
Poi è la volta del Canone, cioè della
regola, là cosa
(1) La ripetizione per tré volte è un superlativo
e-braico. ,
21
regolata per eccellenza, il rito prezioso e, a causa di
ciò, preciso, invariabile, non osando i secoli, essi che cambiano
tutto, nulla mutare a queste semplici parole.
Si dice per chi è offerto il sacrificio, ed è per l'tJ-niverso.
E' poi per la Chiesa santa, per la quale si supplica Iddio affinchè le
venga conservata la sua unità; per i capi della gerarchla che
rappresentano il gruppo: capo lontano e superiore il Papa; capo vicino
il Vescovo; per tutti coloro che hanno la fede cattolica e apostolica;
infine, rinserrando il cerchio, per coloro che si sono raccomandati
particolarmente al celebrante, coloro che gli sono vicini e che sono
vivi. Poiché per i morti, intimi o lontani, il cerchio si riallargherà
poco dopo. Si attende per quésto scopo che la consacrazione sia
terminata, poiché, in questo modo, la Chiesa globale, suddivisa tra i
due mondi, si riunirà attorno al Salvatore presente.
Memento! Ricordatevi. I fedeli debbono unirsi a
questo invito e dichiarare a Dio per estese, o aprendo semplicemente il
cuore in cui Dio legge, i propn desideri, ciascuno per sé e ciascuno
per tutti.
Affinchè tali desideri siano esauditi, il sacerdote ;
invoca in una lunga enumerazione tutte le categorìe dei
santi; li chiama ed è alla loro presenza evocata dal ricordo che egli
stende solennemente le mani sul sacrificio preparato, come in altri
tempi usava fare il pontefice sulla vittima.
Che questa offerta, egli dice, simbolo del nostro .culto
e di quello di tutta la tua famiglia, sia in ogni;
modo benedetta, ascritta alle cose divine,
ratificata, spirituale e accetta, di guisa che essa diventi per noi
il Corpo e il Sangue del tuo dilettissimo Figlio, il nostro Signor
tiesù Cristo, il quale, la vigilia del giorno,
23
In cui ebbe a patire, prese del pane nelle sue mani
Sante
e venerabili e, innalzando gli occhi al cielo verso tè. Dio, suo
Padre Onnipotente, rendendoti grazie, lo benedì, spezzò
e diede ai suoi discepoli dicendo:
Prendete e mangiatene tutti: QUESTO E' II, MIO CORPO.
A questo punto il sacerdote, confondendosi col
Cristo, il narratore con l'Autore del dramma rinnovato e presente, passa
dalla storia antica, a quella eterna 'e, sentendosi, egli pure, il,
rappresentante di tutta la famiglia santa, di tutta la Chiesa unita nel
suo Capo, del genere umano cosciente e incosciente, purché non rifiuti
la sua anima, dell'universo unito all'uomo e' partecipante inferiore del
suo destino, egli dice, lui, indegno, ma voce autorizzata di uno più
degno: Que-i;
sto è il mio corpo; questo è il mio sangue.
Tutti si uniscono a lui e ciascuno al suo posto deve
sforzarsi di divenire pure Cristo, Cristo della sua prò-, pria salvezza
e di quella dei suoi vicini; Cristo della r umanità unita a Gesù e che
egli offre con sé al Padra celeste; Cristo del nostro universo muto e
che si deve' far parlare, poiché esso pure è figlio di Dio, esso pure
riscattato, ricondotto dal caos all'ordine; esso pura predestinato
essendo i nuovi cielj e la nuova terra promessi all'avvenire (1).
f
E' per questo che tutti insieme, invocando di nuovo
(1) Nel passato, dall'Orate fratres alla
Comunione Ve-;
niva tirato un velario sul celebrante, in ricordo del Santo
dei Santi, e per accrescere l'impressione di mistero. Solo il
campanello avvertiva dell'Elevazione. Nelle . chiese greche, la
disposizione dell'altare nascosto dai- ':
Viconostasi dimostra lo stesso sentimento. Da noi
invece il sacerdote resta più o meno facilmente visibile (in Spagna lo
e poco), ma egli parla a voce bassa, e non "si, volge più versò
il pòpolo.' ".'-'"
23
i secoli (per omnia saecula saeculorum),
ricordando le lezioni salutari (praeeeptis salutarìbus moniti),
obbedendo all'istituzione con un'umile audacia (Divina in-stitutione
(ormati andemus) si mettono a recitare — a a cantare — la
preghiera che le comprende tutte, il Pater (1).
Nel pane quotidiano che vi si chiede, si pone al
primo posto il pane eucaristico atteso, aggiungendo;
Rimetti .a hoi i nostri debiti come noi li rimettiamo. si
anticipa sul bacio di pace che l'uso primitivo aveva generalizzato in
ricordo delle parole del Maestro: « Se quando presenti la tua
offerta all'.altare, ti viene in mente un torto fatto a
tè d.a un tuo simile, va prima a riconciliarti con luì ».
Ragioni di buon ordine hanno tatto riversare questa
cerimonia al clero o in ogni caso l'hanno modificata; ma lo spirito
rimane e il dona not»is pacem: dateci la pace risuona agli
orecchi di tutti (2).
Durante il bacio di pace, il celebrante ha ripreso le
domande al Signore e vi ha introdotto di nuovo i motivi di speranza: la
Vergine, i Santi, tutto il bene diffuso nella Chiesa e sopra tutto
l'Agnello divino che prende su di sé i peccati del mondo (qui tollis
peccata. mandi) e la cui presenza mistica sta per dive-
(1) Nelle liturgìe orientali, il Pater è
recitato in comune. Nel rito latino il popolo dice solamente: ma
liberaci da; male, al che il sacerdote risponde: Amen.
Nella liturgia mozarabica il popolo risponde Amen a ogni domanda.
« Che sia santificato il tuo nome - Amen. Che venga, il tuo regno -
Amen... ». Questa litania di sospiri ' di adorazione e di
approvazione, è ricca di desideri, è sublime, i ': !
TT
(2) 'L.'istrumento della pace, piccola placca di
metallo ornata d'una pia immagine, qualche volta è data a baciare al
fedeli, dopo essera stata baciata dal sacerdote.
24 ,'
mire più intima nella terza, parte della Messa:
"la Comunione (1). ; .
In realtà U sacerdote per primo e i fedeli poi sono
invitati ad unirsi effettivamente al Cristo allo scopo di meglio
congiungersi a lui in ispirito. Essi chiedono che il corpo del
Salvatore, unito alla divinità, conservi fa loro anima, e il
corpo che le è unito, per la vita eterna.
Il sacerdote dice per sé e per coloro che si sona
comunicati: «II vostro Corpo è stato il mio nutrimen— to, il vostro
Sangue è divenuto' mia bevanda; che esai penetrino nelle mie viscere e
che nessuna traccia di;! peccato rimanga in me, dopo che ho ricevuto i
sacramenti di purezza e di santità ».
Si canta l'antifona della comunione; si riprende
con nuova speranza la serie delle orazioni dell'inizio:
il sacerdote saluta due volte col saluto cristiano:
II Signore sia con voi! Infine il celebrante o il diacono
congeda l'assemblea dicendo: alte, missa est: Andate, è il
congedo».
Traduco così., perché i nostri pii autori non vogliono
che si traduca in altro modo questa formula. Ma non si tratta di
andarsene, ma di andare là ove il nostro Signore ci invia. .
Quando-gli Apostoli lasciano Gerusalemme, dopo
(1) Prima della comunione ha luogo la frazione del pane,
che nei tempi addietro consisteva in una distribuzione del pane
consacrato tra tutti i fedeli. Oggi non è che un gesto, ma esso è
espressivo: significa la comunanza di nutrimento spirituale, la
suddivisione di Dio fra tutti. L'Eucaristia si chiamò per lungo tempo
la frazione del pane. « Allo stesso modo che questo pane era sparso
sulle colline allo stato di spighe e che è poi divenuto un'unità
» così i cristiani del mondo intero e di tutti i tempi devono
diventare un solo corpo spirituale.
25
il grande dramma di cui la nostra Messa è la
.ripetizione, Gesù dice loro il suo Ite, missa, est, ed è una vera
missione che egli loro da. E noi pure abbiamo una missione da compiere
in nome del Redentore. Siamo un sacerdozio regale, dice San
Pietro. La Messa, divino contatto, può elargirci influenze salutari che
abbiamo il dovere di dispensare. L'ultimo Vangelo, la benedizione
finale e le preghiere, che Leone XIII e Pio X hanno aggiunto,
terminano di impregnarci di sentimenti e di pensieri rivolti a questo
scopo.
Si comprende che un tale complesso di riti che
accompagnano un sacramento, assumano essi stessi carattere sacramentale,
eminentemente suscettibile di avvicinare a Dio, di allontanare dal
peccato, di soddisfare gli antichi debiti e di preservare coloro che vi
partecipano da tutti i mali, nella misura delle disposizioni e delle
necessità provvidenziali (1).
La Messa, in quanto cerimonia religiosa, è il più
ricco dei sacramenti; essa li contiene e li supera tutti. Non ci
staccheremo perciò da essa parlando degli altri, e specialmente
ricordando la sublime preghiera che abbiamo visto essere! incorporata:
il Pater Noster.
(1) Dichiaro, scriveva Newman, che ai miei occhi non vi
è nulla di così commovente, di così consolante, nulla che superi e
riempia tanto l'immaginazione quanto la Messa così come viene celebrata
nelle nostre chiese.
26
CAPO III
IL FA TER NOSTEB
Mentre il divin Maestro, assise sul Monte delle
Beatitudini, istruiva i suoi discepoli, uno di essi, mosso da uno
spirito più che individuale e facendosi portavoce' d'un gruppo che era
esso stesso portavoce e, infine, facendo un atto di umanità, poiché i
Dodici rappresentavano, nel pensiero di Gesù, le ^Dodici tribù
di Israele»; esse stesse rappresentazione del mondo — uno di essi
dunque cominciò a dire: « Maestro, inse-' gnatcci a pregare ». E
Gesù, come se egli avesse sempre pensato a questa questione in
apparenza inop'-na- :
ta; Gesù, con lo Spirito divino sempre sulle labbra, :
rispose: . •. , .; {\
«Quando pregate, pregate così; :,'" :>•
Padre nostro, che sei nei Cieli, sia santificato il tuo
nome. Venga il tuo regno. Sia fatta la tua volontà come in Cielo così
in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Rimetti a noi i nostri
debiti come noi ìi' rimettiamo ai nostri debitori. E non ci indurre in
tentazione, ma liberaci dal male». ; ,
Ci si rappresenta questa scena come una visiona
grandiosa. „ .
La piccola collina di Galilea non è una cima don-
• ^,
de il Redentore domina la storia, egli, Figlio
dell'Uomo, ogni parola e ogni atto del quale ha una portata universale,
simile alla piccola immagine di una pellicola cinematografica la cui
proiezione ingrandita non ha limiti che nella finezza della sua grana e
nell'intensità della sua luce?
In faccia al Maestro la Terrasanta, simbolo della
cattolicità di tutti i tempi. Intorno a lui i primi elementi della
gerarchla che è il quadro religioso dell'umanità.
E' in questo stondo di" 'universalità che si sente
risuonare la formula concisa, densa, ricca di tutto ciò che una
preghiera corretta deve contenere, deducendolo nell'ordine opportuno e
in forme che suggeriscono, all'analisi, così fecondi pensieri!
« Padre nostro! » Queste umili parole, che si
sviluppano tranquillamente, come uno sguardo semplicemente alzato, dai
mille errori teorici e pratici che ha ricoperti in ogni tempo il nome di
Dio; questo plurale che amplifica, che ci pone tutti insieme, nel mo^
mento di parlare all'Infinito che ci copre tutti; questo appellativo
tenero, rispettoso, intimo senza familiarità, confidente, ricco di
desideri, ma di desideri smisurati dal giudizio paterno, di desideri che
non possono essere eccessivi; appellativo che scarta così lontano il
Dio semplice nozione, il Dio espressione metafisica, il « Dio dei
filosofi e dei sapienti » e nello stesso tempo il Dio feticcio che fu
la tentazione di tutta l'antichità popolare — non è già il colpo
d'ala meraviglioso, l'ascensione dell'anima che verrà a sollevare
ancora il determinativo che sei nei cicli?
Si percepisce l'impressione di vertigine confidente che
queste parole hanno voluto suggerire?
Padre, che sei nei cicli! Tu, il cui nome risuona per
l'immaginazione s nella parte più eccelsa dell'e-
28 .
tere luminoso e inaccessibile » ; tu che da codesta
ci--ma vedi tutto, che da codesto centro di ingranaggi universali puoi
tutto! Tu che abiti pure i cieli dell'intelligenza, cioè i domini dello
spirito, cioè noi che ne deriviamo; che sei dunque all'interno, come al
di fuori e al di sopra; che si può invocare raccogliendosi
silenziosamente meglio che gridando al di 'a degli spazi; tu che si deve
credere infinitamente lontano per natura, ma del tutto vicino per
l'intimità dell'azione e per bontà; che, libero dai nostri
cambiamenti, dalle nostre ignoranze e infermità, puoi , soccorrerle
elevando nella dirczione delle tue grandezze noi che abitiamo il freddo
e oscuro pianeta: -Tu sei veramente nei cieli in ogni modo, o Padre
nostro!
L'ordine delle domande inviate a questo Padre universale
corrisponde a quello dei desideri, quando uno spirito religioso vi
presieda. Innanzi tutto il divino e poi il terreno. Innanzi tutto la
venuta dei veri beni e poi l'allontanamento dei mali.
In testa ai beni divini, quello che riguarda Dio stesso:
la santificazione del suo nome, cioè la sua gloria, il solo bene che
gli possa arrivare, poiché il suo essere è pienezza. Che egli sia
conosciuto, lodato in ispirilo con l'adorazione, lodato con le labbra,
con la preghiera, lodato con l'azione, con la virtù; è il primo
augurio che l'istinto filiale ci deve far formulare.
Seguirà la manifestazione del suo regno. Si
saprà che è lui che governa, se tutto ciò che pensa e che può
staccarsi da lui va a lui. La diffusione di questo regno in noi, intorno
a noi, in profondità e in larghezza, di guisa che tutto e tutti, tutto
in tutti siano sottoposti all'impero divino, è l'oggetto di questa
domanda.
, •• 29,
Sia fatta la tua volontà in terra come in ciclo; sul-•
la terra mutevole a cagione delle nostre agitazioni, come in cielo ove
comandano le grandi leggi; sulla terra peccatrice o tentata, come in
cielo ove gli eletti vivono in tè, liberati dalle nostre capricciose
miserie.
Dopo di ciò, ma solo dopo di ciò, si domanda il
necessario per questa vita. Ancora non si dimentica di incorporarsi i
mezzi spirituali destinati a procurare i beni dell'anima richiesti da
principio. E allo scopo di comprendere in una sola parola tutto quello
che ci è necessario e che Dio conosce; allo scopo di por-yi la
moderazione che è indispensabile quando si tratta di mezzi e non più
di fini supremi, si chiede il pane. Il pane, nutrimento modesto,
che si prende a sufficienza, non in eccesso; ch'è purtuttavia così
fondamentale che se ne parla come della yita stessa:
' guadagnare la propria vita, guadagnare il proprio
pane. ' • .
E si dice: Dacci per significare che non lo si
vuoi ricevere vche dal cielo, non dal nemico del suo regno:
il male. •
E ci si ferma sulla parola nostro pane, per far
ribaltare che non lo si vuole a scapito di altri per mezzo ai
acquisizioni ingiuste; che al 'contrario lò si chiede in comune, pronti
a suddividerlo. . '
Si aggiunge: quotidiano, perché a ogni giorno
basta la sua pena e che si rimette l'avvenire a Colui che conosce
l'avvenire; che d'altronde non si vuole per un giorno quello che sarebbe
il pane di più giorni, tesoro inutilmente ingombrante e corruttore.
I mali contrari di cui si chiede l'allontanamento sono
esposti nello stesso ordine dei beni; salvo che non vi è nulla di
contrario a Dio, e che se si ha chiesto la sua gloria per unirvisi,
sapendo che quesla
30
gloria in un modo o nell'altro è sempre soddisfatta,
non si oserebbe, nel riguardo di Dio, evocare la vergogna. Ma in ciò
che ci concerne, qualche cosa si oppone al regno di Dio e alla sua
volontà: il peccato. Se l'abbiamo commesso, chiediamo che si cancelli. Rimetti
a noi i nostri debiti. E aggiungiamo che alla condizione imposta
quando è stato detto: «Si adotterà, verso di voi la
stessa misura, di cui voi vi sarete serbiti per gii
altri» il nostro cuore -consente: Rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo -ai nostr'i debitori.
Infine, presentando sempre l'avvenire i suoi tranelli,
si chiede che la tentazione, se deve sopraggiungere, non ci trascini:
che Dio la proporzioni alle nostre forze; che egli; ad ogni modo, ci
sostenga nel combattimento, in breve, che egli trionfi in- noi e che noi
siamo liberati dal male. ' ,
In quest'ultimo termine, oltre al male morale, sono
compresi tutti i mali che compromettono il destino, cioè che non si
giustificano per le necessità della pròva; che sarebbero dunque una
gratuita diminuzione della felicità, in questo mondo o nell'altro.
Ecco ciò che il Maestro, in alcune parole
improvvisamente domandate, pronunciate tranquillamente,. più
potentemente tuttavia del modo con cui il Decalogo non era stato scritto
sul Sinai in mezzo ai tuoni, ha voluto insegnarci. ;
Si deve credere che egli stesso pregava così. "
Quando la sera egli saliva, come faceva spesso, su di un luogo elevato
dopo aver 'compiuto la sua giornata; solo, allontanandosi dal frastuono,
anche dal rumore della propria vita; entrando, dopo l'azione spezzettata
dal tempo, nell'eternità della sua opera: la-
31
sciando il gesto del seminatore per ritornare verso le
amplitudini; ritrovandosi senza sforzo nella semplicità del piano di
redenzione: Dio al disopra di lui, l'uomo al di sotto ed egli, legame
sublime, partecipando di entrambi per unirli: il tutto rappresentato
dalla notte d'oriente piena di stelle, dalla Giudea o dalla Galilea
addormentata, dal suo respiro sacro che il silenzio della sera avrebbe
permesso di intendere, che diceva egli nel colloquio ineffabile
iniziato?
Col cuore o colle labbra, in termini espressi o in forma
equivalente, non diceva egli ciò che doveva presentare ai suoi come la
preghiera perfetta?
Non conteneva tutto, per lui come per ciascuno dei suoi
figli, la sublime orazione? Pastore universale, preposto alla salute di
tutti, avente su di sé la salvezza di tutti, divenuto peccato per
tutti, e così pure, senza dubbio, aspirazione, dolore, impotenza o
scaturigine;
d'altra parte elevato, in quanto divino predestinato, a
un grado di dignità che gli permetteva di farsi intendere; centro
dell'universo morale, di cui l'altro è servo, non doveva egli
mormorare, con questa voce di tutto, rivolgendosi a Colui che è tutto e
la cui presenza intima sino all'identità della persona lo estasiava:
Padre nostro, che sei nei cicli?...
La croce non sarebbe che la consacrazione dì questa
preghiera sacerdotale.
Colle sue braccia estese dappertutto, coi suoi piedi
sollevati al disopra del suolo la sua testa ritta verso gli spazi e
aureolata di dolore, il Redentore iniziava un nuovo appello e se questa
volta il Pater si rifuge-rà quasi interamente in una sola delle
sue domande: Rimettici i nostri debiti: Padre mio, perdona loro'
formula in relazione a questo momento specialmente di redenzione,
l'intenzione generale non ne sarà però che la stessa e questa formula
non sarà esclusiva.
32
•Più tardi, sul calvario mistico che è pure la
collina^ di preghiera, l'altare, risuonò la stessa preghiera. ; Essa vi
sarà considerata cosi importante, così sacramentale, in unione col
sacramento per eccellenza del Signore, che vi occuperà il posto
centrale fra la consacrazione e la comunione, e mai essa potrà
separarsene.
. Al tempo degli apostoli, quando le. persecuzioni ,;
infittivano e il tempo urgeva; quando ogni altra ceri-,; monia dovette
essere omessa, si conservò sempre il Pater. La messa allora era questa:
la frazione del pa-< ,<ne e l'orazione domenicale, come .se si
fosse voluto dire: Vi sono due sacramenti: il sacramento reale e quello,
verbale; ciò che il Redentore ci ha ordinato di fare: «Fate questo
in memoria di me» e ciò nhe ci ha ordinato di dire: «Quando
pregate, pregate così».
Negli altri sacramenti, non manca del pari il Pater. Nel
sacramento iniziatore, il battesimo, esso rappresenta il primo esercizio
del diritto di figli concesso a colui che è introdotto nella Chiesa.
Nei primi tempi il catecumeno, che aveva dovuto impararlo a memoria, ma
non era stato ammesso a recitarlo in pubblico, lo pronunciava per la
prima volta, rivolto verso Oriente, dal lato donde sale la luce, per
celebrare ìa sua illuinfinazione, come si chiamava allora il
rinnovamento battesimale.
E' a • causa di tutto ciò che il 'Pater, anche
considerato a parte, al di fuori dei. sacra-menti, è ritenuto dalla
tradizione cristiana come una sorta di sacramento. Cioè gli si
attribuisce, quando è detto con sentimenti che gli 'corrispondono, una
propria efficacia, che supera quella delle nostre stesse disposizioni,
poi-ebè risponde ad un'istituzione; poiché l'azione del
:
,/ ^ 3.
— La Chiesa.
Redentore lo capre; poiché, preghiera perfetta, •
sembra che debba beneficiare particolarmcnte delle parole così
pressanti del Salvatore: DomaBdats e ricc-veret®, cercate e
troverete, picchiate e risarà aperto;
poiché, formulato in termini proprii dal nostri divi-,
no Avvocato s nel quale sono tutti 1 tesori a-ellà saggezza e
della scienza alvine» si pensa che dica lutto ciò che si deve dire e
nel modo come si deve d'irfc, per
-guadagnare la nostra causa; poiché il Pater, quando lo
diciamo in stato di perfezione e sotto l'impulso ^ della grazia, è
detto in noi anche dallo Spirito Santo che grida, come dice San Paolo,
nel più profondo .^dér nostri cuori: Padre! Padre! , '. - '
E' per questo infine che II Pater, preghiera del
Redentore, preghiera per eccellenza del cristiano; preghiera
sacramentale, .è pure la preghiera essenziale della Chiesa.
Questo segue direttamente dal fatto che la Chiesa è il
Redentore socializzato, 11 cristiano collettivo, il Sacramento divenuto
corpo sociale per dare Dìo e per condurre a Dio. '
Questa preghiera, dunc(ue, la Chiesa la dice; ma essa fa
di meglio, la realizza. . :
La sua liturgìa tutta intera significa: Che il tua nome
sia santificato! ' ' - '' . • • 1: •• .
La sua missione sulla terra non è che questo grido
divenuto azione: C6s il tuo regno venga!
Il suo atteggiamento rispetto agli uomini, rìspet--lo
alle sue proprie difficoltà e ai limiti imposti" al suo 'sforzo
significa: Sia f.a.tta la tea 'volontà!
Essa chiede per i suoi figli e cerca di procurare'
-per loro tutto ciò che è loro necessario nel campo
spirituale e temporale: il. pane, particolarmente il' pane
divino, di cui essa è' distributrice.
:.Per scioglierci' "dalle nostre colpe essa chiede
e'
sa
procura, con la penitenza, il beneficio delle
parole-liimetti i nostrt debiti! suggerendoci in consiglio
e in esempio la condizione: come noi li rimettiamo ai no-siri
debitori. Sapendo che la nostra liberazione dal peccato è sempre
provvisoria, essa dice: Non indurci in tentazione! e moltiplica
intorno a noi le salvaguardie, le influenze preservatrici.
Infine, liberaci dal male è Io scopo più frequente,
ahimè, se non in sé il principale, delle sue invocazioni e delle sue
opere.
Ciascun membro della Chiesa che fa sua questa preghiera
e la dice segretamente non ne conserverà
10 spirito che alla condizione di farsi egli pure un'a-
:
nima comune; cioè purché egli entri, come lo strumento
nel concerto, nella grande voce sociale di cui:
;.l Redentore è il corifeo. ;
Senza di ciò egli ha sterilito la sua preghiera sin (
dall'inizio. Dicendo: Padre mio, non ha più padre, poiché
il Padre comune è nostro o non Io è.
Pretendendo di adorare tutto solo, è senza possibilità
di farlo, è senza voce. Chiedendo il suo pane da solo, non può
ottenerlo, poiché il pane è sulla ta- ' vola comune. Chiedendo il
perdono, non può sperarlo, se non si riferisce in un modo o nell'altro
alle chiavi che aprono e che liberano «sulla terra» e «nei cicli ».
E come potrebbe dire: Come noi li rimettiamo se non è in
relazione d'amore con l'insieme dei suoi fratelli? Il perdono mutuo è
l'inverso dell'amore mutuo, dell'amore organizzato che è la Chiesa.
In ogni modo, sempre, in tutto, il sacramentale e
11 sociale coincidono, in seno ad un gruppo che non ^
più nulla, se non è unito profondamente, non essendo ciò che è se
non per l'unione in Dio per mezzo det Redentore.
-i
•
" " '."•' :
' 3B.I-
CAPO IV L'ELEMOSINA RITUALE
Nel riferire il discorso che San Matteo attribuisce a
Nostro Signore tenuto negli ultimi tempi della sua vita pubblica, si
trova questa visione dell'altro mondo così spesso commentata: « Quando
il Figlio dell'Uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui,
egli siederà sul trono della sua gloria e, mentre tutte le nazioni
saranno radunate davanti a lui, egli separerà gli uni dagli altri, come
il pastore separa le pecore dai capri. E metterà le pecore alla sua
destra e i capri alla sua sinistra.
« Allora il Rè dirà a coloro che si troveranno alla
sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, prendete. possesso del
regno che vi è stato preparato sino dall'origine del mondo. Perché
ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi deste da bere; ero
pellegrino e mi deste ricetto; ero ignudo e mi vestiste; ero infermo, e
mi visitaste; ero carcerato, e veniste a me.
« Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando
mai ti vedemmo affamato e ti demmo da mangiare;
assetato e ti demmo da bere? Quando ti vedemmo
pellegrino e ti demmo ricetto? ignudo, e .ti vestimmo? Quando mai ti
vedemmo infermo e carcerato e ve-. nimmo e visitarti?
36
«E il Rè risponderà: In verità vi dico: tuttele
volte che avete fatto qualche cosa per alcuno dei'mi--nimi dei miei
fratelli, è a me che l'avete fatto... ».
Queste dichiarazioni solenni e la loro contropartita che
segue nel testo; tutta questa scena che si potrebbe chiamare le assise
dell'amore, danno la spiegazione della dottrina tradizionale che ha
fatto dell'elemosina, oltre a un atto-delia virtù di carità, un
atto-di religione e come una sorta di sacramento (1).
Che cosa significa, in realtà: «Tutte le volte che Hvete
fatto gualche cosa per alcuno dei minimi def miei fratelli è a
me che l'avete fatto? » se non vuoi dire altro che Gesù istituisce
il povero come suo rappresentante, come suo simbolo vivente, e addita il
gesto caritatevole verso il povero come un segno d'unione con lui; come
un mezzo per ottenere questa unione; e per conseguenza come una sorta di
sacra-:
mento, sé è vero che ogni'simbolo attivo istituito nel—
l'ordine religioso è cosa sacramentale?
L'istituzione, del resto, avrebbe potuto rimanere;
sottintesa. Non occorreva che il Redentore ci dicesse:
Ciò che voi farete al minimo dei miei fratelli
— e dei, vostri fratelli — è a me che l'avete fatto, poiché
tutto ;
il fondamento della nostra religione consiste'precfsa-mente
nell'unità del capo colle membra, ih Dio, e se:
le mie membra sono poi io, tutte le membra del lìe-,'
dentore sono pure il Redentore. ::'
Se egli lo dice specificatamente di coloro che soffrono,
ciò dipende dal fatto che questo è più necessario; è che il membro
minacciato sembra il solo in-;
teressante, il solo che conti e perciò è più
espressivo ;
(1) E' di regola, in teologia, che qualsiasi atto .di
virtù pòssa servire di materia a un atto di religióne; ma ciò vale
in modo particolarissimo per l'elemosina. ' ;
37:-
di tutto, come se dicessi che il soldato ferito
sis-nbo-lizza la patria più del fante che si ferma alla tappa il).
Ma il fondo del pensiero è ben evidente. Soccorrere il
prossimo e provare cosi che lo si ama, vuoi dire amare il Redentore in
esso, è amare D;o nel Redentore, una volta che si è compreso che la
lede, operando per mezzo della carità, fa di noi tutti un solo corpo di
cui il suo Spìrito è l'anima divinaT
E se è vero che l'amore di Dio e in Dio sia il nòstro
tutto; che la religione e là virtù non siano altra /cosa; che in
questo consìstano, come l'ha dichiarato "1 divino Dottore, il
riassunto della Legge e i Profeti, e. che, secondo le parole di
S. Agostino, amare cosi sia una condizione sufficiente per giustificare
a fondo tutto ciò che si è fatto: «Am,ate, e fate ciò che -vorrete»
si comprende come, alle assise supreme, il Rè conchiuda, dopo il
semplice esame dei nostri rapporti, al valore complessivo di coloro che
egli giudica., ,
Si comprende che la Bibbia abbia detto (Tobia,, XII, 9)
senza restrizione, come per antonomasia: «tró-Icmosina Ubera
dalla, morte ED E* ESSA che cancella i peccati ».
. E' essa, non per Patto materiale, non in ragione della
sua entità, che è il denaro o il servizio; ma ip ragione dello spirito
con cui è fatta, che è l'amore.
Per poter essere liberati dalla morte e dal male, basta
amare Dio, di quell'amore di amicizia che è sempre reciproco e che
porta con sé tutti i beni. Ma
(1) Gesù aveva detto: «Si riconoscerà da questo segno
che voi siete miei discepoli, se vi amate gli uni cogli altri». Ma
ancora occorre che questo segno, per essere uno solo, eia visibile. La
carità Inferiore non si vede. Tutto può dimostrarla, ma l'elemosina ne
da un segno tangibile, un segno sacramentale.
38 ^ .
per amare Dio realmente, bisogna amarlo là ove egli è:
nei nostri fratelli; bisogna amarli» tali quali noi siamo: uniti ai
nostri fratelli. Volerci divìdere, o se- . Barare Dio dai suoi, vuoi
dire noa volere più che Dio:
Sia Dio ed è del pari non volere più che noi. siamo
noi.:
IsTon si ama più. allora Dio e neppure ci amiamo noi,,
ma in luogo suo si ama un idolo senza cuore e in luogo nostro si ama un
fantoccio d'egoismo. criminosamente sostituito all'io divino.
I primi discepoli avevano così ben compreso questo,,
che cristiano e fraterno era per essi., e così pure per i pagani che li
circondavano, la stessa cosa. « Vedete dunque come si amano» si
diceva, e certamente questa impressione così attraente non valse poco a
determinare la rapida diffusione del cristianesimo. . L'istituzione dei
diaconi rispose tosto a ci& che vi era di rituale o di quasi rituale
nell'elemosina. La ca— i rità era così un servizio religioso,
corrispondente a un ordine sacro. ,.
San Paolo, ordinando collette tra i suoi allo scopo di
soccorrere i poveri di Gerusalemme, raccomanda loro di pregare,
affinchè la loro elemosina sia ricevuta favorevolmente, come-se
essa fosse destinata al Signore stesso. •
E' in simili pensieri che, per tutte fe epoche
cristiane, sono state inserite questue caritatevoli nel cen-r-tro
dell'ufficio divino, per significare che il sacrificio' consentito
all'amore fa parte del sacrifìcio non sanguinoso del Salvatore e il
fedele è chiamato, lui pure. a dire col sacerdote: AccSpe hostìam,
ricevi, o Signore, questa ostia santa, affinchè essa si trasmuti Rei...
corpo e nel sangue del N. Signor Gesù Cristo. Non,-, si cambia nel
corpo e nel sangue divino questa offerta,
' , 3^
.che
deve nutrire, in una forma o nell'altra,- coloro: di cui è stato detto:
Ciò che vrt farete ad uno di questi minimi, è a me che
l'avrete fatto?
I nostri doni mutui sono l'offertorìo di una messa. Che
si prosegue nel tempo; d'una messa universale in cui il Redentore,
sempre presente e « che interpella » per noi, offre con sé, in
.segno d'amore, tutto ciò che l'amore gli da offrendolo ai suoi
mèmbri.
Ed è per questo che fuori del tempio, a partire dal
portico ove il povero si sente come a casa sua, ove il Redentore è a
casa sua nella sua persona, come è a casa sua mei Tabernacolo e
sull'altare; attraverso gli annessi, del tempio: ospedali, monasteri in
cui la vita con Gesù non si concepisce'che se i fratelli di Gesù vi
sono ammessi, la carità si diffonde in tutte le istituzioni che
dipendono dal cristianesimo.
La regalità cristiana vi consentì e ne fece il gesto,
invitando alla sua parola nei giorni di solennità religiose, dei
disgraziati che vi rappresentavano la presenza divina, affinchè questa
potesse essere onorata in un succedaneo autentico.
Nelle famiglie sì solennizzavano cori larghezze di
.cibo le principali circostanze della vita. I comuni, le .città,
famiglie più grandi ed emule dei rè, seguirono l'esempio dall'alto e
dal basso. Esse ebbero tutte istituzioni caritatevoli che, nel pensiero
comune, erano manifestazioni religiose.
Dal tempo degli apostoli Roma era stata suddivisa. in
regioni, in vista dei soccorsi per gli indigenti, come le nostre città
si dividono in parrocchie. A partire dal IV secolo le grandi
persecuzioni erano cessate, o-vunque erano sorte creazioni di tutti i
generi per tutte le categorie di sfortune. Nel corso dei tempi esse si
erano sviluppate, impiegando immense risorse, e occù-, pando.
l'attività di numerose società che il loro no-
me di ordini religiósi mostra ben ancorati alla
carità
come a un culto. ' .,. . . ;
I ricoveri, che erano così spesso vicini alla cappel-;
la dei Grandi Ordini, si rivolgevano, questa volta, al
povero d'occasione, che era quasi sempre il pellegrino, in quei tempi di
comunicazioni difficili. E questo non . significava: Passa, o Signore,
dall'uno all'altro dei tuoi possessi su questa terra in cui l'amore ti
fece pellegrino ed ove ora i tuoi fratelli di adozione ti sostituiscono?
Il nostro amore sarà fiero di riceverti, quantunque «
non siamo degni che tu entri sotto il nostro tetto ».
Considerate l'affresco del Beato Angelico situato al
disopra di una porta del chiostro del convento di San .Marco a Firenze,
col suo pellegrino nella figura di Gesù, che due giovani monaci si
prendono cura l'uno . di liberare dal suo bastone e l'altro di invitare
dolcemente, mentre entrambi scambiano con lui uno sguar- r do che
significa da parte loro: Sappiamo che il pellegrino sei tu Maestro; e
dalla sua: Si, figlioli, e .io.'.,;
accetto per me ciò che voi fate. : :.,
Tutti, i «passanti per il paese », come li, si chiama-
. va, compresi gli • stranieri, traevano vantaggio da que—, sti
sentimenti, che senza dubbio la mediocrità o la tra-'; ' scuratezza
individuali potevano ben alterare o coprire, ma che erano almeno nelle
cose, se dimenticavano di;':
rivolgerli alle persone. . ;i. ;
Ovunque si raccontava che questo culto attivo era ':
stato compensato con miracoli; che Gesù era real-;
inente apparso là ove il cuore l'aveva servito nella ;.
sua eflige vivente; che Cristoforo, il traghettatore, ave-; :
va un giorno portato sulle sue spalle il Bambino Gesù,
credendo di far attraversare un bambino povero; che Elisabetta
d'Ungheria, poi EUsabetta di Portogallo ave-: \ vano visto dei pani o
dell'oro tramutarsi in rose-nel- ;
-, 4r'
le pieghe del loro .mantello affinchè non fossero
svelate le loro buone opere,. Queste rose non evocavano il profumo
spirituale dell'amore? : Martino il catecumeno aveva dato là
metà del suo mantello e la notte seguente il Signore gli era ap-/ parso
circondato da angeli, vestito nella semiclamide, e aveva detto:
«Martino, 'che non è ancora che .catecumeno, mi ha rivestito di questo
mantello ».
Non si ammira che la tradizione artistica, specchio
fedele, in queste epoche soprattutto, del sentimento universale, abbia
persistito a rappresentare San Martino, che fece più tardi cosi grandi
cose, in questo gesto iniziale e così semplice del mantello tagliato?
Ciò dipende dal fatto che l'arte, quando serba contatto con l'anima
collettiva, il che costituisce la sua vera grandezza, dice molto con
poco. Essa dice in questo caso: l'amore è tatto. L'amore vale la fama
universale. L'amore ha efficacia per l'apostolato, per le conversazioni
dei popoli;
per le guarigioni di società, come avvenne in questo
caso. L'amore vale per tutto e comprende tutto, poiché esso è la
religione della religione, l'essenza del bene e l'anima delle opere
esteriori. « Amate, e fate ciò che volete ». •
Oggi, come sempre, coloro che vogliono andare a Gesù
non devono dimenticare che il povero ne è una via;
che amare Gesù significa essere nella disposizione di
provarlo ai suoi mèmbri; che attenderne delle grazie è una ragione per
accostarsi a ciò da cui egli si è fatto sostituire; per toccare, come
la Cananea, il suo prolungamento d'umanità, vestito vivente che egli
lascia volteggiare verso di noi e donde, sfugge una virtù.
Ma'si dovrebbe pensare ad un aspetto di questa dottrina
che si direbbe molto ignorato, talvolta anche
tó
dai migliori — voglio dire migliori perita buona
volontà che d'altra parte dimentica di i essere sufficien-
, temente generosa.
Se l'elemosina •• è un sacramento,
quale segno della nostra unione con Gesù, come mezzo per
perfezionare questa unione, ricordiamoci che abbiamo detto dei
sacramenti e in particolare del primo di tutti, dell'eucaristia: I loro
scopi sono sociali e nei loro effetti con-, :
viene che si ritrovino l'unità e l'universalità della
Chiesa. \ L'eucaristia ha per iscopo di unirci a Gesti tutti insieme,
essendo noi una. eomimione di fedeli; e tutti < insieme non
significa come gregge, ma secondo la 'fw-:;'
.ma delle relazioni che convengono alla nostra natura
riguardo al soprannaturale, cioè costituiti in una un'- \ ca Chiesa, in
Chiesa governata o universale. . -, Se è ben vero che l'elemosina, da
parte sua, ha lo' :
scopo di unirci a Gesù, insieme, occorre pure che ciaf,
sia insieme organicamente, cioè socialmente- E ne seguirà che
l'elemosina propriamente detta, che soccorre in privato, da uomo a uomo
o da uomo a coUettivitq ridotte, non sarà che una parte, la minore, del
sacramento minore che stiamo studiando. Sarà necessario allargarla e
organizzarla, renderla cioè sociale. , -
Occorrerà che i rè o capi di stato non si contentino;
' di avere il povero alla loro tavola, il che del resto non ' è più di
moda; ma che essi governino in vista dei pò-, veri e dei diseredati
come per la miglior parte del loro popolo. Occorrerà altresì che i
singoli cittadini.' non limitino il loro orizzonte alla miseria vicina,
all'ospedale che li vedrà un'ora alla settimana; ma che essi
comprendano la miseria allargata che è quella del corpo sociale e che
dipende dal fatto che questo corpo non è interamente evoluto, fissato
in forme di vita che assicurano la migliore distribuzione del sangue
nell? sue membra.
VS :
L'opera sociale
moderna, feconda, creatrice, ih luogo dei buchi chiusi e perpetuamente
di nuovo riaperti che i nostri benefici talvolta rappresentano; tale
sarà lo sbocco naturale dell'elemosina, della distribuzione fatta dal
diacono, della colletta a domicilio, del mantello tagliato in due o
dell'ospedale costruito, forme del resto sempre necessario.
Volere che tutti i mèmbri del Redentore, soprattutto
coloro che sono inferiori per sapere, per educazione, per benessere, per
indipendenza legittima, per felicita,
.' ottengano ciò che loro manca e vivano così un
giorno della grande vita umana; e ciò per mezzo dell'organizzazione,
della legislazione, della manovra dei grandi ingranaggi che muovono
tutta la macchina complicata dei rapporti umani; volere ciò d'Un cuore
profondò e d'un'anima chiara; aiutare coloro che vi si ci-
'mentano; offrire loro quel concorso dell'opinione che
è oggi così necessario per ogni cosa; poi il concorso di parole, di
fatti, di risorse che tutti, in un grado o nell'altro, possono fornire,
questo è il sacramento dell'elemosina sbocciato, reso più efficace
e nello stesso tempo più significativo; messo cioè al livello della
'sua materia integrale: gli' uomini, non presi individuo per individuo
ma nella loro unità organica quale essa è o può essere stabilita.
Al limite, se questo spirito un giorno' si estendesse
anche alle fredde regioni in cui non si percepisce ancora il palpito
dell'amore del Salvatore; se per un momento, in sogno, suppónessimo
l'esistenza dell'unico gregge, e dell'unico pastore evangelici
con le mani tese di tutti, gli uni verso gli altri, con cuori uniti e
gli' spiriti intenti a giovarsi dei migliori mezzi d'azione, pronti' a
posare, in nome del cielo, la leva sul punto
44 .
d'appoggio che permette di sollevare il mondo, potremmo
vedere l'umanità salvarsi da sola, cioè per mezzo del suo Capo
Uomo-Dio. . .
Una tale umanità, avendo sopraffatto il male secolare,
avendo medicato le piaghe del Cristo collettivo, essendosi liberata dal
mantello d'ignominia che le copriva le spalle a cagione delle sue tare,
e delle sue , miserie, potrebbe, volgersi a Dio e, con un gesto rè- ;
gale, offrendogli i risultati dei suoi sforzi, potrebbe
; , dirgli: Prendi, o Padre, questi sono i tuoi doni, e a cagione di
ciò, essi sono meno indegni; essi sono per i;
altro del tutto degni di tè poiché sono congiunti al
•:-Dono vivente che tu ci facesti, il tuo Cristo, in nome ^" .
del quale, come un'armata e una famiglia, abbiamo •'~ ' vinto i mali,
soffocato la miseria ed esaltato la vita,--:, quella santa
vita che tu vuoi esaltare in Tè. Prendi, è ;:
il completamento della tua creazione. Può venire ormai
la fine dei tempi, perché è realizzato il tuo piano eterno: Tutto
sottoposto agli eletti, e gli eletti al Cristo, e il Cristo a
Dio.
« Funiculus triplex difficile rumpitur »: un triplice
' legame non si rompe. Dio, l'uomo e il Redentore, loro intermediario,
devono costituire, nell'unità, la vita, tutta la vita: vita
individuale, sociale e, ciò che più im-; , porta, universale,
incorporando per mezzo della civilizzazione la materia allo spirito come
lo spirito è unito a Dio.
L'elemosina rituale significa, nella sua umiltà, que-
.;
ste grandi cose. Essa intreccia il triplice legame. E'
in ciò che consiste il suo valore religioso ed anche quello ' umano.
• '..'. ..
Coloro che vogliono spogliare i nostri rapporti da
questo significato superiore lavorano semplicemente a , dividerci.
Rinnegando il Cristo, legame dell'umanità, ne dissolvono i componenti.
Suolo cosparso di spighe
45
e grano calpestata dalle competizioni sorte dalla lotta
per la vita, ecco a che cosa si riduce il fascio di spighe che si alzava
come un superbo pennacchio dalla terra santificata, quando si attenui il
sentimento della carità. La grande coscienza universale svegliata
all'amore del Figlio dell'Uomo non può allora che dissol-versi
nell'egoismo e l'allucinazione dell'io deve spegnere presso l'uomo, che
non abbia coscienza di Dio, le, visione unitaria prima abbozzata.
Lasciate all'uomo la coscienza di essere fratello del
Redentore e come una cosa sacramentale per i suoi compagni
d'esistenza. Non svegliate in lui un folle orgoglio e, in luogo
del mantello fraterno diviso in nome, del Signore, non gettate sulle sue
spalle, accompagnandolo con adulazioni interessate, la porpora del
pretorio politico, completata da uno scettro di giunco.
La grande elemosina cristiana, che non è più il gesto
ridotto, quantunque santo, da cui avevamo cominciato, è la giustizia
sociale, ottenuta per .mezzo dell'amore degli uomini e questo
incastonato, per mezzo del Redentore, nell'amore divino.
'ib
CAPO V
L'ACQUA BENEDETTA
Poiché i riti sacrammtaU, di cui la Chiesa fa
uso; .' nel pensiero della stessa si presentano come accessorì :
dei sacramenti, è naturale che alcuni di essi si
avvicinino più o meno ad un dato sacramento con. lo scopo di
conservarne, completarne e rinnovarne gli effetti benefici. . :i •
Tale è nel riguardi del battesimo l'ufficio di
quell'elemento santificato che chiamiamo acqua benedetta. :';
,11 simbolismo del battesimo e in generale l'impie- ;
go dell'acqua nei riti religiosi ci sembra essere
giusti- i. ficato dai pensieri più naturali e protondi. ;
L'acqua-purifica, feconda, toglie le alteraziop;; e's- .
' sa, che è la vita della natura, è pure la nostra vita';
per mille ragioni, le une molto evidenti, le altre più'.'
nascoste, ma che l'istinto universale ha present'to pri-, ;
ma che la scienza vi abbia posto il suo sigillo. ; '
: Sembra assodato che la vita abbia avuto inizio'date)
fondo degli oceani. Lasciando l'elemento .umido, gli-;. organismi aerei
e terrestri portarono con s& l'acqua e"'' ne costituirono il
loro «ambiente interno ». Togliete ' l'acqua al nostro corpo e non
rimane che un mucch.iet-to di cenere, tanto che la minaccia: Sei polvere
e in polvere ritornerai sembra avere per contropartita la
47
promessa evangelica: « A chi crede in me scaturiranno
dal suo seno fiumi di acqua viva... per una vita eterna » (1).
Le vecchie teorie di Talete, eco di tradizioni
orientali, in base alle quali tutti gli esseri sarebbero derivati
dall'acqua, non sono che il risultato di una verità naturale spinta
all'eccesso, la quale doveva per altro tramutarsi simbolicamente in
verità religiosa.
Così tutte le religioni hanno ammesso questo elemento
agli onori del culto, sia che lo si adorasse, come tacevano gli antichi
Egizi per il loro dio Nilo, sia che lo si introducesse nelle cerimonie
puriflcatrici come avveniva per la maggior parte delle religioni dei
popoli antichi.
Resta a stabilire se il cristianesimo avrebbe dovuto
respingere un simbolo preciso perché era già stato usato da altre
religioni. Non era invece questa una ragione per riconoscerne l'utilità
e, senza paura di paganizzare — poiché nell'impiego degli oggetti
naturali e dei segni primitivi tutti si paganizzano — usarla pure in
rapporto alla fede cristiana?
Nel giudaismo, donde il cristianesimo trae le sue
origini, si praticavano l'aspersione dell'acqua e le abluzioni, prima
del culto. Il celebre recipiente chia-, mato mare di bronzo posto
nel tempio a lato dell'ai-';' tare degli olocausti era una pila
collettiva dell'acqua santa. La fontana di Siloe, alla quale si
attingeva con vasi d'oro nel giorno della festa dei Tabernacoli, era
chiamata la sorgente della salute, poiché le si attribuiva, come
simbolismo, Perfusione dello Spirito Santo quando fosse venuto il
Messia.
L'abluzione totale, o battesimo, era stata sempre
(1) Giov. VII 38 e IV 14.
48
praticata da allora- Giovanni, il .precursore, alla
vigilia della venuta di Gesù, la rinnova dandole -un significato di
penitenza. • " • , II Redentore stesso, sottomesso agli usi.
del suo popolo e a tutto ciò che è caratteristico dell'umanità, di-;
scese religiosamente nel Giordano e si inchino sotto'i;
segni simbolici che dovevano far risaltare la sua
cori-sacrazione come Messìa.
. L'autore sacro, sembrando fare' allusione alle antiche
cosmogonie, aveva detto nel racconto della Crea*^:' zione: «E lo
Spirito di Dio si libr.ava sulle acque», cioè per fecondarle.
Così lo Spirito Santo, manifesta-' tosi al battesimo dì Gesù, si
libra sull'acqua battesi-male per farne scaturire la vita: non più la
vita del.' corpo,, ma quella dell'anima, il simbolo utilizzato dal-,
10 spirito che ha potere sullo spirito; tutte le acque
deli-, la terra invero, come dicono i santi padri e dottori, sono
rivolte per l'iniziativa del redentore a un nuovo scopo religioso,
secondo le nuove e definiti ve-dottrine.
La terra emersa circondata dai mari e lavata dai fiumi;
le anime bagnate nello Spirito Santo e irrorate , spiritualmente a
proposito dell'acqua lustrale; tale è
11 simbolo proposto.
Dopo di che un Francesco. d'Assisi avrà doppiamente
ragione di lodare «nostra sorella acqua, che è assai utile, umile,
preziosa e casta ».
, ;Nei primi tempi della Chiesa l'impiego religioso
dell'acqua sembra, essersi limitato al solo 'battesimo. Non si volevano
moltipllcare i riti esteriori allo scopò di. reagire contro il
formalismo farisaico. D'altronde la stessa acqua battesimale era
impiegata tal quale, Senza nessuna benedizione particolare. Ne gli ebrei
ne i pagani benedivano l'acqua. Essa era puriflcatrice, si
^ 4. — La Chiesa.
pensava, a causa della, sua stessa.natura.
Il • simbolo era dunque completo quando .non lo alterasse la
presenza di impurità. • '
Tuttavia, allo scopo di meglio far risaltare ;.
l'intenzione .spirituale del battesimo e per aggiungere aùa sua
efficacia nuovi benefici con l'Influenza dalle preghiere
collettive di cui il ministro è portavoce, si ritenne opportuno,
all'inizio del II secolo, di pronun-. dare sui tonti
battesimali, prima in Africa, e poi a poco a poco ovunque,
formule sul genere della seguente, che è molto antica:
«Ti benedico dunque, o creatura acqua, per il Dio. vivente,
il Dio vero, il Dio .santo, 'il Dio che all'inizio,;
per mezzo delle, sue parole, ti separò dall'elemento arido...
per Gesù Cristo suo -Piglio unico. Nostro Signore, ' che
per un segno mirabile dalla sua potenza ti cambiò in vino
a Caaa,
• che coi suoi piedi sfiorò la tua superficie,
che ricevette .per tuo mezzo nel Giordano il battesimo, che ti
fece' .sortire col sangue dal suo costato aperto è. che ordinò
ai suoi discepoli di battezzare in tè coloro che fossero
indotti a credere» (1). , , ,
' D'altra parte, poiché una cosa si .conserva con gli
stessi mezzi die hanno servito a procurarla e per di più il battesimo
non si ripete, si fu naturalmente portati a istituire, per imitazione
del giudaismo e del paganesimo religiosi, ciò che si potrebbe chiamare
O battesimo minore, cioè l'aspersione -e le purificazioni accessorie,
dando loro come significato l'effusione dello Spirito Santo non più in
ciò che essa ha d'iniziale e di indispensabile, cioè l'iacorporazione
a Gesù, ma
•in quanto essa. quotidianamente ci rituffa in
questa vita della nostra vita & ci fa maggiormente
partecipare ad essa. ', ' ;1 ! •' '•'
• . '.' ' - • • •
(1)
Prefazio della benedizione del fonte.
(50 •
Ogni madre nutre i suoi figli. Nati dall'acqua e dallo
Spirito, dall'acqua vivificata dallo Spirito, possiamo esserne aiutati a
richiesta della Chiesa, quest'altra madre nella quale lo Spirito è
associato e che ne guida l'azione.
C'è dunque questa: differenza tra il rito secondaria e
il sacramento, che.l'uno conferisce lo stato di grazia e che l'altro Io
presuppone o, in ogni caso, vi si subordina,
Prendendo dell'acqua benedetta, non si ha la pretesa di
conquistare l'amicizia divina; ma se questa non la possedete, la buona
volontà intcriore, che accompagna questo gesto pio, può disporvi; se
poi la possedete già, esso contribuisce ad accrescerla, e il tutto con
l'efficacia particolare che deriva dall'istituzione, dalla preghiera
pronunciata d'autorità su questo elemento quando lo si consacra pel
vostro uso, che deriva pure, a vantaggio di ciascuno dei nostri atti del
loro collegamento con altri procedenti dallo stesso spirito, nell'unità
della Chiesa. •
La corda sonora vibra meglio sulla cassa dì risonanza.
Il nostro gruppo religioso ha pure la sua atmosfera vibrante grazie alla
sua organizzazione. Quando un rito ci unisce in nome di una tradizione
stabilita a quest'anima collettiva, i nostri sentimenti acquistano un
valore che loro deriva dalla comunione dei santi, cioè dalla
fraternità nel Redentore; questo valore moltiplica tutti i
nostri valori individuali, come sempre avviene nel caso di associazione.
Non ci si deve perciò stupire di vedere un grande
vescovo antico chiamare l'acqua benedetta « cosa sacrosanta, degna di
venerazione e piena di mistero ». '
Essa è sacrosanta, perché procede dallo Spirito di
santità diffuso nella Chiesa, Spirito che cerca con tutti i mezzi,
piccoli e grandi, di aprirsi una via nei rio-
&Ì
siri cuori per, vincervi il male, promuovervi il bene e
prepararvi la vita eterna. •• ' E' degna di venerazione per la sua
antichità e i suoi punti di attacco'universali, dato che, trovandosi
essa in tutti i culti, influisce sul cuore umano in ciò che ha di più
profondo; e dato che d'altronde essa è cosa in particolare
ebreo-cristiana, e poi del tutto cristiana, collegandosi lontanamente
all'istituzione e alla pratica personale del Salvatore.
E' poi cosa piena di mistero a cagione dei numerosi
simboli che essa evoca. Ne abbiamo nominati pa^ recchi, ma bisogna
aggiungervi quelli che provengono dagli elementi nuòvi che vi sono
stati introdotti nelle cerimonie della sua consacrazione.
In realtà l'acqua lustrale dei cristiani'non si impiega
pura, come si faceva spesso nell'antichità. Per l'uso ordinario vi si
aggiunge il sale, come per costituire un siero conservatore,
stimolatore, che preservi insieme dall'atonia e dalla corruzione, e che
dia alla nostra vita. il sapore che consentirà al prossimo di compiere
la sua edificazione e a Dio di compiacervisi, unendola alla vita dei
nostri fratelli per mezzo di questo segno di ospitalità che fu in altri
tempi il sale. Quando entrate in una- chiesa e vi offrite
scambievolmente-l'acqua benedetta, rinnovate il gesto antico che .faceva
obbligo di offrire il pane ed il sale agli ospiti.
Quando si tratta dell'acqua battesimale, vi si ag-;
giunge l'olio dei catecumeni, simbolo dei combattimenti
che il cristiano deve sostenere per il Redentore, della luce che riceve
e che deve diffondere, della dolcezza che gli viene testimoniata e che
egli a sua volta deve testimoniare, della guarigione e della salute
procurate, .dalla grazia. •
Quando i .-catecumeni dei tempi primitivi, riuniH nelle
catacombe,' si preparavano simultaneamente al, battesimo e al martirio,
un tale simbolo aveva una sua ragion d'essere tutta particolare; ma il
martirio quotidiano di una vita santa ne è una giustificazione
sufficiente. • . i
Vi si aggiunge ancora il sacro crisma, ricordo del
profumo di Maddalena, per significare il fascino della / virtù.
: : , . ; Per la consacrazione delle chiese, una delle cerimonie più
imponenti, l'acqua benedetta è mescolata con cenere, come nell'antico
Egitto e come a Gerusalemme in occasione dei sacrifici. Si tratta di
ricordare all'uomo l'umiltà della sua condizione e la brevità della
sua vita, di farlo inchinare ^davanti alla Maestà che si de-gna di
mantenere con lui rapporti religiosi, di fargli pensare con amore, a
Colui che per lui e con lui si è fatto cenere e polvere, di
allontanarlo con questi pensieri dal solo ostacolo inferiore alla sua
vita morale;
l'orgoglio. Voglio dire nella sua radice, che è.
rifiuto a darsi alla sua legge, volontà di serbarsi per se, esaltandosi
cosi al disopra di tutto. Tale/orgoglio con le' due ramificazioni
principali, voluttà od orgoglio della» carne e superbia o voluttà
dello spirito, è tutto l'albero del male che si tratta di estirpare.
Nel vuoto di 'se-che suppone l'umiltà, riesce possibile all'Infinito di
entrare infondendogli la -grazia a chi riconosce che pep suo merito non
possiede nulla. ' . ,: ; .
Ma poiché gli estremi spiano .sempre il nostro sparito
'squilibrato dal peccato d'origine per impadronir-sene e poiché
dall'orgoglio si; può, per ..reazione, cadere in uno scoraggiamento
pieno di tristezza, fatale at» l'energia del nostro .sforzo;-la
Chiesa-'aggiunge alla CE-s
S8
aere, simbolo dell'umiltà, un simbolo di vigore morale,
di coraggio e di gioia. Essa versa del vino nell'acqua dèlia
consacrazione, quel vino « che letifica it cuore dell'uomo», come dice
la Bibbia; che è stato dato alla terra, eome assicurano vecchi autori,
per sostituire l'albero della vita; vinum a Vi dictum dice Varron^.
coinè se la sua etimologia volesse significare forza; esso è un
simbolo utile per elevare gli spiriti dopo che sono, stati umiliati
verso la cenere.
Pascal vedeva una delle prove della divir-'tà della
religione nel latto che essa umilia l'uomo solo per meglio elevarlo e
che lo eleva solo dopo ave" avuto cura di umiliarlo, evitando così
tanto l'orgoglio dello stoico quanto lo scoraggiamento dello scettico;
.Lodiamola dunque per il fatto che la sua liturgia tiene conto della sua
dottrina. '
D'altronde essa non dimentica che il suo Maestro-divino
si è paragonato al tronco di cui noi siamo i rami, rappresentando in
questa pianta modesta, debole C per così dire dolorosa, in cui per
altro scorre una linfa generosa è squisita, l'effusione della divinità
nell'umanità. Tutti questi simboli, se fossimo meglio penetrati del
loro valore simbolico, e meglio al cor-' rente dei testi in cui essi
sono commentati, produrrebbero su di noi quell'impressione del sublime
che allontanerebbe il rispetto umano da cui sono presi alcuni al momento
di immergere le dita in una vaschetta dell'acqua benedetta o di
aspergere una tomba.
Si leggano nel liibro della Preghiera antica di Don
• Cabrol alcune delle orazioni relative alla benedizione dell'acqua o
al suo impiego; si vedrà come sono penetrate della più grandiosa e
più intima poesia e ricche di senso della natura, di umanità e
di divinità riflesse;
cosi si prenderà gusto a questi riti che sembrano
insìpidi a coloro che sono tali, superstiziósi a chi non
ne ha compreso, lo scopo, e che sono invece ammire-v oli
nello spirito secondo cui sono stati istituiti, cioè in lóro stessi.
In ciascuno dei suoi impieghi l'acqua benedette rende
particolare il suo significato generale e lo adatta al caso per cui
viene usata. • '
All'entrata in chiesa essa invita a
purificarsi dei;
pensieri profani e a raccogliersi insieme agli altri
fé-1 deli. • . . •1 •• : • • ' •
• •
Iti casa suggerisce la santificazione della nostra
intimità, dell'azioni quotidiane in cui la nostra vita real--mente
consiste, più che nella vita mondana o nella' politica. Vi apporta la
speranza di un aluto quotidiano in più degli aiuti periodici offerti
dai sacramenti alla' vita cristiana.
' \ Distribuita sulle nostre case, i nostri beni, gli
oggetti di nostro uso quotidiano, essa significa: Signore;
fa che possiamo far uso delle cose temporali in modo da
non dimenticare quelle eterne; ' : :
Introdótta come elemento accessorio nell'ammini-'
strazione dei sacramenti propriamente detti, vi eser-' . cita un ufficio
preparatorio, a 'meno che non vi sia11:, presa come materia,
come avviene nel battesimo. ;"'::'
In Oriente i fedeli ne bevono alcune gocce nel pa-'.;, .
sto nel giorno dell'Epifania, nella, quale solennità ha ,,. luogo colà
la benedizione .dell'acqua ed è in tal modo •' la nutrizione, cioè
la vita, che vuole cosi spiritualizzarsi simbolicamente.
L'acqua benedetta offerta a un ammalato gli applica la
preghiera collettiva fatta per lui e gli 'infonde ':
forza, se è cosciente, per aiutarlo a utilizzare
cristia- :
namente le sue sofferenze allo scopo di
renderle più,;, lievi, se Dio" lo vuole, i
;• ! 55^
.Aspergere un defunto significa augurargli refrigerio e
hice. E' come dirgli: Che Dio ti benedica, o fratello che ci hai
lasciati;-che egli purifichi la tua anima dalle lordure della terra e
faccia schiudere in tè la vita eterna in sostituzione dei tuoi giorni
terreni; che egli ti esprima il nostro . amore fraterno e che infine ci
riunisca. . •
L'acqua benedetta rientra perciò in tutti.! modi
nell'idea sacramentale. Nei riguardi degli elementi materiali l'acqua
benedetta ha lo scopo di contribuire a ; farli servire allo scopo cui
sono destinati, che è quello di sviluppare, lo spirito, di secondare e
non di intralciare l'elevazione dell'anima, di portarci a Dio, che è
Creatore tanto nostro quanto delle cose materiali, e che ha posto, nel
suo universo la gerarchla degli esseri. a servizio della loro
ascensione, in vista del destino degli eletti. ' ' :
Tutto si può riassumere in questa preghiera, 'dì cui
ogni eristiano deve augurarsi di poter ricevere il beneficio: ' ;-
«O Dio, che per un ordine meraviglioso della toà
Provvidenza, hai voluto servirti anche delle stesse cose ,
inséfisibili per esprimere jla mirabile economia
dell.a-nostra salvezza, illuminate i cuori dei vostri fedeli
servitori affinchè comprendano Qnesto mistero. A-men » (1). ;
(1) Prefazione della Benedizione delle Palme.
se.
.j.capo VI.
LE BENEDIZIONI
Tutti gli aggetti, di cui facciamo uso, tutte le cose
animate .che sono immesse dalla Provvidenza nell'i nostra vita hanno lo
scopo comune di preparare, nei nostri riguardi, il regno dei fini della
creazione, cioè di collaborare alla nostra felicità in questo mondo e
•nell'altro. . , .
Noi stessi, per mezzo di tutto lo .svolgimento d"IIa
nostra vite Inferiore ed esteriore, abbiamo lo stesso' scopo:
dobbiamo adoperarci per essere felici. E certamente noi lo vogliamo
anche con volontà incoercibile;
ma quante volte per aberrazioni colpevoli o intoscient»
non diventiamo i nostri stessi nemici, mentre le. cose, deviate dal loro
scopo per accidente o per volontà ostili, umane o sovrumane, p.ure si
oppongono, a noi,. ci cagionano dispiacere o ci tentano, costituiscono
cioè come uno .schermo che ci impedisce di vedere Dio, mentre
dovrebbero fare come. da specchio; risultano essere un ostacolo e ci
respingono, in luogo di essere v.n gradino per salire. .. . .
Questa deviazione dei valori della vita è la causa,. di
tutte le nostre disgrazie, temporali e spirituali. Oc--correrebbe tutto
raddrizzare, preservare dal caso ma-
57.
Ugno, esorcizzare, liberare dagli influssi sfavorevoli o
malvagi per far rientrare le cose create nel disegno del Creatore e per
orientare la materia verso lo spirito e il tutto verso Dio che vuole
tutto ricevere dopo aver tutto lanciato nell'avventura dell'esistenza,
pericolosa, ma meritoria e feconda.
E' a questo che tende evidentemente tutto lo sforzo
religioso ed è a questo che in particolare mirano i sacramenti, catena
tesa tra noi e il Redentore che ci trascina verso Dio con una
redenzione progressiva-
Ma poiché i sacramenti .hanno delle appendici che ne
prolungano e ne rendono specifica l'azione, non dobbiamo meravigliarci
di vedere dei riti disposti ad orientare versò il bene e la felicità
le cose e le persone, traducendo in monete per loro, se così si può
dire, il beneficio dell'incarnazione, sotto la guida della Chiesa.
Tale è l'ufficio delle benedizioni. . .
La parola benedizione viene da bene elicere; dire del
bene, dire cioè cose .favorevoli, richiamare deibenefici o
riconoscere dei benefìci.
Nell'ordine religioso, e sacramentale benedire
Significa richiamare su di noi — direttamente o con l'intermediario
delle cose — ciò che il Redentore ci ha meritato, ciò che ci è
stato preparato nella misura delle nostre disposizioni e della
provvidenza che ci guida, ciò che è stato deciso che ci venga
dato per mezzo di questi intermediari naturali che sono i mèmbri
della nostra gerarchla, rappresentanti nello stesso tempo,
del Redentore per esaudire e di noi stessi per implorare;
mani che si elevano, in quanto umane. e fraterne; mani che si
abbassano, in quanto divine per istituzione e come strumento consacrato
a nome de) Redentore per essere il canale delle sue grazie.
Dal lato divino 'le benedizioni sono i benefici stessi,
58^
Ciò che Dio dice è ciò che egìi fa. Ciò che egli
dice di favorevole (bene dicere) è ciò che fa in nostro favore.
La parola di Dio, che non ha nulla di esteriore, che è
il suo stesso pensiero creatore e reggitore, e per conseguenza che è
pure il suo agire, poiché pensiero e azione in Dio non si distinguono,
sarà dunque, quando sarà realizzata, la forma che prenderanno gli
avvenimenti e la realtà di tutte le cose,
Ogni cosa esiste perché Dio la dice: «Dixit et f»-cta
sunt ». Egli stesso è secondo che egri si dichiara, poiché il suo
Verbo è la sua realtà stessa.
Il Verbo è in Dio una benedizione sostanziale ed egli
ce la comunica per mezzo del Redentore. Ce ne prodiga giornalmente i
benefici, in relazione alla nostra vita, per mezzo di benedizioni
parziali che sono i suoi benefici quotidiani. E se egli li subordina da
un lato alle nostre azioni e dall'altro alle nostre preghiere e alla
gerarchla religiosa, lo fa, nel primo caso, affinchè siamo figli delle
nostre opere e nel secondo per avvicinarci a lui per mezzo di questa
ascensione della nostra anima; e nel terzo affinchè la gerarchla ci
mantenga in società, uniti tutti come fratelli in suo nome.
Il celebre affresco intitolato la Msputa del Santo
Sacramentò, in cui il Padre celeste, che benedice con gesto sacerdotale
e tenero, occupa là parte più elevata della composizione, mentre ha al
di sotto di lui il Redentore coi suoi apostoli; e al di sotto lo Spirito
comunicato coi suoi riflessi nel Vangelo e di sotto ancora la gerarchla
che rappresenta la Chiesa e che disputa della presenza reale allo scopo
di organizzarne l'impiego, è un simbolo sufficientemente completo delle
benedizioni divine che scendono da. Dio e s3 di'Hondonr» sull'umanità.
Non occorre perciò ormai aggiungere che in
ogni-benedizione si dovrà invocare il Redentore, Se ciò non si fa con
parole, basterà un gesto e si traccerà sull'oggetto o sulla persona il
segno della croce, che richiamerà Gesù Redentore. ••• • . .
Qualche volta si procederà all'incensazione per far
risaltare l'intensità e la solennità della preghiera, ,per. darle il
profumo squisito che conferiscono i meriti del Salvatore.
I .primi oggetti da benedire, se si tratta di cose
inanimate, saranno gli oggetti di culto. Essi sono par-ticolarmente
destinati al nostro bene; in tal modo essi vengono adibiti al loro
ufficio religiosamente e vengono sottratti all'uso profano. Vengono
santificati nel senso etimologico della parola, cioè vengono
separati in vista degli impieghi sacramentali di cui riceveranno la
capacità da un rappresentante autentico del Reden-, tore, cioè da un
sacerdote.
E' per questo che si benedicono le chiese e la prima
pietra delle chiese, in vista della presenza reale.
E' pure per questo che si benedicono i vasi sacri <s
le pietre d'altare con una benedizione che prepara la miglior
benedizione d'un contatto divino.
Si benedicono del pari gli ornamenti simbolici, cia-,
&cuno dei quali esprime un aspetto della religioiie, richiama un
dovere e parla all'anima delle sue speranze.
Si,benedice l'olio che dovrà servire, ad amministrare
il. battesimo, la cresima, l'estrema unzione. Si benedicono l'acqua
lustrale, gli olivi 'di Pasqua, il cero. pasquale, gli organi. . ,
Si benedicono i cimiteri, le immagini religiose esposte
in pubblico, gli oggetti di devozione personale. E tutte queste
benedizioni sono dette consacrativc.
A partire dalI'VIII secolo — è sorprendevole che non
vi si sia pensato prima — si benedicono allo stes-
60 ,
so modo le campane (1). 'L'umile metallo che deve
adempiere all'ufficio di essere una voce della Chiesa, di chiamare alla
preghiera i fedeli dispersi, di annunciare la predicazione, di preludere
al santo sacrificio, di intonare il cantico comune della nostra
adorazione e, nello stesso tempo, come voce di Dio esprime gli appelli
dall'alto, l'azione inferiore; della grazia, la violenza dei
rimorsi, .il dolce invito della speranza, questa umile cosa di impiego
così grandiosa deve essere destinata alla sua funzione in modo solenne.
Così si organizza una specie di battesimo delle campane, come per uri
essere vivente dai destini gloriosi. Si addobbano e si profumano
simbolicamente; si augura per i loro accenti la dolcezza delle trombe
d'argento di cui si parla nel libro dei Numeri o, se è necessario, la
forza delle trombe di Gerico, per abbattere la resistenza dei cuori. '
Oltre agli oggetti consacrati ad usi di devozione si
benedice tutto ciò che si impiega nella vita umana:
le case, i -letti, i campi, le sementi e i raccolti, gli
animali domestici, il pane e gli altri alimenti, tutti i prodotti
dell'industria; piroscafi, ferrovie, telegran, telefoni, aeroplani,
opere d'arte, fontane pubbliche, -monumenti, officine, scuole, ospizi,
miniere e cantieri, ecc.; tutti gli emblemi patriottici: bandiere,
stendardi, spade ed uniformi; e così pure la terra, il mare, le strade,
i fiumi, i canali, tutti i luoghi ove ci si muòve. Infine il rituale
contiene benedizioni ad omnia, per ogni cosa allo scopo di
benedire anche ciò che si dimentica e così da non lasciare alcuna
porzione di sostanza materiale senza consacrazione religiosa.
(1) L'adozióne delle campane in Occidente risale almeno
al VI 'sècolo. ' . ,
m
Sono anche oggetto di benedizione le persone, che sono
pure cose da guidare per: la coscienza morale e da rivolgere verso Dio
per mezzo di una sorta di coercizione consentita, visto che esistono in
noi contemporaneamente un timore e un bisogno combattuto del divino.
Si benedicono i bambini alla nascita e m diverse
circostanze e così pure le madri dopo il parto. Si benedicono i
fidanzati e gli sposi, i viaggiatori alla partenza e al ritorno, i
missionari e i pellegrini, i malati e gli agonizzanti, le assemblee; e
gli individui isolati;
in una parola tutti coloro che ritengono opportuno di
collegarsi, con un segno espressivo e attivo, alla sorgente dei beni
spirituali che presto o tardi portano con sé tutti gli altri, cioè Dio
incarnato. Dio che si fa carne nell'uomo e nel suo prolungamento, la
natura. affinchè la natura, e l'uomo abbiano Dio.
Quanto all'esecutore delle; benedizioni, esso è, più
spesso, un sacerdote ordinato dalla Chiesa; ma la benedizione del
Vescovo e quella del celebrante alla fine della Messa sono state sempre
considerate dalla tradizione come fruenti di prerogative speciali e sono
queste benedizioni che in particolare sì ha l'abitudine di chiamare
sacramentali. ,
La ragione è chiara per ciò che riguarda il vescovo ed
è che il successore degli apostoli possiede; come i Dodici, la pienezza
del sacerdozio conferito da Gesù.
Il potere del semplice prete e mirabile per efficacia e
grandezza, ma è limitato. Quello del vescovo è invece totale. Lo
stesso Papa, da questo punto di vista, non è che il primo tra i suoi
fratelli. Se la giurisdizione del primo pastore e quella del pastore di
una diocesi sono molto diverse, il loro potere d'ordine è
62
identico. Donde segue che la loro benedizione è
posta , sullo stesso .piano dal .punto, di .vista .sacramentale,'1 benché
la benedizione papale : sia ricevuta con maggior onore.,
, I/una e l'altra ad ogni modo sono sempre state oggetto
nella Chiesa , di una venerazione giustificata. ;< poiché il
sacerdozio integrale partecipa al alassimo del potere di intercessione
che San Paolo attribuisce , al Redentore dicendo: Abbiamo un pontefice
che può perfettamente salvare, coloro, che si avvicinano a Dio per
suo mezzo (Ebr. VU, 25). ;
. Non è in realtà cosa normale in ogni
organizza- • zione che i beni propriamente sociali per vangar o
per ^ •mezzo delle autorità sociali e ciò tanto più
perché si ;
tratta di un potere più elevato? I nostri tesori
spirituali non fanno eccezione; essi ci giungono per mezzo d.
intermediari: quelli del Redentore sempre e quelli dei suoi ministri
abitualmente. Dio li dispensa e li fa. scendere come quei profumi di
Aronne, di cui parla il Salmo, che invadono la sua testa e scendono
lungo i.suoi venerabili capelli fino al margine dei suoi vestiti.
Quando il pastore è di fronte al suo gregge, in piedi
sui gradini dell'altare, colla mitra in testa e col bastone pastorale in
mano, con la cappa d'oro allargata come nei quadri dei .primi artisti
cristiani in ."cui la Vergine abbraccia tutto-un ordine religioso
o' tutta la Chiesa nelle pieghe del suo manto azzurro; colla croce d'oro
sul petto e il corpo fasciato di lino bianco che assottiglia in lui
l'uomo, con la stola pendente in segno di preghiera e dì potere, mentre
tutti sono chinati sotto la .-maestà dell'azione propiziatrice —
allora prende un valore quasi drammatico la parola di Gesù: « Quando
siete in due o in tré riuniti in mio nome, io sono in mezzo a voi ».,
.
Non è il Salvatore stesso il cui etemo
sacerdozio
.63
e qui rappresentato non solo dalla persona consacrala/ma
dalla cornice di decoro in cui essa si inquadra;
da questo costume orientale, romano e nello stesso tempo
.moderno che è di tutti i tempi come il Cristo è di tutti, secoli, che
si drizza più alto ene può con la sua copertura monumentale del capo,
e che esibisce ricchezze che dilegueranno tosto nella grandiosa umiltà
delle parole?
Eccolo che paria, .questo Redentore per procura. Farà
forse esibizioni di orgoglio personale o corporativo, vantandosi,
per sé o per la gerarchla, ' d'un potere quasi miracoloso dal quale
dovrebbe dipendere, la salvezza della folla? . .
« Adjutorimn nosfrum in nomine Domiitì! Il nostro aiuto
è nel nome del Signore», egli dice.' ' •
E il popolo risponde, aggiungendo a queste parole
grandiose una nuova dimensione: « Che ha fatto il Cielo e
la terra». E' l'ampiezza che scende dall'altezza. Si stabilisce
la piramide mistica. Basterà che la preghiera la risalga. .
« Sia benedetto il nome del Signore!» continua il
pastore. E' l'augurio dei doni divini innanzi tutto per Colui donde essi
traggono origine. E' la lezione del Pa-ter Noster; « Sia santificato
il tuo nome! e ciò prima della domanda del pane, sia pure quello
dell'anima.
Poi, levando la mano adorna dell'anello simbolico,
dell'anello dello sposalizio mistico contratto con la sua Chiesa, con
due dita piegate per lasciar parlare la Trinità, facendo tré ampi
segni di croce sul suo gregge, come per mettere • davanti alla sua
umiltà, con insistenza, ancora nel nome della Trinità, la persona del
Redentore egli non dice: Vi benedico, il che potrebbe anche affermare,
come autentico rappresentante, ma si esprime così: Che D'io
onnipotente vi Iiéne-tìic.a, Padre, Figliuolo è Spirito Santo.
64
Nella Messa quest'ultimo augurio è quasi realizzato
alla lettera e così l'intermediario scompare maggiormente. Il sacerdote
nella funzione di immolatore è quasi un altro Cristo. Non dice forse,
chinato sulle sacre specie e confondendo volontariamente la storia con
l'eterna mistica realtà: « Questo è il MIO corpo »?
Quando poi, voltandosi verso il popolo, benedice i
fedeli con la stessa mano ancora pregna dei sacri misteri, non si
arguisce che una parte della virtù benefica che emana dal divin Maestro
deve irradiare, • guarire, constatare e santificare, purché siamo
preparati a riceverla?
Questo è particolarmente vero quando la benedizione è
impartita con lo stesso Santo Sacramento. In questo caso il ministro
scompare e non conta assolutamente nulla. Persino la parola, anche
umiliata, viene ìsoppressa. La liturgia esige il .silenzio sia dal lato
dei fedeli sia da quello dell'altare. « Che ogni hoc -ca, dice il
profeta, si taccia davanti al viso del Signore» (Zacb., II, 13). .
Il cristiano deve allora ricordarsi che noi pure a
nostra volta dobbiamo benedire questo Dio che ci ha benedetti e che ogni
giorno, ci benedice dandoci tutto;
che ci benedice direttamente e sacramentalmente per
mezzo della sua gerarchla.
« Benedetto Iddio, Padre del Signor Nostro
Gesn Cristo, esclama San Paolo; egli ci ha benedetti con ogni
benedizione spirituale in vista del Cieio » (Efes., I, 3).
Nell'ultima paróla ritroviamo la lezione, donde avevamo
cominciato. E' in vista del Cielo che ogni benedizione spirituale o
temporale ci soddisfa.
Quando ci chiniamo di fronte alle benedizioni della
Chiesa, dobbiamo pensare che la vita non è altro — per Dio, che
un'impresa di gloria e d'amore, men-
65
5. — La Chiesa.
tré per noi non è che un'impresa di salvezza e che
benedire Iddio chidendogli che egli ci benedica per mezzo del Redentore
significa anzi tutto volere la realizzazione di un disegno eterno in cui
trovano posto- anche i nostri desideri del momento, ma secondo un ordine
di subordinazione richiesto innanzitutto dai nostri cuori da parte di
Colui che li vuole riempire.
G().
CAPO VII IL SEGNO DELLA CROCE
II segno della croce è uno dei simboli sacramentali
più intimamente uniti alla vita religiosa e più frequente nella
liturgia e per questo motivo è anche uno dei segni più abituali del
cristiano, che vorrebbe fare della stessa vita solita una sorta di
liturgia, quasi un servizio divino. :
Questo segno, così drammatico nella sua familiare
semplicità, che si incontra a ogni inizio di azione, sembra voglia dare
soddisfazione delle parole dell'Apostolo: «Qualunque cosa diciate o
facciate, ditelo e fatelo nel nome del Signore Gesù Cristo » (Col.,
Ili, 17).
Per questo motivo si è soliti ritenere che il segno
della croce risalga agli apostoli stessi. La critica storica non è
lontana dal provarlo, poiché essa trova traccia di questo simbolo sino
al II secolo e già a tale epoca esso viene considerato come il segno
del cristiano, il marchio che contrassegna in fronte i servi di Dio
dell'Apocalisse; il che induce a risalire ancora più addietro, cioè ai
primi inizi dell'era cristiana.
Il modo di fare il segno della croce ha comportato'
.delle modifiche, il cui svolgimento è abbastanza oscuro. Le cose molto
popolari prendono facilmente percorsi divergenti e il simbolo, quando si
cercava qui di precisarlo, inclinava in diverse direzioni.
67
Il segno di croce sulla fronte, che sembra essere '
stato di uso comune fino al IV secolo, significava dunque il marchio
visibile, il sigillo, l'etichetta inessa m evidenza dal cristiano per
mostrare che egli non arrossiva di essere tale e non ne aveva paura. In
un ambiente ostile, quale era quello pagano dei primi secoli, là ove la
croce era oggetto di derisione o di ignominia, un tal gesto aveva una
grande importanza, poiché poteva portare, al martirio. Verso la fine
del IV secolo si vede diffondersi l'uso che pratichiamo ancora nella
Messa, all'inizio del Vangelo: quello di fare il segno di croce sulla
fronte, sulla bocca e sul cuore per la santificazione dei pensieri,
delie- parole e dei desideri. : ,
E' solo nelI'VIII secolo che si comincia a trovare il
segno di croce tracciato su tutto il corpo per la santificazione di
tutta la persona.
In Ispagna nel XIII secolo se ne fece una riduzione che
consisteva nel segnarsi sul viso dalla fronte • al mento, senza dubbio
per accennare ai cinque sensi.
Quanto al segno di croce sulle cose, esso sembra .
antico quanto quello sulla persona e ciò si comprende perché le cose,
di cui facciamo uso,, sono un prolungamento, uno strumento della persona
e d'altra parte, facendo il segno della croce su di sé, si era
naturalmente invitati, quando si aveva una qualsiasi autorità, a, farlo
anche sugli altri e per estensione sulle loro. cose.
In tutti questi casi inizialmente si tracciava il segno
di croce con un solo dito. Più tardi lo .si fece con due o tré dita
per ricordare la Trinità o per protestare contro l'eresia dei
Monoteliti. Infine si diffuse l'uso •di adoperare tutta la mano.
Quanto alla direziono del gesto, essa vano pure
S'imponeva di rivolgerlo verso l'alto e 'verso ". basso.
tìft . ,
ma si poteva anche andare poi ,da destra a sinistra o da
sinistra a destra. Gli uni preferivano terminare a destra, in ricordo di
Gesù assise « alla destra del Padre ». Altri scelsero la sinistra per
meglio ricordare la crocifissione in cui si riteneva che per prima fosse
stata inchiodata la mano destra e poi la sinistra.
I nostri padri davano importanza a questi particolari,
poiché per essi il simbolismo aveva un reale valore di vita. Noi, che
invece propendiamo piuttosto verso un arido razionalismo, non vi vediamo
che una pura curiosità archeologica.
Comunque il significato generale del gesto è sempre lo
stesso. Si tratta di dedicare gli oggetti e noi stessi a servizio della
croce, cioè di dichiarare per mezzo di un segno espressivo che ci
ricordiamo del Salvatore, del suo potere su di noi, della sua dottrina '
e dei suoi esempi e soprattutto della sua Passione.
Si tratta di dare in tal modo alla nostra vita un
significato cristiano, insistendo su di un aspetto di questra vita che,
transitorio per definizione, è per altro il più difficile da accettare
senza lamentarsi, il dolore.
La croce tracciata su noi stessi con gesto volontà-^
rio significa l'accettazione della vita in nome di Gesù- ' con i suoi
pesi, le sue fatiche, le sue sofferenze quoti- '.\ diane o eccezionali,
comprendendovi pure la morte; .? è la vittoria, richiesta e
assicurata in anticipo, del-, lo 'spirito sulla carne, dell'eternità
sul tempo, poiché ;
la vita morale è una presa di possesso dell'eterno
nella nostra intenzione, come l'altra vita ne è una presa. di possesso
effettiva. . . -'
Gesù, crocifiggendosi — poiché è lui stesso che
volle salire la scala del dolore: ascendit cruccili — ha preso
su di sé, uomo universale, le sofferenze di tutta l'umanità per
offrirle a Dio in espiazione e per acquistare merito; per farle sfociare
là ove egli era
diretto, a quella destra del Padre che è il
riconquistato potere su se stesso e su tutto, mentre noi siamo qui
schiavi di tutto e, primieramente del nostro proprio io sviato e
disperso, abbandonato alla legge delle membra.
Chiunque faccia piamente il segno della croce per unirsi
al suo Redentore deve pensare che l'unione di un essere umano
individuale all'Uomo universale in quanto Uomo del dolore significa
anche accettare il dolore.
Tante cose nella vita sono in forma di croce! Si direbbe
che tutto si riduce ad essa e che l'universo è questa sfera trafitta
nella quale si immerge una spada coll'elsa a forma di croce!
Tu stesso, o uomo, non sei fatto in forma di croce con
le braccia protese verso ogni cosa, senza poter mai raggiungere
pienamente l'oggetto della tua ricerea, coi piedi inchiodati a un suolo
ingrato, con la testa che tenta di sollevarsi sotto il suo mucchio di
spine? La croce è stata modellata sul tuo corpo, o uomo, e tu la senti,
ad ogni gesto tragico strappato da\ tuoi dolori, come inchiodata
sulle tue spalle.
Ma, o cristiano, se vuoi entrare nel disegno divino
della redenzione e salvarti, unito al tuo fratello divino, ti devi
erigere, come Gesù, in una generosa accetta-zione. Ti appoggi alla tua
croce, in piedi, come ti invita questo letto verticale che è quello
degli eròi e dei martiri.
In fondo l'uomo ha quaggiù membra solo per essere
crocifisso. La carne deve essere per lo spirito e la carne non lavora
per lo spirito che soffrendo. La cera ^deve sciogliersi perché la
candela bruci. «O soffrire o morire » queste parole di Teresa
d'Avila, che si potrebbero ritenere una mistica esagerazione, non sono
invece altro che la filosofia cristiana della vita.
70
Negli atti di culto il segno di croce ha naturalmente un
significato sacramentale più speciale. Esso significa: La salvezza
viene dalla croce; da essa ha origine il canale di grazie nel quale vuoi
farci entrare la liturgia: via che cammina, direbbe Pascal, e che
conduce LA' OVE SI VUOLE ANDARE.
Richiamando esplicitamente con questo gesto l'origine
delle grazie sacramentali, si intende rafforzarle:
ci si vuole suggestionare piamente per meglio disporci a
riceverle: si sa d'altra parte che l'istituzione è et- . flcace a
titolo di applicazione delle preghiere collet-.^ ,tive e dei meriti
comuni di cui beneficiamo solida-1:;1 riamente.
Nella vita solita, dalla quale non è neppure assente,
l'azione sacramentale, poiché è la Chiesa nella sua es-;. senza che è
sacramentale, cioè la Chiesa in tutte le sue funzioni e in tutta la sua
vita, che è pure la nostra, il segno di croce indica che tutto è
cristiano nella vita del cristiano e che ci sforziamo di fare in modo
che sia veramente così con la parte di efficacia che gli riconosciamo.
L'alzarsi e il coricarsi, nascita e morte di questa Vita
in breve che è ogni giorno; la nutrizione che sostiene la vita stessa e
che ne deve prendere il senso;
il lavoro, che ne cerca il progresso e che è perciò
pure qualificato per il suo scopo e sorretto per i suoi motivi; le
relazioni che ne sono la diffusione in un'atmosfera morale e materiale
da cui la vita stessa non può ne deve isolarsi e che bisogna pure
mettere all'unisono al momento di adagiarvisi è ciò che segna la croce
che si traccerà su di un letto destinato al riposo come facevano i
cristiani al tempo di Tertul-liano per dargli un carattere
soprannaturale; sul pane che si mangia o alla tavola prima di sedersi,
mentre sfortunatamente si perde ora l'abitudine; sulla terra
71
che si lavora, come fecero per tanto tempo i contadini
dei paesi in cui regnava la fede; all'inizio di un'a-, ^ zione comune:
contratto, giuramento, discorso, com-/ battimento, giochi,
viaggi, ecc.
Tutto ciò risponde ad una stessa ispirazione e ci si :
attendono risultati identici. Si spera che Iddio, accet-„ lando il
segno della nostra adesione a Gesù e alla sua : croce, .vorrà bene
comunicarcene i favori, proteggerci, 'aiutarci, unirci, indirizzarci al
nostro scopo attraverso i:'ile prove felici o dolorose della vita.
> II cristiano si accosta alla realtà universale con
./l'aiuto della croce come il Redentore e come lui spera *.. gì
divenirne vincitore: «In hoc signo vinces ». Per , .mezzo di questo
segno vincerai. Vincerai la natura .che la Provvidenza, per mezzo della
croce, rivolge a fini creatori; vincerà se stessa anche la natura,
così ; spesso sconvolta e in burrasca; vincerai il tempo che ti rode e
lo obbligherai a identificarsi con l'eternità, oceano in cui la
clessidra fa cadere gli istanti a goc-, eia a goccia; vincerai Dio
stesso con la violenza d'amore che gli rivolse l'amore di suo figlio
morto per noi.
O segno vincitore, non ci resta che trovare
l'espressione che ti unisce alla tua prima Sorgente di azione, che
completa il significato del simbolo richiamando l'ordine dei misteri di
cui tu sei il più prossimo, la Redenzione che deriva dall'Incarnazione,
e questa col-legantesi con la Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo.
Non sempre in modo esplicito le parole tradizio-'naii
accompagnano il segno della croce: si ' sottintendono, ma esse vi sono
sempre incluse e quando ci si fa il segno con qualche solennità,
avvenisse ciò anche in privato, il segno fa esprimere le parole, allo
73
scopo di completarsi facendo risaltare la connessione
della croce con le altezze donde scendono le grazie e nello stesso tempo
coi livelli inferiori in cui esse devono diffondersi.
In nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito S,anto,
ciò significa in questa occasione: Noi siamo ammessi alla Trinità per
mezzo della croce: la Trinità si unisce a noi per mezzo della croce
stessa: questa è il ponte teso attraverso l'abisso scavato dal nulla e
dalla caduta. E se la Trinità viene così a noi e ci attira a sé,
unendo al nostro nulla la pienezza dei rapporti divini, è lo sforzo
religioso tutto che ne trae soddisfazione, poiché la religione consiste
unicamente in questo: salvare le nostre piccole vite dal loro nulla e
dalla loro malizia originaria; portare all'assoluto tutti i loro valori
così limitati; dare a ciascuno degli atti di cui si compongono le
nostre azioni un significato supremo quale è richiesto dalle nostre
aspirazioni.
Di guisa che il segno della croce ben compreso co-^
stituisce tutta la vita religiosa in una sintesi/suggestiva.
In nome del Padre, dal quale tutto procede, in Dio e
all'infuori di Dio; in nome del Figliolo, suo eguale ed identico nella
sostanza, ma per mezzo del quale egli è fecondo e salvatore; in nome
dello Spirito Santo, loro legame vivente, loro soffio e palpito comune,
per mezzo del quale Dio comunica la sua forza e si fa santificatore; in
nome della Trinità ineffabile. e sacra mi unisco alla croce come al
canale di grazie, come al parafulmine dei mali, come all'albero maestro
della nave sballottata dalle ónde che porta la mia fortuna eterna.
E io dico: O intimità del mio Dio unita all'intimità
così umile della mia vita, siatemi propizia! O terra, e cieli uniti
dall'albero della croce, fate di me il hoc"
73
ciò che-attinge alle radici solo per salire nella luca
'.ed espandervisi più in alto che può!
O Dio presente, Dio d'amore, a lato dell'uomo facile a
dimenticare e debole quale io sono, suscitate in me lo spirito, il
cuore, l'azione alla vostra presenza invisibile e attiva. •
Unità di tutto, manifestantesi per mezzo del
Rè-dentore uomo e Dio e sorretta da una guida così sublime che può
rendersi a fondo interiore senza nulla abbandonare della sua
trascendenza, sfiorare tutre le, . unità senza che ne soffra la sua
grandezza, divenire '.tenera sino alla pazzia pur conservando le sue
immensità, datemi la sensazione di questo processo evolutivo che
sgomenta, in cui il mio nulla trova un valore che divinizza.
Padre, Figliolo e Spirito Santo, segnatemi! Fate su
di me il vostro segno!
Che io sia, o Padre, con tè il principio fecondo del
mio destino! . .
Che io sia, o Figlio, per tuo mezzo, uno sbocco di-'
vino che ha riconosciuto la sua originee il suo scopo:
fiume, figlio dell'oceano tì che ritorna all'oceano
attraverso la 'sua pianura!
Che io sia, o Spirito Santo, come tè un soffio
santi-ficatore, un palpito santo che diffonde all'infuori il troppo
pieno dell'interno, e rinnovandomivi io stesso, poiché
«Dal fuoco che diffonde, ogni anima è consumata ».
Che la mia fronte, il mio cuore, le mie membra
funzionino per il pensiero, il desiderio e l'azione secondo il vostro
modello e il vostro influsso, o voi tré, tré in Uno, come lo sono pure
in me il pensiero, il desiderio e l'azione.
Che le mie cose, le mie relazioni, i miei legami
materiali e spirituali mi uniscano a tè, o Creatore, e mi procurino una
vita divinizzata, e per conseguenza umanizzata a fondo, poiché tu non
assorbì la creatura, ma restituisci a se stesso colui che ha saputo
darsi a tè per vivere meglio.
Che io stesso tutto intero, compresi i miei
prolungamenti viventi o inerti, viva, progredisca e muoia; , io passo,
giungo e mi stabilisco; lavoro, soffro e sono per sempre in stato di
gioia in nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo.
75
CAPO Vili LA PAROLA DI PIO
« In principio era il Verbo (cioè la
Parola). E il Verbo era appresso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in
principio appresso Dio. Tutto si fece per mezzo di lui e senza di lui
nulla fu fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e questa era la
luce degli uomini ».
Volendo trattare della parola di Dio in senso liturgico,
non si può fare di meglio che risalire alla fonte.
La liturgia, e in generale tutto il movimento
sacramentale della Chiesa, ha per iscopo unicamente di unirci a Dio per
mezzo del Redentore; ciò lo ripetiamo incessantemente. A questo scopo
la Chiesa ricorre a diversi mezzi. Uno di questi è la parola, che ha la
funzione particolare di unirci a Dio per il fatto che egli stesso è
Verbo, cioè Verità, di guisa che la verità diventi in noi ciò che
essa è in lui: una vita, e che questa sia a sua volta la luce degli
uomini.
Questa espressione così piena di fede: la parola
di Dio, usata per designare la predicazione, indica subito il senso
sacramentale, cioè nello stesso tempo figurativo o attivo, datele dal
pensiero cattolico.
Si dice parola di Dio come si dice ospizio di
Dio
7R
(hótel-Dieu) (1). Il dare ospitalità in nome del
cielo, come l'evangelizzare in nome del cielo costituiscono due funzioni
sante. E come abbiamo attribuito alla carità cristiana un carattere
sacramentale che la unisce al centro stesso della liturgia cattolica: la
Messa per mezzo dell'Offerta, così dobbiamo accordare alla parola
cristiana una portata sacramentale che ne fa il prolungamento di quella
parte della Messa che si chiama l'istruzione e che comprende la
Profezia, l'Epistola, il Vangelo e il loro commento: la predica.
E a cagione di questo legame i predicatori per
tradizione all'inizio del loro dire enunciano un passo, che poi
commentano, e terminano con amen, come nelle orazioni della
Messa. . ;
Per questa ragione nella maggior parte delle chie- ' se
si pone sul pulpito il croceflsso e sul cielo il sim-^ • bolo dello
Spirito Santo; al di sotto, per sostenere iì >;
pulpito, gli apostoli e i simboli dei quattro
evangelisti..;. A Parigi, si accendono spesso, durante la/predica,
dei:-ceri a significare la luce degli uomini. J
, Anche se il sacerdote parla fuori della' chiesa, lun-",^
gi apparentemente da ogni funzione liturgica, per tf< fatto che resta
persona religiosa, che parla un linguàg- ;
gio religioso, la sua azione resta sempre collegata ai
sacramenti: ed egli fa opera sacerdotale.
Il sacerdote che parli su argomenti scientifici, sociali
o letterari, considerando queste discipline solo in se stesse, senza
portarle nella corrente religiosa e senza riferirle, almeno
indirettamente, al Kedentore che deve essere il suo scopo, dimentica le
parole dell'Apostolo: «Io non ho creduto di conoscere tra voi che Gesù
Cristo e Gesù Cristo croceflsso».
(1) Hótel-Dieu in francese significa ospedale, cioè
l'ospizio in cui dagli uomini si esercita particolàrmente la ;
carità divina (N.d.T.). . . .
77
Non conoscere che Gesù Cristo non significa ignorare
tutto il resto. La lettera uccide. Bisognerebbe conoscere tutto. Ma
occorre invece avere sempre come ultimo scopo, nello studio di qualsiasi
disciplina, l'unione a Gesù, a Gesù crocefisso, cioè Redentore,
intermediario fra tutto ciò che è umano, affinchè questo tutto abbia
un fine, e Dio, che solo offre il fine.
Stabilire tutto in Cristo è lo scopo del sacerdozio
in fatto di parola e di tutto il resto., /
Quando gli apostoli si sono sentiti dire da Gesù:
« Andate e istruite tutti i popoli »,
non sono partiti come dei pedagoghi che si recassero in viaggio o degli
scienziati o filosofi per un giro di conferenze. Essi erano messaggeri
d'un maestro divino e annunciavano ciò che avevano direttamente
appreso, non ciò che essi avessero scoperto. Il loro simbolo
iconografico è un libro in mano, che talvolta in certe miniature viene
loro fatto tenere per mezzo di un velo come l'ostensorio. Le cose che
essi dicevano, nel loro upn-siero, erano dichiarazione dello Spirito di
Dio, un riflesso della sua parola vivente. Quando essi si richiamavano
alla ragione o alla natura, lo facevano partendo dal presupposto che
ragione e natura procedono pure da Dio e sono rivelazioni della sua
Parola.
Così il predicatore, quando parla alla chiesa,
specialmente durante la Messa, nel qual caso l'ufficio divino viene
interrotto come il Redentore si attendesse che fossero predisposti i
cuori in suo nome prima di discendervi, rivestito degli abiti liturgici,
il cui can-dore fa di lui una parte integrante dell'altare, il pre-•dicatore
non parla ne come oratore, ammesso che lo sia, ne come filosofo o
scienziato, se pure Io è; e neppure come teologo privato; egli
parla come ambasciatore. Una missione, ecco l'ufficio al quale
egli adempie. La sua voce non è la sua, ma appartiene a'3 altri,
.78-
cioè a quell'Altri divino e il passaggio di tale voce
attraverso le sue labbra, quando vi si rifletta, .mette in confusione
l'uomo peccatore come ogni altro uomo, l'uomo tanto incapace per questo
altissimo compito!
« Assemblea, assembleai Che vuoi da me? » esclamava
Lacordaire. In realtà chi siamo noi per osare di salire quei gradini,
di elevarci al disopra di tutti, di pretendere quell'attenzione che si
sente talvolta es-. sere così religiosa? Abbiamo realmente qualche cosa
da dire che sia degno di questo silenzio, mentre molti fra gli
ascoltatori potrebbero parlare con maggiore autorità e attrattiva?
Silenzio, battiti di cuore, affollarsi di pensieri e di
sentimenti che si chinano come spighe sotto Raziona del vento mentre il
Verbo passa; quando l'oratore sa-, ero si chiede perché •tocca a lui
di esaltarti per un-istante e di mantenerti poi nel tuo stato di umiltà
così ricco di vita, egli non può che rispondere coi Dodici:
Non posso far a meno di parlare» e con Paolo:
«Maledizione a me se non evangelizzassi! »
Ma l'ascoltatore, se vuole giustificarsi, dovrà dire:
Cristiano di fatto o di aspirazioni, io mi propongo di
accostarmi a Dio e per questo scopo, afferrandomi a questo tenue filo
che si dirige vibrando verso di me, lo utilizzo come mezzo per
ascendere, per il mio spirito e la mia coscienza.
Il predicatore umano è un mezzo di collegamento tra il
suo uditorio e Dio, attraverso l'altro Legame Sublime, costituito
dall'Uomo-Dio, e attraverso la Chiesa istituzione che lo trasmette sino
a noi, penetrata del suo Spirito e incaricata da secoli della sua
missione.
Da tutto ciò non appare manifesta là trafila
sacramentale attraverso, la quale passano regolarmente i"
79
f
beni religiosi che arrivano sino a noi? Il caso
particolare della parola non fa che precisarne la funzione in ciò che
la concerne.
In principio era il Verbo: Parola creatrice, origine
della materia, dunque della verità di essa, la verità 'non essendo
altro che il rapporto fra la materia, quale essa è, e l'intelligenza.
Dunque tutto ciò che è vero, teoricamente o
praticamente, lo è perché Dio esiste e Dio è vero; perché egli è
parola vivente.
Chi esprime il vero esprime Dio come/Parola e dice
dunque una parola di Dio.
La verità religiosa dimostra ancor più la precedente
affermazione e beneficia d'un valore di antonomasia, poiché essa non
solo esprime Dio in quanto egli si manifesta attraverso aEe cose e in
rapporto alle cose create, cioè in ordine riflesso; ma invece lo
annuncia intrinsecamente, nel suo mistero, nella misura in cui è
piaciuto a Dio stesso di permetterlo.
Chi dunque espone i misteri della fede od anche le'
altre verità che vi si collegano, chi le chiarisce, le fa comprendere e
le rende palesi nel loro modo di:
agire esprime per eccellenza una parola di Dio.
Però occorre una speciale investitura per poter
adempiere a questo ufficio con autorità.
Il nostro principale assertore è il Redentore,
testimonio nel significato pieno della parola, poiché, come egli lo
diceva a Nicodemo: «Nessuno ascese in Ciclo, se non chi discese dal
Cielo, il Figlio dell'Uomo che è nel Ciclo » (Giov. Ili, 13).
Il nostro Redentore, anche in terra, è nel Cielo,. e
porta in sé Dio e lo Spirito di Dio. Egli stesso è la Parola
sostanziale, che la sua umanità riflette per noi, di guisa che egli ha
diritto di dire, anche come uomo, ben sapendo che in lui il divino
messaggero è unito
80
a Colui che lo ha inviato: « Io sono la luce del
mondo».
Il Verbo si fece carne e abitò tr,a noi ha
confermato il sublime evangelista.
Ma poi occorre che, attraverso i tempi e in tutto il
mondo, sia trasmessa la testimonianza della sua venuta, occorre che il
Redentore sia annunciato. E ciò può avvenire solo per mezzo di
un'istituzione alla quale fu detto: «Siete voi che mi rendeste
testimonianza ». « Chi .ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi
disprezza me ».
La Chiesa unita al Redentore per mezzo dello Spirito
divino che egli le ha comunicato e che è la loro anima comune, la
Chiesa, corpo spirituale di cui l'Uomo-Dio è la testa, la sposa di cui
egli è lo sposo nell'unità di una sola carne: duo in carne una:
la Chiesa è l'intermediario permanente tra il Redentore e noi come il
Redentore lo è tra Dio e la Chiesa; ma non basta, poiché Gesù è in
essa e ne è inseparabile. Bisogna dunque dire: E' la Chiesa che fa da
intermediario, per mezzo del suo Cristo, tra Dio e noi.
Per questo motivo S. Agostino, dopo aver richiamato
l'unità mistica, nella Chiesa, della Testa e delle membra, dello Sposo
e della sposa, esclama: « Se sono due in una sola carne, come non
dovrebbero essere an-, che due in una sola voce? Così dunque la Chiesa
parla quando parla Gesù e Gesù parla quando parla la Chiesa. Lasciate
dunque parlare Gesù Cristo » (al Salm. XL).
Per finire, la Chiesa, che ha ricevuto la sua missione
da Gesù Cristo e da Dio, trasmette la missione stessa ai suoi ministri
per mezzo dell'ordin.a.zione che fa di essi dei subalterni
consacrati in quanto preposti,
81 6. — La Chiesa.
tra gli altri uffici sacramentali, al sacramento della
parola. •
Così San Paolo, riferendosi a questa dichiarazione del
Maestro: «Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza
me» con chiude: «Chi disprezza la parola dell'apostolo non
disprezza solo un uomo, ma Dio stesso ».
Intendiamoci bene! Si tratta dell'apostolo in quanto
apostolo, in quanto rappresentante di Dio, e non in relazione alla sua
persona che non conta. Si può stimare più o meno un ambasciatore come
persona privata; ma il disprezzarlo come inviato nell'oggetto del suo
messaggio è come disprezzare il suo governo e il suo popolo. Così
colui che disprezza l'apostolo e non accetta come proveniente da Dio
ciò che egli gli co-' munica da parte di Dio, disprezza Dio e il suo
popolo santo; disprezza la Chiesa di cui lo Spirito Santo è l'anima e
di cui Gesù è il capo. Egli pecca dunque contro Gesù e contro lo
Spirito, poiché sono appunto essi, bisogna subito aggiungerlo, che si
manifestano per bocca dei suoi ministri.
In realtà si tratta non tanto di consacrare l'uomo al
posto di predicatore, quanto di consacrare il predicatore in tutto ciò
che esce dalle sue labbra.
La parola di Dio che, alla sua origine, è una,
semplice, perfetta, identica a Dio stesso, si degrada venendo a noi e
ciò tanto più quanto più la catena si allunga.
Gesù Cristo è ancora infallibile, quantunque la parola
divina sia in lui umanizzata per poter essere alla nostra portata. Il
suo rappresentante secolare, il Papa, e la Chiesa unita al Papa, sono
infallibili rispetto a certi oggetti e sotto certe condizioni; ma
all'infuori di queste e di quelli, essi ricadono sotto le leggi
dell'umanità e hanno la possibilità di errare. Il prete,
loro inviato, è manchevole in una misura molto
maggiore, e lo è sempre. Egli può sbagliare, può esprimersi male,
può incorrere nella sconfessione del suo operato da parte
dell'autorità; e così pure questa può, all'infuori del suo preciso
campo d'azione e delle condizioni nelle quali essa partecipa
dell'assoluto divino, incorrere nella sconfessione da parte di Gesù
Cristo.
Ma manchevolezza non è deficienza assoluta e questa
relatività del legame che, per mezzo del sacerdote, portavoce d'una
istituzione, unisce il fedele alla vita eterna, non impedisce che questo
legame sussista.
Tale unione si compie, nelle condizioni che la scienza e
la saggezza pratica determinano a vantaggio di tutti, tra ciò che si
dice lassù nell'eternità e ciò che si esprime in ogni cuore; che vi
si fisserà, in caso di fedeltà, come una regola di vita, si
rifletterà nelle azioni, si riverserà sugli altri e diventerà verità
vissuta, manifesta, poi felicità goduta e suddivisa che porterà un
giorno a Dio chi se ne era allontanato e ciò per le vie dell'azione
morale.
Alla parola rituale è dunque ben da attribuire il
carattere di sacramento, cioè di segno sensibile e operante nell'ordine
delle grazie.
Ne seguiranno dei doveri nei riguardi di colui che parla
e di coloro che ascoltano.
Se la parola è imperfetta, tanto peggio per chi la
rinvilisce; ma chi ascolta, in luogo di acuire la sua critica, deve
ripetersi, sovrannaturalizzandole, le parole di Leibnitz: « Non vi è
libro così cattivo da cui io non possa trarre qualche cosa di buono ».
Se invece la parola è felice, tanto meglio per chi ne
è stato favorito per il primo; ma, o ascoltatori, non buttatevi in una
lode banale che farebbe d'una
88
manifestazione rituale un esercizio verbale del tutto
umano.
Si sono avuti nella Chiesa, per una benedizione di Dio,
oratori di eccezionale bravura: Crisostomo e Ago-, gcstino, Bernardo,
Vincenzo Ferreri e Bernardino da Siena, Bossuet e Buordaloue, Lacordaire
ecc. Costoro si possono studiare come maestri quando si è nelle scuole
o alla Sorbona; ma i loro ascoltatori e lettori pii devono considerarli
come sottoposti alla voce che proviene dall'alto e non fare loro
l'ingiuria d'un'amm'-razione tutta profana.
Ricordiamoci che un giorno Lacordaire rilevava così gli
applausi strappati all'emozione suscitata nel suo uditorio: « Non
applaudite la parola di Dio; amatela, praticatela; questo è il solo
applauso che sale sino al Cielo e che sia degno di esso ».
Insomma l'uomo che esprime la parola cristiani, e chi
ascolta questa parola si trovano entrambi in una corrente di verità e
di vita, di cui debbono ambedue profittare allo scopo di rientrare nello
spirito dell'istituzione e di fare opera sacramentale. -
Buona volontà e miglioramenti; tali sono i due termini
dell'azione in questo caso.
Andare alla predica come al battesimo per puri-' Bearsi
dei propri errori, come alla cresima per rafforzarsi in vista di
possibili lotte, come alla penitenza per pentirsi di essere così
insufficienti rispetto a ciò che esige la dottrina, come all'eucaristia
per ricevere l'elemosina di verità come si riceve sulla tovaglia
candida la porzione immacolata dell'ostia: questo sarebbe l'ideale.
L'amore, per mezzo, del quale la fede predicata
diviene vivente ed attiva, dovrebbe essere il frutto di
8i
questo multiplo sacramento; si dovrebbero sempre
ricordare le parole di San Paolo: «Anche se parlassi tutte le lingue
degli uomini e degli angeli, se non ho la carità, sono come un bronzo
che suona e un piatto Che vibra».
Ma se ho la carità, avrebbe potuto aggiungere
l'Apostolo, piatto o bronzo che si percuote, ottone che si fa risuonare,
coro armonico o flauto celeste, contrabbasso dalla voce profonda,
piffero guerriero o violino che piange, oboe pastorale o trombone che
scoppia in tuono contenuto dal ritmo, sono sempre uno strumento divino.
E tutti insieme questi strumenti nel tempio in cui ci succediamo l'un
l'altro, voci diverse, umili o grandi, attraverso i tempi, noi siamo
l'organo dalle mille voci, orchestra sovrumana per un concerto in cui il
Redentore batte il tempo, mentre lo Spirito Santo tornisce il tema e
l'ispirazione e il tempio spirituale, la Chiesa, costituita da pietre
viventi, vibra nel tentativo di inviare sino al Cielo tutte le sue onde
sonore all'unissono con la Parola iniziale: il Verbo, che porta tutti
gli spiriti.
85
CAPO IX LE INDULGENZE
Trattiamo qui un argomento che solitamente provoca in
alcuni gruppi di persone uno scandalo o reale o fittizio — scandalo
che è di origine protestante, ma al quale anche i cattolici potrebbero
soggiacere, come se vi fosse in questa parte un lato oscuro, un piccolo
compartimento discutibile nella casa della nostra madre.
Si chiamano indulgente dei favori di ordine spirituale
che hanno per oggetto la remissione fatta al peccatore, in date
condizioni e per mezzo dell'autorità della Chiesa, di tutta o parte
della pena temporale dovuta per il peccato già perdonato.
Indulgenza significa, etimologicamente, liberazione,
condono e, pure dolcezza.
Presso i pagani l'indulgenza consisteva nell'amnistia
parziale o totale, come presso di noi, accordate in 'certi giorni in un
pensiero di pubblica gioia.
Presso gli Ebrei si avevano pure giorni di perdono e di
indulgenza e anni « giubilari ». Vi è in ciò una tendenza naturale
di cui si possono ritrovare ovunque le manifestazioni e non v'è dubbio
che la Chiesa abbia preso a prestito su questo punto le sue forme d'azio-
80
ne e il suo vocabolario in questa materia al doppio
ambiente giudaico e pagano in cui essa nacque e sviluppò la sua sublime
infanzia. \
Fu solo al XIII secolo però che si formò in termini
definitivi la pratica attuale, i
I primi cristiani, battezzati nell'età adulta, quando
erano in piena coscienza, e separati per mezzo del battesimo da un
ambiente più o meno aperto ai vizi e alle superstizioni, erano invitati
a compiere una vita tutta santa. « Voi eravate prima tenebre, diceva
loro San Paolo: e siete ora luce nel Signore ».
Tuttavia, essendo gli uomini ciò che sono, avvenne che
si ricadesse in grandi errori. Il fervore primitivo sì manifestava
allora per mezzo di generose riparazioni. Si trovava cosa naturale
sottoporsi alla confessione pubblica e poi anche alla pubblica
penitenza, che si chiamava penitenza canonica, perché era
regolamentata.
Il peccatore si vestiva d'un abito nero e grossolano. Se
era donna, le si tagliavano i capelli. Il primo giorno di quaresima gli
si metteva la cenere sul capo in mezzo alla riunione pubblica, donde il
nostro mercoledì delle ceneri. La penitenza era più o meno
lunga a seconda del fatto: quaranta giorni, tré anni, sette anni, dieci
anni o tutta la vita se si trattava di delitti atroci. E durante tale
tempo era vieta-^.o ogni godimento in pubblico, erano prescritti
digiuni rigorosi e non si poteva assistere alle cerimonie religiose che
dalla porta o, più tardi, da un posto speciale io chiesa con altri
penitenti della stessa categoria; ma sempre si era esclusi da alcune
parti dei sacri misteri.
Malgrado queste severità, o per causa di esse, si
consentivano spesso alcune mitigazioni. Innanzi tutto ragioni di salute
potevano far consentire ad una com-
S-7
mutazione di pena; e un fervore straordinario poteva dar
luogo a condono. Il pericolo di morte o l'approssimarsi di una
persecuzione facevano sì che potessero essere reintegrati i pubblici
peccatori nella comunione dei loro fratelli. Infine l'intercessione di
persone di merito e più particolarmente la raccomandazione dei martiri
che, a questo scopo, inviavano dalla loro prigione una scheda chiamata
biglietto di pace (libellus pacis) potevano determinare condoni più
o meno am-pi, all'espressa condizione di convenienti disposizioni - da'
parte del peccatore.
'.; A voler ben considerare, soprattutto se si
completano questi elementi di disciplina esteriore con la dot-;. trina
da tale apoca implicata o esplicata ovunque, ci si rende conto che le
indulgenze sono parte integrante del cristianesimo in tutti i suoi
stati. Solo le applicazioni e le contingenze differiscono; in questo
sviluppo ' non si può vedere perciò che la facilità di adattamento di
un organismo religioso ricco di vita, in luogo di ; una norma rigida.
Le nostre colpe hanno un doppio effetto: ci allon- ^
tanano da Dio, rompendo o indebolendo l'amicizia tra lui e noi: tale è
la colpa dei teologi che implica un deterioramento dell'anima
(macula peccati).
D'altra parte il peccato, turbando l'ambiente morale,
come una pietra gettata nell'acqua o come ogni manifestazione
disordinata di forza, provoca una reazione chiamata pena, sia a
titolo diretto, a guisa di sanzione immediata ordinata dalla
Provvidenza, o, se la giustizia immanente cede — il che le è solito,
essendo il suo meccanismo inadeguato alle esigenze di ordine morale —
per mezzo di interventi terrestri o sovrannaturali, personali, sociali o
divini.
88'
La soddisfazione, come si dice nel linguaggio
teologico, fa parte della riparazione dei nostri peccati allo stesso
titolo del sacramento della penitenza che ne è la testimonianza; della
contrizione che ne è il rincrescimento; e dell'assoluzione che la
cancella senza dubbio in se stessa, ma ne lascia passare gli effetti di
disordine.
Non è sufficiente cambiare via; bisogna cancellare il
vecchio cammino dove ci si perdeva, poiché questo , turba il piano del
giardino mistico e vi si sono calpestati i fiori del bene.
Gesù Cristo, il buon giardiniere, ci viene in aiuto. La
sua croce è la vanga della fatica riparatrice come quella delle sementi
e delle piantagioni. Ma bisogna lavorare con lui; perché se Gesù è il
nostro Redentore, noi siamo pure con lui i nostri propri redentori. Egli
non ci tratta da irresponsabili, come pretendeva Luterò, che affermava
che la pana dovuta per il peccato è stata pagata una volta per tutte e
che noi siamo perciò, in linea spirituale, dei semplici eredi, con
tutta possibilità indubbiamente di divenire dei dilapidatori.
. Noi diciamo — e si giudichi se la dottrina del
riformatore ha, più della nostra, bisogno di riforma — che la
redenzione di Gesù ristabilisce la nostra situazione morale, ci fa
rinascere spiritualmente e ci pone nella condizione di guidare il nostro
destino là dove esso è rivolto; ma aggiungiamo che noi siamo gli
attori di questo dramma, in unione, coi compagni coi quali ci troviamo
fraternamente, col Coro che ci presiede, e con Dio, l'autore del grande
dramma che si rappresenta nell'umanità.
A proposito del sacramento della penitenza abbiamo detto
che il peccatore riconquista l'amicizia di Dio per mezzo di un triplice
potere; Dio stesso che
89
assolve; la Chiesa, corpo spirituale unito a Dio, che
guarisce uno dei suoi mèmbri ricollocandolo col suo consenso sotto il
dominio dell'idea vitale; l'interessato, senza la cui cooperazione nulla
si può compiere; egli non può guarire se le sue reazioni si rifiutano
all'azione organica e all'influenza dell'anima.
Quando si tratta della pena dovuta al peccato, la
dottrina non è diversa. Ciò riguarda il peccato nella misura in cui
egli è solvibile e riguarda anche il gruppo cui il peccatore
appartiene: ciò riguarda Dio, che è padre di tutti, pronto a condonare
più ancora Che ad amministrare la giustizia. '• '
La dottrina delle indulgenze trova il suo posto
in questo complesso, di cui essa deve rispettare i tré termini.
.
Si rispetterà la nostra autonomia esigendo da noi
convenienti disposizioni che saranno: innanzi tutto lo stato di grazia,
poiché si tratta di una azione d'amicizia, il che presuppone,
l'amicizia regnante; seconda-:
riamente l'intenzione di' liberarci almeno in questa
forma addolcita; in terzo luogo un contributo personale che consisterà
in un'opera utile e volontaria, determinata dall'autorità: preghiera,
elemosina, pellegrinaggio, uso di un pio oggetto, servizio di
apostolato, opere di misericordia e il resto, cose che per se stesse
hanno già un valore di redenzione, ma che lo vedranno moltipllcato per
mezzo di un' intervento sociale. ,
II dominio di Dio sarà riconosciuto in quanto si abbia
a rispettare la sua saggezza e la 'sua benevola ac-cettazione.
Infine si consacrerà la nostra solidarietà in Dio e
nel Redentore, ammettendo che le soddisfazioni sovrabbondanti degli uni
valgono, date alcune condizio-, ni, anche per gli altri; che il .loro
complesso è un te-
90 •
soro di famiglia disponibile in modo infinito, visto che
i meriti di Gesù Cristo ne sono come il fondo inesauribile e che
d'altronde, essendo la Chiesa non un'organizzazione anarchica ma
sociale, la sua autorità ha potere di ripartire i beni spirituali sotto
riserva delle condizioni prima espresse.
Tutta la teologia delle indulgenze è così riassunta in
alcune parole; secondo me, non vi è in essa che una nuova
manifestazione della natura essenziale della Chiesa. ; ;• '
Noi siamo un gruppo unito in Dio per mezzo di' Gesù e
siamo suddivisi in forme sociali. Questa condizione della vita cattolica
non si deve ritrovare in tutto?
Se siamo veramente uniti, cioè solidali, in Gesù, può
essere che i dolori e i meriti dell'Uomo-Dio, quelli della Madonna dei
sette dolori, quelli di tante anime di ogni tempo, i cui eroismi tragici
o nascosti hanno raccolto i valori spirituali nei tesori «che la
ruggine non divora» non abbiano a contare nulla a vantaggio dei
fratelli di buona volontà, ma più sprovvisti di mezzi?
Il sacrificio della croce è stato la prima indulgen-,
za ottenuta per noi e a questa si collegano tutte le altre. Visitando il
calvario come pio e tragico pellegrino, sgranando il rosario dei dolori,
portando lo sca-. polare della croce, recitando la preghiera delle
cinque .piaghe e facendo alla terra l'elemosina del sangue che deve
aiutarla a vivere, Gesù ha ottenuto per noi l'indulgenza plenaria e,
unendovisi liberamente, i suoi seguaci hanno ancora accresciuto il
tesoro, aggiungendovi, come dice San Paolo, ciò che manca alla
P.assione di Gesù, cioè • la nostra adesione attiva, per
scopi insieme personali e comuni.
91
Nelle nostre famiglie non si intende mai dire: Padre, se
mi ami, dimentica ciò che ha fatto mio fratello;
egli se ne pente e, se tu vuoi, pagherò io il suo
debito?
Nelle nostre società civili non si accordano amnistie
in favore dei cittadini?
,. A maggior ragione deve avvenir lo stesso nella Chie-
' sa/poiché l'amore è la prima legge di unione per
noi.
Gli scambi sociali dovrebbero essere validi solo pel
campo temporale? Non saremmo noi solidali e fratelli che per il pane
materiale e per i vantaggi terreni, mentre invece una fraternità
profonda deve avvincerci fuori del tempo, là dove ci pone precisamente
i1 sentimento religioso assai vicino alla fonte divina?
Nessuno può sostituirmi, essere per me ciò che io non
sono, elevarmi per sostituzione al disopra di me stesso. Inversamente
nessuno può far sì che il male, che ho commesso, non sia stato da me
commesso, che io non sia svalutato, nel campo spirituale, di fronte al
Padre, senza alcun altro rimedio all'infuori della mia resipiscenza. Ma
pagare per me, dopo il mio pentimento, per mezzo di una sostituzione
amichevole
'amichevolmente accettata, tutti lo possono e il gruppo
(1) lo può a maggior ragione, quando l'autorità lo investe.
«Aiutatevi reciprocamente nel portare il • fardel •
•lo» ha detto San Paolo, ^'.r
(1) Diciamo in termini più teologici: La soddisfazione,
come tale, si può trasferire; II merito o la colpa, no; il pentimento o
la pervicacia nell'errore, no.
Si dice: La soddisfazione come tale, perché la
soddisfazione è pure un rimedio, così come vi insisteva So-crate. Ora,
come rimedio, la soddisfazione è evidentemente cosa personale. Essa non
lo è esclusivamente come compenso.
92 •
Tutti per ciascuno, ciascuno per tutti, questa bella
massima del positivismo, che però il positivismo non ha inventato, che
la Svizzera ha fatto sua, è semplicemente l'espressione del pensiero
cristiano.
Il merito delle anime sante sale al Cielo, come i vapori
che vanno a costituire lassù il loro tesoro, dal Quale ci scendono le
piogge beneficile in virtù di leggi fisiche; i meriti si riversano
secondo leggi morali e, ciò che vale di più, sociali, in ragione di
che l'autorità vi interviene; ma in fondo è la stessa cosa. Si tratta
di accumulare, poi di distribuire in un campo in cui gli scambi sono di
.diritto, poiché vi regna la fraternità (1).
Aggiungiamo che questi scambi, dato che essi sono
fondati sull'unità degli uomini in Dio, nella Chiesa di Dio, devono
avere tutta l'ampiezza di ciò che noi chiamiamo, in linguaggio mistico,
la comunione
(1) Le soddisfazioni possono comunicarsi da individuo a
individuo, come quando certi santi promettevano ai loro penitenti di
dare soddisfazione per essi; imponendo loro soltanto una di quelle
penitenze che inebbriano: un Veni Creator o un Rosario. Esse
possono comunicarsi anche in gruppi di persone che si accordano per
questo scambio, come avviene negli ordini religiosi. Ma ciò non
costituisce l'indulgenza, perché ciò non è veramente
socializzato, non passando per la legge del gruppo. L'autorità non vi
interviene oppure essa non è investita di « giurisdizione ordinaria
». E' una infiltrazione tra pietra e pietra nell'edificio totale;
non è la conduttura d'acqua predisposta da chi ha costruito la casa.
Donde diminuzione di influenza e più ancora mancanza di sicurezza negli
effetti, il rhe non avviene quando tutto il corpo interviene mediante i
suoi capi, quando cioè si è sul terreno sociale propriamente detto
soddisfacendo canonicamente un « debito canonico » e quando
agiscono coloro cui è stato detto: Ciò che voi scioglierete sulla
terra sarà sciolto anche in Cielo.
0S
dei
santi, cioè, superando le barriere di questo mondo, devono spingere la
loro efficacia sublime sino oltre i misteri dell'ai di là. , .
Saremmo noi forse meno liberali di Augusto Com-i tè il
quale ha detto: « La società si compone assai più di morti che di
vivi»?
L'amore, più forte della morte, quando si unisce
all'Amore che non muore, ci unisce agli scomparsi in una società reale,
quantunque misteriosa. Se essi non hanno del tutto pagato il loro
debito, debito tutto d'amicizia ma inevitabile, che fa di essi dei
prigionieri d'allegria, delle vittime di speranze ritardate, dei martiri
« che sovrabbondano di gioia Ìn mezzo alle loro tribolazioni»,
noi possiamo pagarlo per loro tale debito, possiamo in ogni caso farlo
presente, sperando nella divina accettazione, uniti all'autorità
religiosa che lo fa presente con noi, non potendo essa decretare là ove
non ha più potere. E' ciò che si chiama suffragio (1).
Nel suo poema Dante, dopo aver fatto risuonare nel suo.
Purgatorio il Pater noster dell'eternità conclude: « Se là si
dicono tante preghiere per il nostro bene, che cosa non devono dire e
fare quaggiù per quelle anime i cuori permeati da buona volontà! »
(1) Dal IV secolo si cominciarono ad applicare
ufficialmente dalla Chiesa le indulgenze per i Defunti; ma il principio
sussisteva già prima con la pratica approvata delle buone opere, delle
preghiere e dei sacrifici offerti per loro. L'approvazione era in questo
caso una partecipazione implicita dell'autorità che poteva bastare.
Tanto più che qui non c'è, come non c'era prima, atto di autorità. In
realtà l'altro mondo è unito a questo senza dubbio mediante la
carità, ma non è sottoposto a questo. L'applicazione dei suffragi è
dunque affidata al divino arbitrio e non regolata con autorità dalla
Chiesa.
94
Circa il modo di misurar questi favori: quaranta giorni,
cento giorni, un anno, sette anni, ec"., si comprende, senza che
sia necessario di insistervi, che si tratta qui di una sopravvivenza
storica.
Le misure dell'ai di là ci sono inaccessibili. Il
movimento degli astri e le suddivisioni che essi determi-
• nano nel periodo in cui si manifesta la nostra vita
non hanno nulla a che vedere con gli stati misteriosi in cui si entra al
sortire da questo mondo. Bisogna tuttavia parlarne, poiché siamo con
quel mondo in relazione spirituale. Parliamo di durata a proposito di
Dio perché, in relazione con. lui, lo concepiamo come in relazione con
noi e con la nostra vita. Noi diciamo:
; egli era ieri, è oggi e sarà per tutti i secoli.
Tuttavia Dio non dura.
Cosi gli avvenimenti della vita fuori del mondò, nel
campo spirituale puro in cui si trovano i nostri sopravviventi, senza
essere trascandenti a ogni durata come la vita di Dio, sono però
trascendenti alla nostra vita e ciò è sufficiente perché noi possiamo
parlarne solo sotto il beneficio di una trasposizione permanente, di cui
il primo termine ci è noto e 11 secon- :
do ci sfugge. '»'
Non so che cosa significhino lassù cento giorni di
indulgenza; questo non significa certo la soppressione di cento giorni
di purgatorio. Ma so che questo significa per noi un atto di benevolenza
corrispondente' a quello che spiegava la Chiesa primitiva quando
accordava cento giorni di pubblica penitenza, e ciò m;
basta.
•Lo spirito della Chiesa non è mutato; il valore
delle nostre opere non più. L'aiuto che la Chiesa vuoi procurare nei
nostri sforzi per pagare per noi o per gli altri, essa lo misura in base
a norme alla sua e alla nostra portata; essa giudica secondo la vita
comune.
95
Nella vita soprannaturale, che sappiamo essere in
relazione con questa vita, ma le cui forme di relazione-ci sfuggono,
essa lascia a Dio di effettuare la trasposizione.
Questo sistema di computo offre d'altra parte 11
vantaggio di unirci al passato e di provare che se le esigenze della
Chiesa si sono materialmente attenuate a cagione di nuove circostanze e
di esigenze temibili, tuttavia essa non rinuncia ad alcun
principio, sempre pronta, se il nostro fervore e i tempi vi
consentissero, a rimettere quelle libere sanzioni che si chiamavano
pubbliche penitenze.
Dopo di ciò, penso che non si possa obbiettare nul-'•••',
la di serio alla dottrina delle indulgenze. •; •
Abusi, ve ne sono e ve ne saranno. Non si prende la loro
difesa. Ma dove non ve ne sono? La famosa questione dei lapsi (i
caduti), ai tempi di San Cipria-,no prova che gli abusi in materia di
indulgenze non aspettarono a saltar fuori ai tempi di Luterò. Ve ne
furono pure ai tempi di quest'ultimo ed egli li riformò falsando tutta
la religione e la morale stessa perché, egli se la prese col libero
arbitrio. Noi non apparteniamo a questo genere di riformatori. E non
più degli a-busi possono infirmare la nostra adesione le piccole
manifestazioni di umiltà collegate col fatto delle indulgenze,
manifestazioni che influiscono invece assai sulla repugnanza di alcuni a
fare queste pratiche.
Uno scapolare, una medaglia piamente portata, u-na
preghiera recitata, una visita in chiesa, la partecipazione ad un'opera
buona tutte cose da poco, in vista del tesoro di soddisfazioni che ci
può essere aperto per pagare i nostri debiti spirituali, tutto ciò
può fare esprimere meraviglia ai razionalisti; ma noi
96
potremo a nostra volta pregarli di ascoltarci e di non
falsare prima ciò che intendono criticare, di non parlare di «
macchina per preghiere » o di « cambiale in bianco » là ove sono
termalmente richieste disposizioni morali; senza le quali nulla si
ottiene, di non arguire di sproporzioni là ove la proporzione si
stabilisce per mezzo di quella grande cosa che predicano anche i
razionalisti: la solidarietà. Un'assicurazione con partecipazione
dell'interessato e del grupps non è ciò che oggi può esser causa di
sorpresa, r
E per di più vogliamo pregare il miscredente di-,, non
parlare di cosa superflua sotto il pretesto che egli,' nel campo
spirituale, non approfitta di nulla, s'è vero che la lusinga delle
indulgenze, lusinga del tutto;
materna nei riguardi di quei fanciulli spirituali che
noi siamo, suscita presso i ferventi sforzi intcriori ed esteriori che
non si possono negare quando non si sia resi ciechi da un orgoglio
esagerato.
Il cardinale Wiseman, ritornando da Roma in occasione
del giubileo di Leone XII, apportava ai suoi compatrioti la
testimonianza commossa della sua ammirazione per ciò che egli aveva
constatato in mezzo a quelle folle. Egli proclamava, in una conferenza
eloquente, il carattere eminentemente morale, caritatevole e gioioso di
una tale solennità.
Bisogna dire lo stesso dei nostri giubilei privati
raccolti in pratiche del tutto umili. Una corona del rosario, ciascun
grano della quale è pregno di preghiere collettive, preghiere che io
raccolgo aggiungendovi la mia nel segreto della nostra unione in Dio è
un valore morale di cui non permetto che si dica male.
La mia preghiera non è che una goccia; unendosi ad
altre, grazie all'istituzione della Chiesa, congiungendosi al pianto
della croce, andando a raggiungere, timido affluente, i ruscelli da.
lagrime, di sangue e di
97
7, — La Chiesa.
sudore fecondo che hanno attraversato la terra, e
spingendosi con essi verso il mare, o Divinità in cui tutto si
ricongiunge, essa acquista il diritto di dire:
Ed io pure sono oceano!
Anche le soperchierie innocenti di cui alcuni si.
compiacciono quando vedono delle pie persone uscire da una porta per
rientrare dall'altra allo scopo di ottenere un maggior numero di volte
l'indulgenza della Porziuncola, lo confermo, io non penserei a
divertirmi. Ne sono commosso, senza perciò rendermi cieco su ciò che
si possono portare di meno puro i mediocri.
So che l'ignoranza e la superstizione possono trovare
qui maggiori accessi che non ne offra la Chiesa; ma nello stesso tempo
quanta umiltà e fede si diffondono pure in questo monotono andirivieni.
O razionalisti, vorrei applicare a voi la frase di
Amieto: vi sono più cose nel cielo e sulla terra e, s:i. potrebbe
aggiungere, più cose fra il cielo e la terra che non supponga la vostra
filosofia. '
II cielo è grande e a causa di ciò esso sembra
inclinarsi verso l'orizzonte. La terra è piccola e a causa di ciò,
quando prende coscienza di se stessa, si appiattisce per umiltà, ma
allo scopo di farsi più grande. Voi che vi credete grandi e che siete,
appunto per questo, inferiori a tutti, rialzatevi, non per questo
toccherete le stelle! Invece alle stelle può salire una santa umiltà,
poiché la raccoglie l'amore dalle ali infinite, poiché essa ha per
fratello soccorrevole Colui che le stelle adoravano nella notte di
Betlemme e che riconoscevano per averlo visto scendere, mentre
attendevano che risalisse verso le immensità del divino con la sua
messe di stelle viventi.
98
LIBRO IV
L'ATTEGGIAMEOT'0 DELLA CHIESA NEI RIGUARDI DI QIJESTfl
MONDO
CAPO I
L'ATTEGGIAMENTO DELLA CHIESA NEI RIGUARDI DELLE
RELIGIONI CHE LA PRECEDETTERO
Se l'essenza di un essère spiega i suoi caratteri, essa
non spiega meno le sue reazioni e le sue attitudini.
L'attitudine della Chiesa riguardo a questo mondo, in
cui essa è chiamata a vivere per servirlo, sarà dunque una nuova
occasione per meglio giudicarla e per giudicare altresì questo mondo,
per quanto l'anima della Chiesa lo controlla e lo riguarda.
Il contatto più immediato della Chiesa col mondo che le
è vicino deve avvenire per mezzo di ciò che le è più affine: le
religioni. Vediamo dunque quale atteggiamento ha preso o prende la
Chiesa nei riguardi delle religioni che la precedettero, che ne furono
contemporanee o che sono sue flglie.
La verità di questo caso — quantunque pochi
apologisti e soprattutto pochi opponenti se ne ricordino — non pone
tutti i suoi termini in una stessa luce in diverse epoche o in
circostanze differenti. Nulla deve essere trascurato, ma lasciare iai
secondo pianò non significa trascurare e le ragioni non mancano perché
la Chiesa, nelle diverse epoche, o in situa-
101
zioni diverse, prenda verso gruppi religiosi suoi
contemporanei o precedenti atteggiamenti molto divers..
E' regola generale che un vivente si adatti alle
condizioni del vivere comune. Come c'è un'evoluzione della vita, così
vi è pure un'evoluzione degli atteggiamenti della vita, poiché dovendo
la vita differenziarsi, difendersi, progredire, deve prendere
volta a volta o alternativamente o anche simultaneamente sotto diversi
rapporti, un atteggiamento, a seconda dei casi, di separazione o
di opposizione o di inviluppo, simpatico o utilitario.
Questi tré aspetti dì uno stesso programma vitale si
possono riscontrare anche nella vita della Chiesa. A-gli inizi essa si
concentra e si oppone alle altre concezioni religiose, facendo risaltare
ben chiaro ciò che essa non è e ciò che invece essa è e precisando i
limiti della sua sfera d'influenza con una meticolosità che può
stupire oggi lo storico, quando egli dimentichi a qual punto un
organismo in fase iniziale di sviluppo abbia bisogno di dedicarsi tutto
al lavoro di costruzione e di assicurare il suo avvenire con una
differenziazione ben netta, che faccia di lui ciò che egli r veramente
e non una cosa informe dovuta al caso e senza il concorso della sua
volontà, e cioè un vivente abortito in luogo del germe ben definito
che da luogo alla specie.
Leggendo il Vangelo si ha già questa impressione.
Malgrado la sua immensa portata, che esprime il carattere universale del
problema della salvezza, vi si tìiscerne il «piccolo gregge»,
come lo chiama il Salvatore, ben chiuso in se stesso e distinto. Non
è di questo mondo lui che vuoi conquistare il mando. Non sembra
andar d'accordo con alcuna cosa, lui che prende lo spunto nei suoi
discorsi da tutto ciò che lo circonda. Egli se ne stacca, e sembra che
sprezzi persi-
102
no i legami di sangue e i doveri di razza. Padre, madre,
fratelli o compatrioti non sono tali che sotto la riserva dell'opera
spirituale, la cui cura è tanto predominante da sopprimere tutto sino
al punto che tutto riprenda i suoi diritti dopo essersi unito all'Unico
Necessario la cui preminenza esclusiva si mostrerà in pratica
eminentemente comprensiva.
A maggior ragione il Vangelo si svincolerà dalle
religioni scadute o prive di originalità.
Dopo la morte del Maestro e all'inizio della sua
organizzazione la Chiesa non farà altro che acuire questo separatismo
per la ragione che il Vangelo, nel presentarsi, doveva per lo
meno esprimere con assoluta chiarezza il suo significato universale, e
inoltre in pratica esso doveva soprattutto vivere e non filosofare.
Le religioni, alle quali il Vangelo succedeva, si
presentarono dunque agli inizi come il paese che si doveva lasciare,
come la materia di cui occorreva li-Jberarsi, come l'altro polo,
cioè antitetico; poiché l'altro, quando si tratta di
differenziarsi, è sempre un avversario. Così gli apostoli e i nostri
padri, primi cristiani, si mostrano severissimi verso le religioni
pagane. « Voi eravate tenebre, dirà San Paolo agli Efesini,
e siete ora luce nel Redentore». La luce e le tenebre, null'altro
può meglio mettere in evidenza l'opposizione tra lo stato religioso del
mondo all'infuori di (.resù e lo stato che il Salvatore ci apre.
Non si parla, per il momento, delle verità che hanno
potuto illuminare la notte, degli astri misteriosi che attraversano le
nubi o scintillavano in attesa del mattino. Non è ancora il momento per
queste distinzioni. Si tratta di far notare solo la differenza fra la
notte e il giorno, fra ciò che non fa parte della Chiesa e ciò che è
compreso nella Chiesa. Prima di questa si aveva: ricerca infeconda,
ignoranza dei veri rap-
103
porti tra l'Uomo e Dio, deviazione e corruzione in tutti
gli ordini di vita connessi con la religione. Dopo,. l'instaurazione
della Chiesa invece si hanno: vita rè- ;
ligiosa autentica, verità, santità e spinta al
progresso. ' Nulla è più netto e definito di questa distinzione.
Coloro che amano le situazioni ben delineate possono essere soddisfatti.
Non si transige. « Chi non è con me è. contro di me » è la
formula data da Cristo stesso della differenziazione che si tratta di
stabilire affinchè la Chiesa si affermi nella sua realtà specifica con
il fine di un'opera ben delineata da compiere, in luogo di dilazioni e
confusioni.
E ancora di più: il giudaismo, Che non è la notte, ima
l'aurora, poiché esso è stato il cammino che ha a-perto la via della
luce, viene indicato come notte al pari del paganesimo. E si mira a
separarsene soprattutto. La Chiesa se ne stacca dopo una crisi, che pe"
quanto piccola essa sembri, è la più formidabile e la più decisiva
della storia della cristianità. :
Si darà senza dubbio maggior cura nel far risaltare la
parte avuta dalla religione ebraica nella preparazione del cristianesimo
che non a dimostrare la parte efficace avuta dalle antiche religioni,
quantunque la loro azione si s",a svolta all'infuori del quadro
della religione rivelata; ma questa differenza a favore dell'ebraismo è
del tutto relativa. In San Paolo la Legge e la Grazia sono in
permanente opposizione e per lungo tempo questa opposizione non farà
che ere-.scere. •
- Si è che l'aurora non è meno opposta al giorno della
notte. Di carattere transitorio per definizione, se si indugia, si
ripiega su ciò che l'ha preceduta, diventa cioè notte e la si può
perciò legittimamente considerare come notte. . ,
No;n diciamo, quando una nebbia intensa impe-
104
disce al sole di farsi strada coi suoi raggi: è notte?
E questa notte è meno simpatica di quella vera.
E' per questo che i simpatizzanti col giudaismo, i primi
eretici, fratelli separati in anticipo, si può dire. in quanto ricusano
di unirsi alla famiglia cristiana sono considerati dai santi padri come
uomini delle tenebre, come pagani quasi peggiori dei veri pagani,
perché offrono meno speranze, in quanto la notte fa a-'meno sperare che
poi verrà il giorno, mentre un'aurora ottenebrata, credendo di avere
luce a sufficienza, arrischia di non far nulla per raggiungere la vera
luce.
Questo punto di vista corrisponde alla verità. Non si
negava che nell'Antico Testamento non fosse presente la divinità, ma si
mettevano in evidenza le differenze, poiché, in senso inverso, lo
facevano anche i tradizionalisti della sinagoga che si opponevano al
cristianesimo.
E mentre la Chiesa ai suoi inizi ci tiene a distinguersi
e a opporsi all'ebraismo nel senso di una dif-ferenzazione necessaria,
così essa si oppone nel senso di una lotta aperta contro gli avversar!
che minacciano la sua esistenza.
Tutta la vita è combattimento, poiché tutta la vita è
insidiata da nemici che vogliono toglierle ciò che le consentirà di
essere l'espressione sincera di se stessa. Ma agli inizi della sua
formazione una vita deve ancora maggiormente lottare. Tutto può esserle
nem'.-•co, poiché essa è debole. D'altra parte poiché essa provoca
un turbamento nell'ambiente in cui si schiude, vi provoca reazioni
contro le quali essa deve reagire a sua volta.
Quando si accende una fìammella, la si protegge con la
mano poiché il minimo alito di vento può spegnerla. Quando si pianta
un piccolo virgulto, lo si
M
difende con del filo spinato. La natura per proteggere
l'animale superiore contro un ambiente pericoloso alla sua debolezza nel
primo periodo di vita, lo fa vivere più o meno a lungo nel seno della
madre, che lo protegge verso il mondo esterno, mentre il nascituro si
difende con proprie reazioni all'interno contro una quantità di
influenze pericolose. Dopo la nascita, la difesa, sempre necessaria,
prende la forma di quello speciale egoismo che si osserva presso il
bimbo e che non. è altro, per il bimbo normale, che una manifestazione
della sua volontà di vita.
Per la Chiesa nascente, la lotta morale, la sola che le
convenisse, la sola d'altronde che le fosse possibile, era parimenti una
necessità. Essa la fece energicamente, giudicando chi la giudicava,
condannando chi la condannava, dichiarando sataniche, e trattandole come
tali, manifestazioni religiose che, tuttavia, non frano in tutto che,
illegittime anche per il bene, erano in più perverse in una quantità
di cose e, per colmo, si opponevano alla nascita e allo sviluppo della
Chiesa.
Si lottò dunque con un'asprezza che avrebbe potuto
sembrare in altri tempi fuori misura. Quando si tratta di vivere, e di
vivere pericolosamente, secondo l'espressione di Nietzsche, non si può
filosofare sul prò e sul contro. Si combatte, è la necessità che lo
esige e per conseguenza lo esige anche la virtù.
Più tardi, quando la dottrina sarà fuori pericolo e la
vita sociale cristiana avrà raggiunto una vigoria capace di assicurare
il suo avvenire, non sarà più necessario lottare con tanta asprezza.
Vi saranno ancora crisi che faranno in parte ricomparire le stesse
necessità; vi saranno delle situazioni confuse che esigeranno
graduazioni opportune nell'atteggiamento da prendere, il che ci ha già
fatto dichiarare che i tré
106
atti del vivente nei riguardi dell'ambiente in cui si
trova: differenziarsi, opporsi, avviluppare sono in parte.
consecutivi, in quanto essi seguono i diversi stadi della sua
evoluzione, ma per un'altra parte sono invece alternanti per la
necessità di rispondere a circostanze occasionali, per un'altra parte
ancora sono simultanei sotto diversi rapporti allo scopo di adattarsi a
fatti complessi variabili.
Più tardi l'orizzonte sarà più libero; e allora sarà
possibile tornare a considerare questo passato con-c'annato, queste
religioni odiate, queste istituzioni e dottrine dichiarate perverse e
distinguendo dal loglio sovrabbondante ciò che, malgrado tutto, vi
permane di grano buono, ed elevandosi con maggior libertà di spirito
verso i disegni provvidenziali manifestatisi per tutta la storia, si
potrà dare soddisfazione a tutti gli aspetti di questo problema eterno
e si potranno raccogliere gli elementi di una completa filosofia
religiosa.
I santi Padri del IV secolo si dedicarono a questo
lavoro, continuato poi dal medio evo teologico e arricchito dal grande
sforzo critico del nostro tempo.
Il risultato di questa elaborazione sembra potersi
riassumere così.
La religione autentica e universale è la giudaico
cristiana. Essa risale, per la parola di Dio e del Messia preaninunciato,
sino agli inizi della storia dell'umanità e ha un carattere sociale
nella sinagoga. Raggiunge poi il suo pieno sviluppo nella Chiesa
apostolica e romana.
All'infuori di questa non vi è per sé che deviazione,
se si tratta delle religioni dell'antichità pagana, vi è resistenza se
si tratta di religioni affini al cristianesimo e infedeltà se si tratta
di eresie e di scismi cristiani. .
107
Ma quando si dice «per sé» si affaccia la
possibilità del contingente e questo nella vita tiene un posto
difficilmente prevedibile.
Per una parte immensa le antiche religioni pagane furono
corruzioni della vita religiosa, ma per una parte minore costituirono
preparazione e, in un certo senso, furono anticipazioni del Vangelo.
Dal punto di vista della verità, della morale pratica,
del culto, si ebbe in esse di tutto: del male a iosa, ma anche un po' di
bene in relazione a ciò che Ter-tulliano chiamava l'anima
naturalmente cristiana.
Il tentativo di tanti secoli per cercare di
raggiungere Dio, come diceva San Paolo all'areopago, non poteva
riuscire del tutto vano. In quelle religioni si eb -bero pure genii
religiosi, "uomini pii, quasi dei santi, cioè uomini che per una
grazia intcriore misteriosa nelle sue vie, aspiravano 'con tutta l'anima
a servire il bene, come può fare un cristiano con maggiori risorse,
senza che per altro debba necessariamente agire con maggior zelo. I loro
sforzi dogmatici, morali, rituali, se si possono usare queste parole in
un senso così diminuito, costituivano valori di cui alcuni erano
veramente preziosi. A questi si potrebbe applicar" ciò che il
Redentore diceva della legge ebraica: Non sono venuto per abolirla ma
per perfezionarla, cioè a confermarla da una parte e nello stesso
tempo a purificarla e a spingerla più oltre.
Vi sarebbe dunque da questo lato preparazione. V5 deve
essere aggiunto tutto il lavoro di civilizzazione generale, che
nell'antichità prendeva forma religiosa, esso è, per l'opera del
Redentore, come l'humus nutritizio dal quale il germe divino farà
sviluppare la nuova pianta.
Moltissimi autori hanno descritto questa elaborazione,
mentre altri si indugiavano a far risaltare al
108
contrariò le differenze. Questi due generi di lavori si
integrano e non si contraddicono. L'humus non è la pianta e a chi li
confonde bisogna dire: La pianta è. un essere vivente, l'humus è un
complesso di sostanze .in decomposizione. Ma è una decomposizione
feconda.
Gli studi più istruttivi sono quelli che riuniscono i
due punti di vista; tale è uno che mostra sino a qual pùnto il
Sincretismo pagano era lungi dal potere da solo dar luogo al
cristianesimo, dal poterlo soprattutto sostituire, e in qual modo gli è
purtuttavia stato utile (1).
A causa poi dell'idea di cattolicità, si può
facilmente dire in qual senso la Chiesa può vedere nelle antiche
religioni delle anticipaz'ioni di se stessa. Abbiamo visto nella
Chiesa la società universale delle anime per il fatto che esse sono
unite in Dio per mezzo del Redentore. Abbiamo detto di lui che egli
appartiene a tutti i tempi, che la sua vita storica non è che il centro
della sua irradiazione; che se la sua venuta è stata differita, ciò è
stato per ragioni provvidenziali e utilitarie, non perché egli fosse
dato a questi e rifiutato a quelli. Ora questo ritardo, dovuto alla sua
opera, non impedisce, ma anzi esige al contrario che la stessa attesa
del Redentore faccia parte del suo lavoro, contribuisca a integrare il
suo regno e giustifichi storicamente ciò che ha detto San Paolo: «
Gesù Cristo era ieri, è oggi e per tutti i secoli ».
Ma questa espressione: l'attesa del Salvatore non
deve essere interpretata in senso ristretto. L'attesa del Salvatore è,
inizialmente e direttamente, la stessa fede giudaica nel futuro Messia,
ma è anche, in seti) Berriardo Hallo O. P. Il Vangelo di fronte al
sincretismo pagano, Parigi, Bloud e Gay, Editori.
, 109
condo piano tutto l'insieme dei fatti trascorsi in
quanto pure governati da Dio in vista della sua opera de- ' unitiva.
Prima che il regno animale si completasse con l'uomo, o
all'infuori di questa attesa, vi erano l'attesa della vita che doveva
completarsi con l'uomo, e l'attesa
.della natura generale il cui scopo era quello di
servire e di anticipare, per quanto essa lo poteva offrendo delle
vestigia di Dio, la nostra futura umanità, sua immagine.
Lo stesso avviene per la vita religiosa. In tondo tutto
è religioso, nell'intenzione del Creatore, poiché tutto è per gli
eletti. E tutto ciò che è religioso è cristiano e cattolico nello
stesso senso, per la stessa ragione.
Quando parliamo di un'anima della Cbies»>
includendovi gli eletti di ogni tempo, riteniamo che Dio stesso abbia
sempre unito a sé, per mezzo del Redeo-tore di tutti i tempi, le anime
chiamate, ricevute e confermate nel bene per la sua grazia. Noi vi
vediamo quei figli disperai di Dio di cui parla San Giovanni è
che Gesù, nella sua missione storica, è venuto a riu-pire. Ora
quest'anima della Chiesa che ha oggi per corpo il cattolicismo romano e
che aveva, prima del Redentore, per corpo anticipato, a titolo di
embrione
'legittimo, la sinagoga, non trovava pure nelle
organizzazioni religiose del passato, in ciò che esse avevano di utile,
come un surrogato del suo corpo?
Sant'Agostino vedeva in Giobbe Idumeo « un cittadino
della Gerusalemme spirituale». E' un' caso
'simpatico e rappresentativo. Vi si può scoprire come
la grazia vada cercando in tutti gli ambienti le anime nobili per unirle
al loro Principio comune in nome della solidarietà che ci unisce
attraverso i tempi per mezzo di Gesù Cristo. Ora Giobbe non è
un isolato;
110
egli ha il suo gruppo religioso, come ha la sua
famiglia, la sua patria, tutto un ambiente in cui la sua vita inferiore
trova senza dubbio degli ostacoli, ma anche degli aiuti. Di questi si
potrà dire che nei suoi riguardi non siano voluti da Dio, e
provvidenzialmente disposti perché la grazia interiore possa
manifestarsi, conservarsi, accrescersi, dato che essa ha potuto nascere
non dico per la loro efficacia, ma torse col loro aiuto?
Dio si serve di tutto, anche del male, e a più fòrte
ragione di ciò che è insufficiente e irregolare.
Generalizzando questo caso simbolico, potremo dire: nel
mondo antico, accanto alla sinagoga, organizzazione legittima di
salvezza per quei tempi, vi erano organizzazioni religiose che,
quantunque per se stes-àe estranee alla salvezza e per questo
antagoniste cori la vera religione, costituivano tuttavia sotto certi
rapporti nei riguardi delle anime elette degli aiuti provvidenziali.
Nella misura in cui queste religioni favorivano non.
già i vizi e l'errore, come facevano spesso, ma le virtù e il vero
sentimento religioso, il che facevano quale più quale meno, esse erano
giovevoli per l'aziane divina e redentrice e costituivano delle oasi di
rifugio e di salvezza, malgrado tutto; esse erano come sostegni
occasionali, fuori quadro, dell'anima universale della Chiesa.
In questo senso si può intendere la parola del
Redentore: «Chi non è con me è contro di me», egli aveva
detto. « Chi non è contro di voi è con voi » egli dirà in un
altro senso ai suoi discepoli. Queste frasi esprimono due momenti, due
aspetti della verità integrale.
Ebrei o gentili, in ciò che essi presentavano di uti-1
le o di indispensabile alla realizzazione dei finì provili
videnziali che in tutti i tempi furono cristiani; per il
fatto che essi facevano parte, ciascuno al suo posto. del disegno
religioso del mondo, essi sono per noi degli amici dei tempi trascorsi,
padri, fratelli e figli della nostra Chiesa eterna, anche se, sotto
altro aspetto, essi possono essere stati cause di ostacolo allo sviluppo
della Chiesa stessa.
Bisogna evitare di formulare giudizi assoluti. Lie
esecuzioni sommarie sono talvolta imposte dalla vita;
ma non trattandosi più di momenti, dovendo
presentare un quadro sintetico non si deve dimenticare che la giustizia
religiosa è, fra tutte, la più elevata.
La nostra Chiesa vi consente. Nella sua ampia
cattolicità, come i suoi dottori la intendono, il passato e il presente
vi si possono unire; l'avvenire ha per radici i più lontani caratteri
di vita religiosa della più oscura umanità, mentre esso prende per
tronco la croce, sulla quale, come su albero dai rami smisurati, sono
invitati a posarsi oramai tutte le anime.
CAPO II
L'ATTEGGIAMENTO DELLA CHIESA RIGUARDO ALLE ALTRE
RELIGIONI CONTEMPORANEE
I sentimenti della Chiesa verso il passato religioso del
mondo possono applicarsi anche in parte al presente. Passato, avvenire
sono differenze temporali che portano con sé conseguenze parziali; ma
il loro unico principio unitario trae con sé altre conseguenze.
Poiché il compito del passato è quello di riversarsi
nell'avvenire attraverso il presente, il passato che si oppone al
progresso, anche se per il suo tempo fosse stato buono, diventa cattivo
per il fatto di tale opposizione; e quello che era cattivo diventa
peggiore. La antiche religioni che sono sopravvissute al cristianesimo
hanno dunque accresciuto il loro carattere maligno in ciò che avevano
di cattivo per il solo fatto di ouesta sopravvivenza; e in ciò che
avevano di buono, per cui si eran potute considerare preparazioni o
anticipazioni del cristianesimo, sono ora divenute elementi passivi. -
II dovere che incombeva alle religioni .antiche era
quello di mettersi sulla retta via per ciò, in cui esse fossero
deviazioni, e di eliminarsi dopo la venuta del cristianesimo per ciò
che esse avessero di buono, poi-
8. — La, Chiesa.
che dopo l'avvento della perfezione, il
provvisorio, e 9 più forte ragione l'accessorio, un accessorio così
eterogeneo, non avevano altro compito che di perdersi nel perfetto.
La luce del mondo doveva cacciare la notte e dalla stessa luce
meridiana doveva esser fatta scomparire la luce dell'aurora, le luci
disperse, valori che sono il fascino del mattino, ma la vergogna del
meriggio che non si sviluppi in pieno.
Questo sacrificio volontario non si è ottenuto. Per
ragioni stanche molto complesse, per questioni di razza, di lontananza,
di abitudini secolari, di ignoranza inveterata o di orgoglio esclusivo,
di passioni non vinte o di buone volontà dissipate, le religioni
dissidenti si sono perpetuate come si perpetuano le
civilizzazioni dissidenti.
E' sintomatico constatare a qual punto questi due casi
si rischiarano reciprocamente. I grandi progressi di questi ultimi tempi
— contemporanei, notiamo'-o bene, del cristianesimo e che si sono
sviluppati là dove il cristianesimo si è diffuso — a quanto pochi
uomini hanno giovato! Quanto è ancor piccola la macchia d'olio
salvatrice diffusa nel mondo sotto il nome di civilizzazione a partire
dai nostri paesi cristiani!
Tutto ciò si può comprendere, ma non si può
approvare. Il relativismo o il dilettantismo, che non vorrebbero vedere
in ciò che delle variazioni interessanti, hanno in ogni tempo avuto la
condanna della Chiesa. La varietà è preziosa quando esprime più
abbondantemente la natura sviluppandone i diversi aspetti; ma la
varietà che consiste nel produrre storpi o aborti, in luogo di uomini
normali, non può andare a genio al filantropo. Giacomo Callot (1)
"se ne compiace e Ve-
(1) Celebre pittore ed incisore francese (1593-1635) di
spieiato realismo e brillante immaginazi'one (N. d. T.)
1Ì4
lasquez con la sua spaventosa serenità vi applica il'^:
suo freddo pessimismo; ma l'uomo che, invece di
dipingere, agisce e che può esercitare perciò un'influenza nella vita
è più disposto a ridurre alla sua statura normale Antonio el Ingles
o l'Infant de Vallecas.
Si deve risanare ciò che è anormale o patologico. £e
questo è volontario, lo si deve condannare, se è approvato da certuni,
come sarebbe in religione la tendenza del dilettantismo o dell'indifferentismo,
si ha il dovere di denunciare il loro errore, figlio della viltà. . '
La nostra Chiesa non si priva di questo diritto. Oggi,
come nei primi tempi, nei riguardi delle religioni che essa trovò già
esistenti e che la perseguitarono o nei riguardi quelle che si ostinano
a viverie accanto, isolate o aggressive (verità parziali commiste ad
errori grossolani, ad infami pratiche da tendenze/ perniciose, mentre la
Chiesa è verità integrale nei suoi elementi se non nei suoi sviluppi,
per mezzo di Gesù Cristo e di Dio che glielo ha dato, pratica feconda e
santità attiva nell'ordine individuale e so-: ciale) la Chiesa non
trascura mai di esercitare la sublime intransigenza, che è il dovere
della verità di fronte all'errore, del bene di fronte al male e del
meglio la cui ora suona riguardo all'imperfetto che si oppone alla sua
azione.
Non temete — o non sperate, a seconda dello spirito
che vi anima — che la nostra Chiesa prenda mai l'atteggiamento di
tollerare dogmaticamente le reli- • gioini quale esse sono facendo dei
complimenti alle' loro verità o concessioni ai loro errori. Questo
esula dal suo carattere.
La Chiesa dice ciò che essa è; rivendica i suoi di-
• ritti. Incaricata di guidare gli uomini, poiché essa è la
prosecuzione del Figlio dell'Uomo attraverso i tempi,
iif)
a tutti offre il suo ufficio di mediatrice. Non si
impone, ma giudica "i rifiuti e classifica i gruppi. Non può
ammettere che si dica: la salvezza è qui o è là, se non 6
indicata essere presso di essa.
Falsi messia, essa dirà, riconoscete il vero Messia! Io
sono il candeliere — no, anzi la cera stessa della candela vivente che
si è dichiarata Luce del mondo.
Io sono l'edilìzio costruito non dalla mano
dell'uomo, in cui si trova la porta delle pecorelle, quella
per cui devono pa&sare tutti gli uomini per andare al divino
pascolo.
Sono io la via, la verità e la vita, poiché
sono la prosecuzione del divin Maestro; poiché è Dio che ospita in me
stessa.
Fuori della mia verità vi sono delle verità, ma non ve
ne sono che si sostengano da sole.
Fuori della mia legge vi sono delle leggi; ma non ve ne
sono di interamente autonome.
Fuori dei miei disegni vi sono dei destini che sì
ibiziano, ma non ve ne sono che si conchiudano, uè direzioni che
possano condurre a una mèta definitiva.
Fuori della Chiesa non vi è salvezza: ecco ciò che
dichiara innanzi tutto la Chiesa.
Ma ciò non è, per dichiarazione stessa della Chiesa,
che una verità parziale. Bisogna conchiudere.
Allo stesso modo che abbiamo dichiarato: la Chiesa
nascente si è opposta alle antiche religioni malgrado che queste
l'avessero servita, così dobbiimo di^ rè: la Chiesa vivente e
permanente si oppone alle religioni dissidenti e purtuttavia per opera
di Dio e del suo Messia, essa le comprende e se ne serve.
Ciò che valeva per gli inizi del viaggio, vale anche
durante il percorso. L'essere risponde al divenire.
116
Come dunque la Chiesa nella sua universalità, che per
opera di Dio e del suo Messia è totale, comprende tutta la
civilizzazione, come essa comprende anche la natura che è Regno di
Dio, che è sottoposto agli eletti, come gli eletti lo
sono a Gesù Cristo, e come questi lo è a Dio, così la
Chiesa comprende le religioni dissidenti in ciò che esse hanno di buono
e di utile e le assorbe nella sua unità.
La subordinazione, in ciò che concerne la
civilizzazione generale, consiste in questo che, essendo la vita umana
un tutto unitario e proponendosi la religione di far giungere l'uomo al
suo ultimo e vero destino, tutto ciò che lavora per l'uomo lavora anche
per la religione. Più legittimamente dell'antico poeta la Chiesa può
dire: Io sono uomo (essendo una società umano-divina) e nulla
di ciò che è umano mi è estraneo. Ciò che essa propone; la
grazia, si basa su ciò che ci è offerto dalla Provvidenza: la natura,
e su ciò che noi vi aggiungiamo coi nostri sforzi: la civilizzazione.
Tutto lo sforzo di civilizzazione è dunque conglobato di diritto, come
il lavoro della natura, nel movimento religioso che ci spinge verso il
fine dell'umanità.
Quando si tratta di religioni dissidenti, si tratta di
una argomentazione, argomentare sotto diversi aspetti, a fortiori,
e di una diminuzione di verità. Infatti, Sotto quest'ultimo riguardo,
le religioni dissidenti prese nel loro insieme non sono assimilabili al
cristianesimo come lo è la civilizzazione in generale i cui valori si
offrono tali e quali e senza scarti ad essere utilizzati dall'idea
cristiana; l'argomento a fortiori è in un altro senso, poiché le
religioni dissidenti, in ciò che esse hanno di buono, riflettono e
rappresentano la nostra religione e possono quindi, sia pure accid'sn-talmente,
adempiere alla stessa missione e ciò nell'or-
117
dine religioso propriamente detto, al che non può
invece possedere per se stesso il lavoro della civniz^a-s'ione. Se
dunque la Chiesa ha avuto vedute abbastanza ampie per riconoscere il
vero e il bene nelle religioni che l'hanno preceduta, non nega le stesse
cose in quelle che oggi le sono accanto e che costituiscono per la
maggior parte una prosecuzione storica delle •prime. .
Ma nel vero e nel bene delle religioni dissidenti la C'h.iesa
non riconosce solo il vero e il bene; essa vi si riconosce,
riconoscendo l'uomo e Dio, la cui sintesi è la sua definizione e la cui
opera a due è sua propria fatica.
Ciò che vi è di buono nelle religioni dissidenti non
appartiene ad esse: ciò appartiene all'umanità, dai cui istinti è
stato suggerito e appartiene nello stesso ter".-' pc a Dio che in
ogni tempo e ovunque ha lasciato filtrare raggi della sua luce; ciò
appartiene dunque alla vera religione che apporta da parte di Dio e per
la mediazione di Gesù Cristo la vera e completa formula dell'uomo, la
vera e perfetta sua legge e i me^zi buoni ed efficaci dello stesso.
La Chiesa cattolica, poiché comprende con la sua
anima tutte le anime flglie di Dio, ovunque esse risiedano, comprende
anche nel suo corpo, a titolo di .dipendenze estrinseche dello stesso,
tutte le forme religiose che per se stesse le sono contrarie, ma che
nello stesso tempo la servono parzialmente nel modo che e stato
indicato.
Certamente le religioni dissidenti sono diaboliche;
ma non per questo esse non sono meno provvidenziali
in via accessoria ed accidentale. Esse non danno la grazia, ma possono
fornirne l'occasione, conservarla .o favorirne la crescita per mezzo di
aiuti esteriori che Dio, l'Ospite di buon cuore che non si rifiuta mai,
.s;a-
118.
prà rendere efficaci. Rifugi occasionali, ecco
l'espressione che loro si appropria, oggi come prima del cristianesimo,
allo stesso modo che abbiamo designato la sinagoga come un rifugio
legittimo provvisorio.
Valgono di più per il cinese, di cuore nobile e
cristiano senza saperlo, il suo Confucio che il nulla, la sua pagoda che
la via, i suoi riti che il soffio senza appoggio della vita intcriore, i
suoi gruppi organizzati tanto bene quanto male che un arido
individualismo. ' Vale di più per il maomettano il suo Allah; per
l'Indù il suo Indra o dio del fuoco; per il Romano persino i suoi «
galli sacri » che non per il signor Homais il suo grasso riso.
E di qualsiasi religione si tratti si può sempre
attribuirle questa lode pur facendole gli stessi biasimi. Le religioni
diverse si oppongono al cristianesimo ma lo servono. Rifiutano la loro
adesione ma favoriscono malgrado tutto l'adesione delle anime al Dio
sconosciuto che le lavora, al quale si danno talvolta senza saperlo,
mentre Gesù, fratello di tutti, anche di colo-rto che lo ignorano, si
trattiene sulla loro porta chiusa e prende per un sì la mancanza
di 'un no colpevole accompagnata da un sì per il dovere.
Gesù misconosciuto ed anche esteriormente oltraggiato
è purtuttavia presente. Abita nel deserto e benedice la città. Egli è
a Benares, alla Mecca e a Roma, qui a casa propria, là presso lo
straniero. Egli. parla al Vaticano e il muezzin sonoro, voce del nulla
per se stessa, può pronunciare parole che avran-^ no efficacia per suo
mezzo. Non- si scoraggia per es -sere respinto, se non lo è con colpa.
Anche le persecuzioni non lo obbligano ad abbandonare l'anima del
persecutore. Egli da il suo sangue a coloro che fanno versare il sangue
dei suoi figli sublimi senza rico-noscerlo per suo. Fa vivere coloro che
lo uccidono.
119
Accoglie misteriosamente coloro che lo bestemmiano polo
con le labbra. Promette la sua vita eterna a colui che lo nega senza
farne parte il suo cuore. Egli scusa tutto, crede tutto, spera,
tutto, sopporta tutto, perché è Carità. Egli dice:
Perdonate loro perché non sanno quello che si tanno.
120
CAPO III
ATTEGGIAMENTO DELLA CHIESA NEI RIGUARDI DELLE RELIGIONI
SEPARATE
Resta da studiare il caso delle religioni che hanno
fatto parte della nostra e che se ne sono staccate costituendo, ora
sotto il nome di eresie, ora sotto quello di scismi come lembi della
tunica del Redentore, come si esprimono i dottori della Chiesa.
Aggiungerò, poiché il loro caso è lo stesso, l'eresia
totale che è l'incredulità; questo scisma, il più grave ' di tutti,
che consiste nel respingere ogni confessione religiosa, nel troncare i
suoi contatti col cristianesimo per trincerarsi in gruppi puramente
temporali, senza vita sacramentale, senza Redentore e il più spesso
senza divinità. Quale atteggiamento può prendere — e prende
effettivamente — la Chiesa cattolica nei riguardi di queste religioni
separate e di questo separatismo areligioso?
Evidentemente, proponendosi essa stèssa come unica e
vera Chiesa, essa non fa che credere a se stessa chiamando infedeltà
le eresie e gli scismi allo stesso' modo che aveva chiamato
deviazioni le religioni precedenti e resistenze le loro
prosecuzioni sino ai nostri giorni.
'•.m
Considerando le cose in sé, si deve conchiudere con la
Chiesa che l'eresia o lo scisma sono un grande delitto collettivo nello
stesso tempo che una disgrazia.
Spezzare questa unità che è il fondamento della
religione, non avendo tutti gli uomini che un solo Dio al quale devono
unirsi, un solo Redentore come uomo universale per congiungerli a Dio,
una sola tradizione legittima per unirli al loro Redentore; falsare
queste organizzazioni è dire: No, è altrove che vogliamo fissare i
nostri destini religiosi, avremo Dìo per noi senza essere uniti ai
nostri fratelli figli di Dio, avremo il Redentore per noi pronti ad
abbassarlo alterando la sua dottrina per non averlo voluto licevere
dalla sua tradizione autorizzata, limitando la sua azione col
restringere la vita sociale che egli ispira, mutilando il culto, anzi
decapitandolo come fa il protestantesimo quando rifiuta l'eucaristia in
cui noi invece poniamo il centro di tutta la nostra vita religiosa, il
perno della vita sacramentale e perciò della religione stessa in cui il
fatto sacramentale ha una importanza fondamentale: parlare e agire così
significa rendersi religiosamente omicidi, poiché è come sconnettere e
squartare l'umanità religiosa.
E se ci si pensa, è nello stesso tempo diventare
deicidi poiché mettendo a pezzi l'organismo umano-divino, si uccide non
meno Dio dell'uomo che ne taceva la sua vita. Lo si disincarna, se così
si può dire, strappandolo ad una parte di questa carne universale alla
quale era unito e che egli doveva salvare, tagliando i vasi che facevano
colare il sangue della croce nelle vene del genere umano unito in un
solo corpo, e interrompendo la corrente nervosa trasmessa da questo
divino encefalo e diretta ovunque per mezzo di una gerarchla di funzioni
ormai spezzate.
Mutilare Gesù, ricominciare la Passione, giocare
122
ai dadi la tunica senza cucitura, ripartire
oltraggiosamente ciò che doveva rimanere invariabilmente vki solo
tutto, affinchè il Redentore vi potesse vivere, affinchè la sua vita
umana e divina nello stesso tempo determinasse la nostra nella stessa
unità di ricchezze.,, queste sono le accuse permanenti portate dalla
nostra Chiesa contro le sette dei fratelli separati da essa e perciò
dal centro di vita instaurato da Gesù.
Quando queste sette si fanno forti di tale o tal altra
congiuntura storica, di una nazionalità da conservare, di opinioni da
mantenere, di sentimenti sociali da soddisfare, la Chiesa risponde loro:
II cattolicesimo è abbastanza ampio da esser aperto a tutte le razze, a
tutte le nazionalità, a tutte le opinioni legittime, a tutti i modi di
sentire che non si oppongono a sentimenti collettivi dei cristiani, e
ciò senza chieder loro alcun sacrificio, di se stessi, ma anzi
rafforzandoli, come l'unità rafforza sempre le moltepli-•cità che
essa consente, come il perno del bìlancere dell'orologio determina la
libertà di muoversi degli ingranaggi ben fissati sulla sua stabilità
indistruttibile, ^come la sottomissione all'autorità legittima costitu:-'
sce la nobile libertà del cittadino in una società temporale.
Opporre una nazionalità, una credenza, un senti--mento,
un'aspirazione alla religione unitaria è come opporre la vita alla
vita. Ammenoché non sia, come nel caso di opinioni errate e di
sentimenti illegittimi, opporre alla vita vera la vita fittizia e
colpevole che si potrebbe meglio chiamare una morte.
Che cosa ha guadagnato lo scisma greco a ostinarsi
contro il filioque? o meglio — poiché le querele do-gmatiche
hanno avuto poca importanza — a confinarsi in uno spirito
campanilistico che togliesse il contatto dei suoi adepti con l'umanità
unita in Dio, che
123
ha fatto di essi dei ritardatari nella marcia
delia cristianità e, sotto certi aspetti, della civilizzazione, che ha
coperto con la tiara, con loro grande orgoglio agli inizi, ma malgrado
loro in seguito, dei guerrieri che non erano altro che guerrieri, degli
amministratori che sapevano meglio costituire una polizia che tenere un
concilio, e che oggi sono ben imbarazzati del loro potere.
Povero zar! che deve decidere su questioni dottrinali o
sacramentali e dire: T.ale è la mia volontà immutabile in
materie che egli ignora profondamente e per le quali sa bene, lo credo e
lo temo per lui, di non aver ricevuto incarico da alcuno!
I bulgari esarchisti, i serbi, i romeni, i greci si
trovano nelle stesse condizioni. Essi disputano fra di loro su questioni
di razza e di politica che non hanno nulla a che fare con la vita
religiosa sprecando tempo e forze morali che invece dovrebbero dedicare
alla nostra unità in Dio e che essi dovrebbero perciò subordinare
all'azione centrale esercitata dalla sede apostolica, gerarchla visibile
ove si rivela Gesù, ormai invisibile, agendo come se fosse presente;
ed'è noto che Gesù Cristo fu e rimane il luogo vivente in. cui la
Divinità si rivela e si da all'uomo.
Circa il protestantesimo, io non chiedo che cosa esso ha
guadagnato, poiché potrei sembrare ironico. Non che esso abbia perduto
di più degli orientali, ma se ne rende meglio conto e con ciò esso
dimostra una : superiorità che si volge in sfortuna.
Esso ha preso le mosse da una critica degli abus1.
E in luogo di aiutare a correggersi chi aveva mancato, esso ha commesso
l'abuso supremo che potrebbe commettere un ramo malcontento rispetto
all'albe-
U24
ro che lo porta; in luogo di vivere intensamente per
resistere al contagio e per rigenerare la vecchia linfa, esso si è
staccato con collera diventando un ramo secco mutile all'albero e
incapace di farne a meno.
Il principio del libero esame, ammesso agli inizi per
svincolarsi dall'unità considerata come un ostacolo, ha prodotto a poco
a poco i suoi frutti. Esso ha dissociato la setta primitiva,
spezzettandola in infinire sette di cui ciascuna segue il suo libito.
Ancora di p'ù si è potuto dire che, malgrado questi aggruppamen+i
casuali, del tutto arbitrari, ci sono stati e si hanno oggi tanti
protestantesimi quanti sono i protestanti' coscienti. :
Non poteva essere diversamente. E pure diversa-s:
mente non poteva essere che sboccasse nel nulla questo
dissolvimento individualista in una materia in cui lo spirito
individuale ha tanto bisogno dello spirito collettivo e della garanzia
divina che esso procura.
E non è proprio al nulla cui tende oggi e in cui
sprofonderà domani questo protestantesimo liberale che perde la fede in
Gesù Redentore, che si rifugia presso alcuni adepti nella credenza
banale in Dio considerato come categoria dell'ideale cioè identificato
col vero, col bene e col bello, cosa religiosamente leggera, profumo di
vaso spezzato, esposto a tutti i venti che soffiano oggi sulle pure
astrazioni?
Il protestantesimo in questa via sempre più in discesa,
che esso ha percorsa di tappa in tappa, invano inseguito dagli appelli
profetici agli inizi e poi semplicemente chiaroveggenti della voce
cattolica, è venuto a confondersi cammin facendo in molti dei suoi
mèmbri con quel gruppo laico e laicizzante di cui non c'è più che
chiedersi: Che cosa ha guadagnato, perché esso ha tutto perduto,
poiché religiosamente è ridotto a 'zero con l'aver realizzato l'eresia
integrale e lo sci-
125
sma completo credendo di potersi accontentare della vita
terrena, mentre nulla basta; allontanando. Gesù, volendo essere essi
stessi redentori propri e di quelli che sono confidati alle loro cure,
mentre è stato detto dal vero Redentore: « Senza di me voi non
potete far nulla»; rifiutando dì pregare assieme ai suoi fratelli,
mentre l'invocazione è il ricorso di chi si sente miserabile,
sofferente, tentato, mortale con desideri dì vivere e'di ben vivere e
di vivere sempre, desideri che rimangono incoercibili a dispetto delle
sue nega-• zioni! : ! . .
Tutto ciò la Chiesa lo considera con tristezza e con
severità.
Scartando per il momento ogni considerazione di persone;
essa dichiara che scismi, eresie, miscreden-. ze sono cose
orribili, che non si possono abbastanza deplorare e maledire, che
bisogna erigersi contro di esse con tutta la forza della verità che
esse misconoscono, dei beni che esse vogliono distruggere e
dell'umanità che deve vivere di queste verità e di que-, sti beni.
Lottare, lottare senza posa contro tutte queste
detrazioni di Dio, in quanto dato agli uomini, è il dovere del
cattolicesimo. Ed esso non manca di farlo. Che se ne meraviglino coloro
per i quali la verità, i] bene religioso degli uomini, il Redentore e
Dio stesso non contano nulla. Noi non siamo certo con loro e non
possiamo perciò lusingare i loro principii.
Ma se, ritorcendo la tesi e in luogo di considerare ta
cosa in sé, guardiamo nelle anime, nei pensieri sinceri che le eresie
hanno sedotte, nelle buone volontà trascinate allo scisma senza alcuna
responsabilità da parto loro, nei cuori retti che sono legione, io
spero,
126
anche fra coloro che si chiamano miscredenti, ma
nr.-scredenti occasionali, non. per loro volontà, in seno ad una
società disorientata, allora non si può parlare allo stesso modo, non
si può essere severi allo stesso modo, poiché si rischierebbe di
offendere delle coscienze. Allora diventa di regola la fraternità.
La Chiesa lo sa, essa vi consente e senza insistervi in
modo indiscreto, incaricata come essa è di ciò che è ufficiale e
sociale, timorosa dell'equivoco pericoloso, essa però permette 'ai suoi
dottori, quando affrontano questo punto di vista personale, di esprimere
a tutti la sua parola di carità, di rendere giustizia a tutti ed essa
è disposta a riconoscere senza sbagliarsi nei riguardi dei fratelli
separati come pure nai riguardi delle religioni non cristiane e delle
sette areligiose ciò che ciascuno ha portato di utile non solamente
umano ma religioso nel senso prima spiegato.
Se abbiamo potuto dire: i non cristiani di buona fede e
di buona volontà fanno parte dell'anima della Chiesa e le loro Chiese
stesse, non in se stesse ma :n ciò che esse hanno di utile per la
grazia intcriore di questi cristiani inconsapevoli di essere tali, sono
avviluppate dalla cattolicità e ne sono come degli ac-cessori; se
abbiamo dunque potuto dire piò, perché non potremmo dirlo a
fortiori delle sette dei fratelli separati? Esse contengono degli
eletti e li servono imperfettamente, ma li servono; sono perciò sotto
questo riguardo nostre collaboratrici; noi perciò desideriamo la loro
morte solo come la morte della stella del mattino quando impallidisce
per l'alzarsi radioso del sole.
E infine non più a fortiori questa volta, ma per
un'estensione suprema del principio, non avremo il di-littó di dire: I
miscredenti di buona fede e di buona
/ 127
volontà che fanno pure parte dell'anima della Chiesa,
che sono pure dei credenti non per adesione esplicita al simbolo ma per
il dono di tutto il loro cuore alla verità, dono che implica adesione
implicita al simbolo stesso; tali miscredenti quando trovino nelle loro
famiglie, nelle loro patrie, nelle loro sette, qualunque esse siano,
purché siano costituite in nome del bene, un soccorso per produrre,
conservare e sviluppare in essi la grazia, non vivono forse come se
fossero in* quadrati religiosamente, nel qual caso il Redentore e Dio
accordano occasionalmente in extremis una specie di investitura?
Di questa investitura la Chiesa, di cui il Redentore e Dio sono la legge
immanente, non deve prendere atto considerando come dato da lei stessa
quanto di bene offrono organizzazioni ad essa estranee, e benedicendole
per averla sostituita la ove essa non può giungere ad essere
soocorritrice?
Riassumendo diremo che allo stesso modo che ìe organizzazioni
pagane anteriori al cristianesimo facevano parte, sotto certi aspetti,
della Chiesa eterna e avevano il carattere di anticipazioni in
relazione alla nostra Chiesa storica; così le organizzazioni
dissidenti, cristiane o no, le sette amiche del bene fanno parte nello
stesso senso e con le medesime riserve della Chiesa eterna e prendono il
carattere di dipendenze in relazione alla Chiesa attuale.
Resta ancora da dare soddisfazione nei nostri sentimenti
e nella nostra condotta a questi due aspetti della verità: condanna e
lode, in apparenza contradditori, ma in realtà complementari.
Bisogna biasimare i dissidi e apprezzare ciò che vi è
di buono o addirittura di eccellente nei dissidi stessi,
t28
Bisogna odiare lo spirito separatista e invece amare e
soccorrere i nostri fratelli separati.
Bisogna ricordare in nome della verità dogmatica:
fuori della Chiesa non vi è salvezza. Ma bisogna
ben coimprendere che se con la parola Chiesa si intende il gruppo
visibile che formiamo noi, cattolici praticanti, la formula fuori
della Chiesa non vi è avvezza non è altro che una verità
ufficiale che la vita supera in tutti i sensi e di cui lo spirito,
che soffia dove vuole, non si sente prigioniero.
D'altra parte, se si intende per Chiesa la società
universale delle anime unite a Dio dal Redentore sotto l'influenza della
grazia, la frase fuori della Chiesa, non vi è salvezza significa
solamente: fuori di Dio non vi è salvezza; fuori della solidarietà col
Cristo salvatore e mediatore non vi è salvezza; fuori de'.la buona
volontà che unisce a Dio Padre e a Cristo fratello chiunque non si
rifiuta alla grazia con un rifiuto persistente non vi è salvezza.
In una parola: fuori del bene non vi e salvezza e ciò
è evidente (1).
(1) Pio IX nella celebre allocuzione del 9 dicembre 1854
ha stabilito su questo punto la dottrina: «La fede obbliga a credere
che nessuno può salvarsi fuori della '', Chiesa Apostolica e
romana che è l'unica arca di salute. fuori della quale perirà chiunque
non vi entra.
« Tuttavia bisogna parimenti tenere per certo che co-
-loro che ignorano la vera religione senza averne colpa:
non possono essere tenuti responsabili di questa
situazione agli occhi del Signore.
« Ed ora chi potrà avere la presunzione di fissare i ;
limiti di questa ignoranza secondo la natura e la
varietà dei popoli, dei paesi, degli spiriti e di tante altre
circo- / stanze cosi numerose!
^«Quando, liberati dai legami di questo corpo, vedremo
Dio tale e quale egli è, comprenderemo con quale stretta ;
129' 9. —Lo, Chiesa.
Sotto questo punto di vista, che infine è il solo cne
conta, sono dissidenti solo gli uomini di cattiva volontà o soggetti a
passioni non vinte, incatenati così all'errore volontario e
riprovevole. Non ci sono eretici o .scismatici; sono veri miscredenti
solo coloro che dal padre Grabry sono chiamati « eretici del genere '
umano », cioè i malvagi.
Ritroviamo così per altra via la nostra verità
dell'inizio presa solo in un senso più sottile, ma pure sempre più
interiore e religioso, e cioè: la Chiesa in i fondo coincide con la
stessa umanità, se si intende per umanità in senso morale il gruppo di
coloro che si danno alla legge dell'uomo. In realtà solo i malvagi :.
si escludono dalla Chiesa, intesa nella sua realtà in-,' teriore, e i
malvagi come tali non si escludono pure 4 dall'umanità?
,; Chiesa delle anime, più grande, spero, del piccolo
.gregge irreggimentato; più grande del mucchietto dì ,, sabbia, ancora
così minuscolo, raccolto faticosamente ;; dagli Apostoli sulle rive del
Mediterraneo, mentre la „; immensità delle terre lontane ci sfugge;
più ricca dì
grazia di quello che non farebbe credere lo spazio ri-;
stretto sul quale scorre il fiume sacramentale, tu puoi
salvare gli uomini di tutti i popoli e di tutte le
con-'' fessioni esteriori, allo stesso modo che tu hai potuto •;>
salvare gli uomini di tutti i tempi.
La grazia di Dio non è vincolata ai sacramenti
di-;;, cono i nostri teologi; essa non è dunque vincolata
al-', la Chiesa visibile quale sacramento collettivo, ma Io , :
è alla Chiesa mistica e inferiore, anima della Chiesa
e magnifica unione sono fra loro collegate la misericor-
. dia e la giustizia divina... Ma i doni della grazia
celeste non mancheranno mai a coloro che con cuore sin-
; cero vogliono essere rigenerati da questa luce e lo
chte-
;• dono ».
130
stessa che costituisce la nostra unione esplicita o
implicita al Salvatore e per suo mezzo a Dio e a tutto ciò che lo
rappresenta: verità ed eternità della feli-cità. / ; ' •
• ! ! ;•'_•
Questi bassi pensieri non possono per altro staccarci
dal corpo visibile e santifìcatore della nostra'. Chiesa, poiché resta
ben inteso che per colui che sa';. o che può sapere, per colui che vi
è nato e che può perseverare nella comunione con essa, è essa ed essa
sola che rappresenta la salvezza.
CAPO IV
L'ATTEGGIAMENTO DELLA 'CHIESA RIGUARDO ALLE MORALI
RELIGIOSE O LAICHE
Una- volta giudicato il caso delle religioni, quello
delle morali non può riuscire oscuro, poiché esso è in parte
identico.
Tutte le religioni hanno imposto una loro morale allo
stesso modo come esse hanno ispirato un dogma e hanno suggerito un
culto, visto che la morale non è che un'applicazione delle nostre
credenze relative allo scopo della vita, credenze che tutte le religioni
hanno voluto formulare con maggiore o minore fortuna.
Non dobbiamo perciò meravigliarci che la Chiesa parli
delle morali, dato che esse non sono che un estratto di religioni, allo
stesso modo che essa ha parlato delle religioni.
Le morali pagane furono depravate in una quantità di
casi essenziali. Morale individuale che autorizzava il suicidio, l'ubbriachezza
e la lussuria, anche la peggiore (leggete solo il Banchetto di
Fiatone se l'Epistola ai Romani non vi fosse sufficiente come
autorità); morale familiare che sanzionava l'oppressione della donna,
che alterava il matrimonio nelle sue leggi fondamentali; morale sociale
che proclamava la
132
ragione di Stato come superiore a tutto, persino aP-a
coscienza; che ammetteva la schiavitù assoluta, cioè la subordinazione
di un destino ad un altro destino, riguardo al quale lo schiavo, pure
persona, non sarebbe altro che una cosa; tali sono, per non citare
che degli esempi, le deviazioni che la nostra Chiesa può rimproverare
alle dottrine morali anteriori ad essa. •'•
La morale ebraica, incomparabilmente superiore, alle
morali pagane nel fatto che essa, primieran-ien-; !, tè,
scartava gli eccessi del male e, secondariamente, . poneva le basi del
bene, appare alla Chiesa, come l'ebraismo dogmatico o rituale, come un
inizio della sua pratica. «Non sono venuto per abolire la legge,
diceva il Salvatore; sa» per perfezionarla» cioè a
portarla più lontano.
All'ebraismo mancava la perfezione, cioè la base
completa per un distacco definitivo dall'umanità. L'ebraismo era un
sentiero giusto; esso doveva condurre alla strada e poi cederle il
passo. Così il Legislatore divino diceva: Mosè vi ha ordinato questo;
ma io vi dico quello, facendo risaltare il perfezionamento che egli
intendeva dare alla legge ebraica.
Le morali postcristiane, in quanto sono legate a''le
antiche religioni che tuttora sussistono, sono soggette allo stesso
giudizio. Alcune sono orribili, i nostri mis-•sionari, i nostri
colonizzatori lo sanno bene. Altre presentano poco o molto valore; tutte
sono in ritardo, .avendo resistito al progresso evangelico, respinto la
pienezza dei tempi, di guisa che per esse 11 Messia non è ancora venuto
con la sua legge direttrice ed eman-cipatrice degli uomini.
Quanto alle morali degli eretici e dei scismatici, per
giudicarle equamente sarebbe necessario esaminare in che cosa esse sono
ispirate dal Vangelo autentico ed autenticamente interpretato e in che
cosa
183
esse invece hanno deviato contraddicendo la lettera o
non sapendo sviluppare lo spirito. La Chiesa tà queste
distinzioni e non confonde i Manichei od i ' Catari con Tolstoi o
Gladstone. Tuttavia essa coostata uno scarto morale per il solo fatto
che constata uno scarto dogmatico in tutte le confessioni dissidenti.
Sarebbe ben facile mostrare questo per gli sciismi greci ed anche per le
eresie luterane che hanno alterato il matrimonio, mal riconosciuto i
diritti della donna e del fanciullo ecc. Se non si insiste, ciò dipende
dal fatto che in questo non è per noi l'essenziale.
Il caso più grave non è quello delle religioni
dissidenti e 'delle morali che esse comprendono, ma quello
dell'abolizione della religione, delle miscredenze e della morale che
tale miscredenza intende costruire.
Costruire!... Essa lo pretende! Come i suoi precetti in
ciò che essi hanno di sufficiente, di accettabile non fossero
semplicemente un riflesso dell'ambiente cristiano, un profumo di Vangelo
dopo che si ha respinto il Vangelo stesso!
Vi fu un tempo in cui questa derivazione era
riconosciuta. Si insegnava come i dogmi finiscono, ma come le
morali restano. La morale del cristianesimo appariva come la parte
intangibile della sua azione, di cui il resto era l'involucro
transitorio. Si scostavano i veli e si entrava nel santuario.
Siamo ben lontani oggi da questo stato di spirito. Si
viene a parlarci ora delle esigenze della coscienza moderna
su di un tono e con commenti che non ci lasciano alcuna illusione.
Saremmo degli arretrati in morale come in tutto il resto. Si è oggi a
Guyau (lj,
(1) Filosofo francese (1854-1888) autore dell'opera: La
morale sema ohWgaZtone ne sanziorte (N. et. T.).
134
a Nietzsche, alla scuola sociologica. L'incanto
evangelico è rotto e l'Ebreo errante, sdegnoso delle verità della
croce, riprende il suo cammino senza fine.
L'atteggiamento della Chiesa nei riguardi di questa
tendenza è ben definito.
Tré cose la colpiscono in questa .apostasia morale di
cui il secolo è testimonio.
In primo luogo, la pretesa di sciogliere la
morale da ogni legame con la religione rivelata le appare un enorme
errore pratico. Se l'uomo non può da solo stabilire la sua vita, se vi
è una parola di Dio nel mondo, se la rivelazione è un fatto positivo,
stabilire la morale, sia pure come scienza, senza tener conto di questo
fatto sarebbe come se oggi si volesse stabilire l'astronomia senza tener
conto della rotazione della terra.
Ed ancora di più, se non è una parola soltanto ma una
vita in comune quella che Dio ci propone: « Ecco che io sono con voi
sino alla consumazione dei secoli ». — « Se qualcuno mi ama, anche
mio Padre Pannerà e noi andremo a lui e stabiliremo in lui la nostra
dimora », si può pensare che la morale umana possa prescindere questo
sublime proposito divino e pretendere 'di essere nel giusto senza essere
amante e adoratrice in modo filiale di chi abita i nostri templi e i
nostri cuori?
La vera morale deve prendere come punto di partenza il
vero destino, che è soprannaturale; deve regolare tutti i nostri
rapporti, compresi in essi soprattutto quelli che noi abbiamo con Die.
Di guisa che se è vero che sotto il punto di vista che abbiamo prima
messo in evidenza, la morale fa parte della religione ' " ne è la
sua parte pratica, si può anche dire che sotto un altro aspetto la
religione con tutto ciò che da essa dipende fa parte della morale in
quanto questa
• ' ' 1RF>
è inclusa, sotto certe condizioni di fatto, nella,
legge rimana.
In secondo luogo la Chiesa constata che il distacco
della morale in rapporto alle dottrine di cui essa ha ìa custodia
sbocca nella più disordinata anarchia intellettuale. Tutte le nozioni
sulle quali si aveva creduto a buon diritto che si basasse la moralità:
il bene, il dovere per mezzo del quale il bene compie il
suo ufficio regolatore, l'obbligo per il quale ci lega, la
coscienza che è in noi il profeta del suo potere, la virtù
per la quale il bene ci piega per produrre effetti durevoli, la
sanzione che chiude l'opera e gli procura la sua fine di felicità,
tutti questi concetti sono ora contestati, vilipesi, giudicati da alcuni
addirittura immorali, messi al bando non tanto da energumeni e
libertini, ma da molti gravi professori universitari, da dottori
laureati e da illustri pensatori.
Si,è venuti a voler sostenere qualsiasi cosa: la morale
e la mancanza di morale; la «morale del deboli», come alcuni
chiamano le nozioni più o meno connesse col Vangelo e la « morale
dei forti » che supera qualsiasi ostacolo e consente di schiacciare
qualsiasi cosa a vantaggio del superuomo. Si dice: Stabiliamo
delle norme, e si risponde: Non vi sono norme, vi sono solo fatti simili
a quelli della natura e regolati dallo stesso determinismo. Si dice: La
coscienza prima di tutto — soprattutto prima della Chiesa, e si dico
pure: E' la legge, cioè una maggioranza, che è la norma delle
coscienze.
Se poi si tratta di dottrine particolari, di morale
individuale, familiare, sociale, si mostrano allora le discrepanze più
mostruose. Vi vengono a predicare la libertà del suicidio,
dell'omicidio passionale, la lussuria sotto il nome sacro dell'amore,
l'adulterio che sarebbe un « diritto del cuore », il divorzio o l'unio-
136
ne libera in nome del « diritto alla felicità », la
lotta' delle classi in luogo della loro collaborazione, l'egoismo
nazionalista o internazionalista che riporta l'individuo all'isolamento
sotto l'aspetto dell'umanitarismo. Si vuoi giustificare tutto. Molti
dotti libri, e giornali molto gravi esprimono opinioni su qualsiasi
cosa, anche in materie in cui l'umanità dovrebbe essere la condizione
non dico della conclusione delle argomentazioni, ma del punto di
partenza della vita umana.
La Chiesa sta a guardare e, se ciò non fosse cosi
triste per .se stesso, sarebbe già per essa un trionfo. Per interi
secoli essa ha costituito l'unità morale. Non ha ottenuto sempre una
pratica ben seguita poiché l'umanità è troppo fragile e, per tale
motivo, è difficile da guidare, strappata come essa è in più
direzioni da formidabili forze di anarchia inferiori ed e-steriori,
povera vittima che non sa resistere alle seduzioni del male. Ma almeno
la direziono era tracciata ed accettata; avanzavano nella via eterna
persone e gruppi ad un'andatura sollecita per alcuni, con passo tardivo
per la maggioranza, ma con spirito convinto tutti. Il « grande paio di
ali» come ha detto Taine parlando della fede, faceva del genere umano,
anche quando soffriva sulla terra, qualche cosa che sentiva il vento
dello spazio. . ^
Anche quando l'uccello cammina, si sente che esso è
(provvisto di aK.
Eccoci ora invece privi di questo soccorso. Eccoci allo
spezzettamento completo. Non v'è più unità morale. Periodicamente si
vuole ricomporcene una e questo sforzo è una confessione; ma il
risultato è che a furia di battere sulle travi dell'impalcatura, ora su
di una ora su di un'altra, col pretesto di rafforzare la costruzione,
non vi si vedono più che mèmbri rotti,
137
giunzioni che si staccano e dalle parti spezzate oertuni
sognano ancora di ricavare della legna da ardere o almeno di tagliar
fuori dei fiammiferi.
Si dovrebbe aspettarsi questo risultato visto l'im-naensità
dei problemi al quali si trovano sospesi, óa quanto sano messi in
discussione, i principi della vita morale. E' l'universo, è l'uomo, è
il senso dei loro destini, è tutto e il tutto che vi si trovano
coinvolti.
La fede invece taglia corto; essa getta un ponte al
disopra degli abissi, ricongiunge Dio, l'uomo e l'universo in un insieme
armonioso le cui leggi sono tutte semplici, malgrado le difficoltà
parziali; essa pone in alcune pagine tutto il codice della vita quale io
predica l'Uomo-Dio. Ma le filosofie, e a maggior ragione la scienza, che
qui non serve a nulla, checché ne pensino certuni, non dispongono di
questa risorsa. Esse si sono svalutate; nulla hanno ottenuto in questo
campo. Ciò che è sembrato che esse tacessero non era che preso
nascostamente a prestito e ciò che in apparenza esse hanno in tal modo
fatto l'hanno poi disfatto con accanimento sino all'inverosimile caos
che oggi ogni uomo sincero e colto può constatare.
La Chiesa ne prende nota e dichiara che occorrerà fare
macchina indietro; che essa sola, col suo Redentore, possiede le parole
di vita che rassicurano le coscienze. La sua morale è la morale vera,
come il suo Dio è il Dio vero. Gli altri o sono dei prestiti senza
unità o deviazioni di cui alcune di portata incalcolabile.
In terzo luogo la Chiesa pretende che le morali
avulse dalla loro azione, anche se fossero assicurate dalla loro
dottrina, sono impotenti ad essere dì guida pratica nella vita. La
nostra natura è troppo disa-
138
strosamente debole. Essa ha bisogno di essere stimolata,
sorvegliata, aiutata, sollevata.
Stimolata con la messa in lizza di tutte le sue
risorse che la religione conosce e soddisfa, mentre la ragion pura si
rivolge solo alla parte, astratta della nostra anima. La ragione pura
passa in aeroplano davanti alle finestre degli uomini e dice la sua
parola passando; ma chi vive con lei? "
Sorvegliata, la natura umana vuole esserlo coll'in-fluenza
di un ambiente che sia una società di bène con
•un funzionamento regolare evocatore del bene in
luo-go dell'individualismo in cui alcuni vogliono racchiudere la
vita morale.
Aiutata essa lo deve essere con mezzi che siano
adatti all'uomo, ma lo superino, lasciando la tradizione
•universale comprendere questo sentimento che senza un
aiuto superiore la vita morale ne dura ne si eleva ne si sviluppa in un
modo che ci soddisfi. Vi occorre il Dio intcriore, di cui il Daimon
di Scorate era il simbolo, che è per noi lo Spirito divino operatore
della grazia, quello che grida in noi: Padre! Padre! e che non
vuole che lo abbandoniamo, questo fuoco sovrumano che ci avvince per
mezzo del Redentore, tutti figli dell'Infinito reso finito in noi per
una condì-' scendenza d'amore, tutti coeredi dell'eredità eterna.
Infine sollevata, la. nostra natura ne ha
bisogno in ogni cosa, anche se una fedeltà relativa la preserva dalle
grandi cadute. Essa non lo è, umanamente, che per mezzo di soccorsi di
cui la psicologia religiosa possiede i segreti; e dal lato divino per
mezzo delle istituzioni che ci applicano gli effetti della redenzione.
Il programma della Chiesa è quello di far passare il
sangue della croce su di noi affinchè siamo non semplicemente degli
uomini in un mondo ricreato del-
139
lo Spirito ne degli uomini diminuiti individualmente dai
vizi, in famiglie da disordini e da divisioni, socialmente dall'anarchia
o dal dispotismo in tutte le loro forme, ma cristiani, cioè uomini
completi in Dio.
Tutte le morali che prescindono dalla sua mora'ie sono
dunque per questo fatto stesso, per la Chiesa, da condannare. Quelle che
vorrebbero correggerla si ingannano e quelle che intendono farne a meno
van-co verso il vuoto dottrinale, preparando la loro impotenza pratica.
Ciò non è una ragione perché la Chiesa si rifiuti di
riconoscere il bene ovunque esso si trova. Essa si e tanto meglio
disposta poiché anche questa volta, come precedentemente per le Chiese
avversarie e pur-tuttavia utili, essa vi riconosce il suo bene.
Ma che tali scintille sparse si uniscano un giorno in un
solo faro di luce, questo è il suo voto ardente, poiché è una
necessità vitale. Non dimentichiamo mai che è essa la pietra
sulla quale la vita umana, sublime fiamma, deve salire.
140
CAPO V
L'ATTEGGIAMENTO DELLA CHIESA RIGUARDO ALLA
CIVILIZZAZIONE IN GENERALE
Come la natura e il compito della Chiesa spiegano il suo
atteggiamento riguardo alle religioni dissidenti e alle morali che si
collegano con queste religioni o che pretendono staccarsi da qualsiasi
religione, così essi spiegano pure il suo atteggiamento riguardo alla
civilizzazione e alle sue diverse manifestazioni.
Prima di affrontare il particolare, è opportuno dare
uno sguardo complessivo e vedere come la civilizzazione in generale e la
Chiesa quale essa è possono stabilire i loro rapporti, quali accordi
sono possib-li, fra di loro e quali contrasti sono da prevedere.
La questione è interessante ad è importante in un
grado tale che non occorre sottolineare.
La civilizzazione, nel senso più elevato della parola,
si potrebbe definire: uno stato sufficientemente avanzato dell'umanità
comprendendo che la parola umanità, mentre esprime una realtà
positiva, indica anche un ideale, cioè ciò che l'uomo deve sforzarsi
di diventare per rispondere al suo destino sulla terra.
Forse, estendere così il significato della parola ci-
14'
vilizzazione potrà sembrare a taluni una violenza fatta
al dizionario. In ogni caso il contenuto della parola civilizzazione
richiamato agli occhi di tutti è il ce-guente; un'organizzazione
politica sufficiente; una situazione abbastanza progredita delle
scienze, delle arti, dell'industria, del commercio, delle finanze; un
tè • soro letterario e filosofico; una eletta schiera di persone che
danno la spinta 'al progresso.
E noi domandiamo quale atteggiamento la Chiesa può
prendere o prende riguardo a queste cose.
In verità una tale questione ci deve sembrare chiarita
in anticipo. Non abbiamo che a richiamare quanto già detto.
Abbiamo definito la Chiesa una sintesi dell'uomo o di
Dio per mezzo del Redentore e nel suo Spirito in vista dei .destini
soprannaturali. Ora una sintesi dell'uomo e di Dio deve comprendere
tutto l'uomo, come essa comprende tutto Dio.
Molte volte vi abbiamo già insistito; nulla di ciò che
appartiene .all'uomo è estraneo, in linea di diritto o di fatto, alla
religione legittima. Non ci si può disincarnare; è Dio che si incarna.
Non ci si può disinteressare; è Dio che si interessa della vita umana.
A-vendo ritenuto opportuno di creare questa vita, egli trova pure
conveniente di animarla e di spingerla a ;
fondo, poiché, fare per Iddio significa compiere ciò:
che non è compiuto non essendo tatto veramente cioè
non in modo divino.
La differenza tra l'inizio e la prosecuzione o la fine
di quest'opera è che Dio che ci ha fatti senza il concorso dell i
nostra volontà ci può completare solo col nostro concorso. Egli ha
fatto di noi, oltre che degli esseri, delle cause; nello stesso tempo
che ci ha fatto creature anche creatori. Dio non fa la civilizzazione,
vuole che la facciamo noi, ma la fa con noi in quanto
442 .
egli è legato alla nostra vita per mezzo della sua
presenza universale e per il legame religioso. La Chiesa, che è la
società scaturita da questo legame non può dunque essere che
favorevole all'opera della civilizzazione.
Donde vengono dunque le difficoltà tra la Chiesa
e le diverse correnti civilizzata-lei? ;''
Esse possono provenire da due parti. O gli elementi
della civilizzazione proposta non sono posti nel loro;..;.:
yero ordine, o quest'ordine umano è separato dal di- :1
vino che invece deve essere la sua legge e il suo ulti- : :
mo fine, essendo anche la sua fonte. ^
Si comprende perciò quali conflitti possono sor" :
gere da questi punti.
La vita umana è un'armonia. Ogni elemento, prezioso in
sé quanto si vorrà, non è prezioso nel coni-;,;:
plesso che nel caso che resti al suo posto dominando ;
ciò che esso deve dominare, ma pure subordinandosi ,;
a ciò che gli è superiore, non facendo marciare in;.'
coda la testa del serpente ne la coda in testa. ; '
Le civilizzazioni materiali che trascurano la col-•';;;;
tura dello spirito non hanno l'approvazione degli
spiriti elevati e non possono aspirare all'approvazione :•;. della
Chiesa. Le civilizzazioni scientifiche, letterarie, ' :' artistiche che
trascurano la morale possono sperarla ;
ancora meno, poiché tali civilizzazioni pretendono di1';./1
avanzare, ed avanzando in realtà senza essere nel di- '.. ;'
ritto cammino, si allontanano sempre più dal bene.
Preferibile è agli occhi della Chiesa il bedumo senza
coltura, ma leale e di buoni costumi, al grosso industriale sfruttatore
o al pirata di lettere.
Lo scapigliato romantico neppure riscuote le preferenze
della Chiesa e neppure il naturalihmo sfron-
143
tato ne il sensualismo sottile che potrebbe mettere come
motto ai suoi libri: Condotta sregolata e discrezione.
All'Accademia francese si è una volta constatato che la
Chiesa, anche a costo di passare per poco intelligente, non può
approvare la letteratura dilettantistica, la cui purezza significa solo
leziosità pericolosa nel primo grado e corruzione nel secondo. Il
terzo, che viene presto, significa deliquescenza, indebolimento dello
spirito pubblico, debolezza sociale e regresso per l'una o l'altra delle
vie che si aprono alle società corrotte; in una parola, barbarie, il
che giustifica la opposizione della Chiesa, animata come essa è da una
previdenza materna.
Infine soprattutto —bisogna dire soprattutto perché
è a questo che si riconnette tutto il resto, bia. pure nei fili
nascosti — la Chiesa non vuole che la civilizzazione umana, per quanto
perfetta essa sia oggi, possa domani riuscire pericolosa e possa anche
riuscire inutile oggi nei riguardi dell'unico necessario, rompendo
i suoi collegamenti divini.
Trascurare Iddio è infatti per essa rinchiudersi
nell'insufficiente, è ritornare a quel nulla dell'uomo che essa aveva
voluto guarire, collegando la nostra piccola vita per mezzo di Colui che
l'ha assunta tutta, il Redentore, a Colui che la può rendere più
grande, essendo egli stesso immenso; che la può rafforzare essendo egli
Signore di ciò che ci opprime e ci soffoca; che la può santificare,
essendo egli Spirito di santità; che la può rendere libera, essendo
egli la libertà per eccellenza che la nostra schiavitù invidia e
chiama; che la può rendere eterna, essendo egli eterno, e riempire di
tutto ciò che manca all'essere incompleto che è suo figlio essendo
egli pienezza infinita, colma di infinito amore.
144 ' ^sfl
.Fuggire così la salvezza divina proposta alla no-,
stra vita miserabile e mortale, respingere la redenzione, ipnotizzarsi
su ciò che passa, chiudervisi e mettere quasi sopra di sé la pietra
del sepolcro allo scopo di svilupparsi nello spazio che la morte
differita lascia al cadavere ancora vivente in cui essa lavora è una
forma di civilizzazione che lascia triste il pensatore, quando egli si
pone a meditare sulla stele in cui sono scritte dalla morte le ambizioni
umane, quando egli considera dall'alto la furia estenuante di questa
corsa all'abisso in cui i concorrenti, coi loro numeri sul dorso —
cioè i loro titoli e il loro fasto — si' succedono in teorie
lamentevoli e rumorose. :
La Chiesa, che non si lascia prendere dalla tristezza,
stimolata come essa è dal desiderio di agire e di salvare, non tanto si
rattrista perciò per tale atteggiamento ma si irrita. Essa non vi vede,
come pre- :
cedentemente, il regresso relativo che fa abbandonare le
vette della vita temporale per le regioni inferiori di questa vita: essa
vi vede il regresso assoluto che Ti-i, porta al nulla la creatura che
dovrebbe invece essere' elevata verso l'influito da un'adozione divina.
E' questo che, notiamolo bene, si deve vedere in .
quella famosa dichiarazione del Sillabo che si oppone a quello
che si dice: la Chiesa può accordarsi con Sa moderna
civilizazzione.
Con quesa espressione: moderna civilizzazione,
sappiamo bene ciò che si voleva dire sotto Pio IX, e sappiamo pure ciò
che taluni vorrebbero dire oggi. La moderna civilizzazione è ciò che
altri chiamano società laica e, fra i peggiori di essi, significa
guerra alla Chiesa; di conseguenza l'impossibilità per questa di
accordarsi; ma anche per i migliori — sempre in tale gruppo — si
nega il lavoro della Chiesa, poiché si tratta innanzi tutto di
opposizione alle regole indi-
145
10. — La Chiesa.
vicinali, familiari o sociali di cui la Chiesa si è
costituita custode, ritenendole indispensabili alla salvezza dell'uomo e
in secondo luogo è sempre opposizione per '.1 solo fatto che è un
rifiuto o un disprezzo dell'orientamento superiore della vita.
Si vorrebbe far a meno di Dio; organizzarsi senza di
lui, rimanere • tranquilli in mezzo a cure e oggetti in cui Dio non
dovrebbe per nulla entrare, governare le vite individuali, le famiglie,
le corporazioni, le città e i gruppi internazionali con principi
opposti al suoi od ignoranti i suoi e poi, per una condiscendenza
sdegnosa, si vorrebbe invitarla allo stesso tavolo e ciò in favore
della pace e dei buoni rapporti con coloro che vi credono. Ma
naturalmente si vorrebbe fissarle il posto, che dovrebbe essere
l'ultimo.
Si farebbe presiedere il banchetto da un capo politico;
si metterebbe alla sua destra un banchiere, alla sua sinistra un
giornalista; e tutt'intorno attori, scienziati, generali, romanzieri,
industriali, pittori e aire-stremo, magari col tovagliolo in mano per
aiutare il servizio. Dio che darebbe cosi prova di buon umore r si
concilierebbe il favore della civilizzazione moderna.
Ma no, però! ne Dio, ne la Chiesa per lui, si
adatteranno mai ad una tale conciliazione.
Dio vuole essere ciò che è; la Chiesa vuole che lo
sia. E quando si è ciò che è Dio, si ha diritto non solo al primo
posto, ma in un certo senso, a tutto il posto ed è Dio che invita gli
uomini.
Non vediamo in ciò un orgoglio trascendente, Dio non è
orgoglioso, lui che nella persona del Redentore :
ha toccato con la sua spalla martoriata le viuzze di i
Gerusalemme ed ha accettato il supplizio degli schiavi! Ma questo umile
Infinito vuole un posto che gli • consenta di esercitare il suo
compito. Non è lui ch(?s
146
ne ha bisogno, ma siamo noi, che non siamo nulla se
egli non è tutto. . . • ' ;
Dio al secondo posto, e peggio ancora all'ultimo,
diventa inutile per noi. Subordinarlo a qualche cosa è come sopprimerlo
bestemmiandolo, poiché l'utilità di L'io consiste nel dare la legge,
come egli ha dato l'essere, e di determinare così lo scopo della vita.
Se invece viene chiamato una volta che la vita è stata organizzata
senza di lui, rivolta ver&o altri scopi tutti terrestri, per non
dire infernali, impegnata nel regno della carne che porta alla morte
attraverso l'illusione,:
•a che cosa può egli servire?
Egli non potrebbe che seguire l'andamento di questa
marcia pazza. E si può concepire il Creatore che aiuta la sua creatura
a perdersi? Quando questa ha , i inchiuso la sua vita nel nulla di tutta
la realtà senza Dio, si può immaginare che Dio venga a dare la sua
approvazione dicendo: Sta bene, nel tuo nulla da tè voluto, io,
l'Essere, sarò tuo complice e tuo 'servitore?
Questa concezione, se ben vi si rinette, è satanici. E'
il peccato di Lucifero che vuoi sostituirsi all'Eterno e che, non
contento di dire: Io non servirò! vorrebbe ancora aggiungere: Che Dio
mi serva!
Più grave sarà il confitto se a questo falso
liberalismo, che è già per se stesso una rivolta, si aggiunge
l'ostilità dichiarata e se la civilizzazione che si vuole instaurare è
per una parte notevole un attacco a ciò che rappresenta la Chiesa.
Se la « scienza » viene presentata come
un'antitesi del dogma; la «filosofia» come un disprezzo di
tutte le nostre posizioni dottrinali; la morale «positiva» come
un'ignoranza del bene; gli «affari» come l'ingiustizia e
l'usura resi sistematici; la «politica» có-
^47
me un anticlericalismo e la « letteratura »
come una maldicenza continua nei riguardi di tutto ciò che è
religioso, che potremmo dire noi cristiani di una tale civilizzazione?
Noi ne diremo ciò che i nostri padri dicevano del
paganesimo corrucciato o beffardo: la chiameremo diabolica. E
aggiungeremo, come Lattanzio, come Basilio, come Agostino, che il
diavolo può servire perché Dio, essendo più forte, lo obbliga a
tirare il carro anche quando morde il freno. Ma di questa civilizzazione
in se stessa, in quanto essa disprezza Dio e perseguita la sua opera,
noi non saremo che dei barbari, come ha voluto esserlo S. Paolo per
abbracciare la follia della Croce.
In verità però ciò che così abbiamo condannato non
è la vera civilizzazione, ma una sua contraffazione o un suo arresto.
Contraffazione, se si combattono verità e beni per mezzo di errori e
vizi; arresto, se si propongono verità parziali che si pretendono
sufficienti, beni caduchi di cui ci si vuole contentare.
Barbarie civilizzata: questa è l'espressione che
potrebbe adottare la Chiesa per caratterizzare questi due casi. Una
volta compreso ciò che è la Chiesa, questo atteggiamento da parte sua
deve apparire del tutto naturale.
E ancora più naturale sarà in realtà questa volta
l'aiuto che la Chiesa darà a tutti i rami della civilizzazione bene
intesa, senza farne il suo scopo diretto.
Apportando Dio e il suo benefico influsso, applicando la
sua azione al centro stesso della nostra attività creatrice: nel nostro
spirito per impedirgli di sviarsi, nella nostra volontà per mantenere
l'equill-
J48
brio tra una viltà perversa e una temperanza
arrufla-trice, nella nostra sensibilità santificata per allontanarla
dalle voluttà snervanti attraverso le quali passa invece, ben lo
sappiamo, la maggior parte dello sforzo della nostra civilizzazione;
agendo così sull'uomo con Dio la Chiesa si mostra animata da una
potenza di civilizzazione incomparabile.
A mano a mano che essa penetra meglio nel segreto della
sua essenza — poiché essa progredisce,-abbiamo detto, crescendo in
età e saggezza, come il Redentore, davanti a Dio e davanti agli
uomini; a mano a mano che essa mette in luce per un maggior numero
di intelligenze le verità che essa porta e in un maggior numero di
cuori gli immensi sforzi di volontà che essa concepisce, essa diventa
più grande e lo diventerà ancora di più come valore civilizzatore.
Il Vangelo è appena all'inizio del lavoro; ma esso ha
il tempo davanti a sé e colei che lo fa agire non ha ne la fretta che
la scuota febbrilmente ne scorag-giamento che la arresti. Essa ha
sposato un Eterno e questo sposo divino le ha rivelato il segreto delle
sublimi gestazioni che hanno dato luogo al sorgere degli spazi e delle
loro nebulose, dei soli coi loro pianeti, delle flore e delle faune
secolari, dell'umanità iniziata, proseguita e che si completerà se lo
vuole. cioè se non abusa dei temibili privilegi che le conferisce la
sua libertà.
Il cammino della nostra umanità esige la nostra
fedeltà a Dio, la nostra unione a Gesù e per conseguenza il
funzionamento della Chiesa. • . /
Dio non abbandona l'uomo; bisogna che neppur l'uomo
abbandoni Dio, abbandonando la (i-rfano di carne con cui Dio
forma la catena.
Uniti alla Chiesa o al Redentore o a Dio: è la stessa
cosa. Con questo concorso la civilizzazione può
14&
compiere la sua opera; senza di ciò essa ci uccide,
questa è la verità che si dovrebbe riconoscere in attesa di vedere in
particolare come si verifica questo asserto nei diversi campi in cui si
eserciti il genio civilizzatore.
Ì50
CAPO VI LA CIVILIZZAZIONE MATERIALE
Si può ben dubitare che la civilizzazione puramente
materiale sia ammessa a beneficiare dell'amicizia della Chiesa, poiché
è certo che la Chiesa non cerca di affezionarci ai beni terreni. Noi li
desideriamo già ' bastantemente per le nostre aspirazioni naturali.
Invece la Chiesa in ogni momento ci ricorda la vanitas vanitatum
dell'Ecclesiaste. Essa ci predice la fine di tutto e la nostra propria
fine. In ciò essa si ritrova con la scienza per dirci: La terra e i
cieli passeranno fe con lo sguardo teso verso l'eternità essa vede già
realizzato ciò verso cui ogni cosa è diretta. La via di ogni essere
terreno è fiancheggiata di scritte su cui la Chiesa dice: «Che cosa
serve all'uomo di guadagnare l'universo, se ciò deve essere a danno
della sua anima! »
Si potrà dire che ciò non è incoraggiante per
l'industria, la navigazione, il commercio, l'agricoltura, le miniere e i
trasporti. •
Può darsi! Ma d'altra parte non può sfuggire'che la
Chiesa è interessata, direttamente o per mezzo dei suoi figli migliori,
in tutto ciò che si fa di grande e di utile nel mondo. Sono dei monaci
che hanno disso-
151
dato l'Europa; è stata la Chiesa che ha riabilitato il
lavoro quando il dilettantismo pagano lo abbandonava agli schiavi; la
sua liturgia che fa fede in nome dell'assioma Lex orandi lex credendi
prevede benedizioni per tutto ciò che si riferisce alla nostra vita,
anche la più materiale; ai nostri interessi anche i più temporali; per
le nostre case, acque, praterie, per la nostre fattorie coi loro animali
domestici, per i nostri granai, le nostre officine, le nostre ferrovie,
i nostri ponti, telegran e telefoni, piroscafi ed ora anche per i
nostri aeroplani.
E temendo di dimenticare qualche cosa di ciò che ci
interessa, volendo prevedere anche l'imprevedibile, la Chiesa ha pure
benedizioni ad omnia, ad quaecum-que volueris; benedizione di
ogni cosa e cioè benedizione della vita, di tutta la vita, purché
questa consenta ad avere un valore, purché nella preghiera che si
formuli in favore della vita stessa si consenta che venga espresso
questo pensiero che è quello della Chiesa riguardo alla civilizzazione
materiale: « che noi passiamo attraverso i beni temporali, o Signore,
in modo da non perdere gli eterni » (Colletta della UT domenica dopo
1& Pentecoste).
Il temporale della nostra vita è ciò che passa;
l'eternità della vita è ciò che resta. Ma bisogna comprendere che
ciò che passa, se sa unirsi a ciò che resta, prende esso pure un
valore d'eternità; poiché è tutta la nostra vita, quella materiale
come l'altra, che è impegnata nella grande corrente divina.
Bisogna dire una volta di più ciò che dicevamo a
proposito della civilizzazione presa in generale: non possiamo toglierci
il nostro corpo, è Dio che si è incarnato, è Dio che per mezzo del
Messia ha sposato la realtà dell'uomo. Ora il nostro corpo è in
continuo contatto con l'ambiente naturale che lo circonda e ha
152
bisogno di conquistarlo. La vita è una continua azione
intraprenditrice. Con l'alimentazione noi ricaviamo materia dal nostro
ambiente per mantenerci in vita; per mezzo della civilizzazione
materiale ricaviamo elementi pure dal nostro ambiente per arricchire la
nostra vita. Le nostre scoperte e il loro sfruttamento hanno per così
dire lo stesso scopo di allungare le nostre membra, svilupparne il
vigore, secondare il loro sforzo moltipllcandolo, fare di tutto ciò,
che si adopera, una leva, la leva di Archimede, destinata a sollevare
ili mondo.
La religione, divinizzando l'uomo, divinizzando il suo
corpo, di cui essa fa un tempio dello Spirito Santo, deve dunque
divinizzare i prolungamenti del corpo stesso, le ricchezze di cui esso
si accresce e le sue assimilazioni successive.
Dio, incarnandosi nell'uomo; individualmente nel.
Redentore, socialmente nella Chiesa, prende come corpo integrale, ,se
così si può dire, tutte le realizzazioni incorporate nella vita umana,
a meno che esse stesse non se ne stacchino per corrompersi.
La civilizzazione, se consente ad essere cristiana —
intendo la civilizzazione materiale — è un'incarnazione spinta più
lungi che si espande nella natura e che partecipa così al
soprannaturale: umile corpo di Dio in cui l'anima, che è lo Spirito
Santo, fa capolino.
San Paolo diceva che con le nostre sofferenze accettate
e volontariamente redentrici aggiungiamo ciò che manca alla Passione
del Redentore: qui è ciò che manca all'incarnazione che si tratta di
aggiungere, incorporando la natura dominata, l'ambiente naturale
conquistato per la vita umana santificata dalla grazia e divinizzata nel
suo capo Uomo-Dio.
La Chiesa cattolica — sappiamo che significa
universale nel senso più largo della parola —non può
1B3
dunque disinteressarsi. Essa non ha il diritto di
materializzarsi nello stesso senso che essa non ha il diritto di
disincarnarsi, essendo anzi essa basata sull'incarnazione.
Quello che è vero è che la Chiesa, pur rimanendix in
comunicazione con tutto, non ha in qualsiasi oggetto il punto di
applicazione della sua azione. Lo scienziato non è un ingegnere ne
l'ingegnere un operaio ne l'operaio un utensile. Ma nella catena di
azione cosi formata il lavoro dello scienziato, apparente-• mente
disinteressato giova all'ingegnere, all'operaio, all'utensile. Anzi esso
giova loro tanto più quanto più pgli resta disinteressato, cioè
assorbito inelle sue contemplazioni feconde, lungi dalle applicazioni
immediate e lungi dal pubblico che le attende.
Il pubblico invece non lo sa. Le realizzazioni hanno il
suo favore. L'aeroplano ha avuto maggior sue- i cesso dei calcoli di
Newton e Pasteur deve la sua fama piuttosto al suo metodo di cura
antirabbica che a teorie generali le cui applicazioni si realizzeranno
nei Jsecoli. Ma cioinoindimeno è così. La torre d'avorio del pensatore
è come la cima serena e bianca, essa pure, dei monti nevosi donde
scendono in cascata o in infiltrazioni continue le forze vive dell'acqua
benefica destinata a produrre elettricità o a fecondare le terre
negative. , :
Così-la Chiesa, la cui azione diretta è ristretta ne]
lavoro di santificazione, fa tanto più per la civilizzazione materiale
quanto più mostra di disprezzarla, cioè essa la pone al suo posto fra
le cose di cui si preoccupa ma ricusa di immischiarvisi disertando le
alte vette della vita spirituale.
' Sant'Agostino nel suo libro delle Dimensioni, del-^
l'anima (De quantitate animae) assegna sette gradi ^ nello sviluppo
della vita. Il primo l'abbiamo in co-
154
mune con le piante (a-nimatìo); il secondo con
gli animali (sensus); il terzo, che è la capacità
civilizza-trice presa nel senso materiale (ars) è già propria
del- :
la nostra vita, ma costituisce il grado infimo della :
scala umana; vi sono altri quattro gradi al disopra e
coloro che vogliono porre il terzo grado alla sommità di tutti i valori
umani innanzi tutto lo fanno a loro rischio e secondariamente faranno
cadere la scala per il peso .eccessivo messo alla sua sommità. .Le
forze morali sono il sostegno delle forze materiali e la loro
salvaguardia. E' l'anima che, per definizione, anima il corpo e
lo preserva dalla decomposizione del cadavere. Salendo più su, possiamo
dire: ;
II soprannaturale protegge ciò che è della natura, di
;:, cui esso si è costituito l'anima. :;?
Coloro, che immaginano che le nostre predicazioni circa
il nulla delle cose, cioè del nulla delle cose senza Dio, e del nulla
relativo della vita materiale riguardo alla vita spirituale siano come
uno stupefacente atto a impedire il progresso, ignorano o dimenticano le
condizioni fondamentali della vita. / II miglior
fautore della civilizzazione materiale non è l'illuminismo entusiasta
che vorrebbe porla come fine a se stessa, ma tale è invece chi sa
apprezzarla al suo giusto titolo e che pone ogni cosa al suo posto /'
senza permettere che nulla esca dai propri limiti. .
Colui che ritiene che la vita materiale sia tutto o ;,.
la cosa principale, le sacrifica la parte migliore ma pure, scioccamente
questa volta, ed anche colpevoi-. mente, anche ciò in fondo la
determina, cioè i valori morali e vi impiega dei mezzi che prima
l'avviliscono e poi la uccidono e cioè i vizi.
La materia non si sostiene 'da sola; è l'energia delle
anime che la fa salire in potenti e a durevoli realizzazioni. E
l'energia delle anime ha pure essa stessa
155
bisogno di essere contenuta, armonizzata, difesa contro
le deviazioni. E che cosa lo può tare meglio della virtù cristiana
che, unendo a Dio tutto ciò che è proprio dell'uomo, ci pone
nell'armonia facendo nostra legge d'azione il pensiero creatore stesso,
il cui riflesso nella ragione, nella natura e nelle nostre opere, in cui
si mescolano ragione e natura, costituisce ciò che appunto si chiama
civilizzazione?
La Chiesa, consacrandosi alle virtù inferiori e
mostrando di disprezzare tutto il resto, lavora dunque più dì tutti
per tutto il resto. Adottando come suo abito la preoccupazione esclusiva
del Regno dei Cieli, essa prepara i migliori trionfi per tutti i regni
temporali. « Cosa strana, ha scritto Montesquieu, in una frase spesso
citata, questa religione, che non intende occuparsi che degli interessi
dell'altra vita, è ancora quella che riesce meglio a proteggere quelli
di questa vita ».
Coloro che fanno uso di questo mondo come se non lo
usassero sono coloro che ne tanno buon uso e che ne assicurano
l'avvenire, perché essi lo trattano con rispetto in luogo di spingerlo
febbrilmente a realizzazioni che lo fanno precipitare negli egoismi.
Un cosiddetto uomo civilizzato dell'Arkansas distrugge
in un anno una foresta per fabbricare della cattiva carta su cui si
stampano cattivi libri e non ha alcuna preoccupazione di rimboschire,
perché vuoi fare una fortuna in dieci anni. Gli antichi monaci
piantavano e rispettavano i giovani alberi, speranza dell'agricoltura.
E' un simbolo, ma tutta la vita è cosi.
Quando si dice della Chiesa che essa abita in un altro
mondo, è vero; ma il mondo che essa abita è il custode di questo e gli
offre tutto. Cielo radioso di luce e di calore fecondo; sorgente
nascosta o visibile di tutto ciò che si fa sulla terra di utile;
rimedio di
156
tutto ciò che vi può determinare la morte o costituire
dei tranelli per la vita, ecco ciò che la Chiesa insiste a mostrare.
Dopo ciò essa non ha bisogno di attaccarsi alle ruote dei nostri
veicoli per farli avanzare. Qualche volta del resto anche lo fa, ma più
spesso invece è suo dovere maneggiare il freno non per fermarci,
perché essa ci proibisce di fermarci facendo del lavoro una legge, ma
per preservarci dalle cadute, quando ci si spinge imprudentemente su
discese troppo ripide.
C'è già l'istinto che pensa a spingere avanti, sotto
il nome di ambizione, che immobilizza sotto il nome di pigrizia, che
devia e assorbe la forza sotto il nome di sensualità divoratrice, di
collera distruttrice, di orgoglio accaparratore, di avarizia, di
alcoolismo, di sovraccarico intellettuale assurdo e sterile. La Chiesa
è là per frenare o per stimolare a seconda di ciò che • è
necessario.
E ciò ohe essa fa .circa ©li individui, lo fa pure
riguardo ai tempi. Nei tempi barbari, essa si è data direttamente al
lavoro della terra. Oggi che l'impresa è avviata e che i nostri secoli
goderecci ne abusano non sta ad essa di stimolare in questo campo. Essa
regolarizza e favorisce lo sviluppo di ciò che consentirà di
utilizzare il progresso senza trascurare il fine ultimo dell'uomo,
servendo anzi questo fine.
Armonia è il nome della Chiesa. Saggezza individuale e
saggezza secolare; tali sarebbero, se la Chiesa fosse compresa, le alte
mete della sua azione.
Della materia sola essa non si impiccia. Essa sa troppo
bene ciò che essa costa ai poveri allucinati da ^essa sedotti e
all'opera di Dio sulla terra. Il Redentore, che riassume in sé l'uomo e
Dio, ha troppo sofferto per questo ostacolo comune della sua divinità e
della sua umanità santificata-i ce.
157
Non è sotto questo peso che fu schiacciato il divin
Salvatore? Sollevare la materia e liberare lo spirito era una parte
immensa del suo compito. Egli vi aveva lavorato così a lungo e in tal
modo che la materia alla fine si rivoltò. Era essa che perseguitava il
Redentore con l'odio dei profanatori del tempio; era essa che si faceva
complice nell'indifferenza del paganesimo proteso verso i godimenti
materiali ed essa pure che spingeva il popolo all'entusiasmo di fronte
ad un miracolo, ma che poi lo faceva ricadere nella persecuzione del suo
Redentore spirituale.
Per vincere, a vantaggio di chi avrebbe voluto seguirlo,
la potenza opprimente della materia, il Rè- , dentore dovette caricarsi
della croce, come un gigante avrebbe fatto col masso o come Sansone si
caricò delle porte di Gaza issandole sulla montagna.
Arrivato al Golgota, sfinito, Gesù vi offrì il suo
corpo vi si fuse come metallo prezioso nella lega per cambiarne l'intima
essenza. Egli la migliorò e in essa fece risuonare, coin l'angoscia del
sacrifìcio, l'osanna della vittoria e morendo, dalle sue piaghe aperte
verso il cielo fece tramutare violentemente il suo corpo in anima. La
sua morte fu il trionfo dello spirito e per la carne stessa, per la
materia che ne è il proseguimento, fu la speranza della risurrezione e
dei trionfi finali.
Se è stato così necessario crocifiggere la materia per
purificarla dalle sue macchie, non tocca a noi di andare di nuovo a
prenderla al disopra della corrente 'della redenzione per servircene di
nuovo quali pagani, senza riflettere alle condizioni della sua utilità,
al pericolo dell'abuso, alla potenza enorme che essa può rivelare per
il male e limitata invece per il bene.
Lasciamola nella corrente redentrice. Che il sangue
divino la irrori e che lo Spirito divino la penetri.
158
Divina, essa può esserlo pure, ma in virtù di quale
sforzo morale! L'umanità non può fare assolutamente questo sforzo.
Allora lasciamo che la Chiesa esplichi la sua azione, diffidente e
materna, sollecita dei nostri errori e nello stesso tempo benedicente,
capace di comprendere tutte le colpe, prendendole per sé se occorre, e
considerandole compiute ma anche superate dallo slancio spirituale e
cristiano di tutte le anime.
Colei che ha per sua caratteristica l'Unico Neces—
sario deve riempirne i nostri occhi assieme ai suoi, co-?:
me la mucca del poeta, la quale, ruminando lenta-v
niente l'erba del prato, non rivoltava contro le leggi della vita,
sottomessa alla natura, riposandosi sulla madre terra ma con lo sguardo
rivolto più in alto dell'orizzonte limitato dalle messi, rifletteva
tutto il eie • lo nei suoi occhi e insegnava all'uomo a guardqr^ Dio.
159
CAPO VII LA CULTURA INTELLETTUALE
Riguardo alla cultura intellettuale sembra che le
restrizioni della Chiesa debbano cadere, essendo l'amore del sapere una
delle caratteristiche della Chiesa \htessa.
Molti apologisti invero si tengono a questo concetto,
mostrando nella Chiesa l'alfiere che mantiene nel mondo le verità
essenziali. Essa protegge, essi dicono, gli altri costituendosi, sin
dall'inizio, ammiratrice dell'antiche civilizzazioni, conservatrice e
propsgatrice. delle loro opere, primo focolare delle scienze, ton^
datrice delle Università e delle scuole popolari, ispiratrice delle
opere più importanti di filosofia, delle lettere e della poesia in
tutti i tempi.
Ciò è pure verità. Ed una bella contropartita alle
tesi piene di sprezzo e di odio, e per conseguenza miopi, che accusano
la Chiesa di oscurantismo sistematico, di tendenze retrograde sotto il
nome di immutabilità, di fanatismo allo scopo di perpetuare la sua
autorità come se solo con la protezione delle tenebre potessero
affermarsi i suoi dogmi e la sua influenza potesse esercitarsi su anime
intontite.
Ma non è qui tutta intera la verità. Bisogna in-
160
rialzarsi al disopra di queste due tesi, l'unà a favore
% e l'altra avversa, di cui l'una è falsa e ingiuriosa® e
l'altra vera ma incompleta e incapace di interpre-» ,\1 tare
da sola i fatti nella loro realtà.
Si potrà dunque chiedere una volta per tutte: Che cosa
è la Chiesa? E' l'organizzazione delle vite va vi—' sta di
fini soprannaturali. E quali sono questi fini? E"' il completamento
dell'uomo per mezzo del suo espan- < dersi nel divino. E come può il
divino fare così irru-;:
zione, per trasfigurarla, nella misera vita dell'uomo?;'
Evidentemente per la finestra superiore dell'anima. Lo ' spirito,
unito a Dio che è Spirito, vivrà in modo com- ,i prensibile le
ricchezze infinite dell'ineffabile, ed è so- : :
lo per contraccolpo che nell'unità del nostro essere
germoglieranno le felicità di cui ha sete il molteplice complesso che
noi siamo e alle quali abbiamo pure diritto.
Riguardo all'ultimo fine, l'intelligenza è dunque in
testa. E' essa lo strumento del destino, poiché essa :
deve operare questa presa di possesso di Dio donde
risulteranno per noi tutti i beni compresi in questa parola:
beatitudine. «La vita eterna consiste nel co-noscerti, o Padre».
Di qui deriva la preferenza della Chiesa, di cui alcuni
si stupiscono, per la vita contemplativa in opposizione alla vita
attiva. E' la filosofia dell'uomo che lo esige; era una tesi
aristotelica prima di essere una tesi teologica. In ogni caso è il
pensiero della Chiesa nettamente affermato, il che da a supporre che la
Chiesa non sia nemica della luce, poiché essa fa consistere nella luce
il suo unico necessario.
Ma bisogna aggiungere subito che questa luce in cui
consiste l'ultimo fine non è raggiunta con uno sforzo facile. Essa
supera l'uomo. Essa è per la nostra mente, anche se armata di tutte le
scienze, ciò
161
11. — La Chiesa.
che il sole è per il gufo. L'uomo che si istruisce, che
Si rivela genio è, rispetto a questo risultato, come colui che monta su
di un ciottolo per avvicinarsi alle stelle Sforzo sterile, veduta
infantile, quantunque sia vero, dopo tutto, che salendo su di un
ciottolo ci si avvicina agli astri.
Non è dunque la scienza, in quanto scienza, che può
farci arrivare a quel fine. Il minimo atomo di carità ..\ è
assai più adatto a farci raggiungere questo scopo. "' Può dunque
sperare di giungervi non colui che studia in quanto studia, ma colui che
sia pure studiando od' anche solo facendo il pastore, sale al livello
dell'oggetto amando Iddio e con ciò prendendo possesso, per domani
quando cadranno i veli, delle verità divine che si sono ormai
immedesimate con lui stesso.
Le scienze di Pasteur, la cultura di Goethe o di
Leitaniz, la filosofia di Aristotele o di Plafone, lasciate
*• «a .stesse sono più lontane dalla conquista del
vei*-assoluto di quello che non siano la semplicità di un
•fanciullo-cristiano o la carità di un'umile
religiosa conversa.
La carità nel grande significato della parola, cioè
l'amore del bene divino, e di tutto ciò che lo riflette, soprattutto in
noi e nei nostri fratelli; tale è, per la Chiesa, la via del sapere per
quanto è lo scopo della vita.
« Quando parlerò le lingue degli uomini e degli
angeli... quando avrò la conoscenza di tutti i misteri-, se non
posseggo la carità non sono che bronzo <ìhe vibra e nulla più ».
Con queste idee, si può prevedere se la Chiesa la-;,.
scerà passare la scienza innanzi a tutto. Essa le con-, ^ serva
la sua stima; dichiara che in teoria, nell'asso-" luto, Ìa scienza
è superiore alla virtù stessa, poiché ne è lo scopo. Si è virtuosi
per completare il proprio
162
valore in Dio e questo completamento è sostanzialmente
conoscenza. Ma riguardo a questo tempo in cui noi siamo per via, i
valori si mutano. La virtù riprende il primato. Per il viaggiatore che
attende una fortuna all'estremità del suo viaggio, l'essenziale non ^
consiste nell'indugiarsi a cogliere dei fiori sul suo cammino, anche se
fossero preziosi. L'essenziale è di :
giungere alla meta. Noi siamo in marcia. Ciò che
accelera la marcia costituisce la vera ricchezza. Se questo risultato si
può ottenere con la scienza, .viva la scienza, non la si apprezzerà
mai abbastanza.
Ma se la scienza è un ostacolo, un riflesso che pren"
, de il posto del sole; se il dovere ne esige l'abbandono o se esso
suggerisce nei suoi riguardi la prudenza e ne rimette a più tardi le
gioie, più tardi quaggiù o. lassù: viva il dovere! «E' meglio,
dice il Vangelo, entrare nella vita con ;un occhio solo che
averne due e& essere settato nel fuoco della geenna». Aprire
l'occhio spirituale, anche se si dovesse, per ciò chiudere l'altro o
aprirlo solo a metà, questo è assai meglio che essere escluso dal
regno dei veggenti.
Il punto di vista della Chiesa è così ben segnato. Se
alcuni se ne scandalizzano, essa non si cura di ' questo fariseismo. Se
per onorare la scienza, occorre porla al disopra di tutto, essa vi si
ribella. Ne a favore ' con cecità ne contro con bassezza; ne
estranea neppu- • rè; tale è, riassunto in tré parole,
l'atteggiamento della ' Chiesa.
Se poi si pensa alle circostanze diverse in mezzo alle
quali la Chiesa si è sviluppata e la sua vita an-cor oggi si svolge, si
avranno sufficienti argomenti per spiegare tutti i fatti.
In principio non si trattava per la Chiesa che di
formare e dichiarare il suo fine trascendente, di segnare la sua
posizione al disopra di tutto ciò che è
•J63
transitorio, di opporsi a tutto ciò che può nuocerle
come a tutto ciò che possa pretendere di assorbirla e ciò per
preservarsi e differenziarsi.
Ora la cultura dei primi tempi è ostile. Quando essa
penetra nell'interno della Chiesa, lo fa spesso con la pretesa di
imporsi sostituendo al dogma autentico una dottrina arbitraria, una
quasi come ve ne erano tante, « rendendo inutile la. croce di Cristo
», come diceva San Paolo ed invitando a pensare ai celebri
ammonimenti: « Sii saggio con moderazione ». «Dio ha adottato le cose
folli di questo mondo per confondere i saggi ». « Noi però non
abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito che è da Dio;
affinchè conosciamo le cose che Dio ci ha date per
mezzo della grazia (I Cor. II, 12).
Il lavoro necessario è dunque quello di rendere le
intelligenze «prigioniere del Redentore», «nel quale sono nascosti
tutti i tesori della sapienza e della scienza». Si tratta dunque di
unirci a Dìo per mezzo del Redentore. Con ciò sì avrà tutto quello
che la saggezza ricerca, anche se si è sprovvisti dei mezzi relativi.
Ma senza di ciò non si avrà nulla, anche se si fosse il più saggio
dei saggi. La scienza che toglie ciò agli uomini è una nemica; la si
ripudia, ^ si condanna, non in essa stessa, ma nelle sue deviazioni,
poiché essa si è costituita come impedimento nei riguardi della
scienza suprema che aborre in ogni cristiano la comunione delle vite con
Dio e un giorno gli darà anche la comunione stessa.
Un po' più avanti l'ambiente cambia. A partire dal III
secolo la Chiesa ha già conquistato pressoché tutto ciò che conta nel
campo intellettuale. La sua dottrina è ormai fissata. Essa deve lottare
ancora contro le deviazioni, ma non deve più tarsi conoscere; può
guardare intomo a sé e utilizzare tutta la
im
cultura ambiente (e Dio sa se i Santi Padri del IV
secolo non l'hanno fatto appieno!). E' allora che « la Chiesa ancora
bambina, come Gesù, è assisa in mezzo ai dottori, ascoltandoli e
interrogandoli, facendo sue le verità che essi proferivano,
correggendo gli errori, supplendo alle loro insufficienze, completando i
loro abbozzi, sviluppando le loro intuizioni e così dando a poco a poco
al suo insegnamento grazie anche ai saggi ad essa estranei, maggiore
ampiezza e precisione ».
Ques'e parole sono del cardinale Newman ed esse espnmcac
bene il sentimento deila Chiesa. I grandi pensatori del Cristianesimo,
Agostano, Tomaso d'A-quino, Bossuet — e non cito che i sommi — si
sono sforzati di comprendere tutto, hanno riflesso in se stessi tutto il
sapere del loro tempo e, senza darsi alla scienza, servitori del
solo Redentore, l'hanno però amata profondamente e l'hanno portata
tanto più in alto io quanto non ne accettavano gli impedimenti.
A lato di questi sommi un gran numero di specialisti in
ogni campo hanno fatto della scienza con l'approvazione della
Chiesa. Quando essa li ha ripresi, salvo errore — poiché gli errori
umani non sono estranei ad una società divino-umana — ciò è
avvenuto per il fatto che questi scienziati contrastavano o sembravano
contrastare ciò che essa è incaricata di difendere. Allora essa è
stata di ferro e non vi è etato nulla che abbia potuto far apprezzare
nel campo umano ciò che resiste a Dio. Ma ciò non vuoi- dire
respingere la cultura; significa purificarla, santificarla e sfor^"—^
di renderla tutta divina.
Si consideri oggi ciò che la Chiesa combatte, e ciò
che essa approva e si constaterà la stessa cosa.
L'orgoglio, l'ebbrezza, di cui tutto il secolo scorso è
stato vittima e che rischiava di far sviare il pen-
165
siero, di gettarlo nelle aberrazioni più gravi;
l'impiego esclusivo di certi metodi, che allontanavano come ìllusorie
le sublimi verità; gli errori pervicaci; le negazioni che ci
respingevano nei bassifondi della materia deificata a parole e lasciata
in-realtà nella sua miseria e nel suo nulla e ciò ben lungi
dall'eminente dignità del cristiano; ecco ciò, e solo ciò, che ,la
Chiesa ha condannato e condanna.
Circa queste condanne essa non si ricrederà; La scienza
a questo prezzo non le farà piegare la testa. Essa intende guardare
più iin alto. E se si dice che essa è nemica della scienza atea,
materialista o agnostica ciò è vero. Chi potrebbe stupirsene?
Sé si dice pure che essa è nemica della scienza indipendente
sistematicamente, non cioè nei suoi metodi 'che di diritto sono
indipendenti, ma nell'impiego umano della sua attività e nel suo
atteggiamento complessivo, pretendendo ignorare il fatto divino e la sua
rivelazione per mezzo del Redentore, esponendosi così al pericolo di
calpestarlo, mentre i suoi maestri sono sempre pronti a inchinarsi
davanti al minimo fatto acquisito dall'esperienza; se si dice che la
Chiesa è nemica di tutto questo, ciò è ben vero, poiché
l'indipendenza dell'umano di fronte al divino è un rifiuto di unità
che non si può far; a meno dì chiamare rivolta. « Chi non è con
me è contro di me », bisogna ancora ripetere qui, quantunque sia:
vero anche questo: «Chi non è contro di voi è con
voi».
.': Diciamo e ripetiamo: La scienza presa in se stessa
e con riferimento ai suoi metodi è amica della Chie-ì!
•sa,, se sta al suo posto e non esce dal suo campo,';
per il fatto stesso che è indipendente. Ma il duali-?'
smo che attrae certi spiriti: Oratorio e laboratorio i;
•non è ammesso dalla Chiesa. Il dualismo è
un'ere-'';
tó6
sia in tutto. L'unità deve regnare senza confusione e
senza dispersione d'energie perché Iddio non vuole lasciar perdere
alcunché. Per mezzo suo, tutto ha un fine;, senza di lui nulla ha
valore per domani ne sussiste oggi con piana consistenza.
La verità consiste dunque nella subordinazione non
della scienza presa in se stessa, ma della scienza considerata nei suoi
fini e nei risultati felici o cattivi della sua • attività.
Aggiungiamo, per finire, che la Chiesa, se ama la
cultura, e. se le concede pertanto un certo valore relativo, non
assoluto, deve guardarsi dalle impazienze che periodicamente noi invece
desidereremmo di vedere da lei condivise.
La Chiesa non ama le mode intellettuali, poiché esse
sono eccessive, come le altre mode. Essa; non approva, dottrinalmente,
ne i cappelli di un metro me i cappelli ridotti ad un fiore. Essa vuole
che ci si copra la testa e che tuttavia si possa passare per le. porte.
Ma non si passa per le porte della verità quando si forza un punto di
vista a spese di ciò che .lo completa, lo migliora e lo rende vero.
Così, in teoria, il realismo grossolane .e
l'idealismo Utopistico, il materialismo e lo spiritualismo fuori della
scienza; e in pratica il liberalismo anarchico e l'au-.toritarismo
oppressivo, il pessimismo e l'ottimismo pagano, ecc. tutte queste
deviazioni di destra e sinistra, che con pretese all'eternità e
all'infallibilità si succ^ ' .dono nella storia così gloriosa e così
triste nello stesso tempo del pensiero umano, sono egualmente per essa
nel campo avversario. ,
E' a cagione di ciò specialmente che la Chiesa appare
retrograda, : ,
•',,'167
E' vero che essa si adatta lentamente anche alla
verità: una grande armata non può avanzare come un piccolo esercito e
d'altronde c'è nello stesso principio religioso una tendenza alla
stabilità. Ma non è questo che più solleva irritazione contro la
Chiesa. Ciò che irrita è il fatto che essa, preoccupata dì cercare la
verità che resta, non si adatta agli errori dei giovani, alle
esagerazioni, alle manie. Ora è invece a questo che si tiene, poiché
ciò è la nostra verità, non fosse che imperfetta, anche se non
è la verità (1).
Allora si accusa la Chiesa di pratica consuetudinaria
inveterata. Si dice che la si abbandona per poter procedere col
progresso. Alla distanza di un passo da lei, la si colpisce. E la
Chiesa, venerabile oltraggiata, prende l'atteggiamento del Cristo
dell'Angelico, il cui sguardo tranquillo supera il velo di derisione d;
cui si sono coperti i suoi occhi per tacciarlo di
ignoranza e, assalito a schiaffi, coperto di sputi, porta pur sempre
sulle sue braccia il nostro globo.
Lasciamo la Chiesa di Gesù Cristo alla sua
intransigenza divina, alla sua grandezza che non si da a nessuno
quantunque benevola per tutti e per tutto, rispettosa di ogni sia pur
minima scintilla della verità e favorevole a chi la scopre, purché sia
lasciata nella corrente e sottomessa a Dio, che è il Padre dei lumi
e al suo Verbo incarnato, che rischiara ogni uomo che viene al mondo.
Ed è appunto non venendo a patti col tsmpo che
(1) Nel IV secolo la Chiesa era detta retrograda poiché
essa non si accordava con Omero; più tardi perché non accettava che a
metà il diritto romano; nel Rinascimento perché non giurava per il
platonismo. Nel XVIII secolo essa non apprezzava abbastanza la fisica
inglese. Al principio del XIX essa non era abbastanza liberale. Oggi non
è abbastanza socialista.
168
la Chiesa può servirlo poiché, conservando essa le
verità eterne che i nostri entusiasmi presuntuosi compromettono, essa
è pronta per conquiste successive. Derisa oggi, essa si basa sul futuro
che, in verità, riserberà altre crisi, ma che saprà sciogliere le
attuali, Malgrado il suo apparente indietreggiare che non è che una
proiezione moderata di tappa in tappa; sempre in ritardo ir' apparenza,
ma senza mai retrocedere, ugualmente distante dalla temerità e dalle
stasi, la Chiesa percorre il suo cammino, mentre i nostri sistemi, in
ciò precisamente che interessa di più la nostra vita, tessono la tela
di Penelope.
L'eternità di Dio è nella Chiesa. Per lo Spirito che
la anima essa è al disopra delle fasi del pensiero. I nostri modi di
vedere parziali non possono farle impressione, ma non possono neppure
offenderla. Ciascuno al suo posto: tali sono sempre in ogni questione e
per ogni difesa la sua formula e il suo voto.
CAPO Vili L'ARTE
La coltura intellettuale comporta una specialità che è
bene studiare a parte, a cagione dei suoi caratteri particolari e di
certi equivoci possibili. Si tratta dell'arte, e intendo parlare
dell'arte in tutta l'accezione della parola, 'secondo tutte le sue
forme.
I rapporti tra la Chiesa e l'arte sono in stretta
dipendenza con le loro rispettive definizioni.
La Chiesa non è la vita stessa, coi suoi soggetti e
oggetti incorporati a Dio per mezzo del Redentore?
E l'arte non è lo specchio della vita?
In questo specchio, di cui l'anima dell'uomo ha fornito
lo strato riflettente, le cose si riflettono nello stesso tempo secondo
ciò che esse sono e secondo'ciò che noi siamo. «L'uomo aggiunto alla
natura»; la natura riflessa nell'uomo; la sintesi armoniosa di ciò che
noi osserviamo della realtà e di ciò che proviamo di fronte alla
stessa, questa è l'arte.
Ora tutto ciò è Dio aggiunto a Dio se è vero che egli
si rivela nella realtà esteriore e nell'uomo. Ogni cosa è stata creata
due volte, ha detto S. Agostino;
una volta in se stessa e una volta nel pensiero delle
creature ragionevoli. Scopo dell'arte è appunto quello
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di unire la realtà e il pensiero ^n un'opera che
esprima la loro comune vita divina.
Da allora, il posto dell'arte nel funzionamento del-ia
Chiesa stessa, poi i rapporti della Chiesa con l'arte che le è estranea
non daranno luogo al minimo mistero.
Vi sarà arte nel funzionamento della Chiesa perché
l'elemento spirituale, peculiare della Chiesa, richiede come sostegno e
mezzo d'azione l'elemento temporale in cui l'arte trova il suo impiego.
Non abbiamo forse attribuito alla Chiesa la
sacra-mentalità, cioè quel carattere che esige, in essa, l'u-^ nione
della materia e dello spirito, del visibile e dell'invisibile, poiché
Dio viene a noi e noi stessi saliamo a lui per la scala di Giacobbe,
simbolo della realtà materiale santificata che coingiunge la terra al
cielo? ,
L'arte dunque troverà sempre il suo posto nelle
manifestazioni della Chiesa, la quale cerca di darci Dio e di darci a
lui sia per mezzo dei sacramenti propriamente detti sia, in forma più
generale, per mezzo del culto, della parola sacra, delle solennità
esteriori. L'arte compirà in bellezza, se le riesce possibile, questa
visibilità che senza di ciò non sarebbe chs un abbozzo. Essa
esprimerà in modo migliore l'uomo e Dio, contribuendo così alla loro
unione.
Più l'arte che si incorpora con la Chiesa sarà ricca e
più il funzionamento della Chiesa sarà ciò che deve essere e si
svilupperà secondo tutta la sua et-.•ficacia. '
Non è evidente che la Messa, ad esempio, che considero
come sorgente e concentrazione di .tutto il cui-, tò, tende per se
stessa a divenire una liturgia cioè. un'espressione d'arte? '
• ;:
In luogo di un rito di catacombe, ridotto all'essen-,
. • .' ve
ziale, tutto in ispirito, quantunque in realtà una
parte di visibilità e di arte vi si trovi sempre inclusa, la Messa, a
cagione della sua stessa natura e del suo Significato, tende ad
espandersi, ad utilizzare tutti i mezzi di espressione che possano
destare commozione e, di rimando, per onorare Iddio, essa tende a far
presa sull'uomo con tutte le sue risorse, poiché il nostro essere si da
completamente all'adorazione mentre i nostri sentimenti si esprimono con
la parola, il canto, il gesto in un ambiente che è esso stesso un gesto
permanente della collettività che lo ha costruito.
Rappresentiamoci la Messa ideale, che sarebbe il
sacrificio eterno del Redentore commemorato e riprodotto in presenza
dell'umanità intera sull'altare prodigioso sul quale il veggente di
Patmos poneva il trono dell'Agnello divino, in un ambiente tanto vasto
da contenere con Dio tutta l'umanità di ogni tempOi tanto alto da porre
al giusto posto tanto Dio che abita nelle altezze e le nostre
aspirazioni che lo chiamano, tanto splendido da rappresentare per mezzo
della linea, dei rilievi, dei colori e delle forme la natura e l'uomo
che coabita con Dio, tanto luminoso che la colomba mistica vi palpiti
nell'azzurro e gli eletti e gli angeli vi vengano a compiere i loro voli
come ne;
dipinti dell'Angelico, tanto sonoro perché l'osanna
delle supreme altezze e in basso i rumori, le grida, i canti espressivi
della vita universale, le voci dell'anima solitària oberata di
sentimenti e di aspirazioni vi si possano diffondere senza confusione,
entrando nel regno delle linee melodiche e nel flusso dell'armonia madre
di unità; e si dica se una tale cerimonia di sogno, trascendente
rispetto allo spazio e al tempo, ma comprendente gli spazi e i tempi,
non sarebbe quante di più religioso si possa concepire precisamente
perché sarebbe anche un'espressione d'arte e darebbe al
i72
divino il mezzo di esprimersi in concordanza con la
realtà universale considerata in bellezza, in modo da assorbirla poi
con un'azione riflessa che sarebbe pure tanto più religiosa quanto più
le armonie ne fossercr più ricche.
Una tale visione costituirebbe la Chiesa stessa attorno
alla sua realtà centrale, l'Eucaristia, operante da Dio e dall'uomo
pienamente manifesto, e il suo ufficio di santificazione attiva e
passiva. Si vedrebbe in questo modo la Chiesa spingere a fondo la
sacramentalità che costituisce la sua essenza. Essa la proverebbe al
massimo, poiché il bello è pure sacramento in quanto segno visibile e
attivo. Di guisa che in una apoteosi vedremmo confondersi, in un certo
qualmodo, la Chiesa nella sua realtà integrale con l'integrazione della
bellezza. ,;
Esaminiamo ora l'arte esteriore della Chiesa, cioè
quella che non entra nel funzionamento vero e proprio di essa. Quali
rapporti intercorreranno tra di esse? In qual modo considererà la
Chiesa questo lato dell'arte?
Essa dirà innanzi tutto: una tale arte ha valore in;
se stessa. Come la scienza, di cui è sorella, poiché
l'in- , - tellettualismo nell'una e nell'altra regna sovrano,;
quantunque sotto diversi aspetti, l'arte fa parte
de--gli scopi della vita. L'arte stessa perciò, parlando in senso
assoluto, non ha bisogno di uno scopo. Contemplare la bellezza, come
concepire la verità, è un'occupazione che basta a se stessa. Ciò che
si dichiara utile, se non fosse utile che a questo, non sarebbe che
inutile, visto che il nostro ultimo fine deve essere la contemplazione
del divino, che è bellezza allo stesso modo che è verità e bontà.
173
L'arte per l'arte è dunque in tale senso, una
verità superiore,
Ma dobbiamo anche subito aggiungere, come lo facciamo a
proposito della scienza: l'ultimo fine, almeno nelle sue linee
principali, non è di questo mondo. Noi non ne possediamo che delle
anticipazioni certamente preziose, ma che non devono farci sostare ne;
nostro cammino ne essere! di ostacolo al raggiungimento
del fine stesso.
L'arte che non tenga conto di questa condizione, che
sotto il pretesto di indipendenza male intesa, confondendo
l'indipendenza dei metodi con quella dei fimi, si abbandona alla sua
passione senza curarsi degli. scopi della vita umana e senza volervi
cooperare, anzi permettendosi di ostacolarli qualora se ne presenti
l'occasione, producendo opere che per partito preso o per colpevole
negligenza, per disprezzo del comune, per audacia orgogliosa o sensuale,
per venalità offendano i sentimenti cristiani e spingano al male. una
tale arte è una deviazione e la Chiesa la condanna.
Non vi è bellezza che abbia il diritto di interporsi
fra la nostra anima e la Bellezza eterna che la chiama. Di quest'ultima
tutte sono dei riflessi; ma il rinesso che dimentica il suo destino e
che, in luogo di rivolgere lo sguardo verso l'oggetto, cerca di
accaparrarlo per sé solo o ad abbassarlo verso falsi oggetti, è un
inganno, miraggio che delude, che fa sviare il viandante o lo
immobilizza.
Senza esigere che l'artista si assuma come compi- "
to decisivo la predicazione del bene, dato che l'arte :
vi ha relazione per se stessa, la Chiesa intende che;,
essa regoli il suo pensiero e le sue opere sullo scopo; ^ comune di
tutti gli uomini; che egli pensi a compor-;. tarsi non solo da artista,
il che non potrebbe essere'
1'74
proprio 'che di un essere astratto, ma da uomo, da
cristiano, da fratello tra fratelli, da fratello di Se stesso
responsabile della propria salvezza e, per quanto sta in lui, della
salvezza di tutti.
Che se ora l'arte consente a collaborare in forma
diretta al lavoro di salvezza che è proprio della Chiesa, e ciò non
per obbligo ma per sua buona volontà, sì comprende che la Chiesa debba
lodarla. L'ar- ;
tè cristiana appunto ammette questa vocazione; essa' ha
per compito di esprimere il sentimento religioso''/ per eccitarlo, di
raccontare i fatti religiosi per con- ,. tribuire a mostrarne
l'efficacia, di mostrarci la natu- :, ra, l'umanità, la storia sotto
l'angolo religioso che de- ,', termina il dogma, esprimendo Dio per
attirare l'uo- " mo ed esprimendo l'uomo nel suo bisogno di Dio e'
nella sua comunione con Dio.
Si sa bene quanto la nostra Chiesa sia stata glori-.
Beata e aiutata da questa consacrazione dello sforzo;
estetico all'opera che essa persegue.
Essa lo riconosce e testimonia all'artista la sua
gratitudine proclamandolo suo figlio d'elezione, come quello che resta a
casa, tutto dato alla madre, in luo- :
go di andare per il mondo, sia pure legittimamente, ma
con minore affettuosità per essa, a cercarsi la sua^,:
via di cui essa non godrà che da lontano.
In cambio la Chiesa da ad un tale figlio ciò che non
potrebbe dargli nessuno dei maestri ai quali egli si desse in luogo di
essa.
Una dottrina che stabilisce l'anima umana in certezze
così alte, che da alla nostra vita un'orientazione così sublime, che
ci pone a livello dell'infinito, che:
mira a fare dell'uomo un Dio e che ci fa vedere Dio
nell'uomo nella persona del Salvatore, che da della
vita un'interpretazione così larga, così consolante,
cosi soccorritrice per le miserie, 'così impegnativa per gli sforzi,
così rassicurante per le buone volontà senza forza, così accogliente
per i pentimenti senza orgoglio: una tale dottrina potrebbe non
infiammare una immaginazione che ne sogna, non dare corpo ad una voce
che ne vuole esprimere la grandezza e non dirigere una mano che sappia
fissare nell'immagine ciò che il bello ha saputo produrre nella sua
ànima di commozioni armoniose?
E infine, per l'interesse della sua opera, per la sua
ricchezza e varietà si potrà paragonare l'arte cristiana con
l'attività artistica nel campo profano?
Il Redentore, la Vergine, i Santi, il poema delle
origini, la storia eroica dei martiri, le passioni sublimi il cui
soprannaturale illumina l'essere umano, la storia passata, presente e
futura della religione nel mondo sino alle visioni divine e alle loro
suggestioni sovrumane, non costituiscono tutti questi elementi, rispetto
all'arte profana, anche se affatto profanata, una superiorità
schiacciante? Diciamo piuttosto che è un valore totale, poiché tutto
il resto non è che una parti-cella del terreno esplorato da questa
visione integrale, che un raggio di questa luce di vita.
Ah, se la nostra arte cristiana si è indebolita, la
colpa non ricade sui soggetti che essa propone, ne sulle ispirazioni che
essa suscita. La colpa è nostra, poiché non diamo all'arte l'ambiente
che le occorre; ambiente di fede, in cui risuonano le voci cristiane, di
cui l'arte è l'eco vibrante; soffio proveniente dall'alto, di cui
l'arte è l'arpa eolia.
Si constata che un rinnovamento comincia a svilupparsi
dalle nostre miserie e dalle nostre inerzie. Che esso si pronunci meglio
e giunga a termine, que-• sto è il voto ardente della Chiesa.
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Se gli artisti si mantengono su questo terreno
strettamente connesso cogli scopi della Chiesa, questa si mostrerà
accogliente per tutti. Tanto gli artisti eri- , stiani quanto gli
artisti nello stretto significato della' parola avranno in diverso grado
la sua approvazione, j alla sola condizione già detta e ripetuta
di rispettare ciò che è la sua propria opera e il fine superiore
dell'uomo.
177
La Chiesa.
J .CAPO IX LA VITA SOCIALE
La civilizzazione materiale, la cultura intellettuale,
la scienza, l'arte e tutti gli altri beni della nostra vita sono
compresi in quel complesso di attività chiamato società, custoditi da
essa o meglio trascinati dalla sua corrente, perche tutta la società è
come un fiume che scorre senza posa e di conseguenza tali beni, dal
punto di vista dell'ampiezze della loro utilizzazione, dipendono da ciò
che si è convenuto di chiamare la questione sociale. ^
E' perciò inevitabile per noi di esaminare quale
atteggiamento prende la Chiesa nel riguardi di questa questione. '
Ora dare una definizione è già abbozzare la risposta.
' ,
La questione sociale consiste nella ricerca di
condizioni che consentano la nostra ascensione verso migliori forme di
vita collettiva allo scopo di assicurare una ripartizione più equa ed
abbondante dei beni messi a disposizione dell'umanità.
Se si tratta di un'ascensione, la Chiesa non può non
parteciparvi.
Se si tratta di migliori forme di vita la Chiesa, da
'ns
. .
specialista quale essa è in questa materia, non se ne
asterrà.
Se l'equità e la fraternità vi sono interessate al massimo
grado, il gruppo di fratelli, che rappresenta la Cattolicità in Dio e
nel Redentore, non può rimanersene estranea ne per se stesso, se tale
gruppo agisce secondo la sua legge, ne per quelli che lo rappresentano,
purché essi lo rappresentino veramente.
Abbiamo già parlato della civilizzazione: la Chiesa la
vuole. Ora si potrà parlare di civilizzazione nel senso pieno della
parola finché sussisterà lo stato anormale che si constata oggi,
derivante da sperequazioni urtanti e antinaturali, da oppressioni
invincibili e da sofferenze immeritate?
La civilizzazione è la vita dell'albero umano che
produce tutti i suoi frutti, che trova la sua via per portare la linfa
sino all'estremità dei rami, che fa sboc-.ciare i virgulti sia in
foglie sia in flore a seconda della loro natura. Ma un albero costituito
nella sua maggior parte da rami morti o morenti non sarebbe piuttosto
.una fascina? Una società costituita per la maggior parte da non vi>.^ti,
cioè da esseri che non partecipano in modo sufficiente ai vantaggi
morali e sociali, non è un'accolta di persone così imperfetta che non
potrebbe neppure essere chiamata società civile?
Noi saremo civilizzati quando saremo riusciti a far
vivere, e non far vegetare, tutti i figli delle nostre famiglie
nazionali; quando non vi saranno miserie al-l'infuori di quelle che si
saranno ben volute o che saranno state causate da fatalità
irriducibili, lungi dalla portata dei nostri sguardi e delle nostre
braccia.
Ma ne siamo ancora ben lontani! Attendendo questo
avvenire, che nella sua realizzazione totale è un sogno, la sognatrice
ispirata che è la Chiesa cattolica, figlia del sogno eterno che ha
posto in marcia tutto
179
l'universo, continuatrice dell'opera del Redentore, il
divino sognatore, non può far a meno di occuparsi di questo problema e,
mirando continuamente all'azione, deve preoccuparsi di lavorare per le
realizzazioni sociali.
La Chiesa è basata sull'unità degli uomini in Dio,
grazie alla loro solidarietà nel Redentore. La sua prima norma di vita
è dunque l'amore e la fraternità totale, totale in estensione e, se si
può dire, in proton-: dita.
Da questa fraternità dovrebbe uscire come un minimo di
realizzazione, la giustizia; giustizia da indi-'viduo a individuo, da
individuo a gruppi, da gruppi, di rimando, a individui e questa
giustizia, rimanendo familiare, non si sentirebbe mai sazia. Quanto più
si agisce fraternamente, tanto più si è fratelli. Quanto più si da in
amore e tanto meno ci si sente liberi da obblighi. Lo scambio reale
si associa qui alla buona volontà, la legge alla grazi.a. «Non
siate in debito verso alcuno, dice San Paolo, se vi amate
veramente l'nn l'altro».
Non si può perciò nemmeno discutere se la Chiesa non
abbia, di diritto, molto a cuore la questione sociale e ciò a cagione
della sua natura stessa. Ci si fa, è vero, l'ingiuria di considerare la
Chiesa come una addormentatrice a servizio dei soddisfatti i quali le
affiderebbero l'incarico di rappresentare la giustizia di fronte alle
masse per dispensarsi essi stessi dal provvedere a rimuovere le
sperequazioni esistenti; ma una tale accusa noi la respingiamo.
Venga 'il tuo regno sia in terra come
in ciclo; tale è la nostra preghiera quotidiana. Fare dei calcoli
senza praticare l'amore è ciò che fa il sociologo autodi-centesi
positivo che dimentica nella sua scienza altera e inutile l'A,B,C, dei
rapporti umani. Fare poi dell'a-
• 180
more senza calcolo, cioè senza segnare i limiti, le
relazioni e la corretta gerarchla delle cose, è la tendenza di molti
altri. La Chiesa evita questi due eccessi ed è per questo senza dubbio
che essa appare enormemente retrograda ai partigiani dell'anarchia
temperata da canzoni sentimentali, mentre può sembrare rivoluzionaria
ai partigiani dell' « ordine », cioè della divisione della società
in caste sotto una bacchetta direttoriale. Ma a tutti San Tomaso
d'Aquino risponde: «La Santa Chiesa apostolica avanza con passo
misurato mantenendo il mezzo della via tra due siepi di errori contra-ri»
(1).
Che cosa si dice mai di estremi parimenti illusori e
distruttori! Meglio è attenersi al fondo delle cose; là solo è la
saggezza e là la spiegazione dei diversi aspetti, dei diversi momenti
di un atteggiamento secolare-che si è potuto giudicare in mille modi,
poiché esso si presta effettivamente ad aspetti contradditori.
Il concetto fondamentale è questo che in materia
sociale, come in tutto, la Chiesa, saggezza divina per lo Spirito
che la anima, va diritto a ciò che è essenziale. Essa non sacrifica
nulla, e precisamente, per non sacrificare, essa subordina. Subordinare
ciò che è meno importante, quantunque prezioso, e porlo sotto ciò •che
è principale, cioè al suo posto, vuoi dire custodirlo, in luogo di
esaltare a rischio di una car'uta mortale.
E che cosa è qui l'essenziale? Esso è in^'cato da
queste parole che non passano: «Cercate innanzi tutto il Regno dei
Cicli e la sua giustizia; tutto 11 resto vi sarà dato per sovrappiù
».
Ma ancora, il Regno di Dio dove si può trovarlo?
ovunque, poiché tutto è per gli eletti; poiché il Regno
(1) Siwi'ma cantra Gentile».
181
dei
deli evangelico ci è sembrato comprendere tutto:
natura, umanità, storia.
Ma questo Regno di Dio che è ovunque, non lò è però
in modo eguale. Esso è innanzi tutto ciò che vale di più, in ciò che
ha un valore per il fine ultimo e in ciò che dura. Ascoltiamo la parola
del Signore: « II Kegno di Dio è in voi ». « II corpo vale di più
del vestito e la vita di più degli alimenti ». « Che cosa serve
all'uomo guadagnare anche l'Universo, se ciò avvenga a danno
dell'anima? » « Uomini di poca fede, per che cosa vi turbate?» «Non
cercate il pane temporale, ma quello che dura per la vita eterna ».
L'individuo è mortale. La società temporale passa;
temporale, questo non vuoi dire forse consacrato alla morte?
Se la società è importante, quantunque sia effimera,
ciò dipende dal fatto che essa serve anche a ciò che dura, perché è
indispensabile per sviluppare l'individuo, immagine di Dio, figlio di
Dio, contemporaneo di Dio per un avvenire senza fine. Qui è il punto
essenziale. E' a questo soprattutto che pensa un'istituzione
dell'eterno, quale è la Chiesa cattolica. Istituzione dell'eterno
non vuole escludere il tempo, perché nell'eterno è pure compréso il
tempo, ma vuole .significare l'esclusione della parzialità nei riguardi
del tempo e di quell'inversione, tara delle dottrine laiche, secondo le
quali il parziale vuole assorbire il totale, la morte la vita, il nulla
della carne l'essere eterno .dello spirito.
Vedremo più avanti che la Chiesa lavora per il
progresso sociale meglio dei sociologhi concentrandosi in questo punto
di vista. Ma per il momento diciamo:
,la Chiesa desidera innanzi tutto che noi siamo salvi in
questo mondo e nell'altro.
Se i quadri sociali si mostrano .imperfetti •— e lo
182
saranno sempre più o meno — la Chiesa insegna a
utilizzarli, cioè a correggere nella pratica le loro manchevolezze e a
impiegare la nostra buona volontà affinchè le nostre virtù siano di
rimedio ai loro difetti.
Non ha forse proceduto così la Chiesa nei riguardi
della più spaventevole inferiorità sociale che essa abbia incontrato:
la schiavitù? « Fratello, scriveva San Paolo dalla sua prigione al
cristiano Filemone, pa- ^:.'1 drone di schiavi,
come molti altri suoi simili della civilizzazione romana, e a cui
apparteneva pure One- ,; :
simo da poco convcrtito: — fratello, ti prego per il fi-
^ glio che ho appena redento nelle catene... Tè lo ri- ' :
mando, ricevilo come le mie stesse viscere... Chi sa se
' i non ti ha lasciato per un'ora affinchè tu abbia a ri- 1, trovarlo
per sempre e questa volta non più come ser—' vo, ma come un fratello
carissimo... Egli lo è pure al ' più alto grado per me... Se dunque mi
sei amico, ri- ,., covilo come faresti per me stesso. Se egli ti ha
nociuto ;. in qualche cosa e se egli ti deve qualche cosa, adde- "
bitalo a me. Vedi, io tè lo scrivo di mio pugno: Tè ^ lo restituirò
». : '
Se Filemone comprese questo discorso, la situa- •
zione di Onesimo nella sua casa dovette essere ecce- ;, zionalmente
modificata e in senso molto diverso da, ciò che evoca in noi questa
parola: schiavitù.
Che importa la schiavitù quando l'assiste la
fraternità! Due sposi che si amano teneramente si ridono di
rivendicazioni e del codice. L'operaio e il principale che vanno
d'accordo non hanno bisogno di sindacati. E d'altronde la buona armonia
creerà essa stessa le istituzioni adatte perché cresca e dia i suoi
frutti. Intanto nell'attesa essa li sostituisce; essa produce quindi
felicità reale, in mancanza della felicità secondo le formule sociali.
Ora è a questo appunto che l'azione morale della Chiesa intende
rivolgersi.
JS3
La sua concezione è che 'ci sono come due piani della
vita dell'uomo. C'è un piano individuale, secondo il quale si
determinano i destini delle diverse persone; esso si'sviluppa e si
compie nel giro di pochi anni. E c'è un piano sociale che ha davanti a
sé i secoli.
La cosa più urgente, agli occhi della Chiesa, non è
quella di cambiare il genere umano. Essa lo desidera ardentemente, ma
con l'ardore paziente di Gesù che lancia ai destini incommensurabili un
universo per il quale le migliala di secoli non contano. Ciò che vuole
innanzi tutto la Chiesa e di assicurare la nostra riuscita: e ciò in
due modi, quaggiù con la pace fraterna, la tranquillità della
coscienza, un po' di felicità se Dio lo vuole — e se egli non lo
vuole — la pazienza, che alla fine non è delusa; e avere per
fine il Cielo con un posto assicurato nella città eterna ove Dio sarà
il nostro Dio, la nostra gioia e il nostro bene.
Ne seguirà che, malgrado la sua tendenza verso
l'avvenire — tendenza alla quale la Chiesa non può rinunciare,
poiché essa raccoglie nel suo seno tutti i tempi, ed essa vuoi
sopravvivere a tutto ciò che vuole assicurarsi l'avvenire — la Chiesa
si occuperà soprattutto del presente; essa sarà perciò eminentemente
pratica, realista, opportunista nel più ampio senso della parola, cioè
essa chiederà ad ogni situazione e ad ogni tappa sociale non tanto di
modificarsi, il che un giorno dovrà pure fatalmente avvenire, quanto di
dare tutti i suoi frutti; chiederà cioè non tanto di concludere per
l'indomani quanto di salvare l'ora presente, persuasa come essa è che
non v'è sistema così imperfetto che il buon volere non renda fecondo
in virtù e felicità, orientandolo per sovrappiù verso un sistema
migliore.
184
Come dunque la Chiesa, dal punto di vista politico
tollera tutti i regimi, chiedendo non nuove costituzioni ma sane
applicazioni di quelle esistenti, così dal punto di vista economico o
sociale essa richiede non tanto l'abbellimento della cornice quanto la
buona condizione del quadro.
Virtù, saggezza, fraternità: ecco ciò che essa
predica innanzi tutto, oggi, domani, sempre. E di secolo in secolo, a
mano a mano che la spirale sale e che le possibilità si ampliano,
richiedendo sempre le stesse cose, essa esige di più.
Sembra che si dica 'una cosa esagerata quando si
pretende che la Chiesa abbia ciò che le occorre non certo solo per
promuovere la vita sociale, ma per farle raggiungere il suo completo
sviluppo.
Ma è la pura verità. Esprimendola sotto altra forma o
presentandola per gradi, si guadagnerebbero forse a questa verità,
molte intelligenze a prima vista refrattarie.
Vi sono indubbiamente poche persone colte e sollecite
della loro reputazione intellettuale che vorrebbero rifiutare di
sottoscrivere questa equazione: Cristianesimo eguale socialmente a
civilizzazione; paganesimo, buddismo, islamismo... ateismo eguali a
imbarbarimento, sprezzo delle condizioni di vita, sacrificio
dell'individuo alle collettività oppressive o, inversamente, della
collettività ad individualità traboccanti.
Ora, se storicamente— e i più grandi uomini lo hanno
riconosciuto in ciò che conceme il passato,
185
però pronti alcuni a riconoscere che in avvenire le
cose andranno diversamente e ciò in base ad una semplice ipotesi — se
dunque storicamente il cristianesimo si rivela quale il vero educatore
del genere umano in materia sociale, basta, per confermare la nostra
proposizione, aggiungere ciò che abbiamo già detto: La Chiesa è la
rappresentazione autentica del cristianesimo, la sola completa, la sola
in tutto fedele, la sola attrezzata a fondo e particolarmente dal punto
di vista sociale.
- La Chiesa non ha pertanto ciò che a taluni sembra la
condizione sine qua non dei successi sociali. La Chiesa non ha sistemi
economici. Essa crede poco ai sistemi ed ha una maggior confidenza nella
vita. E del resto anche se credesse interamente nei sistemi, non sarebbe
questo il fatto suo. La Chiesa, che possiede una rivelazione religiosa,
non ha invece rivelazione scientifica. Essa lascia il mondo abbaii-.
donato alle dispute degli uomini. Tutto la riguarda, dicevamo; ma
tutto la' riguarda nel senso che essa intende esercitare la sua
influenza su tutto, ma non perché essa voglia assumersi tutto a suo
carico e rendere inutili le nostre particolari competenze o assorbire le
nostre responsabilità.
Se nel corso dei tempi essa fu condotta più di una
volta a fare dell'azione sociale per suo conto, ciò fu per rendere dei
servizi, ma non per adempiere alla sua missione. In fondo la Chiesa si
attiene all'atteggiamento del Redentore quando due giovani gli si
avvicinarono in mezzo alla folla 'e uno di essi gli disse: Maestro, dì
a mio fratello di dividere con me la nostra eredità. — Uomo, rispose
Gesù, chi mi ha posto giudice tra di voi per fare le vostre divisioni?
186
Ma volendo egli far risaltare che il suo distacco dalla
tecnica delle divisioni e riguardo alle divisioni dirette non aveva
altro scopo che quello di sgombrare la :'ia all'azione morale soggiunse:
« Astenetevi soprattutto da quaisfiasi avidità di denaro ».
L'azione morale è dunque, secondo Gesù, il mezzo con
cui opera la sua Chiesa. Ma questo mezzo in materia di vita collettiva
compie lo stesso ufficio dei cosiddetti valori morali in guerra.
Che importano il tiro rapido, il 75 e il suo treno
pneumatico, la mitragliatrice su automobile o l'aviazione militare se
chi combatte ha paura, tradisce o è antimilitarista? >
Che importa pure il sistema economico migliore se colui
che dovrebbe applicarlo non lo fa, se cioè l'uomo manca alla cosa e
questa al quadro che la comprende?
Ora vi sono tanti modi di venir meno a un proprio
dovere, che l'azione della Chiesa avrà sempre possibilità di
esplicarsi.
Vi è innanzi tutto l'utopia, questa maestra di demolire
sotto il pretesto di costruire.
E' ben noto ciò che ha fatto la rivoluzione francese.
Coi suoi sogni umanitari e la sua preoccupazione di riforme
indispensabili, essa giunse alle atrocità ben conosciute per non aver
saputo distinguere fra l'utopia e ciò che la realtà poteva portare di
progressi effettivi e veramente utili. Essa abbattè le antiche
istituzioni e al loro posto innalzò un cartello che portava il disegno
di un grande edifìcio che non si sarebbe potuto costruire poiché non
poteva esserlo. E nell'attesa si abitarono dei ruderi.
La Chiesa non ama le rovine e perciò essa non ama
l'utopia. In base ai fatti osservati a passo a passo essa cerca le
tracce di Dio e vi fa camminare l'uma-
187
nità affinchè questa possa marciare con sicurezza
verso il vero ideale. ' S
Vi è poi l'errore, che conquista molti seguaci e'I che
con ciò determina molti avversari per la Chiesa.^
Errori sulla costituzione della famiglia, sulla con-'
tinuità della razza, sull'unità naturale delle nazioni,'3 sui
rapporti tra l'autorità e la libertà, sulla giustizia-;
nelle relazioni tra la fraternità naturale e
soprannaturale, sulla proprietà misconosciuta dagli uni e spin-'i fa
all'estremo per mancanza di umanità negli altri,,:' sulla
disuguaglianza od eguaglianza degli uomini di fronte ai destini terreni
ecc... l'elenco dei possibili errori è molto lungo, poiché in fatto di
aberrazioni il campo può essere molto vasto per l'umanità che
assomiglia sempre più al contadino ubriaco a cavallo di cui parlava
Luterò; lo si rialza da una parte, diceva, e cade dall'altra.
La Chiesa, resistendo con un'energia serena e
invincibile rende un servizio molto doloroso per lei, perché esso la
espone a contraddizioni e ire che stancherebbero chi non avesse la sua
pazienza. Ma la contropartita di questo servizio è pari a quella di
tutto l'ordine naturale e divino che essa difende, in base alla
convinzione che la crescita degli esseri, viventi o corpi sociali, non
può avvenire che conformemente alle loro leggi, e che è stato
proclamato da Colui che era maestro di vita: « Ogni pianta che non sia
stata piantata dal mio Padre celeste sarà estirpata ».
Vi è ancora come compito morale assunto dalla Chiesa
l'opposizione ai disordini, alle violenze che calpestano e non
producono, ai vizi e agli egoismi che consumano in breve tempo ciò che
era stato prodotto dallo sforzo febbrile o dalla lunga fatica delle
generazioni.
188
Quando la carne, anche se civilizzata, la vince sullo
spirito, e la natura corrotta sulla grazia, la barbarie più o meno
dorata non è lontana; la sete di godimento vi risospinge nella miseria
in mezzo alle ricchezze, alle amarezze pur tra le più ampie risorse di
felicità. Si diventa avversar! per invidia, non essendolo più per
bisogno. Riprende la lotta delle belve e, come in un naufragio ci si
assale l'un l'altro per un rottame di tavola, così ci si batte qui per
il sue- ' cesso, che procura il piacere scioccamente confuso-con la
felicità.
Si sa bene che il desiderio di godimento è altret-:'
tanto crudele quanto la volontà di vivere. La voluttà è più
implacabile della fame. Ed essa è tanto più pericolosa nelle sue
esigenze in quanto queste non sono limitate dal bisogno, ma si attuano
senza freno spingendo la società e gli individui verso il baratro.'
La Chiesa deve infine vincere l'inerzia che av- ';
vince coloro che si .sentono soddisfatti e che impedi- '
sce loro, essendo ormai giunti sulla vetta, di porgere agli altri la
scala per salire. I sofismi conservatori r-on sono più graditi alla
Chiesa delle tesi rivoluzionarie. Rassegnarsi per sé non è sempre
virtuoso, ma rassegnarsi per gli altri è un desiderio di pace troppo
facile. La pace è una bella cosa, ma non quella del cimitero. La pace
dei morti deve essere la lezione dei vivi: essi riposano dopo aver
agito; bisogna dunque aver agito per aver il diritto di riposarsi. E'
ciò che ricorda la Chiesa con la legge del lavoro e con l'incoraggiare,
come essa fa, la cooperarione nel campo delle opere. Opere di carità
che leniscono i dolori, ma soprattutto opere sociali che creano la
forza: è ciò che essa ricorda a chi si addormenta dopo il pasto fatto
alla tappa.
189
In opposizione coi socialisti urlanti che non par- .
lano che di brigantaggio padronale, di ferocia capitalistica, di cart^
di infamia non si sopporterebbe che si tratta del libretto di lavoro
dell'operaio! — la Chiesa è pure in opposizione, tanto la sua
missione le impone di volgere le spalle a tutti gli estremismi; a coloro
che vorrebbero consolare l'operaio povero, dicendogli semplicemente: Fa
economia! oppure: la situazione del piccolo s'è migliorata, il che e
vero, ma come quella del malato al quale si concede un angolo del
focolare; oppure ancora: Vi sono ovunque sofferenze ; il denaro non da
la felicità; gli operai di un tempo erano forse più felici dei nostri,
nella moderazione dei loro desideri: cose a cui posi-siamo anche
sottoscrivere, ma che non portano ad alcuna conclusione quando si tratta
di adempiere ad .un dovere.
Coloro che, senza rendere alcun servizio, si contentano
di predicare la virtù alle folle, devono aspettarsi che la Chiesa,
attenta alle folle come a loro stessi, predichi loro invece la virtù.
La virtù cioè è quaggiù la fraternità soccomtrice, il giusto
apprez-; zamento della sofferenza o del diritto, lo sforzo virtuoso
verso un'organizzazione che superi in ampiezza la loro piccola carità
quotidiana e ponga rimedio, nella misura del possibile, di quelle
«sofferenze immeritate» che Leone XIII un giorno ha denunciato al
mondo.
« La società, ha detto un filosofo cristiano, è in
istato di peccato e di peccato mortale»; chiunque partecipa a questo
peccato con l'approvazione o rifiutandosi di portare il suo . aiuto è
colpevole. '. La Chiesa glielo dice e chiama il peccatore al suo
tribunale. -, " . !1" ''1•!'::••:
A maggior ragione la Chiesa, se condanna l'egbi^,
190
smo passivo che nega il problema, troppo pigro per
risolverlo, condannerà l'egoismo aggressivo che tende verso
l'ingiustizia positiva, rifiutando il giusto salario dovuto, opprimendo
il debole con un lavoro eccessivo mal regolato, male adattato alle
condizioni;
dell'igiene materiale o morale, dandosi all'usura nelle
sue diverse forme sotto il manto di questa parola che oggi serve da
copertura per tante merci diverse: gli affari.
Per mezzo di questa azione morale, che è la sua
specialità superiore, la Chiesa pretende senza dubbio di ottenere
innanzi tutto un certo benessere per la vita presente, trarre partito
dalle situazioni e salvare le anime; noi abbiamo detto che è questa la
sua prima preoccupazione; ma essa intende parimenti preparare regimi
più equi. Quando questi saranno raggiunti, prendendone atto, come essa
ha fatto di quell1' già ottenuti, essa ne imporrà i doveri
e cercando e-sclusivamente a questo livello, in ciò che la concerne, il
Regno di Dio e la sua giustizia, otterrà per sovrappiù un
ulteriore progresso, pronta ad applicare anche a questo la stessa
regola.
In tale genere d'azione, nessuno può lottare conia
Chiesa. Questi mezzi superiori che sono i sentimenti di giustizia,
fraternità, fedeltà a se stessi e agli altri, devozione, sobrietà,
pazienza, essa è in grado di far trionfare per quanto lo permette il
cuore umano ed essa vi si adopera.
Psicologicamente, essa mette in opera tutti i mezzi che
la sua lunga pratica le ha rivelato e che la scienza attuale
conferma, dopo che la scienza di ieri, abbandonatasi a uno stretto
razionalismo, aveva trascurati. '
Socialmente, essa è l'organismo ammirevole di cui
abbiamo studiato l'anima e di cui ci rimane a de-
101
scrivere il corpo, con la sua estensione mondiale, la
sua potenza organizzativa, la sua membratura colossale e flessibile, la
sua ricchezza 'di funzioni, la sua professione di specialità, capace di
raggiungere, dalla sommità alla base della scala dei valori spirituali,
delle situazioni sociali e delle anime, tutti gli infiniti elementi del
corpo sociale per galvanizzarli in vista del bene. '
Dal lato soprannaturale essa possiede le sorgenti
sacramentali, la preghiera, la presenza divina e fraterna che è
l'oggetto del suo culto, la comunione delle anime, e Dio, che ha
dichiarato per mezzo del suo Messia: «Io sarò in mezzo a voi,
ovunque sarete riuniti in mio nome In due o tré persone».
Dio con noi, in noi, cioè nei nostri gruppi come nelle
nostre coscienze, sarà sorgente degli stessi effetti: organizzazione,
santificazione, progresso. Come lo Spirito Santo, quando vive nei nostri
cuori, vi pone il bene spingendoci verso il meglio, così lo stesso
Spirito, che è l'anima della Chiesa, vivente nel corpo sociale, vi
produrrà l'effetto organizzatore, san-tificatore, progressivo che
attendono i fatti sociali.
Però anche dopo di ciò non pensiamo affatto che si
possa avere il paradiso in terra; noi crediamo alla valle di lagrime.
Noi lasciamo ai sognatori l'età dell'oro; il nostro paradiso è
altrove. Ma la giovinezza del mondo dovrà per altro diventare età
matura.
«E' Dio che si agita nei cuori di vent'anni » diceva
Lacordaire. E' lui pure che si agita nelle società che sono premute da
uno sforzo di rinnovamento. La Chiesa non può far a meno di dedicarsi a
questo compito, essa che è « corpo di Dio ».
Se la Chiesa dovesse scomparire, del progresso sociale
dovuto al Vangelo succederebbe lo stesso co • me del cadavere che
vegeta ancora per qualche tem-
192
pò e persiste nella sua forma dopo il distacco
dell'anima; ma la decomposizione verrebbe presto. Ne vediamo degli
indizi che non ci invitano a spingere oltre l'esperimento. E che cosa
diverrebbe l'ideale di rinnovamento umano, qualora l'umanità non avesse
più il suo principio di vita!
193
13. — La Chiesa.
;fCAPO X tA POLITICA
La questione sociale, che abbiamo considerato non ha
relazione diretta con la divisione degli uomini in nazioni. E' una
questione di classi, di situazioni e di compito concementi la
produzione, lo scambio e la distribuzione dei beni: non è una questione
politica.
Resta dunque da esaminare quest'ultimo caso, innanzi
tutto all'interno di ogni nazione e poi tra le diverse nazioni. Ci
limiteremo ad esporre l'essenziale, che è semplice.
Il carattere fondamentale del cattolicismo, dal punto di
vista della sua materia, è l'universalità. Il cattolicismo ha la
pretesa di essere la religione dell'uomo. E allora se essa è tale, è
la religione dei francesi, degli italiani, degli inglesi, dei tedeschi,
eoe.
In queste condizioni la Chiesa, organo della religione
universale, società di uomini uniti in Dio, non può conoscere
frontiere; essa è di diritto internazionale.
Ne segue che all'interno di ogni Stato essa è presente
nella vita nazionale senza appartenervi. Essa vi agisce fortemente, ma
senza abbandonarsi a ciò
194
che vi è di esclusivo e senza lasciarsi vincolare a
punti di vista particolaristici. Essa respira l'atmosfera nazionale e
non si potrebbe dire che i suoi mèmbri, anche religiosamente, ne
restino influenzati; non \ vi sono nella vita paraste impermeabili. Ma
in fondo . ciò che fa vivere il cattolico francese od italiano, in ».;
tanto in quanto cattolici, non è tanto l'atmosfera ;•
:
francese od italiana, ma è il fluido etereo comune a
tutti, cioè le verità e gli impulsi, le luci e le aspira- . zioni che
nel cattolicismo costituiscono la vita comune delle anime, . ^
. Ne segue la conferma che la Chiesa nel suo com- ;.
plesso non solo non può obbedire ad alcun governo,^ il che sarebbe
contradditorio poiché qualora essa ob- ì,' bedisse all'uno
dovrebbe disobbedire all'altro, me essa non può neppure ammettere che
in materia religiosa nessuno dei suoi mèmbri obbedisca ad altri
governi. E' solo essa che, pure nell'interno dei diversi ? stati,
governa nel campo spirituale tutte le; persone ;• religiose. ',v;;
Suddito dello Stato e suddito della Chiesa; appar- •;'
tenenti ad una data nazione e figli di Dio Padre d^'i tutti e del
Redentore appartenente a tutti coloro che' :^ sono compresi
nell'organizzazione cattolica: tale è ìa:;,':
doppia situazione di ciascuno di noi. , i'f;',
E' in questo senso che bisogna comprendere come ;
la Chiesa, società perfetta, non si lasci ne
assorbirò: ;( ne giudicare. Sul terreno nazionale essa rimane in-.-';
temazionale; a fianco del governo di una nazione es-
< sa è libera. ^ : .
Ancor più — ed è qui che l'opposizione diventa , per
certuni furore —la Chiesa pretende di avere autorità di governare,
nel campo spirituale, tanto i gruppi quanto gli individui. Sovrani,
presidenti di repubblica, ministri, parlamentari, generali, ammini-
195
Strafori, quando essi siano cattolici sono, come tali,
cioè nei campo spirituale, suoi sudditi non solo a titolo
individuale ma anche in quanto capi. E ciò perché essendo il punto di
vista religioso relativo ai nostri ultimi fini, non può straniarsi
dalla vita dei gruppi; poiché il divino conceme anche tutto l'umano,
che è sociale; poiché il Redentore col dare incarico alla Chiesa di
istruire le nazioni, non ha voluto parlare solo delle loro
briciole, che sarebbero gli individui isolati, ma delle nazioni stesse,
degli uomini quali essi sono, organizzati in famiglie di ogni ordine;
cioè famiglie propriamente dette, gruppi d'amici, gruppi professionali,
associazioni di ogni genere, e nazioni.
C'è in, ciò, bisogna ammetterlo, un possibile ger-me
di conflitti che la migliore volontà da una parte e dall'altra non
riuscirebbe del tutto ad eliminare, le cui passioni — sia laiche sia
religiose — hanno costituito la piaga della storia, deplorevole serie
di equivoci, di reciproci rimproveri e di lotte.
Il Salvatore vi pensava certo, lui che aveva l'abitudine
di avvicinarsi ai suoi con le parole: « La pace sia con voi!
» quando diceva melanconicamente:
« Io non sono venuto in questo mondo per portarvi la
pace, ma la spada». Triste constatazione che si verifica
dall'inevitabile opposizione di Gesù al sinèdrio sino ai nostri
kultur-kampf e alle nostre separazioni della Chiesa dallo Stato.
Non ci addentreremo nell'esame delle cause che provocano
i conflitti. Ma possiamo dire che, in linea di diritto, non vi possono
essere conflitti giustificati, che le cosiddette pretese della Chiesa
non sono pretese, ma diritti; che la sua autonomia non incide su quella
dello Stato, poiché entrambi costituiscono due ordini diversi e che
essa riconosce la sovranità
196 .
per entrambi e che invece la religione è cosa
sufficientemente preziosa e fondamentale, essendo essa i! mezzo di
raggiungere l'unico necessario, e per superare le difficoltà che la
saggezza può sempre velare quantunque non pensiamo di poterla mai
vincere.
Le nazioni passano, ma Dio e l'anima restano. La
politica, questo rumore del tempo non può esigere che le si sacrifichi
l'etemo. E parlando di eterno, non è questione per noi di intendere
ciò che vi è dopo la vita, ma di ciò che esiste sempre.
La società non è per l'uomo una condizione permanente
di esistenza e di felicità. Ciò che essa procura non è che
transitorio. Ordine, benessere, pace, progresso sono dei grandi beni: la
Chiesa non lo nasconde. Ma il tempo non dura che per un certo tempo. La
corsa dei popoli come la corsa degli uomini e il moto della terra non è
che una corsa .alla morte. Farfalleggia la povera terra intomo al sole;
essa si affretta e si esaurisce; ma la farfalla si getterà infine sulla
fiamma o si agghiaccerà per averla vista spegnere, e il nostro rumore e
i governi, nel loro nulla postumo, avranno il tempo di meditare, come
nella Leggenda dei secoli.
Sulla forma che prende il trono nella tomba.
Durante tale tempo l'umanità religiosa unita al
Redentore e non avendo fatto' altro, come lui, che attraversare la
morte, sarà vivente e felice. Da militante essa sarà divenuta
trionfante. Essa lo sarà perché avrà seguito la sua legge e non
quella di organizzazioni soggette a perire. La traiettoria del
proiettile non dipende forse dal mezzo in cui si muove? La parabola che
raggiunge la terra e l'iperbole che va verso l'infinito non sono
intercambiabili, . .
Si lasci dunque che la Chiesa vada verso il suo
-197
Dio attraverso le realtà del mondo. Si lasci che essa
abbia ad esortare, soccorrere, correggere, guidare, e preoccupata solo
dei nostri doveri, che possa dire a tutti, capi e sudditi: Cercate
innanzi tutto il Regno di D'io e la sua giustizia. Sappiamo bene,
poiché il Vangelo non niente, che questo primo necessario non è in
contrasto in realtà con ciò che è utile; che tutto il rimanente vi
si aggiunge per sovrappiù.
Invero, fatta pure parte agli elementi accidentali
inevitabili in cose così complesse, agli abusi, pure inevitabili in un
mondo di peccato, da parte dei rap-• presentanti dell'uno o dell'altro
potere, la Chiesa che ; a certuni sembra così insopportabilmente
esigente, , accaparratrice, importuna e molesta, in fondo è invece
l'alleata indispensabile, il soccorso prowiden-'• ziale anche in
materia puramente politica.
. «Dopo aver servito prima Dio», come diceva Gio-;
vanna d'Arco, gli stati non saranno che meglio ser-'fviti. La
sottomissione alla Chiesa in ciò che la ri-. guarda garantisce tutto il
resto, tanto le libertà le-''gittime quanto le giuste prerogative del
potere.
, « Vi sono alcuni che pretendono, scriveva
Sant'Agostino (1), che il cristianesimo sia nocivo allo Stato!... Che
costoro ci mostrino dunque un esercito costituito da soldati quali il
cristianesimo vuole che "siano; che ci mostrino dei registri di
province, dei mariti e delle mogli, dei genitori e dei figli, dei
padroni e dei servitori, dei rè, dei giudici, e più ancora, dei
contribuenti e degli esattori quali il Cristianesimo li vuole... e
quando avranno fatto ciò, liberi di ripetere la loro accusa ».
(1) Epist. 138 Ad Marcellinum, citata da Leone
XIII nell'Enciclica Immortale Dei.
''198
Se lo spazio ce lo consentisse, si potrebbe mostra-, rè
in particolare che le condizioni di vita imposte dalla Chiesa,
quantunque ci portino più lontano dei risultati attesi dalla politica,
includono pure in se stesse e favoriscono al massimo le condizioni della
vita politica.
Si potrebbe dire che tré sorta di fatti compongono
tutto il decorso della vita politica: i fatti morali in-,;
dividuali, nel senso che ciascuno vale per il gruppo,;
ciò che innanzi tutto vale per se stesso; i fatti d'ob—
bedienza, dovendo il singolo sottomettersi con la leg- ' gè alle
esigenze della vita collettiva; i fatti d'autorità m quanto l'unità
nazionale e il bene pubblico, che è lo scopo di tale unità, sono
rappresentati e devono essere difesi e spinti sempre verso più alte
mete da capi convenientemente scelti. > ,
Per tutti questi fini non si può contestare l'immensa
utilità della Chiesa.
Agli individui essa dice: Rispettatevi l'un l'altro nel
vostro fisico, nell'anima, nelle vostre attività, come rispettate i
templi di Dio ed essa aiuta gli individui in questo senso. Ai capi essa
dice: I principi dei pagani dominano i loro sudditi; voi non dovete
fare altrettanto: ma colui che è alla testa di un popolo sia il
servitore di tutti; e quando i capi le obbediscono essa ne fa dei
santi come S. Luigi di Francia e S. Enrico di Germania, dedicatisi sino
al sacrificio per la grandezza e la prosperità dei loro popoli. Ai
sudditi infine essa dice: Ogni cittadino deve essere sottoposto alle
autorità poiché questa viene da Dio; tutte le autorità esistenti sono
state istituite da Dio; e perciò chi si oppone all'autorità resiste
all'ordine disposto da Dio stesso.
La vita, retaggio divino, l'autorità a vantaggio di
tutti e , Pobbedienza al potere legittimo come a Dio:
199
ecco le tré nozioni complementari, praticamente
inculcate, che formano la morale della Chiesa nei suoi rapporti con la
vita pubblica. Ciò vale bene il contratto sociale, o la
solidarietà prospettata come fatto bruto e che non porta ad alcuna
conclusione, o a più forte ragione la lotta per la vita o bene o
male temperata da interessi convergenti o da un vago altruismo
sempre combattuto.
Il soprannaturale come motivo e il soprannaturale
come mezzo: tali sembrano essere le condizioni superiori di una
vita politica veramente degna dell'uomo. '
Se questo fosse vero, l'atteggiamento della Chiesa con i
suoi aspetti esigenti sarebbe semplicemente del tutto materno.
Quando non è più Dio che regna per mezzo del sovrano,
è il sovrano stesso che si fa Dio, che questo sovrano sia un uomo o
un partito. Quando non è più Dio che regna nel cuore dei sudditi, è
la natura peccatrice ed anarchica che la sostituisce. « Non vi è nulla
di più socievole per natura dell'uomo, ha lasciato scritto
Sant'Agostino; non vi è nulla di meno socievole quando si corrompa ».
Applicando i mezzi della religione per vincere la corruzione in alto e
in basso, la Chiesa fa dunque un'opera politica pili preziosa delle
combinazioni politiche. Disinteressandosi per delicatezza delle forme,
essa lavora sul fondo e lo predispone alle forme migliori.
Se si riguardasse il passato, si potrebbe vedere — e
qui ancora tutti gli storici imparziali hanno portato la loro
testimonianza — quali servizi eminenti, o più che eminenti, ha reso
la società religiosa cattolica. Alcuni eccessi di potere rilevati qua e
là nel corso
200
della sua lunga storia non possono far dimenticare che
la Chiesa ha portato il mondo moderno sulle sue ginocchia. La politica
moderna è sua figlia per ciò che essa ha di superiore ai regimi
dispotici o alle licenze sfrenate del passato anticristiano.
Si potrebbe ancora aggiungere: Più di ogni altro
regime, la nostra democrazia ha bisogno dell'azione della Chiesa,
poiché il .suo valore dipende del tutto dal valore di ciascuno e di
tutti, essendo tutti sovrani come pure tutti soggetti alla legge e come
pure costituendo tutti materia sociale.
Ogni pensatore dopo Aristotele lo ripete e lo si diceva
probabilmente anche prima di lui: Le prevaricazioni di una democrazia
hanno maggior importanza distruttiva dei delitti di qualsiasi principe
od aristocrazia.
La democrazia è un mare; la Chiesa universale sarebbe
la riva immensa che ne contiene le acque, illuminandole coi suoi fari e
mantenendole sul fondo destinato a contenerle: natura che protegge la
sovran-natura, come il cielo preserva la terra dall'aridità e coi venti
che vi soffia, ne allontana la corruzione.
20i!
CAPO XI LA VITA INTERNAZIONALE
L'atteggiamento della Chiesa verso la vita
internazionale non deve forse procedere dalla sua cattolicità più
ancora dei suoi pensieri di politica interna?
Per mezzo della sua azione spirituale la Chiesa vuoi
congiungere l'umanità a Dio. Ora l'umanità significa collettività, ma
significa pure unità e ciò significa infine costituzione complessa in
cui l'unità dell'insieme e l'unità relativa dei gruppi parziali lascia
sussistere la molteplicità degli individui e dei gruppi.
La religione, proponendosi di divinizzare l'uomo nel
senso che abbiamo spiegato, deve tener conto di questa complicazione e
non deve ne tendere all'unità passando oltre i confini naturali
stabiliti dal fattore umano ne deve chiudersi in questi confini così da
perdere di vista l'ideale unitario che si fonda sui primi fatti reali
doride essa trae le mosse.
Tutti gli uomini, rispetto alla Chiesa, costituiscono
un'unità, a cagione della loro filiazione comane in relazione a Dio,
del loro destino comune in Dio, della loro solidarietà nell'azione,
nella responsabilità di a-zioni malvage collettive, nel comune riscatto
del Salvatore.
La grazia è fatta per tuttì e il primo effetto della
203
grazia è la carità, cioè l'unità di tutti gli
uòmini in'-Dio. Ma per unire gli uomini non si comincia a dividerli
dissolvendo i complessi stabiliti dal funzionamento normale della vita.
Per costruire una casa non si comincia a rompere le pietre.
Bisognerà dunque aspettarsi che la Chiesa da un lato
mantenga l'unità del genere umano nel Signore e dall'altro consacri ad
ogni tappa della civilizzazione e in tutti gli ordini, i complessi
moralmente costituiti — o in ogni caso moralmente sussistenti — i;
cui confini sono per il bene dell'umanità come le
pareti degli alveoli, che costituiscono la membratura dell'alveare e
impediscono al miele di spandersi.
Si può riscontrare in queste poche parole tutta la
dottrina che dovremmo esporre, se fosse possibile di trattare qui con
qualche ampiezza il vasto argomento-adombrato dal titolo: La Chiesa e la
vita internazionale. !
L'illuminismo distruttore e orgoglioso dei •:<•
cittadini dell'universo » non può essere la divisa della Chiesa. Essa
vi vede, intellettualmente, una deviazione, visto che l'unità del
genere umano si costituisce per gradi e non direttamente dall'individuo
al tutto, come se si potesse formare un essere vivente semplicemente
ammonticchiando degli atomi, in luogo degli atomi costituenti le
molecole che a loro volta formano le cellule, i tessuti, gli organi e
finalmente il':
corpo.
Le divisioni geografiche o etnografiche, le conti—
genze storiche che hanno creato le patrie sono fatti reali. Trascurarli
e pretendere di voler unire il genere umano fuori dello spazio e del
tempo, senza tener conto dell'uno e dell'altro, è un colpo d'ala che si
può credere volentieri geniale, ma la cui inescusa-bile leggerezza
offende la Chiesa.
203
Essa vi ripugnerà tanto più in quanto in questo
sentimento internazionalista la Chiesa vede delle deviazioni morali che
non possono avere assolutamente la sua approvazione. Risorgere dello
spirito di casta, che vuoi sostituire all'amore dei figli di una stessa
terra una coalizione internazionale d'appetiti;
spirito d'amatore e di .dilettante, cittadino del mondo,
come si suoi chiamare, ma in realtà del suo piccolo pezzo di terra,
della sua camera o della sua biblioteca; preoccupazione di tranquillità
scaltra che promette a tutto'il mondo per non dover pagare ad alcuno,
trovando comodo di associare queste due cose che non costano nulla e che
portano della gloria- cosmopolitismo verbale ed egoismo effettivo: la
Chiesa apprezza poco questo modo di schivare il dovere. Essa dichiara
che noi dobbiamo innanzi tutto sentire amore per Dio e non ricusare
l'onore di servirlo e dopo Dio dobbiamo queste cose non all'umanità
immediatamente, ma a nostro padre e a nostra madre, alle nostre
famiglie, alle nostre patrie. All'umanità dopo.
Ma si è detto: Dopo, ciò non vuoi dire che
l'umanità debba essere trascurata o negata. E' per questa ragione che
la Chiesa, dopo aver benedetto il patriottismo o, per meglio dire, dopo
averlo imposto;
in nome della sua morale, si volge contro coloro che
vogliono dire: questo basta.
• No, questo non basta. I confini sono sacri, ma la
loro funzione non è quella di formare tra di noi dei compartimenti
stagni, bensì di preservare il bene del-. l'umanità, di fornire
appoggi ai sentimenti affinchè essi procedano in cerchi concentrici dal
più interno al più lontano, senza dimenticare però che ciò che è
204 '
lontano, in Dio è del tutto vicino; lo scopo è di
graduare i doveri per impedire loro di disperdersi e di cadere nella
contusione e nell'anarchia, ma non è quello di farne dimenticare
alcuno.
E non abbiamo forse dei doveri, individualmente o
collettivamente, verso ciò che noi chiamiamo l'estero? L'estero, per la
Chiesa, è semplicemente un prossimo più distante, un fratello talvolta
poco simpatico, forse ingiusto, colpevole nei nostri riguardi, spesso
aggressivo, come del resto anche nelle famiglie si trovano fratelli poco
simpatici, aggressivi o colpevoli.
Precisamente, l'ideale dei rapporti internazionali
sarebbe, nei riguardi della Chiesa, analogo a ciò che potremmo compiere
come formula di rapporti tra fratelli male assortiti per natura, di
caratteri diver-sissimi, di interessi divergenti, ed esposti per
conseguenza a liti; ma che tuttavia avessero la buona volontà di
adempiere ai loro doveri cioè di tirare le conseguente della loro
fraternità, di cui il minimo è la giustizia.
I giuristi di diritto internazionale — a differenza
dei teologi, per i quali l'avvenire non avrà a questo riguardo
sufficienti lodi — non si sono ancora innalzati all'altezza di questa
concezione. A cominciare da Montesquieu e per finire coi recentissimi,
tutti dicono: Le nazioni sono sovrane. E con ciò intendono che
ciascuna è murata in se stessa; non dipende cioè ne moralmente ne
giuridicamente che da se stessa; non ha per doveri che quelli che le
piace di assumere in vista del suo bene o vantaggio, sempre padrona di
rescindere il contratto se viene ritenuto troppo oneroso e di ricorrere
alla forza per risolvere le questioni dette d'interesse vitale o d'onore
— cioè, in realtà, tutte quelle il cui interesse è
205
più grande di quello di essere fedele ai propri impegni
e di usare un riguardo ad un vicino utile.
Alla base di tutto ciò sta la dottrina grossolana della
lotta per la vita, cioè la concezione che ogni vivente, animale, uomo o
popolo non ha altra legge di azione che quella di salvare se stesso,
tutto ciò che costituisce il suo ambiente, prezioso o no agli occhi
della ragione, fraterno o no nei riguardi di una religione e di una
morale disprezzata, non considerandosi esso che materia atta ad
assimilare allo .scopo di procurarsi una vita più felice o più comoda.
Questa tesi barbara, figlia di una scienza fuori strada,
è agli antipodi delle concezioni della Chiesa. Essa deplora
l'immoralità profonda che sta alla base dei rapporti dei popoli. Se
essa vi interviene raramente, ciò dipende dal fatto che è disarmata di
fronte a tanti rancori ed egoismi e la sua saggezza paziente applica la
regola che essa pone a base di ciò che si suoi chiamare correzìione
fraterna: non av-' vertire e non correggere di un errore se non quando
ne speri un miglioramento, senza di che non fai che aggravare il male. /•
, .'•',
Ma disarmata o no, la Chiesa ha il dovere di proclamare
l'ideale ed essa lo fa in quella preghiera di cui si dovrebbe far
presente il sublime a coloro che trovano la Chiesa stessa retrograda: «
O Dio, che hai dato ai tuoi figli questo mondo per coltivarlo, fa che
essi abbiano un cuore ed un'anima sola così co-' me non hanno che una
sola dimora ».
Questa unità morale degli uomini non è affatto' una
chimera: è legge. Non si spera di vederla obbedita correntemente,
poiché gli ostacoli sono troppo numerosi e gli interessi e le passioni
sono intrecciati in modo troppo complesso. Ma è sempre legge. E
bisognerebbe almeno conoscerla, esseme con"
200
vinti e sforzarsi di osservarla, sia pure cadendo
'spesso come si fa in altri argomenti. , .iS- '
Tutti i. cristiani dovrebbero essere pronti a fir-,mare
le seguenti proposizioni: . !^'
Primo: non vi è diritto della forza.
Secondo: le relazioni internazionali, come i
rapporti privati, sono regolati dalla legge morale. ,,•'
Terzo: in conseguenza ogni nazione, pur cercando!;
il suo interesse e difendendolo con tutti i mezzi
onorevoli, ricuserà di ricorrere alla violenza, alle frodi, ai
procedimenti intimidatori, all'impiego di tradito-' ri, spie sleali e
generalmente a tutto ciò che offende ' la morale, come le persone
oneste la intendono. ;
. Quarto: dal più forte, al più debole, dal più
ci-'-:
vile al meno civile, dal più morale al meno morale,' si
stabiliranno, conservate le proporzioni, gli stessi, rapporti che si
hanno in una famiglia tra il maggiore e il più giovane, tra colui che
ha il successo e chi non lo raggiunge, tra chi comprende il suo dovere e
chi lo rifiuta.
In caso di conflitto, sapendo che non sono cose,
compatibili l'essere giudice e parte in causa, si cer-} cherà un
arbitro. ; ,
Se malgrado tutto ciò, la guerra scoppia, impo-,sta
dalla cattiva volontà di uno dei popoli o a cau-,.' sa di circostanze
che non consentono di ricorrere al-. le vie del diritto, l'azione
bellica non dovrà propor- . si che il ristabilimento della giustizia,
comprese le ;
indennità, in luogo di conquiste ingiustificate, di
esi-gonze draconiane e di vendette.
Siamo purtroppo ben lontani da tutto questo! Tale è
purtuttavia, nel modo più netto ed assoluto, il pensiero della Chiesa.
207
Oseremmo aggiungere che, per il suo pensiero profondo,
in quanto la Chiesa porta il Vangelo e ne sconta senza limitazioni tutte
le. promesse, questo non è che un minimo? \ -,
Permettiamoci questa audacia e imitiamo colorò, che non
temono di affrontare i larghi disegni, a ^.comprendere che per la Chiesa
l'avvenire non consiste in uno spezzettamento anarchico i cui lati
oscuri sono troppo evidenti, poiché la fraternità in Di,o e nel
Redentore non ha, per ciò che riguarda la vita • delle nazioni, alcun
organo giuridico, politico o so-: ciale; la cristianità d'un tempo nel
senso di fratellan— ; za europea nella comune religione, è invero
ormai morta, cacciata dalle ambizioni o dall'incredulità e nulla di
laico ha preso il suo posto.
L'avvenire, se obbedisce al Vangelo, darà una sanzione
alla nostra unità in Dio e in Gesù Cristo.
Quale? Chi potrebbe avventurarsi a profetarlo? Non
faccio propaganda per gli Stati Uniti d'Europa ne per le
confederazioni mondiali organizzate a tavolino per dei creduloni e dei
fantasticatori. Ogni uomo serio dichiara che la vita soltanto conosce le
vie della vita e che nei riguardi soprattutto di questi stati futuri
incommensurabili ogni ipotesi è senza valore e ogni profezia ridicola.
Ma non è profetare il dire: L'unità religiosa degli
uomini deve avere — e ciò già sin d'ora — le sue conseguenze
morali e, un giorno, le sue conse- . guenze giuridiche e perciò,
essendo il potere giuridico in senso stretto un attributo del potere
politico, l'unità morale degli uomini dovrà avere un giorno — in
qual forma non si può sapere— le sue conseguenze politiche.
Non si tratterà di sopprimere le nazioni, ma di
collegarlé, limitando una sovranità che si pretende
208
assoluta, mentre essa è dipendente in quanto l'unità
che essa rappresenta non è che unità relativa ne;
riguardi del genere umano uno per la
natura e unito in Dio.
I Papi hanno tentato in altri tempi di trarre le
conseguenze delle dottrine cattoliche. Ma essi 'non ;
riuscirono a raggiungere lo scopo che si prefiggeva- ,
no poiché la Chiesa non dispone, per definizione, che, di un potere
spirituale e non ha perciò altra infuenza politica all'infuori di
quella che le viene concessa, e non ha potuto resistere perciò alla
violenza delle correnti separatiste. Ma ciò che la Chiesa da sola. non
ha potuto fare e non poteva fare in un campo che non era il suo,
l'avvenire lo dovrà fare sotto la pressione morale della Chiesa stessa.
Se il genere umano non sa organizzarsi sino all'estremo,
continuando l'opera iniziata nei tempi in cui le famiglie isolate si
sono costituite in città, le città in piccole patrie provinciali,
queste in nazioni dotate di una larga potenza d'espansione; — se il
genere umano dunque si rifiuta di costituire così la sua vera vita e di
cominciare su questa .base ormai definitiva la sua reale evoluzione,
dobbiamo dire che allora esso avrà mancato a se stesso, misconoscendo
la sua unità fondamentale; avrà mancato a Dio, che è Padre comune e
che non si serve veramente che andando da lui come fratelli; avrà
mancato al suo Redentore che, concentrando in sé l'umanità una e Dio
uno, ha potuto dire, sognatore sublime, nel momento in cui il sonno
della morte cominciava a impossessarsi di lui: «Padre, che essi
siano uno come tu ed io non scarno che uno ».
209
14. — La Chiesa.
Attendendo a quello che dovrebbe essere l'ultimo sforzo
del lievito evangelico per far lievitare, come diceva il Salvatore,
tutta la pasta, la Chiesa ha il dovere di predicare il Vangelo
immediato, che consiste in relazioni morali, in attesa di organizzare le
relazioni giuridiche e politiche tra i popoli.
La politica dei (incasenno per sé ha bisogno del
correttivo che vi aggiunge il motto: Dio per tutti, e bisogna
ricordarsi che nelle nostre coscienze è Dio che parla. Dio esercita la
sua giustizia e la sua provvidenza per nostro mezzo. Ciascuno per sé
e Dio per tutti, questo dunque in senso cristiano significa:
Cerchiamo il nostro interesse, noi popoli, come in un
concorso o'gni candidato cerca di riuscire e, se può, di superare
l'altro; ma la giustizia deve rimanere salva, la fraternità
fondamentale pure, e il Dio di giustizia, il Dio di fraternità deve
poter lavorare per il bene di tutti per mezzo dell'azione nostra e sua.
Quanto siamo lontani, ancora una volta, da rapporti di
questo genere! Bisogna pertanto che i cristiani vi consentano; poiché
questa è la condizione, innanzi tutto, della buona coscienza dei popoli
e pure, come sanzione, di quel bene che non siamo più alla vigilia di
perdere, di ciò che peraltro tutti chiamiamo la più grande ricchezza e
che il Salvatore intendeva lasciarci in eredità nella stessa
circostanza suprema prima accennata: la pace.
2t0
CAPO XII LA PACE
Per quanto si studi la .storia e ci si addentri nella
complessità dei fatti, molti aspetti esteriori potrebbero velare la
vera dottrina e la vera azione della Chiesa in materia di pace.
La religione è favorevole al principio d'autorità;
quando è il militarismo che tiene il potere, può
sembrare che la religione lavori per esso e che perciò essa sia
favorevole alla guerra. La religione ha tendenze conservatrici molto
nette; essa non è per nul- ' la rivoluzionaria, quantunque
indefinitamente prò-. grossista: sotto i governi bellicosi essa può
sembrare'-', solidale della politica bellicosa per coloro che fra f
contemporanei non hanno una larga visione. '
Ma ciò significa guardare le cose da un punto di'^
vista molto ristretto. Quello che importa è di sapere:, quale è, in
fondo, la dottrina della Chiesa; dove con- ;
duce, in fondo, la corrente della sua azione. , '
A queste due questioni è assai facile rispondere. ^, La
Chiesa è la fraternità in Dio; coloro che ne avessero un'altra
concezione dovrebbero giustificarla, è:
se essi cercassero di tirarne un'apologià della guerra,
come hanno fatto certuni, ciò sarebbe da ascrivere ;:
alla lor personale responsabilità.
2M
La nozione della Chiesa ci è parsa risaltare da questo:
Dio padre comune che chiama tutta l'umana comunità unita nel Redentore
a un comune de-, stino soprannaturale e che la costituisce perciò in un
gruppo organizzato il cui carattere fondamentale, è l'unità
nell'universalità, trovandovisi individui e popoli incorporati senza
perdere in alcun modo la loro autonomia, ma disposti a lasciarsi
guidare, nel campo spirituale, da un'autorità spirituale e penetrati da
quello spirito unitario il cui effetto nei nostri cuori si chiama
carità e il cui effetto esteriore sarà concorde, se vi si
rimane fedeli.
La guerra invero non trova posto nel quadro, del, •cattolicismo.
Non avviene per esso come per le, antiche religioni che favorivano la
pace all'interno idei gruppi etnici, di famiglie ristrette di popoli, ma
la scatenavano con maggior violenza all'esterno sotto il pretesto di
istituzioni contrarie e dei rivali.
L'elevazione assoluta e l'ampiezza vastissima del
.sentimento religioso cattolico non consentono più a chi lo penetra e
se ne lascia penetrare di tendere in un egoismo devoto o in una
devozione egoista ;e perciò litigiosa. Se è vero, come si è preteso,
che la fraternità religiosa ha creato la storia greca, di cui le
anfizionie furono uno dei grandi fattori, e così pure la storia romana
e prima ancora la vita etru-sca — quanto più questa stretta
fraternità, la fraternità universale dei cristiani dovrebbe creare, se
fosse obbedita secondo la voce della Chiesa, una storia pacifica del
mondo!
Noi cattolici non predichiamo la lotta per la vita, ma
l'unione per la vita, per una più alta vita. Non pensiamo che il mondo
sia abbandonato alla forza e che sia in essa, grazie alla selezione, il
mezzo per progredire. Pensiamo invece che la legge fondamen-
212
tale del mondo sia l'amore, poiché questo è un
concorso di forze. Pensiamo che nel regno umano questa legge raggiunge
maggior estensione che non nella natura, grazie all'intervento della
ragione e dei nostri sentimenti superiori, poiché nella natura la
ragione e l'amore immanente in ogni cosa non sono secondati da un
consenso prodotto dalla riflessione. E se la grazia viene poi ad
illuminare la ragione di una luce superiore, rivelandole le intenzioni
della Provvidenza e se i nostri sentimenti, penetrati da questa grazia
allargano la rete in cui si lasciano liberamente prendere i nostri
cuori, la nostra dottrina e le nostre tendenze saranno allora ancora
più lontane da ciò che Lacordaire avrebbe chiamato una « dottrina )
canagliesca ». < '
No, il nostro Dio non è un Teutatè, ne Gesù un eroe
di trilogia militare. E' stato detto sulla montagna ove risuonava la
legge del Nuovo Testamento: « Beati i pacifici: costoro saranno
chiamati figli di Dio ».'
La liturgia, riprendendo il tema, dopo aver chiamato Dio
, « autore e amante della pace aggiunge:
« O Dio, donde provengono tutte le sante volontà, . i
consigli retti e le opere giuste, da ai tuoi servi quella pace che il
mondo non può dare... affinchè i tempi in cui viviamo siano tranquilli
per mezzo della tua protezione ». Se si realizzasse questa preghiera i
vi si vedrebbe nella sua più perfetta formula il vero pacifismo,
quello che vuole la pace non per la viltà o l'illuminismo, ma per la
rettitudine del volere, la saggezza del consiglio e la giustizia delle
opere.
Infine i nostri santi, questi testimoni della dottrina,
le cui vite sono come gli sguardi dai quali si può giudicare della
continuità di una corrente che altrove sembra nascosta, sono gli uomini
per eccellenza della pace>
213
Questo sembra ben semplice? Certo, ma a condizione che
la Chiesa, come istituzione, predichi la pace, visto che i santi non
hanno che la pretesa, essi che di pretese non ne hanno, di riflettere
esattamente l'idea sociale che è alla base del raggruppamento
cattolico. Ora, se essi appartengono ad una Città divisa, vi si
comportano come S. Francesco di Assisi che riconcilia i majores
et minores in lotta fra di loro. Di città in città essi fanno
come Santa Caterina da Siena che percorre l'Italia gridando:
Pace! Pace. Di popolo in popolo, come S. Bernardo che si
fa arbitro universale e non vuole la guerra che contro l'invasore
orientale che minaccia l'avvenire della civiltà attaccando il campo
evangelico.
L'ultima salita sugli altari di Francia, la più
sublime, la più squisita, la valorosa e dolce eroina, Giovanna d'Arco,
non fa eccezione. Questa Valchiria francese, come alcuni vorrebbero
chiamarla, non fé-ce la guerra se non perché non potè evitarla;
perché,?,',, evitando la guerra, sarebbe stato consacrare, l'ingiu-
';" stizia, l'invasione, la morte di ciò che le .stava più a;.
cuore: la patria. La morte per sé essa seppe ben;:
accettarla, ma la morte per la Francia, no!
Essa rivolse agli inglesi lettere sopra lettere perché
si decidessero a riconoscere le ragioni del K,® del ciclo,
come essa si esprimeva nel suo linguaggio delizioso, cioè,
evidentemente, a realizzare la giustizia. « Essa è pronta a fare la
pace, diceva parlan- : ;
do di se stessa in terza persona, se vorrete darle
ragione, di guisa che voi restituiate la Francia e paghiate ciò che
avete occupato ».
Si rispose alle sue offerte chiamandola custode di
vacche e libertina. Questo insuccesso le strappò, dice il suo
cappellano Pasquerel, una gran quantità di lacrime. L'idea di dover
versare del sangue la scon-
Sl4
volgeva. Asciugò poi le sue lacrime per combattere;
ma essa aveva impostato l'atto di protesta cristiana e
aveva dichiarato il motivo della sua azione quando . essa disse, con
quella vivacità francese che contrassegnava tutti i suoi atteggiamenti:
Quanto agli Inglesi, la pace che ci occorre è che essi ritornino nel
loro paese, in Inghilterra.
^Comprendiamo dunque che in realtà, se la Chiesa vuole
la pace, nel senso che questo è il suo voto, il suo ideale, non ne
segue però che essa voglia la pace ad ogni costo.
Ciò che la Chiesa vuole innanzi tutto non è ne la pace
ne la guerra, ma il bene. Essa adotta la definizione del suo grande
dottore, S. Tommaso d'Aquino, dicendo secondo S. Agostino, nel suo stile
luminoso e misurato: La pace non è altro che la tranquillità
dell'ordine.
Se regna l'ordine e tutto è salvo dei beni di cui siamo
responsabili, la pace è una conseguenza di diritto; chiunque dovesse
turbarla a vantaggio di ambizioni, di passioni accaparratrici o del suo
orgoglio non può sperare di avere la religione per complice. Ma se
l'ordine è turbato da provocazioni ingiuste, da offese all'onore o da
ostacoli all'interesse di un legittimo sviluppo nazionale che
rappresenta, per il cristiano, un interesse provvidenziale, allora
bisogna reagire. La guerra non è più allora l'ingiustizia ese-crabile
e crudele; è la giustizia armata, come, negli affreschi d'un tempo,
quelle figure gravi con la spada levata, pronta a colpire con tristezza
e fermezza, in seguito alle designazioni del diritto da parte della
bilancia della giustizia e alla conseguente individuazione del
colpevole.
215
Però la guerra in questo caso, se da una parte è un
atto di giustizia da parte di chi la fa in vista del bene, dall'altra
essa è sempre conseguenza dell'ingiustizia, poiché il diritto
rivendicato con la forza suppone una forza che si oppone a questo
diritto. Sopprimete l'ingiustizia e renderete inutile la guerra giù-.
sta ed impossibile la guerra ingiusta. Così la Chiesa. senza vane
declamazioni, dedica la sua influenza, non a cercare sistemi pacifisti
ma a tentare di far sì che ciascuno abbia ciò che gli è dovuto,
facendo con-:
cessioni in caso di litigio e non ricorrendo ai mezzi.
estremi che in casi estremi, che non dovrebbero ve-riflcarsi quando ci
fosse sempre la buona volontà da ambo le parti.
Essa non si contenta di questo sforzo, ma va oltre e
vuole scendere maggiormente in profondità. Poiché ciò che abbiamo
detto considerando che la pace è conseguenza della giustizia non è la
verità intera; e non è nemmeno l'argomento principale. Questa
giustizia che ha per figlia la pace è essa stessa figlia di una madre
che, nella Scrittura, porta lo stesso, nome ma in un senso più largo.
Come in certe regioni il nome di famiglia si sdoppia,
dato da un lato al padre e dall'altro al figlio maggiore a titolo di
nome di battesimo, così nel linguaggio cristiano giusto è colui
che rende giustizia al sui prossimo, ma è anche soprattutto colui che
rende giustizia a Dio, a sé, alle cose come alle persone, alle virtù
religiose e morali — morali, dico, nel senso individuale — come pure
alle virtù sociali.
Ora si può essere giusti nel primo senso senza esserlo
nel secondo? Si può rendere la giustizia al prossimo quando si è
avidi, in preda all'odio, gelosi, incuranti del divino, dedidi ai
godimenti, pieni di orgoglio, eco.?
216
La Chesa ritiene che ciò non sia possibile. Essa è
d'avviso col salmo che l'abisso richiama l'abisso o
che le nazioni, al pari degli individui, non possono
essere giuste verso gli 'altri se non sono giuste nel loro interno,
cioè se non .sono morali.
« Una repubblica virtuosa è chiamata a godere dei
benefìci della pace », diceva il vecchio Aristotele (Po-lit. Vili, 1).
«Pace sulla terra agli uomini di buona volontà » ha detto con
maggiore autorità il Vangelo. « In quanto ai malvagi, non v'è pace
per loro » dicevano in anticipo i profeti. « Essi non conoscono la via
della pace; non c'è giustizia sul loro cammino. Essi prendono delle
strade trasverse. Chiunque le percorre non conosce la pace » (Isaia,
22; ibid. LIX, 8). E facendo allusione ai pacifisti che cercano sistemi
senza andare giù sino alle anime, un altro profeta dice: « Essi
medicano alla leggera le piaghe del mio popolo. Pace! Pace! essi dicono;
ma non vi è pace » (Ger., VII, 4).
Tutte queste citazioni devono istruirci. Nello statù
attuale della moralità umana, non si può sperare pace duratura,
perché non c'è da sperare giustizia. La giustizia potrà essere
lodata, ma a nulla approderà; dagli individui ai gruppi, il male si
estenderà e non saranno le formule, gli ordini del giorno o le
dichiarazioni dei congressi che potranno arrestare le sue devastazioni.
Ora è qui che si manifesta dottrinalmente e
praticamente il compito principale della Chiesa. A quale scopo
soffermarsi a parlare della tregua 'dì Dio, dei grandi progetti
dei Papi per organizzare i poteri e per far finire in tal modo i litigi!
Che importano i perpetui moniti rivolti ai principi cristiani dall'epoca
di Costantino sino a Pio X e Benedetto XV! I documenti diplomatici non
mancano, le encicliche an-
217
cor meno. Ma l'essenziale per la Chiesa consiste nel
suo compito morale, nella sua azione santiflcatrice, e, se si
può dire, nella sua stessa esistenza in quanto « santa Chiesa ».
Ciò che la Chiesa inculca; ciò che la Chiesa fa;
ciò che la Chiesa è: ecco le fonti del vero pacifismo.
i Essa è l'unione degli uomini in una società universale. Ciò che
essa fa è un'opera di miglioramento dei rapporti tra gli uomini a
partire dall'interno, cioè a partire dalle cause, in luogo di non
attenersi che ai sintomi. Ciò che essa inculca è il succo della Legge
e dei Profeti, questo afflato di bene, questo nodo dei legami universali
in cui la pace trova il. suo agguato: l'amore.
L'amore preso alla fonte: il sentimento della fra-.
ternità in Dio, centro di tutta l'irradiazione dell'essere, all'infuori
del quale il covone non ha più legame e i fili si staccano; l'amore
nell'Uomo universale, Figlio dell'uomo, simbolo reale dell'unità che
noi formiamo, di quel fondo comune che dobbiamo difendere contro la
durezza della vita in luogo di spezzarlo in parti sanguinanti; l'amore
che non divide ciò che è unito: il Padre per onorarlo, i figli per
trattarli come fratelli, il tempo per comportarvisi come viaggiatori
soccorritori, l'eternità per giungervi nell'unità di una famiglia in
letizia; ecco il segreto della pace tra gli uomini.
Tutto proviene dalle fonti, e all'infuori di ciò, non
vi sono fonti. La guerra è conseguenza del peccato e il peccato è
eliminato dall'Agnello divino. «Agnello divino che togli i peccati
del mondo, A-gnello divino che togli i peccati del mondo. Agnello divino
che togli i peccati del mondo, supplica con insistenza la liturgia,
dacci la pace! »
Pacifisti, se avete un mezzo di santificare gli uo-
218
mini, di moralizzarli e per mezzo di essi di moralizzare
le istituzioni e i popoli, impiegatelo. I cattolici ne hanno già uno:
è il Vangelo vivente, è il Cristo realizzato in istituzione,
socializzato e agente: la Chiesa. Aderite alla Chiesa di Gesù. Quando
vi sarete entrati e godrete della sua forza, le fornirete pure la vostra
inquadrata e santificata, corretta delle sue utopie e consolidata nelle
sue speranze. Ma comin-:
ciate dall'inizio. Riconoscete che là è la fonte della
pace, perché là è la fonte della giustizia e dell'a— more, là è
il freno dei vivi che combattono la giusti-;;, zia e l'amore, Jà sono i
soccorsi effettivi, i sentimen- 'i'j;. ti caldi, le paternità e
fraternità accoglienti, le pò-;;
tenze di resurrezione a lato dei consigli di innocen- ',
za, gli stimolanti che sommano per agire le energie;
della terra e del ciclo e che non ignorano ne le risorse
della psicologia più positiva ne quelle del misticismo, che è il senso
del divino in noi. :•
« Vi lascio la pace, vi de la MIA pace, ha detto '
il Salvatore, non come la da il mondo ». Il mondo, se non si
supera nel divino, non ha mezzi per stabilire in se stesso la pace. La
pace discende dall'alto, non sale in alto. ;,
' Quando spunta l'aurora e sembra che essa sorga dal
suolo, ciò dipende dal fatto che il mondo indi-i nato, dopo la sua
lunga prosternazione notturna, "• tocca i piedi del Dio della
luce e, come Ester davanti''' al satrapo orientale, sente posarsi su di
esso la bacchetta d'oro.
219
LIBRO V
L'imi; ^1/millM: DELLA CHIESA
iCAPO I L'ORDINE DIVINO DELLA CHIESA
Dopo aver studiato la ragion d'essere della Chiesa; e
dopo che la sua ragion d'essere ci ha consentito di comprendere la sua
essenza, donde derivano i suoi caratteri e le sue forme diverse imposte
alle sue relazioni, affrontiamo ora, senza speranza per altro di andarvi
molto avanti, la questione della sua organizzazione. Si tratta di vedere
l'espansione di quell'unità che da tempo abbiamo riconosciuto essere la
nota fondamentale della Chiesa.
Che la Chiesa sia una, ciò non prova che sia uniforme.
Poiché l'unità non è nullità e poiché essa si arricchisce, man mano
che si arricchisce chiama a sé una molteplicità di funzioni che
richiede una messa in ordine, in mancanza di che l'unità, invece di
arricchirsi si annulla e con ciò annulla lo stesso essere, di cui essa
non è che la consistenza.
Ora è questo ciò che si chiama organizzazione.
L'organizzazione è l'unità di ciò che è molteplice. Il nostro corpo
è molteplice; però esso è anche uno. Per mezzo dei collegamenti
anatomici degli organi e della solidarietà fisiologica delle funzioni
esso realizza ciò che gli scienziati chiamano una simbiosi,
223
cioè una vita in comune governata da certe leggi,
costituisce cioè uno spiegamento che si concentra e una concentrazione
che si dispiega: è questa che si vuoi significare quando lo si chiama
corpo organizzato.
La Chiesa, corpo spirituale, non potrà sfuggire a
questa condizione. A partire dalla sua nascita, a mano a mano che essa
cresce, deve diffondere la sua ricchezza di vita, pur concentrandola
sempre più, come è stato riconosciuto quando parlavamo della Chiesa
una. Questo duplice sforzo compensato sarà la sua organizzazione.
Che se dal vivente in particolare portiamo i nostri
sguardi sulla natura nel suo insieme, troviamo pure che questa è
organizzata. Tutta la scienza, tutta la filosofia e la poesia stessa non
sono che lo studio o la contemplazione estasiata di questa
organizzazione. Se il corpo di un moscerino che nasce e muore in qualche
ora è una meraviglia, si può ben credere che il cosmo, del quale i
fenomeni della vita non sono che una manifestazione, non sia meno ricco
di saggezza immanente.
Gli antichi si compiaceranno di rappresentarselo scome
un essere vivente dalle 'dimensioni colossali, dotato di funzioni che
erano i fenomeni naturali, ^governato da un'anima universale di cui la
nostra era un riflesso e che certuni confondevano con Dio.
Noi non la pensiamo così, grazie al Vangelo e alla
scienza; ma ciò che faceva pensare così sussiste ancora. La natura è
organizzata. Da questo angolo della natura io cui siamo racchiusi
non possiamo afferrare che una ben piccola parte della sua
organizzazione; ma facciamo credito per il resto. Ora, non abbiamo detto
che la natura fa parte in certo qual modo della Chiesa? E se questo è
vero, non si do-
224
vrebbe dire: la Chiesa, così bene organizzata in questa
parte inferiore di se stessa, non deve esserio:,/ assai meglio nella sua
parte principale? i
Abbiamo esposto parecchie volte in qual senso
intendevamo questa proposizione: La Natura fa parte della Chiesa. Dio,
trascendente a tutto, regge tutto. La sua provvidenza stabilisce un
ordine in base al quale ciò che è materiale è sottoposto a ciò che
è spirituale e la natura alle anime. Questo regno delle anime,
considerato dal punto di vista soprannaturale, ' cioè sotto il rapporto
delle sue più profonde relazioni e dei suoi 'destini supremi, ottenuti
per mezzo del Redentore, è ciò che noi chiamiamo Chiesa. Ne segue
evidentemente che la natura fa parte della Chiesa come il servo fa parte
della casa, soprattutto quando si tratti di un servo a vita, o più
precisa- ;
mente come un prolungamento fa parte del complesso a cui
è unito, visto che la materia e l'anima, in ciascuno di noi, e per
conseguenza anche nel tutto, sono parzialmente congiunte sotto gli
auspici del corpo.
Ma ancora una volta, se la Chiesa è organizzata ;:
in quel prolugamento di se stessa che si chiama na- ,
tura, a maggior ragione e tanto meglio essa dovrà:
esserlo nella sua parte principale, che è l'umanità
unita a Dio, in vista dei suoi destini soprannaturali.
L'umanità nel campo temporale si organizza per quanto
può. Lo sforzo secolare tende a questa organizzazione con un risultato
che non si rivela che quando venga considerato molto dall'alto, ma che
non è però meno visibile. L'umanità sa di essere un tutto organico di
diritto. Figlia di una sola coppia; rispondente ad un'idea creatrice che
si espande in razze e famiglie di popoli, ma che conserva la sua unità
fondamentale e chiama gli stessi destini, essa prova
225
15. — La Chiesa.
questo obbligo come pure il bisogno di collegare, per
meglio vivere, individuo a individuo, famiglia a ta-
, miglia, città a città e, in una
misura limitata ma che,
'speriamo, si estenderà, popolo a popolo.
Se ciò non è stato ancor fatto e non è perfetto;
se da Adamo sino a noi ciò non si è ancora ottenuto
con alleanze sempre più complesse, con sintesi
Successive che arrivassero progressivamente e senza
rottura di legame ad un'umanità organizzata, la colpa è da ricercare
non nella chiamata della natura ma nel peccato che ci chiude
nell'egoismo e distrugge tra noi i legami, nelle incoscienze che ci
impediscono di considerare dall'alto o di discendere in profondità per
scoprire in noi l'umanità, nelle oc-correnze storiche, nel caso, in
ostacoli materiali quali le distanze, i frastagliamenti dei suolo, le
rivoluzioni cosmiche, ecc.
Ma nel campo soprannaturale questi motivi di scissione o
non hanno più corso o in ogni caso sono attenuati al punto da non
esercitare azione che per ciò che è accessorio. Le incoscienze sono
vinte dalla Rivelazione e con quell'assistenza permanente che il
Redentore ha promesso ai suoi. Il peccato agisce fin troppo e produce
scismi, divisioni, che sono effetti di disorganizzazione parziale. Ma il
peccato è contenuto entro certi limiti dalla grazia intcriore della
Chiesa e da una provvidenza di cui questa grazia è l'esecutrice.
I casi esteriori e gli ostacoli materiali che pesano
così forte sull'organizzazione temporale non sono più di gran peso
rispetto a rapporti del tutto morali. Un vescovo missionario che si
trovi sul Congo o sul fiume Giallo vi porta con sé tutta la Chiesa:
non porta invece che un po' di patria e certo il ci-
v.nese o il congolese lo comprendono assai meglio
826
quando dice: Rappresento la Chiesa che non se dicesse:
Rappresento l'umanità.
Il nuovo Adamo, Gesù Cristo, ha dunque potuto porre le
basi di un'organizzazione religiosa che non dovrebbe attendere, per
essere una « società perfetta », cioè integrale, i lenti progressi
dell'organizzazione politica o economica.
Non si tratta che il tempo abbia visto rifiutare qui la
sua collaborazione: il tempo è ovunque, pure quando è Dio che agisce,
e quando egli agisce nei riguardi dell'uomo, e se noi stessi ne avessimo
un po' di più davanti a noi di questo tempo divoratore, sarebbe un
bello spettacolo vedere espandersi storicamente tutti gli organi del
corpo umano-divino. Ma, il che dicevamo ora, il tempo, necessario
ovunque, è qui meno necessario che in qualsiasi altro luogo. Alcuni
secoli ben colmi, sarebbe abbastanza per questa crescita per tanto
colossale, e il primo giorno della Chiesa fa già vedere quanto di
essenziale è stato ottenuto grazie allo Spirito che aleggia su di essa
come sulla creazione primitiva, senza dover far fronte alle stesse
resistenze e sapendo invece procurarsi migliori aiuti.
Questo Spirito organizzatore si è basato sin
dapprincipio sul Redentore. Vi ha prodotto effetti individuali la cui
armonia sarà una parte della contemplazione etema.
Ma questi effetti individuali non erano tali che per la
loro sede; ma per il loro fine essi erano sociali e per esercitare la
loro azione richiedevano un'organizzazione sociale che abbiamo dovuto
chiamare universale.
Ci stancheremo mai di chiamare il Redentore Fi-
^
glio dell'Uomo, uomo universale, trascinatore
dell'umanità e della aratura che le è congiunta verso la divinità
cui egli stesso è unito?
E' per adempiere a questi compiti che egli è stato
fatto peccato, dice San Paolo, poiché l'umanità era peccato,
che è stato fatto dolore, poiché l'umanità era dolorosa, che
è stato fatto virtù espiatrice, 'affinchè per mezzo della sua
espiazione potessero valorizzarsi le nostre espiazioni; e che infine
egli è stato fatto gloria, trascinando nei cicli l'umanità
vivente in colui che dei suoi mèmbri le è stato dato per capo: capo
illuminato che i mèmbri seguiranno quando il gigante collettivo avrà
ultimato la sua marcia faticosa.
Nel Redentore, ha detto San Paolo, tutte le cose si
uniscono e prendono la loro consistenza: omma m ipso Constant
(Coloss., I, 16-18), e a maggior ragione tutti gli uomini.
Se dunque l'umanità è qualche cosa di organico in se
stesso, essa deve essere organica nel Redentore, cioè in tanto in
quanto è stata da lui costituita in Chiesa, in quanto è divenuta, nel
campo spirituale, il suo proprio corpo, il corpo di cui lo Spirito Sanato
trasmesso per mezzo dell'incarnazione è diventato in qualche modo
l'anima comune.
Procediamo oltre e risaliamo più in alto: la Chie-ea,
corpo umano-divino per mezzo del Redentore, includendo Dio in se stessa,
deve partecipare a questa organizzazione divina che fa del Padre, del
Figlio e dello Spirito Santo il modello di ogni vita,, l'Ordine
supremo, il caso ideale — quantunque sia trascendente all'idea —
dell'unità nella molteplicità organica.
228
In Dio pure vi è ricchezza vitale nella piena unità
vitale e le relazioni divine: paternità, filiazione, legame reciproco
dell'amore; potenza, saggezza, bontà; compito di fonte, di legge, di
fine; vi è una gerarchla, un'organizzazione il cui riflesso si trova
ovunque, dato che ovunque e in tutto non si tratta che di creare,
governare e impiegare; di fornire un'iniziativa che è un atto di
potenza, di regolarla, il che è saggezza e di indirizzarla verso un
fine prescelto, il che è amore.
Ma l'ordine divino dovrà riflettersi innanzi tutto
nella Chiesa, poiché, in primo luogo la sua emanazione più prossima è
il Redentore, che fa parte dell'ordine divino in quanto Verbo, avendo
fondato la Chiesa direttamente; ma soprattutto perché una tale
fondazione non è l'atto di un architetto che costruisce e se ne va. Il
Redentore rimane unito a noi;
il suo Spirito vive in noi socialmente ed è lui che ci
organizza. Il Padre ci è dato come tale da Colui che ci ha adottati per
suoi fratelli in virtù di una solidarietà divina.
Questa Chiesa, che è tutta in lui in quanto il suo
corpo, il Redentore uomo, che è pure Dio, Figlio di Dio, la introduce
nella Trinità.
Il Padre invia il Figlio, che invia gli Apostoli che
chiamano i fedeli e i fedeli, dandosi agli apostoli, si danno al Figlio
e, per suo mezzo, fanno ritorno al Padre nell'unità dello Spirito che
il Figlio ha trasmesso.
Non diceva Gesù nella sua preghiera sacerdotale:
« Padre, che essi siano uniti in una sola persona come
tu ed io non siamo che una persona sola », cioè in un'unità organica?
« La gloria che mi hai dato, continuava, io l'ho
trasmessa a loro ». E agli apostoli: « Come mio Pa-
229
dre ha inviato me, così io trasmetto l'incarico a voi»
(Giov., XX, 21). « Chi riceve voi, riceve me; chi riceve me, riceve
Colui che mi ha inviato » (Matt., X, 40).
E gli apostoli a loro volta dicevamo: «Noi vi
annunciamo ciò che abbiamo visto e inteso affinchè voi pure vi
associate con noi e che la nostra società comune sia col Padre e con
suo Figlio Gesù Cristo, affinchè abbiate la gioia e questa sia piena»
(I Giov., 3-4). In questo testo non, è fatta menzione dello Spirito
Santo; ma esso vi è sottinteso e si trova il suo succedaneo: la gioia
piena.
Questa compenetrazione dell'ordine divino e del corpo
sociale umano-divino ha indotto San Cipria-no a definire la Chiesa:
«Popolo riscattato, che è riunito nell'unità del Padre, del Figlio e
dello Spirito Santo: De imitate Patria et Filli et SpirUus
Sancii plebs adunata» (De Orat. Dom. N. 23). E con ancora maggior
ardire, egli chiamava la Chiesa « l'U-[diità dì Dio » per
significare che il divino amplesso che unisce armoniosamente le tré
Persone passa, per mezzo del Figlio, quasi al disotto della Chiesa per
mantenerla in Dio Trinità, come in quei quadri antichi in cui Dio Padre
avviluppa con le sue braccia e. col manto, nella luce dello Spirito, la
Chiesa unita al Figlio incarnato e croceflsso.
Ne seguirà naturalmente che l'ordine della Chiesa non
sarà che un'estensione dell'ordine etemo divino e che nessun'altra
organizzazione non potrà pretendere ad una semplicità così ricca, ad
una ricchezza così unica come la sua.
Essa sarà tuttavia manchevole nella periferia, se non
al centro, e comporterà una certa relatività, poiché una società
umano-divina, se è perfetta in quanto è divina, perfetta nel punto di
contatto della cur-
230
va e della tangente infinita che la unisce, tale
poiché, in quanto è anche umana, e nella misura in cui la curva si
allontana chiudendosi su se stessa, diviene fragile, soggetta agli
accidenti umani, ai casi, alle contingenze storiche.
Se spingessimo un po' lontano il nostro studio
dell'organizzazione religiosa, in luogo di tenerci, co— me faremo,
alle grandi linee, vi vedremmo una variabilità e deficienze che
rivelerebbero in essa l'u-:
mano, mai sottoposto in perfezione al divino che è in
essa come un'anima. ,
Anche la nostra anima organizza il nostro corpo;
come può; nel miglior caso essa non arriva a domare;^
la materia che per effetti d'assieme. Dio, nell'umani-, •tà, non è
così impotente, ma si fa impotente per ri- , spetto. Egli ci lascia
responsabili; lascia alle leggi;
generali della vita il loro potere, che egli stesso ha'
istituito. Egli è pur sempre presente per tutto indirizzare, e questo
indirizzo non può prodursi, a meco di un miracolo permanente estemo
alle grandi vedute provvidenziali, che per mezzo di un organismo in
relazione con ciò che si attende dal suo lavoro.
Il papato e l'episcopato rappresentano questo organismo.
Manifestazioni diverse se ne mostrano. Studiando queste istituzioni
potremo constatare quale alta saggezza vi si riscontri; quale profonda
unità vi sia a capo. « Siamo molti, diceva Alberto Magno a proposito
delle discussioni; ma che la causa sia una». Siamo molti pure nella
Chiesa; molti che adempiono compiti diversi, che assumono
responsabilità diverse; ma che sia servita la causa comune. Essa lo
sarà, visto chi presiede e chi riunisce.
Se la regina di Saba andando alla corte di Sa-lomone e
constatando l'ordine sapiente e raffinato de] :
231 i
servizio orientale, ne perdesse il soffio di
ammirazione: non habebat ultra spiritimi, bisognerebbe che il
gentilesimo di tutti i tempi potesse ammirare la saggezza del Salomone
divino nella costituzione del suo regno.
La Chiesa non è indegna di questa ammirazione.
Essa ne ha tanto maggior diritto e Dio deve fargliele a
maggior ragione meritare in quanto l'opera di santificazione di cui
parliamo è innanzi tutto un'opera di misericordia (1). Si tratta di
redimerci, mentre eravamo degradati; di sostenerci mentre ad ogni
momento pieghiamo sotto il peso dell'avversità; di farci
avanzare, mentre ci indugiamo; di farci salire, mentre siamo
infinitamente pesanti; di medicare le nostre ferite nella battaglia
senza fine della vita morale e di offrirci dei continui cordiali durante
le soste.
La Chiesa è un'impresa di salvataggio: cosa più ardua
e delicata e necessaria anche di un'opera di giustizia. Il suo
funzionamento deve risentirne e questo ci può spiegare alcune
rigidità, certe complessità • che stupiscono. .'
Vascello nella tempesta, l'umanità religiosa ha bisogno
di un equipaggio sempre pronto, di un pilota sicuro, d'una disciplina
ferma, di un'energica bontà che sappia agire, di cariche ben
distribuite e ben sorvegliate, mentre tutti sono sul ponte e lo sguardo
del capo è fìsso sulla stella polare.
Solo in queste condizioni si potrà compiere il viaggio.
,' E non occorre che esso si compia ad ogni
costo, il nostro spaventoso viaggio eterno?
(1) Per viscera misericordiae visltavit nos. Lue. I, 78.
238
; -CAPO II IL REGIME MONARCHICO DELLA CHIESA
L'organizzazione della Chiesa ha per principio la
Trinità.
Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo comprendono, per
mezzo del Figlio, nella loro sublime intimità, tutta l'umanità
chiamata a beneficiare dell'Incarna-;
zione e la fanno partecipare alle loro relazioni ineiS
fabili nella misura in cui essa vi consente e, con l'umanità, la natura
che le è congiunta. '
II capo di questo complesso è il Redentore e tut--to
ciò che con lui non fa che un sol corpo entra con lui nella divina
gerarchla trinitaria.
Da questo principio, che sembrerà forse ben alto, ben
lontano dalla realtà quotidiana, derivano pertanto nella Chiesa tutte
le realtà quotidiane; e se si comprendono male gli atti dei nostri
capi, la colpa si deve attribuire spesso ad un equivoco iniziale,
poiché le regioni in cui l'azione religiosa si elabora non possono
essere nemmeno sospettate di critica. D'altronde partendo di là, non si
rifiuterà di ridiscendere, di gradini in gradini, sino ai più umili
particolari della vita: ma bisogna esplorare le vette.
Al livello in cui siamo occorre chiarire per mezzo del
principio generale invocato una questione molto
233
importante relativa al regime religioso. La Chiesa è
una monarchia? O sarebbe più o meno una democrazia? Il potere vi viene
dal basso e i capi non vi sono che dei rappresentanti, dei mandatari? O
almeno l'autorità vi è controllata, divisa, limitata come nella
maggior parte dei regimi umani? O al contrario il potere viene dall'alto
di guisa che i fedeli non sono che dei sudditi e le loro autorità
immediate non sono che emanazioni di un'autorità suprema? ;:
Questa questione ha dato luogo da parte dei dissidenti ed anche da parte
di molti fedeli male istruiti ad equivoci dannosi. Essa è la base del
distaccò dei protestanti, e una parte del movimento modernista ed è la
chiave di molte questioni particolari in cui dei buoni cattolici, anche
se sono parlamentari, non mancano di cacciarsi.
Ora la soluzione non è che nei segreti donde dicevamo
che tutto trae la sua origine.
La Chiesa è umano-divina. Dio è incluso nella Sua
essenza e nel suo funzionamento per mezzo del Figlio fatto uomo; per
mezzo dello Spirito Santo che questi ci trasmette; per mezzo del Padre,
che il Redentore ha tatto nostro Padre a cagione di una
solidarietà fraterna.
Se Dio è incluso nella Chiesa, ne viene che egli vi
occupa il primo posto sia nell'ordine costitutivo sia in quello
funzionale. Non si può costituire Dio ne governarlo.
E allora, essendo Dio incluso nella Chiesa per mezzo del
Redentore, al quale egli ha dato ogni potere, che è capo di una
razza soprannaturale, strumento congiunto della divinità e che
partecipa umanamente di tutte le sue prerogative ne viene che ai-disotto
di Dio, o piuttosto unitamente a lui, il primo nella Chiesa è il
Redentore.
234
Donde la tesi, classica presso i teologi e i
predicatori, della regalità di Cristo. Regalità spirituale, di cui la
parola Cristo non è che l'espressione, date, che Cristo (Christòs)
significa unto, consacrato regalmen>-te per il governo delle anime.
Fin qui nessuna difficoltà. La Chiesa è il Regno di
Cristo in tal modo il Regno di D'io. Non possiamo perciò
trasformare questo regno in una repubblica, di cui l'Uomo-Dio avesse
l'onore di essere presidente, ne in una monarchia costituzionale in cui
dovesse regnare in misura limitata, a titolo semi-decorativo. Dio deve
regnare effettivamente per mezzo di Cristo nell'unità di un governo in
cui non si distingue ciò che è del Padre e ciò che è del Figlio,
poiché :
l'uno è nell'altro e agisce per mezzo dell'altro.
Bisogna lasciare all'unità ciò che è dell'unità e a Dio ciò che è
di Dio.
Inoltre se, dopo che Gesù è rientrato nel mondo,
invisibile, c'è nella Chiesa una rappresentazione visibile di lui; se
da qualcuno è stato detto: « Come il Padre ha inviato me, così io
invio voi » — « Andate ;
e insegnate a tutte le nazioni » il che è il potere
che 5 noi chiamiamo magistero; — « Battezzateli in nome del
Padre, del Figliolo e dello Spirito Santo» e «Fate questo in ricordo
di me », il che è il potere sacra-.mentale chiamato ministero;
— « Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me»;
«Ciò che voi legherete sulla terra sarà legato anche in Ciclo, e ciò
che voi scioglierete sulla terra sarà sciolto anche in Cielo », il che
è il potere di go- ' verno (imperiimi), comprendente quello
legislativo, giudiziario ed esecutivo, tutti e tré necessari per un
vero governo: se ciò è, il collegio dei Dodici nella loro successione
autentica sarà, in nome del Cristo, in unione dello stesso Cristo,
autorità prima.
235:.
Tutto il popolo cristiano ne dipenderà come un gregge
dai suoi pastori, mentre l'insieme del gregge dipende dal loro insieme e
ogni gregge particolare richiesto dalle necessità locali dipende da
ognuno di essi, senza esclusione dell'unità che comprende tutti i
gruppi.
Qui ancora la deduzione è inevitabile. Noi non
intendiamo impedire al Redentore di realizzare le sue divine intenzioni
ed egli che non fa che passare dal punto di vista del suo commercio
visibile con l'uomo; egli che muore e che tuttavia nel campo spirituale
è il rè dei secoli, noi non vorremo impedirgli di realizzare la sua
promessa: « Non vi lascerò soli»; «ecco che sono con voi sino alla
consumazione dei secoli ».
Infine, se i Dodici e i loro successori preposti al
gregge non sono essi stessi un gregge amorfo: se il molteplice ritorna
all'uno per perfezionarvisi; se il Redentore ha inteso di darvi una
rappresentazione non solo collettiva ma individuale, come una
sopravvivenza visibile, e se egli ha detto ad uno dei Dodici:
«Pasci i miei agnelli», cioè i fedeli; «pasci
le mie pecore », cioè i pastori ed ancora: « Ti darò le chiavi
del regno dei cieli », come a un maggiordomo di palazzo dal quale
bisogna passare per andare al padrone; e se di conseguenza, partito
Gesù, Pietro è un Cristo per procura, per missione e per assistenza
— se questo è pure vero, chi sarà alla testa della Chiesa dovrà
essere il successore di Pietro e di tutti gli altri vescovi in rapporto
a lui, che è successore, di tutti i vescovi in rapporto a Cristo e m
rapporto a Dio; ognuno sarà un'emanazione, una derivazione della
potenza sovrana salvatrice.
236
Il carattere monarchico della Chiesa si rivela qui in
pieno. Ma a condizione di tenere ben chiusi tutti gli anelli della
catena. ,
Ora per i protestanti'si produce in questo susseguirsi
di fatti umano-divini, una frattura. Dio invia il Cristo e Cristo è Dio
— almeno per chi è ortodosso, gli altri non si sa più a che cosa
credano. Ma il Cristo non è in relazione con noi attraverso la Chiesa.
A partire da lui l'orientamento si modifica. Esso risale, in luogo di
continuare a discendere. E sicuro noi che andiamo incontro al Cristo.
Aderiamo a lui attraverso i tempi, come a un personaggio storico e ciò
da parte di ciascuno individualmente, sotto la propria responsabilità,
mentre la Sacra Scrittura serve da ponte tra il cristiano isolato, forse
ignorante, libero in ogni caso dei suoi commentari, e il Cristo lontano
che è tutta la sua vita. — Quale ponte fragile!...
E' vero che i protestanti si pongono per leggere la
Bibbia sotto la luce presunta dello Spirito Santo del proprio Spirito
Santo se così si può dire, coma se Dio decidesse di illuminarci così
uno per uno in vista di separarci e come se il grande sole che rischiara
gli uomini o il lampadario comune che illumina le sale del banchetto
evangelico non fossero che un lumicino solitario che invia su di un
testo oscuro la sua luce vacillante!
E' solo dopo di ciò che noi, quali aderenti ad un'idea
comune, ci mettiamo a formare la Chiesa. Questa in tal modo dipende da
noi e non più noi da essa. Le autorità che la governano sono di nostra
creazione e il regime sarà ciò che noi lo faremo, sempre in dipendenza
della nostra iniziativa o sempre rivedibile.
L'idea del popolo sovrano al soprannaturale è qui
237
ben visibile. I sistemi sono cambiati, ma il fondo è
rimasto sempre uguale. Al seguito di Marsilio Pa-torino, eretico del XIV
secolo, i protestanti hanno in generale sostenuto che la Chiesa è
democratica e non monarchica. E' la società religiosa nel suo complesso
che detiene il potere e che lo delega ai pastori. A meno che non si
lasci questa cura ai principi temporali, proprio adatti a caricarsi dei
pesi che incombono ai loro popoli! Si eviteranno così i conflitti tra
Chiesa e Stato, dopo che la Chiesa sarà stata assorbita dallo Stato!
Ne seguiranno un diritto di controllo, un diritto di
eventuale resistenza, un diritto di deposizione ' delle autorità
religiose da parte del popolo o dei suoi principi mandatari e molte
altre cose ancora secondo i sistemi variati costruiti su questo tema.
Noi cattolici non possiamo ragionare così. Noi non
intendiamo di costituire la Chiesa ma di farci costituire dalla Chiesa.
E essa che, in nome del Redentore, ci genera spiritualmente per mezzo
del battesimo. Essa si tiene tra il Redentore e noi, legame solido e di
carattere sociale, poiché l'umanità è so-'lidale e sociale: non siamo
noi, piccoli individui fragili ed isolati, che ci troviamo tra il
Redentore e la Chiesa.; : - ,
Perciò non è nostro compito controllarla: è essa che
ci controlla. La discesa d'autorità che si opera da Dio al
Redentore si continua dal Redentore alla Chiesa che ne emana
direttamente e nella Chiesa, che è un gruppo organizzato, non
spezzettato, prima ai Dodici e ai loro successori,. i vescovi, poi, fra
i Dodici, a Pietro e al suo successore, il Papa.
Questo è il sistema cui apparteniamo.
L'unità della Chiesa, dichiara San Cipriano, assomiglia
alla tunica del Redentore che era tessuta
238
senza cucitura a partire dall'alto (desuper). «
Un Dio, un Redentore, una Chiesa » dice egli ancora, volendo così
riassumere in queste tré parole tutto il regime soprannaturale in
quanto Dio interamente u-no; il Redentore, uno con lui nell'unità della
persona;
la Chiesa, una con essi di un'unità di organizzazione
in cui si ritrova il Redentore, mentre il corpo dei suoi inviati si
raggruppa attorno al suo proprio rappresentante: è tutta l'integrazione
dell'opera divina.
Malgrado dunque i diversi compiti che esercitano fra di
noi le autorità, in vista di meglio adattarsi alla vita umana, non c'è
fra noi suddivisione di autorità. Noi siamo un unico governo: quello di
Gesù, rè delle anime, che ci congiunge all'unico e supremo governo di
Dio, rè universale.
Donde si vede che il principio monarchico è alla base
della Chiesa, poiché esso è il fondamento della realtà totale che ha
per capo supremo Dio e anche poiché è il fondamento della realtà
umana al soprannaturale, che ha per capo Gesù, mentre tutto il gè- [
nere umano è solidale, religiosamente, non per se stesso e di sua
propria iniziativa, ma per istituzione divina e .nel suo Redentore
umano-divino.
Senza voler fare qui per niente politica, bisogna
concedere ai teorici della regalità che la monarchia è in sé,
idealmente il regime più perfetto, poiché l'unità d'ordine più o
meno realizzata in regimi democratici od aristocratici, non è che un
genere di unità secondaria, che richiama alla fine l'altra. E' per
questo che il regime universale è ultra-monarchico, sotto il nome di
governo divino.
Resta a stabilire se gli uomini vivono solò d'ìdea-
239
le e se
Dio, rappresentato dai capi di Stato, vi sì ritrova a sufficienza.
Nella Chiesa egli _si ritrova poiché vi abita per mezzo del suo
Spirito. Donde segue che la monarchia è al suo posto di pieno diritto e
che essa non si offre, nei riguardi di ciò che è essenziale almeno,
alcun pericolo di apprensione, sia in ciò che concerne le autorità
secondarie sia in ciò che si riferisce alla loro libertà.
Seneca ha detto: «Parere Deo Ubertas est:
obbedire a Dio è la libertà». Se la catena religiosa, passando per il
vescovo, il Papa, il Redentore, ci collega a Dio e alla sua legge
immanente per mezzo dello Spirito Santo: la libertà, finché si attiene
a questa legge, non ha nulla a temere. Dio non è tiranno, ma fa vivere.
Parimenti le autorità particolari, collegate a noi da
un lato e .a Dio dall'altro, non perdono il loro , potere su di noi per
il fatto che esse sono subordinate a Dio. E se è pur intermediario che
esse gli sono subordinate, esse non perdono le loro prerogative per il
fatto di possederle e di esercitarle sotto una dipendenza che è, in
definitiva, quella di Dio. Dio, ancora una volta, non assorbe nulla ma
da tutto.
Se non si avesse il timore di stancare per un ri- '
chiamo così frequentemente ripetuto a un paragone familiare, si
potrebbe dire: il regime della Chiesa è monarchico come quello di un
essere vivente: Coloro che lo chiamano una colonia di cellule
dicono una cosa che ha la sua parte di verità relativamente ai processi
di costituzione dei tessuti e alla realizzazione del piano organico; ma
nel complesso definire così l'essere vivente sarebbe cura di una
filosofia troppo leggera.
Ciò che nell'essere vivente è primo non sono le
240 »
cellule, ne, in generale, le parti ma è il tutto, e nel
tutto, il principio del tutto che è l'idea vitale chiamata anima, cioè
lo Spirito divino comunicato dal Figlio di Dio e dal Padre che l'ha
inviato.
Dopo di ciò, quanto è primo nel corpo vivente è il
sistema nervoso centrale, non sono le cellule a-narchiche nella Chiesa
ciò che è primo, a titolo d:
elemento visibile, è il corpo episcopale unito al Papa:
encefalo donde procedono, sotto l'azione delio Spirito Santo, il
pensiero sotto il nome di dogma, l'azione dinamica sotto il nome di
governo e tutta la vita venuta dal Redentore per la salute delle anime
per mezzo dell'effusione sacramentale.
In un caso come nell'altro, l'unità parte dall'alto (desuper);
essa non è una risultante; non è la folla che la crea organizzandosi,
ma al contrario l'organizzazione viene da essa.
In architettura sarebbero forse le pietre che
costituiscono di primo acchito la casa? Ciò ch& spiega la
costruzione è l'idea dell'architetto, poscia è l'iniziativa dei
costruttori. Le pietre, m base a ciò, si organizzano.
Di qui viene il profondo pensiero che ha presieduto alla
formulazione del Simbolo: Credo allo Spirito Santo, alla santa Chiesa
cattolica, alla comunione de'i Santi, alla resurrezione della carne e
alla vita eterna. In questa successione, lo Spirito di Dio è alla
testa. La Chiesa vi è collegata come al suo principio organizzatore. La
comunione dei santi esprime la legge fondamentale della Chiesa che è la
carità sotto l'azione di questo Spirito. La resurrezione della carne e
la Vita etema saranno i risultati del loro lavoro.
241
IR. — La Chiesa.
CAPO III
IL COMPITO DEI GOVERNANTI NEL GOVERNO DELLA CHIESA
La Chiesa non è dunque una elemoshuera. L'autorità vi
viene dall'alto, perché vi viene da Dio per mezzo del Redentore e
poiché questi ne ha regolato il flusso sino a noi fondando una missione
perma-.nente: i Dodici con vena successione autentica che è il
corpo episcopale, poi, alla testa dei Dodici, Pietro, con la sua
successione autentica: il Papa.
Si deve però intendere che noi tutti nella Chiesa siamo
passivi? Passivi sotto le nostre autorità immediatamente inferiori e
queste passive sotto altre autorità, pure passive sotto l'autorità
suprema del Papa visibilmente e del Redentore in modo invisibile e
infine dello Spirito divino?
Questo modo di tutto fissare, di tutto sospendere di
chiodo in chiodo, vogliamo dire di tutto abolire allo scopo di tutto
santificare e di tare sì che Dio sia — non tutto in tutti per
salvarci tutti, come dice l'Apostolo, — ma al posto di tutti per
sopprimerci tutti, sarebbe il contrario d'un vero regime religioso.
La religione consiste nel collegarci a Dio, non
ad assorbirci in lui. Il governo religioso deve essere evo-
242 •
catore di energie, non un accaparratore di esse. Esso è
fatto non per eclissarci o spegnerci, ma per infiammarci di tutte le
fiamme della vita. « Sono ve-* nuto, ha detto il Salvatore, a portar
fuoco sulla terra, e che posso io desiderare se non che essa s'accenda?
» (Luca XII, 49).
Il governo dovrà dunque, presso di noi, lasciare campo
ad atti spontanei e allora quelli non potranno mancare di reagire sulle
autorità stesse in tutto ciò che esse hanno di umano; di più essi
prepareranno i risultati di ciò che viene dall'alto, dato che . la
materia, e più particolarmente la materia viven-. tè determinata da
una parte il risultato delle influenze che essa subisce. -;;
Fra le cause i filosofi hanno sempre posto anche la
materia ed essi hanno avuto ragione, se è vero;*;
come la scienza ci insegna, che non v'è azione sen-, za
reazione in .alcun ordine di fenomeni.
Anche se la Chiesa fosse solo un organo meccanico
rigido, in cui dei mezzi di trasmissione si tra-;
smettono la forza, sotto l'influsso di un motore cen-;'
frale, i fedeli non vi sarebbero senza azione Essi';
agirebbero nel senso che essi imporrebbero all'auto-'
rità, per il modo di essere e per il loro modo. di comportarsi sotto il
regime della legge delle modalità di governo che costituirebbero' già
da parte loro un'influenza.
. Ma la Chiesa non è una macchina di questo genere essa
è un'organismo vivente ora in un organismo ciò che è mosso, cioè i
singoli organi sino alle più infime cellule, è parimenti motore in
base alla solidarietà organica. •
Non vi è che una cosa, negli esseri viventi, che sìa
motrice senza essere mossa ed è l'idea vitale, cioè l'anima. Ma
anch'essa è influenzata da certe
243
condizioni: la prova si è che, se le condizioni sono
sfavorevoli, l'organismo devia, .soffre e muore, mentre l'anima cerca
sempre di farlo vivere.
Nella Chiesa è lo Spirito Santo che è come la nostra
anima comune. E questa anima è indipen-'dente nel senso che nessuno di
noi può avere la pretesa di influenzarla in se stessa; ma essa dipende,
nei suoi effetti, dall'accettazioine delle nostre libertà e dalla
collaborazione dei nostri sforzi. Non siamo dunque governati senza di
noi neppure dallo Spirito Santo. A più forte ragione non siamo
governati senza di noi dalle autorità umane che in suo nome, ma con una
degradazione di valore e di potere, ci governano.
In quest'ultimo caso non solo partecipiamo agli effetti
del governo, ma in certo qual modo partecipiamo al governo stesso, senza
per questo fare ritomo al principio democratico prima escluso.
In realtà, in un vivente in cui l'anima lavora,
orientando le funzioni verso certi risultati che sono le opere della
vita, gli organi principali e primieramente il cervello e il sistema
nervoso centrale sono pure i punti di applicazione più importanti
dell'azione dell'anima.
Un corpo viene animato innanzi tutto dalla sua attività
cerebrale. Di là partono le grandi correnti che smuovono e dirigono
tutto a cagione di quella centralizzazione che si rivela tanto più
perfetta quanto più ci si eleva nella scala degli esseri.
Ma non si deve dire con ciò che l'anima abiti
esclusivamente nel cervello. L'anima è ovunque: tutta nel tutto e in
ogni parte, dicono i filosofi, di guisa che la vita comunicata al
cervello per mezzo delle membra non impedirà una comunicazione diretta
in favore delle membra stesse da cui il cervello e così
244
pure i centri che esso aziona trarranno Vantaggio.
Così lo Spirito divino che anima la gerarchla, secondo
la promessa del Salvatore, anima pure, in suo nome, coloro dì cui è
stato detto: «Non sapete che le vostre membra sono i templi dello
Spirito Santo? »
L'abitazione attiva di Dio va noi, per mezzo
della grazia, è uno dei dogmi fondamentali della nostra fede. Che se
egli è in noi, come è nella gerarchla, le sue comunicazioni non
possono essere, qua e là, estranee l'una all'altra. Ciò che egli da
alla gerarchla viene pure a noi socialmente per autorità. Ciò che egli
ci da sale all'autorità per un'altra via, quella di un'influenza che
l'autorità giudicherà, che essa farà sua, di guisa che anche in
questo noi saremo governati e non governanti; ma che pertanto avrà la
sua origine in mezzo di noi, in uno di noi o in parecchi, separatamente
o in uno dei nostri gruppi: associazione particolare, famiglia religiosa
o nazione.
E' in questo senso che si è potuto dire: le iniziative
vengono soprattutto dai fedeli; invece dall'au-•torità vengono le
direttive, i cointrolli e i freni.
Questo è vero solo in parte, poiché la prima
iniziativa, in fatto di salute, viene necessariamente dal Salvatore e
dai suoi rappresentanti. Per mezzo dell'insegnamento in ciò che esso ha
di propriamente rivelato; per mezzo del ministero sacramentale e per
mezzo dell'orientazione generale della vita la gerarchla comincia
perché il Redentore comincia o Iddio comincia. Ma nel corso dell'azione
redentrice e riguardo alla relatività che essa comporta, altre
iniziative possono sorgere ovunque, poiché ovunque Dio è presente e,
se egli rispetta l'ordine da lui stesso stabilito, non ne è però lo
schiavo.
La grazia di Dio, dicono i teologi, non è incate-
245
nata ai sacramenti. Intendiamo la parola sacramento nel
senso generale che abbiamo dovuto più di una volta riconoscergli. Ne il
sacramento della verità, che è l'insegnamento, ne il sacramento della
santità, che e l'azione rituale, ne il sacramento dell'azione
cristiana, che è l'esercizio del governo, non contengono tutto ciò che
Dio ha voluto dare al complesso organizzato dei fedeli. Vi sono verità
private, slanci di santità che non vengono dall'azione rituale; si
hanno buone direzioni prese che non sano comandate. Il Dio inferiore,
vigore degli esseri, come lo chiama la liturgia, (Rerum Deus
tenax vigor), irradia su tutti 1 punti in cui la sua creazione
vivente consente alla sua presenza di fiorire.
La natura è piena di anima, diceva il vecchio
Aristotele (plères psichès). Pensava, forse, dicendo così, al dramma
dei boschi e 'dei prati in cui furoreggia tanta vita ardente e invadente
sotto la tenda verde che l'acquarellista posa di colpo?... Ora pure
nell'umanità religiosa formicola la vita e per la stessa ragione. Essa
è piena di anima. L'anima dello Spirito 'divino la penetra e vi si
vedono sfuggire da ogni parte fronde che non provengono ne dal
seminatore ufficiale ne dal forestiero, ma che procedono direttamente
dalla sorgente immanente di vita óvunique diffusa.
Non dimentichiamo che la vita spontanea che scaturisce
al fondo delle anime sotto il tocco dello Spirito deve essere
controllata. E' in questo che ci distinguiamo dai falsi mistici o dai
protestanti che respingono l'autorità, esigendo che si creda Dio in
loro, Cioè in loro stessi. Ma ciò che l'autorità comanda non è stato
da essa creato per questo scopo e se, non avendolo creato, lo impiega,
si ha il diritto di dire che la vita è stata la sua collaboratrice.
246
Consideriamo la Chiesa non più come organismo come
abbiamo fatto nel nostro primo confronto, ma • come nazione o corpo
sociale, come abbiamo fatto nel secondo esame, e giungeremo alla stessa
conclusione.
La Chiesa è una monarchia: ma si tratta di una
monarchia il cui governo non sia influenzato da alcuno? E cioè
un'autocrazia nel senso assoluto della parola? Un tale ente sarebbe
una mostruosità. Ogni regime personale è temperato da collaborazioni
svariate senza le quali essa si trasmuterebbe nella più insopportabile
tirannia. Ma un monarca saggio or-? ganizza questa collaborazione e la
estende fin àcrve gli è possibile, in luogo di sforzarsi di
ridurla; si cir-;-conda di consiglieri, si appoggia sul parere dei mi-;
gliori e eonda il suo popolo prima di legiferare.
La legge, secondo i filosofi, è una espressione della.
ragione (dictamen rationis). Quale governo o quale capo di stato
può pretendere al monopolio della ra- • gione? L'autorità
rappresenta legalmente la ragione nei riguardi dei fini sociali;
ma essa non ha la pretesa di incarnarla realmente in lei sola.
Essa sa o deve sapere che presso il più umile cittadino si pos- ;
sono trovare sempre utili lumi e a più forte ragione
questi si possono trovare presso i migliori o negli :
organismi costituiti. Essa ha dunque interesse di con- ^
sultare e di ispirarsi, pur conservando la libertà del. supremo
giudizio, f
Ora ciò che la ragione è per la legge nel governo :
di questo mondo, l'azione dello Spirito divino lo è
nella Chiesa in relazione alla legge religiosa. E come la . ragione
d'uno Stato non è tutta nel governo, così l'azione dello Spirito non
è tutta nella gerarchla ecclesiastica, quantunque qui — ed è in
questo che calza ;1 paragone-— sia stata promessa un'assistenza
speciale.
Sapendo dunque che lo Spirito Santo non è tutto
247
nella gerarchla ecclesiastica; che egli è diffuso in
tutta là Chiesa e che vi anima i fedeli e vi ispira verità, grazie e
utili impulsi, l'autorità religiosa ascolta nello stesso tempo in cui
parla, essa subisce mentre agisce, santifica il suo lavoro santificatore
per mezzo delle infiltrazioni sociali che le pervengono.
E dire infiltrazioni non vuoi dire escludere
un'azione più diretta. I cristiani pregano e le loro umili suppliche
non sono considerate come non avvenute. In certe epoche l'intervento
popolare fu tanto tenuto in considerazione che il celebre adagio: Vox
popoli vox Dei sembrava un assioma di governo. Ne venne che fossero
indirizzate alle più elevate autorità della Chiesa ammonizioni
rispettose ma energiche ed insistenti, il che è certo la forma di
collaborazione più viva, da parte di persone come Caterina da Siena o
Vincenzo Ferreri, le quali non potevano essere in ciò giustificate che
da questo: Dio, esse almeno lo speravano, si manifestava in loro. Ora le
autorità le ascoltarono e furono con loro d'accordo.
Ascoltare così la voce di Dio dal di fuori non vuoi
dire cessare di contare sulla voce di Dio all'inferno, ma invece
ascoltarlo ovunque si riveli. E ciò non significa abdicare,
poiché se ci sottomette 'così in apparenza al giudizio dell'inferiore,
sì tratta però di un giudizio di cui l'autorità stessa permane
giudi-catrice; solo si tratta di un giudizio meglio giudicato, meglio
preparato, meglio controllato, in attesa che Dio lo sanzioni. ' ,
Da questo lato la Chiesa, che non è una democrazia,
partecipa, come ogni saggio potere, delle democrazia. E parimenti come
ogni saggio potere essa partecipa delle aristocrazie nel senso che le
autorità secondarie come vescovi, preti, diaconi o dignitari
.1248
qualsiasi esercitano in realtà l'autorità senza
dividerla.
Essi non la dividono cioè non la spezzettano, poi-che
l'autorità deve restare una, essendo tutta intera cosa del Redentore,
che non si divide; ma essi vi partecipano in virtù di una comunicazione
che presuppone un ritorno d'influenza.
Essi esercitano, per mezzo dell'elezione, un compito
nella formazione dell'autorità. Ed in seguito, per mezzo di consigli
privati od organizzati, col governo diretto di una parte del gregge,
hanno parte 'nell'esercizio dell'autorità stessa.
' Si dovrà precisare per ogni caso questa cooperazione;
ma per ora ci basta aver affermato il principio. Questo ci permette di
conchiudere che, se è vero, secondo l'antica saggezza, che il miglior
governo è quello che unisce la partecipazione di tutti all'azione dei
migliori, controllata e centralizzata da un solo;
il regime della Chiesa si dimostra per quanto è
possibile perfetto.
Resta solo da renderlo efficace con un genere di
collaborazione che è il più necessario di tutti e la cui ricerca,
quantunque puramente esortativa in ap- '• parenza, corrisponde al
fondamento stesso di ciò che ci occupa. Bisogna collabo'rare offrendo
il proprio cuore.
L'autorità non ha in realtà ragione d'essere, non
importa in quale categoria, se non per procurare il bene sociale. E
qual'è il bene sociale, tra figli di Gesù, se non la carità .sotto il
suo duplice aspetto: amore di Dio e del prossimo, includendovi tutte le
virtù che ne discendono e che lo difendono, invocando il progresso
morale che ne è la manifestazione e attendendo per più tardi la
consumazione?
La carità all'interno dei cuori è II più grande
valore della Chiesa. Vale di più, a questo titolo fónda-
-840
mentale, un'anima virtuosa che non un'autorità, e un
santo che non un Papa, se il Papa non lo fosse. Il più grande nel Regno
dei cieli, secondo la testimonianza di Gesù — e il Eegno dei cieli di
cui egli i, parlava è innanzi tutto la Chiesa — non è Pietro ne
alcuno dei Dodici, almeno a titolo di capo, ma è un piccolo
bambino umile e retto e che assomiglia a Gesù.
Certo, le grazie di missione sono più grandi
socialmente e per ciò che è visibile: non ci si pone in ,, rango per
ordine di santità; ma le grazie inferiori sono più grandi in senso
assoluto e, infine, più efficaci. E' ciò che risulta dalla dottrina di
San Paolo sui doni divini, ed è ciò che risulta dalla sua dottrina
della autorità che egli pone sempre « a servizio dello Spirito» (II
Cor. Ili, 8) precisamente per il fatto che essa ne è la regola.
Dalla regola nessuno può prescindere, e una categoria
di individui meno di un singolo; ma senza l'alito di vita e le virtù
che lo Spirito obbedito sveglia in noi, la regola non sarebbe che una
fune tesa nel vuoto; tutto il sistema di governo della Chiesa sarebbe un
mulino senza grano da macinare e a che servirebbe l'abbondanza dei suoi
ingranaggi?
.Rendiamoci conto che il formalismo, chiamato nel
Vangelo fariseismo, non ha mai potuto salvare alcuno. Ci si predica la
fede; ma non ci si può dare la fede. Ci si detta una condotta, ma non
si può mantenere una condotta per noi ne, in questo senso, ci si può
condurre. Ci si conferiscono i sacramenti e questi, efficaci per
istituzione, possono per nostra colpa, esercitare all'inverso la loro
efficacia. Ora se questo si generalizzasse, diventerebbe fatale che vi
sia reazione in tutto il corpo e sul governo stesso; ma non nella sua
origine che è divina, ma nei suoi modi d'applicazione e nella sua
efficacia.
260
Non si può più governare quando i sudditi non
obbediscono più. Ciò che fa la forza dei governi è la buona
volontà dei popoli. Se questa vien meno, la macchina è bloccata e si
ferma.
Ma non si deve temere che la Chiesa abbia mai ad
arrestarsi, perché lo Spirito di santità che in essa è diffuso può
impedire il male ed evitare gli effetti che ne potrebbero derivare. La
storia dimostra che le prove a cui è sottoposta la Chiesa, anche le sue
prove morali, fanno risaltare da ogni parte le sue virtù nascoste. Ma
se la Chiesa non perisce, può però decrescere a cagione del fatto che
la vita può, •in ciascuno di noi, inaridirsi.
Sta perciò in noi di dare alla gerarchla la
eoo-perazione che sola può rendere pienamente efficace per noi ed utile
a tutti il lavoro che essa deve svolgere. Lavoro di cui San Paolo
ricordava le condizioni ai Corinti troppo attaccati alle persone
gerarchiche, quando diceva loro: « Io ho piantato-; Apollo ha
inaf-fi.ato, ma è Dio — cioè Dio inferiore, Dio obbedito — che
ha fatto crescere».
251
CAPO IV IL PAPA
II regime della Chiesa, quantunque ammetta una larga
cooperazione dei suoi sudditi e delle sue autorità secondarie, è però
un regime centralizzato, in fondo monarchico, e ciò per il motivo che
l'autorità spirituale della Chiesa è divina.
Questa si governa con la rivelazione, cioè col
comunicarci la Verità Prima, con la sacramentalità che è un effluvio
divino, e con un potere che, estendendosi sino al fine supremo, deve
provenire da Dio.
Nella Chiesa dunque tutto scende dall'alto. E il primo
gradino è Gesù. Il Padre che è «più grande di lui» in
quanto uomo, ma col quale, per grazia d'unione, non fa che una cosa
sola, gli fornisce i beni destinati .all'umanità. Il Figlio
dell'Uomo regna con Dio sull'organizzazione che nel Vangelo è
precisamente chiamata Regno di Dio, per far risaltare il
carattere dell'autorità che vi presiede.
A partire da Gesù, noi sappiamo che l'autorità divina
si diffonde per mezzo della missione permanente organizzata dal
Salvatore nelle superiori gerarchle della Chiesa e precisamente nel
corpo episcopale, successione autentica dei Dodici.
Ma una tale missione, essendo collettiva, non può
^253
essere inorganica. Essa ha un capo che esercita la
funzione di Gesù e rappresenta il mandante nel gruppo dei mandatari;
essa rende visibile il Capo invisi-' bile che è ritornato nel mistero,
quantunque egli non ;
cessi di governare la sua organizzazione, la Chiesa, per
mezzo del suo Spirito incessantemente comunicato -con la sua presenza
sacramentale e con la sua azione multiforme nei riti della Chiesa. . ,
Pietro, maggiordomo del Regno dei cieli grazie alle
chiavi affidategli dal suo Maestro e il successore di Pietro che ha
ereditato il suo potere e rappresenta come lui, partito Gesù, la
permanenza dell'azione del Redentore: tale è l'autorità suprema nella
Chiesa. F già vi abbiamo insistito a proposito del carattere ro- ;
mano della Chiesa stessa. :
Una tale autorità non può essere che plenaria nei
riguardi di tutte le funzioni che si riferiscono alla;' missione
permanente del Salvatore.
Gesù stesso è il centro non solo della Chiesa visibile
e gerarchica, ma di tutti gli uomini sia viventi sia morti sia
nascituri, della natura stessa e dell'universo tutto per quanto esso ha
relazione con l'umanità. Il Papa non ha un così ampio potere. Egli è
semplicemente capo di missione e questa si esercita nel presente, nel
visibile. Ma sotto questo riguardo il suo potere è pure plenario,
poiché esso non è altro che quello dello stesso Gesù. Il Papa non è
un potere intermediario tra il Redentore e i vescovi. Egli è Gesù
stesso che governa l'episcopato della Chiesa come vicario.
Ora è essenziale caratteristica di un vicariato quella
di non costituire alcun grado gerarchico nuo--vo, ma di lasciar
sussistere l'identità, per trasferimento, tra il capo rappresentato e
il suo mandatario. Un ambasciatore, nei limiti delle sue facoltà, non
253
è un'autorità posta al disotto del suo principe, ma
esercita l'autorità del principe stesso.. Così il Papa esercita nella
Chiesa l'autorità di Gesù Cristo, governa in suo nome, costituendo con
lui, come suo vicario, un solo ed unico potere e adempiendo alla
funzione fondamentale, nei riguardi dell'edificio spirituale, che era
stata già affidata a colui che è stato chiamato la pietra angolare.
E ciò che voleva significare il Divin Maestro quando
diede al suo rappresentante il nome simbolico di kephas, Pietro.
E il Papa, portando il nome dato dal Redentore: pietra angolare o roccia
di fondazione, ha ottenuto nei riguardi della sua propria missione tutte
le prerogative del Redentore.
Innanzi tutto il magistero, cioè l'insegnamento.
Ciò non vuoi dire che il Papa abbia autorità di insegnare qualsiasi
elemento nuovo dopo la venuta del Redentore; egli non insegna nulla di
nuovo; ma è il capo tra coloro ai quali è stato detto: «Andate ed
istruite tutte le nazioni, insegnando loro ciò che vi ho detto ».
In tale modo egli è il ripetitore della lezione divina
fatta agli uomini. Conferma i suoi fratelli nella fede; organizza
il simbolo, lo interpreta, lo difende, decide in modo definitivo sulle
controversie che solleva, serve da ultimo appello nelle dispute che '
tali controversie non possono far a meno di suscitare in seno ad un
-gruppo unito — e Che resta precisamente tale per questo mezzo; ma
così diverso per l'intelligenza e d'altronde tentato sotto questo
rapporto come sotto tutti gli altri.
Tutte le potenze del male non sono dell'ordine pratico.
C'è il demone dell'orgoglio intellettuale, quello dell'amor proprio,
della ostinazione, del cavillare e della contesa con altri.
'Gesù l'aveva previsto e •volevaopporsi a questo
gB4 . •
pericolo quando diceva: «Simone, Simone, Satana vi ha
reclamati per cribrarvi come il frumento; ma io ho pregato per fé
affinchè la fede non ti abbandoni. E tu rafforza nella fede i tuoi
fratelli ».
Notate questo singolare e questo plurale? Satana vi
ha reclamati per cribrarvi, cioè per non lasciarvi tranquilli e
agitarvi con pensieri diversi. Anche voi;
miei .inviati potrete subire i suoi assalti. Allora
tu, Simone Pietro, se tu fossi pure turbato e agitato da dubbi in
merito alla mia parola, ricordati che ho pregato per tè, perché la
tu,a fede non venga meno. E poi tu, tu in particolare, come
capo devi rafforzare i tuoi fratelli nella fede.
Il privilegio dell'infallibilità trova qui il suo punto
di contatto. Ma questo dovrà essere studiato a parte.
La seconda prerogativa essenziale per il vicariato del
successore di Pietro è il governo. « Tutto ciò che legherai sulla
terra sarà legato in cielo; tutto ciò che scioglierai sulla terra
sarà sciolto in ciclo! (Mat-teo XVI, 19) ». Cioè l'autorità di
Gesù, ritornato in Cielo, non è però assente dalla sua opera. Egli
l'ha comunicata collettivamente a tutto il gruppo dei suoi inviati:
così egli dirà ,a tutti in un altro passo dello stesso Vangelo (Ibid.
XVIII, 18): « Ciò che voi legherete sulla terra sarà legato anche in
Cielo e ciò che scioglierete sulla terra sarà sciolto in Cielo ». Ma,
dice Bossuet, « il seguito non distrugge ciò che precede...
L'espressione: Tutto ciò che legherai, detta ad una sola
persona, viene già a porre sotto la sua potenza ciascuno di coloro a
cui poi sarà detto: Tutto ciò che voi legherete» (1).
(1) Discorso sull'unità della Chiesa.
«P,asci i miei agnelli, disse ancora il
Salvatore a Pietro prima di partire; pasci le mie pecorelle » (Giov.,
XXI, 15-17). E su questo passo scrive S. Ambrogio:
«Prima gli agnelli, poi le pecorelle sono affidati alle
sue cure; poiché egli è costituito non solo pastore ma pastore dei
pastori. Egli pasce gli agnelli e le peco-'relle; pasce i fìgli e le
madri (cioè le chiese), governa i sudditi e i vescovi » (1).
Gesù dice: Pasci le mie pecore, pasci i miei
agnelli, cioè: io non me ne stacco e tanto meno lascio il potere che ho
su di essi; ma questo potere lo comunico affinchè sia esercitato in mio
nome. Tu sarai pastore, Pietro, con me e in me, tu sarai un solo pastore
con me.
Inoltre Gesù non dice: Pasci il mio gregge, come se
parlasse collettivamente; ma i miei agnelli, le mie. pecorelle,
designando il tutto per mezzo della parte, come se volesse nominare
ognuno individualmente e affidare alla custodia di Pietro non solo
l'insieme dei fedeli, ma ogni fedele, non solo l'insieme delle chiese,
ma ogni chiesa singola. Questo per dire che il potere di Pietro e dei
suoi successori nei riguardi delle chiese e dei fedeli è immediato,
cioè che egli può dare ordini a ciascuno e a tutti, individui e
gruppi, fedeli, pastori, chiese particolari o Chesa universale.
Di solito, all'infuori delle cause maggiori che il Papa
si riserva, questo potere universale si esercita per gradi: così
richiede la saggezza; ma non c'è in ciò alcuna necessità di
giurisdizione; essendo nella Chiesa una sola l'autorità, ed avendola il
Papa intera, a lui è riservato di bastare a tutto in caso di ne
-
(1) Espos. in I.uc. X, 175. 286
cessità: da lui solo dipende sapere in quali forme e in
quale misura gli conviene di trasferire o di riserbarsi le sue funzioni.
Il Papa è con ciò giudice supremo, in mancanza di che
il suo governo sarebbe privo d'efficacia. E il suo giudizio è senza
appello. Non si può neppure dire con Pascal al tempo delle sue
scorribande gianseni-ste: « Ad tuum Domine Jesu tribunal
appello; mi appello, o Signore Gesù, al tuo tribunale ». Questo
grido, commovente del resto, è in certi casi giustificato; ma allora
l'autorità non è nella sua legge e sul suo terreno. Ma nel suo campo e
secondo la sua legge ;
l'autorità del Papa non può cedere a quella di Gesù
Cristo, perché è la stessa.
Infine il potere legislativo e giudiziario del Sommo
Pontefice presuppone come conseguenza il potere di applicare sanzioni;
ben inteso, conforme alla natura della sua giurisdizione: donde le pene
canoniche di cui egli è il supremo dispensatore.
Come pontefice propriamente detto, cioè dal punto di
vista dell'azione sacramentale, il Papa. non è nulla , più di un
vescovo; ma quanto all'uso che ne è fatto ' e ai riti che
l'accompagnano egli è primo come in tutto il resto. Egli è capo delle
liturgie, da disposizioni su tutto il culto divino per dare all'azione
mistica della Chiesa mezzi acconci in relazione ai tempi, ai luoghi e
alle persone.
Questi diversi compiti e lo spirito in cui è opportuno
adempierli si riflettono nei nomi che per tradizione riceve il capo
della Chiesa e nelle insegne esteriori .di cui si riveste la sua
dignità.
Lo si chiama il Papa, cioè il Padre, padre per
eccellenza nel campo soprannaturale, padre dei padn,
25" 17. — La Chiesa.
essendo capo di coloro che ci generano alla fede con
l'insegnamento e alla vita cristiana col battesimo;
capo di coloro che ci governano con un governo che deve
essere del tutto paterno, poiché applica la legge d'amore e di cui San
Paolo ha espresso l'a/'one nel grido: «La carità di Cristo ci spinge:
Carità1;
Chrìsti urget nos ».
Lo si chiama Vicario di Cristo e ne abbiamo già
indicato la ragione: è un Cristo proseguito per delega; un procuratore
in missione terrestre.
Lo si chiama S.anto Padre o Beatissimo Padre, non
tanto per allusione filiale ad una santità personale che piamente si
presuppone quanto per ricordare la santità del suo ufficio, la santità
della dottrina e delle leggi che egli promulga, la santità del
Redentore che rappresenta e dello Spirito di cui è strumento.
Lo si chiama Sommo Pontefice e Vescovo dei vescovi
per segnare l'ordine gerarchico che termina nell'unità con l'unico
pastore dell'unico gregge evangelico.
Egli stesso si chiama nelle sue lettere apostoliche ,'\Servo
dei servi di Dio, e ciò in ricordo della formula del Maestro che
definisce l'autorità nel regime cristiano: «Colui che fra voi è capo
sia 11 servo di : tutti ». E nello stesso tempo questo umile
appellativo sottolinea, oltre allo spirito d'autorità, lo scopo di tale
autorità. Ci si spinge al servizio di Dio, pensando di essere così e
solo così al nostro servizio.
La tiara con tré corone, o triregno, rappresenta il
triplice potere dottrinale, legislativo e giudiziario. Il pallio,
riduzione dell'antico mantello bizantino che gl'imperatori davano ai
pontefici, è un segno di giurisdizione universale nel senso che il Papa
lo porta sempre ed ovunque, a differenza dei vescovi o arci-
258
vescovi che ne fanno un uso ristretto, come è il loro
potere. La croce che si porta davanti al Papa nelle cerimonie mostra in
nome di chi egli procede. E cosi dicasi del resto. I simboli sono
numerosi nel decoro esteriore che circonda l'autorità religiosa. L'idea
sarà anche qui sempre la stessa: potere plenario e universale, potere
del Redentore trasmesso e perciò, nel campo visibile, potere divino per
fini celesti.
Il Papa non rivendica, in nome della sua carica,
dignità o principato temporale; ma in nome della sua carica rivendica
l'indipendenza piena e intera di cui ha bisogno affinchè lo spirituale
si mantenga al disopra delle maglie della rete politica, delle
agitazioni da cui le acque nazionali e internazionali sono sempre più o
meno turbate.
Ora nel corso degli anni si è visto che la miglior
garanzia di questa indipendenza era un principato temporale di piccola
estensione, atto solo a sottrarre il pontificato alla sopraffazione
d'uno Stato particolare, a danno delle libertà apostoliche e della
fiducia dei popoli. « Occorreva, come riferisce la deliberazione dei
vescovi del 1682, che il capo della Chiesa, il romano pontefice, non
fosse suddito e nemmeno ospite di alcun principe, ma che risiedendo in
territorio proprio, fosse sui juris e potesse conservare e
propagandare la fede in una nobile tranquilla e augusta libertà e di
là potesse governare tutta la comunità cristiana ».
Napoleone I giudicava tale istituzione « la più saggia
e la più favorevole che si possa immaginare nel governo delle anime ».
Si può credergli; poiché tale istituzione gli era, sotto certi
aspetti, assai poco simpatica.
259
Riassumendo, il papato si presenta a noi come l'organo
unificatore di tutta l'opera del Redentore e di tutti i suoi fedeli; di
tutti i suoi beneficiari dispersi e di tutte le sue funzioni. Tutto ciò
che si agita nella Chiesa vi trova il suo centro di impulso. Tutto parte
da Roma e tutto vi ritorna. Lo splendore della tiara è costituito da
un'irradiazione immensa che, dalla lanterna di San Pietro ove essa
sembra riluce, dirige ovunque la sua luce attiva e vede in cambio
convergere verso di essa milioni di sguardi. Là è il faro che sulla
costa accidentata, al di sopra delle rocce oscure, all'incrocio di
strade inesplorate e pericolose, veglia, guida, ammonisce e conforta con
la sua vista, esercita l'ufficio di stella e parla di speranza evocando
la visione del porto.
Quando il concilio generale chiama a Roma centinaia di
vescovi da ogni parte della terra, portatori di omaggi e di voti nonché
della testimonianza e dei pensieri religiosi di milioni di esseri, si ha
il segno 'concreto dell'unità realizzata dal papato; è allora la
marcia verso la stella dell'umanità che si sforza di .raggiungere un
punto in cui sa che si trova il suo Dio in un'istituzione di salvezza,
come nella culla di Betlemme.
Ma in questa visibile convergenza di viandanti non vi è
nulla di più di quanto si trova nella tranquilla realtà quotidiana. La
strada del cuore e degli spiriti è sempre rivolta' verso Roma; ed essa
può essere sempre percorsa; i veri fedeli la percorrono ogni giorno. E
non è un motivo di fede trascurabile questo vasto confluire di elementi
presi da tutte le razze e da tutte le nazioni, da tutte le classi
sociali e di tutti •i gradi di cultura, da tutte le età e civiltà;
elementi divisi in tutto salvo che su credenze e riti essenziali,
sull'adesione a un centro indiscusso che nermette'di
dire: Ubi Petrus, ibi Ecclesia: Là ove è
Pietro, lì è la Chiesa.
Se il corpo ci unisce alla famiglia e alla patria, che
sono le nostre madri secondo la carne, è certo che solo la grazia di
Dio ci può unire in modo duraturo e profondamente alla famiglia dei
figli di Dio, i quali, non essendo nati che dallo Spirito, non possono
esistere che in Lui.
Vi è qui qualche cosa di più dell'uomo. Vi è la
testimonianza di una presenza divina.
261
CAPO V IL MAGISTERO INFALLIBILE
Nelle visioni dell'Apocalisse relative alla Chiesa
trionfante si trova questa frase di un così profondo simbolismo: «E la
città non ha bisogno ne di sole ne di luna per illuminarla, poiché la
gloria di Dio la illumina e l'Agnello ne è la face ».
Strano sistema di illuminazione, che sembra doppio e che
è uno solo, poiché l'Agnello serve da face e nello stesso tempo la
gloria di Dio è per la città eterna l'unica luce!
E' il mistero delle cose comunicate dal Redentore che è
qui indicato. Non vi sono due luci, non ve ne e che una. Ma la luce
ineffabile, simile alle vibrazioni del fluido etereo, che i nostri occhi
non vedono, si condensa sul Figlio dell'Uomo, che le serve di face. Ora
l'applicazione di questo mistero alla città di Dio in questo mondo ne
segue come diretta conseguenza in quanto la città terrestre non forma
che una cosa sola con l'altra, malgrado le divisioni utilitarie e
provvisorie.
L'unica luce degli uomini è Dio. Noi non invochiamo
altra sorgente di luce. Non si deve dire che nel campo spirituale
crediamo ad altro Ente che non sia
262
Dio. Ma questi si rivela agli uomini per mezzo del
.Redentore ed ha tatto dell'Agnello immolato e poi glorificato la face
della città, permettendogli di dire, come uomo, così per
comunicazione: «Sono io la luce del mondo ».
L'Agnello risalito nel mondo invisibile non ha però
lasciato senza luce le nostre regioni. L'insegnamento del Vangelo rimane
con noi. Ma l'insegnamento senza autorità vivente che cosa
diventerebbe!
Quando Aristotele morì, la sua dottrina così coerente,
e così elevata nella sua concretezza, così ammirabilmente sintetica,
cadde nelle mani di discepoli dalle tendenze diverse che la stirarono in
tutti i sensi" e la fecero infine deviare verso il
materialismo. Nel medio evo, quando gli Arabi se ne impadronirono, la
spinsero verso il panteismo. Oggi coloro che la studiano su testi
particolari, come sono i nostri testi e-vangelici; oscuri, come lo sono
spesso i nostri oracoli, suscettibili perciò di interpretazioni
diverse, come la esegesi lo prova abbastanza in materia di libri santi,
non sanno più a qual partito attenersi.
Spezzettamento, deviazioni, discussioni senza uscita e
finalmente in pratica il nulla; ecco dunque ciò che avrebbe atteso la
Buona Novella, se ci fosse rimasto solo il suo profumo in alcuni
ricordi oppure la sua cristallizzazione in alcuni testi senza alcun
rappresentante vivente. Ciò è tanto vero che tutte le sette che hanno
preso la loro parte sono giunte a una confusione dottrinale tanto più
pronunciata quanto più esse sopravvivevano. La stasi di alcune segna
semplicemente la loro morte. E' a questo punto che si scrivono libri su
libri fra i dissidenti per chiarire questo problema primordiale; qual'è
l'essenza del cristianesimo? ' • '
Conoscendo dunque ciò che c'è nell'uomo, come
di-,
263
ce l'apostolo Giovanni, e possedendo altri mezzi diversi
da quelli che erano a disposizione degli Aristotelici in cerca di una
fuggevole posterità, il diviri Maestro organizzò dottrinalmente e
praticamente la sua rappresentanza terrestre. Egli era la face e
partiva: costituì perciò una face al suo posto, face per sostituzione,
face che avrebbe rischiarato della sua luce e non di una nuova
luce. E ciò nell'unità di una comunicazione dì cui egli deve restare,
con Dio, la sorgente; in una continuità che dovrebbe preservare
dall'estinzione le luci evangeliche e invierebbe i suoi raggi in tutte
le direzioni così da illuminare tutte le situazioni e da impiegarli per
tutte le iniziative pratiche, e intellettuali; ma senza nulla innovare.
Nessuno avrebbe dovuto essere nella Chiesa sole, luna,
stella, tale da irradiare nel campo soprannaturale una luce propria.
Solo l'Agnello doveva essere la face; la gloria di Dio tutta sola la
luce; ma vi sarebbe stata continuità della comunicazione irradiante
'luce per mezzo dell'organo indefettibile chiamato pa ^pato.
Tale è il punto di contatto dell'infallibilità
pontifìcia che noi promettevamo di precisare, quantunque in verità
tutto sia chiaro, quando bene si giudichi da ciò che precede.
Innanzi tutto si deve considerare che l'infallibilità
la quale è una garanzia per tutti i cattolic', non è un privilegio
della persona del Papa nel senso che egli abbia a profittarne di più di
noi; egli ne trae vantaggio come noi e deve sottomettervisi e credervi.
Il Papa ha fede nell'infallibilità, ha fede
cioè nelle sue decisioni ed è obbligato ad esse come il più umile dei
fedeli: e ciò è prova che l'infallibilità non gli ap-
264
partiene e che sola luce è qui lo Spirito Santo.
L'infallibilità inoltre non è privilegio personale nel senso che il
Papa ne abbia in se stesso le disposizioni, come se noi dovessimo
attribuirgli una psicologia speciale. Il Papa, in quanto persona
privata, è un uomo come tutti gli altri, debole come noi, peccatore
come noi e suscettibile di errore come ogni mortale. Ne abbiamo la prova
nel fatto che certi papi hanno scritto opere di teologia che non godono
nella Chiesa di un'autorità particolare e che si possono liberamente
confutare. San Tomaso, semplice monaco, è ben altrimenti importante
come dottore del papa Benedetto XIV che d'altra parte era
particolarmente competente in questo campo.
Donde si vede che valore abbiano 1 rimproveri che
certuni ci fanno a questo riguardo, come se la infallibilità fosse la
deificazione di un uomo.
Noi non deifichiamo alcuno, se non Dio; ma Dio lo
deifichiamo abbastanza per porlo al disopra delle piccole competizioni
d'orgoglio e delle ingratitudini che vorrebbero impedirgli di rivolgersi
verso gli uomini.
Egli si è piegato verso gli uomini in forza della
creazione stessa, della sua redenzione e continua a farlo per soprappiù
proseguendo questa redenzione in tutti i campi in cui abbiamo bisogno
che essa ci sollevi.
Da soli, scivoliamo verso l'abisso dell'errore; noi
siamo come le Danaidi per le verità religiose. Se vogliamo riscattarci
dal nulla dottrinale, bisogna che sia garantito con un mezzo qualsiasi
il minimo di verità necessarie. Il mezzo offertoci dal Redentore è la
preghiera che il Padre esaudisce sempre e che ot-
265
tiene qui la sicurezza. «Ho pregato affinchè la tua
fede non venga meno ».
La preghiera del Redentore basta a salvarci dalle
tenebre. Ma è chiaro che non si tratta ne di nuova rivelazione, ne di
ispirazione o di nuove verità infuse nel nostro spirito: si tratta
semplicemente di una preservazione provvidenziale.
I Papi non sono superuomini ne semi-dei secondo le
concezioni pagane. Si deve abbandonare questa interpretazione alla
malafede semicosciente o all'imperdonabile leggerezza di alcuni
dissidenti. I Papi non sono che deboli mortali convenientemente
assistiti. Essi. non beneficiano di alcun miracolo psicologico. Il
Salvatore ha pregato anche per loro e ciò basta. La su;a preghiera
onnipotente ottiene, don mezzi che si precisano in modo provvidenziale
per ogni caso, ciò che potremo chiedere noi stessi con minore efficacia
chiedendo a Dio: Preservami dal pericolo di sbagliare.
Ne segue in secondo luogo che ben preciso è l'oggetto
dell'infallibilità: e ciò è quanto riguarda la perpetuazione
dell'insegnamento del Redentore e che rappresenta il contenuto della sua
missione espresso con le parole: «Insegnate loro CIÒ' CHE IO VI HO
INSEGNATO ». Non è dunque la rotazione della terra.
Perciò nessuna teoria scientifica o storica, nessun
sistema fliosoflco cade, come tale, sotto il magistero ecclesiastico. Se
la Chiesa se ne preoccupa e ne giudica, ciò avviene solo quando le loro
conclusioni implicano una negazione della sacra eredità. Allora la
stessa giurisdizione che si sa giudice di tale eredità religiosa, è
conscia pure di essere giudice del suo contrario; ma questa non è una
manomissione della
266
scienza: la libertà dei metodi scientifici resta
intatta (1). <• - • • :
In terzo luogo, quando attribuiamo l'infallibilità al
successore di Pietro, lo facciamo in linea principale ma non esclusiva.
Non si deve dimenticare che è stato detto, al plurale: « Andate e
istruite tutti i popoli ». Il privilegio di non errare in materia
di dottrina religiosa è un privilegio di missione: esso appartiene a
tutto il gruppo missionario e in esso a tutta la Chiesa.
Così le decisioni conciliari, dopo il concilio di
Gerusalemme presieduto dallo stesso San Pietro, sono registrate al
plurale. «E' sembrato bene allo Spirito Santo e a noi»,
dicevano i nostri primi Padri. Ma il gruppo apostolico o episcopale non
gode del privilegio comune che nella sua unità determinata dal capo,
sotto la dipendenza del capo, in virtù della confermazione, di cui
Pietro è stato incaricato verso i suoi fratelli: «Ho pregato per
tè, affinchè la tua fede non venga meno e tu conferma i tuoi fratelli
».
L'infallibilità del gruppo apostolico e del corpo
e-piscopale, suo successore; quella di Pietro e del Papa, suo
successore, è un'infallibilità che conferma. Di guisa che una
decisione non è garantita da promesse efficaci del Salvatore che quando
è portata in u-nione con Pietro e da lui confermata secondo le leggi
della sua missione. Ciò che dice il concilio senza il Papa, o a maggior
ragione contro il Papa, è nullo;
ciò che dice il Papa senza il concilio è per se stesso
sufficiente.
Però a lui compete, per procedere secondo la volontà
di Dio che fa tutto con saggezza, di illuminarsi
(1) Cfr. V. I, libro II, cap. IX: Della libertà
intellettuale del credente.
267
delle luci comuni e di trovare abitualmente in questa
collaborazione il mezzo umano della impossibilità di errare garantita
per azione divina. Ma se il Papa non provvede a ciò, la promessa del
Redentore •non diventa per questo fallace. L'errore di uno solo non
sarà causa di infelicità per tutti. Dio ha il mezzo di salvare in ogni
caso ciò che ha stabilito di sal-
L'indefettibilità della fede nella Chiesa sarà così
opera dei Dodici collettivamente e di Pietro in particolare,
dell'episcopato nel suo insieme unito al suo /capo e del capo per un
diritto di primato che gliene (Costituirà una prerogativa singolare e
propria. Si dice singolare o personale ma non nel senso che
riguardi la persona privata del Papa; essa riguarda invece la persona
gerarchica, la carica; ma in questa carica e nel Papa soltanto si
concentra nella sua pienezza ed essa è perciò, in questo senso,
singolare.
D'altra parte essa non dipende dall'insieme, ma al
contrario vi si comunica, venendo dal Redentore e da Dio e in tal senso
essa è propria. Abbiamo detto che la democrazia religiosa, che
volesse far salire dal basso il potere, dottrinale o di altro genere, in
luogo di farlo discendere in successive comunicazioni, sarebbe il
contrario di un regime divino.
Se si riconosce nelle sue semplici deduzioni — ben
semplici a partire dalle divine intenzioni di cui sappiamo essere
gratificata l'Umanità — si riconosce con ciò il potere-fantasma
tanto coperto di sarcasmi e di odio, all'indomani del concilio Vaticano?
Sfida al secolo della luce, bizantinismo, idolatria, autocrazia
at-tentatrice di tutti i principi della vita moderna!...
Si continuò su questo tono per circa vent'anni e poi,
siccome non si può sempre pensare alle stesse
268
cose, si dimenticò; ma basta ripetere le parole:
infallibilità del Papa, perché in certi ambienti si veda ritornare
sulle labbra un sorriso o qualche piccola bestemmia fatta subito
rientrare, eco dei grandi schiamazzi di un tempo. •
Prima di sorridere o di bestemmiare si dovrebbe cercare
di comprendere. Ciò che diciamo è così na- ;
turale, anche nell'ipotesi di una positiva rivelazione,
che vi sono stati anche degli increduli e, fra i cristiani dissidenti,
dei protestanti (e cito proprio costoro in particolare perché il loro
tratto caratteristico è appunto l'opposizione alla Santa Sede) che
l'hanno ammesso pienamente.
Ne citiamo uno solo, che non si può trascurare ne tra i
suoi correligionari, perché fra essi egli gode di un meritato
prestigio, ne tra gli altri, dato che è un'eminente personalità.
Augusto Sabatier (1), analizzando il concetto di dogma, prova a lungo
che, se si vuole un dogma fisso, bisogna assolutamente farlo custodire
dall'infallibilità. E del resto questa dimostrazione non era difficile;
ma essa è almeno sincera.
Ben inteso, però, l'autore non la presenta come una
ragione per aderire al Papa, ma come una ragione di respingere il dogma
fisso in cui sono « coinvolti » coi cattolici anche gli ortodossi
protestanti.
Su questi punti siamo ben fissi e non aspettiamo
chiarificazioni; ma siamo ben lieti di registrare l'argomento. Se c'è
rivelazione, ci si dice, c'è eredità d;
verità da conservare; c'è nel mondo una luce attorno
alla quale bisogna porre la mano per impedirle di spegnersi. Allora
pensate alla tempesta delle opinioni e contraddizioni umane! Se c'è
eredità e pericolo con-
(1) Le religioni d'autorità e le religioni dello
Spirito. Che cosa è un dogma?
269
tinuo per questa, pericolo mortale, delle due cose
l'una: o il Rivelatore ne trae le conseguenze e permette alle tenebre
— senza che forse vi sia colpa da parte di alcuno — di far
scomparire la sua luce, oppure deve organizzare un sistema di
salvaguardia. In luogo della torcia a vento ci occorrerà il fuoco
protetto, il faro la cui corazza di vetro custodisce il suo bagliore
contro i venti del mare.
«Un dogma indiscutibile suppone una Chiesa
infallibile»; tale è la proposizione lapidaria che stabilisce il
nostro autore. — Grazie, caro avversario! Vói avete un
bell'aggiungere, dopo di ciò, che non c'è dogma indiscutibile; che il
Vangelo non è stato che « un invito tutto morale, un'esperienza, una
consolazione offerta a ogni cristiano », non ne saremo commossi,
un'esperienza, una consolazione, un invito tutto morale è un canto, e
il « vecchio canto » di cui ci risuonano gli orecchi. Noi invece
crediamo che il Salvatore ha detto UNA PAROLA; che egli ha
parlato « come avente autorità », come dicevano i suoi ascoltatori;
come il solo che conoscesse i segreti del ciclo, essendo venuto dal
cielo e ripetendo egli ciò che aveva ascoltato da suo Padre, come egli
stesso affermava.
C'è in ciò per noi un elemento indiscutibile. e
riteniamo che ciò sia la vita dello spirito umano in relazione a
oggetti dei quali la nostra scienza tutto ignora, quantunque essi siano,
fra tutti, i più indispensabili.
Allora, riprendendo la vostra proposizione, noi diciamo:
Un dogma indiscutibile presuppone una Chiesa infallibile? Bene.
Aggiungiamo ciò che voi non discuterete: Una Chiesa infallibile
presuppone qualcuno in cui, in questa Chiesa, l'infallibilità trovi il
suo centro. In questo mondo il dogma vivrà e noi
270
pure religiosamente vivremo, mentre voi con la vostra
« esperienza » tutta morale e consolatrice, morite della più bella
delle morti dottrinali. E veramente mi sento preso di una pietà
simpatica quando vi sento dire, con una frase che letteralmente ammiro,
a proposito della definizione solenne fatta nel 1870 dell'infallibilità
del Papa: « Le apoteosi non sono che forme pompose della morte ».
La morte! Ma per chi parlate? Sono dunque i cadaveri che
vengono ora a dare il segno del trasporto mortuario ai viventi? Chi
dunque si è dissociato, come un corpo senza idea vitale, subendo sempre
più gli effetti di un principio arbitrario e antisociale; trovandosi
ridotto allo stato di magma, precisamente là ove obbedisce meglio ai
vostri suggerimenti, in cui si trovano sostanze ricche come voi, o
grande spirito, ma prive di legame organico, abbandonate all'anarchia
delle combinazioni casuali, come deve avvenire in seno alla terra,
quando l'anima, maestra di unità, non è più là?
E siete proprio voi, nella vostra bara che non è
neppure sigillata — poiché tutti i vostri quadri artificiali si
spostano — che intonate su di noi il la--'mento della fine? Dormite in
pace e non datevi pena per la Chiesa!
Lo dicevamo già a proposito dell'unità, che è uno dei
caratteri preminenti del cattolicesimo: il movimento di concentrazione
realizzato dalla Chiesa nell'ultimo conciliò, lungi dal soffocarla,
l'ha fatta meglio sviluppare. Era il movimento della fiera che si
raccoglie prima di spiccare il salto. Il Leone di Giuda conosce la legge
dei grandi slanci, e passa, ;n caso di bisogno, anche per condizioni che
sembrano Soffocarlo. Se l'ultramontanismo è stato un soffocamento, ne
vediamo e ne vedremo soprattutto in fu-
27i
turo la distensione graduale, forte, ampia talmente da
abbracciare un vasto avvenire, quando i contrasti attuali, talvolta
così confusi, ma di una confus'one che indica ricchezza, saranno
stati conclusi.
La concentrazione è il primo movimento della vita;
l'espansione ne è il secondo; e ciò di fase in fase sino a che un
giorno, quando i viventi immortali avranno 'compiuto i loro destini,
troveranno nell'espansione eterna, con la pace che perseguono lo •stato
felice dei molteplici elementi che noi siamo. Poiché siamo noi, uomini,
i beneficiari della vita sovrumana, che garantiamo, in questo mondo e in
vista dell'altro, le infallibili verità.
272
CAPO VI L'INFALLIBILITÀ' NEL XIX SECOLO
Avendo guardato in faccia il fantasma, che spaventa
alcuni, l'infallibilità del pontefice, lo abbiamo visto svanire in una
grande luce. L'infallibilità è ]a vita religiosa mantenuta nella sua
direzione, resa stabile, garantita contro la dispersione che è la
tendenza naturale dello spirito umano; così il tesoro delle verità
indispensabili si trova salvaguardato per mezzo di definizioni non
discutibili.
Quando, da questo privilegio preso in generale,
risaliamo al privilegio di infallibilità attribuito in proprio al Papa,
lo troviamo giustificato quando osserviamo che l'autorità nella Chiesa
non risale dalla massa dei fedeli ai suoi capi e al capo supremo, come
in una democrazia; ma discende, in nome del Redentore, dal capo supremo,
che conferma i suoi fratelli, ai capi intermediari, i vescovi,
che sono confermati, poi ai fedeli, che sono istruiti e così
l'infallibilità della Chiesa ha il suo centro in quella del Papa e
coincide in certo qual modo con essa, di guisa che si può dire: Là ove
è Pietro è la Chiesa.! Ubi Petrns, ibi Ecclesia.
L'infallibilità, cosa ben semplice, non è meno fon-
873
18. — La Chiesa.
(lamentale nel grado stesso di ciò che essa vuole
garantire. La dottrina è per la società religiosa ciò che per il
vivente è la sua idea vitale, cioè i suoi principii d'unità, di
specificazione e di esistenza.
Da allora si pone la questione: Perché l'infallibilità
è stata definita cosi tardi? Perché solo nel XIX secolo? Ciò che è
essenziale non può attendere. Ciò che è centrale deve trovarsi
all'inizio, al mezzo e al termine di una esistenza che si pretende
immutabile. Se la cosa si svolge diversamente, sembrerà giusto dire, al
momento di una dichiarazione, che nulla poteva far prevedere: La Chiesa
devia: sono il capriccio e l'autocrazia che la guidano. Non se ne resta
ingannati!
Questa questione deve essere in realtà 'risolta. Essa
non ha nulla di imbarazzante per noi; ma è interessante per parecchie
ragioni.
E' vero; ciò che è essenziale non può attendere, Ma
questo è uno di quei principii che non dicono / nulla, finché non si
è precisato il loro contenuto. At- 1 tendere, può applicarsi sia alla
sostanza d'un tatto sia' ai suoi sviluppi sia al suo manifestarsi.
Questo a sua^ volta, e così pure lo sviluppo potranno essere parziali,
estesi,. compiuti più o meno e, per finire, completi e indiscutibili.
A questi lumi sì giudichi.
Il primo di tutti i concili, che fu la riunione dei
Dodici e dei primi discepoli a Gerusalemme per discutere la questione
delle osservanze ebraiche, ci mostra il funzionamento iniziale della
gerarchla dedita all'insegnamento. Ora, che cosa si è detto, dopo
l'esposizione della causa e per iniziare le conclusioni? «E'
sembrato bene allo Spirito Santo e a noi». Una tal maniera di
esprimersi non lascia alcun dubbio Sulla coscienza che aveva la Chiesa,
sin dagli ini-
274
zi, di possedere nella sua gerarchla, almeno presa nel
suo insieme, il mezzo di collegarsi con la Verità prima. .
Ma, notiamo, questa decisione presa in comune è stata
avanzata da San Pietro; è lui che presiede, mentre Giacomo, « fratello
del Signore », che gode, a cagione di ciò e per la sua pietà, di una
grande autorità personale, non formula la sua opinione che riferendosi
a lui, Pietro, e nello stesso tempo l'assemblea « mantiene il silenzio
» su ciò che è stato discusso, dopo le conclusioni di Pietro. Non è
ciò per anticipazione il « Roma locata est, causa
'finita est: Roma ha parlato, la causa è chiusa » che doveva essere
proclamato più tardi?
Dopo che San Paolo ha predicato per tré anni, sulla
fede di ispirazioni di cui egli conosce l'origine, ma che non sono
ancora controllate, lo prende uno scrupolo e, tenendo il giudizio
proprio, piaga religiosa che bisognerebbe tante volte reprimere, va a
Gerusalemme per confrontare il « suo Vangelo », cioè il suo
insegnamento con quello, di chi? — di Pietro Rimane quindici giorni
con lui, vede solo Giacomo, prende cura di dire che non ha visto alcun
altro e se ne ritoma tranquillo pronto ad annunciare ai Galati, con
quell'energia che non ha timore di spingersi sino in fondo: « Quando io
stesso od anche un angelo venuto dal ciclo vi annunciasse un Vangelo
diverso da quello che vi ho esposto, che egli sia anatema! » .
Non è certo qui un esercizio dell'infallibilità
paragonabile, come chiarezza di funzionamento, a ciò che vediamo oggi
nella Chiesa cattolica. Non può neppure venire in mente di pretenderlo:
non sarebbe ne leale ne intelligente da parte nostra; poiché questo
velerebbe ai nostri occhi un carattere
?75
della Chiesa, che ci è tanto caro quanto la sua
immutabilità, che ne è il complemento, senza per questo contraddirlo,
e cioè il suo carattere progressivo.
Bisogna dirlo ancora una volta: la Chiesa non è un
veicolo impantanato. Ma non è neppure il veicolo che se ne va, lento o
rapido, carico di immutabili bagagli. E' un'organizzazione vivente. La
sua immutabilità è dunque quella del vivente e ogni organo, in essa,
deve comportarsi come fa un organo vivente, che all'inizio, raccolto nel
mistero del germe, si rivela progressivamente, sotto la spinta del
bisogno, grazie a circostanze inteme ed esterne.
La Chiesa, che ha innanzi tutto la perfezione della sua
essenza, e per conseguenza ha pure, in stato embrionale, tutto ciò che,
in essa, potrà in ogni tempo essere chiamato essenziale, non ha però
dall'inizio sviluppato tutto questo elemento essenziale. E come è,
vivendo, che la vita si riconosce e sale di gradino in gradino sino alla
piena coscienza di se, cosi la Chiesa non ha sin dall'inizio la
coscienza piena irrefragabile della sua propria costituzione essenziale
in ciò che ne riguarda i punti precisi.
L'infallibilità non deve fare eccezione a questa legge
e vi sono d'altronde ragioni storiche cui abbiamo già fatto allusione.
Non solo non occorre che l'infallibilità propria del
supremo pontefice apparisse sino dall'inizio, ma era naturale che essa
fosse relativamente velata nello stesso San Pietro e che dopo di lui, in
luogo di manifestarsi subito in tutto il suo splendore, sì indebolisce
per non riprendere il suo sviluppo che più tardi.
Queste affermazioni potrebbero forse stupire?
Riflettiamo che il Papato non è nella Chiesa che un organo sostitutivo.
E' il Redentore che è il nostro Capo:
Voi non avete che un solo Maestro, egli ha detto.
Ora
276 ' ' .
' *
un organo sostitutivo non funziona in pieno che al
momento in cui ciò che egli sostituisce non sia scomparso del tutto. ;
All'indomani della morte del Maestro, il suo ricordo era
tanto presente, il contatto che ne davano i Dodici, senza distinzione di
gerarchla, serbava una tale intensità che la coscienza di tutti ne era
riempita. Non erano essi come altri Unti del Signore coloro che il
Cristo aveva formati direttamente? Non lo si ascoltava forse ascoltando
loro? Tutte le parole divine rimanevano nel loro cuore! Lo Spirito ve le
a-yeva agitate, dopo la momentanea stasi della Passione, come i tasti di
un piano sotto il tocco di un valente esecutore.
Vi era come un'azione di presenza. Per i fedeli uno dei
Dodici, chiunque egli fosse, era il Redentore appena scomparso; era la
fiamma ritrovata nella cenere ancora calda. E se Lui era presente, a che
cosa poteva servire il ricorso esplicito, regolare, a un: capo di
missione che non poteva raccomandarsi che da se stesso?
Morto Pietro, quelli dei Dodici che sopravvivevano,
sembravano eclissare fortemente il suo povero successore che non aveva
visto il Redentore e non aveva inteso il suo incitamento: Andate ad
istruire tutti i popoli.
Morti gli apostoli, le chiese particolari da ciascuno
formate trovavano ancora nel ricordo immediato di un apostolo una
continuità del Redentore che non si sarebbe affievolita che a poco a
poco.
Vita di Gesù nella sua carne mortale: apparizione di
Gesù risuscitato; sopravvivenza di Gesù per mezzo degli Apostoli e dei
loro immediati successori: tali sarebbero le tappe della visibilità del
Signore. .
27T
E ciò avrebbe dispensato le prime chiese dal ricorrere
— regolarmente almeno, poiché ve ne sono tracce numerose — ad
un'autorità centrale lontana, che non poteva ancora avere prestigio
universale.
Solo quando le prime generazioni furono estinte e i
ricordi affievoliti, la realtà storica del Reden-
: tore fu ripresa dal passato, e la Chiesa sentì la
necessità di girare su sé stessa e di orientarsi. E allora essa,
cercando sempre il suo Redentore tn ciò che
.è visibile, poiché egli aveva promesso di rimanere
per sempre in mezzo ai suoi, si ricordò che vi era un vicario, un
rappresentante stabilito sino dagli inizi in vista appunto di queste
incertezze future.
Si può pensare — quantunque vi sia qui un po' di
audacia nel fare l'ipotesi — che se la Chiesa a-vesse dovuto durare
solo due o tré secoli, non si sarebbe avuto il Papa. Non sarebbe stato
allora necessario. Il Redentore stesso sarebbe stato il solo Papa, prima
in persona e poi, con la sua persona proiettata nei ricordi. '
Ma vi era l'avvenire e questo, oltre a reclamare il suo
Redentore per procura, segno visibile dell'unità del governo divino
nella Chiesa, doveva rivelare bisogni di concentrazione che sarebbero
andati sempre più acuendosi, come negli organismi la vita si concentra
a mano a mano che essa si differenzia e che si estende.
Il regime monarchico della Chiesa doveva così
manifestarsi sempre più nella dottrina e in tutto il resto.
Finché un giorno, essendo venuto il momento di basarsi
unicamente su se stesso, di darsi la forza di esistere e di agire col
suo organismo al completo, in piena luce; di eliminare le
contraddizioni, di fissare certi dubbi che sarebbero sempre stati
278
possibili, anche presso i più fedeli, finché la
questione di fiducia, — se si può così esprimersi --e in questo caso
si trattava di fiducia divina — non fosse stata posta fermamente; di
vincere pure illusioni che potessero tendere ad assimilare il regime
divino della Chiesa con costituzioni democratiche ovunque diffuse (1),
il momento cioè di questa suprema acquisizione gerarchica, la Chiesa
tenne al Vaticano, cioè al suo centro, le sue solenni assise. E là,
davanti a Dio, sotto l'azione del suo Spirito, fi-, duciosa nella
promessa del Redentore, essa decise di proclamare ciò che essa aveva
incluso dall'origine nella sua intima costituzione.
Nulla fu fatto ex novo; ma la Chiesa, più cosciente e
irradiante, proiettò una luce piena sulla :
triplice corona e così compì nel visibile ciò che
erasi compiuto nell'invisibile il giorno in cui il Redentore, salendo
alla destra del Padre, aveva inaugurato il suo regno immortale.
Si porrà dopo ciò la questione di quantità di. anni o
di secoli? Si chiederà perché occorsero tré secoli all'incirca per
rivelare in fatti storici di carattere generale il primato del pontefice
romano e perché furono necessari diciotto secoli per giungere alla
dichiarazione ufficiale della sua infallibilità? Si vorrà trovare che
ciò è lungo, troppo lungo, e perciò arbitrario?
Rispondiamo innanzi tutto: agli occhi della Provvidenza,
da cui dipendono, queste cose, «mille anni
(1) E' proprio questo ciò che per una parte alcuni
chiamavano, al momento del Sillabo, «fondersi con la civilizzazione
moderna ».
279
sono come un giorno e un giorno come mille anni ».
Questa espressione del pescatore di Galilea è di una cosi alta
filosofia che essa potrebbe bastare. Ma lo comprenderemo meglio
aggiungendo questo: tré secoli, diciotto secoli, in relazione alla vita
totale della Chiesa, sono periodi paragonabili ai mesi di allattamento e
all'adolescenza di un essere umano.
E' cosa anormale che un uomo non raggiunga la sua piena
costituzione e non la riveli che dopo un i tempo che rappresenta,
ahimè! una notevole parte ' di quello 'che deve passare sulla terra? La
Chiesa, ;;
coi suoi apparenti ritardi, è dotata di una capacità
di crescita ben altrimenti precoce! ^ , Vorremmo forse dimenitcare che i
suoi destini coincidono con quelli della nostra razza; che, sintesi
umano-divina per mezzo del Redentore, uomo ;
universale e di ogni tempo, la sua storia è la storia e
la sua evoluzione quella del mondo abitato? •>
O allora si vorrà credere il mondo prossimo alla sua
fine? Si vorrà restare ingannati delle profezie:
infantili che periodicamente vorrebbero ricondurci ai
così detti terrori dell'anno mille?
Se è consentito di avanzare questo paragone, che
sembrerà forse un po' ardito, ma che in ogni caso chiarisce bene
l'argomento: l'affermarsi in modo de-. flnitivo del papato nel suo ruolo
storico in occasione del Concilio Vaticano è un fatto parallelo
all'affermarsi in modo definitivo della vera religione-nel mondo.
Nell'un caso e nell'altro vi fu un ritardo considerevole, ma normale, in
relazione alle durate complessive. • • • , •',
Ricerche, tentativi, deviazioni, nel complesso
preparazione: ecco ciò che vi fu prima del Redentore. Poi questi viene
e la storia religiosa comincia definitivamente.
?W
Per il Redentore per procura: il Papa, in completo
possesso del suo mandato definito e riconosciuto da tutti, tale è la
successione che si rivela. Vi è pure preparazione; vi sono anche
deviazioni a causa delle eresie; si hanno parimenti esitazioni da parte
dei fedeli e dei dottori privati, infine, per iniziativa solenne si ha
nascita completa, cioè lavoro alla luce di ciò che vi era già formato
in Simon Pietro, ma che era rimasto più o meno latente durante il
periodo precedente.
• II Redentore era venuto nella pienezza dei
tempi, dice San Paolo, cioè in un'epoca centrale tra le
preparazioni necèssarie alla sua opera e l'utilizzazione che ne avrebb'e
fatto l'avvenire.
Il pontificato, armato di tutti i suoi poteri, giunge
così ad una pienezza temporale che distingue dalle preparazioni le
utilizzazioni secolari sulle quali può contare, sino alla fine del
nostro pianeta, una società che non muore, ma che si trapianta.
Di guisa che l'espressione ironica che abbiamo trovato
prima su di una bocca eretica, a proposito del Concilio Vaticano: Le
apoteosi non sono che una torma pomposa della morte, dovrà spostare
una volta di più l'oggetto del suo attacco.
Ciò che morirà è ciò che non potrebbe meritare le
apoteosi, non avendo m sé alcuna vita divina da manifestare, alcun
progresso da perseguire, ma al contrario un principio di dissoluzione da
rivelare sempre più finché un giorno finirà nella tomba.
Ciò che vivrà è ciò che l'apoteosi attendeva,
perché, divino in sé, doveva fa rilucere ogni giorno più ciò che
portava per fissarlo infine, umanamente, in forme definitive.
Compiuta l'apoteosi, manifestatevi in pieno il Redentore
e rappresentato in un'istituzione che ha tut-
28i
to il suo peso, riguardo ad una missione precisa.
quantunque, sotto altri aspetti, essa ricade nell'umanità peccatrice e
soggetta ad errore, eccola la nostra Chiesa col tempo innanzi ad essa.
Essa vi procede fiduciosa e ricca di tutte le sue energie, forte
dell'adesione unanime dei suoi mèmbri, di una coesione interna che non
è mai stata così stabile" segno di vita, se fosse necessario,
poiché è il contrario del principio di necrosi sociale che si
manifesta nell'anarchia.
Ogni popolo destinato a perire si strazia in lotte
intestine: è questa una legge universale. Ogni popolo unito
invece, in un ambiente in cui il suo destino conserva una ragione ad
essere, è sicuro del suo avvenire.
La Chiesa, unita più che mai, e più che mal
necessaria ad un mondo terribilmente convulso e non in condizione di
darsi un ordine all'infuori di essa, ci mostra, oltre che le sue
promesse immortali;
la carta della sua durata scritta nelle necessita
storielle.
Nell'ultima sua apoteosi, che consisterà nel
raggiungere il Redentore che arriverà sulle nubi del cielo, il papato
morirà, ma in un'esaltazione di gloria, come muoiono, sul far
dell'alba, le stelle che ancora brillano nel cielo.
282
CAPO Vii L'ORDINE EPISCOPALE
Dopo aver considerato l'ordine della Chiesa impersonato
nel suo capo, che ne costituisce la sintesi, dobbiamo ora studiare lo
stesso ordine nel corpo episcopale, che condivide le prerogative del
vescovo di Roma e le comunica.
Un ordine, in architettura, è caratterizzato
dalla sue colonne e dai collegamenti con ciò che esse sostengono. I
vescovi sono le colonne della Chiesa.
Abbiamo esposto come quest'ordine scenda dall'alto e in
qual misura esso sia « unito da parentela coi misteri celesti » (1).
E' nella Trinità che si deve ricercare l'origine del suo espandersi. Il
Figlio procede dal Padre, che trova in lui la « figura della sua
sostanza ». La Chiesa procede dal Figlio, che trova in essa la sua
estensione, la sua manifestazione permanente e collettiva, il suo «
corpo ». Allo stesso modo il gruppo episcopale, cui Gesù Cristo ha
comunicato la sua virtù costruttrice della Chiesa, la genera per mezzo
del sacerdozio che esso possiede in grado completo, e vi si ritrova poi.
Infine, secon-
(1) San Cipriano, De Unitate Ecclesiae, II, 6.
283
'.do le stesse forme d'azione iniziale e di
reciprocità, ogni chiesa particolare procede dal suo vescovo come da un
principio generatore, e il vescovo trova in essa la manifestazione del
suo sacerdozio, l'eflet-to del suo carattere, il frutto della
fecondità divina :che le proviene dal Redentore.
Tutto ciò è certissimo e, se Grazio ha potuto dire che
si potrebbe togliere piuttosto ad Èrcole il suo aspetto che uno dei
suoi versi a Omero, a più forte ragione è vero che al divino poeta, al
Verbo, non si rapisce alcuna delle strote per mezzo delle quali egli si
esprime nella sua umanità religiosa.
Così l'episcopato, preso nella sua unità, di cui il
vescovo di Roma è il collegamento; e poi ogni vescovo nella sua chiesa,
in virtù del sacerdozio di Cristo comunicategli, sono la sorgente della
fecondità spirituale diffusa in tutta la Chiesa. Essi sono gli sposi di
questa madre, che loro genera nuovi figli ogni giorno.
Vescovo (épiskopos) significa ispettore, colui che
veglia, che difende e che sorveglia, colui che presiede, in vista di
servire. Ma evidentemente la parola qui diminuisce la cosa. Prima di
ispezionare e di governare, il vescovo genera; egli è padre; poiché è
appunto ad una vita nuova, la vita della grazia che, per mezzo
dell'azione sacramentale, .di cui egli è l'agente, noi siamo generati.
« In verità, in verità ti dico, nessuno, se non rinasce dall'acqua e
dallo Spirito, può entrare nel Regno di Dio » (Giov. Ili, 9).
Il corpo episcopale è come il germe della Chiesa, che
egli contiene tutta in sé. Il gruppo degli apostoli, ai quali egli
succede e che perpetua, non era forse, nel pensiero del Redentore, il
seme del suo grande albero? Così, nella sua preghiera
sacerdo-
284
tale,
pregando per tutti i suoi, egli prega innanzitutto per i Dodici e
aggiunge poi, per indicare ciò che egli attende dalla loro azione per
la sua opera: « Non prego solo per essi, ma anche per tutti coloro che
per mezzo della loro parola crederanno in me » (Giov., XVII, 20).
Si vede bene da queste parole e da tutte quelle
dell'istituzione che l'azione degli apostoli e dei loro successori non
sarà multipla ne individuale, ma collettiva. «Padre, che essi
si,ano una cosa sola come tu ed io lo siamo ». Una cosa sola
nell'unità dello Spirito, essi non saranno tutti assieme che un unico
principio, agendo in nome del Redentore, che è uno, e di Dio che è
l'Unità stessa.
Se dunque vi sono molti vescovi, non vi è però che un
episcopato, come non vi è che una Chiesa. Tutti i vescovi insieme
partecipano all'unico sacerdozio eterno. Tutti sono « fratelli » ; il
Papa, in quanto vescovo, non è che uno di essi. Ma poiché nello stesso
tempo egli è anche il rappresentante del Salvatore che appare in mezzo
ai Dodici, e poiché è il suo vicario, il Papa comprende nei suoi
poteri i poteri di tutti i vescovi, 'come loro origine. E' lui che
glieli conferisce, o per meglio dire, è sotto la sua dipendenza che
essi li ricevono; da lui quindi essi li derivano. L'elezione, la nomina
non sono che accessori;
l'istituzione apostolica è il fondo; è essa che
forma il pastore, in unione col Pastore supremo.
Ben inteso, conferendo i suoi poteri, il Papa non li
perde; la fonte non si esaurisce versando la sua acqua. Così abbiamo
detto che il Papa ha un potere diretto e ordinario su tutte le
chiese particolari e su ciascuno dei loro fedeli; che i titoli
particolari di queste chiese gli appartengono in modo superlativo, in
mancanza di che mancherebbe l'unità, e la comu-
28^
nità intera della Chiesa non sarebbe più collegata in
Gesù Cristo, dal suo rapprensentante; U Redentore non sarebbe più
tutto a tutti, unico sposo, nel tutto e in ogni parte, della sua unica
sposa.
Dall'unità solidale dell'episcopato derivano molte
conseguenze, e specialmente quella che in certe circostanze
straordinarie, come in tempo di persecuzioni, di scismi, si potrà
vedere un semplice vescovo superare nei suoi interventi i limiti della
sua chiesa particolare ed esercitare una funzione più ampia, che dovrà
essere interpretata come un atto della comunione dei vescovi, in quanto
essi sono solidalmente inviati del Redentore e per conseguenza come un
atto emanato dal principio della loro comunione: il Papa.
Così si può spiegare, senza alcun ricorso ad un
principio d'eccezione, ciò che aveva luogo nei primi tempi, in cui ogni
apostolo, adempiendo da parte sua ad una funzione di inviato universale,
si attribuiva un compito generale senza delimitazione di territorio,
istituendo vescovi e prescrivendo regole comuni. Vi era in ciò,
evidentemente, una funzione iniziale che più tardi, se si fosse
mantenuta, avrebbe tereato dell'anarchia. Ma questa funzione non era
meno in collegamento coi principi permanenti della costituzione
religiosa, della quale solo l'applicazione era speciale. Il riflesso
personale di Gesù su ciascuno dei Dodici, in cui i fedeli lo
ritrovavano, deve del resto a questa azione d'ordine generale un
andamento del tutto semplice, come abbiamo già notato.
All'infuori di questi casi particolari, i vescovi, in
quanto fanno parte del corpo degli inviati che rappresentano
collettivamente il Cristo, hanno pure cia-
?8R
scuno una funzione universale nella Chiesa. Tale
funzione deve essere pure considerata come anteriore a quella che essi
esercitano nei riguardi della propria chiesa, dato che, prima che
fossero loro attribuite zone di influenza, essi sono stati inviati a
tutto il mondo e si sono sentito dire nella persona dei Do-, dici: «
Andate ed insegnate a tutti i popoli ».
E' ciò che vogliono significare i teologi dicendo che
la comunione episcopale è anteriore al titolo. Tutti
insieme i vescovi costituiscono un ordine, che si chiama una
comunione ricordando che la carità è il punto di incontro della
Chiesa. Ed è da questa comunione episcopale o apostolica che scenderà,
per via di paternità spirituale e sacramentale, la comunione di tutti i
fedeli, in vista della comunione dei santi.
Un vescovo non è dunque il pastore di un sole gregge;
egli è innanzitutto, cogli altri vescovi e col Papa e sotto l'autorità
del Papa, pastore della Chiesa universale. E' ciò che dichiarerà poi
solennemente, quantunque non in modo unico, il concilio
ecumenico.
In queste grandiose assemblee, in cui l'ordine della
Chiesa si rivela c»n tanta ampiezza, l'intenzione unitaria che crea
l'assemblea religiosa si manifesta innanzi tutto in questo che la Chiesa
conciliare è simile ad un cerchio, in cui ogni parte od ogni linea si
dispone attorno al suo centro. Il Papa è questo centro attivo donde
tutto parte e ove tutto assicura la sua consistenza. Egli è normalmente
colui che convoca, che presiede e che conferma
infine le sentenze. Se egli non ha fatto convocazione, sarà considerato
di averla fatta se confermerà l'azione conciliare, della quale la
convocazione è stata il prologo. Se egli stesso non ha presieduto, il
suo posto sarà stato occupato dal
287
suo rappresentante effettivo o interpretativo. Non si
può più trovare la Chiesa senza il Papa come non si può immaginare
l'atmosfera luminosa e feconda senza il sole.
Unitamente al Papa, tutti i vescovi, suoi fratelli, sono
veramente i giudici della fede e della pratica cristiana. Nell'emettere
decreti, essi diranno come al. primo concilio a Gerusalemme: «E'
sembrato bene allo Spirito Santo e a noi » e la voce che essi
faranno intendere sarà stata formulata da tutti insieme come per una
vibrazione comune. Sotto la garanzia di questo Spirito che è lo Spirito
di Cristo, come inviati umani che il divino Inviato ispira, essi
decideranno nel campo spirituale per tutta la Chiesa. Essi giudicheranno
da questo mondo le dodici tribù d'Israele, cioè tutto il
cattolicismo, affinchè esso proceda, per mezzo della loro azione, verso
i suoi fini sublimi.
Così tutti i vescovi del mondo hanno un diritto
i-naiienabile, e che deriva dal loro stesso ordine, quello cioè
di sedere in concilio. Senza nessuna chiamata speciale essi vi hanno
posto di diritto come, nel consiglio dei ministri, ogni ministro in
carica ha diritto di sedere per la costituzione politica stessa.
Per la stessa ragione i vescovi nel concilio sono tutti
eguali, eguali cioè nella decisione, che è propriamente l'alto
conciliare se non nei suoi prodromi. I più sapienti, i più informati,
i più importanti per la loro sede, che li fa rappresentanti e testimoni
di una parte più considerevole delle folle da guidare, influiscono
senza dubbio sulle decisioni, ma essi non decidono di più degli altri.
Il noi è pronunciato in una perfetta indivisione e in
un'eguaglianza fraterna. Si dice: Questo è, o: Che questo sia, come
nella Trinità è stato detto: Facciamo l'uomo. Il linguaggio è
plu-; rale, e così i termini attivi, ma popolazione.
288
Finché questo yuppo costituito da Dio si
mantiene nella fede del suo funzionamento, che lo costituisce
precisamente come principio; finché esso rimane nelle sue attribuzioni
ha il valore di Cristo stesso, uno come Gesù, poiché la
pluralità umana risale, per una sorta di assunzione, all'unità che vi
si riflette:
«Chi Vi ascolta Mi .ascolta».
Come in certe circostanze, e correntemente nella Chiesa
primitiva, il vescovo e il gruppo dei suoi preti (presbyterium)
consacravano in comune, per mezzo di un'azione unica, il corpo e il
sangue di Cristo, vita nostra, così qui il gruppo episcopale unito al suo
capo consacra il Cristo che è verità, che è via, tracciando la
via per la marcia cristiana, a partire dalle dottrine che ne determinano
lo scopo e la dirczione.
L'eguaglianza di cui parliamo non è dunque una
eguaglianza di suddivisione, come se ciascuno apportasse la sua parte di
contributo, o come se il Papa non potesse fare da solo ciò che può
fare coi vescovi. Questa legge di suddivisione, che è quella della
maggior parte delle costituzioni umane, non ha luogo nella divina
gerarchla, poiché essa è estranea alla Trinità, donde emana la
gerarchla.
Un presidente di repubblica non può fare da solò ciò
che può fare coi suoi ministri, ne questi possono fare da soli ciò che
possono fare uniti al loro parlamento, perché qui il potere è
un'integrazione;
il principio di azione totale è costituito da casi
complementari. Al contrario un rè assoluto può fare dtf solo ciò che
può fare coi suoi consiglieri; ma questi non partecipano del suo regno;
essi ne preparano solo il funzionamento. Nella Chiesa c'è reale
parteci-
280
19. — La Chiesa.
pazione, ma nell'unità, come nell'unità il Figlio
partecipa .a tutto ciò che fa il Padre e lo fa con lui, quantunque gli
debba e dì essere Figlio e di essere, come tale, partecipe delle sue
opere: «II Padre, che è in me, è lui che fa le mie opere... E io pure
opero » (Giov., XIV, 10, 17).
La stessa successione di idee ci porta a comprendere
come l'unità di vita resti perfetta nella Chiesa, malgrado la sua
divisione in chiese particolari e mal-
-grado che ad ogni vescovo sia affidata una parte del
gregge.
Una chiesa particolare, una diocesi non devono es-sere
considerate come semplici circoscrizioni amministrative, ne come piccoli
stati nello stato: sono unità a base sostanziale, come le nostre
famiglie, in cui
•l'unità della razza si comunica e si diffonde senza
per-dervisi. La razza dei tigli di Dio, ma pure del Cristo, si
diffonde in famiglie diverse che l'arricchiscono e non la dividono, che
sono essa stessa, che si manifesta in modo diverso è vero, ma
nell'identità della sua essenza, mentre si procura da sé, per la sua
stessa fecondità originale, le sue espanzioni.
Ne segue evidentemente che quest'ordine è immutabile
come una natura delle cose, visto che la sopranatura, in tutte le
gradazioni, segue le forme della natura. Nessuna chiesa particolare è
necessaria, al pari di una famiglia. A una tale chiesa presa così a
parte, non sarà promessa ne l'indefettibilità ne dottrinalmente
l'infallibilità che l'ordine soprannaturale solo ha per privilegio. Ma
in ciò che essa è ;:e che essa riceve, si ritrovano tutte le relazioni
fon-idamentali; le comunicazioni venute dal Cristo, a t partire dalla
Trinità in cui egli ci introduce, termi-
'290
nano là e vi sono principio d'ordine e di vita. «
Chi riceve voi riceve me » ha detto Gesù Cristo ai Dodici. La
chiesa particolare che riceve il suo vescovo riceve in lui Cristo e il
suo sacerdozio salvatore. Il vescovo è il suo fondamento, come
il Cristo è il fondamento della Chiesa. Per tale via essa riceve il
Padre; poiché Gesù Cristo ha aggiunto: « Colui che riceve me, non
riceve me, ma il Padre che mi ha inviato » (Marco, IX, 36). Per tale
via infine essa riceve lo Spirito Santo, legame vivente del Padre e del
Figlio, anima della Chiesa universale, consacrazione della sua propria
unità conferita unicamente a quella del corpo di cui è un organo.
La chiesa particolare sta al suo vescovo come una sposa
destinata a dargli dei figli e a condurre assieme a lui la vita
spirituale. Questo bei paragone derivante da San Paolo ricorre
continuamente nel linguaggio religioso. Ma per l'unità dell'episcopato,
in cui si ritrova l'unità della Chiesa, queste mistiche nozze entrano
come un caso particolare nel caso generale della Chiesa universale unita
al suo Salvatore. Il sacramento della nostra unione in Dio è qui tutto
intero, poiché l'intero sacerdozio è nel vescovo ed è per suo mezzo
che ogni chiesa partecipa con tutti i suoi mèmbri dell'adozione divina.
Inoltre, come per mezzo dell'amore avviene una
compenetrazione mutua delle anime, a cagione della quale si può dire:
l'amante si trova in ciò che ama e ciò che egli ama è in lui, così,
per mezzo della carità organizzata nella Chiesa, avviene una sorta di
mutua identità per compenetrazione unitaria tra lo sposo e la sposa
mistica, tra il Cristo e la sua umanità religiosa, tra il vescovo e la
sua famiglia particolare allo stesso modo che nella Trinità il Padre e
il Figlio non sono che una cosa sola nello Spirito d'amore.
29Ì
« Chi vede me vede il Padre mio ha detto Gesù, poiché
Io sono nel Padre ed egli. è in me » (Giov,, XIV, 10). Allo stesso
modo chi vede la Chiesa (ubi Petrus, ibi Ecclesia), chi vede il vescovo
vede la sua chiesa particolare.
Ed è per questa ragione che la Chiesa, cosciente 'dei
suoi misteri, continua a provvedere di titolari le chiese defunte, come
per conservare loro la vista nel pastore che essa da loro, vita
interpretativa che nello stesso tempo è una vita eventuale, vita che
potrà ritrovare la sua materia vivente poiché il germe sussiste e la
fiaccola non è spenta. Se per una possibilità storica una di queste
sedi dovesse improvvisamente rivivere, il suo titolare vi si
trasferirebbe e •la vita tornerebbe a pulsarvi come prima.
Il vescovo, nella sua chiesa, esercita da parte sua la
triplice prerogativa che abbiamo riconosciuto alla gerarchla nel suo
insieme: l'insegnamento, il nuniste-;,rp sacerdotale, il governo.
Ciò che egli fa cosi lo fa ancora una volta nell'unità dell'episcopato
unito a Pietro, di cui è uno dei suoi mèmbri, ma a titolo particolare,
che la Chiesa riconosce.
Dal punto di vista dell'insegnamento (magiste-rium),
il vescovo è nella sua chiesa il maestro della dottrina e questa è la
sua prima funzione, come la fede, esplicita o implicita, è il primo
atto della vite soprannaturale del cristiano. Il vescovo è dottore
prima di essere pastore; poiché per essere pastore bisogna che Innanzi
tutto egli abbia delle pecorelle per una libera adesione di fede. Questo
ordine, che si trova, all'opera delle prime evangelizzazioni, si
29^
mantenne poi in Seguito per le relazioni naturali delle
cose. .
Il vescovo riceve da Cristo per la sua chiesa, in virtù
della missione comune di cui egli è uno dei titolari, la parola di
vita. La sua fede è una fede di insegnamento, come quella dei suoi
fedeli è una fede insegnata. Coloro che vi aderiscono, dato che essa
conferisce loro il deposito, saranno «nel pensiero di Dio
», come lo indica la potente formula espressa da Ignazio da Antiochia.
« Ho voluto esortarvi, egli dice, a essere unanimi nel pensiero di Dìo.
Poiché se Gesù Cristo, inseparabile dalla nostra vita, rappresenta il
pensiero del Padre, i vescovi. nelle zone che essi governano, sono nel
pensiero del Padre. Conviene perciò che voi siate uniti nel pensiero
del vescovo » (1).
A causa di questo magistero il vescovo ha, nella sua
diocesi, l'incarico della predicazione, alla quale deve provvedere,
dell'istruzione dei fanciulli e degli adulti, della dottrina cristiana
teorica e pratica, delle opere di propaganda e di stampa, di cui gli
spetta la guida e l'orientamento, quantunque egli non possa essere
sempre il direttore prossimo e imme-. filatamente responsabile. Se
sopravviene qualche fatto straordinario, se si costituiscono delle
devozioni particolari, spetta a lui giudicare, salvo ricorso alla Santa
Sede, e a lui spetta determinare a questo riguardo la condotta dei
cristiani.
Per questo egli non gode di una propria infallibilità,
quantunque partecipi, come dicevamo, dell'in-'fallibilità della Chiesa
come membro della missione collettiva. Questa partecipazione non ha
corso che nelle condizioni determinate dall'azione comune.
(1) Epist. ad Èphes. III.
293
Dal punto di vista del sacerdozio (ministerium), il
potere d'ordine conferisce al vescovo il diritto di amministrare
tutti i sacramenti, compresi l'ordine e la cresima, che gli sono propri,
tutti i sacramentali, tutti gli atti di liturgia, tutto ciò che è
mezzo di santificazione divinamente istituito o ratificato, in vista di
una vita religiosa completa. E invero alla vita religiosa completa,
quale si conduce nella chiesa particolare, immagine perfetta dell'altra,
risponde il sacerdozio completo.
A questo riguardo ogni vescovo è in una condizione di
eguaglianza perfetta con tutti i suoi fratelli. Il Papa stesso non è,
dal punto di vista sacramentale, che uno fra i vescovi. La
rappresentanza di Cristo sacerdote, che è imperfetta nel clero
inferiore;
è integrale nel vescovo e si estende a tutte le sue
funzioni. E' ciò che intendono sottolineare alcuni particolari di
liturgia, come il fatto che, nella messa;
prima delle orazioni, egli, in luogo della formula usata
dal semplice prete: « Dominus vobiscum: il Signore sia con voi » dice:
« Pax vobis: la pace sia con voi.», formula che usava il
Signore stesso. Si afferra in ciò l'idea che il vescovo è il capo
della sua chie-, sa, tonte' per essa di pace e di vita spirituale, come
il Redentore è per mezzo del vescovo e del Papa il capo della Chiesa
universale.
In base a ciò il vescovo, in quanto principale
ministro, dovrà vegliare in tutta la sua diocesi all'amministrazione
dei sacramenti, specialmente dell'eucaristia, che ne è il centro. Il
mistero della croce e dell'incorporazione a Gesù Salvatore trovano in
realtà nella messa e nella comunione la loro rappresenta-.zione reale
ed efficace, come nell'episcopato il loro mezzo gerarchico. Quello è
dunque il rito centrale è l'oggetto principale delle cure del vescovo
che,
m
nella diocesi come in tutta la Chiesa,
farà tutto convergere verso di sé. La messa pontificale, col gruppo
dei preti assistenti e dei ministri, è l'immagine migliore e nello
stesso tempo l'atto principale di tutta l'attività religiosa di una
chiesa.
In tal modo il vescovo è pure capo della preghiera;
egli prega col suo popolo e per il suo popolo e trasmette a Dio,
in unione con tutti, le richieste di tutti. Donde la sua funzione nel
costituirsi e nel funzionamento della liturgia e pubblica preghiera, che
senza interruzione, anche se sono assenti i fedeli, tratta dei loro
interessi e tiene il loro posto. «Ogni chiesa è una lira», dice
Ignazio di Antiochia:;
« i sacerdoti e i fedeli vi si uniscono al vescovo,
come le corde alla cassa dello strumento sulla quale sono montate, e in
questa unione delle anime e delle voci, su questa lira della Chiesa, lo
Spirito Santo canta Gesù Cristo» (1).
Dal punto di vista del governo (Imperium), il
vescovo partecipa a ciò che chiamiamo, in un senso spirituale, la
regalità di Cristo, che si diffonde, come ogni governo, in un triplice
potere: legislativo, giudiziario ed esecutivo,
Egli può formulare leggi, sotto riserva delle leggi
generali della Chiesa e vi aggiunge i regolamenti d'amministrazione
pubblica necessari alla loro applicazione. Egli può aggiungervi ancora,
jn occasione di visite pastorali o in altri casi, ordinanze particolari.
E le leggi, che egli avrà emanato, avranno valore anche sotto il suo
successore sino ad abrogazione da parte di un'autorità eguale o
superiore alla sua.
(1) Epistad Ephes., II, 4.
295
Egli è il giudice del suo popolo in materia
spirituale;s questo potrà dunque appellarsi al suo tribunale
ed egli potrà emettere sentenze, assegnando, in caso di bisogno, delle
pene.
Dovrà però ricordarsi, come ha sancito il concilio di
Trento, che è pastore e non percuotitore (pa-stores, non
percussores); che deve perciò trattare i suoi fedeli come figli, come
fratelli e non come ma-< feria di dominio. Convincere e pregare
innanzitutto, .riprendere poi, è l'ordine sottolineato da San Paolo <
(argue, obsecra, increpa, II Tim., IV, 2). Se occorre 11
riprendere, questo sia fatto in tutta bontà e pazienza (in ornni
bonitate et patientia) i affinchè la disciplina salutare e
necessaria sia conservata senza asprezza fra' i popoli » (1).
Per esercitare i suoi giudizi con armonia e saggezza il
vescovo convoca a intervalli regolari un sinodo diocesano, cioè
un'assemblea dei suoi preti e chierici al completo o prescelti,
incaricata di informarlo e di consigliarlo in tutte le cose che
dipendono dalla sua carica. Il suo governo sarà così più competente e
meglio adatto, la promulgazione dei suoi decreti sarà più solenne e,
nel caso in cui essi dovessero causare pena, saranno meno facilmente
tacciati d'arbitrio.
Il vescovo ha d'altra parte un aiuto permanente in ciò
che si chiama il suo capitolo, sorta di senato religioso che
assume l'incarico della recita dell'ufficio nella chiesa cattedrale,
partecipa al governo della diocesi e sostituisce il vescovo in caso di
sede vacante.
In altri tempi il vescovo aveva dei luogotenenti negli
arcidiaconi, il cui potere tu notevole, tanto che
(1) Concilio di Trento, sessione XXIV. 296
li si chiamavano « l'occhio e la mano del vescovo ».
Ma questa carica è diventai quasi ovunque puramente onorifica, poiché
tale carica ora si è fusa con quella dei vicari generali. Si
chiamano così coloro che esercitano in nome del vescovo e sotto la sua
responsabilità una giurisdizione di ordine generale, volontaria o
contenziosa. In quest'ultimo caso il vicario generale competente prende
--il nome di ufficiale. Dei vicari temporanei o locali completano
questa organizzazione del potere episcopale e ne costituiscono i mezzi.
Inoltre la convocazione di concili particolari,
or-dinari o straordinari, provinciali o nazionali, che sono nel grande
organismo della Chiesa come funzioni speciali subordinate alla funzione
generale della vita, appoggia ancora in altro modo il governo del
vescovo.
Queste assemblee, che sono una piccola immagine della
Chiesa, suscitano un'impressione che rimane nel clero e nella folla dei
fedeli, rafforzando il significato del cattolicismo. Esse confermano
anche l'impressio-. ne di carità, se i vescovi riuniti conservano ben
chiaro il senso delle loro funzioni.
In realtà, questo carattere di armonia e di bontà,
connesso col potere episcopale, non gli è un attributo accidentale:
esso deriva dalla sua origine e dalla sua natura speciale. Il vescovo
non è capo che perché è pastore, allo scopo di essere pastore. Colui
« che da la vita per le sue pecorelle » — poiché questa è la .sua
legge, se fosse necessario — non eserciterà su di esse un potere
tirannico! E' unicamente per difendere la vita che egli da, nello
spirituale, in quanto padre delle anime, che il vescovo è investito di
tutti i suoi poteri.
Infine il vescovo è amministratore. Le cose e le
'^persone, nel suo gruppo spirituale, sono soggetti del
• 207
suo governo conforme alle leggi della Chiesa, ai
concordati particolari e alle leggi civili che la Chiesa riconosce. E
ciò perché i suoi sudditi, in quanto anche sudditi dello Stato, non
possono essere strappati a una giurisdizione a profitto di un'altra. «
L'una e l'altra società, ha detto Leone XIII, è, nel suo ordine,
sovrana: utraque in suo genere maxima (1).
Per conseguenza tutti gli uffici, tutte le cariche, che
presuppone l'amministrazione di una diocesi, fanno capo al vescovo. Egli
ne è il dispensatore, il con-: trollore e il giudice, salvo la riserva
di un'autorità superiore alla sua. Egli deve estendere la sua vigilanza
sui beni, che sono 11 mezzo o la materia del le opere.
In breve, sotto tutti i rapporti il vescovo è il centro
di vita in cui tutto deve convergere e da cui tutto deriva.
Però il vescovo, è in tutto, dipende dal Papa, che
può, per ragioni di cui egli è ^ giudice, restringere, ampliare,
sospendere o sopprimere il legittimo esercizio dei suoi diritti. E' per
questo motivo che, quantunque abbiamo affermato che per princìpi e per
il loro ordine, il che si manifesta principalmente nel Concilio,
i vescovi sono tutti eguali, è però in facoltà del Papa di
trasmettere a questo o a quello, per la migliore amministrazione della
Chiesa, qualche facoltà del suo principato. Questo si risolverà, senza
alcuna alterazione della gerarchla essenziale, in un arricchimento e in
un nuovo mezzo di governo introdotto nella condotta delle anime. Così,
nel corpo, alcuni centri nervosi più importanti esercitano, alle
dipendenze dell'encefalo, qualcuna delle sue funzioni.
(1) Enciclica Lzbertas 298
Donde derivano i patriarci» e i vescovi
metropolitani, i primati, i delegati patriarcali, i legati, i vi-cari
Apostolici eco. che non sono affatto causa di dispersione per
l'autorità centrale ne un punto d'arresto nel risalire della vita verso
questo centro, ma al contrario una tappa utile.
A cagione sempre dell'unità che coinvolge il corpo
episcopale e dell'unità della missione affidata ai Dodici dal Divin
Maestro, l'azione particolare del vescovo nella sua diocesi non
racchiude là i suoi risultati, ma conserva una portata generale.
L'autonomia di ogni pastore in mezzo al suo gregge è più visibile, ma
essa non è più reale dell'unità mistica di tutto il corpo.
I vescovi dispersi costituiscono, nel campo spirituale,
per mezzo della loro unione tra di loro e con la Santa Sede, una specie
di concilio permanente. Gli scambi di vita che avvengono dal centro alla
periferia e viceversa, assomigliano a ciò che avviene in un organismo
sano, in cui ogni parte è ben distinta e in cui, per altro, ogni parte
è in stretta dipendenza dalle altre.
Le leggi che sono promulgate qua e là, i costumi che si
stabiliscono, confermati dall'autorità e dall'esperienza,
contribuiscono a formare o a perfezionare le leggi e i costumi generali.
La salute, che ne deriva costituisce un tesoro comune. Ciò che abbiamo
detto della funzione dei governati nel governo della Chie' sa è vero a
più forte ragione per quest1 governati, che nello stesso
tempo governano, 'cioè i vescovi. Se
299
il Papa « conferma i suoi fratelli » nel concorso che
essi gli danno, questo concorso non è perciò meno effettivo. Per la
dottrina, la disciplina, la liturgia, per ogni cosa l'azione subordinata
dei vescovi è uno dei mezzi di vita di cui la Santa Sede è il centro,
di cui il Redentore e lo Spirito divino sono i propulsori.
Per finire, non è il caso di richiamare qui
l'osservazione capitale fatta a proposito del sacramento dell'Ordine?
Nella Chiesa il punto di vista mistico domina sempre
dall'alto il punto di vista amministrativo, questo essendo un mezzo e
l'altro un fine. E 'ciò in modo tale che nella stessa amministrazione,
quando essa è religiosa, la scala delle funzioni deve corrispondere per
princìpi alla scala dei valori di vita.
Ne segue che il vescovo, posto alla testa della
gerarchla nella sua chiesa particolare, e nella comunione degli altri
vescovi suoi fratelli, posto in testa di tutta la Chiesa, si trova per
questo fatto immesso in uno stato di perfezione; poiché ciò che è
supremo deve essere perfetto, in un ordine in cui l'elevazione ha delle
vedute santificanti.
Incaricato degli atti religiosi più santi; eguale in
ciò allo stesso Papa, investito dei maggiori doveri, che sono tutti di
portata mistica, il vescovo è chiamato ad uno stato di vita spirituale
che corrisponde alla divina chiamata. Dei tré stati che distinguono i
teologi: quello degli Incipienti, quello dei progredienti
e quello dei perfetti — comprendendolo ben inteso nel senso di
un proposito e di una marcia effettiva, non di un termine — è in
quest'ultimo che il Vescovo è invitato a considerarsi presente. Egli ne
fa, in occasione della sua consacrazione, la profes-
300 •
sione perpetua e pubblica e dovrà provarlo coi suoi
atti.
I sacramenti, che il pastore amministra e di cui egli è
il capo, hanno lo scopo di santificare, come si è detto, i canali per i
quali essi passano. Questi canali non sono viventi e non devono essere
coscienti, per essi come per tutti, del valore di ciò che essi
conferiscono? Non ne sono essi pure i clienti? Ritrarranno perciò
beneficio più di tutti dell'affetto santificante coloro che hanno in
primo luogo e nella sua pienezza il potere di santificare gli altri.
La pienezza del sacerdozio corrisponde normalmente alla
pienezza della fede e dell'amore. Il potere di conferire lo Spirito
Santo implica normalmente un possesso personale eminente di esso.
301
CAPO VII! L'ORDINE PRESBITERALE
«Non è bene che l'uomo sia solo, dice Jeóva nella
Bibbia, diamogli un aiuto simile a lui,».
Queste parole potrebbero applicarsi al vescovo e, in un
senso generale, all'episcopato.
Non sarebbe bene che l'episcopato rimanesse solo con la
sua pienezza di sacerdozio non resa partecipe. La gerarchla ne
risulterebbe immiserita; ma ne risulterebbe pure, in una certa misura,
avvilita, nel senso che il principale e l'accessorio, il grande e il ,
piccolo non risultando più distinti, tutto si abbatterebbe al livello
delle funzioni secondarie alle quali l'episcopato dovrebbe ogni giorno
dedicarsi.
L'armonia delle opere della Provvidenza sarebbe in tal
modo imitata più da lontano; poiché Dio ha dato alle sue creature il
compito non solo di esistere, ma di trasmettere l'esistenza; non solo di
essere feconde, ma di trasmettere la fecondità. E' dunque conforme alle
mire creatrici e ricreatrici che il vescovo trasmetta ai suoi
collaboratori la fecondità del suo sacerdozio, come il Cristo ha
trasmesso la sua alla Chiesa nella persona dei vescovi e come Dio ha
trasmesso la sua al Figlio.
302
L'aiuto simile all'uomo
di cui parla la Bibbia sarà per il vescovo la sua stessa chiesa,
poiché i collaboratori che egli si da sono presi dal suo seno. Essa è
la sposa, dicevamo; ed è per mezzo dell'ordine presbiterale
specialmente che essa sarà la madre.
La gerarchla si arricchirà così in estensione, poiché
la vita che deriva dalle fonti divine per mezzo del Cristo e del corpo
episcopale arriva per mezzo' dei preti al popolo conservando la sua
unità indivisibile radicata nell'unità del Padre e del Figlio. '
Là si arresterà d'altronde la gerarchia propriamente
detta, che non deve spezzettarsi all'infinito. Il prete riceve il
sacerdozio e non lo trasmette più;
consacrato egli non può essere consaeratore. Così egli
non può essere un capo gerarchico. Nessun prete è capo, salvo il prete
completo che è insignito del pontificato. La chiesa particolare ha un
«senato»; — così si chiamava in altri tempi il presbyterium
od assemblea dei preti che circondavano il vescovo — essa non ha altro
capo all'infuori del vescovo stesso. Anche il vicario generale non può
avere questo titolo. Però i preti di ogni rango partecipano del
principato affidato al loro capo. Essi vi sono partecipi ma non lo
dividono ne lo moltipllcano: sono partecipi della fecondità unica che
è diffusa nel gruppo gerarchico consacrato per questo scopo.
Vi saranno pertanto, al di sotto dei preti, dei ministri
di rango inferiore. Vi furono sempre dei diaconi; si hanno da
molto tempo dei sudcl'aconi e dei chierici insigniti degli
ordini minori. Tutti costoro esercitano nei riguardi del sacerdozio
una funzione :
ministeriale; essi sono testimoni e servi dei misteri,'
eventuali delegati del clero presso i fedeli allo scopo
303;
di prepararli e di servire di collegamento tra essi e il
sacerdozio. Ma in realtà è intorno all'episcopato che essi si trovano.
Essi sono gli aiuti del vescovo, prete completo, e, a cagione di lui,
dei semplici preti che lo assistono. E' per aiutare il primo che essi si
mettono a disposizione dei secondi (1).
Così si rivela una volta di più la dipendenza
essenziale di ogni prete dal vescovo, delle cui prerogative ed autorità
egli è partecipe in un'unità perfetta. Associato nelle tré funzioni
ricordate sopra, l'insegnamento, il ministero sacramentale e il governo;
esso stesso tripartito (legislativo, giudiziario ed
esecutivo), il prete esercita in ogni funzione una sorta di supplenze.
Egli predica e insegna in nome del vescovo, battezza per dare del figli
a chi li riceverà da lui impartendo il sacramento della cresima,
celebra all'altare sia unitamente al vescovo sia da solo, ma sempre
nella sua unità, amministrando con lui il corpo di Cristo, allo stesso
modo come egli diffonde la sua verità e condivide il suo regno. Il
vescovo esiste per tutto ciò che si fa nella sua diocesi ed è lui che
lo fa a titolo principale. L'unità della piccola chiesa, come l'unità
dell'altra, è dunque perfetta.
Dato il carattere incompleto del sacerdozio nel ;
semplice prete, la sua dipendenza è una grandezza,
poiché essa lo costituisce, a titolo di partecipazione, i nella
dignità stessa che egli condivide. '< Non vedo,
(1) Tutti i servizi di ministero di cui parliamo sono
derivati dal diaconato, solo ministero che esisteva in origine. Essi
devono perciò essere considerati come suddivisioni emanate
dall'Autorità della Chiesa: essi non appartengono alla primitiva
costituzione di essa. Vi è in ciò un fatto di differenziazione
organica a partire dall'episcopato, come abbiamo visto manifestarsi
nell'episcopato a partire dalla Santa Sede.
304
diceva a questo riguardo Giovanni Crisostomo, ciò che
il prete possegga in meno del vescovo, se non è ciò che egli ha
ricevuto » (1). Cosi nella Trinità il Figlio ha tutto ciò che ha il
Padre, all'infuori di essere Padre.
E in relazione a ciò i preti sono pure, malgrado il
loro rango inferiore, successori degli apostoli. Ad essi pure è stato
detto: « Andate ed istruite tutte le nazioni » ; « Fate questo in
memoria di me » e « Tutto ' ciò che voi legherete sulla terra sarà
legato anche in cielo ». Per derivazione o a titolo principale, si
esercita sempre l'unica autorità, di cui si è stati investiti, sempre
la stessa.
Questa unità glorificante del clero col suo vescovo, in
ogni chiesa particolare, aveva per l'addietro un simbolo commovente che
non è scomparso del tutto. Nei giorni delle grandi solennità, tutto il
presbyte-rium circondava il vescovo e celebrava con lui in presenza
del popolo. In comune si diceva: « Questo è il mio corpo, questo è
il mio sangue» e tutti i fedeli, partecipando ai misteri e
comuoicandovisi, avevano davanti agli occhi e nel cuore, per mezzo dei
loro sentimenti, la visione e l'impressione dell'unità mistica, della
divina gerarchla di cui l'Agnello immola-lato è il centro e che era là
presente, se cosi si può dire, un atto di Lui che esercitava l'eterno
sacerdozio.
Malgrado questa unità del clero e del vescovo, che per
se stessa sarebbe una fonte di eguaglianza tra tutti i preti, vi saranno
sempre tra questi delle gradazioni diverse. Ma in verità, è l'unità
stessa di cui parliamo che lo vuole, poiché senza di ciò le diverse
funzioni dell'episcopato non verrebbero adempiute.
(l),0m. II. in I. Tim. C. III. 20. — La Chiesa.
305
Le necessità dell'amministrazione religiosa hanno
dunque obbligato a stabilire un ordine a una suddivisione tra i preti
che, fratelli in quanto tali, saranno purtuttavia divisi in una
gerarchla di impieghi. Donde l'antica creazione dei Cardinali preti,
la cui fortuna doveva elevarsi così alta pur alterandosi;
donde quella dei titoli ecclesiastici con cura
d'anime, che sono all'origine delle parrocchie e delle collegiate. Donde
ancora le funzioni differenziate di economi, penitenzieri, prevosti,
decani, capi di scuole eco. che hanno subito nel corso dei secoli
notevoli variazioni. Donde infine la creazione di piccole chiese senza
titolo episcopale, ma dipendenti da un vescovo, e costituenti in
svariate combinazioni, quelle circoscrizioni religiose che si chiamano
oggi le diocesi (1).
Per ben segnare l'unità che si manteneva sotto queste
divisioni si erano stabilite delle consuetudini che presentavano -del
resto altri vantaggi. Tali le stazioni, o assemblee che il
'vescovo organizzava volta a volta nelle diverse chiese della sua
circoscrizione e ove successivamente vi trasportava il suo trono. Oggi
la visita pastorale ha lo stesso efletto.
Arriviamo così allo studio delle parrocchie e dei loro
titolari: forma attuale della partecipazione del clero alla missione
pastorale del vescovo.
La parola curato (curatus, colui che ha un
incarico, cioè della parrocchia, donde la parola latina pa-
(1) Nella lingua dell'antichità la parola diocesi (dioi-kests)
riguardava una suddivisione amministrativa concernente piuttosto
l'ordine civile.
306
rochus)
non appartiene al linguaggio primitivo della Chiesa. La parrocchia
designava in altri tempi ciò che noi oggi chiamiamo diocesi o una delle
sue parti.
Non vi furono curati propriamente detti prima del IV
secolo per il motivo che il gregge cristiano ancora limitato non esigeva
questa suddivisione nelle diverse chiese. Tutti i fedeli si
raccoglievano attorno al vescovo e celebravano con lui le sante
liturgie, sia che essi abitassero nella sua stessa città, sia che
provenissero dalla campagna. Era il vescovo il vero e proprio curato di
tutta la diocesi — ben inteso con il concorso dei preti, ma in tal
modo cha nessuno di questi non aveva la cura particolare peimanente di
alcun gruppo.
Non che non vi fossero altre chiese ali'infuori della
chiesa cattedrale; ma non si faceva altro in esse che pregare: non vi si
celebravano ne la santa Messa ne la predicazione, che si preferiva di
moltipllcare là ove era la sede gerarchica (1).
Fu evidentemente nelle campagne che si fece innanzitutto
sentire il bisogno di questa estensione: è questa vi fu iniziata a
partire dal IV secolo. Bisognerà però aspettare sino all'anno mille
per trovare regolarmente delle parrocchie nelle città sedi vescovili.
In Gallia lo zelo di un San Martino fece molto. per
iniziare il movimento parrocchiale. Lui che, semplice catecumeno,
divideva il suo mantello militare per darne la metà a un povero, divise
pure il suo mantello episcopale per coprire la nudità religiosa dei
suoi fedeli. Lungo le strade di comunicazione, a partire dalla città,
egli stabilì dei centri parrocchiali che divennero fiorenti e servirono
di modello ad altri.
(1) Cattedrale deriva precisamente da sede: cattedra.
30"
Avvenne poi che i proprietari rurali, per interesse o
per zelo, contribuirono a queste fondazioni che. offrendo facilitazioni
religiose, fissavano gli abitanti e ne attiravano dei nuovi. Ma
furono soprattutto i monaci che, a partire dal V secolo, dissodando
terreni e civilizzando, aprendo la Gallia alla vita civile e a quella
religiosa, cacciando i lupi e facendo posto all'Agnello di Dio, crearono
la rete delle parrocchie francesi.
Si vede da ciò che le cariche curiali non sono affatto
di istituzione apostolica o divina; esse emanano dalla Chiesa come una
necessità di sviluppo. I curati non costituiscono un terzo ordine della
gerarchla che ha come primi gradini il Papa e i vescovi. Un curato non
ha giurisdizione propriamente detta, almeno per effetto della sua
carica. Egli non può emanare decreti, non è giudice e non possiede un
potere esecutivo indipendente. Tutte queste facoltà appartengono al
vescovo.
Il curato non è dunque propriamente pastore, il
che implicherebbe una propria giurisdizione. I pastori dei popoli sono
loro rè, loro capi investiti della triplice prerogativa nella quale si
effonde l'autorità sociale. Sono dunque pastori evangelici coloro che
posseggono nel campo spirituale poteri simili.
Nulla vieta del resto di usare la parola pastore in un
senso meno preciso. E' dolce rivolgerlo a questo capo di famiglia
religiosa che è il curato, senza pregiudizio delle precauzioni verbali
imposte ai teologi dagli errori giansenisti o gallicani.
Le attribuzioni del curato sono le seguenti: Egli è
incaricato specialmente, nella sua parrocchia, di procurare il bene
delle anime per mezzo della parola
308
di Dio e con l'amministrazione dei sacramenti. Non che
egli debba da solo assumersi tutta la cura della istruzione e
dell'edificazione ; ma lo deve fare in una certa misura e per il resto
deve sopraintendere a questo bisogno. Di guisa che se qualcuno parla,
insegna od amministra i sacramenti nella sua chiesa, quantunque questo
qualcuno abbia ricevuto i suoi poteri dal vescovo, egli è in certo qual
modo suo supplente in quanto lo stesso parroco ha avuto questo incarico
speciale.
Si comprende bene da questo ciò che è il curato nel
campo spirituale e ciò che egli non è. Che il vicario o il prete di
passaggio abbiano ricevuto i loro poteri dal vescovo, ciò prova che non
esiste, da questo al curato, trasferimento della funzione pastorale. Ma
che tuttavia il curato abbia una responsabilità, ciò prova che egli è
veramente curatus, cioè colui che ha un incarico.
Il curato deve badare alla preghiera e celebrare lui
stesso la Messa per il suo popolo. Deve organizzare l'istruzione
religiosa, promuovere la buona vita-cristiana, visitare gli ammalati,
consolarli e aiutarli a utilizzare cristianamente le loro sofferenze.
Deve occuparsi dei poveri e in generale di tutte le opere, organizzando
la carità e facendo appello ai parrocchiani ricchi a favore degli
altri. Deve amministrare, coi concorsi determinati dal diritto o da
saggi costu- :
mi, i beni destinati al culto e alle opere di carità; ^
Deve pensare alla manutenzione e all'arredamento del-' la chiesa, la sua
«sposa»; ma deve soprattutto ba- ' dare alla sposa spirituale che è
la comunità affidata alle sue cure, esortando a tempo e a
contrattempo, come dice l'Apostolo, denunciando i pericoli,
avvertendola degli errori. In certi casi può dispensare dalle leggi
della Chiesa secondo la sua prudenza. Egli no-
300
mima dei collaboratori con l'approvazione del vescovo;
tale è almeno il diritto comune, quantunque la necessità possa in
certi casi far sì che venga disposto diversamente. '
I parrocchiani devono in cambio ascoltare le istruzioni
del curato, accettare la sua sorveglianza paterna, ricevere da lui o dai
suoi mandatari i sacramenti nella misura determinata dalle leggi e dalle
consue-tudini. Essi devono contribuire con generosità alle necessità
delle sue opere di bene, opere che li riguardano, poiché riguardano le
loro persone, i loro figli, i loro oggetti religiosi, i loro poveri. Non
sono nostri" fratelli coloro che hanno bisogno di aiuto, anche
religioso, d'istruzione o di consolazione?
Ma innanzi tutto i parrocchiani adempiono al loro dovere
se sono buoni cristiani, dando con ciò soddisfazione al curato nella
sua ragione di essere. Il curato si trova là appunto per loro, non per
sé; sono le loro anime che costituiscono il suo bene ed è là loro
vita cristiana che è la sua opera. Assistere alle funzioni, offrire
parte delle proprie sostanze o anche della loro persona non basta. La
casa di Dio è vuota. quando non vi si vedono che dei corpi e la parroc'-chia
è pure vuota se non vi si trovano che delle brave persone gentili col
loro parroco, assidue alle sue funzioni, generose per le sue questue, ma
d'altra parte schiave della vanità o vinte dal male. Anime, anime! ecco
ciò che chiedono gli apostoli, e il parroco è un apostolo in luogo, un
conquistatore di anime a vantaggio dei conquistati. '
In certe epoche la vita parrocchiale fu di una tale
intensità di cui non abbiamo idea. La parola famiglia non era di troppo
per esprimere l'unione che esiste-
3ÌO
va tra il parroco e i suoi parrocchiani, tutto dedicato
alla vita della parrocchia ne distratto da altre cure o provvidenze. ;
I legami tra un tale pastore e le sue pecorelle, che
trovavano nella chiesa tutto, la chiesa innanzi tutto e poi un foro, un
municipio, un mercato, un circolo • per le confraternite, un teatro
per i Misteri e i drammi liturgici, in caso di bisogno un luogo di
ricovero ;
dei prodotti agricoli, dei mobili ecc. e — in caso di
guerra — una fortezza, tali legami dunque dovevano essere ben forti.
Un tale cumulo di incombenze non era senza
inconvenienti; ma essi promuovevano almeno questa vita comune alla quale
la Chiesa tiene tanto. Sul pulpito il curato non si asteneva dal
trattare gli affari civili dopo aver trattato quelli religiosi. Facendo
parte di tutti i consigli del comune con voce preponderante, la sua
opinione era di gran peso: e in nome della morale egli dirimeva molte
questioni materiali o amministrative. Tutta la vita della parrocchia era
giudicata e guidata con ammonizioni paterne, talvolta severe, quasi
sempre ben accette se non dimenticate.
Nelle funzioni, quella specie di passività rispettosa
ma un po' inerte, che oggi constatiamo, avrebbe ben stupito i nostri
padri. In chiesa si agiva, si sviluppava il dramma: drama, la cosa
che si compie. I fedeli si interessavano, col libro alla mano
o meglio con la memoria eccitata sino dall'infanzia, a tutte le
cerimonie liturgiche. Si cantava, si facevano processioni, si
ascoltavano, se per avventura sopravveniva un predicatore straordinario,
lunghi discorsi variati e familiari che duravano talvolta delle ore. Le
messe delle undici non si usavano, e nemmeno le prediche di un solo
quarto d'ora. Si amava tutto ciò che la parrocchia presentava e
procurava. Vi si appor-
311
fava in fede,, vi si attingeva coraggio e dolcezza.
Con un mezzo cosi vicino ai fatti, la potenza della
Chiesa non era solo teorica; essa raggiungeva la famiglia nei
particolari dell'esistenza, là ove il bene e il male trovano ricetto,
là ove il Regno di Dio si stabilisce o si perde. Che importava allora
che Roma fosse lontana e il vescovo a una grandezza di passaggio!
Napoleone aveva sognato di compiere in Francia, per
mezzo dei parroci, tutta una « rivoluzione morale ». Egli concepiva il
pastore parrocchiale all'antica:
indipendente e tenuto in considerazione, -; utile per
l'alta funzione che intendeva assicurargli, per lo sviluppo
dell'intelligenza sociale », « giudice di. pace naturale » dei suoi
parrocchiani, « vero capo morale che avrebbe dovuto dirigere la loro
vita » e, grazie a conoscenze pratiche e ad un'influenza meritata, una
« vera provvidenza per le sue pecorelle » (1).
Questa visione è profonda; ma essa giungeva troppo
tardi per essere nuova. Il curato di campagna, sul quale si è
fatta tanta poesia al tempo dei romanticismo, questo essere ideale che
un Lacordaire avrebbe voluto vivere, non era poi così estraneo alla
realtà. Non è stato lontano dal rappresentare il caso generale e non
è invano che l'amore del nati o suolo — cioè della piccola patria
immediata — è chiamato l'amore di campanile.
I campanili invero furono e sono ancora in molti luoghi
il simbolo del comune. I municipi, le scuole sono le prime case di un
paese, ma la chiesa è la casa fuori quadro, la casa tra la terra e il
cielo, la casa per i corpi e per i sentimenti, per la vita di ogni
giorno e per le grandi aspirazioni fuori del tempo. Le nascite, i
matrimoni e i lutti, questi tré punti
, (1) Commentari di Napoleone I, v. V,.pag. 409. 3i2
d'incontro dell'esistenza verso i quali tutto converge,
convergono essi stessi verso il campanile; questo li domina, li attira e
li soccorre.
Ora il campanile è una cosa vivente; vivente innanzi
tutto a causa di Dio che abita sotto il suo fastigio, ma anche a causa
del pastore che abita alla sua ombra. Il gallo che spesso si gira
lassù, guardando da ogni parte, rappresenta la vigilanza di questo
padre, la cui cura non si attenua mai: la campana dalle grandi onde
sonore o dai piccoli tocchi amm&' nitori è la sua voce nella voce
di Dio. Le croci del cimitero sono la sua ultima benedizione; quelle
delle strade e delle case rappresentano il sì cordiale e grave che egli
dice col suo Maestro alla vita, a tutta la vita, che egli vuole che sia
piena di gioia e dolce, ma nello stesso tempo piena di riflessione e
santificata, in vista dell'altra vita.
Il parroco è colui che riceve, che unisce, che conforta
e che congeda i così rapidi passanti dell'esistenza. In ogni tappa egli
osserva in ciascuno il forte e il debole, il bene e il male. Ottiene
facilmente la fiducia di chi soffre e accoglie con piacere la notizia
delle gioie della vita. Le inclinazioni, i desideri, le
relazioni, le inimicizie, i successi o gli errori li cono-.sce quasi
tutti e presto o tardi si verrà a raccontargli Ciò che egli ignora.
Egli è ovunque lo si chiama, lungi o vicino, di notte e
di giorno, d'inverno e d'estate, presso i grandi e i piccoli. Le
discordie lo hanno come conciliatore, le sofferenze come consolatorc,
gli errori pubblici come giustiziere e i buoni propositi come
testimonio.
Oggi quasi ovunque, come già un tempo nelle c'ttà,
questi legami così stretti si sono un po' allentati; la nostra vita è
divenuta troppo complessa, troppo rivolta al disperdimento; ma l'unità
spirituale sussiste
313
e tutto può rinascere. Coloro, che per lungo tempo
hanno lavorato per abbattere una tale magistratura delle anime, hanno
commesso, senza saperlo forse, un delitto contro le anime, contro la
patria e contro Dio.
In città le funzioni del parroco si complicano
notevolmente e necessariamente si frantumano. Anche alla parrocchia si
applica la legge di differenziazione crescente degli organismi in
evoluzione. I! parroco non è più tutto; dei coadiutori dalle
attribuzioni ben delineate costituiscono intorno a lui un piccolo
pre-sbyteriiim secondario. Egli però ne resta sempre il capo nel
senso non canonico. '
Quando più egli è uomo di valore, di ze^o, di po-,
tere attrattivo e di devozione, tanto più può tenere salde in mano le
redini. Opere parrocchiali multiple, lezioni di catechismo di diverse
classi, scuole, patronati, confraternite, pubblicazioni, opere sociali
sempre più estese, opere di zelo la cui azione giunge talvolta sino
all'estero, ai paesi di missione, a Roma, esigono da lui attenzione,
iniziative come pure gli pongono preoccupazioni pecuniaric formidabili.
Ora in tutto il mondo, malgrado le grandi varietà
determinate dalle circostanze, dai luoghi e dall'ambiente, le funzioni
fondamentali del parroco e del suo gruppo religioso sono sempre le
stesse. In qual-siasi luogo la parrocchia potrebbe essere chiamata,
secondo un'espressione cara ai sociologi, la cellula sociale
della Chiesa come la famiglia lo è nel campo temporale. Essa è la sua
« unità tattica »: (1) ss non la sua unità mistica, mentre la
diocesi è la sua unità gerarchica. ,
(1) Cfr. Lesétre, La Parrocchia, pag. 233.
\ 314
L'autore citato aggiunge con acutezza che « la
parrocchia cattolica si distingue facilmente, per certi caratteri
fondamentali, dalla parrocchia non cattolica ad essa più simile in
apparenza, sia greco-scismatica o russa, e dei giansenisti olandesi o
dei vecchi cattolici svizzeri o dei ritualisti anglicani che si dicono
cattolici e copiano tutti gli usi della Chiesa, ma restano separati dal
suo capo ». La ragione è indicata appunto da questa ultima parola.
Dall'ultimo parrocchiano al capo della Chiesa universale, per mezzo del
vescovo, il legame religioso è ininterrotto; le mutue influenze
agiscono dando alla vita di ogni gruppo un'ampiezza che proviene dal
più grande organismo al quale esso è collegato. Il ramoscello separato
che vegeta, prendendo un po' di umidità dal suolo per cercare di
rinverdire è forse paragonabile all'aspetto del ramo sulla pianta che
attinge la linfa dalle radici, mentre tutto l'albero si staglia nel
cielo?
E' dunque naturale che la parrocchia cattolica
costituisca qualche cosa di speciale e sia ovunque sempre la stessa.
La costituzione della Chiesa si adatta alle esigenze
locali; ma il tipo di ogni organo vi è ben presto fissato, quando ciò
non avviene a causa di una istituzione primitiva. Tutto vi si evolve
secondo leggi dettate in fondo dalla natura delle cose, di cui Dio è il
fondatore prima di esserne il restauratore per opera del Figlio. Avendo
uno stesso lavoro da compiere, un lavoro umano-divino, questa
organizzazione non può che gravitare attorno a punti fissi determinati
insieme dalla natura umana, considerata qui nella sua essenza, e
dall'immutabilità finita del divino.
CAPO IX L'ORDINE MONASTICO
La Chiesa, le chiese particolari, le parrocchie: tali
sono le zone successive nelle quali la vita religiosa cattolica è
chiamata a svilupparsi e a rivelare la sua organizzazione, unica e pur
adattabile alle diverse esigenze.
Passando al campo monastico non ci troviamo più di
fronte ad un ordine particolare ne in presenza di un gradino della
gerarchla: si tratta di un perfezionamento di vita religiosa e di forme
varie, volte a farne sempre più esplicare le risorse a vantaggio
diretto delle anime più elevate e indirettamente di tutta la Chiesa.
In quanto organo della Chiesa l'ordine monastico è in
realtà di essenza collettiva come la Chiesa stessa. Abbiamo
ripetutamente detto che in un'organizzazione dell'amore, quale è il
cattolicismo, non c'è posto per la salvezza ricercata isolatamente e
ancora meno per la perfezione solitària. Tutto si collega in Dio per
mezzo del Cristo, ogni anima è collegata a tutte le altre e ogni gruppo
non è che una compagnia, un reggimento, una brigata, una divisione o
una formazione speciale nell'esercito completo.
316
E' della Chiesa intera che bisogna dire innanzi tutto
ciò che diceva San Benedetto della sua opera, quando la chiamava una
scuola del servizio divino (Dominici schola serviti!). Le «
scuole » particolari funzionano tutte nello spirito della Chiesa, sotto
la sua condotta e per i suoi fini, che sono generali nello stesso tempo
che personali per ogni figlio di Dio.
Che si tratti anche degli anacoreti, uomini che
vivono in disparte, in un profondo ritiro persino nel ' deserto, come
avviene per gli eremiti, o che si tratti di cenobiti,
monaci viventi in comunità come i benedettini, o ancora di canonici
regolari, come se ne ebbero molti nei primi secoli, o frati,
di cui i Francescani, i Domenicani, i Carmelitani, gli Agostiniani, i
Minimi sono le grandi famiglie, o ancora di chierici regolari, di
cui la Compagnia di Gesù è la più gloriosa falange, o infine di
chierici secolari che vivono in comunità, con o senza voti, come i
discepoli di Sant'Alfonso e di San Paolo della Croce, i preti della
Missione, gli Oblati di ogni famiglia religiosa, gli Oratoriani eco...,
in ogni caso l'ordine considerato non è che un'applicazione del
pensiero cattolico, un'appendice della sua organizzazione e per
conseguenza cosa .sociale.
Un ordine sarà ciò tanto meglio quando si
veri-flcherà il caso che un focolaio monastico venga eretto a chiesa
particolare con un prelato appartenente propriamente all'ordine
episcopale, o, in ogni caso, sotto la dirczione d'un clero appartenente
alla gerarchla e che governa in suo nome il gruppo di monaci.
Le chiese monastiche furono particoiarmente numerose e
fiorenti a partire dal IV secolo e forse anche prima. I loro capi,
quando si trattava di comunità maschili, furono presto presi dallo
stesso loro seno, di guisa che completa fu l'omogeneità tra il gruppo
317
considerato come appartenente all'ordine dei monaci e lo
stesso gruppo che componeva l'ordine gerarchico.
Ne venne così che queste chiese particolari, in
generale più fervorose, meglio fornite di personale, più influenti,
estesero ben presto la loro azione e si videro aggregare popolazioni
secolari, di cui i monaci erano il clero e l'abate o priore il pastore
con cura d'anime. Quando il superiore era vescovo, egli aveva così
intorno a sé una vera e propria diocesi; quando non lo era, diventava
arciprete nel senso antico della :
parola, era assimilato ai titoli cardinali delle
chiese diocesane e prendeva parte a tutti gli atti della vita
ecclesiastica che ne derivavano. Si continuava però a tener distinto,
in questa apparente contusione, l'ordine monastico dall'ordine
gerarchico o canonico.
Più tardi la fondazione dei grandi ordini apostolici
procedette da un'idea generale che collegò questi ;
gruppi più direttamente con la Santa Sede, senza
pregiudizio dei legami indispensabili con le chiese particolari nei cui
terreni tali ordini si diffondevano. E ciò costituiva anche la
manifestazione più evidente del carattere sociale di cui l'ordine
monastico era investito.
Resta da stabilire 11 valore che queste creazioni
rappresentano per la Chiesa e, per questo scopo, da definire in, se
stesso l'ordine religioso.
Lo stato religioso è propriamente una professione
pubblica di ciò che è in perfezione il lavoro stesso della Chiesa,
cioè la santità, che si distingue per mezzo della carità; adesione a
Dio e a tutto ciò che è di Dio, soprattutto il prossimo, e deposizione
contemporaneamente di ogni elemento straniero od ostile e
soprattutto dell'io egoista e peccatore.
318 .
Da questa definizione bisogna eliminare due pos. sibili
errori. La professione esterna di perfezione di cui si parla non implica
perfezione acquisita, ma ricerca decisa della perfezione. E d'altra
parte, quando si dice professione esterna, si indica anche che
l'inferiore ne può essere separato. Vi sono religiosi che non sono
affatto perfetti; vi sono dei semplici cristiani che sono più avanti
con eroismo in questa via maestra del cristianesimo. Questi posseggono
l'anima della vita religiosa senza far parte del suo corpo, mentre
quelli posseggono il corpo senza avere l'anima.
Ma ciò che importa constatare è che quest'anima della
vita religiosa è l'anima stessa della Chiesa e non è affatto una
specialità. Ciò che è specialità è la professione esterna e
pubblica. E una tale professione, appunto perché pubblica, cioè
sanzionata e connessa con l'unità cristiana, eleva colui che professa
alla condizione di rappresentante. E' tutta la Chiesa in lui che
dichiara i suoi fini, come l'eroe esprime il voto dell'esercito: la
vittoria.
La Chiesa intera ha per scopo la santità; ivi è la sua
vera opera. La santa Chiesa non è chiamata così che per questo motivo.
Così abbiamo detto che l'episcopato, rappresentazione più elevata
della Chiesa dal punto di vista mistico, è per se stesso uno stato di
perfezione che invita alla perfezione effettiva colui che vi viene
consacrato. Qui la rappresentazione non è più gerarchica, ma
spontanea; essa è però sanzionata e perciò canonica pure a suo
modo. Il caso e dunque fondamentalmente identico.
Donde si vede l'errore capitale dei « moderni » che
hanno voluto scoprire nella professione religiosa una istituzione
sorpassata, di cui la Chiesa dovrebbe avere tutto l'interesse a
liberarsi come di un accessorio ingombrante. L'istituzione religiosa non
ha nulla di ac-•
310
cèssorio; essa si collega aUa santità della Chiesa
nella sua parte fondamentale; essa rivela nella Chiesa la parte
migliore, più compiuta, in concordanza col principio che è il .suo
punto di partenza. Se non vi fossero religiosi, sarebbe un insuccesso
per l'opera santi-flcatrice intrapresa, perché tutto ciò che è stato
iniziato tende al suo compimento e deve poterne mostrare la
testimonianza. Come ha ben detto un teologo, « lo stato religioso
appartiene tanto all'essenza della Chiesa, che esso ha .cominciato
naturalmente con essa, o meglio, che la Chiesa ha cominciato da tale
stato» (1).
Il religioso non fa dunque altro che rientrare nella
logica del battesimo e spingerne a fondo tutte le conseguenze. Tutti i
battezzati fanno professione di darsi a Dio per mezzo di Gesù Cristo ,e
di rinunciare a tutto ciò che vi si oppone o lo ignora. Il religioso
non può proporsi di più; egli si propone solo di farlo meglio del
comune cristiano con maggiore pienezza e utilizzando a questo scopo
mezzi più acconci.
E la differenza, che qui stabilisce le gradazioni;
consiste nel fatto che il semplice battezzato può
attenersi ai precetti, nel compimento dei quali si prova la
carità essenziale, mentre il religioso fa professione dei consigli,
almeno dei tré che sono oggetto dei tré voti: distacco dai beni di
questo mondo per mezzo della povertà, rinuncia alla carne con la
castità, abbandono della propria volontà con l'obbedienza.
Nella vita eterna non si avrà tutto in comune? L'azione
della carne non sarà forse assente? l'adesione amorosa ai voleri divini
non sarà la legge gene-
(1) Don Gréa, La Chiesa, e la sua costituzione
divina, pag. 428.
320
rale? La vita religiosa è una prova e un'anticipazione
di questo ordine dei fini allo stesso modo come essa è un seguito e un
compimento del battesimo.
Alla morte tutti i cristiani fanno professione
religiosa: essi non portano con sé ne i propri beni, ne il proprio
corpo, ne la propria volontà- essi si tuffano in Dio e scendono al
sepolcro con Gesù -in vista di risuscitare con Lui come era il
significato dell'immersione del battesimo.
La vita in Dio, Ricco opulento che nulla ha e che tutto
possiede, ricompenserà colui che con una santa morte si è staccato
volentieri da ciò che è transitorio. La vita in Dio, nel quale è la
vita compiuta ed immutabile, terrà luogo per colui che si ritira dalla
vita senza posa morente e sostenuta dall'alimentazione e dalla
generazione. La vita in Dio, reggitore degli esseri, assoderà alla sua
Provvidenza sempre obbedita' colui che rinuncia definitivamente a volere
di propria volontà e che rimette con Gesù il suo spirito tra le mani
del Padre. Ed egli si troverà lassù consenziente col programma divino
svelato, attore del dramma universale, precisamente perché avrà
rinunciato alla « commedia » personale, accettando che essa finisse
con 1' « atto sanguinoso ».
Il religioso precede questo momento e vuoi morire
spiritualmente come fece Gesù sino dal suo primo inizio di vita e come
fecero tutti i suoi eletti a partire dai Dodici. Nulla ormai conterà
più per lui, se non Dio, se non ciò che si illumina della luce di Dio;
il resto non costituirà che oggetti nelle tenebre; egli stesso, in ciò
che non è vivificato da Dio, non sarà più che un cadavere.
Per questo il religioso ne fa voto, cioè uno
stato, in luogo di una funzione transitoria; cioè egli vuoi dare alla
perfezione cristiana, di cui fa professione,
321
21. — La Chie-,1.
la stessa estensione della vita cristiana; cioè egli
cerca di esprimere per questo periodo la conferma nel bene che è
propria dell'eternità; egli intende così garantire la sua fedeltà e
aggiungere al peso dei suoi doni quello della loro permanenza e della
loro sorgente: il capitale con la rendita, l'albero coi suoi frutti.
, La nuova vita avrà di 'solito per rifugio il mona-.
stero. Monastero, « casa di Dio », perché Dio vi go- ' ;
verna, perché Dio vi è servito, perché egli vi abita
'' ed è il possessore delle anime e dei beni ; menaste- ;'
ro, « officina » in cui si trovano i migliori « strumenti delle buone
opere » (1).
L'abito speciale portato sarà un segno di
consacrazione, di separazione, di santificazione, vestito della sposa
mistica, veste candida del nuovo battesimo, • modo simbolico di «
indossare Gesù Cristo » come::
San Paolo dice del battezzato, indossando una veste ;;•
benedetta nel suo nome, e con ciò assicurazione con- ;•-tro la
dimenticanza, preservazione da molti pericoli, , segno di rispetto da
parte degli altri per la comune':
edificazione.
La vita di comunità, che è la regola ordinaria, \
simboleggerà l'unità cristiana; essa mostrerà nel eie— lo della
Chiesa, vasta adunata di astri, delle costei-lazioni più vicine, delle
Pleiadi; essa inviterà a vi- ;
vere col prossimo come con l'Eucaristia, in comunione,
col Signore al centro; essa sarà una «provocazione alla carità e
.alle buone opere » (Ebrei, X;
24). Gli evasi dal mondo, se il mondo va a loro
sotto", forma di ospiti, di viaggiatori, di poveri, gli faranno
l'accoglienza che essi farebbero a Cristo, perché, in:
(1) Regola di San Benedetto, cap. IV. 322
Gesù Cristo, la carità, simboleggiata dalla vita in
comune, è universale, i . i
I monaci si esercitano alla mutua umiltà, all'u-,
miltà davanti a Dio, per mezzo di numerose pratiche che il mondo
disprezza. Ma il disprezzo del mondo, non è per il monaco un principio
di vita?
I loro occhi non si rivolgono a tutto: essi si serbano
per ciò che è inferiore, per la Bellezza lontana e intima. Essi non
parlano in modo indiscreto e:
quando parlano, lo fanno in spirito di silenzio e il
loro silenzio pieno di mistero assomiglia a quello che è una virtù di
Dio.
Il loro silenzio è rispettoso e saggio; è un
acquetarsi nell'attesa di un lavoro dall'alto, un'irruzione , di luce
nella notte inferiore. Grazie al silenzio, la
• parola, quando si libererà, si manterrà sotto la
sua misura e conserverà la preoccupazione dei suoi fini.. L'anima avrà
concentrato della forza, badando alla concentrazione dei pensieri in
luogo della loro dispersione, coltivando la serenità in luogo
dell'agitazione, liberandosi in luogo di attaccarsi a tutti gli-
-arbusti, coprendo il frastuono interno deile passioni,
ricevendo invece le voci ispiratrici e offrendosi ai loro suggerimenti,
vuotandosi del nulla a vantaggio del tutto.
I monaci si mortificano, cioè essi fanno morire in se
stessi ciò che non ha il diritto di vivere o anche ciò che potrebbe
legittimamente sussistere, ma che dovrà essere saggiamente sacrificato
per cause sublimi. Non è forse sublime l'ascesa dello spirito a partire
dalle profondità dove si da il colpo di pie-, de per risalire a galla?
Sublime ancor più l'amore del dolore di espiazione, del dolore d'amore
che si
323
invoca e che si coltiva, che ci insegna a gustare il
calice di Gesù, dopo la divina libazione offerta al Padre?
A tante sofferenze di cattiva lega presso se stessi o
presso altri, come pure a tanti godimenti depravati viene sostituita la
sofferenza che purifica, che da merito e che salva.
Aggiungendo ciò che inanca alla Passione di Cri-.; sto,
questi croceflssi volontari lasciano cadere lagri-\ me e
sangue nel torrente della redenzione. Essi ispirarono ad Ozanam il
sentimento di questa efficacia e reversibilità quando scrisse, dopo un
ufficio notturno alla Grande-Chartrense: «Ho pensato a tutti i delitti
che a tale ora si commettono nelle grandi città e mi sono chiesto se
veramente là vi era sufficiente espiazione per cancellare tante
brutture ».
I monaci non sono per questo tetri o depressi. La gioia
dei monasteri è proverbiale. Coloro che hanno scacciato il riso pesante
e amaro, il riso che cerca di stordire la tristezza, il riso « convulso
» che si sottrae alla misura e rischia di agitare m noi tutti le
sozzure, posseggono invece in grado superlativo il sorriso divino o il
riso franco che ci rasserena.
Sono i monaci che danno al mondo la sua migliore
porzione di gioia. Gioia pura, quella; gioia che e ' un frutto della
carità; bacio interiore che è fonte di salute e che profuma, gioia di
appartenere a Dio nell'unità di tutto ciò che Dio ama e di espandere
il cuore secondo la sua misura; gioia di anticipare il cielo, anche se
in mezzo alle più gravi tribolazioni.
Poiché queste sono pure fonte di gioia, così come la
gioia fa venire le lagrime. La vita presente è così commista di
possessi e di dispiaceri, di speranze e di attese dolorose, che è un
incrociarsi continuo di sentimenti contrastanti in cui un'anima profonda
più
324
non si ritrova. Le lagrime sono un pane nutriente e il
pane, quando lo si mangia, lascia un sapore di cenere. Vita e morte,
patria ed esilio, sono qui mescolati, e Dio che è la vita e la patria,
Dio, la « porzione » del monaco, perché si da e si ritira, si mostra
e si nasconde, diventa per il monaco nello stesso tempo la sua prova e
la sua gioia pura. Si direbbe questo Dio con lui, come in una civetteria
angosciosa, esaltandolo e flagellandolo, accordandogli come fece con suo
Figlio, il privilegio dei dolori. Egli'e felice quando abbraccia la sua
croce!
Quando il monaco fa lavori manuali, 11 fa perché il
lavoro purifica e acqueta, perché il lavoro è nemico di Satana e
avvicina ai lavoratori, nostri fratelli mettendoci in comunione con la
natura, nostra divina Sorella; perché ci unisce a tutto il reale,
figlio di Dio .e a noi stessi nelle nostre migliori fonti, perché il
lavoro fatto pregando e con pazienza rappresenta la felicità vicina e
lavorare secondo l'ordine ricevuto è vivere in Dio.
Il lavoro ha come caratteristica di far ritemprare lo
spirito a contatto delle realtà terrene. Esso ci fa "obbedire ad
una legge e pagare il nostro scotto al- ;
l'opera degli uomini. La terra è santa e tutte le
realtà sono sante; per mezzo del lavoro esse vengono elevate dalla loro
provvisoria caduta e aiutate a risalire verso le loro origini che sono
confinanti coi loro fini.
San Benedetto vuole che il cellerario del monastero
tenga con cura gli utensili di lavoro allo stesso modo come tutto il
resto che egli amministra, « come i vasi sacri dell'altare» (1). San
Basilio aveva
(1) Regola, cap. XXXI.
'3SQ •
detto prima « come dei vasi di Dio » e aveva concluso:
« Colui che li disprezza è un sacrilego ». Non è sacrilego chi
offende dei beni consacrati e ostacola il lavoro, questo servizio
divino?
Dal lavoro che introduce l'idea nella materia inerte, U.
monaco passa senza soluzione di continuità al lavoro non manuale che
affronta l'idea in se stessa. Lo studio è il compagno più assiduo
delle ore di libertà nel monastero. Esso si chiama contemplazione,
perché si orienta verso la fonte donde deriva il vero e si tiene
incessantemente alla sua dipendenza;
poiché esso intende fare « l'Opera del . Verbo »,
come diceva Santa Caterina da Siena.
Il Verbo esprime Dio e il Padre ci comunica collo studio
e con la preghiera questo Verbo che sempre sgorga. Quando il monaco vi
attinge e beve, vi prende ciò che lo fa diventare un Verbo in
partecipazione, un rivelatore animato da un soffio ardente grazie allo
Spirito d'amore in cui 'sono avvolte le relazioni tra Padre e Figlio.
Quante grandi parole sono uscite da questo commercio
interiore che trasmette la parola ufficiale e fondamentale della
Scrittura, dei Padri e della Chiesa docente!
Il culto liturgico prende nella vita del monaco un posto
che gli è stato spesso disputato, che ,non si deve esagerare, ma che
deve essere però sempre notevole. " .
Vi sono monaci che fanno di questo culto uno scopo e la
materia principale di una attività che è tutta adoratrice. Il tempo
che altri dedicano allo studio, all'apostolato o alla carità corporale,
questi trovano giusto di offrirlo all'altare. Essi sono creature
326
che esprimono lodi. Fanno tutto convergere verso il
canto, la salmodia, le cerimonie, i riti variati per mezzo dei quali
esprimiamo la nostra religione inferiore. Essi si danno al « pensum »
divino e chiamano ciò la loro «opera di Dio: opus Dei» e vi
consacrano i bei momenti che i « positivi » preferireb-^ bero invece
dedicare a fini « seri ». <:;
E' a questi monaci soprattutto che la Chiesa af-< '
fida la sua liturgia, poiché, appartenendo ess' interamente a Dio, sono
i 'migliori strumenti di preghiera. Essi fanno di questa una lode
continua e completa. La liturgia, che vuole tutto raccogliere per
offrirlo al Cielo, che vuole tutto collegare con l'Alfa e l'Omega che
essa invoca, trova nel monaco l'intermediario adatto.
A lui spetta la missione di porgere una voce più ricca
al nostro universo materiale o morale, di insegnare a coloro che,
narrano la gloria di Dio il significato del loro cantico; spetta a
lui rappresentare gli uomini distratti, infastiditi, dimentichi o
ricalcitranti; spetta a lui piegare le ginocchia, per mandato, e
soddisfare per tutti ai divini desideri, « perché anche il Padre
cerc.a chi l'adori in spirito e verità» (Giov. IV, 23).
A patti che la loro vita sia una liturgia —
pul-chra caerimoni;a, come dicono le Costituzioni domenicane — i
monaci avranno anticipato sotto questa forma ancora le sante ed eteme
occupazioni; perché le parole di vita eterna saranno sulle loro labbra
e .splenderanno' nelle loro opere. Avranno così accordato il loro
essere come il decacordo, armonizzando i gesti, i pensieri e la
voce. Loderanno Dio con le opere che Dio ha compiute in essi e con le
parole di Dio contenute nella Scrittura.
Saranno i monaci che, per affidamento della Chie-
327
sa costituiranno per l'Eucaristia un accompagnamento
più degno e per noi più utile, perché la circonderanno del glorioso
corteo delle Ore. Per mezzo della Liturgia ciclica, il cui svolgersi ha
per centro questo stesso Mistero, come le Ore hanno il loro centro nella
Messa, la settimana nella Domenica, l'anno nella Pasqua, prepareranno i
cuori alla venuta della grazia ed assicureranno il risplendere dell'idea
sacramentale.
I monaci cercheranno di santificare il giorno come la
notte, giacché la continuità è una delle qualità che la preghiera ha
rivendicato con più esigenza. Non è forse degno, giusto, equo e
salutare rendere grazie a Dio in ogni tempo? Non dobbiamo
torse ringraziarlo così in ogni luogo? La notte non è che la
seconda parte del giorno, e bisogna che Dio sia lodato su tutta la
terra.
I monaci intendono così purificare la notte che molti
insozzano, toglierle i miasmi del peccato, confidarle come in un terreno
che non li conosce i ger-mi dei buoni pensieri, orientarla
cristianamente verso il giorno che viene, fare delle sue tenebre una
luce di gioia: «Et nox illuminatio mea In deliciis meis
». .
Allontanando il sonno notturno e quello più grave della
mancanza, sperano di escludere questo sonno di morte che è il peccato,
preludio dell'eterna notte che ' ci insidia. « Camminate mentre
avete la luce della vita, perché non vi circondino le tenebre
della morte » (Giov., XII, 35).
Si noterà che il sentimento liturgico eleva facilmente
i monaci alla poesia e che questa li spinge alla più ardente comunione
con la natura. Essi l'amano
328. '
questa sorella terrestre che è sì eminentemente
religiosa: religiosa nella sua origine, che è la creazione;
nel suo progresso, che è provvidenza, e nel suo
termine: il servizio degli eletti; che la natura è sacra come tutto il
reale dacché la libertà non la disorien-Ìa. « Dio vide che
tutto era buono » dice la Sacra Scrittura; ora la bontà
degli esseri che tendono verso la loro origine, come il ruscello che
increspandosi canta la sua sorgente, è la stessa religione. Il monaco
prende ' le lezioni di là, come noi vogliamo che egli ce le doni. Vuoi
essere in rapporti con Dio come lo è la natura: obbediente, piena di
armonia e di lode, motto d'azione, poema che si evolve, liturgia sulle
due grandezze infinite.
Egli è nello stesso tempo suo discepolo e sacerdote che
ascolta in essa la voce del Signore'e le da una voce (1).
Se poi i monaci hanno altro scopo che non sia il culto,
come la carità e l'apostolato, ;! culto sarà sempre anche
per essi un valore di primo ordine e ciò a titolo di mezzo ed anche di
Scopo parziale di cui nessuno può dispensarsi. Non si possono
trascurare-le fonti. E chi non comprende che la fonte della devozione e
dell'attività conquistatrice è proprio lì, nel mistico colloquio da
solo a solo nutrito da una pubblica professione d'amore feconda di
opere?
Bisogna rendersi conto che il culto è per se stesso una
carità e un'opera d'apostolato molto preziosa. E' un fatto che tutta
l'antichità cristiana se ne pasce
(1) Gli antichi liturgisti, spesso monaci, o che ne
ave-. vano i sentimenti, sono fra tutti i più poeti, Cfr. Don Cabrol, II
libro della, preghiera antica.
329
e che questa « musica », questa armonia attiva e
vocale fu per il mondo barbaro in particolare come la lira d'Orfeo. Un
mondo civilizzato invece porterà solo più in alto gli effetti
dell'armonia di preghiera.
Tranquillità, edificazione, sentimento del mistero,
istruzione con la parola e col simbolo, esempio del ritmo e del gesto,
intimo invito ad unirsi quando pubblicamente in nome della Chiesa
universale e in faccia a Dio che ci da la sua presenza reale si
proclamano in comune il vero immutabile e i più alti beni: tali sono i
frutti sperati dal pio dramma.
Bisogna tenere presente che l'apostolo o l'essere di
carità, benefattore angelico che Dio ci invia per guarire le nostre
piaghe del corpo e dell'anima, è un angelo umano. Gli occorrono
perciò, per riuscire, o solo per perseverare, delle forze divine: ove
le attingerà se non all'altare, o nelle immediate vicinanze,
nell'irradiazione eucaristica, nell'azione rituale?
Presso i monaci predicatori in particolare l'apostolato
si fonda nettamente sulla contemplazione e ', le osservanze. «
Contemplata aliis tradere: trasmettere i frutti della propria
contemplazione», è la divisa di un grande Ordine, e gli altri vi si
confor-.' mano (1). '
La ragione è che l'azione è solidale con la vita
intcriore; l'espansione prende le mosse dalla concen-!
trazione. Coloro che sono d'avviso che sarebbe me-, glio dare all'azione
esteriore quanto si dedica di tem-\ pò e di anima alla contemplazione e
alle osservanze. ragionano come colui che vorrebbe impiegare a vuotare
un serbatoio lo stesso tempo necessario per riem-
(1) Questa formula è di San Tomaso d'Aquino (Somma
teologica, II.a II., q. CXXXVIII) ed essa è stata adottata dalla
sua famiglia religiosa, i
330
pirio. Vi è dunque solo una questione di misura. Un
Ordine apostolico non si comporta come se fosse
solo contemplativo. Ma a voler definire la questione a
vantaggio solo dell'azione esteriore si rischia di ', ;% preparare
l'anemia delle anime, la dispersione, l'agitazione sterile e i pericoli
per coloro che non si tengono a contatto con le fonti.
L'ufficio del coro col suo ordine rigoroso, il suo ritmo
e la sua relativa lentezza sembrano essere un • rimedio assai utile
per l'inquietudine e la trepidazio-ne moderna. In un'epoca in cui si
soffre, più che di altro, di nervosità e di sovraccarico intellettuale
si deve ben apprezzare questo bagno di pace e aver fiducia nei risultati
di un'attività appena ridotta nella sua estensione, ma d'altra parte
resa più intensa, meglio applicata alla parte essenziale delle cose,
più matura.
^ Non è nel silenzio infinito che la natura lavora? Non
è nella tenebra ardente delle cripte che i grandi monumenti risaltano?
La solitudine è un esilio
. che rende il ritorno in patria più cosciente e
fecondo.
I veri oziosi non sono i monaci, ai quali si fa
talvolta questa ingiuria: sono coloro che sono sempre in ';, agitazione.
Spiriti senz'aria, rivolti a piccoli lavori .'i successivi senza
pazienza, senza misura, ignorando ' che la pacata lentezza è pure una
forza, i non contemplativi restano esclusi sia dall'azione ampia sia dal
pensiero elevato. Il marinaio, il contadino e il monaco sanno che non si
fa mai tanto lavoro come . quando non lo si fa in fretta.
Si vorrebbe forse pure disconoscere che il culto, in
quanto valore di preghiera, riporta i suoi effetti su quanto è
intrapreso con spirito di fede? Dio non serba per sé ciò che gli si
da; egli lo ritorna a sua volta a noi, che diventiamo i migliori
strumenti del-
331
la sua opera, e su coloro che il nostro zelo gli offre
come una conquista fraterna ed attesa. Non dimentichiamo che se siamo
noi che piantiamo e irrighiamo, è però Dio solo che fa crescere le
piante.
E' per questa ragione che i più grandi apostoli
monastici sono stati invariabilmente i più zelanti per il servizio
divino e quelli che più tenevano a tutti i doveri della vita
conventuale. Da San Bernardo o da San Francesco e San Domenico sino a
Lacordaire, questo moderno fra i moderni, tutti hanno pensato
all'applicazione del proverbio: Medico, cura tè stesso. Essi si sono
santificati per santificare gli altri:
hanno consacrato a Dio un culto personale prima di
offrirgli eventualmente il culto altrui. L'apostolo è un supplemento e
quasi un traboccare di ricchezza. La liturgia loda San Domenico per il
tatto che egli ha accresciuto in sé l'uomo canonico rendendolo
apostolico (VÌrum canonicum auget in apostolicum): essa non lo loda
del fatto che egli abbia abbandonato Dio per l'uomo.
. Si può dunque ritenere che la rinnovazione li-.
turgica inaugurata da don Guéranger è in correlazione naturale con le
vedute apostoliche dei migliori. Questa campagna era perfettamente
opportuna. Lungi dall'impoverire la predicazione, lungi dallo stancare
il popolo, essa lo riunisce e lo predispone, per mezzo dell'unità
visibile, all'unità mistica nel Signore.
L'utilità religiosa dei monaci è già implicita nel
fatto che essi esistono, se è vero che essi completano in sé quello
che è il lavoro proprio della Chiesa, ed essa da impulso pure a ciò
che essi fanno, sia pure anche nel campo extra religioso, come, ad
esempio, quando diventano agricoltori, industriali.
332
amministratori, o si danno a studi per se stessi
profani. Tutti questi lavori riservano i loro valori nel ' tesoro della
Chiesa per il fatto che innanzi tutto essi santificano coloro che li
praticano, mantenendoli nelle sante leggi dei loro istituti e nella
legge generale dello sforzo imposto agli uomini e inoltre anche per il
fatto che il riconoscimento dei popoli, sensibili soprattutto a ciò che
è visibile, torna a vantaggio del sentimento religioso che il
benefattore qui rappresenta.
Non occorre ricordare ciò che i monaci hanno compiuto
per la civilizzazione. Quantunque alcuni siano propensi a dimenticarlo,
nessuno dovrebbe non ri-conoscerlo. Il loro sforzo ha prodotto di più
di quello di ogni altra istituzione temporale, e più utilmente, perché
ciò avvenne nei primi tempi.
Come- forza d'espansione per la Chiesa, come valore di
accrescimento interno e di progresso, l'ordì-ne monastico offre dei
servizi, che, umanamente parlando, non potevano essere compiuti da
altri. I monaci istruiscono la Chiesa allo stesso modo come la
edificano. La mantengono a contatto delle sv.e fonti dottrinali che essi
fanno oggetto di studio costante. Essi principalmente, quantunque non
essi soli, sono abituati ai grandi lavori, quelli che esigono la
solitudine, la collaborazione e l'ampiezza del tempo. Le « cisterne
screpolate » dell'informazione affrettata e della piccola pubblicità
non sono fatte per loro. Di solito essi vedono profondamente e squadrano
ampiamente.
Il ministero della parola, essenziale per la Chiesa, fu
loro affidato in una misura sempre crescente. Si direbbe che sono stati
proprio essi che hanno inteso questo ordine: Andate ed insegnate a
tutte le genti, quantunque ciò avvenga specialmente per mez-
;B3
zo dei vescovi, per i quali la predicazione, come
abbiamo visto, è la caratteristica della loro funzione. Desiderosi di
afferrare per loro conto la luce divina, i monaci si preoccupano di
diffonderla; essi dicono col Salmista: « Non ho nascosto la vostra
giustizia nel mio cuore; ho annunciato la vostra verità e la vostra
salvezza » (Ps. XXXIX, 11).
L'amore delle anime non è loro punto particolare;
ma essi spingono più innanzi il loro zelo e coprono
maggior spazio con la loro azione per il fatto che essi non si limitano
al quadro di una diocesi e a maggior ragione di una parrocchia. A
partire dal XIII secolo soprattutto, dopo la fondazione dei grandi
Ordini apostolici, così chiamati perché sono inviati dalla Santa Sede
e percorrono tutto il mondo, il loro zelo si è esteso su tutto il campo
del Signore in cui essi gettano il loro seme. Per loro mezzo si è visto
rinascere e rafforzarsi l'immagine dei primi • tempi, quella dei
viaggi di San Paolo, quella delle.' grandi incursioni che avevano dovuto
precedere le fondazioni regolari alle quali aspira la Chiesa come a una
opera principale. .
Il lavoro decisivo, nel campo spirituale, si, com- ;
pie per mezzo della gerarchla e per conseguenza nel
quadro in cui la gerarchla funziona. Il monaco apo- , •stolo invece
non lavora là. Come Paolo, egli non bat- , tezza ma predica. Ma perché
si possa battezzare occorre il lavoro dei cacciatori di anime; occorre
altresì l'aiuto delle missioni inferiori, degli stimolanti, nuovi,';
insistenti, periodici di cui la parrocchia ed anche
la,;;
diocesi sono ben lontane dal fornire sempre i mezzi.'
Questi rinnovamenti della vita, che succedono alle;':
preparazioni, costituiscono il duplice complemento dì
un'azione centrale che rimane essenziale.
334
«Noi volevamo ardentemente offrirvi non solo il
Vangelo, ma anche la nostra anima »,
scriveva Paolo ai Tessalonicesi (I Tess., II, 8): queste parole non
potrebbero evocare, se non esprimere, l'azione apostolica degli Ordini
religiosi con l'esempio? « Offrire la propria anima» vuoi dire dare la
vita; ogni apostolo deve esservi pronto; ma è anche offrirla a modello,
o almeno meritare che essa sia presa come tale. Così la luce sul
candelabro e» la città sulla mon-. lagna nel discorso del Signore.
I monaci evangelizzano la vita vivendola. Essi eccedono
in relazione a ciò che si chiede alle folle; ma è in tal modo che essi
trascinano la folla, porta-'bandiera delle vittorie morali. Fedeli a Dio
oltre misura, essi per ciò stesso distolgono dal tradirlo e il . sfatto
che essi amplifichino su se stessi i suoi dì.ri':ti. non costituisce un
fervido invito a seguire i suoi pre-cetti? , , .
I monaci partono in pellegrinaggio verso Dio con maggior
fretta, con minori bagagli, colle reni meglio cinte, non essendo
ingombranti le vesti dell'anima, con la lanterna in mano per i passaggi
oscuri, pieni della nobile preoccupazione di giungere presso colui che
ci chiama. Superandoci nella via essi la segnano facendo così in modo
che non la si possa perdere o che vi si possa smarrire. Sulle cime delle
salite le loro figure si stagliano nel cielo. ;
Marciare davanti a Dio, cioè in presenza di
Dio e nella direziono di Dio è, nella Sacra Scrittura, la lode suprema
dei giusti. Ora l'esistenza delle vite mo-nastiche e lo splendore che ne
deriva non sono forse un aiuto a ravvivare la divina presenza, a vincere
la spaventosa incoscienza che ci tiene prigionieri, ad avere coscienza
di Dio,; affinchè la sua volontà ci appaia evidente come il nostro
desiderio, di cui egli
335
è la regola e l'ispiratore, insomma, non ci insegnano a
camminare sotto quello sguardo la cui luce abbagliante offre lassù
l'impeccabilità eterna?
Nelle nostre prove le loro prove volontarie sono un
incoraggiamento e un'indicazione. Essi ci insegnano a sopportare il
Signore, essi che lo provocano (Ps. XXVI, 14). Essi ci abituano alla
sofferenza e santificano per noi le privazioni. Fanno col distacco, una
copia della morte e ce la mostrano, per mezzo dell'amore, invidiabile ed
ospitale. Colei che viene « una sola volta » viene da parte di un
sovrano paterno; essi ce la presentano, e poiché l'hanno ammansata,
avremo forse minore spavento a guardare la sua faccia di ombra.
A vantaggio delle anime desiderose del meglio, i monaci
hanno fatto in grande l'esperienza della vita intcriore; essi sono dei
maestri incontestati, al-l'intuori delle Scritture e dei Padri, di cui
molti sono del loro ordine. La loro solitudine ha ascoltato con maggior
attenzione questa voce di Dio che è come un soffio di vento (III
Rè, XIX, 12); essa ha ascoltato il silenzio che nessuno comprende.
Grazie ad essi. Dio non si scoraggia di parlarci;
il Verbo inferiore si effonde. Il loro distacco dal
mondo fa sì che gli eletti del mondo, riguardandoli, si
orientino verso cime più eccelse. Il mondo così provocato e diviso
spesso si irrita delia selezione che questo miraggio provoca; ma i
monaci sanno bene che « disturbando » in questo modo essi servono. Se
dopo di ciò essi sono perseguitati con maggior accanimento, sanno che
questa sarà la loro ricompensa.
Per coloro che intendono il loro muto appello, essi
hanno in anticipo preparato dei quadri. Un nido dell'anima caldo e ben
costruito li riceverà, fra i rami della gerarchla, sul tronco della
Chiesa. Per
336
coloro che non rispondono all'appello e offendono il
'loro Maestro, i monaci hanno preparato in anticipo a Lui una prova
d'amore: sarà loro dolce, nella loro tristezza fraterna e filiale,
sentirsi dire: « Siete voi che siete rim.asti con me durante le mie
sofferenze»' (Luca, XXII, 28).
In luogo della nostra vita religiosa senza gioia, della
nostra fede senza eco, della nostra esperienza triste, della nostra
carità inerte, i santi monaci danno da parte loro alla Chiesa una
tonicità mistica e attiva che ne completa il valore; essi sono il
gioiello della corona gerarchica, quantunque la gerarchla rimanga e
debba sempre rimanere il diadema immortale.
Nulla di strano perciò che gli Ordini monastici abbiano
in ogni tempo sostenuto le avversità rivolte contro la Chiesa, salvato
col loro intervento le situazioni compromesse e trovato nel loro seno,
con energici contraccolpi, i mezzi di far fronte a tali av-^' versità.
Vi è una storia commovente che si prosegue dagli inizi
della Chiesa sino ai giorni nostri. '
II ' peso della materia di cui essa è gravata e i suoi
stessi successi espongono la Chiesa al pericolo di impantanarsi nel
fango fecondo ma facilmente sommergente della terra. Il suo edificio
morale può cadere, quando sia privato delle sue basi essenziali che
sano l'umiltà, il distacco, l'allontanamento da ciò che è sensibile.
Occorre allora che dei salvatori collettivi, generalmente guidati da
capi di provata santità, vengano, come Francesco e Domenico nel sogno
di Innocenze III, a sostenere la costruzione divina ed umana.
22. - - La Chiesa.
Nel solo ordine canonico la Chiesa non potrebbe forse
trovare sufficienti reazioni. Accade che «i pa- » stori dormano »,
come diceva un illustre monaco al Concilio di Trento. « Occorre allora
che i cani abbaino ». Essi abbaiano, ed anche mordono, come morde il
cane del pastore; essi risvegliano, se ci si può così esprimere, lo
Spirito Santo che dorme nelle loro anime, fossero pure quelle dei capi,
e fanno avanzare più rapidamente le truppe evangeliche attardatesi.
In realtà, non è compito dell'apostolato di mantenere
e, in caso di bisogno, di restaurare ciò che nei primi giorni
l'apostolato ha istituito? Lo Spirito divino, abbiamo detto
incessantemente, non è tutto nella gerarchla. Là è la grazia di
governo e di controllo; altrove spesso è la grazia di iniziativa e di
rinnovamento anche dell'autorità in ciò che essa ha di umano. Lo
Spirito divino è pure apostolo. Egli percorre il mondo per mezzo dei
suoi eletti, allo stesso modo che percorre le nubi, alle quali la
liturgia paragona i missionari del Verbo, come pure il vento
purificatore apportatore del seme.
Grazie a questa effusione continuamente rinnovata
nell'opera eterna, i mali della Chiesa sono per essa l'occasione di
mostrare la sua vitalità indistruttibile; le sue malattie sono crisi
donde essa riprende il cammino per nuovi gradi di sviluppo; i suoi
rimedi le fanno l'effetto di elisir di lunga vita.
In avvenire, come nel passato, occorrerà dunque fare la
parte dei monaci. Nessun mezzo più adattabile per vedere il Vangelo
adeguarsi alle nuove situazioni e risolvere le future crisi che tutto,
in senso umano e divino, ci induce a prevedere.
E' da questo punto di vista utilitario, come più sopra
da un punto di vista organico, che dobbiamo
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affermare l'unione indissolubile nella Chiesa
dell'ordine canonico e del suo ausiliario, quello monastico. Entrambi si
dividono le funzioni ed effondono i valori della società spirituale
cristiana; ambedue rivelano l'essenza del vivente umano-divino.
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CONCLUSIONE
Questa è dunque la Chiesa, queste sono le sue
necessità, la sua essenza intima; tali sono i suoi caratteri, le sue
attitudini e la sua organizzazione.
Il tutto è coerente della coerenza di Dio, la cui vita
trinitaria ha il suo rinesso nella Chiesa; il tutto è pure coerente
della coerenza dell'uomo eterno,;, per mezzo del quale Dio intende
collegare alla sua ' eternità tutto ciò che è transitorio.
Questa vita stupefacente è là sotto i suoi occhi con
le sue debolezze ed imperfezioni, figlie del tempo, con le sue energie e
le sue ineffabili bellezze intime o visibili. La si studi come avremmo
voluto fare con minori lacune e si porti in questo studio, se è
possibile, maggiore penetrazione e maggior pietà verso la verità che
ci salva; che si consideri e riconsideri questo problema permanente
posto al mondo con la sua parte di evidenza e di mistero. Perché siano
date le condizioni e che non si cada in preda all'illusione inveterata,
si approverà come conclusione la fiera dichiarazione del Concilio
Vaticano che qualifica la Chiesa « una bandiera innalzata al disopra
delle nazioni », affinchè per suo mezzo si manifesti la presenza
divina.
Non è con lo sguardo superficiale del passante che si
deve studiare la Chiesa e ancora meno con lo
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sguardo sviato dalla passione che vede dappertutto
deficienze; è con vedute larghe come l'orizzonte terrestre che si
tratta di considerare le prospettive immortali ove si tratta di avviarsi
e d'altra parte bisogna fare ciò con un sentimento di eventuale
adesione a tutto ciò che sarà riconosciuto come vero, benefico e
necessario.
La verità è abbastanza grande per non offrirsi che a
colui che sino da principio le ha consacrato i^-il suo cuore.
Possa chi ha seguito le verità contenute in questo libro darsi,
aderendovi, alla Verità viven- , tè che ci comprende tutti e un giorno
risplenderà in tutti noi.
FINE
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