Attenzione: Queste pagine appartenevano a "L'incontro". Non sono verificate dal 2001. Avendo subito perdite consistenti di dati, e soprattutto essendo ormai datate, possono contenere errori e non rispecchiare più il pensiero degli autori. Se sei l'autore di uno o più di questi contenuti contattami a jotis@iol.it   Politica Cultura Scienze  Società  Religione Psiche  Filosofia  Ambiente Arte  Cinema Sport Napoli Università Home

A. D. SERTILLANGES

LA CHIESA

traduzione del Prof. Tito Scolari

Volume II

EDIZIONI PAOLINE - ALBA

Titolo originale dell'opera:

L'EGLISE

Litor.air.ie Leoonre, 1931 - Parte

 

partecipa all'opera di correzione della biblioteca teologica(clicca)

provvisoriamente per cercare i capitoli usare l'opzione control+f in seguito le voci in basso saranno rese attive per consentire una rapida consultazione e navigazione. Grazie.

Noi abbiamo letto attentamente l'opera del M, A. D. Sertillanges intitolata « La Chiesa ». La più sicura' dottrina, adattata ai più profondi bisogni della società moderna, in una lingua ad un tempo luminosa e ricca, dona a quest'opera apologetica un valore eccezionale.

Crediamo che la sua pubblicazione sarà d'un grande profitto per le anime e contribuirà largamente a far comprendere ed amare la Chiesa.

M. J. GiUet, O. P. Dottore in Sacra Teologia T. Mainage, O. P. Dottore in Sacra Teologia

Nihil otostaf.,:

Imprimatur:

Parigi, 29 Settembre 1916.

V, se ne permette la stampa. Alba, 15 Dicembre 1946.

Monpeurt.

E. Adam,

Vicario Generale

Can. G'ianolio, Vie. Gen.

PROPRIETÀ  RISERVATA

Stampato nella Pia Società San Paolo —ALBA

LIBRO III

LA VITA SACRAMENTALE DELLA CHIESA

2-SACRAMENTALI

CAPO I IDEA GENERALE DEI SACRAMENTALI

II carattere sacramentale della Chiesa, cioè la sua .tendenza ad utilizzare, per uno scopo religioso, simboli espressivi ed attivi, si mostra soprattutto in ciò ch.e si chiama, in senso proprio, «Sacramenti», ma non vi si esaurisce. E' essa, la Chiesa, nella sua parte fondamentale, e per conseguenza in tutto ciò che da essa emana, che è sacramentale.

La Chiesa è sacramento in tanto in, quanto è simbolo e mezzo d'unione tra l'uomo e Dio, mentre il suo Cristo, capo, «testa» del corpo mistico organizzato, è sacramento, essendo essa l'espressione di Dio in quanto egli si è dato all'uomo, e dell'uomo in quanto 'questi si è dato a Dio.

Si dovranno dunque trovare nella Chiesa segni di questo carattere profondo, all'infuori dei sacramenti propriamente detti, tali segni si distinguono dai sacramenti per il fatto che questi rispondono ai bisogni fondamentali della vita religiosa ed anche perché essi sono stati, per questa ragione, oggetto di un'istituzione speciale e sono stati dotati di un'efficacia più diretta. Ma per i riti secondari si è conservata una parola che li ricollega al principio comune, una parola .

attenuata e pertanto espressiva dell'idea centrale: si chiamano cioè sacramentali (sacramentalia, cose sacramentali). •

Vi sono persone che, volendo esplorare questo angolo di teologia, vi si perdono un po'; all'occorrenza, vi si scandalizzano. Esse constatano che necessità di parallelismo hanno fatto distinguere sette sacramentali cosi come vi sono sette sacramenti. Poi, consultando gli autori profondi o i documenti: S. Tommaso, il Concilio di Trento, ecc., intendono dire che ve ne sono molti (multa); che ce n'è un numero indeterminato (si quae aliae res...). E si meravigliano.

Ciò è molto naturale.

Nei manuali per i fanciulli tutto viene, definito con chiarezza; ma nella scienza, ciascuno sa che la Chiarezza si diffonde in mille sfumature meno afferrabili, e cosi è assai di più nella realtà. •

Si potrebbe dire con esattezza quanti colori esistono nell'arcobaleno? Ve ne sono tré, sette, ve ne sono innumerevoli. Nei pensieri e nei sentimenti vi sono ancor più sfunfature.

Si possono tentare classificazioni; esse però non saranno mai esaurienti. La realtà è inesauribile; la realtà è ineffabile nel senso etimologico della parola;

essa non può essere espressa con un numero determÌT nato di concetti o di parole; essa si sprofonda nel doppio infinito in cui il nostro essere è immerso: infinito della materia, che si suddivide sino al nulla;

infinito dello spirito che spinge le sue conquiste sino a Dio, limite ideale e inaccessibile.

Il carattere sacramentale della Chiesa, poiché impregna la Chiesa a fondo sino a confondersi con essa, risente di questa condizione, I suoi sacramenti sono

sette, come vi sono sette colori nello spettro; ma l'atmosfera dei sacramenti, se ci si può così esprimere, tutti i riti che li accompagnano e quelli che se ne staccano per arrivare a santificare la vita dandole' un significato, un andamento e una portata religiosi;

tutto ciò è pure sacramentale. E se si dice, come si dice effettivamente qualche volta; vi sono sette sacramentali, ciò è dovuto al fatto che si è convenuto di tenersi ai principali — la cui scelta potrà'd'altronde dar luogo a controversia.

In realtà, vi sono tanti sacramentali quante sono le .cose, i gesti, le parole, i riti che permettono di entrare — e per mezzo dei quali la Chiesa invita a entrare nella grande corrente santiflcatrice che, dal sensibile, in nome dell'Incarnazióne, ci conduce al divino intelligibile.

Non potremo perciò far altro che dare alcuni esempi. La loro scelta sarà del tutto utilitaria. Prima di enumerare, cominciamo con una definizione generale.

I sacramentali sono atti esteriori di religione od oggetti consacrati dalla religione allo scopo di avvicinarsi a Dio mediante il Redentore.

Gli effetti che da essi si attendono sono quelli che richiede la vita cristiana. La purificazione dell'anima;

la soddisfazione della giustizia per le nostre colpe;

l'espulsione degli spiriti maligni; il soLievo delle nostre pene, se il nostro Padre dei cieli lo trova opportuno; l'allontanamento dei flagelli sotto le stesse condizioni e la libertà interiore dei figli di Dio; tali sono quelli che registra la teologia.

Gesti minuscoli e familiari, cose da nulla; un'aspersione, una croce tracciata sulla fronte o sul petto, una formula: queste cose, entrando nella grande corrente

religiosa, diventano efficaci. E lo diventano a cagione della nostra costituzione psicologica, nella quale 11 sensibile ha tanto posto. Lo diventano anche a cagione dell'istituzione della Chiesa che ha il potere di captare forze superióri: forza di associazione che è creatrice riguardo all'individuo; forza del Redentore, nel quale la società cristiana trova il suo centro; forza di Dio, che è congiunto al Redentore e che, per mezzo di lui e della Chiesa, è congiunto con noi.

E' una tendenza naturale dell'uomo quella di cercare simboli nella, natura; di parlare o di agire per metafore; di dare alle cose in uso nella vita materiale un senso relativo alla vita morale. Tutte le letterature lo mostrano e la costituzione intima delle lingue lo prova, poiché il simbolismo ne è il fondo.

, Una preghiera ardente, non è un'allusione all'ardore del fuoco? Un diluvio di calamità, non è una metafora tolta all'acqua? ,11 sale attico, il sale della saggezza non è un richia-no delle proprietà attive e conservatrici del sale? Parlare con unzione; ^ mettere un balsamo sui dolori, ecc. ecc. non sono una serie di parole simboliche? E se faccio un gesto di 'negazione, non ho l'aria di cancellare alla lavagna quello che un sì sta dicendo, o di allontanarlo come un ostacolo al mio spirito, come si allontana dal proprio cammino un ciottolo o un ramo secco?

Tutti i nostri gesti protocollari, tutti i, nostri saluti, i biglietti da visita scambiati, i mazzi di fiori inviati in occasione di feste o di fidanzamenti, gli usi funerari, tutto, nella vita sociale, è pieno di simbolismo e tende ad avvicinare la materia allo spirito, per esprimere lo spirito e così svilupparlo.

Mettete simboli di questo genere al servizio del-

10

l'idea religiosa, fatelo con sentimenti che rispondano all'azione; fatelo in nome di una tradizione comune tra i cristiani; sotto la protezione dell'autorità o in base ad istituzione formale dell'autorità che esprime e regge il gruppo; sperando o piuttosto credendo che il Redentore capo dell'umanità religiosa, unito ai suoi mèmbri in ciò che essi fanno in suo nome da ai gesti pii e significativi istituiti un'efficacia in rapporto colle nostre disposizioni ulteriori e in rapporto con le disposizioni superiori della sua provvidenza: e voi avrete i sacramentali.

Tutta la poesia della natura potrà esservi incorporata, come lo si potrebbe vedere considerando le mirabili liturgie antiche.

E con la poesia della natura, alla quale attingono allo stesso scopo i nostri autori, si trovano nei sacramentali tutte le perle che i culti pagani, sbocciati dai popoli piiù artisti dell'universo, hanno nei secoli accumulato senza poterli infilare in un dogma corretto o in una morale pura.

Per arrivare al cuore dell'uomo, la cui porta è aperta a tutte le influenze naturali, questi segni pure così naturali, così vicini alla vita quotidiana, così espressivi nei riguardi del senso universale, saranno molto 'efficaci, 'a condizione però che essi serbino il loro valore intrinseco.

Questo è dato dal senso cristiano che vi si unisce, dal loro significato superiore, dalla dottrina che li riempie e dal genere di sentimenti che essi sono destinati a promui, 'ere. Senza di che essi non sono che cadaveri e si .- ,^-ebbe tentati di dire a chi se ne serve senza comprei. ierli, 'senza pensare ad essi, senza volere il loro effe,.,''o morale e che vede, a lato, il sorriso incredulo:

11

E' vero! L'incredulo ha ragione. Lasciate che si faccia beffe di ciò che voi stessi rendete puerile; lasciate che consideri senza valore ciò che voi avete ucciso.

Lasciate che i morti seppellisc,ano i morti.

Ma non si giudica una cosa in base a coloro che ne abusano, ne di una lingua in base agli stranieri che la deformano.

L'azione sacramentale ha un'efficacia per se stessa, come simbolo espressivo ed evocatore, come idea-forza, direbbe un filosofo.

Essa ne ha un'altra o, se si vuole, la prima si rafforza per il fatto dell'unità cristiana, nella quale l'individuo che agisce si trova impegnato.

La nostra unità, di cui le nostre autorità costituiscono il legame, mette a servizio di ciascuno la preghiera e il merito di tutti. Quando la Chiesa dice, co-. me nella benedizione del cero pasquale: «Signore, Dio, Padre Onnipotente, luce che non si spegno, voi che avete creato tutte le luci, benedite questa luce santa, fate che per mezzo di essa siamo infiammati e illuminati della vostra chiarezza... », pensiamo che ciò non sia vano.

E come mai questo sarebbe vano, quando alla testa della nostra unità si trova Colui che ha detto:

« Quando voi sarete in due o tré riuniti nel mio nome — a maggior ragione la società universale che l'istituzione evoca e mette in opera — ecco che io sono in mezzo a voi »?

La nostra unità è feconda di Divino, essendo essa collegata a Dio mediante il Redentore. Primo dei suoi fratelli, capo dell'umana.tà deificata in lui, il Messia comunica a tutto ciò che egli tocca un'efficacia divina. Se la Chiesa mette in contatto, con la sua liturgia,

12

gli umili gesti detti sacramentali con la sorgente irradiante preparata per noi tutti sulla Croce, solo nostre disposizioni insufficienti o necessità provvidenziali potranno limi'tarine gli effetti.

Tutti in uno per il Cristo; Dio in tutti per il Cristo; noi stessi uniti gerarchicamente, i fedeli sotto i pastori, i fedeli e i pastori sotto l'Uomo — Dio; tale è la condizione perché la corrente passi, perché la preghiera efficace salga e il benefìcio discenda su di noi.

Dio allora si diffonde per mezzo dei nostri riti e per mezzo di essi ci attira a sé. Dio si fa uomo una volta ancora, sotto quest'umile forma, affinchè l'uomo sia fatto Dio.

Prolungamento dell'Incarnazione diffusa ovunque, in tutte le direzioni della vita, il rito sacramentale tende ad assicurarne gli effetti. Se noi corrispondiamo a ciò che esso cerca, la nostra vita si organizza felicemente, cioè in conformità dei suoi fini. I nostri . mali si acquetano o cambiano di segno, direbbe un matematico. In luogo di una schiavitù in relazione alla materia o allo spirito oppressore, umano o .sovrumano, essi diventano una prova salutare, un con-, trollo del nostro valore e uno stimolante affinchè esso cresca; in una parola, un aiuto.

Bisogna ripeterlo, poiché è la base dell'idea sacramentale, la materia è serva dello spirito; l'ordine :

morale domina l'ordine fisico e, unito a Dio per il Cristo, esso esercita il suo .dominio .a vantaggio di chiunque vi sia disposto.

Se ci stacchiamo da questa azione religiosa, che ci ricollega ad un'onnipotenza redentrice, ricadiamo nel conflitto feroce delle forze. Forze naturali schiaccianti, forze sociali rivolte alla lotta per l'esistenza, forze Anteriori abbandonate a una molteplicità estenuante di azioni: noi diventiamo loro schiavi.

Con Dio, i cui fini patemi governano tutto l'Universo, ritroviamo la sicurezza. La malattia, la debolezza interiore, gli accidenti della vita, la tentazione, la morte, che sono sue serve, diventano altresì le nostre. Esse sono le nostre « sorelle », come diceva S. Francesco d'Assisi. Noi siamo liberi dalle loro imprese ^e sicuri, al contrario, del loro aiuto.

E' là che mirano, un quanto applicazioni della re-;ide'nzione, tutte le azioni sacramentali della Chiesa. Le ^piccole azioni, dette sacramentali, sacramenti minori,, , come li chiamava l'antichità, vi si presentano al loro .'posto. Non li sacrificheremo agli spiriti ipercritici.

Non diciamo che è veramente degno e ragionevole, : eguo e salutare impiegare, per servire Dio e salire ;; verso di lui, tutte le realtà naturali, tutti i valori del .simbolismo, tutti i frutti della nostra unione col Cri-;'sto, affinchè Dio venga a noi e noi possiamo andare a lui secondo la nostra natura e le nostre relazioni di' ' vita; affinchè entriamo nel piano di redenzione baii sato sull'incarnazione; affinchè liberiamo la creazione, che pure « geme » della sua dissoluzione anarchica, della « schiavitù che le impone la corruzione »!

Ben lungi dal materializzare lo spirito, come glielo ^rimproverano i protestanti e i razionalisti, il nostro 'culto ha per iscopo di infondere spirito nella materia. ;, Esso non vuole quel dualismo ingannatore che, avendo ; nazionalizzato a oltranza e non avendo pur tuttavia la : possibilità di abolire la carne ne il suolo sul quale '• essa si muove, ne gli oggetti esteriori di cui essa vive, :. arriva semplicemente a lasciar corrompere la carne e a far sì che le cose riescano domina trici, mentre lo ; spirito vi si esaurisce per non aver saputo servirsein'e. i. Ciò è tanto più vero perché la natura'umana è 'più debole. E ciò è tanto più vero per la parte più debole dell'umanità, cioè per i piccoli.

14

Senza alcuna parzialità la Chiesa, che si da tutta a tutti, si volge più volentieri verso coloro che non possono contare, per essere spiritualizzati, che su di lei; verso coloro che la materia conquista facilmente, perché ne sono più vicini dovendo vivere quotidianamente senza poter risalire, poveri minatori sepolti nelle gallerie oscure della vita, verso le regioni della luce.

La Chiesa li prende là ove essi si trovano e parla loro di ciò che essi, sanno. Essa impiega un linguaggio immaginoso, un linguaggio d'azione, il linguaggio dei primitivi. Ed è questa una maternità che tutti devono apprezzare, alla quale tutti devono unirsi, anche se non ne hanno bisogno per loro stessi.

La grande fraternità, si oppone alle nostre cariche gerarchiche. E d'altronde, pensiamoci, il regime adatto per il fanciullo, lo è pure per l'uomo, Che resta un grande fanciullo. Il regime del primitivo è adatto per il civilizzato per ciò che gli rimane di primitivo.

«Grattate il russo, diceva Napoleone, e apparirà U cosacco ». Grattate il razionalismo orgoglioso e vedrete comparire l'uomo di sensibilità e di automatismo. Impadronirsi, per il suo bene, della sua sensibilità e dirigere il suo automatismo, questa è, da parte della religione, una misericordia.

Lasciamo che l'Immenso ci tratti da fanciulli, da primitivi nell'ordine morale, da selvaggi dell'eterna civilizzazione, nella quale sì tratta di umilmente entrare per mezzo delle santificazioni tentate dai nostri riti.

la

CAPO II LA MESSA

Se i sacramentali sono, a lato dei sacramenti, come segni secondarii del carattere sacramentale della Chiesa, non ci si deve stupire di constatare che i sacramenti propriamente detti siano per una parte la sorgente e per il resto i centri d'attrazione dei sacramentali. Quelli di questi ultimi che se ne staccarono, come Tacqua benedetta o il confiteor, non mancano di farvi ritorno; quelli che nacquero nella loro atmosfera, come il segno della croce o l'elemosina rituale, vi si ritrovano sotto la forma di cerimonie accessorie o annessi.

Così l'Eucaristia, sacramento per eccellenza, sacramento dal quale dipendono tutti gli altri, richiama a sé tutto ciò che si può dire sacramentale, ed è per questa ragione che la Messa, la Messa solenne soprattutto o Messa gr.ande, è il centro di tutta la liturgia cattolica (1).

La Messa si propone di essere una commemorazione

(1) « La Méssa è stata come il grano di senape, donde è uscita tutta la liturgia cattolica a DON CABROL, n libro de;la preghiera antica. Pag. 84.

16

e una riproduzione mistica dell'atto redentore. Ora, per il cattolicismo, la redenzione è il punto di partenza, la condizione totale, la spiegazione e il sostegno del movimento religioso, tutte le fasi della storia :n cui esso si inquadra, tutti i -suoi punti di contatto, tutte le sue tendenze e tutti i suoi risultati.

La religione è adorazione; essa è lode e azione di grazie; la religione è pentimento; essa è un appello, confidenza, tenerezza. La religione è mtfunione che aspira all'intimità e alla pienezza e nello stesso tempo all'eternità.

La sua estensione si pretende universale. La materia stessa, con tutte le sue manifestazioni, fatta per servire lo spirito, entra nel suo dominio. Le diverse parti della Messa, parole o azioni, si adattano a questa essenza multipla, e ne danno la più precisa e talvolta la più splendida espressione. Il rito sacro, per la sua stessa suddivisione evoca già la ripartizione dei tempi religiosi e, parallelamente, la successione degli atti umani riguardò all'oggetto religioso. La preparazione, o Messa dei catecumeni, che va dall'inizio al-l'offertorio, appartiene all'Antico Testamento, cioè purificazione intcriore, condizione per la venuta di Dio in noi. Storicamente essa è una sopravvivenza dell'ufficio del sabato sera tenuto alla sinagoga, quello che praticò il Salvatore a Nazaret, a Cafarnao, a Gerusalemme e che i primi cristiani, ricordandosi delle parole del Maestro: « Io non sono venuto per abolire ma per perfezionare» conservarono.

Quando gli apostoli scrivevano alle chiese lontane, le loro lettere vi erano lette col nome di Epistole. Quando furono redatti -i Vangeli in memoria dei fatti divini, essi presero nella Messa un posto d'onore. E come nelle letture bibliche nelle sinagoghe si leggevano commenti adatti alle circostanze, così al

2. — La Chiesa.

Vangelo e all'Epistola si aggiunse la spiegazione.

L'asperges, col quale ha inizio la Messa solenne. da il tono del Confiteor, come simbolo purificatore, formula mirabile che viene commentata e che suscita più avanti suppliche alternate che sono come una litania di pentimento e di dolore: Signore, abbi pietà di noi! Cristo, abbi pietà di noi! Signore, Cristo, Signore, abbi pietà di noi!

E si esprime questo in greco (Kyrie...), anche nei nostri riti latini, come nei riti greci e latini si conservano parole ebraiche: Osanna, Amen, Sabaoth... allo scopo di conservare parole consacrate dal lungo uso, ma: anche per far risaltare l'universalità del pensiero e dell'istituto Cristiano. Sulla Croce,- l'iscrizione che designava il Redentore era scritta in tré lingue: la lingua mistica, la lingua fìlosofica e la lingua giuridica o amministrativa: l'ebraico,., il greco e il latino.

Si aggiunge ancora alla parte preparatoria della Messa il Gloria, questa perla liturgica di grande antichità, e di cui Beethoven ha fatto un mondo a sé (1). In seguito si sgranano le orazioni, la cui collezione è ' una miniera di splendori, si sgranano in seguito con la partecipazione della folla. Preghiamo, dice il celebrante (oremus), ed innalza le braccia nel gesto dell'orante delle catacombe, ed alza la voce per esprimere il pensiero del giorno, invocare i meriti del santo che si celebra, richiamare i bisogni permanenti, riferendo il tutto a Colui che è intermediario di .diritto e senza la cui menzione nessuna orazione non

(1) Beethoven nella Méssa in rè mira manifestamente ad esprimere l'umanità intiera ai piedi della croce mi-;, stica. Il suo Dona noWs •pacem, in particolare, col suo accompagnamento di suoni guerreschi, vuole opporre ft pensiero religioso ai conflitti umani. II suo Gloria è ve ' ramente una lode universale.

18

si conchiude: Per Christum Dominum nostrom. Amen.

risponde la folla e questa parola ha due significati':

Amen! E' bene così: tu hai ben espresso la nostra anima. Amen! Che sìa così: che Dio ti intenda!

Fatti i preparativi, traversato il vestibolo, la li- ;

turgia accede al tempio. ;

Nella Chiesa primitiva, divisa in catecumeni e fé-\ deli, poiché la Chiesa si sviluppa in un ambiente di reclutamento non cristiano, un diacono si voltava e-;

diceva, come noi lo diciamo oggi alla fine: Ite, mis-s» est. Andate, siete liberi; era il congedo. Donde la nostra parola: la Messa, E i catecumeni uscivano.

Allora cominciavano i misteri, li si apriva col Credo. La professione di fede vi è ridotta ai suoi elementi principali; ma essa percorre tuttavia tutta la gamma, da Dio eterno e dagli inìzi, sino alla reintegrazione, ;, per mezzo della risurrezione in Dio e della vita eterna, ::

di tutte le cose. ^;

In seguito il prete si volta e dice, come sia alìe ./ orazioni: n Signore sia con voi! Questo saluto, figlio del salam antico, figlio del grave e dolce saluto di Gesù ai suoi, ritorna spesso nel corso della liturgia. '^

Esso segna il rapporto tra il rappresentante e l'assemblea. •

, Che il Signore sia con voi! dice chi per istituzione comunica il sacro (sacerdos). Che il Signore sia coi tuo spirito! risponde i} popolo, affinchè tu concepisca, esprima e ottenga ciò che è il voto e il bisogno di noi tutti.

E il celebrante si sprofonda nel mistero liturgico, mentre l'organo, cosciente della solennità del momento, suona qualche pezzo magistrale e medita con noi, poiché il prete ha detto: Preghiamo.

10

In altri tempi a questo punto i fedeli venivano ad offrire doni, che ricordavano quelli dell'Epifania, e che consistevano principalmente nel pane e nel vino del sacrificio poi altri doni in natura o in denaro per il mantenimento del culto. L'offerta, praticata in certe occasioni, ne è una sopravvivenza. Il pane benedetto ne è un'altra, senza contare che esso significa la fraternità, e si ricollega così alle agapi (1).

Durante questo tempo il prete procede all'off er-torio. Egli presenta il pane, i cui granuli riuniti esprimono l'unità cristiana; il vino, prodotto da una moltitudine di acini spremuti, dovuto alla fermentazione comune. Egli mescola al vino alcune gocce di acqua, ' che vi vengono assorbite, e chiede che, per mezzo di questo mistero, siamo assorbiti anche noi nella divinità del Salvatore. Incensa poi l'oblazione, l'altare e la croce. Egli stesso viene quindi incensato dal diacono come rappresentante di Gesù, e tutto il clero, tutti 5 •, fedeli vengono pure incensati, quantunque in modo ineguale, perché tutti, sia pure in modo diverso, fanno parte dell'unità nel Cristo e sono dunque, in una certa maniera, dei Cristi, del Santi, come li chiamava S. Paolo, uniti al Santo dei Santi. E' all'altare, al diso-''" pra e al disotto di esso e tutto intorno che le incensazioni si intensificano. Si direbbe che ci si sforza di impregnarlo, di spiritualizzarlo, affinchè la vittima,-, sacra, portata dagli efflussi odorosi, salga, come sul- ^ 'le ali delle nostre aspirazioni, verso il trono ove essa interpella. .: , , , ' . ' • : ,, ,V;''

Dopo di ciò il sacerdote si lava le, mani allo scoper

(1) Si può ricordare, nello 'stesso spirito, ''offerta che fa il vescovo, nella Messa , della sua consacrazione, di due, piccoli barili di vino rosso e bianco, di due pani e di due ceri.

.20 . • ' . *

di toccare solo con mani pulite, simbolo d'un'anima pura, l'assoluta purezza dell'Agnello senza macchia.

Egli prega, riassumendo le intenzioni di tutti e':

invita a pregare con lui (Orate tratres). Le preghiere segrete completano la determinazione del senso dell'oblazione, lo scopo che essa si propone. E così si termina la prima parte della Messa dei fedeli.

Il prefazio inaugura la seconda. Il collegamento tra le due parti si realizza per mezzo dell'inizio avvincente che è anche la fine delle preghiere segrete e che annuncia la risonanza del fatto della redenzione attraverso i secoli: Per omnia saccaia saeculormn.

E' noto il sublime dialogo scambiato allora nella Messa cantata tra il celebrante e i fedeli; poi si svolge quel recitativo che ha infiammato di entusiasmo tutti gli artisti e che sale, sempre più grandioso, sino al Sanctus, elevando in alto i cuori (Sursum corda); rendendo grazie per il Dono vivente la cui presenza sta per essere rinnovata al pari dal sacrificio; proclamando giusto e ragionevole, equo e salutare di moltipllcare le lodi ovunque, sempre, all'indirizzo del Signore santo, dell'Onnipossente, del Dio eterno; lanciando come nuvole di incenso o, meglio, come se fosse la voce stessa dell'universo estasiato, elevando 16 parole: Santo! S.anto! Santo! che nella Bibbia sono il canto delle armate celesti (Sabaoth), cioè delle stelle e dell'armata più sublime degli spiriti (1).

La terra vi aggiunge il suo Osanna, e la voce dei fanciulli, come nel giorno delle Palme, vi si aggiunge dicendo: Benedetto sia Chi viene nel nome del Signore!

Poi è la volta del Canone, cioè della regola, là cosa

(1) La ripetizione per tré volte è un superlativo e-braico. ,

21

regolata per eccellenza, il rito prezioso e, a causa di ciò, preciso, invariabile, non osando i secoli, essi che cambiano tutto, nulla mutare a queste semplici parole.

Si dice per chi è offerto il sacrificio, ed è per l'tJ-niverso. E' poi per la Chiesa santa, per la quale si supplica Iddio affinchè le venga conservata la sua unità; per i capi della gerarchla che rappresentano il gruppo: capo lontano e superiore il Papa; capo vicino il Vescovo; per tutti coloro che hanno la fede cattolica e apostolica; infine, rinserrando il cerchio, per coloro che si sono raccomandati particolarmente al celebrante, coloro che gli sono vicini e che sono vivi. Poiché per i morti, intimi o lontani, il cerchio si riallargherà poco dopo. Si attende per quésto scopo che la consacrazione sia terminata, poiché, in questo modo, la Chiesa globale, suddivisa tra i due mondi, si riunirà attorno al Salvatore presente.

Memento! Ricordatevi. I fedeli debbono unirsi a questo invito e dichiarare a Dio per estese, o aprendo semplicemente il cuore in cui Dio legge, i propn desideri, ciascuno per sé e ciascuno per tutti.

Affinchè tali desideri siano esauditi, il sacerdote ;

invoca in una lunga enumerazione tutte le categorìe dei santi; li chiama ed è alla loro presenza evocata dal ricordo che egli stende solennemente le mani sul sacrificio preparato, come in altri tempi usava fare il pontefice sulla vittima.

Che questa offerta, egli dice, simbolo del nostro .culto e di quello di tutta la tua famiglia, sia in ogni;

modo benedetta, ascritta alle cose divine, ratificata, spirituale e accetta, di guisa che essa diventi per noi il Corpo e il Sangue del tuo dilettissimo Figlio, il nostro Signor tiesù Cristo, il quale, la vigilia del giorno,

23

In cui ebbe a patire, prese del pane nelle sue mani Sante e venerabili e, innalzando gli occhi al cielo verso tè. Dio, suo Padre Onnipotente, rendendoti grazie, lo benedì, spezzò e diede ai suoi discepoli dicendo:

Prendete e mangiatene tutti: QUESTO E' II, MIO CORPO.

A questo punto il sacerdote, confondendosi col Cristo, il narratore con l'Autore del dramma rinnovato e presente, passa dalla storia antica, a quella eterna 'e, sentendosi, egli pure, il, rappresentante di tutta la famiglia santa, di tutta la Chiesa unita nel suo Capo, del genere umano cosciente e incosciente, purché non rifiuti la sua anima, dell'universo unito all'uomo e' partecipante inferiore del suo destino, egli dice, lui, indegno, ma voce autorizzata di uno più degno: Que-i;

sto è il mio corpo; questo è il mio sangue.

Tutti si uniscono a lui e ciascuno al suo posto deve sforzarsi di divenire pure Cristo, Cristo della sua prò-, pria salvezza e di quella dei suoi vicini; Cristo della r umanità unita a Gesù e che egli offre con sé al Padra celeste; Cristo del nostro universo muto e che si deve' far parlare, poiché esso pure è figlio di Dio, esso pure riscattato, ricondotto dal caos all'ordine; esso pura predestinato essendo i nuovi cielj e la nuova terra promessi all'avvenire (1). f

E' per questo che tutti insieme, invocando di nuovo

(1) Nel passato, dall'Orate fratres alla Comunione Ve-;

niva tirato un velario sul celebrante, in ricordo del Santo dei Santi, e per accrescere l'impressione di mistero. Solo il campanello avvertiva dell'Elevazione. Nelle . chiese greche, la disposizione dell'altare nascosto dai- ':

Viconostasi dimostra lo stesso sentimento. Da noi invece il sacerdote resta più o meno facilmente visibile (in Spagna lo e poco), ma egli parla a voce bassa, e non "si, volge più versò il pòpolo.' ".'-'"

23

i secoli (per omnia saecula saeculorum), ricordando le lezioni salutari (praeeeptis salutarìbus moniti), obbedendo all'istituzione con un'umile audacia (Divina in-stitutione (ormati andemus) si mettono a recitare — a a cantare — la preghiera che le comprende tutte, il Pater (1).

Nel pane quotidiano che vi si chiede, si pone al primo posto il pane eucaristico atteso, aggiungendo;

Rimetti .a hoi i nostri debiti come noi li rimettiamo. si anticipa sul bacio di pace che l'uso primitivo aveva generalizzato in ricordo delle parole del Maestro: « Se quando presenti la tua offerta all'.altare, ti viene in mente un torto fatto a tè d.a un tuo simile, va prima a riconciliarti con luì ».

Ragioni di buon ordine hanno tatto riversare questa cerimonia al clero o in ogni caso l'hanno modificata; ma lo spirito rimane e il dona not»is pacem: dateci la pace risuona agli orecchi di tutti (2).

Durante il bacio di pace, il celebrante ha ripreso le domande al Signore e vi ha introdotto di nuovo i motivi di speranza: la Vergine, i Santi, tutto il bene diffuso nella Chiesa e sopra tutto l'Agnello divino che prende su di sé i peccati del mondo (qui tollis peccata. mandi) e la cui presenza mistica sta per dive-

(1) Nelle liturgìe orientali, il Pater è recitato in comune. Nel rito latino il popolo dice solamente: ma liberaci da; male, al che il sacerdote risponde: Amen. Nella liturgia mozarabica il popolo risponde Amen a ogni domanda. « Che sia santificato il tuo nome - Amen. Che venga, il tuo regno - Amen... ». Questa litania di sospiri ' di adorazione e di approvazione, è ricca di desideri, è sublime, i ': ! TT

(2) 'L.'istrumento della pace, piccola placca di metallo ornata d'una pia immagine, qualche volta è data a baciare al fedeli, dopo essera stata baciata dal sacerdote.

24 ,'

mire più intima nella terza, parte della Messa: "la Comunione (1). ; .

In realtà U sacerdote per primo e i fedeli poi sono invitati ad unirsi effettivamente al Cristo allo scopo di meglio congiungersi a lui in ispirito. Essi chiedono che il corpo del Salvatore, unito alla divinità, conservi fa loro anima, e il corpo che le è unito, per la vita eterna.

Il sacerdote dice per sé e per coloro che si sona comunicati: «II vostro Corpo è stato il mio nutrimen— to, il vostro Sangue è divenuto' mia bevanda; che esai penetrino nelle mie viscere e che nessuna traccia di;! peccato rimanga in me, dopo che ho ricevuto i sacramenti di purezza e di santità ».

Si canta l'antifona della comunione; si riprende con nuova speranza la serie delle orazioni dell'inizio:

il sacerdote saluta due volte col saluto cristiano: II Signore sia con voi! Infine il celebrante o il diacono congeda l'assemblea dicendo: alte, missa est: Andate, è il congedo».

Traduco così., perché i nostri pii autori non vogliono che si traduca in altro modo questa formula. Ma non si tratta di andarsene, ma di andare là ove il nostro Signore ci invia. .

Quando-gli Apostoli lasciano Gerusalemme, dopo

(1) Prima della comunione ha luogo la frazione del pane, che nei tempi addietro consisteva in una distribuzione del pane consacrato tra tutti i fedeli. Oggi non è che un gesto, ma esso è espressivo: significa la comunanza di nutrimento spirituale, la suddivisione di Dio fra tutti. L'Eucaristia si chiamò per lungo tempo la frazione del pane. « Allo stesso modo che questo pane era sparso sulle colline allo stato di spighe e che è poi divenuto un'unità » così i cristiani del mondo intero e di tutti i tempi devono diventare un solo corpo spirituale.

25

il grande dramma di cui la nostra Messa è la .ripetizione, Gesù dice loro il suo Ite, missa, est, ed è una vera missione che egli loro da. E noi pure abbiamo una missione da compiere in nome del Redentore. Siamo un sacerdozio regale, dice San Pietro. La Messa, divino contatto, può elargirci influenze salutari che abbiamo il dovere di dispensare. L'ultimo Vangelo, la benedizione finale e le preghiere, che Leone XIII e Pio X hanno aggiunto, terminano di impregnarci di sentimenti e di pensieri rivolti a questo scopo.

Si comprende che un tale complesso di riti che accompagnano un sacramento, assumano essi stessi carattere sacramentale, eminentemente suscettibile di avvicinare a Dio, di allontanare dal peccato, di soddisfare gli antichi debiti e di preservare coloro che vi partecipano da tutti i mali, nella misura delle disposizioni e delle necessità provvidenziali (1).

La Messa, in quanto cerimonia religiosa, è il più ricco dei sacramenti; essa li contiene e li supera tutti. Non ci staccheremo perciò da essa parlando degli altri, e specialmente ricordando la sublime preghiera che abbiamo visto essere! incorporata: il Pater Noster.

(1) Dichiaro, scriveva Newman, che ai miei occhi non vi è nulla di così commovente, di così consolante, nulla che superi e riempia tanto l'immaginazione quanto la Messa così come viene celebrata nelle nostre chiese.

26

CAPO III

IL FA TER NOSTEB

Mentre il divin Maestro, assise sul Monte delle Beatitudini, istruiva i suoi discepoli, uno di essi, mosso da uno spirito più che individuale e facendosi portavoce' d'un gruppo che era esso stesso portavoce e, infine, facendo un atto di umanità, poiché i Dodici rappresentavano, nel pensiero di Gesù, le ^Dodici tribù di Israele»; esse stesse rappresentazione del mondo — uno di essi dunque cominciò a dire: « Maestro, inse-' gnatcci a pregare ». E Gesù, come se egli avesse sempre pensato a questa questione in apparenza inop'-na- :

ta; Gesù, con lo Spirito divino sempre sulle labbra, :

rispose: . •. , .; {\

«Quando pregate, pregate così; :,'" :>•

Padre nostro, che sei nei Cieli, sia santificato il tuo nome. Venga il tuo regno. Sia fatta la tua volontà come in Cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Rimetti a noi i nostri debiti come noi ìi' rimettiamo ai nostri debitori. E non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male». ; ,

Ci si rappresenta questa scena come una visiona grandiosa. „ .

La piccola collina di Galilea non è una cima don-

• ^,

de il Redentore domina la storia, egli, Figlio dell'Uomo, ogni parola e ogni atto del quale ha una portata universale, simile alla piccola immagine di una pellicola cinematografica la cui proiezione ingrandita non ha limiti che nella finezza della sua grana e nell'intensità della sua luce?

In faccia al Maestro la Terrasanta, simbolo della cattolicità di tutti i tempi. Intorno a lui i primi elementi della gerarchla che è il quadro religioso dell'umanità.

E' in questo stondo di" 'universalità che si sente risuonare la formula concisa, densa, ricca di tutto ciò che una preghiera corretta deve contenere, deducendolo nell'ordine opportuno e in forme che suggeriscono, all'analisi, così fecondi pensieri!

« Padre nostro! » Queste umili parole, che si sviluppano tranquillamente, come uno sguardo semplicemente alzato, dai mille errori teorici e pratici che ha ricoperti in ogni tempo il nome di Dio; questo plurale che amplifica, che ci pone tutti insieme, nel mo^ mento di parlare all'Infinito che ci copre tutti; questo appellativo tenero, rispettoso, intimo senza familiarità, confidente, ricco di desideri, ma di desideri smisurati dal giudizio paterno, di desideri che non possono essere eccessivi; appellativo che scarta così lontano il Dio semplice nozione, il Dio espressione metafisica, il « Dio dei filosofi e dei sapienti » e nello stesso tempo il Dio feticcio che fu la tentazione di tutta l'antichità popolare — non è già il colpo d'ala meraviglioso, l'ascensione dell'anima che verrà a sollevare ancora il determinativo che sei nei cicli?

Si percepisce l'impressione di vertigine confidente che queste parole hanno voluto suggerire?

Padre, che sei nei cicli! Tu, il cui nome risuona per l'immaginazione s nella parte più eccelsa dell'e-

28 .

tere luminoso e inaccessibile » ; tu che da codesta ci--ma vedi tutto, che da codesto centro di ingranaggi universali puoi tutto! Tu che abiti pure i cieli dell'intelligenza, cioè i domini dello spirito, cioè noi che ne deriviamo; che sei dunque all'interno, come al di fuori e al di sopra; che si può invocare raccogliendosi silenziosamente meglio che gridando al di 'a degli spazi; tu che si deve credere infinitamente lontano per natura, ma del tutto vicino per l'intimità dell'azione e per bontà; che, libero dai nostri cambiamenti, dalle nostre ignoranze e infermità, puoi , soccorrerle elevando nella dirczione delle tue grandezze noi che abitiamo il freddo e oscuro pianeta: -Tu sei veramente nei cieli in ogni modo, o Padre nostro!

L'ordine delle domande inviate a questo Padre universale corrisponde a quello dei desideri, quando uno spirito religioso vi presieda. Innanzi tutto il divino e poi il terreno. Innanzi tutto la venuta dei veri beni e poi l'allontanamento dei mali.

In testa ai beni divini, quello che riguarda Dio stesso: la santificazione del suo nome, cioè la sua gloria, il solo bene che gli possa arrivare, poiché il suo essere è pienezza. Che egli sia conosciuto, lodato in ispirilo con l'adorazione, lodato con le labbra, con la preghiera, lodato con l'azione, con la virtù; è il primo augurio che l'istinto filiale ci deve far formulare.

Seguirà la manifestazione del suo regno. Si saprà che è lui che governa, se tutto ciò che pensa e che può staccarsi da lui va a lui. La diffusione di questo regno in noi, intorno a noi, in profondità e in larghezza, di guisa che tutto e tutti, tutto in tutti siano sottoposti all'impero divino, è l'oggetto di questa domanda.

, •• 29,

Sia fatta la tua volontà in terra come in ciclo; sul-• la terra mutevole a cagione delle nostre agitazioni, come in cielo ove comandano le grandi leggi; sulla terra peccatrice o tentata, come in cielo ove gli eletti vivono in tè, liberati dalle nostre capricciose miserie.

Dopo di ciò, ma solo dopo di ciò, si domanda il necessario per questa vita. Ancora non si dimentica di incorporarsi i mezzi spirituali destinati a procurare i beni dell'anima richiesti da principio. E allo scopo di comprendere in una sola parola tutto quello che ci è necessario e che Dio conosce; allo scopo di por-yi la moderazione che è indispensabile quando si tratta di mezzi e non più di fini supremi, si chiede il pane. Il pane, nutrimento modesto, che si prende a sufficienza, non in eccesso; ch'è purtuttavia così fondamentale che se ne parla come della yita stessa:

' guadagnare la propria vita, guadagnare il proprio pane. ' • .

E si dice: Dacci per significare che non lo si vuoi ricevere vche dal cielo, non dal nemico del suo regno:

il male. •

E ci si ferma sulla parola nostro pane, per far ribaltare che non lo si vuole a scapito di altri per mezzo ai acquisizioni ingiuste; che al 'contrario lò si chiede in comune, pronti a suddividerlo. . '

Si aggiunge: quotidiano, perché a ogni giorno basta la sua pena e che si rimette l'avvenire a Colui che conosce l'avvenire; che d'altronde non si vuole per un giorno quello che sarebbe il pane di più giorni, tesoro inutilmente ingombrante e corruttore.

I mali contrari di cui si chiede l'allontanamento sono esposti nello stesso ordine dei beni; salvo che non vi è nulla di contrario a Dio, e che se si ha chiesto la sua gloria per unirvisi, sapendo che quesla

30

gloria in un modo o nell'altro è sempre soddisfatta, non si oserebbe, nel riguardo di Dio, evocare la vergogna. Ma in ciò che ci concerne, qualche cosa si oppone al regno di Dio e alla sua volontà: il peccato. Se l'abbiamo commesso, chiediamo che si cancelli. Rimetti a noi i nostri debiti. E aggiungiamo che alla condizione imposta quando è stato detto: «Si adotterà, verso di voi la stessa misura, di cui voi vi sarete serbiti per gii altri» il nostro cuore -consente: Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo -ai nostr'i debitori.

Infine, presentando sempre l'avvenire i suoi tranelli, si chiede che la tentazione, se deve sopraggiungere, non ci trascini: che Dio la proporzioni alle nostre forze; che egli; ad ogni modo, ci sostenga nel combattimento, in breve, che egli trionfi in- noi e che noi siamo liberati dal male. ' ,

In quest'ultimo termine, oltre al male morale, sono compresi tutti i mali che compromettono il destino, cioè che non si giustificano per le necessità della pròva; che sarebbero dunque una gratuita diminuzione della felicità, in questo mondo o nell'altro.

Ecco ciò che il Maestro, in alcune parole improvvisamente domandate, pronunciate tranquillamente,. più potentemente tuttavia del modo con cui il Decalogo non era stato scritto sul Sinai in mezzo ai tuoni, ha voluto insegnarci. ;

Si deve credere che egli stesso pregava così. " Quando la sera egli saliva, come faceva spesso, su di un luogo elevato dopo aver 'compiuto la sua giornata; solo, allontanandosi dal frastuono, anche dal rumore della propria vita; entrando, dopo l'azione spezzettata dal tempo, nell'eternità della sua opera: la-

31

sciando il gesto del seminatore per ritornare verso le amplitudini; ritrovandosi senza sforzo nella semplicità del piano di redenzione: Dio al disopra di lui, l'uomo al di sotto ed egli, legame sublime, partecipando di entrambi per unirli: il tutto rappresentato dalla notte d'oriente piena di stelle, dalla Giudea o dalla Galilea addormentata, dal suo respiro sacro che il silenzio della sera avrebbe permesso di intendere, che diceva egli nel colloquio ineffabile iniziato?

Col cuore o colle labbra, in termini espressi o in forma equivalente, non diceva egli ciò che doveva presentare ai suoi come la preghiera perfetta?

Non conteneva tutto, per lui come per ciascuno dei suoi figli, la sublime orazione? Pastore universale, preposto alla salute di tutti, avente su di sé la salvezza di tutti, divenuto peccato per tutti, e così pure, senza dubbio, aspirazione, dolore, impotenza o scaturigine;

d'altra parte elevato, in quanto divino predestinato, a un grado di dignità che gli permetteva di farsi intendere; centro dell'universo morale, di cui l'altro è servo, non doveva egli mormorare, con questa voce di tutto, rivolgendosi a Colui che è tutto e la cui presenza intima sino all'identità della persona lo estasiava: Padre nostro, che sei nei cicli?...

La croce non sarebbe che la consacrazione dì questa preghiera sacerdotale.

Colle sue braccia estese dappertutto, coi suoi piedi sollevati al disopra del suolo la sua testa ritta verso gli spazi e aureolata di dolore, il Redentore iniziava un nuovo appello e se questa volta il Pater si rifuge-rà quasi interamente in una sola delle sue domande: Rimettici i nostri debiti: Padre mio, perdona loro' formula in relazione a questo momento specialmente di redenzione, l'intenzione generale non ne sarà però che la stessa e questa formula non sarà esclusiva.

32

•Più tardi, sul calvario mistico che è pure la collina^ di preghiera, l'altare, risuonò la stessa preghiera. ; Essa vi sarà considerata cosi importante, così sacramentale, in unione col sacramento per eccellenza del Signore, che vi occuperà il posto centrale fra la consacrazione e la comunione, e mai essa potrà separarsene.

. Al tempo degli apostoli, quando le. persecuzioni ,; infittivano e il tempo urgeva; quando ogni altra ceri-,; monia dovette essere omessa, si conservò sempre il Pater. La messa allora era questa: la frazione del pa-< ,<ne e l'orazione domenicale, come .se si fosse voluto dire: Vi sono due sacramenti: il sacramento reale e quello, verbale; ciò che il Redentore ci ha ordinato di fare: «Fate questo in memoria di me» e ciò nhe ci ha ordinato di dire: «Quando pregate, pregate così».

Negli altri sacramenti, non manca del pari il Pater. Nel sacramento iniziatore, il battesimo, esso rappresenta il primo esercizio del diritto di figli concesso a colui che è introdotto nella Chiesa. Nei primi tempi il catecumeno, che aveva dovuto impararlo a memoria, ma non era stato ammesso a recitarlo in pubblico, lo pronunciava per la prima volta, rivolto verso Oriente, dal lato donde sale la luce, per celebrare ìa sua illuinfinazione, come si chiamava allora il rinnovamento battesimale.

E' a • causa di tutto ciò che il 'Pater, anche considerato a parte, al di fuori dei. sacra-menti, è ritenuto dalla tradizione cristiana come una sorta di sacramento. Cioè gli si attribuisce, quando è detto con sentimenti che gli 'corrispondono, una propria efficacia, che supera quella delle nostre stesse disposizioni, poi-ebè risponde ad un'istituzione; poiché l'azione del

: ,/ ^ 3. — La Chiesa.

Redentore lo capre; poiché, preghiera perfetta, • sembra che debba beneficiare particolarmcnte delle parole così pressanti del Salvatore: DomaBdats e ricc-veret®, cercate e troverete, picchiate e risarà aperto;

poiché, formulato in termini proprii dal nostri divi-, no Avvocato s nel quale sono tutti 1 tesori a-ellà saggezza e della scienza alvine» si pensa che dica lutto ciò che si deve dire e nel modo come si deve d'irfc, per

-guadagnare la nostra causa; poiché il Pater, quando lo diciamo in stato di perfezione e sotto l'impulso ^ della grazia, è detto in noi anche dallo Spirito Santo che grida, come dice San Paolo, nel più profondo .^dér nostri cuori: Padre! Padre! , '. - '

E' per questo infine che II Pater, preghiera del Redentore, preghiera per eccellenza del cristiano; preghiera sacramentale, .è pure la preghiera essenziale della Chiesa.

Questo segue direttamente dal fatto che la Chiesa è il Redentore socializzato, 11 cristiano collettivo, il Sacramento divenuto corpo sociale per dare Dìo e per condurre a Dio. '

Questa preghiera, dunc(ue, la Chiesa la dice; ma essa fa di meglio, la realizza. . :

La sua liturgìa tutta intera significa: Che il tua nome sia santificato! ' ' - '' . • • 1: •• .

La sua missione sulla terra non è che questo grido divenuto azione: C6s il tuo regno venga!

Il suo atteggiamento rispetto agli uomini, rìspet--lo alle sue proprie difficoltà e ai limiti imposti" al suo 'sforzo significa: Sia f.a.tta la tea 'volontà!

Essa chiede per i suoi figli e cerca di procurare'

-per loro tutto ciò che è loro necessario nel campo spirituale e temporale: il. pane, particolarmente il' pane divino, di cui essa è' distributrice.

:.Per scioglierci' "dalle nostre colpe essa chiede e'

sa

procura, con la penitenza, il beneficio delle parole-liimetti i nostrt debiti! suggerendoci in consiglio e in esempio la condizione: come noi li rimettiamo ai no-siri debitori. Sapendo che la nostra liberazione dal peccato è sempre provvisoria, essa dice: Non indurci in tentazione! e moltiplica intorno a noi le salvaguardie, le influenze preservatrici.

Infine, liberaci dal male è Io scopo più frequente, ahimè, se non in sé il principale, delle sue invocazioni e delle sue opere.

Ciascun membro della Chiesa che fa sua questa preghiera e la dice segretamente non ne conserverà

10 spirito che alla condizione di farsi egli pure un'a- :

nima comune; cioè purché egli entri, come lo strumento nel concerto, nella grande voce sociale di cui:

;.l Redentore è il corifeo. ;

Senza di ciò egli ha sterilito la sua preghiera sin ( dall'inizio. Dicendo: Padre mio, non ha più padre, poiché il Padre comune è nostro o non Io è.

Pretendendo di adorare tutto solo, è senza possibilità di farlo, è senza voce. Chiedendo il suo pane da solo, non può ottenerlo, poiché il pane è sulla ta- ' vola comune. Chiedendo il perdono, non può sperarlo, se non si riferisce in un modo o nell'altro alle chiavi che aprono e che liberano «sulla terra» e «nei cicli ». E come potrebbe dire: Come noi li rimettiamo se non è in relazione d'amore con l'insieme dei suoi fratelli? Il perdono mutuo è l'inverso dell'amore mutuo, dell'amore organizzato che è la Chiesa.

In ogni modo, sempre, in tutto, il sacramentale e

11 sociale coincidono, in seno ad un gruppo che non ^ più nulla, se non è unito profondamente, non essendo ciò che è se non per l'unione in Dio per mezzo det Redentore.

-i • " " '."•' :

' 3B.I-

CAPO IV L'ELEMOSINA RITUALE

Nel riferire il discorso che San Matteo attribuisce a Nostro Signore tenuto negli ultimi tempi della sua vita pubblica, si trova questa visione dell'altro mondo così spesso commentata: « Quando il Figlio dell'Uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, egli siederà sul trono della sua gloria e, mentre tutte le nazioni saranno radunate davanti a lui, egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri. E metterà le pecore alla sua destra e i capri alla sua sinistra.

« Allora il Rè dirà a coloro che si troveranno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, prendete. possesso del regno che vi è stato preparato sino dall'origine del mondo. Perché ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi deste da bere; ero pellegrino e mi deste ricetto; ero ignudo e mi vestiste; ero infermo, e mi visitaste; ero carcerato, e veniste a me.

« Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti vedemmo affamato e ti demmo da mangiare;

assetato e ti demmo da bere? Quando ti vedemmo pellegrino e ti demmo ricetto? ignudo, e .ti vestimmo? Quando mai ti vedemmo infermo e carcerato e ve-. nimmo e visitarti?

36

«E il Rè risponderà: In verità vi dico: tuttele volte che avete fatto qualche cosa per alcuno dei'mi--nimi dei miei fratelli, è a me che l'avete fatto... ».

Queste dichiarazioni solenni e la loro contropartita che segue nel testo; tutta questa scena che si potrebbe chiamare le assise dell'amore, danno la spiegazione della dottrina tradizionale che ha fatto dell'elemosina, oltre a un atto-delia virtù di carità, un atto-di religione e come una sorta di sacramento (1).

Che cosa significa, in realtà: «Tutte le volte che Hvete fatto gualche cosa per alcuno dei minimi def miei fratelli è a me che l'avete fatto? » se non vuoi dire altro che Gesù istituisce il povero come suo rappresentante, come suo simbolo vivente, e addita il gesto caritatevole verso il povero come un segno d'unione con lui; come un mezzo per ottenere questa unione; e per conseguenza come una sorta di sacra-:

mento, sé è vero che ogni'simbolo attivo istituito nel— l'ordine religioso è cosa sacramentale?

L'istituzione, del resto, avrebbe potuto rimanere;

sottintesa. Non occorreva che il Redentore ci dicesse:

Ciò che voi farete al minimo dei miei fratelli — e dei, vostri fratelli — è a me che l'avete fatto, poiché tutto ;

il fondamento della nostra religione consiste'precfsa-mente nell'unità del capo colle membra, ih Dio, e se:

le mie membra sono poi io, tutte le membra del lìe-,' dentore sono pure il Redentore. ::'

Se egli lo dice specificatamente di coloro che soffrono, ciò dipende dal fatto che questo è più necessario; è che il membro minacciato sembra il solo in-;

teressante, il solo che conti e perciò è più espressivo ;

(1) E' di regola, in teologia, che qualsiasi atto .di virtù pòssa servire di materia a un atto di religióne; ma ciò vale in modo particolarissimo per l'elemosina. ' ;

37:-

di tutto, come se dicessi che il soldato ferito sis-nbo-lizza la patria più del fante che si ferma alla tappa il).

Ma il fondo del pensiero è ben evidente. Soccorrere il prossimo e provare cosi che lo si ama, vuoi dire amare il Redentore in esso, è amare D;o nel Redentore, una volta che si è compreso che la lede, operando per mezzo della carità, fa di noi tutti un solo corpo di cui il suo Spìrito è l'anima divinaT

E se è vero che l'amore di Dio e in Dio sia il nòstro tutto; che la religione e là virtù non siano altra /cosa; che in questo consìstano, come l'ha dichiarato "1 divino Dottore, il riassunto della Legge e i Profeti, e. che, secondo le parole di S. Agostino, amare cosi sia una condizione sufficiente per giustificare a fondo tutto ciò che si è fatto: «Am,ate, e fate ciò che -vorrete» si comprende come, alle assise supreme, il Rè conchiuda, dopo il semplice esame dei nostri rapporti, al valore complessivo di coloro che egli giudica., ,

Si comprende che la Bibbia abbia detto (Tobia,, XII, 9) senza restrizione, come per antonomasia: «tró-Icmosina Ubera dalla, morte ED E* ESSA che cancella i peccati ».

. E' essa, non per Patto materiale, non in ragione della sua entità, che è il denaro o il servizio; ma ip ragione dello spirito con cui è fatta, che è l'amore.

Per poter essere liberati dalla morte e dal male, basta amare Dio, di quell'amore di amicizia che è sempre reciproco e che porta con sé tutti i beni. Ma

(1) Gesù aveva detto: «Si riconoscerà da questo segno che voi siete miei discepoli, se vi amate gli uni cogli altri». Ma ancora occorre che questo segno, per essere uno solo, eia visibile. La carità Inferiore non si vede. Tutto può dimostrarla, ma l'elemosina ne da un segno tangibile, un segno sacramentale.

38 ^ .

per amare Dio realmente, bisogna amarlo là ove egli è: nei nostri fratelli; bisogna amarli» tali quali noi siamo: uniti ai nostri fratelli. Volerci divìdere, o se- . Barare Dio dai suoi, vuoi dire noa volere più che Dio:

Sia Dio ed è del pari non volere più che noi. siamo noi.:

IsTon si ama più. allora Dio e neppure ci amiamo noi,, ma in luogo suo si ama un idolo senza cuore e in luogo nostro si ama un fantoccio d'egoismo. criminosamente sostituito all'io divino.

I primi discepoli avevano così ben compreso questo,, che cristiano e fraterno era per essi., e così pure per i pagani che li circondavano, la stessa cosa. « Vedete dunque come si amano» si diceva, e certamente questa impressione così attraente non valse poco a determinare la rapida diffusione del cristianesimo. . L'istituzione dei diaconi rispose tosto a ci& che vi era di rituale o di quasi rituale nell'elemosina. La ca— i rità era così un servizio religioso, corrispondente a un ordine sacro. ,.

San Paolo, ordinando collette tra i suoi allo scopo di soccorrere i poveri di Gerusalemme, raccomanda loro di pregare, affinchè la loro elemosina sia ricevuta favorevolmente, come-se essa fosse destinata al Signore stesso. •

E' in simili pensieri che, per tutte fe epoche cristiane, sono state inserite questue caritatevoli nel cen-r-tro dell'ufficio divino, per significare che il sacrificio' consentito all'amore fa parte del sacrifìcio non sanguinoso del Salvatore e il fedele è chiamato, lui pure. a dire col sacerdote: AccSpe hostìam, ricevi, o Signore, questa ostia santa, affinchè essa si trasmuti Rei... corpo e nel sangue del N. Signor Gesù Cristo. Non,-, si cambia nel corpo e nel sangue divino questa offerta,

' , 3^

.che deve nutrire, in una forma o nell'altra,- coloro: di cui è stato detto: Ciò che vrt farete ad uno di questi minimi, è a me che l'avrete fatto?

I nostri doni mutui sono l'offertorìo di una messa. Che si prosegue nel tempo; d'una messa universale in cui il Redentore, sempre presente e « che interpella » per noi, offre con sé, in .segno d'amore, tutto ciò che l'amore gli da offrendolo ai suoi mèmbri.

Ed è per questo che fuori del tempio, a partire dal portico ove il povero si sente come a casa sua, ove il Redentore è a casa sua nella sua persona, come è a casa sua mei Tabernacolo e sull'altare; attraverso gli annessi, del tempio: ospedali, monasteri in cui la vita con Gesù non si concepisce'che se i fratelli di Gesù vi sono ammessi, la carità si diffonde in tutte le istituzioni che dipendono dal cristianesimo.

La regalità cristiana vi consentì e ne fece il gesto, invitando alla sua parola nei giorni di solennità religiose, dei disgraziati che vi rappresentavano la presenza divina, affinchè questa potesse essere onorata in un succedaneo autentico.

Nelle famiglie sì solennizzavano cori larghezze di .cibo le principali circostanze della vita. I comuni, le .città, famiglie più grandi ed emule dei rè, seguirono l'esempio dall'alto e dal basso. Esse ebbero tutte istituzioni caritatevoli che, nel pensiero comune, erano manifestazioni religiose.

Dal tempo degli apostoli Roma era stata suddivisa. in regioni, in vista dei soccorsi per gli indigenti, come le nostre città si dividono in parrocchie. A partire dal IV secolo le grandi persecuzioni erano cessate, o-vunque erano sorte creazioni di tutti i generi per tutte le categorie di sfortune. Nel corso dei tempi esse si erano sviluppate, impiegando immense risorse, e occù-, pando. l'attività di numerose società che il loro no-

me di ordini religiósi mostra ben ancorati alla carità

come a un culto. ' .,. . . ;

I ricoveri, che erano così spesso vicini alla cappel-;

la dei Grandi Ordini, si rivolgevano, questa volta, al povero d'occasione, che era quasi sempre il pellegrino, in quei tempi di comunicazioni difficili. E questo non . significava: Passa, o Signore, dall'uno all'altro dei tuoi possessi su questa terra in cui l'amore ti fece pellegrino ed ove ora i tuoi fratelli di adozione ti sostituiscono?

Il nostro amore sarà fiero di riceverti, quantunque « non siamo degni che tu entri sotto il nostro tetto ».

Considerate l'affresco del Beato Angelico situato al disopra di una porta del chiostro del convento di San .Marco a Firenze, col suo pellegrino nella figura di Gesù, che due giovani monaci si prendono cura l'uno . di liberare dal suo bastone e l'altro di invitare dolcemente, mentre entrambi scambiano con lui uno sguar- r do che significa da parte loro: Sappiamo che il pellegrino sei tu Maestro; e dalla sua: Si, figlioli, e .io.'.,;

accetto per me ciò che voi fate. : :.,

Tutti, i «passanti per il paese », come li, si chiama- . va, compresi gli • stranieri, traevano vantaggio da que—, sti sentimenti, che senza dubbio la mediocrità o la tra-'; ' scuratezza individuali potevano ben alterare o coprire, ma che erano almeno nelle cose, se dimenticavano di;':

rivolgerli alle persone. . ;i. ;

Ovunque si raccontava che questo culto attivo era ':

stato compensato con miracoli; che Gesù era real-;

inente apparso là ove il cuore l'aveva servito nella ;. sua eflige vivente; che Cristoforo, il traghettatore, ave-; :

va un giorno portato sulle sue spalle il Bambino Gesù, credendo di far attraversare un bambino povero; che Elisabetta d'Ungheria, poi EUsabetta di Portogallo ave-: \ vano visto dei pani o dell'oro tramutarsi in rose-nel- ;

-, 4r'

le pieghe del loro .mantello affinchè non fossero svelate le loro buone opere,. Queste rose non evocavano il profumo spirituale dell'amore? : Martino il catecumeno aveva dato là metà del suo mantello e la notte seguente il Signore gli era ap-/ parso circondato da angeli, vestito nella semiclamide, e aveva detto: «Martino, 'che non è ancora che .catecumeno, mi ha rivestito di questo mantello ».

Non si ammira che la tradizione artistica, specchio fedele, in queste epoche soprattutto, del sentimento universale, abbia persistito a rappresentare San Martino, che fece più tardi cosi grandi cose, in questo gesto iniziale e così semplice del mantello tagliato? Ciò dipende dal fatto che l'arte, quando serba contatto con l'anima collettiva, il che costituisce la sua vera grandezza, dice molto con poco. Essa dice in questo caso: l'amore è tatto. L'amore vale la fama universale. L'amore ha efficacia per l'apostolato, per le conversazioni dei popoli;

per le guarigioni di società, come avvenne in questo caso. L'amore vale per tutto e comprende tutto, poiché esso è la religione della religione, l'essenza del bene e l'anima delle opere esteriori. « Amate, e fate ciò che volete ». •

Oggi, come sempre, coloro che vogliono andare a Gesù non devono dimenticare che il povero ne è una via;

che amare Gesù significa essere nella disposizione di provarlo ai suoi mèmbri; che attenderne delle grazie è una ragione per accostarsi a ciò da cui egli si è fatto sostituire; per toccare, come la Cananea, il suo prolungamento d'umanità, vestito vivente che egli lascia volteggiare verso di noi e donde, sfugge una virtù.

Ma'si dovrebbe pensare ad un aspetto di questa dottrina che si direbbe molto ignorato, talvolta anche

dai migliori — voglio dire migliori perita buona volontà che d'altra parte dimentica di i essere sufficien-

, temente generosa.

Se l'elemosina •• è un sacramento, quale segno della nostra unione con Gesù, come mezzo per perfezionare questa unione, ricordiamoci che abbiamo detto dei sacramenti e in particolare del primo di tutti, dell'eucaristia: I loro scopi sono sociali e nei loro effetti con-, :

viene che si ritrovino l'unità e l'universalità della Chiesa. \ L'eucaristia ha per iscopo di unirci a Gesti tutti insieme, essendo noi una. eomimione di fedeli; e tutti < insieme non significa come gregge, ma secondo la 'fw-:;'

.ma delle relazioni che convengono alla nostra natura riguardo al soprannaturale, cioè costituiti in una un'- \ ca Chiesa, in Chiesa governata o universale. . -, Se è ben vero che l'elemosina, da parte sua, ha lo' :

scopo di unirci a Gesù, insieme, occorre pure che ciaf, sia insieme organicamente, cioè socialmente- E ne seguirà che l'elemosina propriamente detta, che soccorre in privato, da uomo a uomo o da uomo a coUettivitq ridotte, non sarà che una parte, la minore, del sacramento minore che stiamo studiando. Sarà necessario allargarla e organizzarla, renderla cioè sociale. , -

Occorrerà che i rè o capi di stato non si contentino; ' di avere il povero alla loro tavola, il che del resto non ' è più di moda; ma che essi governino in vista dei pò-, veri e dei diseredati come per la miglior parte del loro popolo. Occorrerà altresì che i singoli cittadini.' non limitino il loro orizzonte alla miseria vicina, all'ospedale che li vedrà un'ora alla settimana; ma che essi comprendano la miseria allargata che è quella del corpo sociale e che dipende dal fatto che questo corpo non è interamente evoluto, fissato in forme di vita che assicurano la migliore distribuzione del sangue nell? sue membra.

VS :

L'opera sociale moderna, feconda, creatrice, ih luogo dei buchi chiusi e perpetuamente di nuovo riaperti che i nostri benefici talvolta rappresentano; tale sarà lo sbocco naturale dell'elemosina, della distribuzione fatta dal diacono, della colletta a domicilio, del mantello tagliato in due o dell'ospedale costruito, forme del resto sempre necessario.

Volere che tutti i mèmbri del Redentore, soprattutto coloro che sono inferiori per sapere, per educazione, per benessere, per indipendenza legittima, per felicita,

.' ottengano ciò che loro manca e vivano così un giorno della grande vita umana; e ciò per mezzo dell'organizzazione, della legislazione, della manovra dei grandi ingranaggi che muovono tutta la macchina complicata dei rapporti umani; volere ciò d'Un cuore profondò e d'un'anima chiara; aiutare coloro che vi si ci-

'mentano; offrire loro quel concorso dell'opinione che è oggi così necessario per ogni cosa; poi il concorso di parole, di fatti, di risorse che tutti, in un grado o nell'altro, possono fornire, questo è il sacramento dell'elemosina sbocciato, reso più efficace e nello stesso tempo più significativo; messo cioè al livello della 'sua materia integrale: gli' uomini, non presi individuo per individuo ma nella loro unità organica quale essa è o può essere stabilita.

Al limite, se questo spirito un giorno' si estendesse anche alle fredde regioni in cui non si percepisce ancora il palpito dell'amore del Salvatore; se per un momento, in sogno, suppónessimo l'esistenza dell'unico gregge, e dell'unico pastore evangelici con le mani tese di tutti, gli uni verso gli altri, con cuori uniti e gli' spiriti intenti a giovarsi dei migliori mezzi d'azione, pronti' a posare, in nome del cielo, la leva sul punto

44 .

d'appoggio che permette di sollevare il mondo, potremmo vedere l'umanità salvarsi da sola, cioè per mezzo del suo Capo Uomo-Dio. . .

Una tale umanità, avendo sopraffatto il male secolare, avendo medicato le piaghe del Cristo collettivo, essendosi liberata dal mantello d'ignominia che le copriva le spalle a cagione delle sue tare, e delle sue , miserie, potrebbe, volgersi a Dio e, con un gesto rè- ;

gale, offrendogli i risultati dei suoi sforzi, potrebbe ; , dirgli: Prendi, o Padre, questi sono i tuoi doni, e a cagione di ciò, essi sono meno indegni; essi sono per i;

altro del tutto degni di tè poiché sono congiunti al •:-Dono vivente che tu ci facesti, il tuo Cristo, in nome ^" . del quale, come un'armata e una famiglia, abbiamo •'~ ' vinto i mali, soffocato la miseria ed esaltato la vita,--:, quella santa vita che tu vuoi esaltare in Tè. Prendi, è ;:

il completamento della tua creazione. Può venire ormai la fine dei tempi, perché è realizzato il tuo piano eterno: Tutto sottoposto agli eletti, e gli eletti al Cristo, e il Cristo a Dio.

« Funiculus triplex difficile rumpitur »: un triplice ' legame non si rompe. Dio, l'uomo e il Redentore, loro intermediario, devono costituire, nell'unità, la vita, tutta la vita: vita individuale, sociale e, ciò che più im-; , porta, universale, incorporando per mezzo della civilizzazione la materia allo spirito come lo spirito è unito a Dio.

L'elemosina rituale significa, nella sua umiltà, que- .;

ste grandi cose. Essa intreccia il triplice legame. E' in ciò che consiste il suo valore religioso ed anche quello ' umano. • '..'. ..

Coloro che vogliono spogliare i nostri rapporti da questo significato superiore lavorano semplicemente a , dividerci. Rinnegando il Cristo, legame dell'umanità, ne dissolvono i componenti. Suolo cosparso di spighe

45

e grano calpestata dalle competizioni sorte dalla lotta per la vita, ecco a che cosa si riduce il fascio di spighe che si alzava come un superbo pennacchio dalla terra santificata, quando si attenui il sentimento della carità. La grande coscienza universale svegliata all'amore del Figlio dell'Uomo non può allora che dissol-versi nell'egoismo e l'allucinazione dell'io deve spegnere presso l'uomo, che non abbia coscienza di Dio, le, visione unitaria prima abbozzata.

Lasciate all'uomo la coscienza di essere fratello del Redentore e come una cosa sacramentale per i suoi compagni d'esistenza. Non svegliate in lui un folle orgoglio e, in luogo del mantello fraterno diviso in nome, del Signore, non gettate sulle sue spalle, accompagnandolo con adulazioni interessate, la porpora del pretorio politico, completata da uno scettro di giunco.

La grande elemosina cristiana, che non è più il gesto ridotto, quantunque santo, da cui avevamo cominciato, è la giustizia sociale, ottenuta per .mezzo dell'amore degli uomini e questo incastonato, per mezzo del Redentore, nell'amore divino.

'ib

CAPO V

L'ACQUA BENEDETTA

Poiché i riti sacrammtaU, di cui la Chiesa fa uso; .' nel pensiero della stessa si presentano come accessorì :

dei sacramenti, è naturale che alcuni di essi si avvicinino più o meno ad un dato sacramento con. lo scopo di conservarne, completarne e rinnovarne gli effetti benefici. . :i •

Tale è nel riguardi del battesimo l'ufficio di quell'elemento santificato che chiamiamo acqua benedetta. :';

,11 simbolismo del battesimo e in generale l'impie- ;

go dell'acqua nei riti religiosi ci sembra essere giusti- i. ficato dai pensieri più naturali e protondi. ;

L'acqua-purifica, feconda, toglie le alteraziop;; e's- . ' sa, che è la vita della natura, è pure la nostra vita';

per mille ragioni, le une molto evidenti, le altre più'.' nascoste, ma che l'istinto universale ha present'to pri-, ;

ma che la scienza vi abbia posto il suo sigillo. ; '

: Sembra assodato che la vita abbia avuto inizio'date) fondo degli oceani. Lasciando l'elemento .umido, gli-;. organismi aerei e terrestri portarono con s& l'acqua e"'' ne costituirono il loro «ambiente interno ». Togliete ' l'acqua al nostro corpo e non rimane che un mucch.iet-to di cenere, tanto che la minaccia: Sei polvere e in polvere ritornerai sembra avere per contropartita la

47

promessa evangelica: « A chi crede in me scaturiranno dal suo seno fiumi di acqua viva... per una vita eterna » (1).

Le vecchie teorie di Talete, eco di tradizioni orientali, in base alle quali tutti gli esseri sarebbero derivati dall'acqua, non sono che il risultato di una verità naturale spinta all'eccesso, la quale doveva per altro tramutarsi simbolicamente in verità religiosa.

Così tutte le religioni hanno ammesso questo elemento agli onori del culto, sia che lo si adorasse, come tacevano gli antichi Egizi per il loro dio Nilo, sia che lo si introducesse nelle cerimonie puriflcatrici come avveniva per la maggior parte delle religioni dei popoli antichi.

Resta a stabilire se il cristianesimo avrebbe dovuto respingere un simbolo preciso perché era già stato usato da altre religioni. Non era invece questa una ragione per riconoscerne l'utilità e, senza paura di paganizzare — poiché nell'impiego degli oggetti naturali e dei segni primitivi tutti si paganizzano — usarla pure in rapporto alla fede cristiana?

Nel giudaismo, donde il cristianesimo trae le sue origini, si praticavano l'aspersione dell'acqua e le abluzioni, prima del culto. Il celebre recipiente chia-, mato mare di bronzo posto nel tempio a lato dell'ai-';' tare degli olocausti era una pila collettiva dell'acqua santa. La fontana di Siloe, alla quale si attingeva con vasi d'oro nel giorno della festa dei Tabernacoli, era chiamata la sorgente della salute, poiché le si attribuiva, come simbolismo, Perfusione dello Spirito Santo quando fosse venuto il Messia.

L'abluzione totale, o battesimo, era stata sempre

(1) Giov. VII 38 e IV 14.

48

praticata da allora- Giovanni, il .precursore, alla vigilia della venuta di Gesù, la rinnova dandole -un significato di penitenza. • " • , II Redentore stesso, sottomesso agli usi. del suo popolo e a tutto ciò che è caratteristico dell'umanità, di-;

scese religiosamente nel Giordano e si inchino sotto'i;

segni simbolici che dovevano far risaltare la sua cori-sacrazione come Messìa.

. L'autore sacro, sembrando fare' allusione alle antiche cosmogonie, aveva detto nel racconto della Crea*^:' zione: «E lo Spirito di Dio si libr.ava sulle acque», cioè per fecondarle. Così lo Spirito Santo, manifesta-' tosi al battesimo dì Gesù, si libra sull'acqua battesi-male per farne scaturire la vita: non più la vita del.' corpo,, ma quella dell'anima, il simbolo utilizzato dal-,

10 spirito che ha potere sullo spirito; tutte le acque deli-, la terra invero, come dicono i santi padri e dottori, sono rivolte per l'iniziativa del redentore a un nuovo scopo religioso, secondo le nuove e definiti ve-dottrine.

La terra emersa circondata dai mari e lavata dai fiumi; le anime bagnate nello Spirito Santo e irrorate , spiritualmente a proposito dell'acqua lustrale; tale è

11 simbolo proposto.

Dopo di che un Francesco. d'Assisi avrà doppiamente ragione di lodare «nostra sorella acqua, che è assai utile, umile, preziosa e casta ».

, ;Nei primi tempi della Chiesa l'impiego religioso dell'acqua sembra, essersi limitato al solo 'battesimo. Non si volevano moltipllcare i riti esteriori allo scopò di. reagire contro il formalismo farisaico. D'altronde la stessa acqua battesimale era impiegata tal quale, Senza nessuna benedizione particolare. Ne gli ebrei ne i pagani benedivano l'acqua. Essa era puriflcatrice, si

^ 4. — La Chiesa.

pensava, a causa della, sua stessa.natura. Il • simbolo era dunque completo quando .non lo alterasse la presenza di impurità. • '

Tuttavia, allo scopo di meglio far risaltare ;. l'intenzione .spirituale del battesimo e per aggiungere aùa sua efficacia nuovi benefici con l'Influenza dalle preghiere collettive di cui il ministro è portavoce, si ritenne opportuno, all'inizio del II secolo, di pronun-. dare sui tonti battesimali, prima in Africa, e poi a poco a poco ovunque, formule sul genere della seguente, che è molto antica: «Ti benedico dunque, o creatura acqua, per il Dio. vivente, il Dio vero, il Dio .santo, 'il Dio che all'inizio,; per mezzo delle, sue parole, ti separò dall'elemento arido... per Gesù Cristo suo -Piglio unico. Nostro Signore, ' che per un segno mirabile dalla sua potenza ti cambiò in vino a Caaa,

• che coi suoi piedi sfiorò la tua superficie, che ricevette .per tuo mezzo nel Giordano il battesimo, che ti fece' .sortire col sangue dal suo costato aperto è. che ordinò ai suoi discepoli di battezzare in tè coloro che fossero indotti a credere» (1). , , ,

' D'altra parte, poiché una cosa si .conserva con gli stessi mezzi die hanno servito a procurarla e per di più il battesimo non si ripete, si fu naturalmente portati a istituire, per imitazione del giudaismo e del paganesimo religiosi, ciò che si potrebbe chiamare O battesimo minore, cioè l'aspersione -e le purificazioni accessorie, dando loro come significato l'effusione dello Spirito Santo non più in ciò che essa ha d'iniziale e di indispensabile, cioè l'iacorporazione a Gesù, ma

•in quanto essa. quotidianamente ci rituffa in questa vita della nostra vita & ci fa maggiormente partecipare ad essa. ', ' ;1 ! •' '•' • . '.' ' - • • •

(1) Prefazio della benedizione del fonte.

(50 •

Ogni madre nutre i suoi figli. Nati dall'acqua e dallo Spirito, dall'acqua vivificata dallo Spirito, possiamo esserne aiutati a richiesta della Chiesa, quest'altra madre nella quale lo Spirito è associato e che ne guida l'azione.

C'è dunque questa: differenza tra il rito secondaria e il sacramento, che.l'uno conferisce lo stato di grazia e che l'altro Io presuppone o, in ogni caso, vi si subordina,

Prendendo dell'acqua benedetta, non si ha la pretesa di conquistare l'amicizia divina; ma se questa non la possedete, la buona volontà intcriore, che accompagna questo gesto pio, può disporvi; se poi la possedete già, esso contribuisce ad accrescerla, e il tutto con l'efficacia particolare che deriva dall'istituzione, dalla preghiera pronunciata d'autorità su questo elemento quando lo si consacra pel vostro uso, che deriva pure, a vantaggio di ciascuno dei nostri atti del loro collegamento con altri procedenti dallo stesso spirito, nell'unità della Chiesa. •

La corda sonora vibra meglio sulla cassa dì risonanza. Il nostro gruppo religioso ha pure la sua atmosfera vibrante grazie alla sua organizzazione. Quando un rito ci unisce in nome di una tradizione stabilita a quest'anima collettiva, i nostri sentimenti acquistano un valore che loro deriva dalla comunione dei santi, cioè dalla fraternità nel Redentore; questo valore moltiplica tutti i nostri valori individuali, come sempre avviene nel caso di associazione.

Non ci si deve perciò stupire di vedere un grande vescovo antico chiamare l'acqua benedetta « cosa sacrosanta, degna di venerazione e piena di mistero ». '

Essa è sacrosanta, perché procede dallo Spirito di santità diffuso nella Chiesa, Spirito che cerca con tutti i mezzi, piccoli e grandi, di aprirsi una via nei rio-

siri cuori per, vincervi il male, promuovervi il bene e prepararvi la vita eterna. •• ' E' degna di venerazione per la sua antichità e i suoi punti di attacco'universali, dato che, trovandosi essa in tutti i culti, influisce sul cuore umano in ciò che ha di più profondo; e dato che d'altronde essa è cosa in particolare ebreo-cristiana, e poi del tutto cristiana, collegandosi lontanamente all'istituzione e alla pratica personale del Salvatore.

E' poi cosa piena di mistero a cagione dei numerosi simboli che essa evoca. Ne abbiamo nominati pa^ recchi, ma bisogna aggiungervi quelli che provengono dagli elementi nuòvi che vi sono stati introdotti nelle cerimonie della sua consacrazione.

In realtà l'acqua lustrale dei cristiani'non si impiega pura, come si faceva spesso nell'antichità. Per l'uso ordinario vi si aggiunge il sale, come per costituire un siero conservatore, stimolatore, che preservi insieme dall'atonia e dalla corruzione, e che dia alla nostra vita. il sapore che consentirà al prossimo di compiere la sua edificazione e a Dio di compiacervisi, unendola alla vita dei nostri fratelli per mezzo di questo segno di ospitalità che fu in altri tempi il sale. Quando entrate in una- chiesa e vi offrite scambievolmente-l'acqua benedetta, rinnovate il gesto antico che .faceva obbligo di offrire il pane ed il sale agli ospiti.

Quando si tratta dell'acqua battesimale, vi si ag-;

giunge l'olio dei catecumeni, simbolo dei combattimenti che il cristiano deve sostenere per il Redentore, della luce che riceve e che deve diffondere, della dolcezza che gli viene testimoniata e che egli a sua volta deve testimoniare, della guarigione e della salute procurate, .dalla grazia. •

Quando i .-catecumeni dei tempi primitivi, riuniH nelle catacombe,' si preparavano simultaneamente al, battesimo e al martirio, un tale simbolo aveva una sua ragion d'essere tutta particolare; ma il martirio quotidiano di una vita santa ne è una giustificazione sufficiente. • . i

Vi si aggiunge ancora il sacro crisma, ricordo del profumo di Maddalena, per significare il fascino della / virtù. : : , . ; Per la consacrazione delle chiese, una delle cerimonie più imponenti, l'acqua benedetta è mescolata con cenere, come nell'antico Egitto e come a Gerusalemme in occasione dei sacrifici. Si tratta di ricordare all'uomo l'umiltà della sua condizione e la brevità della sua vita, di farlo inchinare ^davanti alla Maestà che si de-gna di mantenere con lui rapporti religiosi, di fargli pensare con amore, a Colui che per lui e con lui si è fatto cenere e polvere, di allontanarlo con questi pensieri dal solo ostacolo inferiore alla sua vita morale;

l'orgoglio. Voglio dire nella sua radice, che è. rifiuto a darsi alla sua legge, volontà di serbarsi per se, esaltandosi cosi al disopra di tutto. Tale/orgoglio con le' due ramificazioni principali, voluttà od orgoglio della» carne e superbia o voluttà dello spirito, è tutto l'albero del male che si tratta di estirpare. Nel vuoto di 'se-che suppone l'umiltà, riesce possibile all'Infinito di entrare infondendogli la -grazia a chi riconosce che pep suo merito non possiede nulla. ' . ,: ; .

Ma poiché gli estremi spiano .sempre il nostro sparito 'squilibrato dal peccato d'origine per impadronir-sene e poiché dall'orgoglio si; può, per ..reazione, cadere in uno scoraggiamento pieno di tristezza, fatale at» l'energia del nostro .sforzo;-la Chiesa-'aggiunge alla CE-s

S8

aere, simbolo dell'umiltà, un simbolo di vigore morale, di coraggio e di gioia. Essa versa del vino nell'acqua dèlia consacrazione, quel vino « che letifica it cuore dell'uomo», come dice la Bibbia; che è stato dato alla terra, eome assicurano vecchi autori, per sostituire l'albero della vita; vinum a Vi dictum dice Varron^. coinè se la sua etimologia volesse significare forza; esso è un simbolo utile per elevare gli spiriti dopo che sono, stati umiliati verso la cenere.

Pascal vedeva una delle prove della divir-'tà della religione nel latto che essa umilia l'uomo solo per meglio elevarlo e che lo eleva solo dopo ave" avuto cura di umiliarlo, evitando così tanto l'orgoglio dello stoico quanto lo scoraggiamento dello scettico; .Lodiamola dunque per il fatto che la sua liturgia tiene conto della sua dottrina. '

D'altronde essa non dimentica che il suo Maestro-divino si è paragonato al tronco di cui noi siamo i rami, rappresentando in questa pianta modesta, debole C per così dire dolorosa, in cui per altro scorre una linfa generosa è squisita, l'effusione della divinità nell'umanità. Tutti questi simboli, se fossimo meglio penetrati del loro valore simbolico, e meglio al cor-' rente dei testi in cui essi sono commentati, produrrebbero su di noi quell'impressione del sublime che allontanerebbe il rispetto umano da cui sono presi alcuni al momento di immergere le dita in una vaschetta dell'acqua benedetta o di aspergere una tomba.

Si leggano nel liibro della Preghiera antica di Don • Cabrol alcune delle orazioni relative alla benedizione dell'acqua o al suo impiego; si vedrà come sono penetrate della più grandiosa e più intima poesia e ricche di senso della natura, di umanità e di divinità riflesse;

cosi si prenderà gusto a questi riti che sembrano insìpidi a coloro che sono tali, superstiziósi a chi non

ne ha compreso, lo scopo, e che sono invece ammire-v oli nello spirito secondo cui sono stati istituiti, cioè in lóro stessi.

In ciascuno dei suoi impieghi l'acqua benedette rende particolare il suo significato generale e lo adatta al caso per cui viene usata. • '

All'entrata in chiesa essa invita a purificarsi dei;

pensieri profani e a raccogliersi insieme agli altri fé-1 deli. • . . •1 •• : • • ' • • •

Iti casa suggerisce la santificazione della nostra intimità, dell'azioni quotidiane in cui la nostra vita real--mente consiste, più che nella vita mondana o nella' politica. Vi apporta la speranza di un aluto quotidiano in più degli aiuti periodici offerti dai sacramenti alla' vita cristiana.

' \ Distribuita sulle nostre case, i nostri beni, gli oggetti di nostro uso quotidiano, essa significa: Signore;

fa che possiamo far uso delle cose temporali in modo da non dimenticare quelle eterne; ' : :

Introdótta come elemento accessorio nell'ammini-' strazione dei sacramenti propriamente detti, vi eser-' . cita un ufficio preparatorio, a 'meno che non vi sia11:, presa come materia, come avviene nel battesimo. ;"'::'

In Oriente i fedeli ne bevono alcune gocce nel pa-'.;, . sto nel giorno dell'Epifania, nella, quale solennità ha ,,. luogo colà la benedizione .dell'acqua ed è in tal modo •' la nutrizione, cioè la vita, che vuole cosi spiritualizzarsi simbolicamente.

L'acqua benedetta offerta a un ammalato gli applica la preghiera collettiva fatta per lui e gli 'infonde ':

forza, se è cosciente, per aiutarlo a utilizzare cristia- :

namente le sue sofferenze allo scopo di renderle più,;, lievi, se Dio" lo vuole, i

;• ! 55^

.Aspergere un defunto significa augurargli refrigerio e hice. E' come dirgli: Che Dio ti benedica, o fratello che ci hai lasciati;-che egli purifichi la tua anima dalle lordure della terra e faccia schiudere in tè la vita eterna in sostituzione dei tuoi giorni terreni; che egli ti esprima il nostro . amore fraterno e che infine ci riunisca. . •

L'acqua benedetta rientra perciò in tutti.! modi nell'idea sacramentale. Nei riguardi degli elementi materiali l'acqua benedetta ha lo scopo di contribuire a ; farli servire allo scopo cui sono destinati, che è quello di sviluppare, lo spirito, di secondare e non di intralciare l'elevazione dell'anima, di portarci a Dio, che è Creatore tanto nostro quanto delle cose materiali, e che ha posto, nel suo universo la gerarchla degli esseri. a servizio della loro ascensione, in vista del destino degli eletti. ' ' :

Tutto si può riassumere in questa preghiera, 'dì cui ogni eristiano deve augurarsi di poter ricevere il beneficio: ' ;-

«O Dio, che per un ordine meraviglioso della toà Provvidenza, hai voluto servirti anche delle stesse cose , inséfisibili per esprimere jla mirabile economia dell.a-nostra salvezza, illuminate i cuori dei vostri fedeli servitori affinchè comprendano Qnesto mistero. A-men » (1). ;

(1) Prefazione della Benedizione delle Palme.

se.

.j.capo VI.

LE BENEDIZIONI

Tutti gli aggetti, di cui facciamo uso, tutte le cose animate .che sono immesse dalla Provvidenza nell'i nostra vita hanno lo scopo comune di preparare, nei nostri riguardi, il regno dei fini della creazione, cioè di collaborare alla nostra felicità in questo mondo e •nell'altro. . , .

Noi stessi, per mezzo di tutto lo .svolgimento d"IIa nostra vite Inferiore ed esteriore, abbiamo lo stesso' scopo: dobbiamo adoperarci per essere felici. E certamente noi lo vogliamo anche con volontà incoercibile;

ma quante volte per aberrazioni colpevoli o intoscient» non diventiamo i nostri stessi nemici, mentre le. cose, deviate dal loro scopo per accidente o per volontà ostili, umane o sovrumane, p.ure si oppongono, a noi,. ci cagionano dispiacere o ci tentano, costituiscono cioè come uno .schermo che ci impedisce di vedere Dio, mentre dovrebbero fare come. da specchio; risultano essere un ostacolo e ci respingono, in luogo di essere v.n gradino per salire. .. . .

Questa deviazione dei valori della vita è la causa,. di tutte le nostre disgrazie, temporali e spirituali. Oc--correrebbe tutto raddrizzare, preservare dal caso ma-

57.

Ugno, esorcizzare, liberare dagli influssi sfavorevoli o malvagi per far rientrare le cose create nel disegno del Creatore e per orientare la materia verso lo spirito e il tutto verso Dio che vuole tutto ricevere dopo aver tutto lanciato nell'avventura dell'esistenza, pericolosa, ma meritoria e feconda.

E' a questo che tende evidentemente tutto lo sforzo religioso ed è a questo che in particolare mirano i sacramenti, catena tesa tra noi e il Redentore che ci trascina verso Dio con una redenzione progressiva-

Ma poiché i sacramenti .hanno delle appendici che ne prolungano e ne rendono specifica l'azione, non dobbiamo meravigliarci di vedere dei riti disposti ad orientare versò il bene e la felicità le cose e le persone, traducendo in monete per loro, se così si può dire, il beneficio dell'incarnazione, sotto la guida della Chiesa.

Tale è l'ufficio delle benedizioni. . .

La parola benedizione viene da bene elicere; dire del bene, dire cioè cose .favorevoli, richiamare deibenefici o riconoscere dei benefìci.

Nell'ordine religioso, e sacramentale benedire Significa richiamare su di noi — direttamente o con l'intermediario delle cose — ciò che il Redentore ci ha meritato, ciò che ci è stato preparato nella misura delle nostre disposizioni e della provvidenza che ci guida, ciò che è stato deciso che ci venga dato per mezzo di questi intermediari naturali che sono i mèmbri della nostra gerarchla, rappresentanti nello stesso tempo, del Redentore per esaudire e di noi stessi per implorare; mani che si elevano, in quanto umane. e fraterne; mani che si abbassano, in quanto divine per istituzione e come strumento consacrato a nome de) Redentore per essere il canale delle sue grazie.

Dal lato divino 'le benedizioni sono i benefici stessi,

58^

Ciò che Dio dice è ciò che egìi fa. Ciò che egli dice di favorevole (bene dicere) è ciò che fa in nostro favore.

La parola di Dio, che non ha nulla di esteriore, che è il suo stesso pensiero creatore e reggitore, e per conseguenza che è pure il suo agire, poiché pensiero e azione in Dio non si distinguono, sarà dunque, quando sarà realizzata, la forma che prenderanno gli avvenimenti e la realtà di tutte le cose,

Ogni cosa esiste perché Dio la dice: «Dixit et f»-cta sunt ». Egli stesso è secondo che egri si dichiara, poiché il suo Verbo è la sua realtà stessa.

Il Verbo è in Dio una benedizione sostanziale ed egli ce la comunica per mezzo del Redentore. Ce ne prodiga giornalmente i benefici, in relazione alla nostra vita, per mezzo di benedizioni parziali che sono i suoi benefici quotidiani. E se egli li subordina da un lato alle nostre azioni e dall'altro alle nostre preghiere e alla gerarchla religiosa, lo fa, nel primo caso, affinchè siamo figli delle nostre opere e nel secondo per avvicinarci a lui per mezzo di questa ascensione della nostra anima; e nel terzo affinchè la gerarchla ci mantenga in società, uniti tutti come fratelli in suo nome.

Il celebre affresco intitolato la Msputa del Santo Sacramentò, in cui il Padre celeste, che benedice con gesto sacerdotale e tenero, occupa là parte più elevata della composizione, mentre ha al di sotto di lui il Redentore coi suoi apostoli; e al di sotto lo Spirito comunicato coi suoi riflessi nel Vangelo e di sotto ancora la gerarchla che rappresenta la Chiesa e che disputa della presenza reale allo scopo di organizzarne l'impiego, è un simbolo sufficientemente completo delle benedizioni divine che scendono da. Dio e s3 di'Hondonr» sull'umanità.

Non occorre perciò ormai aggiungere che in ogni-benedizione si dovrà invocare il Redentore, Se ciò non si fa con parole, basterà un gesto e si traccerà sull'oggetto o sulla persona il segno della croce, che richiamerà Gesù Redentore. ••• • . .

Qualche volta si procederà all'incensazione per far risaltare l'intensità e la solennità della preghiera, ,per. darle il profumo squisito che conferiscono i meriti del Salvatore.

I .primi oggetti da benedire, se si tratta di cose inanimate, saranno gli oggetti di culto. Essi sono par-ticolarmente destinati al nostro bene; in tal modo essi vengono adibiti al loro ufficio religiosamente e vengono sottratti all'uso profano. Vengono santificati nel senso etimologico della parola, cioè vengono separati in vista degli impieghi sacramentali di cui riceveranno la capacità da un rappresentante autentico del Reden-, tore, cioè da un sacerdote.

E' per questo che si benedicono le chiese e la prima pietra delle chiese, in vista della presenza reale.

E' pure per questo che si benedicono i vasi sacri <s le pietre d'altare con una benedizione che prepara la miglior benedizione d'un contatto divino.

Si benedicono del pari gli ornamenti simbolici, cia-, &cuno dei quali esprime un aspetto della religioiie, richiama un dovere e parla all'anima delle sue speranze.

Si,benedice l'olio che dovrà servire, ad amministrare il. battesimo, la cresima, l'estrema unzione. Si benedicono l'acqua lustrale, gli olivi 'di Pasqua, il cero. pasquale, gli organi. . ,

Si benedicono i cimiteri, le immagini religiose esposte in pubblico, gli oggetti di devozione personale. E tutte queste benedizioni sono dette consacrativc.

A partire dalI'VIII secolo — è sorprendevole che non vi si sia pensato prima — si benedicono allo stes-

60 ,

so modo le campane (1). 'L'umile metallo che deve adempiere all'ufficio di essere una voce della Chiesa, di chiamare alla preghiera i fedeli dispersi, di annunciare la predicazione, di preludere al santo sacrificio, di intonare il cantico comune della nostra adorazione e, nello stesso tempo, come voce di Dio esprime gli appelli dall'alto, l'azione inferiore; della grazia, la violenza dei rimorsi, .il dolce invito della speranza, questa umile cosa di impiego così grandiosa deve essere destinata alla sua funzione in modo solenne. Così si organizza una specie di battesimo delle campane, come per uri essere vivente dai destini gloriosi. Si addobbano e si profumano simbolicamente; si augura per i loro accenti la dolcezza delle trombe d'argento di cui si parla nel libro dei Numeri o, se è necessario, la forza delle trombe di Gerico, per abbattere la resistenza dei cuori. '

Oltre agli oggetti consacrati ad usi di devozione si benedice tutto ciò che si impiega nella vita umana:

le case, i -letti, i campi, le sementi e i raccolti, gli animali domestici, il pane e gli altri alimenti, tutti i prodotti dell'industria; piroscafi, ferrovie, telegran, telefoni, aeroplani, opere d'arte, fontane pubbliche, -monumenti, officine, scuole, ospizi, miniere e cantieri, ecc.; tutti gli emblemi patriottici: bandiere, stendardi, spade ed uniformi; e così pure la terra, il mare, le strade, i fiumi, i canali, tutti i luoghi ove ci si muòve. Infine il rituale contiene benedizioni ad omnia, per ogni cosa allo scopo di benedire anche ciò che si dimentica e così da non lasciare alcuna porzione di sostanza materiale senza consacrazione religiosa.

(1) L'adozióne delle campane in Occidente risale almeno al VI 'sècolo. ' . ,

m

Sono anche oggetto di benedizione le persone, che sono pure cose da guidare per: la coscienza morale e da rivolgere verso Dio per mezzo di una sorta di coercizione consentita, visto che esistono in noi contemporaneamente un timore e un bisogno combattuto del divino.

Si benedicono i bambini alla nascita e m diverse circostanze e così pure le madri dopo il parto. Si benedicono i fidanzati e gli sposi, i viaggiatori alla partenza e al ritorno, i missionari e i pellegrini, i malati e gli agonizzanti, le assemblee; e gli individui isolati;

in una parola tutti coloro che ritengono opportuno di collegarsi, con un segno espressivo e attivo, alla sorgente dei beni spirituali che presto o tardi portano con sé tutti gli altri, cioè Dio incarnato. Dio che si fa carne nell'uomo e nel suo prolungamento, la natura. affinchè la natura, e l'uomo abbiano Dio.

Quanto all'esecutore delle; benedizioni, esso è, più spesso, un sacerdote ordinato dalla Chiesa; ma la benedizione del Vescovo e quella del celebrante alla fine della Messa sono state sempre considerate dalla tradizione come fruenti di prerogative speciali e sono queste benedizioni che in particolare sì ha l'abitudine di chiamare sacramentali. ,

La ragione è chiara per ciò che riguarda il vescovo ed è che il successore degli apostoli possiede; come i Dodici, la pienezza del sacerdozio conferito da Gesù.

Il potere del semplice prete e mirabile per efficacia e grandezza, ma è limitato. Quello del vescovo è invece totale. Lo stesso Papa, da questo punto di vista, non è che il primo tra i suoi fratelli. Se la giurisdizione del primo pastore e quella del pastore di una diocesi sono molto diverse, il loro potere d'ordine è

62

identico. Donde segue che la loro benedizione è posta , sullo stesso .piano dal .punto, di .vista .sacramentale,'1 benché la benedizione papale : sia ricevuta con maggior onore.,

, I/una e l'altra ad ogni modo sono sempre state oggetto nella Chiesa , di una venerazione giustificata. ;< poiché il sacerdozio integrale partecipa al alassimo del potere di intercessione che San Paolo attribuisce , al Redentore dicendo: Abbiamo un pontefice che può perfettamente salvare, coloro, che si avvicinano a Dio per suo mezzo (Ebr. VU, 25). ;

. Non è in realtà cosa normale in ogni organizza- • zione che i beni propriamente sociali per vangar o per ^ •mezzo delle autorità sociali e ciò tanto più perché si ;

tratta di un potere più elevato? I nostri tesori spirituali non fanno eccezione; essi ci giungono per mezzo d. intermediari: quelli del Redentore sempre e quelli dei suoi ministri abitualmente. Dio li dispensa e li fa. scendere come quei profumi di Aronne, di cui parla il Salmo, che invadono la sua testa e scendono lungo i.suoi venerabili capelli fino al margine dei suoi vestiti.

Quando il pastore è di fronte al suo gregge, in piedi sui gradini dell'altare, colla mitra in testa e col bastone pastorale in mano, con la cappa d'oro allargata come nei quadri dei .primi artisti cristiani in ."cui la Vergine abbraccia tutto-un ordine religioso o' tutta la Chiesa nelle pieghe del suo manto azzurro; colla croce d'oro sul petto e il corpo fasciato di lino bianco che assottiglia in lui l'uomo, con la stola pendente in segno di preghiera e dì potere, mentre tutti sono chinati sotto la .-maestà dell'azione propiziatrice — allora prende un valore quasi drammatico la parola di Gesù: « Quando siete in due o in tré riuniti in mio nome, io sono in mezzo a voi »., .

Non è il Salvatore stesso il cui etemo sacerdozio

.63

e qui rappresentato non solo dalla persona consacrala/ma dalla cornice di decoro in cui essa si inquadra;

da questo costume orientale, romano e nello stesso tempo .moderno che è di tutti i tempi come il Cristo è di tutti, secoli, che si drizza più alto ene può con la sua copertura monumentale del capo, e che esibisce ricchezze che dilegueranno tosto nella grandiosa umiltà delle parole?

Eccolo che paria, .questo Redentore per procura. Farà forse esibizioni di orgoglio personale o corporativo, vantandosi, per sé o per la gerarchla, ' d'un potere quasi miracoloso dal quale dovrebbe dipendere, la salvezza della folla? . .

« Adjutorimn nosfrum in nomine Domiitì! Il nostro aiuto è nel nome del Signore», egli dice.' ' •

E il popolo risponde, aggiungendo a queste parole grandiose una nuova dimensione: « Che ha fatto il Cielo e la terra». E' l'ampiezza che scende dall'altezza. Si stabilisce la piramide mistica. Basterà che la preghiera la risalga. .

« Sia benedetto il nome del Signore!» continua il pastore. E' l'augurio dei doni divini innanzi tutto per Colui donde essi traggono origine. E' la lezione del Pa-ter Noster; « Sia santificato il tuo nome! e ciò prima della domanda del pane, sia pure quello dell'anima.

Poi, levando la mano adorna dell'anello simbolico, dell'anello dello sposalizio mistico contratto con la sua Chiesa, con due dita piegate per lasciar parlare la Trinità, facendo tré ampi segni di croce sul suo gregge, come per mettere • davanti alla sua umiltà, con insistenza, ancora nel nome della Trinità, la persona del Redentore egli non dice: Vi benedico, il che potrebbe anche affermare, come autentico rappresentante, ma si esprime così: Che D'io onnipotente vi Iiéne-tìic.a, Padre, Figliuolo è Spirito Santo.

64

Nella Messa quest'ultimo augurio è quasi realizzato alla lettera e così l'intermediario scompare maggiormente. Il sacerdote nella funzione di immolatore è quasi un altro Cristo. Non dice forse, chinato sulle sacre specie e confondendo volontariamente la storia con l'eterna mistica realtà: « Questo è il MIO corpo »?

Quando poi, voltandosi verso il popolo, benedice i fedeli con la stessa mano ancora pregna dei sacri misteri, non si arguisce che una parte della virtù benefica che emana dal divin Maestro deve irradiare, • guarire, constatare e santificare, purché siamo preparati a riceverla?

Questo è particolarmente vero quando la benedizione è impartita con lo stesso Santo Sacramento. In questo caso il ministro scompare e non conta assolutamente nulla. Persino la parola, anche umiliata, viene ìsoppressa. La liturgia esige il .silenzio sia dal lato dei fedeli sia da quello dell'altare. « Che ogni hoc -ca, dice il profeta, si taccia davanti al viso del Signore» (Zacb., II, 13). .

Il cristiano deve allora ricordarsi che noi pure a nostra volta dobbiamo benedire questo Dio che ci ha benedetti e che ogni giorno, ci benedice dandoci tutto;

che ci benedice direttamente e sacramentalmente per mezzo della sua gerarchla.

« Benedetto Iddio, Padre del Signor Nostro Gesn Cristo, esclama San Paolo; egli ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale in vista del Cieio » (Efes., I, 3).

Nell'ultima paróla ritroviamo la lezione, donde avevamo cominciato. E' in vista del Cielo che ogni benedizione spirituale o temporale ci soddisfa.

Quando ci chiniamo di fronte alle benedizioni della Chiesa, dobbiamo pensare che la vita non è altro — per Dio, che un'impresa di gloria e d'amore, men-

65

5. — La Chiesa.

tré per noi non è che un'impresa di salvezza e che benedire Iddio chidendogli che egli ci benedica per mezzo del Redentore significa anzi tutto volere la realizzazione di un disegno eterno in cui trovano posto- anche i nostri desideri del momento, ma secondo un ordine di subordinazione richiesto innanzitutto dai nostri cuori da parte di Colui che li vuole riempire.

G().

CAPO VII IL SEGNO DELLA CROCE

II segno della croce è uno dei simboli sacramentali più intimamente uniti alla vita religiosa e più frequente nella liturgia e per questo motivo è anche uno dei segni più abituali del cristiano, che vorrebbe fare della stessa vita solita una sorta di liturgia, quasi un servizio divino. :

Questo segno, così drammatico nella sua familiare semplicità, che si incontra a ogni inizio di azione, sembra voglia dare soddisfazione delle parole dell'Apostolo: «Qualunque cosa diciate o facciate, ditelo e fatelo nel nome del Signore Gesù Cristo » (Col., Ili, 17).

Per questo motivo si è soliti ritenere che il segno della croce risalga agli apostoli stessi. La critica storica non è lontana dal provarlo, poiché essa trova traccia di questo simbolo sino al II secolo e già a tale epoca esso viene considerato come il segno del cristiano, il marchio che contrassegna in fronte i servi di Dio dell'Apocalisse; il che induce a risalire ancora più addietro, cioè ai primi inizi dell'era cristiana.

Il modo di fare il segno della croce ha comportato' .delle modifiche, il cui svolgimento è abbastanza oscuro. Le cose molto popolari prendono facilmente percorsi divergenti e il simbolo, quando si cercava qui di precisarlo, inclinava in diverse direzioni.

67

Il segno di croce sulla fronte, che sembra essere ' stato di uso comune fino al IV secolo, significava dunque il marchio visibile, il sigillo, l'etichetta inessa m evidenza dal cristiano per mostrare che egli non arrossiva di essere tale e non ne aveva paura. In un ambiente ostile, quale era quello pagano dei primi secoli, là ove la croce era oggetto di derisione o di ignominia, un tal gesto aveva una grande importanza, poiché poteva portare, al martirio. Verso la fine del IV secolo si vede diffondersi l'uso che pratichiamo ancora nella Messa, all'inizio del Vangelo: quello di fare il segno di croce sulla fronte, sulla bocca e sul cuore per la santificazione dei pensieri, delie- parole e dei desideri. : ,

E' solo nelI'VIII secolo che si comincia a trovare il segno di croce tracciato su tutto il corpo per la santificazione di tutta la persona.

In Ispagna nel XIII secolo se ne fece una riduzione che consisteva nel segnarsi sul viso dalla fronte • al mento, senza dubbio per accennare ai cinque sensi.

Quanto al segno di croce sulle cose, esso sembra . antico quanto quello sulla persona e ciò si comprende perché le cose, di cui facciamo uso,, sono un prolungamento, uno strumento della persona e d'altra parte, facendo il segno della croce su di sé, si era naturalmente invitati, quando si aveva una qualsiasi autorità, a, farlo anche sugli altri e per estensione sulle loro. cose.

In tutti questi casi inizialmente si tracciava il segno di croce con un solo dito. Più tardi lo .si fece con due o tré dita per ricordare la Trinità o per protestare contro l'eresia dei Monoteliti. Infine si diffuse l'uso •di adoperare tutta la mano.

Quanto alla direziono del gesto, essa vano pure S'imponeva di rivolgerlo verso l'alto e 'verso ". basso.

tìft . ,

ma si poteva anche andare poi ,da destra a sinistra o da sinistra a destra. Gli uni preferivano terminare a destra, in ricordo di Gesù assise « alla destra del Padre ». Altri scelsero la sinistra per meglio ricordare la crocifissione in cui si riteneva che per prima fosse stata inchiodata la mano destra e poi la sinistra.

I nostri padri davano importanza a questi particolari, poiché per essi il simbolismo aveva un reale valore di vita. Noi, che invece propendiamo piuttosto verso un arido razionalismo, non vi vediamo che una pura curiosità archeologica.

Comunque il significato generale del gesto è sempre lo stesso. Si tratta di dedicare gli oggetti e noi stessi a servizio della croce, cioè di dichiarare per mezzo di un segno espressivo che ci ricordiamo del Salvatore, del suo potere su di noi, della sua dottrina ' e dei suoi esempi e soprattutto della sua Passione.

Si tratta di dare in tal modo alla nostra vita un significato cristiano, insistendo su di un aspetto di questra vita che, transitorio per definizione, è per altro il più difficile da accettare senza lamentarsi, il dolore.

La croce tracciata su noi stessi con gesto volontà-^ rio significa l'accettazione della vita in nome di Gesù- ' con i suoi pesi, le sue fatiche, le sue sofferenze quoti- '.\ diane o eccezionali, comprendendovi pure la morte; .? è la vittoria, richiesta e assicurata in anticipo, del-, lo 'spirito sulla carne, dell'eternità sul tempo, poiché ;

la vita morale è una presa di possesso dell'eterno nella nostra intenzione, come l'altra vita ne è una presa. di possesso effettiva. . . -'

Gesù, crocifiggendosi — poiché è lui stesso che volle salire la scala del dolore: ascendit cruccili — ha preso su di sé, uomo universale, le sofferenze di tutta l'umanità per offrirle a Dio in espiazione e per acquistare merito; per farle sfociare là ove egli era

diretto, a quella destra del Padre che è il riconquistato potere su se stesso e su tutto, mentre noi siamo qui schiavi di tutto e, primieramente del nostro proprio io sviato e disperso, abbandonato alla legge delle membra.

Chiunque faccia piamente il segno della croce per unirsi al suo Redentore deve pensare che l'unione di un essere umano individuale all'Uomo universale in quanto Uomo del dolore significa anche accettare il dolore.

Tante cose nella vita sono in forma di croce! Si direbbe che tutto si riduce ad essa e che l'universo è questa sfera trafitta nella quale si immerge una spada coll'elsa a forma di croce!

Tu stesso, o uomo, non sei fatto in forma di croce con le braccia protese verso ogni cosa, senza poter mai raggiungere pienamente l'oggetto della tua ricerea, coi piedi inchiodati a un suolo ingrato, con la testa che tenta di sollevarsi sotto il suo mucchio di spine? La croce è stata modellata sul tuo corpo, o uomo, e tu la senti, ad ogni gesto tragico strappato da\ tuoi dolori, come inchiodata sulle tue spalle.

Ma, o cristiano, se vuoi entrare nel disegno divino della redenzione e salvarti, unito al tuo fratello divino, ti devi erigere, come Gesù, in una generosa accetta-zione. Ti appoggi alla tua croce, in piedi, come ti invita questo letto verticale che è quello degli eròi e dei martiri.

In fondo l'uomo ha quaggiù membra solo per essere crocifisso. La carne deve essere per lo spirito e la carne non lavora per lo spirito che soffrendo. La cera ^deve sciogliersi perché la candela bruci. «O soffrire o morire » queste parole di Teresa d'Avila, che si potrebbero ritenere una mistica esagerazione, non sono invece altro che la filosofia cristiana della vita.

70

Negli atti di culto il segno di croce ha naturalmente un significato sacramentale più speciale. Esso significa: La salvezza viene dalla croce; da essa ha origine il canale di grazie nel quale vuoi farci entrare la liturgia: via che cammina, direbbe Pascal, e che conduce LA' OVE SI VUOLE ANDARE.

Richiamando esplicitamente con questo gesto l'origine delle grazie sacramentali, si intende rafforzarle:

ci si vuole suggestionare piamente per meglio disporci a riceverle: si sa d'altra parte che l'istituzione è et- . flcace a titolo di applicazione delle preghiere collet-.^ ,tive e dei meriti comuni di cui beneficiamo solida-1:;1 riamente.

Nella vita solita, dalla quale non è neppure assente, l'azione sacramentale, poiché è la Chiesa nella sua es-;. senza che è sacramentale, cioè la Chiesa in tutte le sue funzioni e in tutta la sua vita, che è pure la nostra, il segno di croce indica che tutto è cristiano nella vita del cristiano e che ci sforziamo di fare in modo che sia veramente così con la parte di efficacia che gli riconosciamo.

L'alzarsi e il coricarsi, nascita e morte di questa Vita in breve che è ogni giorno; la nutrizione che sostiene la vita stessa e che ne deve prendere il senso;

il lavoro, che ne cerca il progresso e che è perciò pure qualificato per il suo scopo e sorretto per i suoi motivi; le relazioni che ne sono la diffusione in un'atmosfera morale e materiale da cui la vita stessa non può ne deve isolarsi e che bisogna pure mettere all'unisono al momento di adagiarvisi è ciò che segna la croce che si traccerà su di un letto destinato al riposo come facevano i cristiani al tempo di Tertul-liano per dargli un carattere soprannaturale; sul pane che si mangia o alla tavola prima di sedersi, mentre sfortunatamente si perde ora l'abitudine; sulla terra

71

che si lavora, come fecero per tanto tempo i contadini dei paesi in cui regnava la fede; all'inizio di un'a-, ^ zione comune: contratto, giuramento, discorso, com-/ battimento, giochi, viaggi, ecc.

Tutto ciò risponde ad una stessa ispirazione e ci si : attendono risultati identici. Si spera che Iddio, accet-„ lando il segno della nostra adesione a Gesù e alla sua : croce, .vorrà bene comunicarcene i favori, proteggerci, 'aiutarci, unirci, indirizzarci al nostro scopo attraverso i:'ile prove felici o dolorose della vita.

> II cristiano si accosta alla realtà universale con ./l'aiuto della croce come il Redentore e come lui spera *.. gì divenirne vincitore: «In hoc signo vinces ». Per , .mezzo di questo segno vincerai. Vincerai la natura .che la Provvidenza, per mezzo della croce, rivolge a fini creatori; vincerà se stessa anche la natura, così ; spesso sconvolta e in burrasca; vincerai il tempo che ti rode e lo obbligherai a identificarsi con l'eternità, oceano in cui la clessidra fa cadere gli istanti a goc-, eia a goccia; vincerai Dio stesso con la violenza d'amore che gli rivolse l'amore di suo figlio morto per noi.

O segno vincitore, non ci resta che trovare l'espressione che ti unisce alla tua prima Sorgente di azione, che completa il significato del simbolo richiamando l'ordine dei misteri di cui tu sei il più prossimo, la Redenzione che deriva dall'Incarnazione, e questa col-legantesi con la Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo.

Non sempre in modo esplicito le parole tradizio-'naii accompagnano il segno della croce: si ' sottintendono, ma esse vi sono sempre incluse e quando ci si fa il segno con qualche solennità, avvenisse ciò anche in privato, il segno fa esprimere le parole, allo

73

scopo di completarsi facendo risaltare la connessione della croce con le altezze donde scendono le grazie e nello stesso tempo coi livelli inferiori in cui esse devono diffondersi.

In nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito S,anto, ciò significa in questa occasione: Noi siamo ammessi alla Trinità per mezzo della croce: la Trinità si unisce a noi per mezzo della croce stessa: questa è il ponte teso attraverso l'abisso scavato dal nulla e dalla caduta. E se la Trinità viene così a noi e ci attira a sé, unendo al nostro nulla la pienezza dei rapporti divini, è lo sforzo religioso tutto che ne trae soddisfazione, poiché la religione consiste unicamente in questo: salvare le nostre piccole vite dal loro nulla e dalla loro malizia originaria; portare all'assoluto tutti i loro valori così limitati; dare a ciascuno degli atti di cui si compongono le nostre azioni un significato supremo quale è richiesto dalle nostre aspirazioni.

Di guisa che il segno della croce ben compreso co-^ stituisce tutta la vita religiosa in una sintesi/suggestiva.

In nome del Padre, dal quale tutto procede, in Dio e all'infuori di Dio; in nome del Figliolo, suo eguale ed identico nella sostanza, ma per mezzo del quale egli è fecondo e salvatore; in nome dello Spirito Santo, loro legame vivente, loro soffio e palpito comune, per mezzo del quale Dio comunica la sua forza e si fa santificatore; in nome della Trinità ineffabile. e sacra mi unisco alla croce come al canale di grazie, come al parafulmine dei mali, come all'albero maestro della nave sballottata dalle ónde che porta la mia fortuna eterna.

E io dico: O intimità del mio Dio unita all'intimità così umile della mia vita, siatemi propizia! O terra, e cieli uniti dall'albero della croce, fate di me il hoc"

73

ciò che-attinge alle radici solo per salire nella luca '.ed espandervisi più in alto che può!

O Dio presente, Dio d'amore, a lato dell'uomo facile a dimenticare e debole quale io sono, suscitate in me lo spirito, il cuore, l'azione alla vostra presenza invisibile e attiva. •

Unità di tutto, manifestantesi per mezzo del Rè-dentore uomo e Dio e sorretta da una guida così sublime che può rendersi a fondo interiore senza nulla abbandonare della sua trascendenza, sfiorare tutre le, . unità senza che ne soffra la sua grandezza, divenire '.tenera sino alla pazzia pur conservando le sue immensità, datemi la sensazione di questo processo evolutivo che sgomenta, in cui il mio nulla trova un valore che divinizza.

Padre, Figliolo e Spirito Santo, segnatemi! Fate su di me il vostro segno!

Che io sia, o Padre, con tè il principio fecondo del mio destino! . .

Che io sia, o Figlio, per tuo mezzo, uno sbocco di-' vino che ha riconosciuto la sua originee il suo scopo:

fiume, figlio dell'oceano tì che ritorna all'oceano attraverso la 'sua pianura!

Che io sia, o Spirito Santo, come tè un soffio santi-ficatore, un palpito santo che diffonde all'infuori il troppo pieno dell'interno, e rinnovandomivi io stesso, poiché

«Dal fuoco che diffonde, ogni anima è consumata ».

Che la mia fronte, il mio cuore, le mie membra funzionino per il pensiero, il desiderio e l'azione secondo il vostro modello e il vostro influsso, o voi tré, tré in Uno, come lo sono pure in me il pensiero, il desiderio e l'azione.

Che le mie cose, le mie relazioni, i miei legami materiali e spirituali mi uniscano a tè, o Creatore, e mi procurino una vita divinizzata, e per conseguenza umanizzata a fondo, poiché tu non assorbì la creatura, ma restituisci a se stesso colui che ha saputo darsi a tè per vivere meglio.

Che io stesso tutto intero, compresi i miei prolungamenti viventi o inerti, viva, progredisca e muoia; , io passo, giungo e mi stabilisco; lavoro, soffro e sono per sempre in stato di gioia in nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo.

75

CAPO Vili LA PAROLA DI PIO

« In principio era il Verbo (cioè la Parola). E il Verbo era appresso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio appresso Dio. Tutto si fece per mezzo di lui e senza di lui nulla fu fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e questa era la luce degli uomini ».

Volendo trattare della parola di Dio in senso liturgico, non si può fare di meglio che risalire alla fonte.

La liturgia, e in generale tutto il movimento sacramentale della Chiesa, ha per iscopo unicamente di unirci a Dio per mezzo del Redentore; ciò lo ripetiamo incessantemente. A questo scopo la Chiesa ricorre a diversi mezzi. Uno di questi è la parola, che ha la funzione particolare di unirci a Dio per il fatto che egli stesso è Verbo, cioè Verità, di guisa che la verità diventi in noi ciò che essa è in lui: una vita, e che questa sia a sua volta la luce degli uomini.

Questa espressione così piena di fede: la parola di Dio, usata per designare la predicazione, indica subito il senso sacramentale, cioè nello stesso tempo figurativo o attivo, datele dal pensiero cattolico.

Si dice parola di Dio come si dice ospizio di Dio

7R

(hótel-Dieu) (1). Il dare ospitalità in nome del cielo, come l'evangelizzare in nome del cielo costituiscono due funzioni sante. E come abbiamo attribuito alla carità cristiana un carattere sacramentale che la unisce al centro stesso della liturgia cattolica: la Messa per mezzo dell'Offerta, così dobbiamo accordare alla parola cristiana una portata sacramentale che ne fa il prolungamento di quella parte della Messa che si chiama l'istruzione e che comprende la Profezia, l'Epistola, il Vangelo e il loro commento: la predica.

E a cagione di questo legame i predicatori per tradizione all'inizio del loro dire enunciano un passo, che poi commentano, e terminano con amen, come nelle orazioni della Messa. . ;

Per questa ragione nella maggior parte delle chie- ' se si pone sul pulpito il croceflsso e sul cielo il sim-^ • bolo dello Spirito Santo; al di sotto, per sostenere iì >;

pulpito, gli apostoli e i simboli dei quattro evangelisti..;. A Parigi, si accendono spesso, durante la/predica, dei:-ceri a significare la luce degli uomini. J

, Anche se il sacerdote parla fuori della' chiesa, lun-",^ gi apparentemente da ogni funzione liturgica, per tf< fatto che resta persona religiosa, che parla un linguàg- ;

gio religioso, la sua azione resta sempre collegata ai sacramenti: ed egli fa opera sacerdotale.

Il sacerdote che parli su argomenti scientifici, sociali o letterari, considerando queste discipline solo in se stesse, senza portarle nella corrente religiosa e senza riferirle, almeno indirettamente, al Kedentore che deve essere il suo scopo, dimentica le parole dell'Apostolo: «Io non ho creduto di conoscere tra voi che Gesù Cristo e Gesù Cristo croceflsso».

(1) Hótel-Dieu in francese significa ospedale, cioè l'ospizio in cui dagli uomini si esercita particolàrmente la ;

carità divina (N.d.T.). . . .

77

Non conoscere che Gesù Cristo non significa ignorare tutto il resto. La lettera uccide. Bisognerebbe conoscere tutto. Ma occorre invece avere sempre come ultimo scopo, nello studio di qualsiasi disciplina, l'unione a Gesù, a Gesù crocefisso, cioè Redentore, intermediario fra tutto ciò che è umano, affinchè questo tutto abbia un fine, e Dio, che solo offre il fine.

Stabilire tutto in Cristo è lo scopo del sacerdozio in fatto di parola e di tutto il resto., /

Quando gli apostoli si sono sentiti dire da Gesù:

« Andate e istruite tutti i popoli », non sono partiti come dei pedagoghi che si recassero in viaggio o degli scienziati o filosofi per un giro di conferenze. Essi erano messaggeri d'un maestro divino e annunciavano ciò che avevano direttamente appreso, non ciò che essi avessero scoperto. Il loro simbolo iconografico è un libro in mano, che talvolta in certe miniature viene loro fatto tenere per mezzo di un velo come l'ostensorio. Le cose che essi dicevano, nel loro upn-siero, erano dichiarazione dello Spirito di Dio, un riflesso della sua parola vivente. Quando essi si richiamavano alla ragione o alla natura, lo facevano partendo dal presupposto che ragione e natura procedono pure da Dio e sono rivelazioni della sua Parola.

Così il predicatore, quando parla alla chiesa, specialmente durante la Messa, nel qual caso l'ufficio divino viene interrotto come il Redentore si attendesse che fossero predisposti i cuori in suo nome prima di discendervi, rivestito degli abiti liturgici, il cui can-dore fa di lui una parte integrante dell'altare, il pre-•dicatore non parla ne come oratore, ammesso che lo sia, ne come filosofo o scienziato, se pure Io è; e neppure come teologo privato; egli parla come ambasciatore. Una missione, ecco l'ufficio al quale egli adempie. La sua voce non è la sua, ma appartiene a'3 altri,

.78-

cioè a quell'Altri divino e il passaggio di tale voce attraverso le sue labbra, quando vi si rifletta, .mette in confusione l'uomo peccatore come ogni altro uomo, l'uomo tanto incapace per questo altissimo compito!

« Assemblea, assembleai Che vuoi da me? » esclamava Lacordaire. In realtà chi siamo noi per osare di salire quei gradini, di elevarci al disopra di tutti, di pretendere quell'attenzione che si sente talvolta es-. sere così religiosa? Abbiamo realmente qualche cosa da dire che sia degno di questo silenzio, mentre molti fra gli ascoltatori potrebbero parlare con maggiore autorità e attrattiva?

Silenzio, battiti di cuore, affollarsi di pensieri e di sentimenti che si chinano come spighe sotto Raziona del vento mentre il Verbo passa; quando l'oratore sa-, ero si chiede perché •tocca a lui di esaltarti per un-istante e di mantenerti poi nel tuo stato di umiltà così ricco di vita, egli non può che rispondere coi Dodici:

Non posso far a meno di parlare» e con Paolo: «Maledizione a me se non evangelizzassi! »

Ma l'ascoltatore, se vuole giustificarsi, dovrà dire:

Cristiano di fatto o di aspirazioni, io mi propongo di accostarmi a Dio e per questo scopo, afferrandomi a questo tenue filo che si dirige vibrando verso di me, lo utilizzo come mezzo per ascendere, per il mio spirito e la mia coscienza.

Il predicatore umano è un mezzo di collegamento tra il suo uditorio e Dio, attraverso l'altro Legame Sublime, costituito dall'Uomo-Dio, e attraverso la Chiesa istituzione che lo trasmette sino a noi, penetrata del suo Spirito e incaricata da secoli della sua missione.

Da tutto ciò non appare manifesta là trafila sacramentale attraverso, la quale passano regolarmente i"

79

f

beni religiosi che arrivano sino a noi? Il caso particolare della parola non fa che precisarne la funzione in ciò che la concerne.

In principio era il Verbo: Parola creatrice, origine della materia, dunque della verità di essa, la verità 'non essendo altro che il rapporto fra la materia, quale essa è, e l'intelligenza.

Dunque tutto ciò che è vero, teoricamente o praticamente, lo è perché Dio esiste e Dio è vero; perché egli è parola vivente.

Chi esprime il vero esprime Dio come/Parola e dice dunque una parola di Dio.

La verità religiosa dimostra ancor più la precedente affermazione e beneficia d'un valore di antonomasia, poiché essa non solo esprime Dio in quanto egli si manifesta attraverso aEe cose e in rapporto alle cose create, cioè in ordine riflesso; ma invece lo annuncia intrinsecamente, nel suo mistero, nella misura in cui è piaciuto a Dio stesso di permetterlo.

Chi dunque espone i misteri della fede od anche le' altre verità che vi si collegano, chi le chiarisce, le fa comprendere e le rende palesi nel loro modo di:

agire esprime per eccellenza una parola di Dio.

Però occorre una speciale investitura per poter adempiere a questo ufficio con autorità.

Il nostro principale assertore è il Redentore, testimonio nel significato pieno della parola, poiché, come egli lo diceva a Nicodemo: «Nessuno ascese in Ciclo, se non chi discese dal Cielo, il Figlio dell'Uomo che è nel Ciclo » (Giov. Ili, 13).

Il nostro Redentore, anche in terra, è nel Cielo,. e porta in sé Dio e lo Spirito di Dio. Egli stesso è la Parola sostanziale, che la sua umanità riflette per noi, di guisa che egli ha diritto di dire, anche come uomo, ben sapendo che in lui il divino messaggero è unito

80

a Colui che lo ha inviato: « Io sono la luce del mondo».

Il Verbo si fece carne e abitò tr,a noi ha confermato il sublime evangelista.

Ma poi occorre che, attraverso i tempi e in tutto il mondo, sia trasmessa la testimonianza della sua venuta, occorre che il Redentore sia annunciato. E ciò può avvenire solo per mezzo di un'istituzione alla quale fu detto: «Siete voi che mi rendeste testimonianza ». « Chi .ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me ».

La Chiesa unita al Redentore per mezzo dello Spirito divino che egli le ha comunicato e che è la loro anima comune, la Chiesa, corpo spirituale di cui l'Uomo-Dio è la testa, la sposa di cui egli è lo sposo nell'unità di una sola carne: duo in carne una: la Chiesa è l'intermediario permanente tra il Redentore e noi come il Redentore lo è tra Dio e la Chiesa; ma non basta, poiché Gesù è in essa e ne è inseparabile. Bisogna dunque dire: E' la Chiesa che fa da intermediario, per mezzo del suo Cristo, tra Dio e noi.

Per questo motivo S. Agostino, dopo aver richiamato l'unità mistica, nella Chiesa, della Testa e delle membra, dello Sposo e della sposa, esclama: « Se sono due in una sola carne, come non dovrebbero essere an-, che due in una sola voce? Così dunque la Chiesa parla quando parla Gesù e Gesù parla quando parla la Chiesa. Lasciate dunque parlare Gesù Cristo » (al Salm. XL).

Per finire, la Chiesa, che ha ricevuto la sua missione da Gesù Cristo e da Dio, trasmette la missione stessa ai suoi ministri per mezzo dell'ordin.a.zione che fa di essi dei subalterni consacrati in quanto preposti,

81 6. — La Chiesa.

tra gli altri uffici sacramentali, al sacramento della parola. •

Così San Paolo, riferendosi a questa dichiarazione del Maestro: «Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me» con chiude: «Chi disprezza la parola dell'apostolo non disprezza solo un uomo, ma Dio stesso ».

Intendiamoci bene! Si tratta dell'apostolo in quanto apostolo, in quanto rappresentante di Dio, e non in relazione alla sua persona che non conta. Si può stimare più o meno un ambasciatore come persona privata; ma il disprezzarlo come inviato nell'oggetto del suo messaggio è come disprezzare il suo governo e il suo popolo. Così colui che disprezza l'apostolo e non accetta come proveniente da Dio ciò che egli gli co-' munica da parte di Dio, disprezza Dio e il suo popolo santo; disprezza la Chiesa di cui lo Spirito Santo è l'anima e di cui Gesù è il capo. Egli pecca dunque contro Gesù e contro lo Spirito, poiché sono appunto essi, bisogna subito aggiungerlo, che si manifestano per bocca dei suoi ministri.

In realtà si tratta non tanto di consacrare l'uomo al posto di predicatore, quanto di consacrare il predicatore in tutto ciò che esce dalle sue labbra.

La parola di Dio che, alla sua origine, è una, semplice, perfetta, identica a Dio stesso, si degrada venendo a noi e ciò tanto più quanto più la catena si allunga.

Gesù Cristo è ancora infallibile, quantunque la parola divina sia in lui umanizzata per poter essere alla nostra portata. Il suo rappresentante secolare, il Papa, e la Chiesa unita al Papa, sono infallibili rispetto a certi oggetti e sotto certe condizioni; ma all'infuori di queste e di quelli, essi ricadono sotto le leggi dell'umanità e hanno la possibilità di errare. Il prete,

loro inviato, è manchevole in una misura molto maggiore, e lo è sempre. Egli può sbagliare, può esprimersi male, può incorrere nella sconfessione del suo operato da parte dell'autorità; e così pure questa può, all'infuori del suo preciso campo d'azione e delle condizioni nelle quali essa partecipa dell'assoluto divino, incorrere nella sconfessione da parte di Gesù Cristo.

Ma manchevolezza non è deficienza assoluta e questa relatività del legame che, per mezzo del sacerdote, portavoce d'una istituzione, unisce il fedele alla vita eterna, non impedisce che questo legame sussista.

Tale unione si compie, nelle condizioni che la scienza e la saggezza pratica determinano a vantaggio di tutti, tra ciò che si dice lassù nell'eternità e ciò che si esprime in ogni cuore; che vi si fisserà, in caso di fedeltà, come una regola di vita, si rifletterà nelle azioni, si riverserà sugli altri e diventerà verità vissuta, manifesta, poi felicità goduta e suddivisa che porterà un giorno a Dio chi se ne era allontanato e ciò per le vie dell'azione morale.

Alla parola rituale è dunque ben da attribuire il carattere di sacramento, cioè di segno sensibile e operante nell'ordine delle grazie.

Ne seguiranno dei doveri nei riguardi di colui che parla e di coloro che ascoltano.

Se la parola è imperfetta, tanto peggio per chi la rinvilisce; ma chi ascolta, in luogo di acuire la sua critica, deve ripetersi, sovrannaturalizzandole, le parole di Leibnitz: « Non vi è libro così cattivo da cui io non possa trarre qualche cosa di buono ».

Se invece la parola è felice, tanto meglio per chi ne è stato favorito per il primo; ma, o ascoltatori, non buttatevi in una lode banale che farebbe d'una

88

manifestazione rituale un esercizio verbale del tutto umano.

Si sono avuti nella Chiesa, per una benedizione di Dio, oratori di eccezionale bravura: Crisostomo e Ago-, gcstino, Bernardo, Vincenzo Ferreri e Bernardino da Siena, Bossuet e Buordaloue, Lacordaire ecc. Costoro si possono studiare come maestri quando si è nelle scuole o alla Sorbona; ma i loro ascoltatori e lettori pii devono considerarli come sottoposti alla voce che proviene dall'alto e non fare loro l'ingiuria d'un'amm'-razione tutta profana.

Ricordiamoci che un giorno Lacordaire rilevava così gli applausi strappati all'emozione suscitata nel suo uditorio: « Non applaudite la parola di Dio; amatela, praticatela; questo è il solo applauso che sale sino al Cielo e che sia degno di esso ».

Insomma l'uomo che esprime la parola cristiani, e chi ascolta questa parola si trovano entrambi in una corrente di verità e di vita, di cui debbono ambedue profittare allo scopo di rientrare nello spirito dell'istituzione e di fare opera sacramentale. -

Buona volontà e miglioramenti; tali sono i due termini dell'azione in questo caso.

Andare alla predica come al battesimo per puri-' Bearsi dei propri errori, come alla cresima per rafforzarsi in vista di possibili lotte, come alla penitenza per pentirsi di essere così insufficienti rispetto a ciò che esige la dottrina, come all'eucaristia per ricevere l'elemosina di verità come si riceve sulla tovaglia candida la porzione immacolata dell'ostia: questo sarebbe l'ideale.

L'amore, per mezzo, del quale la fede predicata diviene vivente ed attiva, dovrebbe essere il frutto di

8i

questo multiplo sacramento; si dovrebbero sempre ricordare le parole di San Paolo: «Anche se parlassi tutte le lingue degli uomini e degli angeli, se non ho la carità, sono come un bronzo che suona e un piatto Che vibra».

Ma se ho la carità, avrebbe potuto aggiungere l'Apostolo, piatto o bronzo che si percuote, ottone che si fa risuonare, coro armonico o flauto celeste, contrabbasso dalla voce profonda, piffero guerriero o violino che piange, oboe pastorale o trombone che scoppia in tuono contenuto dal ritmo, sono sempre uno strumento divino. E tutti insieme questi strumenti nel tempio in cui ci succediamo l'un l'altro, voci diverse, umili o grandi, attraverso i tempi, noi siamo l'organo dalle mille voci, orchestra sovrumana per un concerto in cui il Redentore batte il tempo, mentre lo Spirito Santo tornisce il tema e l'ispirazione e il tempio spirituale, la Chiesa, costituita da pietre viventi, vibra nel tentativo di inviare sino al Cielo tutte le sue onde sonore all'unissono con la Parola iniziale: il Verbo, che porta tutti gli spiriti.

85

CAPO IX LE INDULGENZE

Trattiamo qui un argomento che solitamente provoca in alcuni gruppi di persone uno scandalo o reale o fittizio — scandalo che è di origine protestante, ma al quale anche i cattolici potrebbero soggiacere, come se vi fosse in questa parte un lato oscuro, un piccolo compartimento discutibile nella casa della nostra madre.

Si chiamano indulgente dei favori di ordine spirituale che hanno per oggetto la remissione fatta al peccatore, in date condizioni e per mezzo dell'autorità della Chiesa, di tutta o parte della pena temporale dovuta per il peccato già perdonato.

Indulgenza significa, etimologicamente, liberazione, condono e, pure dolcezza.

Presso i pagani l'indulgenza consisteva nell'amnistia parziale o totale, come presso di noi, accordate in 'certi giorni in un pensiero di pubblica gioia.

Presso gli Ebrei si avevano pure giorni di perdono e di indulgenza e anni « giubilari ». Vi è in ciò una tendenza naturale di cui si possono ritrovare ovunque le manifestazioni e non v'è dubbio che la Chiesa abbia preso a prestito su questo punto le sue forme d'azio-

80

ne e il suo vocabolario in questa materia al doppio ambiente giudaico e pagano in cui essa nacque e sviluppò la sua sublime infanzia. \

Fu solo al XIII secolo però che si formò in termini definitivi la pratica attuale, i

I primi cristiani, battezzati nell'età adulta, quando erano in piena coscienza, e separati per mezzo del battesimo da un ambiente più o meno aperto ai vizi e alle superstizioni, erano invitati a compiere una vita tutta santa. « Voi eravate prima tenebre, diceva loro San Paolo: e siete ora luce nel Signore ».

Tuttavia, essendo gli uomini ciò che sono, avvenne che si ricadesse in grandi errori. Il fervore primitivo sì manifestava allora per mezzo di generose riparazioni. Si trovava cosa naturale sottoporsi alla confessione pubblica e poi anche alla pubblica penitenza, che si chiamava penitenza canonica, perché era regolamentata.

Il peccatore si vestiva d'un abito nero e grossolano. Se era donna, le si tagliavano i capelli. Il primo giorno di quaresima gli si metteva la cenere sul capo in mezzo alla riunione pubblica, donde il nostro mercoledì delle ceneri. La penitenza era più o meno lunga a seconda del fatto: quaranta giorni, tré anni, sette anni, dieci anni o tutta la vita se si trattava di delitti atroci. E durante tale tempo era vieta-^.o ogni godimento in pubblico, erano prescritti digiuni rigorosi e non si poteva assistere alle cerimonie religiose che dalla porta o, più tardi, da un posto speciale io chiesa con altri penitenti della stessa categoria; ma sempre si era esclusi da alcune parti dei sacri misteri.

Malgrado queste severità, o per causa di esse, si consentivano spesso alcune mitigazioni. Innanzi tutto ragioni di salute potevano far consentire ad una com-

S-7

mutazione di pena; e un fervore straordinario poteva dar luogo a condono. Il pericolo di morte o l'approssimarsi di una persecuzione facevano sì che potessero essere reintegrati i pubblici peccatori nella comunione dei loro fratelli. Infine l'intercessione di persone di merito e più particolarmente la raccomandazione dei martiri che, a questo scopo, inviavano dalla loro prigione una scheda chiamata biglietto di pace (libellus pacis) potevano determinare condoni più o meno am-pi, all'espressa condizione di convenienti disposizioni - da' parte del peccatore.

'.; A voler ben considerare, soprattutto se si completano questi elementi di disciplina esteriore con la dot-;. trina da tale apoca implicata o esplicata ovunque, ci si rende conto che le indulgenze sono parte integrante del cristianesimo in tutti i suoi stati. Solo le applicazioni e le contingenze differiscono; in questo sviluppo ' non si può vedere perciò che la facilità di adattamento di un organismo religioso ricco di vita, in luogo di ; una norma rigida.

Le nostre colpe hanno un doppio effetto: ci allon- ^ tanano da Dio, rompendo o indebolendo l'amicizia tra lui e noi: tale è la colpa dei teologi che implica un deterioramento dell'anima (macula peccati).

D'altra parte il peccato, turbando l'ambiente morale, come una pietra gettata nell'acqua o come ogni manifestazione disordinata di forza, provoca una reazione chiamata pena, sia a titolo diretto, a guisa di sanzione immediata ordinata dalla Provvidenza, o, se la giustizia immanente cede — il che le è solito, essendo il suo meccanismo inadeguato alle esigenze di ordine morale — per mezzo di interventi terrestri o sovrannaturali, personali, sociali o divini.

88'

La soddisfazione, come si dice nel linguaggio teologico, fa parte della riparazione dei nostri peccati allo stesso titolo del sacramento della penitenza che ne è la testimonianza; della contrizione che ne è il rincrescimento; e dell'assoluzione che la cancella senza dubbio in se stessa, ma ne lascia passare gli effetti di disordine.

Non è sufficiente cambiare via; bisogna cancellare il vecchio cammino dove ci si perdeva, poiché questo , turba il piano del giardino mistico e vi si sono calpestati i fiori del bene.

Gesù Cristo, il buon giardiniere, ci viene in aiuto. La sua croce è la vanga della fatica riparatrice come quella delle sementi e delle piantagioni. Ma bisogna lavorare con lui; perché se Gesù è il nostro Redentore, noi siamo pure con lui i nostri propri redentori. Egli non ci tratta da irresponsabili, come pretendeva Luterò, che affermava che la pana dovuta per il peccato è stata pagata una volta per tutte e che noi siamo perciò, in linea spirituale, dei semplici eredi, con tutta possibilità indubbiamente di divenire dei dilapidatori.

. Noi diciamo — e si giudichi se la dottrina del riformatore ha, più della nostra, bisogno di riforma — che la redenzione di Gesù ristabilisce la nostra situazione morale, ci fa rinascere spiritualmente e ci pone nella condizione di guidare il nostro destino là dove esso è rivolto; ma aggiungiamo che noi siamo gli attori di questo dramma, in unione, coi compagni coi quali ci troviamo fraternamente, col Coro che ci presiede, e con Dio, l'autore del grande dramma che si rappresenta nell'umanità.

A proposito del sacramento della penitenza abbiamo detto che il peccatore riconquista l'amicizia di Dio per mezzo di un triplice potere; Dio stesso che

89

assolve; la Chiesa, corpo spirituale unito a Dio, che guarisce uno dei suoi mèmbri ricollocandolo col suo consenso sotto il dominio dell'idea vitale; l'interessato, senza la cui cooperazione nulla si può compiere; egli non può guarire se le sue reazioni si rifiutano all'azione organica e all'influenza dell'anima.

Quando si tratta della pena dovuta al peccato, la dottrina non è diversa. Ciò riguarda il peccato nella misura in cui egli è solvibile e riguarda anche il gruppo cui il peccatore appartiene: ciò riguarda Dio, che è padre di tutti, pronto a condonare più ancora Che ad amministrare la giustizia. '• '

La dottrina delle indulgenze trova il suo posto in questo complesso, di cui essa deve rispettare i tré termini. .

Si rispetterà la nostra autonomia esigendo da noi convenienti disposizioni che saranno: innanzi tutto lo stato di grazia, poiché si tratta di una azione d'amicizia, il che presuppone, l'amicizia regnante; seconda-:

riamente l'intenzione di' liberarci almeno in questa forma addolcita; in terzo luogo un contributo personale che consisterà in un'opera utile e volontaria, determinata dall'autorità: preghiera, elemosina, pellegrinaggio, uso di un pio oggetto, servizio di apostolato, opere di misericordia e il resto, cose che per se stesse hanno già un valore di redenzione, ma che lo vedranno moltipllcato per mezzo di un' intervento sociale. ,

II dominio di Dio sarà riconosciuto in quanto si abbia a rispettare la sua saggezza e la 'sua benevola ac-cettazione.

Infine si consacrerà la nostra solidarietà in Dio e nel Redentore, ammettendo che le soddisfazioni sovrabbondanti degli uni valgono, date alcune condizio-, ni, anche per gli altri; che il .loro complesso è un te-

90 •

soro di famiglia disponibile in modo infinito, visto che i meriti di Gesù Cristo ne sono come il fondo inesauribile e che d'altronde, essendo la Chiesa non un'organizzazione anarchica ma sociale, la sua autorità ha potere di ripartire i beni spirituali sotto riserva delle condizioni prima espresse.

Tutta la teologia delle indulgenze è così riassunta in alcune parole; secondo me, non vi è in essa che una nuova manifestazione della natura essenziale della Chiesa. ; ;• '

Noi siamo un gruppo unito in Dio per mezzo di' Gesù e siamo suddivisi in forme sociali. Questa condizione della vita cattolica non si deve ritrovare in tutto?

Se siamo veramente uniti, cioè solidali, in Gesù, può essere che i dolori e i meriti dell'Uomo-Dio, quelli della Madonna dei sette dolori, quelli di tante anime di ogni tempo, i cui eroismi tragici o nascosti hanno raccolto i valori spirituali nei tesori «che la ruggine non divora» non abbiano a contare nulla a vantaggio dei fratelli di buona volontà, ma più sprovvisti di mezzi?

Il sacrificio della croce è stato la prima indulgen-, za ottenuta per noi e a questa si collegano tutte le altre. Visitando il calvario come pio e tragico pellegrino, sgranando il rosario dei dolori, portando lo sca-. polare della croce, recitando la preghiera delle cinque .piaghe e facendo alla terra l'elemosina del sangue che deve aiutarla a vivere, Gesù ha ottenuto per noi l'indulgenza plenaria e, unendovisi liberamente, i suoi seguaci hanno ancora accresciuto il tesoro, aggiungendovi, come dice San Paolo, ciò che manca alla P.assione di Gesù, cioè • la nostra adesione attiva, per scopi insieme personali e comuni.

91

Nelle nostre famiglie non si intende mai dire: Padre, se mi ami, dimentica ciò che ha fatto mio fratello;

egli se ne pente e, se tu vuoi, pagherò io il suo debito?

Nelle nostre società civili non si accordano amnistie in favore dei cittadini?

,. A maggior ragione deve avvenir lo stesso nella Chie-

' sa/poiché l'amore è la prima legge di unione per noi.

Gli scambi sociali dovrebbero essere validi solo pel campo temporale? Non saremmo noi solidali e fratelli che per il pane materiale e per i vantaggi terreni, mentre invece una fraternità profonda deve avvincerci fuori del tempo, là dove ci pone precisamente i1 sentimento religioso assai vicino alla fonte divina?

Nessuno può sostituirmi, essere per me ciò che io non sono, elevarmi per sostituzione al disopra di me stesso. Inversamente nessuno può far sì che il male, che ho commesso, non sia stato da me commesso, che io non sia svalutato, nel campo spirituale, di fronte al Padre, senza alcun altro rimedio all'infuori della mia resipiscenza. Ma pagare per me, dopo il mio pentimento, per mezzo di una sostituzione amichevole

'amichevolmente accettata, tutti lo possono e il gruppo (1) lo può a maggior ragione, quando l'autorità lo investe.

«Aiutatevi reciprocamente nel portare il • fardel •

•lo» ha detto San Paolo, ^'.r

(1) Diciamo in termini più teologici: La soddisfazione, come tale, si può trasferire; II merito o la colpa, no; il pentimento o la pervicacia nell'errore, no.

Si dice: La soddisfazione come tale, perché la soddisfazione è pure un rimedio, così come vi insisteva So-crate. Ora, come rimedio, la soddisfazione è evidentemente cosa personale. Essa non lo è esclusivamente come compenso.

92

Tutti per ciascuno, ciascuno per tutti, questa bella massima del positivismo, che però il positivismo non ha inventato, che la Svizzera ha fatto sua, è semplicemente l'espressione del pensiero cristiano.

Il merito delle anime sante sale al Cielo, come i vapori che vanno a costituire lassù il loro tesoro, dal Quale ci scendono le piogge beneficile in virtù di leggi fisiche; i meriti si riversano secondo leggi morali e, ciò che vale di più, sociali, in ragione di che l'autorità vi interviene; ma in fondo è la stessa cosa. Si tratta di accumulare, poi di distribuire in un campo in cui gli scambi sono di .diritto, poiché vi regna la fraternità (1).

Aggiungiamo che questi scambi, dato che essi sono fondati sull'unità degli uomini in Dio, nella Chiesa di Dio, devono avere tutta l'ampiezza di ciò che noi chiamiamo, in linguaggio mistico, la comunione

(1) Le soddisfazioni possono comunicarsi da individuo a individuo, come quando certi santi promettevano ai loro penitenti di dare soddisfazione per essi; imponendo loro soltanto una di quelle penitenze che inebbriano: un Veni Creator o un Rosario. Esse possono comunicarsi anche in gruppi di persone che si accordano per questo scambio, come avviene negli ordini religiosi. Ma ciò non costituisce l'indulgenza, perché ciò non è veramente socializzato, non passando per la legge del gruppo. L'autorità non vi interviene oppure essa non è investita di « giurisdizione ordinaria ». E' una infiltrazione tra pietra e pietra nell'edificio totale; non è la conduttura d'acqua predisposta da chi ha costruito la casa. Donde diminuzione di influenza e più ancora mancanza di sicurezza negli effetti, il rhe non avviene quando tutto il corpo interviene mediante i suoi capi, quando cioè si è sul terreno sociale propriamente detto soddisfacendo canonicamente un « debito canonico » e quando agiscono coloro cui è stato detto: Ciò che voi scioglierete sulla terra sarà sciolto anche in Cielo.

0S

dei santi, cioè, superando le barriere di questo mondo, devono spingere la loro efficacia sublime sino oltre i misteri dell'ai di là. , .

Saremmo noi forse meno liberali di Augusto Com-i tè il quale ha detto: « La società si compone assai più di morti che di vivi»?

L'amore, più forte della morte, quando si unisce all'Amore che non muore, ci unisce agli scomparsi in una società reale, quantunque misteriosa. Se essi non hanno del tutto pagato il loro debito, debito tutto d'amicizia ma inevitabile, che fa di essi dei prigionieri d'allegria, delle vittime di speranze ritardate, dei martiri « che sovrabbondano di gioia Ìn mezzo alle loro tribolazioni», noi possiamo pagarlo per loro tale debito, possiamo in ogni caso farlo presente, sperando nella divina accettazione, uniti all'autorità religiosa che lo fa presente con noi, non potendo essa decretare là ove non ha più potere. E' ciò che si chiama suffragio (1).

Nel suo poema Dante, dopo aver fatto risuonare nel suo. Purgatorio il Pater noster dell'eternità conclude: « Se là si dicono tante preghiere per il nostro bene, che cosa non devono dire e fare quaggiù per quelle anime i cuori permeati da buona volontà! »

(1) Dal IV secolo si cominciarono ad applicare ufficialmente dalla Chiesa le indulgenze per i Defunti; ma il principio sussisteva già prima con la pratica approvata delle buone opere, delle preghiere e dei sacrifici offerti per loro. L'approvazione era in questo caso una partecipazione implicita dell'autorità che poteva bastare. Tanto più che qui non c'è, come non c'era prima, atto di autorità. In realtà l'altro mondo è unito a questo senza dubbio mediante la carità, ma non è sottoposto a questo. L'applicazione dei suffragi è dunque affidata al divino arbitrio e non regolata con autorità dalla Chiesa.

94

Circa il modo di misurar questi favori: quaranta giorni, cento giorni, un anno, sette anni, ec"., si comprende, senza che sia necessario di insistervi, che si tratta qui di una sopravvivenza storica.

Le misure dell'ai di là ci sono inaccessibili. Il movimento degli astri e le suddivisioni che essi determi-

• nano nel periodo in cui si manifesta la nostra vita non hanno nulla a che vedere con gli stati misteriosi in cui si entra al sortire da questo mondo. Bisogna tuttavia parlarne, poiché siamo con quel mondo in relazione spirituale. Parliamo di durata a proposito di Dio perché, in relazione con. lui, lo concepiamo come in relazione con noi e con la nostra vita. Noi diciamo:

; egli era ieri, è oggi e sarà per tutti i secoli. Tuttavia Dio non dura.

Cosi gli avvenimenti della vita fuori del mondò, nel campo spirituale puro in cui si trovano i nostri sopravviventi, senza essere trascandenti a ogni durata come la vita di Dio, sono però trascendenti alla nostra vita e ciò è sufficiente perché noi possiamo parlarne solo sotto il beneficio di una trasposizione permanente, di cui il primo termine ci è noto e 11 secon- :

do ci sfugge. '»'

Non so che cosa significhino lassù cento giorni di indulgenza; questo non significa certo la soppressione di cento giorni di purgatorio. Ma so che questo significa per noi un atto di benevolenza corrispondente' a quello che spiegava la Chiesa primitiva quando accordava cento giorni di pubblica penitenza, e ciò m;

basta.

•Lo spirito della Chiesa non è mutato; il valore delle nostre opere non più. L'aiuto che la Chiesa vuoi procurare nei nostri sforzi per pagare per noi o per gli altri, essa lo misura in base a norme alla sua e alla nostra portata; essa giudica secondo la vita comune.

95

Nella vita soprannaturale, che sappiamo essere in relazione con questa vita, ma le cui forme di relazione-ci sfuggono, essa lascia a Dio di effettuare la trasposizione.

Questo sistema di computo offre d'altra parte 11 vantaggio di unirci al passato e di provare che se le esigenze della Chiesa si sono materialmente attenuate a cagione di nuove circostanze e di esigenze temibili, tuttavia essa non rinuncia ad alcun principio, sempre pronta, se il nostro fervore e i tempi vi consentissero, a rimettere quelle libere sanzioni che si chiamavano pubbliche penitenze.

Dopo di ciò, penso che non si possa obbiettare nul-'•••', la di serio alla dottrina delle indulgenze. •; •

Abusi, ve ne sono e ve ne saranno. Non si prende la loro difesa. Ma dove non ve ne sono? La famosa questione dei lapsi (i caduti), ai tempi di San Cipria-,no prova che gli abusi in materia di indulgenze non aspettarono a saltar fuori ai tempi di Luterò. Ve ne furono pure ai tempi di quest'ultimo ed egli li riformò falsando tutta la religione e la morale stessa perché, egli se la prese col libero arbitrio. Noi non apparteniamo a questo genere di riformatori. E non più degli a-busi possono infirmare la nostra adesione le piccole manifestazioni di umiltà collegate col fatto delle indulgenze, manifestazioni che influiscono invece assai sulla repugnanza di alcuni a fare queste pratiche.

Uno scapolare, una medaglia piamente portata, u-na preghiera recitata, una visita in chiesa, la partecipazione ad un'opera buona tutte cose da poco, in vista del tesoro di soddisfazioni che ci può essere aperto per pagare i nostri debiti spirituali, tutto ciò può fare esprimere meraviglia ai razionalisti; ma noi

96

potremo a nostra volta pregarli di ascoltarci e di non falsare prima ciò che intendono criticare, di non parlare di « macchina per preghiere » o di « cambiale in bianco » là ove sono termalmente richieste disposizioni morali; senza le quali nulla si ottiene, di non arguire di sproporzioni là ove la proporzione si stabilisce per mezzo di quella grande cosa che predicano anche i razionalisti: la solidarietà. Un'assicurazione con partecipazione dell'interessato e del grupps non è ciò che oggi può esser causa di sorpresa, r

E per di più vogliamo pregare il miscredente di-,, non parlare di cosa superflua sotto il pretesto che egli,' nel campo spirituale, non approfitta di nulla, s'è vero che la lusinga delle indulgenze, lusinga del tutto;

materna nei riguardi di quei fanciulli spirituali che noi siamo, suscita presso i ferventi sforzi intcriori ed esteriori che non si possono negare quando non si sia resi ciechi da un orgoglio esagerato.

Il cardinale Wiseman, ritornando da Roma in occasione del giubileo di Leone XII, apportava ai suoi compatrioti la testimonianza commossa della sua ammirazione per ciò che egli aveva constatato in mezzo a quelle folle. Egli proclamava, in una conferenza eloquente, il carattere eminentemente morale, caritatevole e gioioso di una tale solennità.

Bisogna dire lo stesso dei nostri giubilei privati raccolti in pratiche del tutto umili. Una corona del rosario, ciascun grano della quale è pregno di preghiere collettive, preghiere che io raccolgo aggiungendovi la mia nel segreto della nostra unione in Dio è un valore morale di cui non permetto che si dica male.

La mia preghiera non è che una goccia; unendosi ad altre, grazie all'istituzione della Chiesa, congiungendosi al pianto della croce, andando a raggiungere, timido affluente, i ruscelli da. lagrime, di sangue e di

97

7, — La Chiesa.

sudore fecondo che hanno attraversato la terra, e spingendosi con essi verso il mare, o Divinità in cui tutto si ricongiunge, essa acquista il diritto di dire:

Ed io pure sono oceano!

Anche le soperchierie innocenti di cui alcuni si. compiacciono quando vedono delle pie persone uscire da una porta per rientrare dall'altra allo scopo di ottenere un maggior numero di volte l'indulgenza della Porziuncola, lo confermo, io non penserei a divertirmi. Ne sono commosso, senza perciò rendermi cieco su ciò che si possono portare di meno puro i mediocri.

So che l'ignoranza e la superstizione possono trovare qui maggiori accessi che non ne offra la Chiesa; ma nello stesso tempo quanta umiltà e fede si diffondono pure in questo monotono andirivieni.

O razionalisti, vorrei applicare a voi la frase di Amieto: vi sono più cose nel cielo e sulla terra e, s:i. potrebbe aggiungere, più cose fra il cielo e la terra che non supponga la vostra filosofia. '

II cielo è grande e a causa di ciò esso sembra inclinarsi verso l'orizzonte. La terra è piccola e a causa di ciò, quando prende coscienza di se stessa, si appiattisce per umiltà, ma allo scopo di farsi più grande. Voi che vi credete grandi e che siete, appunto per questo, inferiori a tutti, rialzatevi, non per questo toccherete le stelle! Invece alle stelle può salire una santa umiltà, poiché la raccoglie l'amore dalle ali infinite, poiché essa ha per fratello soccorrevole Colui che le stelle adoravano nella notte di Betlemme e che riconoscevano per averlo visto scendere, mentre attendevano che risalisse verso le immensità del divino con la sua messe di stelle viventi.

98

LIBRO IV

L'ATTEGGIAMEOT'0 DELLA CHIESA NEI RIGUARDI DI QIJESTfl MONDO

CAPO I

L'ATTEGGIAMENTO DELLA CHIESA NEI RIGUARDI DELLE RELIGIONI CHE LA PRECEDETTERO

Se l'essenza di un essère spiega i suoi caratteri, essa non spiega meno le sue reazioni e le sue attitudini.

L'attitudine della Chiesa riguardo a questo mondo, in cui essa è chiamata a vivere per servirlo, sarà dunque una nuova occasione per meglio giudicarla e per giudicare altresì questo mondo, per quanto l'anima della Chiesa lo controlla e lo riguarda.

Il contatto più immediato della Chiesa col mondo che le è vicino deve avvenire per mezzo di ciò che le è più affine: le religioni. Vediamo dunque quale atteggiamento ha preso o prende la Chiesa nei riguardi delle religioni che la precedettero, che ne furono contemporanee o che sono sue flglie.

La verità di questo caso — quantunque pochi apologisti e soprattutto pochi opponenti se ne ricordino — non pone tutti i suoi termini in una stessa luce in diverse epoche o in circostanze differenti. Nulla deve essere trascurato, ma lasciare iai secondo pianò non significa trascurare e le ragioni non mancano perché la Chiesa, nelle diverse epoche, o in situa-

101

zioni diverse, prenda verso gruppi religiosi suoi contemporanei o precedenti atteggiamenti molto divers..

E' regola generale che un vivente si adatti alle condizioni del vivere comune. Come c'è un'evoluzione della vita, così vi è pure un'evoluzione degli atteggiamenti della vita, poiché dovendo la vita differenziarsi, difendersi, progredire, deve prendere volta a volta o alternativamente o anche simultaneamente sotto diversi rapporti, un atteggiamento, a seconda dei casi, di separazione o di opposizione o di inviluppo, simpatico o utilitario.

Questi tré aspetti dì uno stesso programma vitale si possono riscontrare anche nella vita della Chiesa. A-gli inizi essa si concentra e si oppone alle altre concezioni religiose, facendo risaltare ben chiaro ciò che essa non è e ciò che invece essa è e precisando i limiti della sua sfera d'influenza con una meticolosità che può stupire oggi lo storico, quando egli dimentichi a qual punto un organismo in fase iniziale di sviluppo abbia bisogno di dedicarsi tutto al lavoro di costruzione e di assicurare il suo avvenire con una differenziazione ben netta, che faccia di lui ciò che egli r veramente e non una cosa informe dovuta al caso e senza il concorso della sua volontà, e cioè un vivente abortito in luogo del germe ben definito che da luogo alla specie.

Leggendo il Vangelo si ha già questa impressione. Malgrado la sua immensa portata, che esprime il carattere universale del problema della salvezza, vi si tìiscerne il «piccolo gregge», come lo chiama il Salvatore, ben chiuso in se stesso e distinto. Non è di questo mondo lui che vuoi conquistare il mando. Non sembra andar d'accordo con alcuna cosa, lui che prende lo spunto nei suoi discorsi da tutto ciò che lo circonda. Egli se ne stacca, e sembra che sprezzi persi-

102

no i legami di sangue e i doveri di razza. Padre, madre, fratelli o compatrioti non sono tali che sotto la riserva dell'opera spirituale, la cui cura è tanto predominante da sopprimere tutto sino al punto che tutto riprenda i suoi diritti dopo essersi unito all'Unico Necessario la cui preminenza esclusiva si mostrerà in pratica eminentemente comprensiva.

A maggior ragione il Vangelo si svincolerà dalle religioni scadute o prive di originalità.

Dopo la morte del Maestro e all'inizio della sua organizzazione la Chiesa non farà altro che acuire questo separatismo per la ragione che il Vangelo, nel presentarsi, doveva per lo meno esprimere con assoluta chiarezza il suo significato universale, e inoltre in pratica esso doveva soprattutto vivere e non filosofare.

Le religioni, alle quali il Vangelo succedeva, si presentarono dunque agli inizi come il paese che si doveva lasciare, come la materia di cui occorreva li-Jberarsi, come l'altro polo, cioè antitetico; poiché l'altro, quando si tratta di differenziarsi, è sempre un avversario. Così gli apostoli e i nostri padri, primi cristiani, si mostrano severissimi verso le religioni pagane. « Voi eravate tenebre, dirà San Paolo agli Efesini, e siete ora luce nel Redentore». La luce e le tenebre, null'altro può meglio mettere in evidenza l'opposizione tra lo stato religioso del mondo all'infuori di (.resù e lo stato che il Salvatore ci apre.

Non si parla, per il momento, delle verità che hanno potuto illuminare la notte, degli astri misteriosi che attraversano le nubi o scintillavano in attesa del mattino. Non è ancora il momento per queste distinzioni. Si tratta di far notare solo la differenza fra la notte e il giorno, fra ciò che non fa parte della Chiesa e ciò che è compreso nella Chiesa. Prima di questa si aveva: ricerca infeconda, ignoranza dei veri rap-

103

porti tra l'Uomo e Dio, deviazione e corruzione in tutti gli ordini di vita connessi con la religione. Dopo,. l'instaurazione della Chiesa invece si hanno: vita rè- ;

ligiosa autentica, verità, santità e spinta al progresso. ' Nulla è più netto e definito di questa distinzione. Coloro che amano le situazioni ben delineate possono essere soddisfatti. Non si transige. « Chi non è con me è. contro di me » è la formula data da Cristo stesso della differenziazione che si tratta di stabilire affinchè la Chiesa si affermi nella sua realtà specifica con il fine di un'opera ben delineata da compiere, in luogo di dilazioni e confusioni.

E ancora di più: il giudaismo, Che non è la notte, ima l'aurora, poiché esso è stato il cammino che ha a-perto la via della luce, viene indicato come notte al pari del paganesimo. E si mira a separarsene soprattutto. La Chiesa se ne stacca dopo una crisi, che pe" quanto piccola essa sembri, è la più formidabile e la più decisiva della storia della cristianità. :

Si darà senza dubbio maggior cura nel far risaltare la parte avuta dalla religione ebraica nella preparazione del cristianesimo che non a dimostrare la parte efficace avuta dalle antiche religioni, quantunque la loro azione si s",a svolta all'infuori del quadro della religione rivelata; ma questa differenza a favore dell'ebraismo è del tutto relativa. In San Paolo la Legge e la Grazia sono in permanente opposizione e per lungo tempo questa opposizione non farà che ere-.scere. •

- Si è che l'aurora non è meno opposta al giorno della notte. Di carattere transitorio per definizione, se si indugia, si ripiega su ciò che l'ha preceduta, diventa cioè notte e la si può perciò legittimamente considerare come notte. . ,

No;n diciamo, quando una nebbia intensa impe-

104

disce al sole di farsi strada coi suoi raggi: è notte? E questa notte è meno simpatica di quella vera.

E' per questo che i simpatizzanti col giudaismo, i primi eretici, fratelli separati in anticipo, si può dire. in quanto ricusano di unirsi alla famiglia cristiana sono considerati dai santi padri come uomini delle tenebre, come pagani quasi peggiori dei veri pagani, perché offrono meno speranze, in quanto la notte fa a-'meno sperare che poi verrà il giorno, mentre un'aurora ottenebrata, credendo di avere luce a sufficienza, arrischia di non far nulla per raggiungere la vera luce.

Questo punto di vista corrisponde alla verità. Non si negava che nell'Antico Testamento non fosse presente la divinità, ma si mettevano in evidenza le differenze, poiché, in senso inverso, lo facevano anche i tradizionalisti della sinagoga che si opponevano al cristianesimo.

E mentre la Chiesa ai suoi inizi ci tiene a distinguersi e a opporsi all'ebraismo nel senso di una dif-ferenzazione necessaria, così essa si oppone nel senso di una lotta aperta contro gli avversar! che minacciano la sua esistenza.

Tutta la vita è combattimento, poiché tutta la vita è insidiata da nemici che vogliono toglierle ciò che le consentirà di essere l'espressione sincera di se stessa. Ma agli inizi della sua formazione una vita deve ancora maggiormente lottare. Tutto può esserle nem'.-•co, poiché essa è debole. D'altra parte poiché essa provoca un turbamento nell'ambiente in cui si schiude, vi provoca reazioni contro le quali essa deve reagire a sua volta.

Quando si accende una fìammella, la si protegge con la mano poiché il minimo alito di vento può spegnerla. Quando si pianta un piccolo virgulto, lo si

M

difende con del filo spinato. La natura per proteggere l'animale superiore contro un ambiente pericoloso alla sua debolezza nel primo periodo di vita, lo fa vivere più o meno a lungo nel seno della madre, che lo protegge verso il mondo esterno, mentre il nascituro si difende con proprie reazioni all'interno contro una quantità di influenze pericolose. Dopo la nascita, la difesa, sempre necessaria, prende la forma di quello speciale egoismo che si osserva presso il bimbo e che non. è altro, per il bimbo normale, che una manifestazione della sua volontà di vita.

Per la Chiesa nascente, la lotta morale, la sola che le convenisse, la sola d'altronde che le fosse possibile, era parimenti una necessità. Essa la fece energicamente, giudicando chi la giudicava, condannando chi la condannava, dichiarando sataniche, e trattandole come tali, manifestazioni religiose che, tuttavia, non frano in tutto che, illegittime anche per il bene, erano in più perverse in una quantità di cose e, per colmo, si opponevano alla nascita e allo sviluppo della Chiesa.

Si lottò dunque con un'asprezza che avrebbe potuto sembrare in altri tempi fuori misura. Quando si tratta di vivere, e di vivere pericolosamente, secondo l'espressione di Nietzsche, non si può filosofare sul prò e sul contro. Si combatte, è la necessità che lo esige e per conseguenza lo esige anche la virtù.

Più tardi, quando la dottrina sarà fuori pericolo e la vita sociale cristiana avrà raggiunto una vigoria capace di assicurare il suo avvenire, non sarà più necessario lottare con tanta asprezza. Vi saranno ancora crisi che faranno in parte ricomparire le stesse necessità; vi saranno delle situazioni confuse che esigeranno graduazioni opportune nell'atteggiamento da prendere, il che ci ha già fatto dichiarare che i tré

106

atti del vivente nei riguardi dell'ambiente in cui si trova: differenziarsi, opporsi, avviluppare sono in parte. consecutivi, in quanto essi seguono i diversi stadi della sua evoluzione, ma per un'altra parte sono invece alternanti per la necessità di rispondere a circostanze occasionali, per un'altra parte ancora sono simultanei sotto diversi rapporti allo scopo di adattarsi a fatti complessi variabili.

Più tardi l'orizzonte sarà più libero; e allora sarà possibile tornare a considerare questo passato con-c'annato, queste religioni odiate, queste istituzioni e dottrine dichiarate perverse e distinguendo dal loglio sovrabbondante ciò che, malgrado tutto, vi permane di grano buono, ed elevandosi con maggior libertà di spirito verso i disegni provvidenziali manifestatisi per tutta la storia, si potrà dare soddisfazione a tutti gli aspetti di questo problema eterno e si potranno raccogliere gli elementi di una completa filosofia religiosa.

I santi Padri del IV secolo si dedicarono a questo lavoro, continuato poi dal medio evo teologico e arricchito dal grande sforzo critico del nostro tempo.

Il risultato di questa elaborazione sembra potersi riassumere così.

La religione autentica e universale è la giudaico cristiana. Essa risale, per la parola di Dio e del Messia preaninunciato, sino agli inizi della storia dell'umanità e ha un carattere sociale nella sinagoga. Raggiunge poi il suo pieno sviluppo nella Chiesa apostolica e romana.

All'infuori di questa non vi è per sé che deviazione, se si tratta delle religioni dell'antichità pagana, vi è resistenza se si tratta di religioni affini al cristianesimo e infedeltà se si tratta di eresie e di scismi cristiani. .

107

Ma quando si dice «per sé» si affaccia la possibilità del contingente e questo nella vita tiene un posto difficilmente prevedibile.

Per una parte immensa le antiche religioni pagane furono corruzioni della vita religiosa, ma per una parte minore costituirono preparazione e, in un certo senso, furono anticipazioni del Vangelo.

Dal punto di vista della verità, della morale pratica, del culto, si ebbe in esse di tutto: del male a iosa, ma anche un po' di bene in relazione a ciò che Ter-tulliano chiamava l'anima naturalmente cristiana.

Il tentativo di tanti secoli per cercare di raggiungere Dio, come diceva San Paolo all'areopago, non poteva riuscire del tutto vano. In quelle religioni si eb -bero pure genii religiosi, "uomini pii, quasi dei santi, cioè uomini che per una grazia intcriore misteriosa nelle sue vie, aspiravano 'con tutta l'anima a servire il bene, come può fare un cristiano con maggiori risorse, senza che per altro debba necessariamente agire con maggior zelo. I loro sforzi dogmatici, morali, rituali, se si possono usare queste parole in un senso così diminuito, costituivano valori di cui alcuni erano veramente preziosi. A questi si potrebbe applicar" ciò che il Redentore diceva della legge ebraica: Non sono venuto per abolirla ma per perfezionarla, cioè a confermarla da una parte e nello stesso tempo a purificarla e a spingerla più oltre.

Vi sarebbe dunque da questo lato preparazione. V5 deve essere aggiunto tutto il lavoro di civilizzazione generale, che nell'antichità prendeva forma religiosa, esso è, per l'opera del Redentore, come l'humus nutritizio dal quale il germe divino farà sviluppare la nuova pianta.

Moltissimi autori hanno descritto questa elaborazione, mentre altri si indugiavano a far risaltare al

108

contrariò le differenze. Questi due generi di lavori si integrano e non si contraddicono. L'humus non è la pianta e a chi li confonde bisogna dire: La pianta è. un essere vivente, l'humus è un complesso di sostanze .in decomposizione. Ma è una decomposizione feconda.

Gli studi più istruttivi sono quelli che riuniscono i due punti di vista; tale è uno che mostra sino a qual pùnto il Sincretismo pagano era lungi dal potere da solo dar luogo al cristianesimo, dal poterlo soprattutto sostituire, e in qual modo gli è purtuttavia stato utile (1).

A causa poi dell'idea di cattolicità, si può facilmente dire in qual senso la Chiesa può vedere nelle antiche religioni delle anticipaz'ioni di se stessa. Abbiamo visto nella Chiesa la società universale delle anime per il fatto che esse sono unite in Dio per mezzo del Redentore. Abbiamo detto di lui che egli appartiene a tutti i tempi, che la sua vita storica non è che il centro della sua irradiazione; che se la sua venuta è stata differita, ciò è stato per ragioni provvidenziali e utilitarie, non perché egli fosse dato a questi e rifiutato a quelli. Ora questo ritardo, dovuto alla sua opera, non impedisce, ma anzi esige al contrario che la stessa attesa del Redentore faccia parte del suo lavoro, contribuisca a integrare il suo regno e giustifichi storicamente ciò che ha detto San Paolo: « Gesù Cristo era ieri, è oggi e per tutti i secoli ».

Ma questa espressione: l'attesa del Salvatore non deve essere interpretata in senso ristretto. L'attesa del Salvatore è, inizialmente e direttamente, la stessa fede giudaica nel futuro Messia, ma è anche, in seti) Berriardo Hallo O. P. Il Vangelo di fronte al sincretismo pagano, Parigi, Bloud e Gay, Editori.

, 109

condo piano tutto l'insieme dei fatti trascorsi in quanto pure governati da Dio in vista della sua opera de- ' unitiva.

Prima che il regno animale si completasse con l'uomo, o all'infuori di questa attesa, vi erano l'attesa della vita che doveva completarsi con l'uomo, e l'attesa

.della natura generale il cui scopo era quello di servire e di anticipare, per quanto essa lo poteva offrendo delle vestigia di Dio, la nostra futura umanità, sua immagine.

Lo stesso avviene per la vita religiosa. In tondo tutto è religioso, nell'intenzione del Creatore, poiché tutto è per gli eletti. E tutto ciò che è religioso è cristiano e cattolico nello stesso senso, per la stessa ragione.

Quando parliamo di un'anima della Cbies»> includendovi gli eletti di ogni tempo, riteniamo che Dio stesso abbia sempre unito a sé, per mezzo del Redeo-tore di tutti i tempi, le anime chiamate, ricevute e confermate nel bene per la sua grazia. Noi vi vediamo quei figli disperai di Dio di cui parla San Giovanni è che Gesù, nella sua missione storica, è venuto a riu-pire. Ora quest'anima della Chiesa che ha oggi per corpo il cattolicismo romano e che aveva, prima del Redentore, per corpo anticipato, a titolo di embrione

'legittimo, la sinagoga, non trovava pure nelle organizzazioni religiose del passato, in ciò che esse avevano di utile, come un surrogato del suo corpo?

Sant'Agostino vedeva in Giobbe Idumeo « un cittadino della Gerusalemme spirituale». E' un' caso

'simpatico e rappresentativo. Vi si può scoprire come la grazia vada cercando in tutti gli ambienti le anime nobili per unirle al loro Principio comune in nome della solidarietà che ci unisce attraverso i tempi per mezzo di Gesù Cristo. Ora Giobbe non è un isolato;

110

egli ha il suo gruppo religioso, come ha la sua famiglia, la sua patria, tutto un ambiente in cui la sua vita inferiore trova senza dubbio degli ostacoli, ma anche degli aiuti. Di questi si potrà dire che nei suoi riguardi non siano voluti da Dio, e provvidenzialmente disposti perché la grazia interiore possa manifestarsi, conservarsi, accrescersi, dato che essa ha potuto nascere non dico per la loro efficacia, ma torse col loro aiuto?

Dio si serve di tutto, anche del male, e a più fòrte ragione di ciò che è insufficiente e irregolare.

Generalizzando questo caso simbolico, potremo dire: nel mondo antico, accanto alla sinagoga, organizzazione legittima di salvezza per quei tempi, vi erano organizzazioni religiose che, quantunque per se stes-àe estranee alla salvezza e per questo antagoniste cori la vera religione, costituivano tuttavia sotto certi rapporti nei riguardi delle anime elette degli aiuti provvidenziali.

Nella misura in cui queste religioni favorivano non. già i vizi e l'errore, come facevano spesso, ma le virtù e il vero sentimento religioso, il che facevano quale più quale meno, esse erano giovevoli per l'aziane divina e redentrice e costituivano delle oasi di rifugio e di salvezza, malgrado tutto; esse erano come sostegni occasionali, fuori quadro, dell'anima universale della Chiesa.

In questo senso si può intendere la parola del Redentore: «Chi non è con me è contro di me», egli aveva detto. « Chi non è contro di voi è con voi » egli dirà in un altro senso ai suoi discepoli. Queste frasi esprimono due momenti, due aspetti della verità integrale.

Ebrei o gentili, in ciò che essi presentavano di uti-1 le o di indispensabile alla realizzazione dei finì provili

videnziali che in tutti i tempi furono cristiani; per il fatto che essi facevano parte, ciascuno al suo posto. del disegno religioso del mondo, essi sono per noi degli amici dei tempi trascorsi, padri, fratelli e figli della nostra Chiesa eterna, anche se, sotto altro aspetto, essi possono essere stati cause di ostacolo allo sviluppo della Chiesa stessa.

Bisogna evitare di formulare giudizi assoluti. Lie esecuzioni sommarie sono talvolta imposte dalla vita;

ma non trattandosi più di momenti, dovendo presentare un quadro sintetico non si deve dimenticare che la giustizia religiosa è, fra tutte, la più elevata.

La nostra Chiesa vi consente. Nella sua ampia cattolicità, come i suoi dottori la intendono, il passato e il presente vi si possono unire; l'avvenire ha per radici i più lontani caratteri di vita religiosa della più oscura umanità, mentre esso prende per tronco la croce, sulla quale, come su albero dai rami smisurati, sono invitati a posarsi oramai tutte le anime.

CAPO II

L'ATTEGGIAMENTO DELLA CHIESA RIGUARDO ALLE ALTRE RELIGIONI CONTEMPORANEE

I sentimenti della Chiesa verso il passato religioso del mondo possono applicarsi anche in parte al presente. Passato, avvenire sono differenze temporali che portano con sé conseguenze parziali; ma il loro unico principio unitario trae con sé altre conseguenze.

Poiché il compito del passato è quello di riversarsi nell'avvenire attraverso il presente, il passato che si oppone al progresso, anche se per il suo tempo fosse stato buono, diventa cattivo per il fatto di tale opposizione; e quello che era cattivo diventa peggiore. La antiche religioni che sono sopravvissute al cristianesimo hanno dunque accresciuto il loro carattere maligno in ciò che avevano di cattivo per il solo fatto di ouesta sopravvivenza; e in ciò che avevano di buono, per cui si eran potute considerare preparazioni o anticipazioni del cristianesimo, sono ora divenute elementi passivi. -

II dovere che incombeva alle religioni .antiche era quello di mettersi sulla retta via per ciò, in cui esse fossero deviazioni, e di eliminarsi dopo la venuta del cristianesimo per ciò che esse avessero di buono, poi-

8. — La, Chiesa.

che dopo l'avvento della perfezione, il provvisorio, e 9 più forte ragione l'accessorio, un accessorio così eterogeneo, non avevano altro compito che di perdersi nel perfetto. La luce del mondo doveva cacciare la notte e dalla stessa luce meridiana doveva esser fatta scomparire la luce dell'aurora, le luci disperse, valori che sono il fascino del mattino, ma la vergogna del meriggio che non si sviluppi in pieno.

Questo sacrificio volontario non si è ottenuto. Per ragioni stanche molto complesse, per questioni di razza, di lontananza, di abitudini secolari, di ignoranza inveterata o di orgoglio esclusivo, di passioni non vinte o di buone volontà dissipate, le religioni dissidenti si sono perpetuate come si perpetuano le civilizzazioni dissidenti.

E' sintomatico constatare a qual punto questi due casi si rischiarano reciprocamente. I grandi progressi di questi ultimi tempi — contemporanei, notiamo'-o bene, del cristianesimo e che si sono sviluppati là dove il cristianesimo si è diffuso — a quanto pochi uomini hanno giovato! Quanto è ancor piccola la macchia d'olio salvatrice diffusa nel mondo sotto il nome di civilizzazione a partire dai nostri paesi cristiani!

Tutto ciò si può comprendere, ma non si può approvare. Il relativismo o il dilettantismo, che non vorrebbero vedere in ciò che delle variazioni interessanti, hanno in ogni tempo avuto la condanna della Chiesa. La varietà è preziosa quando esprime più abbondantemente la natura sviluppandone i diversi aspetti; ma la varietà che consiste nel produrre storpi o aborti, in luogo di uomini normali, non può andare a genio al filantropo. Giacomo Callot (1) "se ne compiace e Ve-

(1) Celebre pittore ed incisore francese (1593-1635) di spieiato realismo e brillante immaginazi'one (N. d. T.)

1Ì4

lasquez con la sua spaventosa serenità vi applica il'^:

suo freddo pessimismo; ma l'uomo che, invece di dipingere, agisce e che può esercitare perciò un'influenza nella vita è più disposto a ridurre alla sua statura normale Antonio el Ingles o l'Infant de Vallecas.

Si deve risanare ciò che è anormale o patologico. £e questo è volontario, lo si deve condannare, se è approvato da certuni, come sarebbe in religione la tendenza del dilettantismo o dell'indifferentismo, si ha il dovere di denunciare il loro errore, figlio della viltà. . '

La nostra Chiesa non si priva di questo diritto. Oggi, come nei primi tempi, nei riguardi delle religioni che essa trovò già esistenti e che la perseguitarono o nei riguardi quelle che si ostinano a viverie accanto, isolate o aggressive (verità parziali commiste ad errori grossolani, ad infami pratiche da tendenze/ perniciose, mentre la Chiesa è verità integrale nei suoi elementi se non nei suoi sviluppi, per mezzo di Gesù Cristo e di Dio che glielo ha dato, pratica feconda e santità attiva nell'ordine individuale e so-: ciale) la Chiesa non trascura mai di esercitare la sublime intransigenza, che è il dovere della verità di fronte all'errore, del bene di fronte al male e del meglio la cui ora suona riguardo all'imperfetto che si oppone alla sua azione.

Non temete — o non sperate, a seconda dello spirito che vi anima — che la nostra Chiesa prenda mai l'atteggiamento di tollerare dogmaticamente le reli- • gioini quale esse sono facendo dei complimenti alle' loro verità o concessioni ai loro errori. Questo esula dal suo carattere.

La Chiesa dice ciò che essa è; rivendica i suoi di- • ritti. Incaricata di guidare gli uomini, poiché essa è la prosecuzione del Figlio dell'Uomo attraverso i tempi,

iif)

a tutti offre il suo ufficio di mediatrice. Non si impone, ma giudica "i rifiuti e classifica i gruppi. Non può ammettere che si dica: la salvezza è qui o è là, se non 6 indicata essere presso di essa.

Falsi messia, essa dirà, riconoscete il vero Messia! Io sono il candeliere — no, anzi la cera stessa della candela vivente che si è dichiarata Luce del mondo.

Io sono l'edilìzio costruito non dalla mano dell'uomo, in cui si trova la porta delle pecorelle, quella per cui devono pa&sare tutti gli uomini per andare al divino pascolo.

Sono io la via, la verità e la vita, poiché sono la prosecuzione del divin Maestro; poiché è Dio che ospita in me stessa.

Fuori della mia verità vi sono delle verità, ma non ve ne sono che si sostengano da sole.

Fuori della mia legge vi sono delle leggi; ma non ve ne sono di interamente autonome.

Fuori dei miei disegni vi sono dei destini che sì ibiziano, ma non ve ne sono che si conchiudano, uè direzioni che possano condurre a una mèta definitiva.

Fuori della Chiesa non vi è salvezza: ecco ciò che dichiara innanzi tutto la Chiesa.

Ma ciò non è, per dichiarazione stessa della Chiesa, che una verità parziale. Bisogna conchiudere.

Allo stesso modo che abbiamo dichiarato: la Chiesa nascente si è opposta alle antiche religioni malgrado che queste l'avessero servita, così dobbiimo di^ rè: la Chiesa vivente e permanente si oppone alle religioni dissidenti e purtuttavia per opera di Dio e del suo Messia, essa le comprende e se ne serve.

Ciò che valeva per gli inizi del viaggio, vale anche durante il percorso. L'essere risponde al divenire.

116

Come dunque la Chiesa nella sua universalità, che per opera di Dio e del suo Messia è totale, comprende tutta la civilizzazione, come essa comprende anche la natura che è Regno di Dio, che è sottoposto agli eletti, come gli eletti lo sono a Gesù Cristo, e come questi lo è a Dio, così la Chiesa comprende le religioni dissidenti in ciò che esse hanno di buono e di utile e le assorbe nella sua unità.

La subordinazione, in ciò che concerne la civilizzazione generale, consiste in questo che, essendo la vita umana un tutto unitario e proponendosi la religione di far giungere l'uomo al suo ultimo e vero destino, tutto ciò che lavora per l'uomo lavora anche per la religione. Più legittimamente dell'antico poeta la Chiesa può dire: Io sono uomo (essendo una società umano-divina) e nulla di ciò che è umano mi è estraneo. Ciò che essa propone; la grazia, si basa su ciò che ci è offerto dalla Provvidenza: la natura, e su ciò che noi vi aggiungiamo coi nostri sforzi: la civilizzazione. Tutto lo sforzo di civilizzazione è dunque conglobato di diritto, come il lavoro della natura, nel movimento religioso che ci spinge verso il fine dell'umanità.

Quando si tratta di religioni dissidenti, si tratta di una argomentazione, argomentare sotto diversi aspetti, a fortiori, e di una diminuzione di verità. Infatti, Sotto quest'ultimo riguardo, le religioni dissidenti prese nel loro insieme non sono assimilabili al cristianesimo come lo è la civilizzazione in generale i cui valori si offrono tali e quali e senza scarti ad essere utilizzati dall'idea cristiana; l'argomento a fortiori è in un altro senso, poiché le religioni dissidenti, in ciò che esse hanno di buono, riflettono e rappresentano la nostra religione e possono quindi, sia pure accid'sn-talmente, adempiere alla stessa missione e ciò nell'or-

117

dine religioso propriamente detto, al che non può invece possedere per se stesso il lavoro della civniz^a-s'ione. Se dunque la Chiesa ha avuto vedute abbastanza ampie per riconoscere il vero e il bene nelle religioni che l'hanno preceduta, non nega le stesse cose in quelle che oggi le sono accanto e che costituiscono per la maggior parte una prosecuzione storica delle •prime. .

Ma nel vero e nel bene delle religioni dissidenti la C'h.iesa non riconosce solo il vero e il bene; essa vi si riconosce, riconoscendo l'uomo e Dio, la cui sintesi è la sua definizione e la cui opera a due è sua propria fatica.

Ciò che vi è di buono nelle religioni dissidenti non appartiene ad esse: ciò appartiene all'umanità, dai cui istinti è stato suggerito e appartiene nello stesso ter".-' pc a Dio che in ogni tempo e ovunque ha lasciato filtrare raggi della sua luce; ciò appartiene dunque alla vera religione che apporta da parte di Dio e per la mediazione di Gesù Cristo la vera e completa formula dell'uomo, la vera e perfetta sua legge e i me^zi buoni ed efficaci dello stesso.

La Chiesa cattolica, poiché comprende con la sua anima tutte le anime flglie di Dio, ovunque esse risiedano, comprende anche nel suo corpo, a titolo di .dipendenze estrinseche dello stesso, tutte le forme religiose che per se stesse le sono contrarie, ma che nello stesso tempo la servono parzialmente nel modo che e stato indicato.

Certamente le religioni dissidenti sono diaboliche;

ma non per questo esse non sono meno provvidenziali in via accessoria ed accidentale. Esse non danno la grazia, ma possono fornirne l'occasione, conservarla .o favorirne la crescita per mezzo di aiuti esteriori che Dio, l'Ospite di buon cuore che non si rifiuta mai, .s;a-

118.

prà rendere efficaci. Rifugi occasionali, ecco l'espressione che loro si appropria, oggi come prima del cristianesimo, allo stesso modo che abbiamo designato la sinagoga come un rifugio legittimo provvisorio.

Valgono di più per il cinese, di cuore nobile e cristiano senza saperlo, il suo Confucio che il nulla, la sua pagoda che la via, i suoi riti che il soffio senza appoggio della vita intcriore, i suoi gruppi organizzati tanto bene quanto male che un arido individualismo. ' Vale di più per il maomettano il suo Allah; per l'Indù il suo Indra o dio del fuoco; per il Romano persino i suoi « galli sacri » che non per il signor Homais il suo grasso riso.

E di qualsiasi religione si tratti si può sempre attribuirle questa lode pur facendole gli stessi biasimi. Le religioni diverse si oppongono al cristianesimo ma lo servono. Rifiutano la loro adesione ma favoriscono malgrado tutto l'adesione delle anime al Dio sconosciuto che le lavora, al quale si danno talvolta senza saperlo, mentre Gesù, fratello di tutti, anche di colo-rto che lo ignorano, si trattiene sulla loro porta chiusa e prende per un la mancanza di 'un no colpevole accompagnata da un sì per il dovere.

Gesù misconosciuto ed anche esteriormente oltraggiato è purtuttavia presente. Abita nel deserto e benedice la città. Egli è a Benares, alla Mecca e a Roma, qui a casa propria, là presso lo straniero. Egli. parla al Vaticano e il muezzin sonoro, voce del nulla per se stessa, può pronunciare parole che avran-^ no efficacia per suo mezzo. Non- si scoraggia per es -sere respinto, se non lo è con colpa. Anche le persecuzioni non lo obbligano ad abbandonare l'anima del persecutore. Egli da il suo sangue a coloro che fanno versare il sangue dei suoi figli sublimi senza rico-noscerlo per suo. Fa vivere coloro che lo uccidono.

119

Accoglie misteriosamente coloro che lo bestemmiano polo con le labbra. Promette la sua vita eterna a colui che lo nega senza farne parte il suo cuore. Egli scusa tutto, crede tutto, spera, tutto, sopporta tutto, perché è Carità. Egli dice: Perdonate loro perché non sanno quello che si tanno.

120

CAPO III

ATTEGGIAMENTO DELLA CHIESA NEI RIGUARDI DELLE RELIGIONI SEPARATE

Resta da studiare il caso delle religioni che hanno fatto parte della nostra e che se ne sono staccate costituendo, ora sotto il nome di eresie, ora sotto quello di scismi come lembi della tunica del Redentore, come si esprimono i dottori della Chiesa.

Aggiungerò, poiché il loro caso è lo stesso, l'eresia totale che è l'incredulità; questo scisma, il più grave ' di tutti, che consiste nel respingere ogni confessione religiosa, nel troncare i suoi contatti col cristianesimo per trincerarsi in gruppi puramente temporali, senza vita sacramentale, senza Redentore e il più spesso senza divinità. Quale atteggiamento può prendere — e prende effettivamente — la Chiesa cattolica nei riguardi di queste religioni separate e di questo separatismo areligioso?

Evidentemente, proponendosi essa stèssa come unica e vera Chiesa, essa non fa che credere a se stessa chiamando infedeltà le eresie e gli scismi allo stesso' modo che aveva chiamato deviazioni le religioni precedenti e resistenze le loro prosecuzioni sino ai nostri giorni.

'•.m

Considerando le cose in sé, si deve conchiudere con la Chiesa che l'eresia o lo scisma sono un grande delitto collettivo nello stesso tempo che una disgrazia.

Spezzare questa unità che è il fondamento della religione, non avendo tutti gli uomini che un solo Dio al quale devono unirsi, un solo Redentore come uomo universale per congiungerli a Dio, una sola tradizione legittima per unirli al loro Redentore; falsare queste organizzazioni è dire: No, è altrove che vogliamo fissare i nostri destini religiosi, avremo Dìo per noi senza essere uniti ai nostri fratelli figli di Dio, avremo il Redentore per noi pronti ad abbassarlo alterando la sua dottrina per non averlo voluto licevere dalla sua tradizione autorizzata, limitando la sua azione col restringere la vita sociale che egli ispira, mutilando il culto, anzi decapitandolo come fa il protestantesimo quando rifiuta l'eucaristia in cui noi invece poniamo il centro di tutta la nostra vita religiosa, il perno della vita sacramentale e perciò della religione stessa in cui il fatto sacramentale ha una importanza fondamentale: parlare e agire così significa rendersi religiosamente omicidi, poiché è come sconnettere e squartare l'umanità religiosa.

E se ci si pensa, è nello stesso tempo diventare deicidi poiché mettendo a pezzi l'organismo umano-divino, si uccide non meno Dio dell'uomo che ne taceva la sua vita. Lo si disincarna, se così si può dire, strappandolo ad una parte di questa carne universale alla quale era unito e che egli doveva salvare, tagliando i vasi che facevano colare il sangue della croce nelle vene del genere umano unito in un solo corpo, e interrompendo la corrente nervosa trasmessa da questo divino encefalo e diretta ovunque per mezzo di una gerarchla di funzioni ormai spezzate.

Mutilare Gesù, ricominciare la Passione, giocare

122

ai dadi la tunica senza cucitura, ripartire oltraggiosamente ciò che doveva rimanere invariabilmente vki solo tutto, affinchè il Redentore vi potesse vivere, affinchè la sua vita umana e divina nello stesso tempo determinasse la nostra nella stessa unità di ricchezze.,, queste sono le accuse permanenti portate dalla nostra Chiesa contro le sette dei fratelli separati da essa e perciò dal centro di vita instaurato da Gesù.

Quando queste sette si fanno forti di tale o tal altra congiuntura storica, di una nazionalità da conservare, di opinioni da mantenere, di sentimenti sociali da soddisfare, la Chiesa risponde loro: II cattolicesimo è abbastanza ampio da esser aperto a tutte le razze, a tutte le nazionalità, a tutte le opinioni legittime, a tutti i modi di sentire che non si oppongono a sentimenti collettivi dei cristiani, e ciò senza chieder loro alcun sacrificio, di se stessi, ma anzi rafforzandoli, come l'unità rafforza sempre le moltepli-•cità che essa consente, come il perno del bìlancere dell'orologio determina la libertà di muoversi degli ingranaggi ben fissati sulla sua stabilità indistruttibile, ^come la sottomissione all'autorità legittima costitu:-' sce la nobile libertà del cittadino in una società temporale.

Opporre una nazionalità, una credenza, un senti--mento, un'aspirazione alla religione unitaria è come opporre la vita alla vita. Ammenoché non sia, come nel caso di opinioni errate e di sentimenti illegittimi, opporre alla vita vera la vita fittizia e colpevole che si potrebbe meglio chiamare una morte.

Che cosa ha guadagnato lo scisma greco a ostinarsi contro il filioque? o meglio — poiché le querele do-gmatiche hanno avuto poca importanza — a confinarsi in uno spirito campanilistico che togliesse il contatto dei suoi adepti con l'umanità unita in Dio, che

123

ha fatto di essi dei ritardatari nella marcia delia cristianità e, sotto certi aspetti, della civilizzazione, che ha coperto con la tiara, con loro grande orgoglio agli inizi, ma malgrado loro in seguito, dei guerrieri che non erano altro che guerrieri, degli amministratori che sapevano meglio costituire una polizia che tenere un concilio, e che oggi sono ben imbarazzati del loro potere.

Povero zar! che deve decidere su questioni dottrinali o sacramentali e dire: T.ale è la mia volontà immutabile in materie che egli ignora profondamente e per le quali sa bene, lo credo e lo temo per lui, di non aver ricevuto incarico da alcuno!

I bulgari esarchisti, i serbi, i romeni, i greci si trovano nelle stesse condizioni. Essi disputano fra di loro su questioni di razza e di politica che non hanno nulla a che fare con la vita religiosa sprecando tempo e forze morali che invece dovrebbero dedicare alla nostra unità in Dio e che essi dovrebbero perciò subordinare all'azione centrale esercitata dalla sede apostolica, gerarchla visibile ove si rivela Gesù, ormai invisibile, agendo come se fosse presente; ed'è noto che Gesù Cristo fu e rimane il luogo vivente in. cui la Divinità si rivela e si da all'uomo.

Circa il protestantesimo, io non chiedo che cosa esso ha guadagnato, poiché potrei sembrare ironico. Non che esso abbia perduto di più degli orientali, ma se ne rende meglio conto e con ciò esso dimostra una : superiorità che si volge in sfortuna.

Esso ha preso le mosse da una critica degli abus1. E in luogo di aiutare a correggersi chi aveva mancato, esso ha commesso l'abuso supremo che potrebbe commettere un ramo malcontento rispetto all'albe-

U24

ro che lo porta; in luogo di vivere intensamente per resistere al contagio e per rigenerare la vecchia linfa, esso si è staccato con collera diventando un ramo secco mutile all'albero e incapace di farne a meno.

Il principio del libero esame, ammesso agli inizi per svincolarsi dall'unità considerata come un ostacolo, ha prodotto a poco a poco i suoi frutti. Esso ha dissociato la setta primitiva, spezzettandola in infinire sette di cui ciascuna segue il suo libito. Ancora di p'ù si è potuto dire che, malgrado questi aggruppamen+i casuali, del tutto arbitrari, ci sono stati e si hanno oggi tanti protestantesimi quanti sono i protestanti' coscienti. :

Non poteva essere diversamente. E pure diversa-s:

mente non poteva essere che sboccasse nel nulla questo dissolvimento individualista in una materia in cui lo spirito individuale ha tanto bisogno dello spirito collettivo e della garanzia divina che esso procura.

E non è proprio al nulla cui tende oggi e in cui sprofonderà domani questo protestantesimo liberale che perde la fede in Gesù Redentore, che si rifugia presso alcuni adepti nella credenza banale in Dio considerato come categoria dell'ideale cioè identificato col vero, col bene e col bello, cosa religiosamente leggera, profumo di vaso spezzato, esposto a tutti i venti che soffiano oggi sulle pure astrazioni?

Il protestantesimo in questa via sempre più in discesa, che esso ha percorsa di tappa in tappa, invano inseguito dagli appelli profetici agli inizi e poi semplicemente chiaroveggenti della voce cattolica, è venuto a confondersi cammin facendo in molti dei suoi mèmbri con quel gruppo laico e laicizzante di cui non c'è più che chiedersi: Che cosa ha guadagnato, perché esso ha tutto perduto, poiché religiosamente è ridotto a 'zero con l'aver realizzato l'eresia integrale e lo sci-

125

sma completo credendo di potersi accontentare della vita terrena, mentre nulla basta; allontanando. Gesù, volendo essere essi stessi redentori propri e di quelli che sono confidati alle loro cure, mentre è stato detto dal vero Redentore: « Senza di me voi non potete far nulla»; rifiutando dì pregare assieme ai suoi fratelli, mentre l'invocazione è il ricorso di chi si sente miserabile, sofferente, tentato, mortale con desideri dì vivere e'di ben vivere e di vivere sempre, desideri che rimangono incoercibili a dispetto delle sue nega-• zioni! : ! . .

Tutto ciò la Chiesa lo considera con tristezza e con severità.

Scartando per il momento ogni considerazione di persone; essa dichiara che scismi, eresie, miscreden-. ze sono cose orribili, che non si possono abbastanza deplorare e maledire, che bisogna erigersi contro di esse con tutta la forza della verità che esse misconoscono, dei beni che esse vogliono distruggere e dell'umanità che deve vivere di queste verità e di que-, sti beni.

Lottare, lottare senza posa contro tutte queste detrazioni di Dio, in quanto dato agli uomini, è il dovere del cattolicesimo. Ed esso non manca di farlo. Che se ne meraviglino coloro per i quali la verità, i] bene religioso degli uomini, il Redentore e Dio stesso non contano nulla. Noi non siamo certo con loro e non possiamo perciò lusingare i loro principii.

Ma se, ritorcendo la tesi e in luogo di considerare ta cosa in sé, guardiamo nelle anime, nei pensieri sinceri che le eresie hanno sedotte, nelle buone volontà trascinate allo scisma senza alcuna responsabilità da parto loro, nei cuori retti che sono legione, io spero,

126

anche fra coloro che si chiamano miscredenti, ma nr.-scredenti occasionali, non. per loro volontà, in seno ad una società disorientata, allora non si può parlare allo stesso modo, non si può essere severi allo stesso modo, poiché si rischierebbe di offendere delle coscienze. Allora diventa di regola la fraternità.

La Chiesa lo sa, essa vi consente e senza insistervi in modo indiscreto, incaricata come essa è di ciò che è ufficiale e sociale, timorosa dell'equivoco pericoloso, essa però permette 'ai suoi dottori, quando affrontano questo punto di vista personale, di esprimere a tutti la sua parola di carità, di rendere giustizia a tutti ed essa è disposta a riconoscere senza sbagliarsi nei riguardi dei fratelli separati come pure nai riguardi delle religioni non cristiane e delle sette areligiose ciò che ciascuno ha portato di utile non solamente umano ma religioso nel senso prima spiegato.

Se abbiamo potuto dire: i non cristiani di buona fede e di buona volontà fanno parte dell'anima della Chiesa e le loro Chiese stesse, non in se stesse ma :n ciò che esse hanno di utile per la grazia intcriore di questi cristiani inconsapevoli di essere tali, sono avviluppate dalla cattolicità e ne sono come degli ac-cessori; se abbiamo dunque potuto dire piò, perché non potremmo dirlo a fortiori delle sette dei fratelli separati? Esse contengono degli eletti e li servono imperfettamente, ma li servono; sono perciò sotto questo riguardo nostre collaboratrici; noi perciò desideriamo la loro morte solo come la morte della stella del mattino quando impallidisce per l'alzarsi radioso del sole.

E infine non più a fortiori questa volta, ma per un'estensione suprema del principio, non avremo il di-littó di dire: I miscredenti di buona fede e di buona

/ 127

volontà che fanno pure parte dell'anima della Chiesa, che sono pure dei credenti non per adesione esplicita al simbolo ma per il dono di tutto il loro cuore alla verità, dono che implica adesione implicita al simbolo stesso; tali miscredenti quando trovino nelle loro famiglie, nelle loro patrie, nelle loro sette, qualunque esse siano, purché siano costituite in nome del bene, un soccorso per produrre, conservare e sviluppare in essi la grazia, non vivono forse come se fossero in* quadrati religiosamente, nel qual caso il Redentore e Dio accordano occasionalmente in extremis una specie di investitura? Di questa investitura la Chiesa, di cui il Redentore e Dio sono la legge immanente, non deve prendere atto considerando come dato da lei stessa quanto di bene offrono organizzazioni ad essa estranee, e benedicendole per averla sostituita la ove essa non può giungere ad essere soocorritrice?

Riassumendo diremo che allo stesso modo che ìe organizzazioni pagane anteriori al cristianesimo facevano parte, sotto certi aspetti, della Chiesa eterna e avevano il carattere di anticipazioni in relazione alla nostra Chiesa storica; così le organizzazioni dissidenti, cristiane o no, le sette amiche del bene fanno parte nello stesso senso e con le medesime riserve della Chiesa eterna e prendono il carattere di dipendenze in relazione alla Chiesa attuale.

Resta ancora da dare soddisfazione nei nostri sentimenti e nella nostra condotta a questi due aspetti della verità: condanna e lode, in apparenza contradditori, ma in realtà complementari.

Bisogna biasimare i dissidi e apprezzare ciò che vi è di buono o addirittura di eccellente nei dissidi stessi,

t28

Bisogna odiare lo spirito separatista e invece amare e soccorrere i nostri fratelli separati.

Bisogna ricordare in nome della verità dogmatica:

fuori della Chiesa non vi è salvezza. Ma bisogna ben coimprendere che se con la parola Chiesa si intende il gruppo visibile che formiamo noi, cattolici praticanti, la formula fuori della Chiesa non vi è avvezza non è altro che una verità ufficiale che la vita supera in tutti i sensi e di cui lo spirito, che soffia dove vuole, non si sente prigioniero.

D'altra parte, se si intende per Chiesa la società universale delle anime unite a Dio dal Redentore sotto l'influenza della grazia, la frase fuori della Chiesa, non vi è salvezza significa solamente: fuori di Dio non vi è salvezza; fuori della solidarietà col Cristo salvatore e mediatore non vi è salvezza; fuori de'.la buona volontà che unisce a Dio Padre e a Cristo fratello chiunque non si rifiuta alla grazia con un rifiuto persistente non vi è salvezza.

In una parola: fuori del bene non vi e salvezza e ciò è evidente (1).

(1) Pio IX nella celebre allocuzione del 9 dicembre 1854 ha stabilito su questo punto la dottrina: «La fede obbliga a credere che nessuno può salvarsi fuori della '', Chiesa Apostolica e romana che è l'unica arca di salute. fuori della quale perirà chiunque non vi entra.

« Tuttavia bisogna parimenti tenere per certo che co- -loro che ignorano la vera religione senza averne colpa:

non possono essere tenuti responsabili di questa situazione agli occhi del Signore.

« Ed ora chi potrà avere la presunzione di fissare i ;

limiti di questa ignoranza secondo la natura e la varietà dei popoli, dei paesi, degli spiriti e di tante altre circo- / stanze cosi numerose!

^«Quando, liberati dai legami di questo corpo, vedremo Dio tale e quale egli è, comprenderemo con quale stretta ;

129' 9. —Lo, Chiesa.

Sotto questo punto di vista, che infine è il solo cne conta, sono dissidenti solo gli uomini di cattiva volontà o soggetti a passioni non vinte, incatenati così all'errore volontario e riprovevole. Non ci sono eretici o .scismatici; sono veri miscredenti solo coloro che dal padre Grabry sono chiamati « eretici del genere ' umano », cioè i malvagi.

Ritroviamo così per altra via la nostra verità dell'inizio presa solo in un senso più sottile, ma pure sempre più interiore e religioso, e cioè: la Chiesa in i fondo coincide con la stessa umanità, se si intende per umanità in senso morale il gruppo di coloro che si danno alla legge dell'uomo. In realtà solo i malvagi :. si escludono dalla Chiesa, intesa nella sua realtà in-,' teriore, e i malvagi come tali non si escludono pure 4 dall'umanità?

,; Chiesa delle anime, più grande, spero, del piccolo .gregge irreggimentato; più grande del mucchietto dì ,, sabbia, ancora così minuscolo, raccolto faticosamente ;; dagli Apostoli sulle rive del Mediterraneo, mentre la „; immensità delle terre lontane ci sfugge; più ricca dì

grazia di quello che non farebbe credere lo spazio ri-; stretto sul quale scorre il fiume sacramentale, tu puoi

salvare gli uomini di tutti i popoli e di tutte le con-'' fessioni esteriori, allo stesso modo che tu hai potuto •;> salvare gli uomini di tutti i tempi.

La grazia di Dio non è vincolata ai sacramenti di-;;, cono i nostri teologi; essa non è dunque vincolata al-', la Chiesa visibile quale sacramento collettivo, ma Io , : è alla Chiesa mistica e inferiore, anima della Chiesa

e magnifica unione sono fra loro collegate la misericor-

. dia e la giustizia divina... Ma i doni della grazia celeste non mancheranno mai a coloro che con cuore sin-

; cero vogliono essere rigenerati da questa luce e lo chte-

;• dono ».

130

stessa che costituisce la nostra unione esplicita o implicita al Salvatore e per suo mezzo a Dio e a tutto ciò che lo rappresenta: verità ed eternità della feli-cità. / ; ' • • ! ! ;•'_•

Questi bassi pensieri non possono per altro staccarci dal corpo visibile e santifìcatore della nostra'. Chiesa, poiché resta ben inteso che per colui che sa';. o che può sapere, per colui che vi è nato e che può perseverare nella comunione con essa, è essa ed essa sola che rappresenta la salvezza.

CAPO IV

L'ATTEGGIAMENTO DELLA 'CHIESA RIGUARDO ALLE MORALI RELIGIOSE O LAICHE

Una- volta giudicato il caso delle religioni, quello delle morali non può riuscire oscuro, poiché esso è in parte identico.

Tutte le religioni hanno imposto una loro morale allo stesso modo come esse hanno ispirato un dogma e hanno suggerito un culto, visto che la morale non è che un'applicazione delle nostre credenze relative allo scopo della vita, credenze che tutte le religioni hanno voluto formulare con maggiore o minore fortuna.

Non dobbiamo perciò meravigliarci che la Chiesa parli delle morali, dato che esse non sono che un estratto di religioni, allo stesso modo che essa ha parlato delle religioni.

Le morali pagane furono depravate in una quantità di casi essenziali. Morale individuale che autorizzava il suicidio, l'ubbriachezza e la lussuria, anche la peggiore (leggete solo il Banchetto di Fiatone se l'Epistola ai Romani non vi fosse sufficiente come autorità); morale familiare che sanzionava l'oppressione della donna, che alterava il matrimonio nelle sue leggi fondamentali; morale sociale che proclamava la

132

ragione di Stato come superiore a tutto, persino aP-a coscienza; che ammetteva la schiavitù assoluta, cioè la subordinazione di un destino ad un altro destino, riguardo al quale lo schiavo, pure persona, non sarebbe altro che una cosa; tali sono, per non citare che degli esempi, le deviazioni che la nostra Chiesa può rimproverare alle dottrine morali anteriori ad essa. •'•

La morale ebraica, incomparabilmente superiore, alle morali pagane nel fatto che essa, primieran-ien-; !, tè, scartava gli eccessi del male e, secondariamente, . poneva le basi del bene, appare alla Chiesa, come l'ebraismo dogmatico o rituale, come un inizio della sua pratica. «Non sono venuto per abolire la legge, diceva il Salvatore; sa» per perfezionarla» cioè a portarla più lontano.

All'ebraismo mancava la perfezione, cioè la base completa per un distacco definitivo dall'umanità. L'ebraismo era un sentiero giusto; esso doveva condurre alla strada e poi cederle il passo. Così il Legislatore divino diceva: Mosè vi ha ordinato questo; ma io vi dico quello, facendo risaltare il perfezionamento che egli intendeva dare alla legge ebraica.

Le morali postcristiane, in quanto sono legate a''le antiche religioni che tuttora sussistono, sono soggette allo stesso giudizio. Alcune sono orribili, i nostri mis-•sionari, i nostri colonizzatori lo sanno bene. Altre presentano poco o molto valore; tutte sono in ritardo, .avendo resistito al progresso evangelico, respinto la pienezza dei tempi, di guisa che per esse 11 Messia non è ancora venuto con la sua legge direttrice ed eman-cipatrice degli uomini.

Quanto alle morali degli eretici e dei scismatici, per giudicarle equamente sarebbe necessario esaminare in che cosa esse sono ispirate dal Vangelo autentico ed autenticamente interpretato e in che cosa

183

esse invece hanno deviato contraddicendo la lettera o non sapendo sviluppare lo spirito. La Chiesa queste distinzioni e non confonde i Manichei od i ' Catari con Tolstoi o Gladstone. Tuttavia essa coostata uno scarto morale per il solo fatto che constata uno scarto dogmatico in tutte le confessioni dissidenti. Sarebbe ben facile mostrare questo per gli sciismi greci ed anche per le eresie luterane che hanno alterato il matrimonio, mal riconosciuto i diritti della donna e del fanciullo ecc. Se non si insiste, ciò dipende dal fatto che in questo non è per noi l'essenziale.

Il caso più grave non è quello delle religioni dissidenti e 'delle morali che esse comprendono, ma quello dell'abolizione della religione, delle miscredenze e della morale che tale miscredenza intende costruire.

Costruire!... Essa lo pretende! Come i suoi precetti in ciò che essi hanno di sufficiente, di accettabile non fossero semplicemente un riflesso dell'ambiente cristiano, un profumo di Vangelo dopo che si ha respinto il Vangelo stesso!

Vi fu un tempo in cui questa derivazione era riconosciuta. Si insegnava come i dogmi finiscono, ma come le morali restano. La morale del cristianesimo appariva come la parte intangibile della sua azione, di cui il resto era l'involucro transitorio. Si scostavano i veli e si entrava nel santuario.

Siamo ben lontani oggi da questo stato di spirito. Si viene a parlarci ora delle esigenze della coscienza moderna su di un tono e con commenti che non ci lasciano alcuna illusione. Saremmo degli arretrati in morale come in tutto il resto. Si è oggi a Guyau (lj,

(1) Filosofo francese (1854-1888) autore dell'opera: La morale sema ohWgaZtone ne sanziorte (N. et. T.).

134

a Nietzsche, alla scuola sociologica. L'incanto evangelico è rotto e l'Ebreo errante, sdegnoso delle verità della croce, riprende il suo cammino senza fine.

L'atteggiamento della Chiesa nei riguardi di questa tendenza è ben definito.

Tré cose la colpiscono in questa .apostasia morale di cui il secolo è testimonio.

In primo luogo, la pretesa di sciogliere la morale da ogni legame con la religione rivelata le appare un enorme errore pratico. Se l'uomo non può da solo stabilire la sua vita, se vi è una parola di Dio nel mondo, se la rivelazione è un fatto positivo, stabilire la morale, sia pure come scienza, senza tener conto di questo fatto sarebbe come se oggi si volesse stabilire l'astronomia senza tener conto della rotazione della terra.

Ed ancora di più, se non è una parola soltanto ma una vita in comune quella che Dio ci propone: « Ecco che io sono con voi sino alla consumazione dei secoli ». — « Se qualcuno mi ama, anche mio Padre Pannerà e noi andremo a lui e stabiliremo in lui la nostra dimora », si può pensare che la morale umana possa prescindere questo sublime proposito divino e pretendere 'di essere nel giusto senza essere amante e adoratrice in modo filiale di chi abita i nostri templi e i nostri cuori?

La vera morale deve prendere come punto di partenza il vero destino, che è soprannaturale; deve regolare tutti i nostri rapporti, compresi in essi soprattutto quelli che noi abbiamo con Die. Di guisa che se è vero che sotto il punto di vista che abbiamo prima messo in evidenza, la morale fa parte della religione ' " ne è la sua parte pratica, si può anche dire che sotto un altro aspetto la religione con tutto ciò che da essa dipende fa parte della morale in quanto questa

• ' ' 1RF>

è inclusa, sotto certe condizioni di fatto, nella, legge rimana.

In secondo luogo la Chiesa constata che il distacco della morale in rapporto alle dottrine di cui essa ha ìa custodia sbocca nella più disordinata anarchia intellettuale. Tutte le nozioni sulle quali si aveva creduto a buon diritto che si basasse la moralità: il bene, il dovere per mezzo del quale il bene compie il suo ufficio regolatore, l'obbligo per il quale ci lega, la coscienza che è in noi il profeta del suo potere, la virtù per la quale il bene ci piega per produrre effetti durevoli, la sanzione che chiude l'opera e gli procura la sua fine di felicità, tutti questi concetti sono ora contestati, vilipesi, giudicati da alcuni addirittura immorali, messi al bando non tanto da energumeni e libertini, ma da molti gravi professori universitari, da dottori laureati e da illustri pensatori.

Si,è venuti a voler sostenere qualsiasi cosa: la morale e la mancanza di morale; la «morale del deboli», come alcuni chiamano le nozioni più o meno connesse col Vangelo e la « morale dei forti » che supera qualsiasi ostacolo e consente di schiacciare qualsiasi cosa a vantaggio del superuomo. Si dice: Stabiliamo delle norme, e si risponde: Non vi sono norme, vi sono solo fatti simili a quelli della natura e regolati dallo stesso determinismo. Si dice: La coscienza prima di tutto — soprattutto prima della Chiesa, e si dico pure: E' la legge, cioè una maggioranza, che è la norma delle coscienze.

Se poi si tratta di dottrine particolari, di morale individuale, familiare, sociale, si mostrano allora le discrepanze più mostruose. Vi vengono a predicare la libertà del suicidio, dell'omicidio passionale, la lussuria sotto il nome sacro dell'amore, l'adulterio che sarebbe un « diritto del cuore », il divorzio o l'unio-

136

ne libera in nome del « diritto alla felicità », la lotta' delle classi in luogo della loro collaborazione, l'egoismo nazionalista o internazionalista che riporta l'individuo all'isolamento sotto l'aspetto dell'umanitarismo. Si vuoi giustificare tutto. Molti dotti libri, e giornali molto gravi esprimono opinioni su qualsiasi cosa, anche in materie in cui l'umanità dovrebbe essere la condizione non dico della conclusione delle argomentazioni, ma del punto di partenza della vita umana.

La Chiesa sta a guardare e, se ciò non fosse cosi triste per .se stesso, sarebbe già per essa un trionfo. Per interi secoli essa ha costituito l'unità morale. Non ha ottenuto sempre una pratica ben seguita poiché l'umanità è troppo fragile e, per tale motivo, è difficile da guidare, strappata come essa è in più direzioni da formidabili forze di anarchia inferiori ed e-steriori, povera vittima che non sa resistere alle seduzioni del male. Ma almeno la direziono era tracciata ed accettata; avanzavano nella via eterna persone e gruppi ad un'andatura sollecita per alcuni, con passo tardivo per la maggioranza, ma con spirito convinto tutti. Il « grande paio di ali» come ha detto Taine parlando della fede, faceva del genere umano, anche quando soffriva sulla terra, qualche cosa che sentiva il vento dello spazio. . ^

Anche quando l'uccello cammina, si sente che esso è (provvisto di aK.

Eccoci ora invece privi di questo soccorso. Eccoci allo spezzettamento completo. Non v'è più unità morale. Periodicamente si vuole ricomporcene una e questo sforzo è una confessione; ma il risultato è che a furia di battere sulle travi dell'impalcatura, ora su di una ora su di un'altra, col pretesto di rafforzare la costruzione, non vi si vedono più che mèmbri rotti,

137

giunzioni che si staccano e dalle parti spezzate oertuni sognano ancora di ricavare della legna da ardere o almeno di tagliar fuori dei fiammiferi.

Si dovrebbe aspettarsi questo risultato visto l'im-naensità dei problemi al quali si trovano sospesi, óa quanto sano messi in discussione, i principi della vita morale. E' l'universo, è l'uomo, è il senso dei loro destini, è tutto e il tutto che vi si trovano coinvolti.

La fede invece taglia corto; essa getta un ponte al disopra degli abissi, ricongiunge Dio, l'uomo e l'universo in un insieme armonioso le cui leggi sono tutte semplici, malgrado le difficoltà parziali; essa pone in alcune pagine tutto il codice della vita quale io predica l'Uomo-Dio. Ma le filosofie, e a maggior ragione la scienza, che qui non serve a nulla, checché ne pensino certuni, non dispongono di questa risorsa. Esse si sono svalutate; nulla hanno ottenuto in questo campo. Ciò che è sembrato che esse tacessero non era che preso nascostamente a prestito e ciò che in apparenza esse hanno in tal modo fatto l'hanno poi disfatto con accanimento sino all'inverosimile caos che oggi ogni uomo sincero e colto può constatare.

La Chiesa ne prende nota e dichiara che occorrerà fare macchina indietro; che essa sola, col suo Redentore, possiede le parole di vita che rassicurano le coscienze. La sua morale è la morale vera, come il suo Dio è il Dio vero. Gli altri o sono dei prestiti senza unità o deviazioni di cui alcune di portata incalcolabile.

In terzo luogo la Chiesa pretende che le morali avulse dalla loro azione, anche se fossero assicurate dalla loro dottrina, sono impotenti ad essere dì guida pratica nella vita. La nostra natura è troppo disa-

138

strosamente debole. Essa ha bisogno di essere stimolata, sorvegliata, aiutata, sollevata.

Stimolata con la messa in lizza di tutte le sue risorse che la religione conosce e soddisfa, mentre la ragion pura si rivolge solo alla parte, astratta della nostra anima. La ragione pura passa in aeroplano davanti alle finestre degli uomini e dice la sua parola passando; ma chi vive con lei? "

Sorvegliata, la natura umana vuole esserlo coll'in-fluenza di un ambiente che sia una società di bène con

•un funzionamento regolare evocatore del bene in luo-go dell'individualismo in cui alcuni vogliono racchiudere la vita morale.

Aiutata essa lo deve essere con mezzi che siano adatti all'uomo, ma lo superino, lasciando la tradizione

•universale comprendere questo sentimento che senza un aiuto superiore la vita morale ne dura ne si eleva ne si sviluppa in un modo che ci soddisfi. Vi occorre il Dio intcriore, di cui il Daimon di Scorate era il simbolo, che è per noi lo Spirito divino operatore della grazia, quello che grida in noi: Padre! Padre! e che non vuole che lo abbandoniamo, questo fuoco sovrumano che ci avvince per mezzo del Redentore, tutti figli dell'Infinito reso finito in noi per una condì-' scendenza d'amore, tutti coeredi dell'eredità eterna.

Infine sollevata, la. nostra natura ne ha bisogno in ogni cosa, anche se una fedeltà relativa la preserva dalle grandi cadute. Essa non lo è, umanamente, che per mezzo di soccorsi di cui la psicologia religiosa possiede i segreti; e dal lato divino per mezzo delle istituzioni che ci applicano gli effetti della redenzione.

Il programma della Chiesa è quello di far passare il sangue della croce su di noi affinchè siamo non semplicemente degli uomini in un mondo ricreato del-

139

lo Spirito ne degli uomini diminuiti individualmente dai vizi, in famiglie da disordini e da divisioni, socialmente dall'anarchia o dal dispotismo in tutte le loro forme, ma cristiani, cioè uomini completi in Dio.

Tutte le morali che prescindono dalla sua mora'ie sono dunque per questo fatto stesso, per la Chiesa, da condannare. Quelle che vorrebbero correggerla si ingannano e quelle che intendono farne a meno van-co verso il vuoto dottrinale, preparando la loro impotenza pratica.

Ciò non è una ragione perché la Chiesa si rifiuti di riconoscere il bene ovunque esso si trova. Essa si e tanto meglio disposta poiché anche questa volta, come precedentemente per le Chiese avversarie e pur-tuttavia utili, essa vi riconosce il suo bene.

Ma che tali scintille sparse si uniscano un giorno in un solo faro di luce, questo è il suo voto ardente, poiché è una necessità vitale. Non dimentichiamo mai che è essa la pietra sulla quale la vita umana, sublime fiamma, deve salire.

140

CAPO V

L'ATTEGGIAMENTO DELLA CHIESA RIGUARDO ALLA CIVILIZZAZIONE IN GENERALE

Come la natura e il compito della Chiesa spiegano il suo atteggiamento riguardo alle religioni dissidenti e alle morali che si collegano con queste religioni o che pretendono staccarsi da qualsiasi religione, così essi spiegano pure il suo atteggiamento riguardo alla civilizzazione e alle sue diverse manifestazioni.

Prima di affrontare il particolare, è opportuno dare uno sguardo complessivo e vedere come la civilizzazione in generale e la Chiesa quale essa è possono stabilire i loro rapporti, quali accordi sono possib-li, fra di loro e quali contrasti sono da prevedere.

La questione è interessante ad è importante in un grado tale che non occorre sottolineare.

La civilizzazione, nel senso più elevato della parola, si potrebbe definire: uno stato sufficientemente avanzato dell'umanità comprendendo che la parola umanità, mentre esprime una realtà positiva, indica anche un ideale, cioè ciò che l'uomo deve sforzarsi di diventare per rispondere al suo destino sulla terra.

Forse, estendere così il significato della parola ci-

14'

vilizzazione potrà sembrare a taluni una violenza fatta al dizionario. In ogni caso il contenuto della parola civilizzazione richiamato agli occhi di tutti è il ce-guente; un'organizzazione politica sufficiente; una situazione abbastanza progredita delle scienze, delle arti, dell'industria, del commercio, delle finanze; un tè • soro letterario e filosofico; una eletta schiera di persone che danno la spinta 'al progresso.

E noi domandiamo quale atteggiamento la Chiesa può prendere o prende riguardo a queste cose.

In verità una tale questione ci deve sembrare chiarita in anticipo. Non abbiamo che a richiamare quanto già detto.

Abbiamo definito la Chiesa una sintesi dell'uomo o di Dio per mezzo del Redentore e nel suo Spirito in vista dei .destini soprannaturali. Ora una sintesi dell'uomo e di Dio deve comprendere tutto l'uomo, come essa comprende tutto Dio.

Molte volte vi abbiamo già insistito; nulla di ciò che appartiene .all'uomo è estraneo, in linea di diritto o di fatto, alla religione legittima. Non ci si può disincarnare; è Dio che si incarna. Non ci si può disinteressare; è Dio che si interessa della vita umana. A-vendo ritenuto opportuno di creare questa vita, egli trova pure conveniente di animarla e di spingerla a ;

fondo, poiché, fare per Iddio significa compiere ciò:

che non è compiuto non essendo tatto veramente cioè non in modo divino.

La differenza tra l'inizio e la prosecuzione o la fine di quest'opera è che Dio che ci ha fatti senza il concorso dell i nostra volontà ci può completare solo col nostro concorso. Egli ha fatto di noi, oltre che degli esseri, delle cause; nello stesso tempo che ci ha fatto creature anche creatori. Dio non fa la civilizzazione, vuole che la facciamo noi, ma la fa con noi in quanto

442 .

egli è legato alla nostra vita per mezzo della sua presenza universale e per il legame religioso. La Chiesa, che è la società scaturita da questo legame non può dunque essere che favorevole all'opera della civilizzazione.

Donde vengono dunque le difficoltà tra la Chiesa

e le diverse correnti civilizzata-lei? ;''

Esse possono provenire da due parti. O gli elementi della civilizzazione proposta non sono posti nel loro;..;.:

yero ordine, o quest'ordine umano è separato dal di- :1 vino che invece deve essere la sua legge e il suo ulti- : :

mo fine, essendo anche la sua fonte. ^

Si comprende perciò quali conflitti possono sor" :

gere da questi punti.

La vita umana è un'armonia. Ogni elemento, prezioso in sé quanto si vorrà, non è prezioso nel coni-;,;:

plesso che nel caso che resti al suo posto dominando ;

ciò che esso deve dominare, ma pure subordinandosi ,;

a ciò che gli è superiore, non facendo marciare in;.' coda la testa del serpente ne la coda in testa. ; '

Le civilizzazioni materiali che trascurano la col-•';;;;

tura dello spirito non hanno l'approvazione degli spiriti elevati e non possono aspirare all'approvazione :•;. della Chiesa. Le civilizzazioni scientifiche, letterarie, ' :' artistiche che trascurano la morale possono sperarla ;

ancora meno, poiché tali civilizzazioni pretendono di1';./1 avanzare, ed avanzando in realtà senza essere nel di- '.. ;' ritto cammino, si allontanano sempre più dal bene.

Preferibile è agli occhi della Chiesa il bedumo senza coltura, ma leale e di buoni costumi, al grosso industriale sfruttatore o al pirata di lettere.

Lo scapigliato romantico neppure riscuote le preferenze della Chiesa e neppure il naturalihmo sfron-

143

tato ne il sensualismo sottile che potrebbe mettere come motto ai suoi libri: Condotta sregolata e discrezione.

All'Accademia francese si è una volta constatato che la Chiesa, anche a costo di passare per poco intelligente, non può approvare la letteratura dilettantistica, la cui purezza significa solo leziosità pericolosa nel primo grado e corruzione nel secondo. Il terzo, che viene presto, significa deliquescenza, indebolimento dello spirito pubblico, debolezza sociale e regresso per l'una o l'altra delle vie che si aprono alle società corrotte; in una parola, barbarie, il che giustifica la opposizione della Chiesa, animata come essa è da una previdenza materna.

Infine soprattutto —bisogna dire soprattutto perché è a questo che si riconnette tutto il resto, bia. pure nei fili nascosti — la Chiesa non vuole che la civilizzazione umana, per quanto perfetta essa sia oggi, possa domani riuscire pericolosa e possa anche riuscire inutile oggi nei riguardi dell'unico necessario, rompendo i suoi collegamenti divini.

Trascurare Iddio è infatti per essa rinchiudersi nell'insufficiente, è ritornare a quel nulla dell'uomo che essa aveva voluto guarire, collegando la nostra piccola vita per mezzo di Colui che l'ha assunta tutta, il Redentore, a Colui che la può rendere più grande, essendo egli stesso immenso; che la può rafforzare essendo egli Signore di ciò che ci opprime e ci soffoca; che la può santificare, essendo egli Spirito di santità; che la può rendere libera, essendo egli la libertà per eccellenza che la nostra schiavitù invidia e chiama; che la può rendere eterna, essendo egli eterno, e riempire di tutto ciò che manca all'essere incompleto che è suo figlio essendo egli pienezza infinita, colma di infinito amore.

144 ' ^sfl

.Fuggire così la salvezza divina proposta alla no-, stra vita miserabile e mortale, respingere la redenzione, ipnotizzarsi su ciò che passa, chiudervisi e mettere quasi sopra di sé la pietra del sepolcro allo scopo di svilupparsi nello spazio che la morte differita lascia al cadavere ancora vivente in cui essa lavora è una forma di civilizzazione che lascia triste il pensatore, quando egli si pone a meditare sulla stele in cui sono scritte dalla morte le ambizioni umane, quando egli considera dall'alto la furia estenuante di questa corsa all'abisso in cui i concorrenti, coi loro numeri sul dorso — cioè i loro titoli e il loro fasto — si' succedono in teorie lamentevoli e rumorose. :

La Chiesa, che non si lascia prendere dalla tristezza, stimolata come essa è dal desiderio di agire e di salvare, non tanto si rattrista perciò per tale atteggiamento ma si irrita. Essa non vi vede, come pre- :

cedentemente, il regresso relativo che fa abbandonare le vette della vita temporale per le regioni inferiori di questa vita: essa vi vede il regresso assoluto che Ti-i, porta al nulla la creatura che dovrebbe invece essere' elevata verso l'influito da un'adozione divina.

E' questo che, notiamolo bene, si deve vedere in . quella famosa dichiarazione del Sillabo che si oppone a quello che si dice: la Chiesa può accordarsi con Sa moderna civilizazzione.

Con quesa espressione: moderna civilizzazione, sappiamo bene ciò che si voleva dire sotto Pio IX, e sappiamo pure ciò che taluni vorrebbero dire oggi. La moderna civilizzazione è ciò che altri chiamano società laica e, fra i peggiori di essi, significa guerra alla Chiesa; di conseguenza l'impossibilità per questa di accordarsi; ma anche per i migliori — sempre in tale gruppo — si nega il lavoro della Chiesa, poiché si tratta innanzi tutto di opposizione alle regole indi-

145

10. — La Chiesa.

vicinali, familiari o sociali di cui la Chiesa si è costituita custode, ritenendole indispensabili alla salvezza dell'uomo e in secondo luogo è sempre opposizione per '.1 solo fatto che è un rifiuto o un disprezzo dell'orientamento superiore della vita.

Si vorrebbe far a meno di Dio; organizzarsi senza di lui, rimanere • tranquilli in mezzo a cure e oggetti in cui Dio non dovrebbe per nulla entrare, governare le vite individuali, le famiglie, le corporazioni, le città e i gruppi internazionali con principi opposti al suoi od ignoranti i suoi e poi, per una condiscendenza sdegnosa, si vorrebbe invitarla allo stesso tavolo e ciò in favore della pace e dei buoni rapporti con coloro che vi credono. Ma naturalmente si vorrebbe fissarle il posto, che dovrebbe essere l'ultimo.

Si farebbe presiedere il banchetto da un capo politico; si metterebbe alla sua destra un banchiere, alla sua sinistra un giornalista; e tutt'intorno attori, scienziati, generali, romanzieri, industriali, pittori e aire-stremo, magari col tovagliolo in mano per aiutare il servizio. Dio che darebbe cosi prova di buon umore r si concilierebbe il favore della civilizzazione moderna.

Ma no, però! ne Dio, ne la Chiesa per lui, si adatteranno mai ad una tale conciliazione.

Dio vuole essere ciò che è; la Chiesa vuole che lo sia. E quando si è ciò che è Dio, si ha diritto non solo al primo posto, ma in un certo senso, a tutto il posto ed è Dio che invita gli uomini.

Non vediamo in ciò un orgoglio trascendente, Dio non è orgoglioso, lui che nella persona del Redentore :

ha toccato con la sua spalla martoriata le viuzze di i Gerusalemme ed ha accettato il supplizio degli schiavi! Ma questo umile Infinito vuole un posto che gli • consenta di esercitare il suo compito. Non è lui ch(?s

146

ne ha bisogno, ma siamo noi, che non siamo nulla se

egli non è tutto. . . • ' ;

Dio al secondo posto, e peggio ancora all'ultimo, diventa inutile per noi. Subordinarlo a qualche cosa è come sopprimerlo bestemmiandolo, poiché l'utilità di L'io consiste nel dare la legge, come egli ha dato l'essere, e di determinare così lo scopo della vita. Se invece viene chiamato una volta che la vita è stata organizzata senza di lui, rivolta ver&o altri scopi tutti terrestri, per non dire infernali, impegnata nel regno della carne che porta alla morte attraverso l'illusione,:

•a che cosa può egli servire?

Egli non potrebbe che seguire l'andamento di questa marcia pazza. E si può concepire il Creatore che aiuta la sua creatura a perdersi? Quando questa ha , i inchiuso la sua vita nel nulla di tutta la realtà senza Dio, si può immaginare che Dio venga a dare la sua approvazione dicendo: Sta bene, nel tuo nulla da tè voluto, io, l'Essere, sarò tuo complice e tuo 'servitore?

Questa concezione, se ben vi si rinette, è satanici. E' il peccato di Lucifero che vuoi sostituirsi all'Eterno e che, non contento di dire: Io non servirò! vorrebbe ancora aggiungere: Che Dio mi serva!

Più grave sarà il confitto se a questo falso liberalismo, che è già per se stesso una rivolta, si aggiunge l'ostilità dichiarata e se la civilizzazione che si vuole instaurare è per una parte notevole un attacco a ciò che rappresenta la Chiesa.

Se la « scienza » viene presentata come un'antitesi del dogma; la «filosofia» come un disprezzo di tutte le nostre posizioni dottrinali; la morale «positiva» come un'ignoranza del bene; gli «affari» come l'ingiustizia e l'usura resi sistematici; la «politica» có-

^47

me un anticlericalismo e la « letteratura » come una maldicenza continua nei riguardi di tutto ciò che è religioso, che potremmo dire noi cristiani di una tale civilizzazione?

Noi ne diremo ciò che i nostri padri dicevano del paganesimo corrucciato o beffardo: la chiameremo diabolica. E aggiungeremo, come Lattanzio, come Basilio, come Agostino, che il diavolo può servire perché Dio, essendo più forte, lo obbliga a tirare il carro anche quando morde il freno. Ma di questa civilizzazione in se stessa, in quanto essa disprezza Dio e perseguita la sua opera, noi non saremo che dei barbari, come ha voluto esserlo S. Paolo per abbracciare la follia della Croce.

In verità però ciò che così abbiamo condannato non è la vera civilizzazione, ma una sua contraffazione o un suo arresto. Contraffazione, se si combattono verità e beni per mezzo di errori e vizi; arresto, se si propongono verità parziali che si pretendono sufficienti, beni caduchi di cui ci si vuole contentare.

Barbarie civilizzata: questa è l'espressione che potrebbe adottare la Chiesa per caratterizzare questi due casi. Una volta compreso ciò che è la Chiesa, questo atteggiamento da parte sua deve apparire del tutto naturale.

E ancora più naturale sarà in realtà questa volta l'aiuto che la Chiesa darà a tutti i rami della civilizzazione bene intesa, senza farne il suo scopo diretto.

Apportando Dio e il suo benefico influsso, applicando la sua azione al centro stesso della nostra attività creatrice: nel nostro spirito per impedirgli di sviarsi, nella nostra volontà per mantenere l'equill-

J48

brio tra una viltà perversa e una temperanza arrufla-trice, nella nostra sensibilità santificata per allontanarla dalle voluttà snervanti attraverso le quali passa invece, ben lo sappiamo, la maggior parte dello sforzo della nostra civilizzazione; agendo così sull'uomo con Dio la Chiesa si mostra animata da una potenza di civilizzazione incomparabile.

A mano a mano che essa penetra meglio nel segreto della sua essenza — poiché essa progredisce,-abbiamo detto, crescendo in età e saggezza, come il Redentore, davanti a Dio e davanti agli uomini; a mano a mano che essa mette in luce per un maggior numero di intelligenze le verità che essa porta e in un maggior numero di cuori gli immensi sforzi di volontà che essa concepisce, essa diventa più grande e lo diventerà ancora di più come valore civilizzatore.

Il Vangelo è appena all'inizio del lavoro; ma esso ha il tempo davanti a sé e colei che lo fa agire non ha ne la fretta che la scuota febbrilmente ne scorag-giamento che la arresti. Essa ha sposato un Eterno e questo sposo divino le ha rivelato il segreto delle sublimi gestazioni che hanno dato luogo al sorgere degli spazi e delle loro nebulose, dei soli coi loro pianeti, delle flore e delle faune secolari, dell'umanità iniziata, proseguita e che si completerà se lo vuole. cioè se non abusa dei temibili privilegi che le conferisce la sua libertà.

Il cammino della nostra umanità esige la nostra fedeltà a Dio, la nostra unione a Gesù e per conseguenza il funzionamento della Chiesa. • . /

Dio non abbandona l'uomo; bisogna che neppur l'uomo abbandoni Dio, abbandonando la (i-rfano di carne con cui Dio forma la catena.

Uniti alla Chiesa o al Redentore o a Dio: è la stessa cosa. Con questo concorso la civilizzazione può

14&

compiere la sua opera; senza di ciò essa ci uccide, questa è la verità che si dovrebbe riconoscere in attesa di vedere in particolare come si verifica questo asserto nei diversi campi in cui si eserciti il genio civilizzatore.

Ì50

CAPO VI LA CIVILIZZAZIONE MATERIALE

Si può ben dubitare che la civilizzazione puramente materiale sia ammessa a beneficiare dell'amicizia della Chiesa, poiché è certo che la Chiesa non cerca di affezionarci ai beni terreni. Noi li desideriamo già ' bastantemente per le nostre aspirazioni naturali. Invece la Chiesa in ogni momento ci ricorda la vanitas vanitatum dell'Ecclesiaste. Essa ci predice la fine di tutto e la nostra propria fine. In ciò essa si ritrova con la scienza per dirci: La terra e i cieli passeranno fe con lo sguardo teso verso l'eternità essa vede già realizzato ciò verso cui ogni cosa è diretta. La via di ogni essere terreno è fiancheggiata di scritte su cui la Chiesa dice: «Che cosa serve all'uomo di guadagnare l'universo, se ciò deve essere a danno della sua anima! »

Si potrà dire che ciò non è incoraggiante per l'industria, la navigazione, il commercio, l'agricoltura, le miniere e i trasporti. •

Può darsi! Ma d'altra parte non può sfuggire'che la Chiesa è interessata, direttamente o per mezzo dei suoi figli migliori, in tutto ciò che si fa di grande e di utile nel mondo. Sono dei monaci che hanno disso-

151

dato l'Europa; è stata la Chiesa che ha riabilitato il lavoro quando il dilettantismo pagano lo abbandonava agli schiavi; la sua liturgia che fa fede in nome dell'assioma Lex orandi lex credendi prevede benedizioni per tutto ciò che si riferisce alla nostra vita, anche la più materiale; ai nostri interessi anche i più temporali; per le nostre case, acque, praterie, per la nostre fattorie coi loro animali domestici, per i nostri granai, le nostre officine, le nostre ferrovie, i nostri ponti, telegran e telefoni, piroscafi ed ora anche per i nostri aeroplani.

E temendo di dimenticare qualche cosa di ciò che ci interessa, volendo prevedere anche l'imprevedibile, la Chiesa ha pure benedizioni ad omnia, ad quaecum-que volueris; benedizione di ogni cosa e cioè benedizione della vita, di tutta la vita, purché questa consenta ad avere un valore, purché nella preghiera che si formuli in favore della vita stessa si consenta che venga espresso questo pensiero che è quello della Chiesa riguardo alla civilizzazione materiale: « che noi passiamo attraverso i beni temporali, o Signore, in modo da non perdere gli eterni » (Colletta della UT domenica dopo 1& Pentecoste).

Il temporale della nostra vita è ciò che passa; l'eternità della vita è ciò che resta. Ma bisogna comprendere che ciò che passa, se sa unirsi a ciò che resta, prende esso pure un valore d'eternità; poiché è tutta la nostra vita, quella materiale come l'altra, che è impegnata nella grande corrente divina.

Bisogna dire una volta di più ciò che dicevamo a proposito della civilizzazione presa in generale: non possiamo toglierci il nostro corpo, è Dio che si è incarnato, è Dio che per mezzo del Messia ha sposato la realtà dell'uomo. Ora il nostro corpo è in continuo contatto con l'ambiente naturale che lo circonda e ha

152

bisogno di conquistarlo. La vita è una continua azione intraprenditrice. Con l'alimentazione noi ricaviamo materia dal nostro ambiente per mantenerci in vita; per mezzo della civilizzazione materiale ricaviamo elementi pure dal nostro ambiente per arricchire la nostra vita. Le nostre scoperte e il loro sfruttamento hanno per così dire lo stesso scopo di allungare le nostre membra, svilupparne il vigore, secondare il loro sforzo moltipllcandolo, fare di tutto ciò, che si adopera, una leva, la leva di Archimede, destinata a sollevare ili mondo.

La religione, divinizzando l'uomo, divinizzando il suo corpo, di cui essa fa un tempio dello Spirito Santo, deve dunque divinizzare i prolungamenti del corpo stesso, le ricchezze di cui esso si accresce e le sue assimilazioni successive.

Dio, incarnandosi nell'uomo; individualmente nel. Redentore, socialmente nella Chiesa, prende come corpo integrale, ,se così si può dire, tutte le realizzazioni incorporate nella vita umana, a meno che esse stesse non se ne stacchino per corrompersi.

La civilizzazione, se consente ad essere cristiana — intendo la civilizzazione materiale — è un'incarnazione spinta più lungi che si espande nella natura e che partecipa così al soprannaturale: umile corpo di Dio in cui l'anima, che è lo Spirito Santo, fa capolino.

San Paolo diceva che con le nostre sofferenze accettate e volontariamente redentrici aggiungiamo ciò che manca alla Passione del Redentore: qui è ciò che manca all'incarnazione che si tratta di aggiungere, incorporando la natura dominata, l'ambiente naturale conquistato per la vita umana santificata dalla grazia e divinizzata nel suo capo Uomo-Dio.

La Chiesa cattolica — sappiamo che significa universale nel senso più largo della parola —non può

1B3

dunque disinteressarsi. Essa non ha il diritto di materializzarsi nello stesso senso che essa non ha il diritto di disincarnarsi, essendo anzi essa basata sull'incarnazione.

Quello che è vero è che la Chiesa, pur rimanendix in comunicazione con tutto, non ha in qualsiasi oggetto il punto di applicazione della sua azione. Lo scienziato non è un ingegnere ne l'ingegnere un operaio ne l'operaio un utensile. Ma nella catena di azione cosi formata il lavoro dello scienziato, apparente-• mente disinteressato giova all'ingegnere, all'operaio, all'utensile. Anzi esso giova loro tanto più quanto più pgli resta disinteressato, cioè assorbito inelle sue contemplazioni feconde, lungi dalle applicazioni immediate e lungi dal pubblico che le attende.

Il pubblico invece non lo sa. Le realizzazioni hanno il suo favore. L'aeroplano ha avuto maggior sue- i cesso dei calcoli di Newton e Pasteur deve la sua fama piuttosto al suo metodo di cura antirabbica che a teorie generali le cui applicazioni si realizzeranno nei Jsecoli. Ma cioinoindimeno è così. La torre d'avorio del pensatore è come la cima serena e bianca, essa pure, dei monti nevosi donde scendono in cascata o in infiltrazioni continue le forze vive dell'acqua benefica destinata a produrre elettricità o a fecondare le terre negative. , :

Così-la Chiesa, la cui azione diretta è ristretta ne] lavoro di santificazione, fa tanto più per la civilizzazione materiale quanto più mostra di disprezzarla, cioè essa la pone al suo posto fra le cose di cui si preoccupa ma ricusa di immischiarvisi disertando le alte vette della vita spirituale.

' Sant'Agostino nel suo libro delle Dimensioni, del-^ l'anima (De quantitate animae) assegna sette gradi ^ nello sviluppo della vita. Il primo l'abbiamo in co-

154

mune con le piante (a-nimatìo); il secondo con gli animali (sensus); il terzo, che è la capacità civilizza-trice presa nel senso materiale (ars) è già propria del- :

la nostra vita, ma costituisce il grado infimo della :

scala umana; vi sono altri quattro gradi al disopra e coloro che vogliono porre il terzo grado alla sommità di tutti i valori umani innanzi tutto lo fanno a loro rischio e secondariamente faranno cadere la scala per il peso .eccessivo messo alla sua sommità. .Le forze morali sono il sostegno delle forze materiali e la loro salvaguardia. E' l'anima che, per definizione, anima il corpo e lo preserva dalla decomposizione del cadavere. Salendo più su, possiamo dire: ;

II soprannaturale protegge ciò che è della natura, di ;:, cui esso si è costituito l'anima. :;?

Coloro, che immaginano che le nostre predicazioni circa il nulla delle cose, cioè del nulla delle cose senza Dio, e del nulla relativo della vita materiale riguardo alla vita spirituale siano come uno stupefacente atto a impedire il progresso, ignorano o dimenticano le condizioni fondamentali della vita. / II miglior fautore della civilizzazione materiale non è l'illuminismo entusiasta che vorrebbe porla come fine a se stessa, ma tale è invece chi sa apprezzarla al suo giusto titolo e che pone ogni cosa al suo posto /' senza permettere che nulla esca dai propri limiti. .

Colui che ritiene che la vita materiale sia tutto o ;,. la cosa principale, le sacrifica la parte migliore ma pure, scioccamente questa volta, ed anche colpevoi-. mente, anche ciò in fondo la determina, cioè i valori morali e vi impiega dei mezzi che prima l'avviliscono e poi la uccidono e cioè i vizi.

La materia non si sostiene 'da sola; è l'energia delle anime che la fa salire in potenti e a durevoli realizzazioni. E l'energia delle anime ha pure essa stessa

155

bisogno di essere contenuta, armonizzata, difesa contro le deviazioni. E che cosa lo può tare meglio della virtù cristiana che, unendo a Dio tutto ciò che è proprio dell'uomo, ci pone nell'armonia facendo nostra legge d'azione il pensiero creatore stesso, il cui riflesso nella ragione, nella natura e nelle nostre opere, in cui si mescolano ragione e natura, costituisce ciò che appunto si chiama civilizzazione?

La Chiesa, consacrandosi alle virtù inferiori e mostrando di disprezzare tutto il resto, lavora dunque più dì tutti per tutto il resto. Adottando come suo abito la preoccupazione esclusiva del Regno dei Cieli, essa prepara i migliori trionfi per tutti i regni temporali. « Cosa strana, ha scritto Montesquieu, in una frase spesso citata, questa religione, che non intende occuparsi che degli interessi dell'altra vita, è ancora quella che riesce meglio a proteggere quelli di questa vita ».

Coloro che fanno uso di questo mondo come se non lo usassero sono coloro che ne tanno buon uso e che ne assicurano l'avvenire, perché essi lo trattano con rispetto in luogo di spingerlo febbrilmente a realizzazioni che lo fanno precipitare negli egoismi.

Un cosiddetto uomo civilizzato dell'Arkansas distrugge in un anno una foresta per fabbricare della cattiva carta su cui si stampano cattivi libri e non ha alcuna preoccupazione di rimboschire, perché vuoi fare una fortuna in dieci anni. Gli antichi monaci piantavano e rispettavano i giovani alberi, speranza dell'agricoltura. E' un simbolo, ma tutta la vita è cosi.

Quando si dice della Chiesa che essa abita in un altro mondo, è vero; ma il mondo che essa abita è il custode di questo e gli offre tutto. Cielo radioso di luce e di calore fecondo; sorgente nascosta o visibile di tutto ciò che si fa sulla terra di utile; rimedio di

156

tutto ciò che vi può determinare la morte o costituire dei tranelli per la vita, ecco ciò che la Chiesa insiste a mostrare. Dopo ciò essa non ha bisogno di attaccarsi alle ruote dei nostri veicoli per farli avanzare. Qualche volta del resto anche lo fa, ma più spesso invece è suo dovere maneggiare il freno non per fermarci, perché essa ci proibisce di fermarci facendo del lavoro una legge, ma per preservarci dalle cadute, quando ci si spinge imprudentemente su discese troppo ripide.

C'è già l'istinto che pensa a spingere avanti, sotto il nome di ambizione, che immobilizza sotto il nome di pigrizia, che devia e assorbe la forza sotto il nome di sensualità divoratrice, di collera distruttrice, di orgoglio accaparratore, di avarizia, di alcoolismo, di sovraccarico intellettuale assurdo e sterile. La Chiesa è là per frenare o per stimolare a seconda di ciò che • è necessario.

E ciò ohe essa fa .circa ©li individui, lo fa pure riguardo ai tempi. Nei tempi barbari, essa si è data direttamente al lavoro della terra. Oggi che l'impresa è avviata e che i nostri secoli goderecci ne abusano non sta ad essa di stimolare in questo campo. Essa regolarizza e favorisce lo sviluppo di ciò che consentirà di utilizzare il progresso senza trascurare il fine ultimo dell'uomo, servendo anzi questo fine.

Armonia è il nome della Chiesa. Saggezza individuale e saggezza secolare; tali sarebbero, se la Chiesa fosse compresa, le alte mete della sua azione.

Della materia sola essa non si impiccia. Essa sa troppo bene ciò che essa costa ai poveri allucinati da ^essa sedotti e all'opera di Dio sulla terra. Il Redentore, che riassume in sé l'uomo e Dio, ha troppo sofferto per questo ostacolo comune della sua divinità e della sua umanità santificata-i ce.

157

Non è sotto questo peso che fu schiacciato il divin Salvatore? Sollevare la materia e liberare lo spirito era una parte immensa del suo compito. Egli vi aveva lavorato così a lungo e in tal modo che la materia alla fine si rivoltò. Era essa che perseguitava il Redentore con l'odio dei profanatori del tempio; era essa che si faceva complice nell'indifferenza del paganesimo proteso verso i godimenti materiali ed essa pure che spingeva il popolo all'entusiasmo di fronte ad un miracolo, ma che poi lo faceva ricadere nella persecuzione del suo Redentore spirituale.

Per vincere, a vantaggio di chi avrebbe voluto seguirlo, la potenza opprimente della materia, il Rè- , dentore dovette caricarsi della croce, come un gigante avrebbe fatto col masso o come Sansone si caricò delle porte di Gaza issandole sulla montagna.

Arrivato al Golgota, sfinito, Gesù vi offrì il suo corpo vi si fuse come metallo prezioso nella lega per cambiarne l'intima essenza. Egli la migliorò e in essa fece risuonare, coin l'angoscia del sacrifìcio, l'osanna della vittoria e morendo, dalle sue piaghe aperte verso il cielo fece tramutare violentemente il suo corpo in anima. La sua morte fu il trionfo dello spirito e per la carne stessa, per la materia che ne è il proseguimento, fu la speranza della risurrezione e dei trionfi finali.

Se è stato così necessario crocifiggere la materia per purificarla dalle sue macchie, non tocca a noi di andare di nuovo a prenderla al disopra della corrente 'della redenzione per servircene di nuovo quali pagani, senza riflettere alle condizioni della sua utilità, al pericolo dell'abuso, alla potenza enorme che essa può rivelare per il male e limitata invece per il bene.

Lasciamola nella corrente redentrice. Che il sangue divino la irrori e che lo Spirito divino la penetri.

158

Divina, essa può esserlo pure, ma in virtù di quale sforzo morale! L'umanità non può fare assolutamente questo sforzo. Allora lasciamo che la Chiesa esplichi la sua azione, diffidente e materna, sollecita dei nostri errori e nello stesso tempo benedicente, capace di comprendere tutte le colpe, prendendole per sé se occorre, e considerandole compiute ma anche superate dallo slancio spirituale e cristiano di tutte le anime.

Colei che ha per sua caratteristica l'Unico Neces— sario deve riempirne i nostri occhi assieme ai suoi, co-?:

me la mucca del poeta, la quale, ruminando lenta-v niente l'erba del prato, non rivoltava contro le leggi della vita, sottomessa alla natura, riposandosi sulla madre terra ma con lo sguardo rivolto più in alto dell'orizzonte limitato dalle messi, rifletteva tutto il eie • lo nei suoi occhi e insegnava all'uomo a guardqr^ Dio.

159

CAPO VII LA CULTURA INTELLETTUALE

Riguardo alla cultura intellettuale sembra che le restrizioni della Chiesa debbano cadere, essendo l'amore del sapere una delle caratteristiche della Chiesa \htessa.

Molti apologisti invero si tengono a questo concetto, mostrando nella Chiesa l'alfiere che mantiene nel mondo le verità essenziali. Essa protegge, essi dicono, gli altri costituendosi, sin dall'inizio, ammiratrice dell'antiche civilizzazioni, conservatrice e propsgatrice. delle loro opere, primo focolare delle scienze, ton^ datrice delle Università e delle scuole popolari, ispiratrice delle opere più importanti di filosofia, delle lettere e della poesia in tutti i tempi.

Ciò è pure verità. Ed una bella contropartita alle tesi piene di sprezzo e di odio, e per conseguenza miopi, che accusano la Chiesa di oscurantismo sistematico, di tendenze retrograde sotto il nome di immutabilità, di fanatismo allo scopo di perpetuare la sua autorità come se solo con la protezione delle tenebre potessero affermarsi i suoi dogmi e la sua influenza potesse esercitarsi su anime intontite.

Ma non è qui tutta intera la verità. Bisogna in-

160

rialzarsi al disopra di queste due tesi, l'unà a favore % e l'altra avversa, di cui l'una è falsa e ingiuriosa® e l'altra vera ma incompleta e incapace di interpre-» ,\1 tare da sola i fatti nella loro realtà.

Si potrà dunque chiedere una volta per tutte: Che cosa è la Chiesa? E' l'organizzazione delle vite va vi—' sta di fini soprannaturali. E quali sono questi fini? E"' il completamento dell'uomo per mezzo del suo espan- < dersi nel divino. E come può il divino fare così irru-;:

zione, per trasfigurarla, nella misera vita dell'uomo?;' Evidentemente per la finestra superiore dell'anima. Lo ' spirito, unito a Dio che è Spirito, vivrà in modo com- ,i prensibile le ricchezze infinite dell'ineffabile, ed è so- : :

lo per contraccolpo che nell'unità del nostro essere germoglieranno le felicità di cui ha sete il molteplice complesso che noi siamo e alle quali abbiamo pure diritto.

Riguardo all'ultimo fine, l'intelligenza è dunque in testa. E' essa lo strumento del destino, poiché essa :

deve operare questa presa di possesso di Dio donde risulteranno per noi tutti i beni compresi in questa parola: beatitudine. «La vita eterna consiste nel co-noscerti, o Padre».

Di qui deriva la preferenza della Chiesa, di cui alcuni si stupiscono, per la vita contemplativa in opposizione alla vita attiva. E' la filosofia dell'uomo che lo esige; era una tesi aristotelica prima di essere una tesi teologica. In ogni caso è il pensiero della Chiesa nettamente affermato, il che da a supporre che la Chiesa non sia nemica della luce, poiché essa fa consistere nella luce il suo unico necessario.

Ma bisogna aggiungere subito che questa luce in cui consiste l'ultimo fine non è raggiunta con uno sforzo facile. Essa supera l'uomo. Essa è per la nostra mente, anche se armata di tutte le scienze, ciò

161

11. — La Chiesa.

che il sole è per il gufo. L'uomo che si istruisce, che Si rivela genio è, rispetto a questo risultato, come colui che monta su di un ciottolo per avvicinarsi alle stelle Sforzo sterile, veduta infantile, quantunque sia vero, dopo tutto, che salendo su di un ciottolo ci si avvicina agli astri.

Non è dunque la scienza, in quanto scienza, che può farci arrivare a quel fine. Il minimo atomo di carità ..\ è assai più adatto a farci raggiungere questo scopo. "' Può dunque sperare di giungervi non colui che studia in quanto studia, ma colui che sia pure studiando od' anche solo facendo il pastore, sale al livello dell'oggetto amando Iddio e con ciò prendendo possesso, per domani quando cadranno i veli, delle verità divine che si sono ormai immedesimate con lui stesso.

Le scienze di Pasteur, la cultura di Goethe o di Leitaniz, la filosofia di Aristotele o di Plafone, lasciate

*• «a .stesse sono più lontane dalla conquista del vei*-assoluto di quello che non siano la semplicità di un

•fanciullo-cristiano o la carità di un'umile religiosa conversa.

La carità nel grande significato della parola, cioè l'amore del bene divino, e di tutto ciò che lo riflette, soprattutto in noi e nei nostri fratelli; tale è, per la Chiesa, la via del sapere per quanto è lo scopo della vita.

« Quando parlerò le lingue degli uomini e degli angeli... quando avrò la conoscenza di tutti i misteri-, se non posseggo la carità non sono che bronzo <ìhe vibra e nulla più ».

Con queste idee, si può prevedere se la Chiesa la-;,. scerà passare la scienza innanzi a tutto. Essa le con-, ^ serva la sua stima; dichiara che in teoria, nell'asso-" luto, Ìa scienza è superiore alla virtù stessa, poiché ne è lo scopo. Si è virtuosi per completare il proprio

162

valore in Dio e questo completamento è sostanzialmente conoscenza. Ma riguardo a questo tempo in cui noi siamo per via, i valori si mutano. La virtù riprende il primato. Per il viaggiatore che attende una fortuna all'estremità del suo viaggio, l'essenziale non ^ consiste nell'indugiarsi a cogliere dei fiori sul suo cammino, anche se fossero preziosi. L'essenziale è di :

giungere alla meta. Noi siamo in marcia. Ciò che accelera la marcia costituisce la vera ricchezza. Se questo risultato si può ottenere con la scienza, .viva la scienza, non la si apprezzerà mai abbastanza.

Ma se la scienza è un ostacolo, un riflesso che pren" , de il posto del sole; se il dovere ne esige l'abbandono o se esso suggerisce nei suoi riguardi la prudenza e ne rimette a più tardi le gioie, più tardi quaggiù o. lassù: viva il dovere! «E' meglio, dice il Vangelo, entrare nella vita con ;un occhio solo che averne due e& essere settato nel fuoco della geenna». Aprire l'occhio spirituale, anche se si dovesse, per ciò chiudere l'altro o aprirlo solo a metà, questo è assai meglio che essere escluso dal regno dei veggenti.

Il punto di vista della Chiesa è così ben segnato. Se alcuni se ne scandalizzano, essa non si cura di ' questo fariseismo. Se per onorare la scienza, occorre porla al disopra di tutto, essa vi si ribella. Ne a favore ' con cecità ne contro con bassezza; ne estranea neppu- • rè; tale è, riassunto in tré parole, l'atteggiamento della ' Chiesa.

Se poi si pensa alle circostanze diverse in mezzo alle quali la Chiesa si è sviluppata e la sua vita an-cor oggi si svolge, si avranno sufficienti argomenti per spiegare tutti i fatti.

In principio non si trattava per la Chiesa che di formare e dichiarare il suo fine trascendente, di segnare la sua posizione al disopra di tutto ciò che è

•J63

transitorio, di opporsi a tutto ciò che può nuocerle come a tutto ciò che possa pretendere di assorbirla e ciò per preservarsi e differenziarsi.

Ora la cultura dei primi tempi è ostile. Quando essa penetra nell'interno della Chiesa, lo fa spesso con la pretesa di imporsi sostituendo al dogma autentico una dottrina arbitraria, una quasi come ve ne erano tante, « rendendo inutile la. croce di Cristo », come diceva San Paolo ed invitando a pensare ai celebri ammonimenti: « Sii saggio con moderazione ». «Dio ha adottato le cose folli di questo mondo per confondere i saggi ». « Noi però non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito che è da Dio;

affinchè conosciamo le cose che Dio ci ha date per mezzo della grazia (I Cor. II, 12).

Il lavoro necessario è dunque quello di rendere le intelligenze «prigioniere del Redentore», «nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza». Si tratta dunque di unirci a Dìo per mezzo del Redentore. Con ciò sì avrà tutto quello che la saggezza ricerca, anche se si è sprovvisti dei mezzi relativi. Ma senza di ciò non si avrà nulla, anche se si fosse il più saggio dei saggi. La scienza che toglie ciò agli uomini è una nemica; la si ripudia, ^ si condanna, non in essa stessa, ma nelle sue deviazioni, poiché essa si è costituita come impedimento nei riguardi della scienza suprema che aborre in ogni cristiano la comunione delle vite con Dio e un giorno gli darà anche la comunione stessa.

Un po' più avanti l'ambiente cambia. A partire dal III secolo la Chiesa ha già conquistato pressoché tutto ciò che conta nel campo intellettuale. La sua dottrina è ormai fissata. Essa deve lottare ancora contro le deviazioni, ma non deve più tarsi conoscere; può guardare intomo a sé e utilizzare tutta la

im

cultura ambiente (e Dio sa se i Santi Padri del IV secolo non l'hanno fatto appieno!). E' allora che « la Chiesa ancora bambina, come Gesù, è assisa in mezzo ai dottori, ascoltandoli e interrogandoli, facendo sue le verità che essi proferivano, correggendo gli errori, supplendo alle loro insufficienze, completando i loro abbozzi, sviluppando le loro intuizioni e così dando a poco a poco al suo insegnamento grazie anche ai saggi ad essa estranei, maggiore ampiezza e precisione ».

Ques'e parole sono del cardinale Newman ed esse espnmcac bene il sentimento deila Chiesa. I grandi pensatori del Cristianesimo, Agostano, Tomaso d'A-quino, Bossuet — e non cito che i sommi — si sono sforzati di comprendere tutto, hanno riflesso in se stessi tutto il sapere del loro tempo e, senza darsi alla scienza, servitori del solo Redentore, l'hanno però amata profondamente e l'hanno portata tanto più in alto io quanto non ne accettavano gli impedimenti.

A lato di questi sommi un gran numero di specialisti in ogni campo hanno fatto della scienza con l'approvazione della Chiesa. Quando essa li ha ripresi, salvo errore — poiché gli errori umani non sono estranei ad una società divino-umana — ciò è avvenuto per il fatto che questi scienziati contrastavano o sembravano contrastare ciò che essa è incaricata di difendere. Allora essa è stata di ferro e non vi è etato nulla che abbia potuto far apprezzare nel campo umano ciò che resiste a Dio. Ma ciò non vuoi- dire respingere la cultura; significa purificarla, santificarla e sfor^"—^ di renderla tutta divina.

Si consideri oggi ciò che la Chiesa combatte, e ciò che essa approva e si constaterà la stessa cosa.

L'orgoglio, l'ebbrezza, di cui tutto il secolo scorso è stato vittima e che rischiava di far sviare il pen-

165

siero, di gettarlo nelle aberrazioni più gravi; l'impiego esclusivo di certi metodi, che allontanavano come ìllusorie le sublimi verità; gli errori pervicaci; le negazioni che ci respingevano nei bassifondi della materia deificata a parole e lasciata in-realtà nella sua miseria e nel suo nulla e ciò ben lungi dall'eminente dignità del cristiano; ecco ciò, e solo ciò, che ,la Chiesa ha condannato e condanna.

Circa queste condanne essa non si ricrederà; La scienza a questo prezzo non le farà piegare la testa. Essa intende guardare più iin alto. E se si dice che essa è nemica della scienza atea, materialista o agnostica ciò è vero. Chi potrebbe stupirsene?

Sé si dice pure che essa è nemica della scienza indipendente sistematicamente, non cioè nei suoi metodi 'che di diritto sono indipendenti, ma nell'impiego umano della sua attività e nel suo atteggiamento complessivo, pretendendo ignorare il fatto divino e la sua rivelazione per mezzo del Redentore, esponendosi così al pericolo di calpestarlo, mentre i suoi maestri sono sempre pronti a inchinarsi davanti al minimo fatto acquisito dall'esperienza; se si dice che la Chiesa è nemica di tutto questo, ciò è ben vero, poiché l'indipendenza dell'umano di fronte al divino è un rifiuto di unità che non si può far; a meno dì chiamare rivolta. « Chi non è con me è contro di me », bisogna ancora ripetere qui, quantunque sia:

vero anche questo: «Chi non è contro di voi è con

voi».

.': Diciamo e ripetiamo: La scienza presa in se stessa

e con riferimento ai suoi metodi è amica della Chie-ì!

•sa,, se sta al suo posto e non esce dal suo campo,';

per il fatto stesso che è indipendente. Ma il duali-?' smo che attrae certi spiriti: Oratorio e laboratorio i;

•non è ammesso dalla Chiesa. Il dualismo è un'ere-'';

tó6

sia in tutto. L'unità deve regnare senza confusione e senza dispersione d'energie perché Iddio non vuole lasciar perdere alcunché. Per mezzo suo, tutto ha un fine;, senza di lui nulla ha valore per domani ne sussiste oggi con piana consistenza.

La verità consiste dunque nella subordinazione non della scienza presa in se stessa, ma della scienza considerata nei suoi fini e nei risultati felici o cattivi della sua • attività.

Aggiungiamo, per finire, che la Chiesa, se ama la cultura, e. se le concede pertanto un certo valore relativo, non assoluto, deve guardarsi dalle impazienze che periodicamente noi invece desidereremmo di vedere da lei condivise.

La Chiesa non ama le mode intellettuali, poiché esse sono eccessive, come le altre mode. Essa; non approva, dottrinalmente, ne i cappelli di un metro me i cappelli ridotti ad un fiore. Essa vuole che ci si copra la testa e che tuttavia si possa passare per le. porte. Ma non si passa per le porte della verità quando si forza un punto di vista a spese di ciò che .lo completa, lo migliora e lo rende vero.

Così, in teoria, il realismo grossolane .e l'idealismo Utopistico, il materialismo e lo spiritualismo fuori della scienza; e in pratica il liberalismo anarchico e l'au-.toritarismo oppressivo, il pessimismo e l'ottimismo pagano, ecc. tutte queste deviazioni di destra e sinistra, che con pretese all'eternità e all'infallibilità si succ^ ' .dono nella storia così gloriosa e così triste nello stesso tempo del pensiero umano, sono egualmente per essa nel campo avversario. ,

E' a cagione di ciò specialmente che la Chiesa appare retrograda, : ,

•',,'167

E' vero che essa si adatta lentamente anche alla verità: una grande armata non può avanzare come un piccolo esercito e d'altronde c'è nello stesso principio religioso una tendenza alla stabilità. Ma non è questo che più solleva irritazione contro la Chiesa. Ciò che irrita è il fatto che essa, preoccupata dì cercare la verità che resta, non si adatta agli errori dei giovani, alle esagerazioni, alle manie. Ora è invece a questo che si tiene, poiché ciò è la nostra verità, non fosse che imperfetta, anche se non è la verità (1).

Allora si accusa la Chiesa di pratica consuetudinaria inveterata. Si dice che la si abbandona per poter procedere col progresso. Alla distanza di un passo da lei, la si colpisce. E la Chiesa, venerabile oltraggiata, prende l'atteggiamento del Cristo dell'Angelico, il cui sguardo tranquillo supera il velo di derisione d;

cui si sono coperti i suoi occhi per tacciarlo di ignoranza e, assalito a schiaffi, coperto di sputi, porta pur sempre sulle sue braccia il nostro globo.

Lasciamo la Chiesa di Gesù Cristo alla sua intransigenza divina, alla sua grandezza che non si da a nessuno quantunque benevola per tutti e per tutto, rispettosa di ogni sia pur minima scintilla della verità e favorevole a chi la scopre, purché sia lasciata nella corrente e sottomessa a Dio, che è il Padre dei lumi e al suo Verbo incarnato, che rischiara ogni uomo che viene al mondo.

Ed è appunto non venendo a patti col tsmpo che

(1) Nel IV secolo la Chiesa era detta retrograda poiché essa non si accordava con Omero; più tardi perché non accettava che a metà il diritto romano; nel Rinascimento perché non giurava per il platonismo. Nel XVIII secolo essa non apprezzava abbastanza la fisica inglese. Al principio del XIX essa non era abbastanza liberale. Oggi non è abbastanza socialista.

168

la Chiesa può servirlo poiché, conservando essa le verità eterne che i nostri entusiasmi presuntuosi compromettono, essa è pronta per conquiste successive. Derisa oggi, essa si basa sul futuro che, in verità, riserberà altre crisi, ma che saprà sciogliere le attuali, Malgrado il suo apparente indietreggiare che non è che una proiezione moderata di tappa in tappa; sempre in ritardo ir' apparenza, ma senza mai retrocedere, ugualmente distante dalla temerità e dalle stasi, la Chiesa percorre il suo cammino, mentre i nostri sistemi, in ciò precisamente che interessa di più la nostra vita, tessono la tela di Penelope.

L'eternità di Dio è nella Chiesa. Per lo Spirito che la anima essa è al disopra delle fasi del pensiero. I nostri modi di vedere parziali non possono farle impressione, ma non possono neppure offenderla. Ciascuno al suo posto: tali sono sempre in ogni questione e per ogni difesa la sua formula e il suo voto.

CAPO Vili L'ARTE

La coltura intellettuale comporta una specialità che è bene studiare a parte, a cagione dei suoi caratteri particolari e di certi equivoci possibili. Si tratta dell'arte, e intendo parlare dell'arte in tutta l'accezione della parola, 'secondo tutte le sue forme.

I rapporti tra la Chiesa e l'arte sono in stretta dipendenza con le loro rispettive definizioni.

La Chiesa non è la vita stessa, coi suoi soggetti e oggetti incorporati a Dio per mezzo del Redentore?

E l'arte non è lo specchio della vita?

In questo specchio, di cui l'anima dell'uomo ha fornito lo strato riflettente, le cose si riflettono nello stesso tempo secondo ciò che esse sono e secondo'ciò che noi siamo. «L'uomo aggiunto alla natura»; la natura riflessa nell'uomo; la sintesi armoniosa di ciò che noi osserviamo della realtà e di ciò che proviamo di fronte alla stessa, questa è l'arte.

Ora tutto ciò è Dio aggiunto a Dio se è vero che egli si rivela nella realtà esteriore e nell'uomo. Ogni cosa è stata creata due volte, ha detto S. Agostino;

una volta in se stessa e una volta nel pensiero delle creature ragionevoli. Scopo dell'arte è appunto quello

170

di unire la realtà e il pensiero ^n un'opera che esprima la loro comune vita divina.

Da allora, il posto dell'arte nel funzionamento del-ia Chiesa stessa, poi i rapporti della Chiesa con l'arte che le è estranea non daranno luogo al minimo mistero.

Vi sarà arte nel funzionamento della Chiesa perché l'elemento spirituale, peculiare della Chiesa, richiede come sostegno e mezzo d'azione l'elemento temporale in cui l'arte trova il suo impiego.

Non abbiamo forse attribuito alla Chiesa la sacra-mentalità, cioè quel carattere che esige, in essa, l'u-^ nione della materia e dello spirito, del visibile e dell'invisibile, poiché Dio viene a noi e noi stessi saliamo a lui per la scala di Giacobbe, simbolo della realtà materiale santificata che coingiunge la terra al cielo? ,

L'arte dunque troverà sempre il suo posto nelle manifestazioni della Chiesa, la quale cerca di darci Dio e di darci a lui sia per mezzo dei sacramenti propriamente detti sia, in forma più generale, per mezzo del culto, della parola sacra, delle solennità esteriori. L'arte compirà in bellezza, se le riesce possibile, questa visibilità che senza di ciò non sarebbe chs un abbozzo. Essa esprimerà in modo migliore l'uomo e Dio, contribuendo così alla loro unione.

Più l'arte che si incorpora con la Chiesa sarà ricca e più il funzionamento della Chiesa sarà ciò che deve essere e si svilupperà secondo tutta la sua et-.•ficacia. '

Non è evidente che la Messa, ad esempio, che considero come sorgente e concentrazione di .tutto il cui-, tò, tende per se stessa a divenire una liturgia cioè. un'espressione d'arte? ' • ;:

In luogo di un rito di catacombe, ridotto all'essen-,

. • .' ve

ziale, tutto in ispirito, quantunque in realtà una parte di visibilità e di arte vi si trovi sempre inclusa, la Messa, a cagione della sua stessa natura e del suo Significato, tende ad espandersi, ad utilizzare tutti i mezzi di espressione che possano destare commozione e, di rimando, per onorare Iddio, essa tende a far presa sull'uomo con tutte le sue risorse, poiché il nostro essere si da completamente all'adorazione mentre i nostri sentimenti si esprimono con la parola, il canto, il gesto in un ambiente che è esso stesso un gesto permanente della collettività che lo ha costruito.

Rappresentiamoci la Messa ideale, che sarebbe il sacrificio eterno del Redentore commemorato e riprodotto in presenza dell'umanità intera sull'altare prodigioso sul quale il veggente di Patmos poneva il trono dell'Agnello divino, in un ambiente tanto vasto da contenere con Dio tutta l'umanità di ogni tempOi tanto alto da porre al giusto posto tanto Dio che abita nelle altezze e le nostre aspirazioni che lo chiamano, tanto splendido da rappresentare per mezzo della linea, dei rilievi, dei colori e delle forme la natura e l'uomo che coabita con Dio, tanto luminoso che la colomba mistica vi palpiti nell'azzurro e gli eletti e gli angeli vi vengano a compiere i loro voli come ne;

dipinti dell'Angelico, tanto sonoro perché l'osanna delle supreme altezze e in basso i rumori, le grida, i canti espressivi della vita universale, le voci dell'anima solitària oberata di sentimenti e di aspirazioni vi si possano diffondere senza confusione, entrando nel regno delle linee melodiche e nel flusso dell'armonia madre di unità; e si dica se una tale cerimonia di sogno, trascendente rispetto allo spazio e al tempo, ma comprendente gli spazi e i tempi, non sarebbe quante di più religioso si possa concepire precisamente perché sarebbe anche un'espressione d'arte e darebbe al

i72

divino il mezzo di esprimersi in concordanza con la realtà universale considerata in bellezza, in modo da assorbirla poi con un'azione riflessa che sarebbe pure tanto più religiosa quanto più le armonie ne fossercr più ricche.

Una tale visione costituirebbe la Chiesa stessa attorno alla sua realtà centrale, l'Eucaristia, operante da Dio e dall'uomo pienamente manifesto, e il suo ufficio di santificazione attiva e passiva. Si vedrebbe in questo modo la Chiesa spingere a fondo la sacramentalità che costituisce la sua essenza. Essa la proverebbe al massimo, poiché il bello è pure sacramento in quanto segno visibile e attivo. Di guisa che in una apoteosi vedremmo confondersi, in un certo qualmodo, la Chiesa nella sua realtà integrale con l'integrazione della bellezza. ,;

Esaminiamo ora l'arte esteriore della Chiesa, cioè quella che non entra nel funzionamento vero e proprio di essa. Quali rapporti intercorreranno tra di esse? In qual modo considererà la Chiesa questo lato dell'arte?

Essa dirà innanzi tutto: una tale arte ha valore in;

se stessa. Come la scienza, di cui è sorella, poiché l'in- , - tellettualismo nell'una e nell'altra regna sovrano,;

quantunque sotto diversi aspetti, l'arte fa parte de--gli scopi della vita. L'arte stessa perciò, parlando in senso assoluto, non ha bisogno di uno scopo. Contemplare la bellezza, come concepire la verità, è un'occupazione che basta a se stessa. Ciò che si dichiara utile, se non fosse utile che a questo, non sarebbe che inutile, visto che il nostro ultimo fine deve essere la contemplazione del divino, che è bellezza allo stesso modo che è verità e bontà.

173

L'arte per l'arte è dunque in tale senso, una verità superiore,

Ma dobbiamo anche subito aggiungere, come lo facciamo a proposito della scienza: l'ultimo fine, almeno nelle sue linee principali, non è di questo mondo. Noi non ne possediamo che delle anticipazioni certamente preziose, ma che non devono farci sostare ne;

nostro cammino ne essere! di ostacolo al raggiungimento del fine stesso.

L'arte che non tenga conto di questa condizione, che sotto il pretesto di indipendenza male intesa, confondendo l'indipendenza dei metodi con quella dei fimi, si abbandona alla sua passione senza curarsi degli. scopi della vita umana e senza volervi cooperare, anzi permettendosi di ostacolarli qualora se ne presenti l'occasione, producendo opere che per partito preso o per colpevole negligenza, per disprezzo del comune, per audacia orgogliosa o sensuale, per venalità offendano i sentimenti cristiani e spingano al male. una tale arte è una deviazione e la Chiesa la condanna.

Non vi è bellezza che abbia il diritto di interporsi fra la nostra anima e la Bellezza eterna che la chiama. Di quest'ultima tutte sono dei riflessi; ma il rinesso che dimentica il suo destino e che, in luogo di rivolgere lo sguardo verso l'oggetto, cerca di accaparrarlo per sé solo o ad abbassarlo verso falsi oggetti, è un inganno, miraggio che delude, che fa sviare il viandante o lo immobilizza.

Senza esigere che l'artista si assuma come compi- " to decisivo la predicazione del bene, dato che l'arte :

vi ha relazione per se stessa, la Chiesa intende che;, essa regoli il suo pensiero e le sue opere sullo scopo; ^ comune di tutti gli uomini; che egli pensi a compor-;. tarsi non solo da artista, il che non potrebbe essere'

1'74

proprio 'che di un essere astratto, ma da uomo, da cristiano, da fratello tra fratelli, da fratello di Se stesso responsabile della propria salvezza e, per quanto sta in lui, della salvezza di tutti.

Che se ora l'arte consente a collaborare in forma diretta al lavoro di salvezza che è proprio della Chiesa, e ciò non per obbligo ma per sua buona volontà, sì comprende che la Chiesa debba lodarla. L'ar- ;

tè cristiana appunto ammette questa vocazione; essa' ha per compito di esprimere il sentimento religioso''/ per eccitarlo, di raccontare i fatti religiosi per con- ,. tribuire a mostrarne l'efficacia, di mostrarci la natu- :, ra, l'umanità, la storia sotto l'angolo religioso che de- ,', termina il dogma, esprimendo Dio per attirare l'uo- " mo ed esprimendo l'uomo nel suo bisogno di Dio e' nella sua comunione con Dio.

Si sa bene quanto la nostra Chiesa sia stata glori-. Beata e aiutata da questa consacrazione dello sforzo;

estetico all'opera che essa persegue.

Essa lo riconosce e testimonia all'artista la sua gratitudine proclamandolo suo figlio d'elezione, come quello che resta a casa, tutto dato alla madre, in luo- :

go di andare per il mondo, sia pure legittimamente, ma con minore affettuosità per essa, a cercarsi la sua^,:

via di cui essa non godrà che da lontano.

In cambio la Chiesa da ad un tale figlio ciò che non potrebbe dargli nessuno dei maestri ai quali egli si desse in luogo di essa.

Una dottrina che stabilisce l'anima umana in certezze così alte, che da alla nostra vita un'orientazione così sublime, che ci pone a livello dell'infinito, che:

mira a fare dell'uomo un Dio e che ci fa vedere Dio nell'uomo nella persona del Salvatore, che da della

vita un'interpretazione così larga, così consolante, cosi soccorritrice per le miserie, 'così impegnativa per gli sforzi, così rassicurante per le buone volontà senza forza, così accogliente per i pentimenti senza orgoglio: una tale dottrina potrebbe non infiammare una immaginazione che ne sogna, non dare corpo ad una voce che ne vuole esprimere la grandezza e non dirigere una mano che sappia fissare nell'immagine ciò che il bello ha saputo produrre nella sua ànima di commozioni armoniose?

E infine, per l'interesse della sua opera, per la sua ricchezza e varietà si potrà paragonare l'arte cristiana con l'attività artistica nel campo profano?

Il Redentore, la Vergine, i Santi, il poema delle origini, la storia eroica dei martiri, le passioni sublimi il cui soprannaturale illumina l'essere umano, la storia passata, presente e futura della religione nel mondo sino alle visioni divine e alle loro suggestioni sovrumane, non costituiscono tutti questi elementi, rispetto all'arte profana, anche se affatto profanata, una superiorità schiacciante? Diciamo piuttosto che è un valore totale, poiché tutto il resto non è che una parti-cella del terreno esplorato da questa visione integrale, che un raggio di questa luce di vita.

Ah, se la nostra arte cristiana si è indebolita, la colpa non ricade sui soggetti che essa propone, ne sulle ispirazioni che essa suscita. La colpa è nostra, poiché non diamo all'arte l'ambiente che le occorre; ambiente di fede, in cui risuonano le voci cristiane, di cui l'arte è l'eco vibrante; soffio proveniente dall'alto, di cui l'arte è l'arpa eolia.

Si constata che un rinnovamento comincia a svilupparsi dalle nostre miserie e dalle nostre inerzie. Che esso si pronunci meglio e giunga a termine, que-• sto è il voto ardente della Chiesa.

176

Se gli artisti si mantengono su questo terreno strettamente connesso cogli scopi della Chiesa, questa si mostrerà accogliente per tutti. Tanto gli artisti eri- , stiani quanto gli artisti nello stretto significato della' parola avranno in diverso grado la sua approvazione, j alla sola condizione già detta e ripetuta di rispettare ciò che è la sua propria opera e il fine superiore dell'uomo.

177

La Chiesa.

J .CAPO IX LA VITA SOCIALE

La civilizzazione materiale, la cultura intellettuale, la scienza, l'arte e tutti gli altri beni della nostra vita sono compresi in quel complesso di attività chiamato società, custoditi da essa o meglio trascinati dalla sua corrente, perche tutta la società è come un fiume che scorre senza posa e di conseguenza tali beni, dal punto di vista dell'ampiezze della loro utilizzazione, dipendono da ciò che si è convenuto di chiamare la questione sociale. ^

E' perciò inevitabile per noi di esaminare quale atteggiamento prende la Chiesa nel riguardi di questa questione. '

Ora dare una definizione è già abbozzare la risposta. ' ,

La questione sociale consiste nella ricerca di condizioni che consentano la nostra ascensione verso migliori forme di vita collettiva allo scopo di assicurare una ripartizione più equa ed abbondante dei beni messi a disposizione dell'umanità.

Se si tratta di un'ascensione, la Chiesa non può non parteciparvi.

Se si tratta di migliori forme di vita la Chiesa, da

'ns . .

specialista quale essa è in questa materia, non se ne

asterrà.

Se l'equità e la fraternità vi sono interessate al massimo grado, il gruppo di fratelli, che rappresenta la Cattolicità in Dio e nel Redentore, non può rimanersene estranea ne per se stesso, se tale gruppo agisce secondo la sua legge, ne per quelli che lo rappresentano, purché essi lo rappresentino veramente.

Abbiamo già parlato della civilizzazione: la Chiesa la vuole. Ora si potrà parlare di civilizzazione nel senso pieno della parola finché sussisterà lo stato anormale che si constata oggi, derivante da sperequazioni urtanti e antinaturali, da oppressioni invincibili e da sofferenze immeritate?

La civilizzazione è la vita dell'albero umano che produce tutti i suoi frutti, che trova la sua via per portare la linfa sino all'estremità dei rami, che fa sboc-.ciare i virgulti sia in foglie sia in flore a seconda della loro natura. Ma un albero costituito nella sua maggior parte da rami morti o morenti non sarebbe piuttosto .una fascina? Una società costituita per la maggior parte da non vi>.^ti, cioè da esseri che non partecipano in modo sufficiente ai vantaggi morali e sociali, non è un'accolta di persone così imperfetta che non potrebbe neppure essere chiamata società civile?

Noi saremo civilizzati quando saremo riusciti a far vivere, e non far vegetare, tutti i figli delle nostre famiglie nazionali; quando non vi saranno miserie al-l'infuori di quelle che si saranno ben volute o che saranno state causate da fatalità irriducibili, lungi dalla portata dei nostri sguardi e delle nostre braccia.

Ma ne siamo ancora ben lontani! Attendendo questo avvenire, che nella sua realizzazione totale è un sogno, la sognatrice ispirata che è la Chiesa cattolica, figlia del sogno eterno che ha posto in marcia tutto

179

l'universo, continuatrice dell'opera del Redentore, il divino sognatore, non può far a meno di occuparsi di questo problema e, mirando continuamente all'azione, deve preoccuparsi di lavorare per le realizzazioni sociali.

La Chiesa è basata sull'unità degli uomini in Dio, grazie alla loro solidarietà nel Redentore. La sua prima norma di vita è dunque l'amore e la fraternità totale, totale in estensione e, se si può dire, in proton-: dita.

Da questa fraternità dovrebbe uscire come un minimo di realizzazione, la giustizia; giustizia da indi-'viduo a individuo, da individuo a gruppi, da gruppi, di rimando, a individui e questa giustizia, rimanendo familiare, non si sentirebbe mai sazia. Quanto più si agisce fraternamente, tanto più si è fratelli. Quanto più si da in amore e tanto meno ci si sente liberi da obblighi. Lo scambio reale si associa qui alla buona volontà, la legge alla grazi.a. «Non siate in debito verso alcuno, dice San Paolo, se vi amate veramente l'nn l'altro».

Non si può perciò nemmeno discutere se la Chiesa non abbia, di diritto, molto a cuore la questione sociale e ciò a cagione della sua natura stessa. Ci si fa, è vero, l'ingiuria di considerare la Chiesa come una addormentatrice a servizio dei soddisfatti i quali le affiderebbero l'incarico di rappresentare la giustizia di fronte alle masse per dispensarsi essi stessi dal provvedere a rimuovere le sperequazioni esistenti; ma una tale accusa noi la respingiamo.

Venga 'il tuo regno sia in terra come in ciclo; tale è la nostra preghiera quotidiana. Fare dei calcoli senza praticare l'amore è ciò che fa il sociologo autodi-centesi positivo che dimentica nella sua scienza altera e inutile l'A,B,C, dei rapporti umani. Fare poi dell'a-

• 180

more senza calcolo, cioè senza segnare i limiti, le relazioni e la corretta gerarchla delle cose, è la tendenza di molti altri. La Chiesa evita questi due eccessi ed è per questo senza dubbio che essa appare enormemente retrograda ai partigiani dell'anarchia temperata da canzoni sentimentali, mentre può sembrare rivoluzionaria ai partigiani dell' « ordine », cioè della divisione della società in caste sotto una bacchetta direttoriale. Ma a tutti San Tomaso d'Aquino risponde: «La Santa Chiesa apostolica avanza con passo misurato mantenendo il mezzo della via tra due siepi di errori contra-ri» (1).

Che cosa si dice mai di estremi parimenti illusori e distruttori! Meglio è attenersi al fondo delle cose; là solo è la saggezza e là la spiegazione dei diversi aspetti, dei diversi momenti di un atteggiamento secolare-che si è potuto giudicare in mille modi, poiché esso si presta effettivamente ad aspetti contradditori.

Il concetto fondamentale è questo che in materia sociale, come in tutto, la Chiesa, saggezza divina per lo Spirito che la anima, va diritto a ciò che è essenziale. Essa non sacrifica nulla, e precisamente, per non sacrificare, essa subordina. Subordinare ciò che è meno importante, quantunque prezioso, e porlo sotto ciò •che è principale, cioè al suo posto, vuoi dire custodirlo, in luogo di esaltare a rischio di una car'uta mortale.

E che cosa è qui l'essenziale? Esso è in^'cato da queste parole che non passano: «Cercate innanzi tutto il Regno dei Cicli e la sua giustizia; tutto 11 resto vi sarà dato per sovrappiù ».

Ma ancora, il Regno di Dio dove si può trovarlo? ovunque, poiché tutto è per gli eletti; poiché il Regno

(1) Siwi'ma cantra Gentile».

181

dei deli evangelico ci è sembrato comprendere tutto:

natura, umanità, storia.

Ma questo Regno di Dio che è ovunque, non lò è però in modo eguale. Esso è innanzi tutto ciò che vale di più, in ciò che ha un valore per il fine ultimo e in ciò che dura. Ascoltiamo la parola del Signore: « II Kegno di Dio è in voi ». « II corpo vale di più del vestito e la vita di più degli alimenti ». « Che cosa serve all'uomo guadagnare anche l'Universo, se ciò avvenga a danno dell'anima? » « Uomini di poca fede, per che cosa vi turbate?» «Non cercate il pane temporale, ma quello che dura per la vita eterna ».

L'individuo è mortale. La società temporale passa; temporale, questo non vuoi dire forse consacrato alla morte?

Se la società è importante, quantunque sia effimera, ciò dipende dal fatto che essa serve anche a ciò che dura, perché è indispensabile per sviluppare l'individuo, immagine di Dio, figlio di Dio, contemporaneo di Dio per un avvenire senza fine. Qui è il punto essenziale. E' a questo soprattutto che pensa un'istituzione dell'eterno, quale è la Chiesa cattolica. Istituzione dell'eterno non vuole escludere il tempo, perché nell'eterno è pure compréso il tempo, ma vuole .significare l'esclusione della parzialità nei riguardi del tempo e di quell'inversione, tara delle dottrine laiche, secondo le quali il parziale vuole assorbire il totale, la morte la vita, il nulla della carne l'essere eterno .dello spirito.

Vedremo più avanti che la Chiesa lavora per il progresso sociale meglio dei sociologhi concentrandosi in questo punto di vista. Ma per il momento diciamo:

,la Chiesa desidera innanzi tutto che noi siamo salvi in questo mondo e nell'altro.

Se i quadri sociali si mostrano .imperfetti •— e lo

182

saranno sempre più o meno — la Chiesa insegna a utilizzarli, cioè a correggere nella pratica le loro manchevolezze e a impiegare la nostra buona volontà affinchè le nostre virtù siano di rimedio ai loro difetti.

Non ha forse proceduto così la Chiesa nei riguardi della più spaventevole inferiorità sociale che essa abbia incontrato: la schiavitù? « Fratello, scriveva San Paolo dalla sua prigione al cristiano Filemone, pa- ^:.'1 drone di schiavi, come molti altri suoi simili della civilizzazione romana, e a cui apparteneva pure One- ,; :

simo da poco convcrtito: — fratello, ti prego per il fi- ^ glio che ho appena redento nelle catene... Tè lo ri- ' :

mando, ricevilo come le mie stesse viscere... Chi sa se ' i non ti ha lasciato per un'ora affinchè tu abbia a ri- 1, trovarlo per sempre e questa volta non più come ser—' vo, ma come un fratello carissimo... Egli lo è pure al ' più alto grado per me... Se dunque mi sei amico, ri- ,., covilo come faresti per me stesso. Se egli ti ha nociuto ;. in qualche cosa e se egli ti deve qualche cosa, adde- " bitalo a me. Vedi, io tè lo scrivo di mio pugno: Tè ^ lo restituirò ». : '

Se Filemone comprese questo discorso, la situa- • zione di Onesimo nella sua casa dovette essere ecce- ;, zionalmente modificata e in senso molto diverso da, ciò che evoca in noi questa parola: schiavitù.

Che importa la schiavitù quando l'assiste la fraternità! Due sposi che si amano teneramente si ridono di rivendicazioni e del codice. L'operaio e il principale che vanno d'accordo non hanno bisogno di sindacati. E d'altronde la buona armonia creerà essa stessa le istituzioni adatte perché cresca e dia i suoi frutti. Intanto nell'attesa essa li sostituisce; essa produce quindi felicità reale, in mancanza della felicità secondo le formule sociali. Ora è a questo appunto che l'azione morale della Chiesa intende rivolgersi.

JS3

La sua concezione è che 'ci sono come due piani della vita dell'uomo. C'è un piano individuale, secondo il quale si determinano i destini delle diverse persone; esso si'sviluppa e si compie nel giro di pochi anni. E c'è un piano sociale che ha davanti a sé i secoli.

La cosa più urgente, agli occhi della Chiesa, non è quella di cambiare il genere umano. Essa lo desidera ardentemente, ma con l'ardore paziente di Gesù che lancia ai destini incommensurabili un universo per il quale le migliala di secoli non contano. Ciò che vuole innanzi tutto la Chiesa e di assicurare la nostra riuscita: e ciò in due modi, quaggiù con la pace fraterna, la tranquillità della coscienza, un po' di felicità se Dio lo vuole — e se egli non lo vuole — la pazienza, che alla fine non è delusa; e avere per fine il Cielo con un posto assicurato nella città eterna ove Dio sarà il nostro Dio, la nostra gioia e il nostro bene.

Ne seguirà che, malgrado la sua tendenza verso l'avvenire — tendenza alla quale la Chiesa non può rinunciare, poiché essa raccoglie nel suo seno tutti i tempi, ed essa vuoi sopravvivere a tutto ciò che vuole assicurarsi l'avvenire — la Chiesa si occuperà soprattutto del presente; essa sarà perciò eminentemente pratica, realista, opportunista nel più ampio senso della parola, cioè essa chiederà ad ogni situazione e ad ogni tappa sociale non tanto di modificarsi, il che un giorno dovrà pure fatalmente avvenire, quanto di dare tutti i suoi frutti; chiederà cioè non tanto di concludere per l'indomani quanto di salvare l'ora presente, persuasa come essa è che non v'è sistema così imperfetto che il buon volere non renda fecondo in virtù e felicità, orientandolo per sovrappiù verso un sistema migliore.

184

Come dunque la Chiesa, dal punto di vista politico tollera tutti i regimi, chiedendo non nuove costituzioni ma sane applicazioni di quelle esistenti, così dal punto di vista economico o sociale essa richiede non tanto l'abbellimento della cornice quanto la buona condizione del quadro.

Virtù, saggezza, fraternità: ecco ciò che essa predica innanzi tutto, oggi, domani, sempre. E di secolo in secolo, a mano a mano che la spirale sale e che le possibilità si ampliano, richiedendo sempre le stesse cose, essa esige di più.

Sembra che si dica 'una cosa esagerata quando si pretende che la Chiesa abbia ciò che le occorre non certo solo per promuovere la vita sociale, ma per farle raggiungere il suo completo sviluppo.

Ma è la pura verità. Esprimendola sotto altra forma o presentandola per gradi, si guadagnerebbero forse a questa verità, molte intelligenze a prima vista refrattarie.

Vi sono indubbiamente poche persone colte e sollecite della loro reputazione intellettuale che vorrebbero rifiutare di sottoscrivere questa equazione: Cristianesimo eguale socialmente a civilizzazione; paganesimo, buddismo, islamismo... ateismo eguali a imbarbarimento, sprezzo delle condizioni di vita, sacrificio dell'individuo alle collettività oppressive o, inversamente, della collettività ad individualità traboccanti.

Ora, se storicamente— e i più grandi uomini lo hanno riconosciuto in ciò che conceme il passato,

185

però pronti alcuni a riconoscere che in avvenire le cose andranno diversamente e ciò in base ad una semplice ipotesi — se dunque storicamente il cristianesimo si rivela quale il vero educatore del genere umano in materia sociale, basta, per confermare la nostra proposizione, aggiungere ciò che abbiamo già detto: La Chiesa è la rappresentazione autentica del cristianesimo, la sola completa, la sola in tutto fedele, la sola attrezzata a fondo e particolarmente dal punto di vista sociale.

- La Chiesa non ha pertanto ciò che a taluni sembra la condizione sine qua non dei successi sociali. La Chiesa non ha sistemi economici. Essa crede poco ai sistemi ed ha una maggior confidenza nella vita. E del resto anche se credesse interamente nei sistemi, non sarebbe questo il fatto suo. La Chiesa, che possiede una rivelazione religiosa, non ha invece rivelazione scientifica. Essa lascia il mondo abbaii-. donato alle dispute degli uomini. Tutto la riguarda, dicevamo; ma tutto la' riguarda nel senso che essa intende esercitare la sua influenza su tutto, ma non perché essa voglia assumersi tutto a suo carico e rendere inutili le nostre particolari competenze o assorbire le nostre responsabilità.

Se nel corso dei tempi essa fu condotta più di una volta a fare dell'azione sociale per suo conto, ciò fu per rendere dei servizi, ma non per adempiere alla sua missione. In fondo la Chiesa si attiene all'atteggiamento del Redentore quando due giovani gli si avvicinarono in mezzo alla folla 'e uno di essi gli disse: Maestro, dì a mio fratello di dividere con me la nostra eredità. — Uomo, rispose Gesù, chi mi ha posto giudice tra di voi per fare le vostre divisioni?

186

Ma volendo egli far risaltare che il suo distacco dalla tecnica delle divisioni e riguardo alle divisioni dirette non aveva altro scopo che quello di sgombrare la :'ia all'azione morale soggiunse: « Astenetevi soprattutto da quaisfiasi avidità di denaro ».

L'azione morale è dunque, secondo Gesù, il mezzo con cui opera la sua Chiesa. Ma questo mezzo in materia di vita collettiva compie lo stesso ufficio dei cosiddetti valori morali in guerra.

Che importano il tiro rapido, il 75 e il suo treno pneumatico, la mitragliatrice su automobile o l'aviazione militare se chi combatte ha paura, tradisce o è antimilitarista? >

Che importa pure il sistema economico migliore se colui che dovrebbe applicarlo non lo fa, se cioè l'uomo manca alla cosa e questa al quadro che la comprende?

Ora vi sono tanti modi di venir meno a un proprio dovere, che l'azione della Chiesa avrà sempre possibilità di esplicarsi.

Vi è innanzi tutto l'utopia, questa maestra di demolire sotto il pretesto di costruire.

E' ben noto ciò che ha fatto la rivoluzione francese. Coi suoi sogni umanitari e la sua preoccupazione di riforme indispensabili, essa giunse alle atrocità ben conosciute per non aver saputo distinguere fra l'utopia e ciò che la realtà poteva portare di progressi effettivi e veramente utili. Essa abbattè le antiche istituzioni e al loro posto innalzò un cartello che portava il disegno di un grande edifìcio che non si sarebbe potuto costruire poiché non poteva esserlo. E nell'attesa si abitarono dei ruderi.

La Chiesa non ama le rovine e perciò essa non ama l'utopia. In base ai fatti osservati a passo a passo essa cerca le tracce di Dio e vi fa camminare l'uma-

187

nità affinchè questa possa marciare con sicurezza verso il vero ideale. ' S

Vi è poi l'errore, che conquista molti seguaci e'I che con ciò determina molti avversari per la Chiesa.^

Errori sulla costituzione della famiglia, sulla con-' tinuità della razza, sull'unità naturale delle nazioni,'3 sui rapporti tra l'autorità e la libertà, sulla giustizia-;

nelle relazioni tra la fraternità naturale e soprannaturale, sulla proprietà misconosciuta dagli uni e spin-'i fa all'estremo per mancanza di umanità negli altri,,:' sulla disuguaglianza od eguaglianza degli uomini di fronte ai destini terreni ecc... l'elenco dei possibili errori è molto lungo, poiché in fatto di aberrazioni il campo può essere molto vasto per l'umanità che assomiglia sempre più al contadino ubriaco a cavallo di cui parlava Luterò; lo si rialza da una parte, diceva, e cade dall'altra.

La Chiesa, resistendo con un'energia serena e invincibile rende un servizio molto doloroso per lei, perché esso la espone a contraddizioni e ire che stancherebbero chi non avesse la sua pazienza. Ma la contropartita di questo servizio è pari a quella di tutto l'ordine naturale e divino che essa difende, in base alla convinzione che la crescita degli esseri, viventi o corpi sociali, non può avvenire che conformemente alle loro leggi, e che è stato proclamato da Colui che era maestro di vita: « Ogni pianta che non sia stata piantata dal mio Padre celeste sarà estirpata ».

Vi è ancora come compito morale assunto dalla Chiesa l'opposizione ai disordini, alle violenze che calpestano e non producono, ai vizi e agli egoismi che consumano in breve tempo ciò che era stato prodotto dallo sforzo febbrile o dalla lunga fatica delle generazioni.

188

Quando la carne, anche se civilizzata, la vince sullo spirito, e la natura corrotta sulla grazia, la barbarie più o meno dorata non è lontana; la sete di godimento vi risospinge nella miseria in mezzo alle ricchezze, alle amarezze pur tra le più ampie risorse di felicità. Si diventa avversar! per invidia, non essendolo più per bisogno. Riprende la lotta delle belve e, come in un naufragio ci si assale l'un l'altro per un rottame di tavola, così ci si batte qui per il sue- ' cesso, che procura il piacere scioccamente confuso-con la felicità.

Si sa bene che il desiderio di godimento è altret-:' tanto crudele quanto la volontà di vivere. La voluttà è più implacabile della fame. Ed essa è tanto più pericolosa nelle sue esigenze in quanto queste non sono limitate dal bisogno, ma si attuano senza freno spingendo la società e gli individui verso il baratro.'

La Chiesa deve infine vincere l'inerzia che av- ';

vince coloro che si .sentono soddisfatti e che impedi- ' sce loro, essendo ormai giunti sulla vetta, di porgere agli altri la scala per salire. I sofismi conservatori r-on sono più graditi alla Chiesa delle tesi rivoluzionarie. Rassegnarsi per sé non è sempre virtuoso, ma rassegnarsi per gli altri è un desiderio di pace troppo facile. La pace è una bella cosa, ma non quella del cimitero. La pace dei morti deve essere la lezione dei vivi: essi riposano dopo aver agito; bisogna dunque aver agito per aver il diritto di riposarsi. E' ciò che ricorda la Chiesa con la legge del lavoro e con l'incoraggiare, come essa fa, la cooperarione nel campo delle opere. Opere di carità che leniscono i dolori, ma soprattutto opere sociali che creano la forza: è ciò che essa ricorda a chi si addormenta dopo il pasto fatto alla tappa.

189

In opposizione coi socialisti urlanti che non par- . lano che di brigantaggio padronale, di ferocia capitalistica, di cart^ di infamia non si sopporterebbe che si tratta del libretto di lavoro dell'operaio! — la Chiesa è pure in opposizione, tanto la sua missione le impone di volgere le spalle a tutti gli estremismi; a coloro che vorrebbero consolare l'operaio povero, dicendogli semplicemente: Fa economia! oppure: la situazione del piccolo s'è migliorata, il che e vero, ma come quella del malato al quale si concede un angolo del focolare; oppure ancora: Vi sono ovunque sofferenze ; il denaro non da la felicità; gli operai di un tempo erano forse più felici dei nostri, nella moderazione dei loro desideri: cose a cui posi-siamo anche sottoscrivere, ma che non portano ad alcuna conclusione quando si tratta di adempiere ad .un dovere.

Coloro che, senza rendere alcun servizio, si contentano di predicare la virtù alle folle, devono aspettarsi che la Chiesa, attenta alle folle come a loro stessi, predichi loro invece la virtù. La virtù cioè è quaggiù la fraternità soccomtrice, il giusto apprez-; zamento della sofferenza o del diritto, lo sforzo virtuoso verso un'organizzazione che superi in ampiezza la loro piccola carità quotidiana e ponga rimedio, nella misura del possibile, di quelle «sofferenze immeritate» che Leone XIII un giorno ha denunciato al mondo.

« La società, ha detto un filosofo cristiano, è in istato di peccato e di peccato mortale»; chiunque partecipa a questo peccato con l'approvazione o rifiutandosi di portare il suo . aiuto è colpevole. '. La Chiesa glielo dice e chiama il peccatore al suo tribunale. -, " . !1" ''1!'::••:

A maggior ragione la Chiesa, se condanna l'egbi^,

190

smo passivo che nega il problema, troppo pigro per risolverlo, condannerà l'egoismo aggressivo che tende verso l'ingiustizia positiva, rifiutando il giusto salario dovuto, opprimendo il debole con un lavoro eccessivo mal regolato, male adattato alle condizioni;

dell'igiene materiale o morale, dandosi all'usura nelle sue diverse forme sotto il manto di questa parola che oggi serve da copertura per tante merci diverse: gli affari.

Per mezzo di questa azione morale, che è la sua specialità superiore, la Chiesa pretende senza dubbio di ottenere innanzi tutto un certo benessere per la vita presente, trarre partito dalle situazioni e salvare le anime; noi abbiamo detto che è questa la sua prima preoccupazione; ma essa intende parimenti preparare regimi più equi. Quando questi saranno raggiunti, prendendone atto, come essa ha fatto di quell1' già ottenuti, essa ne imporrà i doveri e cercando e-sclusivamente a questo livello, in ciò che la concerne, il Regno di Dio e la sua giustizia, otterrà per sovrappiù un ulteriore progresso, pronta ad applicare anche a questo la stessa regola.

In tale genere d'azione, nessuno può lottare conia Chiesa. Questi mezzi superiori che sono i sentimenti di giustizia, fraternità, fedeltà a se stessi e agli altri, devozione, sobrietà, pazienza, essa è in grado di far trionfare per quanto lo permette il cuore umano ed essa vi si adopera.

Psicologicamente, essa mette in opera tutti i mezzi che la sua lunga pratica le ha rivelato e che la scienza attuale conferma, dopo che la scienza di ieri, abbandonatasi a uno stretto razionalismo, aveva trascurati. '

Socialmente, essa è l'organismo ammirevole di cui abbiamo studiato l'anima e di cui ci rimane a de-

101

scrivere il corpo, con la sua estensione mondiale, la sua potenza organizzativa, la sua membratura colossale e flessibile, la sua ricchezza 'di funzioni, la sua professione di specialità, capace di raggiungere, dalla sommità alla base della scala dei valori spirituali, delle situazioni sociali e delle anime, tutti gli infiniti elementi del corpo sociale per galvanizzarli in vista del bene. '

Dal lato soprannaturale essa possiede le sorgenti sacramentali, la preghiera, la presenza divina e fraterna che è l'oggetto del suo culto, la comunione delle anime, e Dio, che ha dichiarato per mezzo del suo Messia: «Io sarò in mezzo a voi, ovunque sarete riuniti in mio nome In due o tré persone».

Dio con noi, in noi, cioè nei nostri gruppi come nelle nostre coscienze, sarà sorgente degli stessi effetti: organizzazione, santificazione, progresso. Come lo Spirito Santo, quando vive nei nostri cuori, vi pone il bene spingendoci verso il meglio, così lo stesso Spirito, che è l'anima della Chiesa, vivente nel corpo sociale, vi produrrà l'effetto organizzatore, san-tificatore, progressivo che attendono i fatti sociali.

Però anche dopo di ciò non pensiamo affatto che si possa avere il paradiso in terra; noi crediamo alla valle di lagrime. Noi lasciamo ai sognatori l'età dell'oro; il nostro paradiso è altrove. Ma la giovinezza del mondo dovrà per altro diventare età matura.

«E' Dio che si agita nei cuori di vent'anni » diceva Lacordaire. E' lui pure che si agita nelle società che sono premute da uno sforzo di rinnovamento. La Chiesa non può far a meno di dedicarsi a questo compito, essa che è « corpo di Dio ».

Se la Chiesa dovesse scomparire, del progresso sociale dovuto al Vangelo succederebbe lo stesso co • me del cadavere che vegeta ancora per qualche tem-

192

pò e persiste nella sua forma dopo il distacco dell'anima; ma la decomposizione verrebbe presto. Ne vediamo degli indizi che non ci invitano a spingere oltre l'esperimento. E che cosa diverrebbe l'ideale di rinnovamento umano, qualora l'umanità non avesse più il suo principio di vita!

193

13. — La Chiesa.

;fCAPO X tA POLITICA

La questione sociale, che abbiamo considerato non ha relazione diretta con la divisione degli uomini in nazioni. E' una questione di classi, di situazioni e di compito concementi la produzione, lo scambio e la distribuzione dei beni: non è una questione politica.

Resta dunque da esaminare quest'ultimo caso, innanzi tutto all'interno di ogni nazione e poi tra le diverse nazioni. Ci limiteremo ad esporre l'essenziale, che è semplice.

Il carattere fondamentale del cattolicismo, dal punto di vista della sua materia, è l'universalità. Il cattolicismo ha la pretesa di essere la religione dell'uomo. E allora se essa è tale, è la religione dei francesi, degli italiani, degli inglesi, dei tedeschi, eoe.

In queste condizioni la Chiesa, organo della religione universale, società di uomini uniti in Dio, non può conoscere frontiere; essa è di diritto internazionale.

Ne segue che all'interno di ogni Stato essa è presente nella vita nazionale senza appartenervi. Essa vi agisce fortemente, ma senza abbandonarsi a ciò

194

che vi è di esclusivo e senza lasciarsi vincolare a punti di vista particolaristici. Essa respira l'atmosfera nazionale e non si potrebbe dire che i suoi mèmbri, anche religiosamente, ne restino influenzati; non \ vi sono nella vita paraste impermeabili. Ma in fondo . ciò che fa vivere il cattolico francese od italiano, in ».;

tanto in quanto cattolici, non è tanto l'atmosfera ;• :

francese od italiana, ma è il fluido etereo comune a tutti, cioè le verità e gli impulsi, le luci e le aspira- . zioni che nel cattolicismo costituiscono la vita comune delle anime, . ^

. Ne segue la conferma che la Chiesa nel suo com- ;. plesso non solo non può obbedire ad alcun governo,^ il che sarebbe contradditorio poiché qualora essa ob- ì,' bedisse all'uno dovrebbe disobbedire all'altro, me essa non può neppure ammettere che in materia religiosa nessuno dei suoi mèmbri obbedisca ad altri governi. E' solo essa che, pure nell'interno dei diversi ? stati, governa nel campo spirituale tutte le; persone ;• religiose. ',v;;

Suddito dello Stato e suddito della Chiesa; appar- •;' tenenti ad una data nazione e figli di Dio Padre d^'i tutti e del Redentore appartenente a tutti coloro che' :^ sono compresi nell'organizzazione cattolica: tale è ìa:;,':

doppia situazione di ciascuno di noi. , i'f;',

E' in questo senso che bisogna comprendere come ;

la Chiesa, società perfetta, non si lasci ne assorbirò: ;( ne giudicare. Sul terreno nazionale essa rimane in-.-';

temazionale; a fianco del governo di una nazione es- < sa è libera. ^ : .

Ancor più — ed è qui che l'opposizione diventa , per certuni furore —la Chiesa pretende di avere autorità di governare, nel campo spirituale, tanto i gruppi quanto gli individui. Sovrani, presidenti di repubblica, ministri, parlamentari, generali, ammini-

195

Strafori, quando essi siano cattolici sono, come tali, cioè nei campo spirituale, suoi sudditi non solo a titolo individuale ma anche in quanto capi. E ciò perché essendo il punto di vista religioso relativo ai nostri ultimi fini, non può straniarsi dalla vita dei gruppi; poiché il divino conceme anche tutto l'umano, che è sociale; poiché il Redentore col dare incarico alla Chiesa di istruire le nazioni, non ha voluto parlare solo delle loro briciole, che sarebbero gli individui isolati, ma delle nazioni stesse, degli uomini quali essi sono, organizzati in famiglie di ogni ordine; cioè famiglie propriamente dette, gruppi d'amici, gruppi professionali, associazioni di ogni genere, e nazioni.

C'è in, ciò, bisogna ammetterlo, un possibile ger-me di conflitti che la migliore volontà da una parte e dall'altra non riuscirebbe del tutto ad eliminare, le cui passioni — sia laiche sia religiose — hanno costituito la piaga della storia, deplorevole serie di equivoci, di reciproci rimproveri e di lotte.

Il Salvatore vi pensava certo, lui che aveva l'abitudine di avvicinarsi ai suoi con le parole: « La pace sia con voi! » quando diceva melanconicamente:

« Io non sono venuto in questo mondo per portarvi la pace, ma la spada». Triste constatazione che si verifica dall'inevitabile opposizione di Gesù al sinèdrio sino ai nostri kultur-kampf e alle nostre separazioni della Chiesa dallo Stato.

Non ci addentreremo nell'esame delle cause che provocano i conflitti. Ma possiamo dire che, in linea di diritto, non vi possono essere conflitti giustificati, che le cosiddette pretese della Chiesa non sono pretese, ma diritti; che la sua autonomia non incide su quella dello Stato, poiché entrambi costituiscono due ordini diversi e che essa riconosce la sovranità

196 .

per entrambi e che invece la religione è cosa sufficientemente preziosa e fondamentale, essendo essa i! mezzo di raggiungere l'unico necessario, e per superare le difficoltà che la saggezza può sempre velare quantunque non pensiamo di poterla mai vincere.

Le nazioni passano, ma Dio e l'anima restano. La politica, questo rumore del tempo non può esigere che le si sacrifichi l'etemo. E parlando di eterno, non è questione per noi di intendere ciò che vi è dopo la vita, ma di ciò che esiste sempre.

La società non è per l'uomo una condizione permanente di esistenza e di felicità. Ciò che essa procura non è che transitorio. Ordine, benessere, pace, progresso sono dei grandi beni: la Chiesa non lo nasconde. Ma il tempo non dura che per un certo tempo. La corsa dei popoli come la corsa degli uomini e il moto della terra non è che una corsa .alla morte. Farfalleggia la povera terra intomo al sole; essa si affretta e si esaurisce; ma la farfalla si getterà infine sulla fiamma o si agghiaccerà per averla vista spegnere, e il nostro rumore e i governi, nel loro nulla postumo, avranno il tempo di meditare, come nella Leggenda dei secoli.

Sulla forma che prende il trono nella tomba.

Durante tale tempo l'umanità religiosa unita al Redentore e non avendo fatto' altro, come lui, che attraversare la morte, sarà vivente e felice. Da militante essa sarà divenuta trionfante. Essa lo sarà perché avrà seguito la sua legge e non quella di organizzazioni soggette a perire. La traiettoria del proiettile non dipende forse dal mezzo in cui si muove? La parabola che raggiunge la terra e l'iperbole che va verso l'infinito non sono intercambiabili, . .

Si lasci dunque che la Chiesa vada verso il suo

-197

Dio attraverso le realtà del mondo. Si lasci che essa abbia ad esortare, soccorrere, correggere, guidare, e preoccupata solo dei nostri doveri, che possa dire a tutti, capi e sudditi: Cercate innanzi tutto il Regno di D'io e la sua giustizia. Sappiamo bene, poiché il Vangelo non niente, che questo primo necessario non è in contrasto in realtà con ciò che è utile; che tutto il rimanente vi si aggiunge per sovrappiù.

Invero, fatta pure parte agli elementi accidentali inevitabili in cose così complesse, agli abusi, pure inevitabili in un mondo di peccato, da parte dei rap-• presentanti dell'uno o dell'altro potere, la Chiesa che ; a certuni sembra così insopportabilmente esigente, , accaparratrice, importuna e molesta, in fondo è invece l'alleata indispensabile, il soccorso prowiden-'• ziale anche in materia puramente politica.

. «Dopo aver servito prima Dio», come diceva Gio-; vanna d'Arco, gli stati non saranno che meglio ser-'fviti. La sottomissione alla Chiesa in ciò che la ri-. guarda garantisce tutto il resto, tanto le libertà le-''gittime quanto le giuste prerogative del potere.

, « Vi sono alcuni che pretendono, scriveva Sant'Agostino (1), che il cristianesimo sia nocivo allo Stato!... Che costoro ci mostrino dunque un esercito costituito da soldati quali il cristianesimo vuole che "siano; che ci mostrino dei registri di province, dei mariti e delle mogli, dei genitori e dei figli, dei padroni e dei servitori, dei rè, dei giudici, e più ancora, dei contribuenti e degli esattori quali il Cristianesimo li vuole... e quando avranno fatto ciò, liberi di ripetere la loro accusa ».

(1) Epist. 138 Ad Marcellinum, citata da Leone XIII nell'Enciclica Immortale Dei.

''198

Se lo spazio ce lo consentisse, si potrebbe mostra-, rè in particolare che le condizioni di vita imposte dalla Chiesa, quantunque ci portino più lontano dei risultati attesi dalla politica, includono pure in se stesse e favoriscono al massimo le condizioni della vita politica.

Si potrebbe dire che tré sorta di fatti compongono tutto il decorso della vita politica: i fatti morali in-,;

dividuali, nel senso che ciascuno vale per il gruppo,;

ciò che innanzi tutto vale per se stesso; i fatti d'ob— bedienza, dovendo il singolo sottomettersi con la leg- ' gè alle esigenze della vita collettiva; i fatti d'autorità m quanto l'unità nazionale e il bene pubblico, che è lo scopo di tale unità, sono rappresentati e devono essere difesi e spinti sempre verso più alte mete da capi convenientemente scelti. > ,

Per tutti questi fini non si può contestare l'immensa utilità della Chiesa.

Agli individui essa dice: Rispettatevi l'un l'altro nel vostro fisico, nell'anima, nelle vostre attività, come rispettate i templi di Dio ed essa aiuta gli individui in questo senso. Ai capi essa dice: I principi dei pagani dominano i loro sudditi; voi non dovete fare altrettanto: ma colui che è alla testa di un popolo sia il servitore di tutti; e quando i capi le obbediscono essa ne fa dei santi come S. Luigi di Francia e S. Enrico di Germania, dedicatisi sino al sacrificio per la grandezza e la prosperità dei loro popoli. Ai sudditi infine essa dice: Ogni cittadino deve essere sottoposto alle autorità poiché questa viene da Dio; tutte le autorità esistenti sono state istituite da Dio; e perciò chi si oppone all'autorità resiste all'ordine disposto da Dio stesso.

La vita, retaggio divino, l'autorità a vantaggio di tutti e , Pobbedienza al potere legittimo come a Dio:

199

ecco le tré nozioni complementari, praticamente inculcate, che formano la morale della Chiesa nei suoi rapporti con la vita pubblica. Ciò vale bene il contratto sociale, o la solidarietà prospettata come fatto bruto e che non porta ad alcuna conclusione, o a più forte ragione la lotta per la vita o bene o male temperata da interessi convergenti o da un vago altruismo sempre combattuto.

Il soprannaturale come motivo e il soprannaturale come mezzo: tali sembrano essere le condizioni superiori di una vita politica veramente degna dell'uomo. '

Se questo fosse vero, l'atteggiamento della Chiesa con i suoi aspetti esigenti sarebbe semplicemente del tutto materno.

Quando non è più Dio che regna per mezzo del sovrano, è il sovrano stesso che si fa Dio, che questo sovrano sia un uomo o un partito. Quando non è più Dio che regna nel cuore dei sudditi, è la natura peccatrice ed anarchica che la sostituisce. « Non vi è nulla di più socievole per natura dell'uomo, ha lasciato scritto Sant'Agostino; non vi è nulla di meno socievole quando si corrompa ». Applicando i mezzi della religione per vincere la corruzione in alto e in basso, la Chiesa fa dunque un'opera politica pili preziosa delle combinazioni politiche. Disinteressandosi per delicatezza delle forme, essa lavora sul fondo e lo predispone alle forme migliori.

Se si riguardasse il passato, si potrebbe vedere — e qui ancora tutti gli storici imparziali hanno portato la loro testimonianza — quali servizi eminenti, o più che eminenti, ha reso la società religiosa cattolica. Alcuni eccessi di potere rilevati qua e là nel corso

200

della sua lunga storia non possono far dimenticare che la Chiesa ha portato il mondo moderno sulle sue ginocchia. La politica moderna è sua figlia per ciò che essa ha di superiore ai regimi dispotici o alle licenze sfrenate del passato anticristiano.

Si potrebbe ancora aggiungere: Più di ogni altro regime, la nostra democrazia ha bisogno dell'azione della Chiesa, poiché il .suo valore dipende del tutto dal valore di ciascuno e di tutti, essendo tutti sovrani come pure tutti soggetti alla legge e come pure costituendo tutti materia sociale.

Ogni pensatore dopo Aristotele lo ripete e lo si diceva probabilmente anche prima di lui: Le prevaricazioni di una democrazia hanno maggior importanza distruttiva dei delitti di qualsiasi principe od aristocrazia.

La democrazia è un mare; la Chiesa universale sarebbe la riva immensa che ne contiene le acque, illuminandole coi suoi fari e mantenendole sul fondo destinato a contenerle: natura che protegge la sovran-natura, come il cielo preserva la terra dall'aridità e coi venti che vi soffia, ne allontana la corruzione.

20i!

CAPO XI LA VITA INTERNAZIONALE

L'atteggiamento della Chiesa verso la vita internazionale non deve forse procedere dalla sua cattolicità più ancora dei suoi pensieri di politica interna?

Per mezzo della sua azione spirituale la Chiesa vuoi congiungere l'umanità a Dio. Ora l'umanità significa collettività, ma significa pure unità e ciò significa infine costituzione complessa in cui l'unità dell'insieme e l'unità relativa dei gruppi parziali lascia sussistere la molteplicità degli individui e dei gruppi.

La religione, proponendosi di divinizzare l'uomo nel senso che abbiamo spiegato, deve tener conto di questa complicazione e non deve ne tendere all'unità passando oltre i confini naturali stabiliti dal fattore umano ne deve chiudersi in questi confini così da perdere di vista l'ideale unitario che si fonda sui primi fatti reali doride essa trae le mosse.

Tutti gli uomini, rispetto alla Chiesa, costituiscono un'unità, a cagione della loro filiazione comane in relazione a Dio, del loro destino comune in Dio, della loro solidarietà nell'azione, nella responsabilità di a-zioni malvage collettive, nel comune riscatto del Salvatore.

La grazia è fatta per tuttì e il primo effetto della

203

grazia è la carità, cioè l'unità di tutti gli uòmini in'-Dio. Ma per unire gli uomini non si comincia a dividerli dissolvendo i complessi stabiliti dal funzionamento normale della vita. Per costruire una casa non si comincia a rompere le pietre.

Bisognerà dunque aspettarsi che la Chiesa da un lato mantenga l'unità del genere umano nel Signore e dall'altro consacri ad ogni tappa della civilizzazione e in tutti gli ordini, i complessi moralmente costituiti — o in ogni caso moralmente sussistenti — i;

cui confini sono per il bene dell'umanità come le pareti degli alveoli, che costituiscono la membratura dell'alveare e impediscono al miele di spandersi.

Si può riscontrare in queste poche parole tutta la dottrina che dovremmo esporre, se fosse possibile di trattare qui con qualche ampiezza il vasto argomento-adombrato dal titolo: La Chiesa e la vita internazionale. !

L'illuminismo distruttore e orgoglioso dei •:<• cittadini dell'universo » non può essere la divisa della Chiesa. Essa vi vede, intellettualmente, una deviazione, visto che l'unità del genere umano si costituisce per gradi e non direttamente dall'individuo al tutto, come se si potesse formare un essere vivente semplicemente ammonticchiando degli atomi, in luogo degli atomi costituenti le molecole che a loro volta formano le cellule, i tessuti, gli organi e finalmente il':

corpo.

Le divisioni geografiche o etnografiche, le conti— genze storiche che hanno creato le patrie sono fatti reali. Trascurarli e pretendere di voler unire il genere umano fuori dello spazio e del tempo, senza tener conto dell'uno e dell'altro, è un colpo d'ala che si può credere volentieri geniale, ma la cui inescusa-bile leggerezza offende la Chiesa.

203

Essa vi ripugnerà tanto più in quanto in questo sentimento internazionalista la Chiesa vede delle deviazioni morali che non possono avere assolutamente la sua approvazione. Risorgere dello spirito di casta, che vuoi sostituire all'amore dei figli di una stessa terra una coalizione internazionale d'appetiti;

spirito d'amatore e di .dilettante, cittadino del mondo, come si suoi chiamare, ma in realtà del suo piccolo pezzo di terra, della sua camera o della sua biblioteca; preoccupazione di tranquillità scaltra che promette a tutto'il mondo per non dover pagare ad alcuno, trovando comodo di associare queste due cose che non costano nulla e che portano della gloria- cosmopolitismo verbale ed egoismo effettivo: la Chiesa apprezza poco questo modo di schivare il dovere. Essa dichiara che noi dobbiamo innanzi tutto sentire amore per Dio e non ricusare l'onore di servirlo e dopo Dio dobbiamo queste cose non all'umanità immediatamente, ma a nostro padre e a nostra madre, alle nostre famiglie, alle nostre patrie. All'umanità dopo.

Ma si è detto: Dopo, ciò non vuoi dire che l'umanità debba essere trascurata o negata. E' per questa ragione che la Chiesa, dopo aver benedetto il patriottismo o, per meglio dire, dopo averlo imposto;

in nome della sua morale, si volge contro coloro che vogliono dire: questo basta.

• No, questo non basta. I confini sono sacri, ma la loro funzione non è quella di formare tra di noi dei compartimenti stagni, bensì di preservare il bene del-. l'umanità, di fornire appoggi ai sentimenti affinchè essi procedano in cerchi concentrici dal più interno al più lontano, senza dimenticare però che ciò che è

204 '

lontano, in Dio è del tutto vicino; lo scopo è di graduare i doveri per impedire loro di disperdersi e di cadere nella contusione e nell'anarchia, ma non è quello di farne dimenticare alcuno.

E non abbiamo forse dei doveri, individualmente o collettivamente, verso ciò che noi chiamiamo l'estero? L'estero, per la Chiesa, è semplicemente un prossimo più distante, un fratello talvolta poco simpatico, forse ingiusto, colpevole nei nostri riguardi, spesso aggressivo, come del resto anche nelle famiglie si trovano fratelli poco simpatici, aggressivi o colpevoli.

Precisamente, l'ideale dei rapporti internazionali sarebbe, nei riguardi della Chiesa, analogo a ciò che potremmo compiere come formula di rapporti tra fratelli male assortiti per natura, di caratteri diver-sissimi, di interessi divergenti, ed esposti per conseguenza a liti; ma che tuttavia avessero la buona volontà di adempiere ai loro doveri cioè di tirare le conseguente della loro fraternità, di cui il minimo è la giustizia.

I giuristi di diritto internazionale — a differenza dei teologi, per i quali l'avvenire non avrà a questo riguardo sufficienti lodi — non si sono ancora innalzati all'altezza di questa concezione. A cominciare da Montesquieu e per finire coi recentissimi, tutti dicono: Le nazioni sono sovrane. E con ciò intendono che ciascuna è murata in se stessa; non dipende cioè ne moralmente ne giuridicamente che da se stessa; non ha per doveri che quelli che le piace di assumere in vista del suo bene o vantaggio, sempre padrona di rescindere il contratto se viene ritenuto troppo oneroso e di ricorrere alla forza per risolvere le questioni dette d'interesse vitale o d'onore — cioè, in realtà, tutte quelle il cui interesse è

205

più grande di quello di essere fedele ai propri impegni e di usare un riguardo ad un vicino utile.

Alla base di tutto ciò sta la dottrina grossolana della lotta per la vita, cioè la concezione che ogni vivente, animale, uomo o popolo non ha altra legge di azione che quella di salvare se stesso, tutto ciò che costituisce il suo ambiente, prezioso o no agli occhi della ragione, fraterno o no nei riguardi di una religione e di una morale disprezzata, non considerandosi esso che materia atta ad assimilare allo .scopo di procurarsi una vita più felice o più comoda.

Questa tesi barbara, figlia di una scienza fuori strada, è agli antipodi delle concezioni della Chiesa. Essa deplora l'immoralità profonda che sta alla base dei rapporti dei popoli. Se essa vi interviene raramente, ciò dipende dal fatto che è disarmata di fronte a tanti rancori ed egoismi e la sua saggezza paziente applica la regola che essa pone a base di ciò che si suoi chiamare correzìione fraterna: non av-' vertire e non correggere di un errore se non quando ne speri un miglioramento, senza di che non fai che aggravare il male. /• , .'•',

Ma disarmata o no, la Chiesa ha il dovere di proclamare l'ideale ed essa lo fa in quella preghiera di cui si dovrebbe far presente il sublime a coloro che trovano la Chiesa stessa retrograda: « O Dio, che hai dato ai tuoi figli questo mondo per coltivarlo, fa che essi abbiano un cuore ed un'anima sola così co-' me non hanno che una sola dimora ».

Questa unità morale degli uomini non è affatto' una chimera: è legge. Non si spera di vederla obbedita correntemente, poiché gli ostacoli sono troppo numerosi e gli interessi e le passioni sono intrecciati in modo troppo complesso. Ma è sempre legge. E bisognerebbe almeno conoscerla, esseme con"

200

vinti e sforzarsi di osservarla, sia pure cadendo 'spesso come si fa in altri argomenti. , .iS- '

Tutti i. cristiani dovrebbero essere pronti a fir-,mare le seguenti proposizioni: . !^'

Primo: non vi è diritto della forza.

Secondo: le relazioni internazionali, come i rapporti privati, sono regolati dalla legge morale. ,,•'

Terzo: in conseguenza ogni nazione, pur cercando!;

il suo interesse e difendendolo con tutti i mezzi onorevoli, ricuserà di ricorrere alla violenza, alle frodi, ai procedimenti intimidatori, all'impiego di tradito-' ri, spie sleali e generalmente a tutto ciò che offende ' la morale, come le persone oneste la intendono. ;

. Quarto: dal più forte, al più debole, dal più ci-'-:

vile al meno civile, dal più morale al meno morale,' si stabiliranno, conservate le proporzioni, gli stessi, rapporti che si hanno in una famiglia tra il maggiore e il più giovane, tra colui che ha il successo e chi non lo raggiunge, tra chi comprende il suo dovere e chi lo rifiuta.

In caso di conflitto, sapendo che non sono cose, compatibili l'essere giudice e parte in causa, si cer-} cherà un arbitro. ; ,

Se malgrado tutto ciò, la guerra scoppia, impo-,sta dalla cattiva volontà di uno dei popoli o a cau-,.' sa di circostanze che non consentono di ricorrere al-. le vie del diritto, l'azione bellica non dovrà propor- . si che il ristabilimento della giustizia, comprese le ;

indennità, in luogo di conquiste ingiustificate, di esi-gonze draconiane e di vendette.

Siamo purtroppo ben lontani da tutto questo! Tale è purtuttavia, nel modo più netto ed assoluto, il pensiero della Chiesa.

207

Oseremmo aggiungere che, per il suo pensiero profondo, in quanto la Chiesa porta il Vangelo e ne sconta senza limitazioni tutte le. promesse, questo non è che un minimo? \ -,

Permettiamoci questa audacia e imitiamo colorò, che non temono di affrontare i larghi disegni, a ^.comprendere che per la Chiesa l'avvenire non consiste in uno spezzettamento anarchico i cui lati oscuri sono troppo evidenti, poiché la fraternità in Di,o e nel Redentore non ha, per ciò che riguarda la vita • delle nazioni, alcun organo giuridico, politico o so-: ciale; la cristianità d'un tempo nel senso di fratellan— ; za europea nella comune religione, è invero ormai morta, cacciata dalle ambizioni o dall'incredulità e nulla di laico ha preso il suo posto.

L'avvenire, se obbedisce al Vangelo, darà una sanzione alla nostra unità in Dio e in Gesù Cristo.

Quale? Chi potrebbe avventurarsi a profetarlo? Non faccio propaganda per gli Stati Uniti d'Europa ne per le confederazioni mondiali organizzate a tavolino per dei creduloni e dei fantasticatori. Ogni uomo serio dichiara che la vita soltanto conosce le vie della vita e che nei riguardi soprattutto di questi stati futuri incommensurabili ogni ipotesi è senza valore e ogni profezia ridicola.

Ma non è profetare il dire: L'unità religiosa degli uomini deve avere — e ciò già sin d'ora — le sue conseguenze morali e, un giorno, le sue conse- . guenze giuridiche e perciò, essendo il potere giuridico in senso stretto un attributo del potere politico, l'unità morale degli uomini dovrà avere un giorno — in qual forma non si può sapere— le sue conseguenze politiche.

Non si tratterà di sopprimere le nazioni, ma di collegarlé, limitando una sovranità che si pretende

208

assoluta, mentre essa è dipendente in quanto l'unità che essa rappresenta non è che unità relativa ne;

riguardi del genere umano uno per la natura e unito in Dio.

I Papi hanno tentato in altri tempi di trarre le conseguenze delle dottrine cattoliche. Ma essi 'non ;

riuscirono a raggiungere lo scopo che si prefiggeva- , no poiché la Chiesa non dispone, per definizione, che, di un potere spirituale e non ha perciò altra infuenza politica all'infuori di quella che le viene concessa, e non ha potuto resistere perciò alla violenza delle correnti separatiste. Ma ciò che la Chiesa da sola. non ha potuto fare e non poteva fare in un campo che non era il suo, l'avvenire lo dovrà fare sotto la pressione morale della Chiesa stessa.

Se il genere umano non sa organizzarsi sino all'estremo, continuando l'opera iniziata nei tempi in cui le famiglie isolate si sono costituite in città, le città in piccole patrie provinciali, queste in nazioni dotate di una larga potenza d'espansione; — se il genere umano dunque si rifiuta di costituire così la sua vera vita e di cominciare su questa .base ormai definitiva la sua reale evoluzione, dobbiamo dire che allora esso avrà mancato a se stesso, misconoscendo la sua unità fondamentale; avrà mancato a Dio, che è Padre comune e che non si serve veramente che andando da lui come fratelli; avrà mancato al suo Redentore che, concentrando in sé l'umanità una e Dio uno, ha potuto dire, sognatore sublime, nel momento in cui il sonno della morte cominciava a impossessarsi di lui: «Padre, che essi siano uno come tu ed io non scarno che uno ».

209

14. — La Chiesa.

Attendendo a quello che dovrebbe essere l'ultimo sforzo del lievito evangelico per far lievitare, come diceva il Salvatore, tutta la pasta, la Chiesa ha il dovere di predicare il Vangelo immediato, che consiste in relazioni morali, in attesa di organizzare le relazioni giuridiche e politiche tra i popoli.

La politica dei (incasenno per sé ha bisogno del correttivo che vi aggiunge il motto: Dio per tutti, e bisogna ricordarsi che nelle nostre coscienze è Dio che parla. Dio esercita la sua giustizia e la sua provvidenza per nostro mezzo. Ciascuno per sé e Dio per tutti, questo dunque in senso cristiano significa:

Cerchiamo il nostro interesse, noi popoli, come in un concorso o'gni candidato cerca di riuscire e, se può, di superare l'altro; ma la giustizia deve rimanere salva, la fraternità fondamentale pure, e il Dio di giustizia, il Dio di fraternità deve poter lavorare per il bene di tutti per mezzo dell'azione nostra e sua.

Quanto siamo lontani, ancora una volta, da rapporti di questo genere! Bisogna pertanto che i cristiani vi consentano; poiché questa è la condizione, innanzi tutto, della buona coscienza dei popoli e pure, come sanzione, di quel bene che non siamo più alla vigilia di perdere, di ciò che peraltro tutti chiamiamo la più grande ricchezza e che il Salvatore intendeva lasciarci in eredità nella stessa circostanza suprema prima accennata: la pace.

2t0

CAPO XII LA PACE

Per quanto si studi la .storia e ci si addentri nella complessità dei fatti, molti aspetti esteriori potrebbero velare la vera dottrina e la vera azione della Chiesa in materia di pace.

La religione è favorevole al principio d'autorità;

quando è il militarismo che tiene il potere, può sembrare che la religione lavori per esso e che perciò essa sia favorevole alla guerra. La religione ha tendenze conservatrici molto nette; essa non è per nul- ' la rivoluzionaria, quantunque indefinitamente prò-. grossista: sotto i governi bellicosi essa può sembrare'-', solidale della politica bellicosa per coloro che fra f contemporanei non hanno una larga visione. '

Ma ciò significa guardare le cose da un punto di'^ vista molto ristretto. Quello che importa è di sapere:, quale è, in fondo, la dottrina della Chiesa; dove con- ;

duce, in fondo, la corrente della sua azione. , '

A queste due questioni è assai facile rispondere. ^, La Chiesa è la fraternità in Dio; coloro che ne avessero un'altra concezione dovrebbero giustificarla, è:

se essi cercassero di tirarne un'apologià della guerra, come hanno fatto certuni, ciò sarebbe da ascrivere ;:

alla lor personale responsabilità.

2M

La nozione della Chiesa ci è parsa risaltare da questo: Dio padre comune che chiama tutta l'umana comunità unita nel Redentore a un comune de-, stino soprannaturale e che la costituisce perciò in un gruppo organizzato il cui carattere fondamentale, è l'unità nell'universalità, trovandovisi individui e popoli incorporati senza perdere in alcun modo la loro autonomia, ma disposti a lasciarsi guidare, nel campo spirituale, da un'autorità spirituale e penetrati da quello spirito unitario il cui effetto nei nostri cuori si chiama carità e il cui effetto esteriore sarà concorde, se vi si rimane fedeli.

La guerra invero non trova posto nel quadro, del, •cattolicismo. Non avviene per esso come per le, antiche religioni che favorivano la pace all'interno idei gruppi etnici, di famiglie ristrette di popoli, ma la scatenavano con maggior violenza all'esterno sotto il pretesto di istituzioni contrarie e dei rivali.

L'elevazione assoluta e l'ampiezza vastissima del .sentimento religioso cattolico non consentono più a chi lo penetra e se ne lascia penetrare di tendere in un egoismo devoto o in una devozione egoista ;e perciò litigiosa. Se è vero, come si è preteso, che la fraternità religiosa ha creato la storia greca, di cui le anfizionie furono uno dei grandi fattori, e così pure la storia romana e prima ancora la vita etru-sca — quanto più questa stretta fraternità, la fraternità universale dei cristiani dovrebbe creare, se fosse obbedita secondo la voce della Chiesa, una storia pacifica del mondo!

Noi cattolici non predichiamo la lotta per la vita, ma l'unione per la vita, per una più alta vita. Non pensiamo che il mondo sia abbandonato alla forza e che sia in essa, grazie alla selezione, il mezzo per progredire. Pensiamo invece che la legge fondamen-

212

tale del mondo sia l'amore, poiché questo è un concorso di forze. Pensiamo che nel regno umano questa legge raggiunge maggior estensione che non nella natura, grazie all'intervento della ragione e dei nostri sentimenti superiori, poiché nella natura la ragione e l'amore immanente in ogni cosa non sono secondati da un consenso prodotto dalla riflessione. E se la grazia viene poi ad illuminare la ragione di una luce superiore, rivelandole le intenzioni della Provvidenza e se i nostri sentimenti, penetrati da questa grazia allargano la rete in cui si lasciano liberamente prendere i nostri cuori, la nostra dottrina e le nostre tendenze saranno allora ancora più lontane da ciò che Lacordaire avrebbe chiamato una « dottrina ) canagliesca ». < '

No, il nostro Dio non è un Teutatè, ne Gesù un eroe di trilogia militare. E' stato detto sulla montagna ove risuonava la legge del Nuovo Testamento: « Beati i pacifici: costoro saranno chiamati figli di Dio ».'

La liturgia, riprendendo il tema, dopo aver chiamato Dio , « autore e amante della pace aggiunge:

« O Dio, donde provengono tutte le sante volontà, . i consigli retti e le opere giuste, da ai tuoi servi quella pace che il mondo non può dare... affinchè i tempi in cui viviamo siano tranquilli per mezzo della tua protezione ». Se si realizzasse questa preghiera i vi si vedrebbe nella sua più perfetta formula il vero pacifismo, quello che vuole la pace non per la viltà o l'illuminismo, ma per la rettitudine del volere, la saggezza del consiglio e la giustizia delle opere.

Infine i nostri santi, questi testimoni della dottrina, le cui vite sono come gli sguardi dai quali si può giudicare della continuità di una corrente che altrove sembra nascosta, sono gli uomini per eccellenza della pace>

213

Questo sembra ben semplice? Certo, ma a condizione che la Chiesa, come istituzione, predichi la pace, visto che i santi non hanno che la pretesa, essi che di pretese non ne hanno, di riflettere esattamente l'idea sociale che è alla base del raggruppamento cattolico. Ora, se essi appartengono ad una Città divisa, vi si comportano come S. Francesco di Assisi che riconcilia i majores et minores in lotta fra di loro. Di città in città essi fanno come Santa Caterina da Siena che percorre l'Italia gridando:

Pace! Pace. Di popolo in popolo, come S. Bernardo che si fa arbitro universale e non vuole la guerra che contro l'invasore orientale che minaccia l'avvenire della civiltà attaccando il campo evangelico.

L'ultima salita sugli altari di Francia, la più sublime, la più squisita, la valorosa e dolce eroina, Giovanna d'Arco, non fa eccezione. Questa Valchiria francese, come alcuni vorrebbero chiamarla, non fé-ce la guerra se non perché non potè evitarla; perché,?,',, evitando la guerra, sarebbe stato consacrare, l'ingiu- ';" stizia, l'invasione, la morte di ciò che le .stava più a;. cuore: la patria. La morte per sé essa seppe ben;:

accettarla, ma la morte per la Francia, no!

Essa rivolse agli inglesi lettere sopra lettere perché si decidessero a riconoscere le ragioni del K,® del ciclo, come essa si esprimeva nel suo linguaggio delizioso, cioè, evidentemente, a realizzare la giustizia. « Essa è pronta a fare la pace, diceva parlan- : ;

do di se stessa in terza persona, se vorrete darle ragione, di guisa che voi restituiate la Francia e paghiate ciò che avete occupato ».

Si rispose alle sue offerte chiamandola custode di vacche e libertina. Questo insuccesso le strappò, dice il suo cappellano Pasquerel, una gran quantità di lacrime. L'idea di dover versare del sangue la scon-

Sl4

volgeva. Asciugò poi le sue lacrime per combattere;

ma essa aveva impostato l'atto di protesta cristiana e aveva dichiarato il motivo della sua azione quando . essa disse, con quella vivacità francese che contrassegnava tutti i suoi atteggiamenti: Quanto agli Inglesi, la pace che ci occorre è che essi ritornino nel loro paese, in Inghilterra.

^Comprendiamo dunque che in realtà, se la Chiesa vuole la pace, nel senso che questo è il suo voto, il suo ideale, non ne segue però che essa voglia la pace ad ogni costo.

Ciò che la Chiesa vuole innanzi tutto non è ne la pace ne la guerra, ma il bene. Essa adotta la definizione del suo grande dottore, S. Tommaso d'Aquino, dicendo secondo S. Agostino, nel suo stile luminoso e misurato: La pace non è altro che la tranquillità dell'ordine.

Se regna l'ordine e tutto è salvo dei beni di cui siamo responsabili, la pace è una conseguenza di diritto; chiunque dovesse turbarla a vantaggio di ambizioni, di passioni accaparratrici o del suo orgoglio non può sperare di avere la religione per complice. Ma se l'ordine è turbato da provocazioni ingiuste, da offese all'onore o da ostacoli all'interesse di un legittimo sviluppo nazionale che rappresenta, per il cristiano, un interesse provvidenziale, allora bisogna reagire. La guerra non è più allora l'ingiustizia ese-crabile e crudele; è la giustizia armata, come, negli affreschi d'un tempo, quelle figure gravi con la spada levata, pronta a colpire con tristezza e fermezza, in seguito alle designazioni del diritto da parte della bilancia della giustizia e alla conseguente individuazione del colpevole.

215

Però la guerra in questo caso, se da una parte è un atto di giustizia da parte di chi la fa in vista del bene, dall'altra essa è sempre conseguenza dell'ingiustizia, poiché il diritto rivendicato con la forza suppone una forza che si oppone a questo diritto. Sopprimete l'ingiustizia e renderete inutile la guerra giù-. sta ed impossibile la guerra ingiusta. Così la Chiesa. senza vane declamazioni, dedica la sua influenza, non a cercare sistemi pacifisti ma a tentare di far sì che ciascuno abbia ciò che gli è dovuto, facendo con-:

cessioni in caso di litigio e non ricorrendo ai mezzi. estremi che in casi estremi, che non dovrebbero ve-riflcarsi quando ci fosse sempre la buona volontà da ambo le parti.

Essa non si contenta di questo sforzo, ma va oltre e vuole scendere maggiormente in profondità. Poiché ciò che abbiamo detto considerando che la pace è conseguenza della giustizia non è la verità intera; e non è nemmeno l'argomento principale. Questa giustizia che ha per figlia la pace è essa stessa figlia di una madre che, nella Scrittura, porta lo stesso, nome ma in un senso più largo.

Come in certe regioni il nome di famiglia si sdoppia, dato da un lato al padre e dall'altro al figlio maggiore a titolo di nome di battesimo, così nel linguaggio cristiano giusto è colui che rende giustizia al sui prossimo, ma è anche soprattutto colui che rende giustizia a Dio, a sé, alle cose come alle persone, alle virtù religiose e morali — morali, dico, nel senso individuale — come pure alle virtù sociali.

Ora si può essere giusti nel primo senso senza esserlo nel secondo? Si può rendere la giustizia al prossimo quando si è avidi, in preda all'odio, gelosi, incuranti del divino, dedidi ai godimenti, pieni di orgoglio, eco.?

216

La Chesa ritiene che ciò non sia possibile. Essa è d'avviso col salmo che l'abisso richiama l'abisso o

che le nazioni, al pari degli individui, non possono essere giuste verso gli 'altri se non sono giuste nel loro interno, cioè se non .sono morali.

« Una repubblica virtuosa è chiamata a godere dei benefìci della pace », diceva il vecchio Aristotele (Po-lit. Vili, 1). «Pace sulla terra agli uomini di buona volontà » ha detto con maggiore autorità il Vangelo. « In quanto ai malvagi, non v'è pace per loro » dicevano in anticipo i profeti. « Essi non conoscono la via della pace; non c'è giustizia sul loro cammino. Essi prendono delle strade trasverse. Chiunque le percorre non conosce la pace » (Isaia, 22; ibid. LIX, 8). E facendo allusione ai pacifisti che cercano sistemi senza andare giù sino alle anime, un altro profeta dice: « Essi medicano alla leggera le piaghe del mio popolo. Pace! Pace! essi dicono; ma non vi è pace » (Ger., VII, 4).

Tutte queste citazioni devono istruirci. Nello statù attuale della moralità umana, non si può sperare pace duratura, perché non c'è da sperare giustizia. La giustizia potrà essere lodata, ma a nulla approderà; dagli individui ai gruppi, il male si estenderà e non saranno le formule, gli ordini del giorno o le dichiarazioni dei congressi che potranno arrestare le sue devastazioni.

Ora è qui che si manifesta dottrinalmente e praticamente il compito principale della Chiesa. A quale scopo soffermarsi a parlare della tregua 'dì Dio, dei grandi progetti dei Papi per organizzare i poteri e per far finire in tal modo i litigi! Che importano i perpetui moniti rivolti ai principi cristiani dall'epoca di Costantino sino a Pio X e Benedetto XV! I documenti diplomatici non mancano, le encicliche an-

217

cor meno. Ma l'essenziale per la Chiesa consiste nel suo compito morale, nella sua azione santiflcatrice, e, se si può dire, nella sua stessa esistenza in quanto « santa Chiesa ».

Ciò che la Chiesa inculca; ciò che la Chiesa fa;

ciò che la Chiesa è: ecco le fonti del vero pacifismo. i Essa è l'unione degli uomini in una società universale. Ciò che essa fa è un'opera di miglioramento dei rapporti tra gli uomini a partire dall'interno, cioè a partire dalle cause, in luogo di non attenersi che ai sintomi. Ciò che essa inculca è il succo della Legge e dei Profeti, questo afflato di bene, questo nodo dei legami universali in cui la pace trova il. suo agguato: l'amore.

L'amore preso alla fonte: il sentimento della fra-. ternità in Dio, centro di tutta l'irradiazione dell'essere, all'infuori del quale il covone non ha più legame e i fili si staccano; l'amore nell'Uomo universale, Figlio dell'uomo, simbolo reale dell'unità che noi formiamo, di quel fondo comune che dobbiamo difendere contro la durezza della vita in luogo di spezzarlo in parti sanguinanti; l'amore che non divide ciò che è unito: il Padre per onorarlo, i figli per trattarli come fratelli, il tempo per comportarvisi come viaggiatori soccorritori, l'eternità per giungervi nell'unità di una famiglia in letizia; ecco il segreto della pace tra gli uomini.

Tutto proviene dalle fonti, e all'infuori di ciò, non vi sono fonti. La guerra è conseguenza del peccato e il peccato è eliminato dall'Agnello divino. «Agnello divino che togli i peccati del mondo, A-gnello divino che togli i peccati del mondo. Agnello divino che togli i peccati del mondo, supplica con insistenza la liturgia, dacci la pace! »

Pacifisti, se avete un mezzo di santificare gli uo-

218

mini, di moralizzarli e per mezzo di essi di moralizzare le istituzioni e i popoli, impiegatelo. I cattolici ne hanno già uno: è il Vangelo vivente, è il Cristo realizzato in istituzione, socializzato e agente: la Chiesa. Aderite alla Chiesa di Gesù. Quando vi sarete entrati e godrete della sua forza, le fornirete pure la vostra inquadrata e santificata, corretta delle sue utopie e consolidata nelle sue speranze. Ma comin-:

ciate dall'inizio. Riconoscete che là è la fonte della pace, perché là è la fonte della giustizia e dell'a— more, là è il freno dei vivi che combattono la giusti-;;, zia e l'amore, Jà sono i soccorsi effettivi, i sentimen- 'i'j;. ti caldi, le paternità e fraternità accoglienti, le pò-;;

tenze di resurrezione a lato dei consigli di innocen- ', za, gli stimolanti che sommano per agire le energie;

della terra e del ciclo e che non ignorano ne le risorse della psicologia più positiva ne quelle del misticismo, che è il senso del divino in noi. :•

« Vi lascio la pace, vi de la MIA pace, ha detto ' il Salvatore, non come la da il mondo ». Il mondo, se non si supera nel divino, non ha mezzi per stabilire in se stesso la pace. La pace discende dall'alto, non sale in alto. ;,

' Quando spunta l'aurora e sembra che essa sorga dal suolo, ciò dipende dal fatto che il mondo indi-i nato, dopo la sua lunga prosternazione notturna, "• tocca i piedi del Dio della luce e, come Ester davanti''' al satrapo orientale, sente posarsi su di esso la bacchetta d'oro.

219

LIBRO V

L'imi; ^1/millM: DELLA CHIESA

iCAPO I L'ORDINE DIVINO DELLA CHIESA

Dopo aver studiato la ragion d'essere della Chiesa; e dopo che la sua ragion d'essere ci ha consentito di comprendere la sua essenza, donde derivano i suoi caratteri e le sue forme diverse imposte alle sue relazioni, affrontiamo ora, senza speranza per altro di andarvi molto avanti, la questione della sua organizzazione. Si tratta di vedere l'espansione di quell'unità che da tempo abbiamo riconosciuto essere la nota fondamentale della Chiesa.

Che la Chiesa sia una, ciò non prova che sia uniforme. Poiché l'unità non è nullità e poiché essa si arricchisce, man mano che si arricchisce chiama a sé una molteplicità di funzioni che richiede una messa in ordine, in mancanza di che l'unità, invece di arricchirsi si annulla e con ciò annulla lo stesso essere, di cui essa non è che la consistenza.

Ora è questo ciò che si chiama organizzazione. L'organizzazione è l'unità di ciò che è molteplice. Il nostro corpo è molteplice; però esso è anche uno. Per mezzo dei collegamenti anatomici degli organi e della solidarietà fisiologica delle funzioni esso realizza ciò che gli scienziati chiamano una simbiosi,

223

cioè una vita in comune governata da certe leggi, costituisce cioè uno spiegamento che si concentra e una concentrazione che si dispiega: è questa che si vuoi significare quando lo si chiama corpo organizzato.

La Chiesa, corpo spirituale, non potrà sfuggire a questa condizione. A partire dalla sua nascita, a mano a mano che essa cresce, deve diffondere la sua ricchezza di vita, pur concentrandola sempre più, come è stato riconosciuto quando parlavamo della Chiesa una. Questo duplice sforzo compensato sarà la sua organizzazione.

Che se dal vivente in particolare portiamo i nostri sguardi sulla natura nel suo insieme, troviamo pure che questa è organizzata. Tutta la scienza, tutta la filosofia e la poesia stessa non sono che lo studio o la contemplazione estasiata di questa organizzazione. Se il corpo di un moscerino che nasce e muore in qualche ora è una meraviglia, si può ben credere che il cosmo, del quale i fenomeni della vita non sono che una manifestazione, non sia meno ricco di saggezza immanente.

Gli antichi si compiaceranno di rappresentarselo scome un essere vivente dalle 'dimensioni colossali, dotato di funzioni che erano i fenomeni naturali, ^governato da un'anima universale di cui la nostra era un riflesso e che certuni confondevano con Dio.

Noi non la pensiamo così, grazie al Vangelo e alla scienza; ma ciò che faceva pensare così sussiste ancora. La natura è organizzata. Da questo angolo della natura io cui siamo racchiusi non possiamo afferrare che una ben piccola parte della sua organizzazione; ma facciamo credito per il resto. Ora, non abbiamo detto che la natura fa parte in certo qual modo della Chiesa? E se questo è vero, non si do-

224

vrebbe dire: la Chiesa, così bene organizzata in questa parte inferiore di se stessa, non deve esserio:,/ assai meglio nella sua parte principale? i

Abbiamo esposto parecchie volte in qual senso intendevamo questa proposizione: La Natura fa parte della Chiesa. Dio, trascendente a tutto, regge tutto. La sua provvidenza stabilisce un ordine in base al quale ciò che è materiale è sottoposto a ciò che è spirituale e la natura alle anime. Questo regno delle anime, considerato dal punto di vista soprannaturale, ' cioè sotto il rapporto delle sue più profonde relazioni e dei suoi 'destini supremi, ottenuti per mezzo del Redentore, è ciò che noi chiamiamo Chiesa. Ne segue evidentemente che la natura fa parte della Chiesa come il servo fa parte della casa, soprattutto quando si tratti di un servo a vita, o più precisa- ;

mente come un prolungamento fa parte del complesso a cui è unito, visto che la materia e l'anima, in ciascuno di noi, e per conseguenza anche nel tutto, sono parzialmente congiunte sotto gli auspici del corpo.

Ma ancora una volta, se la Chiesa è organizzata ;:

in quel prolugamento di se stessa che si chiama na- , tura, a maggior ragione e tanto meglio essa dovrà:

esserlo nella sua parte principale, che è l'umanità unita a Dio, in vista dei suoi destini soprannaturali.

L'umanità nel campo temporale si organizza per quanto può. Lo sforzo secolare tende a questa organizzazione con un risultato che non si rivela che quando venga considerato molto dall'alto, ma che non è però meno visibile. L'umanità sa di essere un tutto organico di diritto. Figlia di una sola coppia; rispondente ad un'idea creatrice che si espande in razze e famiglie di popoli, ma che conserva la sua unità fondamentale e chiama gli stessi destini, essa prova

225

15. — La Chiesa.

questo obbligo come pure il bisogno di collegare, per meglio vivere, individuo a individuo, famiglia a ta-

, miglia, città a città e, in una misura limitata ma che,

'speriamo, si estenderà, popolo a popolo.

Se ciò non è stato ancor fatto e non è perfetto;

se da Adamo sino a noi ciò non si è ancora ottenuto con alleanze sempre più complesse, con sintesi

Successive che arrivassero progressivamente e senza rottura di legame ad un'umanità organizzata, la colpa è da ricercare non nella chiamata della natura ma nel peccato che ci chiude nell'egoismo e distrugge tra noi i legami, nelle incoscienze che ci impediscono di considerare dall'alto o di discendere in profondità per scoprire in noi l'umanità, nelle oc-correnze storiche, nel caso, in ostacoli materiali quali le distanze, i frastagliamenti dei suolo, le rivoluzioni cosmiche, ecc.

Ma nel campo soprannaturale questi motivi di scissione o non hanno più corso o in ogni caso sono attenuati al punto da non esercitare azione che per ciò che è accessorio. Le incoscienze sono vinte dalla Rivelazione e con quell'assistenza permanente che il Redentore ha promesso ai suoi. Il peccato agisce fin troppo e produce scismi, divisioni, che sono effetti di disorganizzazione parziale. Ma il peccato è contenuto entro certi limiti dalla grazia intcriore della Chiesa e da una provvidenza di cui questa grazia è l'esecutrice.

I casi esteriori e gli ostacoli materiali che pesano così forte sull'organizzazione temporale non sono più di gran peso rispetto a rapporti del tutto morali. Un vescovo missionario che si trovi sul Congo o sul fiume Giallo vi porta con sé tutta la Chiesa:

non porta invece che un po' di patria e certo il ci-

v.nese o il congolese lo comprendono assai meglio

826

quando dice: Rappresento la Chiesa che non se dicesse: Rappresento l'umanità.

Il nuovo Adamo, Gesù Cristo, ha dunque potuto porre le basi di un'organizzazione religiosa che non dovrebbe attendere, per essere una « società perfetta », cioè integrale, i lenti progressi dell'organizzazione politica o economica.

Non si tratta che il tempo abbia visto rifiutare qui la sua collaborazione: il tempo è ovunque, pure quando è Dio che agisce, e quando egli agisce nei riguardi dell'uomo, e se noi stessi ne avessimo un po' di più davanti a noi di questo tempo divoratore, sarebbe un bello spettacolo vedere espandersi storicamente tutti gli organi del corpo umano-divino. Ma, il che dicevamo ora, il tempo, necessario ovunque, è qui meno necessario che in qualsiasi altro luogo. Alcuni secoli ben colmi, sarebbe abbastanza per questa crescita per tanto colossale, e il primo giorno della Chiesa fa già vedere quanto di essenziale è stato ottenuto grazie allo Spirito che aleggia su di essa come sulla creazione primitiva, senza dover far fronte alle stesse resistenze e sapendo invece procurarsi migliori aiuti.

Questo Spirito organizzatore si è basato sin dapprincipio sul Redentore. Vi ha prodotto effetti individuali la cui armonia sarà una parte della contemplazione etema.

Ma questi effetti individuali non erano tali che per la loro sede; ma per il loro fine essi erano sociali e per esercitare la loro azione richiedevano un'organizzazione sociale che abbiamo dovuto chiamare universale.

Ci stancheremo mai di chiamare il Redentore Fi-

^

glio dell'Uomo, uomo universale, trascinatore dell'umanità e della aratura che le è congiunta verso la divinità cui egli stesso è unito?

E' per adempiere a questi compiti che egli è stato fatto peccato, dice San Paolo, poiché l'umanità era peccato, che è stato fatto dolore, poiché l'umanità era dolorosa, che è stato fatto virtù espiatrice, 'affinchè per mezzo della sua espiazione potessero valorizzarsi le nostre espiazioni; e che infine egli è stato fatto gloria, trascinando nei cicli l'umanità vivente in colui che dei suoi mèmbri le è stato dato per capo: capo illuminato che i mèmbri seguiranno quando il gigante collettivo avrà ultimato la sua marcia faticosa.

Nel Redentore, ha detto San Paolo, tutte le cose si uniscono e prendono la loro consistenza: omma m ipso Constant (Coloss., I, 16-18), e a maggior ragione tutti gli uomini.

Se dunque l'umanità è qualche cosa di organico in se stesso, essa deve essere organica nel Redentore, cioè in tanto in quanto è stata da lui costituita in Chiesa, in quanto è divenuta, nel campo spirituale, il suo proprio corpo, il corpo di cui lo Spirito Sanato trasmesso per mezzo dell'incarnazione è diventato in qualche modo l'anima comune.

Procediamo oltre e risaliamo più in alto: la Chie-ea, corpo umano-divino per mezzo del Redentore, includendo Dio in se stessa, deve partecipare a questa organizzazione divina che fa del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo il modello di ogni vita,, l'Ordine supremo, il caso ideale — quantunque sia trascendente all'idea — dell'unità nella molteplicità organica.

228

In Dio pure vi è ricchezza vitale nella piena unità vitale e le relazioni divine: paternità, filiazione, legame reciproco dell'amore; potenza, saggezza, bontà; compito di fonte, di legge, di fine; vi è una gerarchla, un'organizzazione il cui riflesso si trova ovunque, dato che ovunque e in tutto non si tratta che di creare, governare e impiegare; di fornire un'iniziativa che è un atto di potenza, di regolarla, il che è saggezza e di indirizzarla verso un fine prescelto, il che è amore.

Ma l'ordine divino dovrà riflettersi innanzi tutto nella Chiesa, poiché, in primo luogo la sua emanazione più prossima è il Redentore, che fa parte dell'ordine divino in quanto Verbo, avendo fondato la Chiesa direttamente; ma soprattutto perché una tale fondazione non è l'atto di un architetto che costruisce e se ne va. Il Redentore rimane unito a noi;

il suo Spirito vive in noi socialmente ed è lui che ci organizza. Il Padre ci è dato come tale da Colui che ci ha adottati per suoi fratelli in virtù di una solidarietà divina.

Questa Chiesa, che è tutta in lui in quanto il suo corpo, il Redentore uomo, che è pure Dio, Figlio di Dio, la introduce nella Trinità.

Il Padre invia il Figlio, che invia gli Apostoli che chiamano i fedeli e i fedeli, dandosi agli apostoli, si danno al Figlio e, per suo mezzo, fanno ritorno al Padre nell'unità dello Spirito che il Figlio ha trasmesso.

Non diceva Gesù nella sua preghiera sacerdotale:

« Padre, che essi siano uniti in una sola persona come tu ed io non siamo che una persona sola », cioè in un'unità organica?

« La gloria che mi hai dato, continuava, io l'ho trasmessa a loro ». E agli apostoli: « Come mio Pa-

229

dre ha inviato me, così io trasmetto l'incarico a voi» (Giov., XX, 21). « Chi riceve voi, riceve me; chi riceve me, riceve Colui che mi ha inviato » (Matt., X, 40).

E gli apostoli a loro volta dicevamo: «Noi vi annunciamo ciò che abbiamo visto e inteso affinchè voi pure vi associate con noi e che la nostra società comune sia col Padre e con suo Figlio Gesù Cristo, affinchè abbiate la gioia e questa sia piena» (I Giov., 3-4). In questo testo non, è fatta menzione dello Spirito Santo; ma esso vi è sottinteso e si trova il suo succedaneo: la gioia piena.

Questa compenetrazione dell'ordine divino e del corpo sociale umano-divino ha indotto San Cipria-no a definire la Chiesa: «Popolo riscattato, che è riunito nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo: De imitate Patria et Filli et SpirUus Sancii plebs adunata» (De Orat. Dom. N. 23). E con ancora maggior ardire, egli chiamava la Chiesa « l'U-[diità dì Dio » per significare che il divino amplesso che unisce armoniosamente le tré Persone passa, per mezzo del Figlio, quasi al disotto della Chiesa per mantenerla in Dio Trinità, come in quei quadri antichi in cui Dio Padre avviluppa con le sue braccia e. col manto, nella luce dello Spirito, la Chiesa unita al Figlio incarnato e croceflsso.

Ne seguirà naturalmente che l'ordine della Chiesa non sarà che un'estensione dell'ordine etemo divino e che nessun'altra organizzazione non potrà pretendere ad una semplicità così ricca, ad una ricchezza così unica come la sua.

Essa sarà tuttavia manchevole nella periferia, se non al centro, e comporterà una certa relatività, poiché una società umano-divina, se è perfetta in quanto è divina, perfetta nel punto di contatto della cur-

230

va e della tangente infinita che la unisce, tale poiché, in quanto è anche umana, e nella misura in cui la curva si allontana chiudendosi su se stessa, diviene fragile, soggetta agli accidenti umani, ai casi, alle contingenze storiche.

Se spingessimo un po' lontano il nostro studio dell'organizzazione religiosa, in luogo di tenerci, co— me faremo, alle grandi linee, vi vedremmo una variabilità e deficienze che rivelerebbero in essa l'u-:

mano, mai sottoposto in perfezione al divino che è in essa come un'anima. ,

Anche la nostra anima organizza il nostro corpo;

come può; nel miglior caso essa non arriva a domare;^ la materia che per effetti d'assieme. Dio, nell'umani-, •tà, non è così impotente, ma si fa impotente per ri- , spetto. Egli ci lascia responsabili; lascia alle leggi;

generali della vita il loro potere, che egli stesso ha' istituito. Egli è pur sempre presente per tutto indirizzare, e questo indirizzo non può prodursi, a meco di un miracolo permanente estemo alle grandi vedute provvidenziali, che per mezzo di un organismo in relazione con ciò che si attende dal suo lavoro.

Il papato e l'episcopato rappresentano questo organismo. Manifestazioni diverse se ne mostrano. Studiando queste istituzioni potremo constatare quale alta saggezza vi si riscontri; quale profonda unità vi sia a capo. « Siamo molti, diceva Alberto Magno a proposito delle discussioni; ma che la causa sia una». Siamo molti pure nella Chiesa; molti che adempiono compiti diversi, che assumono responsabilità diverse; ma che sia servita la causa comune. Essa lo sarà, visto chi presiede e chi riunisce.

Se la regina di Saba andando alla corte di Sa-lomone e constatando l'ordine sapiente e raffinato de] :

231 i

servizio orientale, ne perdesse il soffio di ammirazione: non habebat ultra spiritimi, bisognerebbe che il gentilesimo di tutti i tempi potesse ammirare la saggezza del Salomone divino nella costituzione del suo regno.

La Chiesa non è indegna di questa ammirazione.

Essa ne ha tanto maggior diritto e Dio deve fargliele a maggior ragione meritare in quanto l'opera di santificazione di cui parliamo è innanzi tutto un'opera di misericordia (1). Si tratta di redimerci, mentre eravamo degradati; di sostenerci mentre ad ogni momento pieghiamo sotto il peso dell'avversità; di farci avanzare, mentre ci indugiamo; di farci salire, mentre siamo infinitamente pesanti; di medicare le nostre ferite nella battaglia senza fine della vita morale e di offrirci dei continui cordiali durante le soste.

La Chiesa è un'impresa di salvataggio: cosa più ardua e delicata e necessaria anche di un'opera di giustizia. Il suo funzionamento deve risentirne e questo ci può spiegare alcune rigidità, certe complessità • che stupiscono. .'

Vascello nella tempesta, l'umanità religiosa ha bisogno di un equipaggio sempre pronto, di un pilota sicuro, d'una disciplina ferma, di un'energica bontà che sappia agire, di cariche ben distribuite e ben sorvegliate, mentre tutti sono sul ponte e lo sguardo del capo è fìsso sulla stella polare.

Solo in queste condizioni si potrà compiere il viaggio.

,' E non occorre che esso si compia ad ogni costo, il nostro spaventoso viaggio eterno?

(1) Per viscera misericordiae visltavit nos. Lue. I, 78. 238

; -CAPO II IL REGIME MONARCHICO DELLA CHIESA

L'organizzazione della Chiesa ha per principio la Trinità.

Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo comprendono, per mezzo del Figlio, nella loro sublime intimità, tutta l'umanità chiamata a beneficiare dell'Incarna-;

zione e la fanno partecipare alle loro relazioni ineiS fabili nella misura in cui essa vi consente e, con l'umanità, la natura che le è congiunta. '

II capo di questo complesso è il Redentore e tut--to ciò che con lui non fa che un sol corpo entra con lui nella divina gerarchla trinitaria.

Da questo principio, che sembrerà forse ben alto, ben lontano dalla realtà quotidiana, derivano pertanto nella Chiesa tutte le realtà quotidiane; e se si comprendono male gli atti dei nostri capi, la colpa si deve attribuire spesso ad un equivoco iniziale, poiché le regioni in cui l'azione religiosa si elabora non possono essere nemmeno sospettate di critica. D'altronde partendo di là, non si rifiuterà di ridiscendere, di gradini in gradini, sino ai più umili particolari della vita: ma bisogna esplorare le vette.

Al livello in cui siamo occorre chiarire per mezzo del principio generale invocato una questione molto

233

importante relativa al regime religioso. La Chiesa è una monarchia? O sarebbe più o meno una democrazia? Il potere vi viene dal basso e i capi non vi sono che dei rappresentanti, dei mandatari? O almeno l'autorità vi è controllata, divisa, limitata come nella maggior parte dei regimi umani? O al contrario il potere viene dall'alto di guisa che i fedeli non sono che dei sudditi e le loro autorità immediate non sono che emanazioni di un'autorità suprema? ;: Questa questione ha dato luogo da parte dei dissidenti ed anche da parte di molti fedeli male istruiti ad equivoci dannosi. Essa è la base del distaccò dei protestanti, e una parte del movimento modernista ed è la chiave di molte questioni particolari in cui dei buoni cattolici, anche se sono parlamentari, non mancano di cacciarsi.

Ora la soluzione non è che nei segreti donde dicevamo che tutto trae la sua origine.

La Chiesa è umano-divina. Dio è incluso nella Sua essenza e nel suo funzionamento per mezzo del Figlio fatto uomo; per mezzo dello Spirito Santo che questi ci trasmette; per mezzo del Padre, che il Redentore ha tatto nostro Padre a cagione di una solidarietà fraterna.

Se Dio è incluso nella Chiesa, ne viene che egli vi occupa il primo posto sia nell'ordine costitutivo sia in quello funzionale. Non si può costituire Dio ne governarlo.

E allora, essendo Dio incluso nella Chiesa per mezzo del Redentore, al quale egli ha dato ogni potere, che è capo di una razza soprannaturale, strumento congiunto della divinità e che partecipa umanamente di tutte le sue prerogative ne viene che ai-disotto di Dio, o piuttosto unitamente a lui, il primo nella Chiesa è il Redentore.

234

Donde la tesi, classica presso i teologi e i predicatori, della regalità di Cristo. Regalità spirituale, di cui la parola Cristo non è che l'espressione, date, che Cristo (Christòs) significa unto, consacrato regalmen>-te per il governo delle anime.

Fin qui nessuna difficoltà. La Chiesa è il Regno di Cristo in tal modo il Regno di D'io. Non possiamo perciò trasformare questo regno in una repubblica, di cui l'Uomo-Dio avesse l'onore di essere presidente, ne in una monarchia costituzionale in cui dovesse regnare in misura limitata, a titolo semi-decorativo. Dio deve regnare effettivamente per mezzo di Cristo nell'unità di un governo in cui non si distingue ciò che è del Padre e ciò che è del Figlio, poiché :

l'uno è nell'altro e agisce per mezzo dell'altro. Bisogna lasciare all'unità ciò che è dell'unità e a Dio ciò che è di Dio.

Inoltre se, dopo che Gesù è rientrato nel mondo, invisibile, c'è nella Chiesa una rappresentazione visibile di lui; se da qualcuno è stato detto: « Come il Padre ha inviato me, così io invio voi » — « Andate ;

e insegnate a tutte le nazioni » il che è il potere che 5 noi chiamiamo magistero; — « Battezzateli in nome del Padre, del Figliolo e dello Spirito Santo» e «Fate questo in ricordo di me », il che è il potere sacra-.mentale chiamato ministero; — « Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me»; «Ciò che voi legherete sulla terra sarà legato anche in Ciclo, e ciò che voi scioglierete sulla terra sarà sciolto anche in Cielo », il che è il potere di go- ' verno (imperiimi), comprendente quello legislativo, giudiziario ed esecutivo, tutti e tré necessari per un vero governo: se ciò è, il collegio dei Dodici nella loro successione autentica sarà, in nome del Cristo, in unione dello stesso Cristo, autorità prima.

235:.

Tutto il popolo cristiano ne dipenderà come un gregge dai suoi pastori, mentre l'insieme del gregge dipende dal loro insieme e ogni gregge particolare richiesto dalle necessità locali dipende da ognuno di essi, senza esclusione dell'unità che comprende tutti i gruppi.

Qui ancora la deduzione è inevitabile. Noi non intendiamo impedire al Redentore di realizzare le sue divine intenzioni ed egli che non fa che passare dal punto di vista del suo commercio visibile con l'uomo; egli che muore e che tuttavia nel campo spirituale è il rè dei secoli, noi non vorremo impedirgli di realizzare la sua promessa: « Non vi lascerò soli»; «ecco che sono con voi sino alla consumazione dei secoli ».

Infine, se i Dodici e i loro successori preposti al gregge non sono essi stessi un gregge amorfo: se il molteplice ritorna all'uno per perfezionarvisi; se il Redentore ha inteso di darvi una rappresentazione non solo collettiva ma individuale, come una sopravvivenza visibile, e se egli ha detto ad uno dei Dodici:

«Pasci i miei agnelli», cioè i fedeli; «pasci le mie pecore », cioè i pastori ed ancora: « Ti darò le chiavi del regno dei cieli », come a un maggiordomo di palazzo dal quale bisogna passare per andare al padrone; e se di conseguenza, partito Gesù, Pietro è un Cristo per procura, per missione e per assistenza — se questo è pure vero, chi sarà alla testa della Chiesa dovrà essere il successore di Pietro e di tutti gli altri vescovi in rapporto a lui, che è successore, di tutti i vescovi in rapporto a Cristo e m rapporto a Dio; ognuno sarà un'emanazione, una derivazione della potenza sovrana salvatrice.

236

Il carattere monarchico della Chiesa si rivela qui in pieno. Ma a condizione di tenere ben chiusi tutti gli anelli della catena. ,

Ora per i protestanti'si produce in questo susseguirsi di fatti umano-divini, una frattura. Dio invia il Cristo e Cristo è Dio — almeno per chi è ortodosso, gli altri non si sa più a che cosa credano. Ma il Cristo non è in relazione con noi attraverso la Chiesa. A partire da lui l'orientamento si modifica. Esso risale, in luogo di continuare a discendere. E sicuro noi che andiamo incontro al Cristo. Aderiamo a lui attraverso i tempi, come a un personaggio storico e ciò da parte di ciascuno individualmente, sotto la propria responsabilità, mentre la Sacra Scrittura serve da ponte tra il cristiano isolato, forse ignorante, libero in ogni caso dei suoi commentari, e il Cristo lontano che è tutta la sua vita. — Quale ponte fragile!...

E' vero che i protestanti si pongono per leggere la Bibbia sotto la luce presunta dello Spirito Santo del proprio Spirito Santo se così si può dire, coma se Dio decidesse di illuminarci così uno per uno in vista di separarci e come se il grande sole che rischiara gli uomini o il lampadario comune che illumina le sale del banchetto evangelico non fossero che un lumicino solitario che invia su di un testo oscuro la sua luce vacillante!

E' solo dopo di ciò che noi, quali aderenti ad un'idea comune, ci mettiamo a formare la Chiesa. Questa in tal modo dipende da noi e non più noi da essa. Le autorità che la governano sono di nostra creazione e il regime sarà ciò che noi lo faremo, sempre in dipendenza della nostra iniziativa o sempre rivedibile.

L'idea del popolo sovrano al soprannaturale è qui

237

ben visibile. I sistemi sono cambiati, ma il fondo è rimasto sempre uguale. Al seguito di Marsilio Pa-torino, eretico del XIV secolo, i protestanti hanno in generale sostenuto che la Chiesa è democratica e non monarchica. E' la società religiosa nel suo complesso che detiene il potere e che lo delega ai pastori. A meno che non si lasci questa cura ai principi temporali, proprio adatti a caricarsi dei pesi che incombono ai loro popoli! Si eviteranno così i conflitti tra Chiesa e Stato, dopo che la Chiesa sarà stata assorbita dallo Stato!

Ne seguiranno un diritto di controllo, un diritto di eventuale resistenza, un diritto di deposizione ' delle autorità religiose da parte del popolo o dei suoi principi mandatari e molte altre cose ancora secondo i sistemi variati costruiti su questo tema.

Noi cattolici non possiamo ragionare così. Noi non intendiamo di costituire la Chiesa ma di farci costituire dalla Chiesa. E essa che, in nome del Redentore, ci genera spiritualmente per mezzo del battesimo. Essa si tiene tra il Redentore e noi, legame solido e di carattere sociale, poiché l'umanità è so-'lidale e sociale: non siamo noi, piccoli individui fragili ed isolati, che ci troviamo tra il Redentore e la Chiesa.; : - ,

Perciò non è nostro compito controllarla: è essa che ci controlla. La discesa d'autorità che si opera da Dio al Redentore si continua dal Redentore alla Chiesa che ne emana direttamente e nella Chiesa, che è un gruppo organizzato, non spezzettato, prima ai Dodici e ai loro successori,. i vescovi, poi, fra i Dodici, a Pietro e al suo successore, il Papa.

Questo è il sistema cui apparteniamo.

L'unità della Chiesa, dichiara San Cipriano, assomiglia alla tunica del Redentore che era tessuta

238

senza cucitura a partire dall'alto (desuper). « Un Dio, un Redentore, una Chiesa » dice egli ancora, volendo così riassumere in queste tré parole tutto il regime soprannaturale in quanto Dio interamente u-no; il Redentore, uno con lui nell'unità della persona;

la Chiesa, una con essi di un'unità di organizzazione in cui si ritrova il Redentore, mentre il corpo dei suoi inviati si raggruppa attorno al suo proprio rappresentante: è tutta l'integrazione dell'opera divina.

Malgrado dunque i diversi compiti che esercitano fra di noi le autorità, in vista di meglio adattarsi alla vita umana, non c'è fra noi suddivisione di autorità. Noi siamo un unico governo: quello di Gesù, rè delle anime, che ci congiunge all'unico e supremo governo di Dio, rè universale.

Donde si vede che il principio monarchico è alla base della Chiesa, poiché esso è il fondamento della realtà totale che ha per capo supremo Dio e anche poiché è il fondamento della realtà umana al soprannaturale, che ha per capo Gesù, mentre tutto il gè- [ nere umano è solidale, religiosamente, non per se stesso e di sua propria iniziativa, ma per istituzione divina e .nel suo Redentore umano-divino.

Senza voler fare qui per niente politica, bisogna concedere ai teorici della regalità che la monarchia è in sé, idealmente il regime più perfetto, poiché l'unità d'ordine più o meno realizzata in regimi democratici od aristocratici, non è che un genere di unità secondaria, che richiama alla fine l'altra. E' per questo che il regime universale è ultra-monarchico, sotto il nome di governo divino.

Resta a stabilire se gli uomini vivono solò d'ìdea-

239

le e se Dio, rappresentato dai capi di Stato, vi sì ritrova a sufficienza. Nella Chiesa egli _si ritrova poiché vi abita per mezzo del suo Spirito. Donde segue che la monarchia è al suo posto di pieno diritto e che essa non si offre, nei riguardi di ciò che è essenziale almeno, alcun pericolo di apprensione, sia in ciò che concerne le autorità secondarie sia in ciò che si riferisce alla loro libertà.

Seneca ha detto: «Parere Deo Ubertas est: obbedire a Dio è la libertà». Se la catena religiosa, passando per il vescovo, il Papa, il Redentore, ci collega a Dio e alla sua legge immanente per mezzo dello Spirito Santo: la libertà, finché si attiene a questa legge, non ha nulla a temere. Dio non è tiranno, ma fa vivere.

Parimenti le autorità particolari, collegate a noi da un lato e .a Dio dall'altro, non perdono il loro , potere su di noi per il fatto che esse sono subordinate a Dio. E se è pur intermediario che esse gli sono subordinate, esse non perdono le loro prerogative per il fatto di possederle e di esercitarle sotto una dipendenza che è, in definitiva, quella di Dio. Dio, ancora una volta, non assorbe nulla ma da tutto.

Se non si avesse il timore di stancare per un ri- ' chiamo così frequentemente ripetuto a un paragone familiare, si potrebbe dire: il regime della Chiesa è monarchico come quello di un essere vivente: Coloro che lo chiamano una colonia di cellule dicono una cosa che ha la sua parte di verità relativamente ai processi di costituzione dei tessuti e alla realizzazione del piano organico; ma nel complesso definire così l'essere vivente sarebbe cura di una filosofia troppo leggera.

Ciò che nell'essere vivente è primo non sono le

240 »

cellule, ne, in generale, le parti ma è il tutto, e nel tutto, il principio del tutto che è l'idea vitale chiamata anima, cioè lo Spirito divino comunicato dal Figlio di Dio e dal Padre che l'ha inviato.

Dopo di ciò, quanto è primo nel corpo vivente è il sistema nervoso centrale, non sono le cellule a-narchiche nella Chiesa ciò che è primo, a titolo d:

elemento visibile, è il corpo episcopale unito al Papa: encefalo donde procedono, sotto l'azione delio Spirito Santo, il pensiero sotto il nome di dogma, l'azione dinamica sotto il nome di governo e tutta la vita venuta dal Redentore per la salute delle anime per mezzo dell'effusione sacramentale.

In un caso come nell'altro, l'unità parte dall'alto (desuper); essa non è una risultante; non è la folla che la crea organizzandosi, ma al contrario l'organizzazione viene da essa.

In architettura sarebbero forse le pietre che costituiscono di primo acchito la casa? Ciò ch& spiega la costruzione è l'idea dell'architetto, poscia è l'iniziativa dei costruttori. Le pietre, m base a ciò, si organizzano.

Di qui viene il profondo pensiero che ha presieduto alla formulazione del Simbolo: Credo allo Spirito Santo, alla santa Chiesa cattolica, alla comunione de'i Santi, alla resurrezione della carne e alla vita eterna. In questa successione, lo Spirito di Dio è alla testa. La Chiesa vi è collegata come al suo principio organizzatore. La comunione dei santi esprime la legge fondamentale della Chiesa che è la carità sotto l'azione di questo Spirito. La resurrezione della carne e la Vita etema saranno i risultati del loro lavoro.

241

IR. — La Chiesa.

CAPO III

IL COMPITO DEI GOVERNANTI NEL GOVERNO DELLA CHIESA

La Chiesa non è dunque una elemoshuera. L'autorità vi viene dall'alto, perché vi viene da Dio per mezzo del Redentore e poiché questi ne ha regolato il flusso sino a noi fondando una missione perma-.nente: i Dodici con vena successione autentica che è il corpo episcopale, poi, alla testa dei Dodici, Pietro, con la sua successione autentica: il Papa.

Si deve però intendere che noi tutti nella Chiesa siamo passivi? Passivi sotto le nostre autorità immediatamente inferiori e queste passive sotto altre autorità, pure passive sotto l'autorità suprema del Papa visibilmente e del Redentore in modo invisibile e infine dello Spirito divino?

Questo modo di tutto fissare, di tutto sospendere di chiodo in chiodo, vogliamo dire di tutto abolire allo scopo di tutto santificare e di tare sì che Dio sia — non tutto in tutti per salvarci tutti, come dice l'Apostolo, — ma al posto di tutti per sopprimerci tutti, sarebbe il contrario d'un vero regime religioso.

La religione consiste nel collegarci a Dio, non ad assorbirci in lui. Il governo religioso deve essere evo-

242 •

catore di energie, non un accaparratore di esse. Esso è fatto non per eclissarci o spegnerci, ma per infiammarci di tutte le fiamme della vita. « Sono ve-* nuto, ha detto il Salvatore, a portar fuoco sulla terra, e che posso io desiderare se non che essa s'accenda? » (Luca XII, 49).

Il governo dovrà dunque, presso di noi, lasciare campo ad atti spontanei e allora quelli non potranno mancare di reagire sulle autorità stesse in tutto ciò che esse hanno di umano; di più essi prepareranno i risultati di ciò che viene dall'alto, dato che . la materia, e più particolarmente la materia viven-. tè determinata da una parte il risultato delle influenze che essa subisce. -;;

Fra le cause i filosofi hanno sempre posto anche la materia ed essi hanno avuto ragione, se è vero;*;

come la scienza ci insegna, che non v'è azione sen-, za reazione in .alcun ordine di fenomeni.

Anche se la Chiesa fosse solo un organo meccanico rigido, in cui dei mezzi di trasmissione si tra-;

smettono la forza, sotto l'influsso di un motore cen-;' frale, i fedeli non vi sarebbero senza azione Essi';

agirebbero nel senso che essi imporrebbero all'auto-' rità, per il modo di essere e per il loro modo. di comportarsi sotto il regime della legge delle modalità di governo che costituirebbero' già da parte loro un'influenza.

. Ma la Chiesa non è una macchina di questo genere essa è un'organismo vivente ora in un organismo ciò che è mosso, cioè i singoli organi sino alle più infime cellule, è parimenti motore in base alla solidarietà organica. •

Non vi è che una cosa, negli esseri viventi, che sìa motrice senza essere mossa ed è l'idea vitale, cioè l'anima. Ma anch'essa è influenzata da certe

243

condizioni: la prova si è che, se le condizioni sono sfavorevoli, l'organismo devia, .soffre e muore, mentre l'anima cerca sempre di farlo vivere.

Nella Chiesa è lo Spirito Santo che è come la nostra anima comune. E questa anima è indipen-'dente nel senso che nessuno di noi può avere la pretesa di influenzarla in se stessa; ma essa dipende, nei suoi effetti, dall'accettazioine delle nostre libertà e dalla collaborazione dei nostri sforzi. Non siamo dunque governati senza di noi neppure dallo Spirito Santo. A più forte ragione non siamo governati senza di noi dalle autorità umane che in suo nome, ma con una degradazione di valore e di potere, ci governano.

In quest'ultimo caso non solo partecipiamo agli effetti del governo, ma in certo qual modo partecipiamo al governo stesso, senza per questo fare ritomo al principio democratico prima escluso.

In realtà, in un vivente in cui l'anima lavora, orientando le funzioni verso certi risultati che sono le opere della vita, gli organi principali e primieramente il cervello e il sistema nervoso centrale sono pure i punti di applicazione più importanti dell'azione dell'anima.

Un corpo viene animato innanzi tutto dalla sua attività cerebrale. Di là partono le grandi correnti che smuovono e dirigono tutto a cagione di quella centralizzazione che si rivela tanto più perfetta quanto più ci si eleva nella scala degli esseri.

Ma non si deve dire con ciò che l'anima abiti esclusivamente nel cervello. L'anima è ovunque: tutta nel tutto e in ogni parte, dicono i filosofi, di guisa che la vita comunicata al cervello per mezzo delle membra non impedirà una comunicazione diretta in favore delle membra stesse da cui il cervello e così

244

pure i centri che esso aziona trarranno Vantaggio.

Così lo Spirito divino che anima la gerarchla, secondo la promessa del Salvatore, anima pure, in suo nome, coloro dì cui è stato detto: «Non sapete che le vostre membra sono i templi dello Spirito Santo? »

L'abitazione attiva di Dio va noi, per mezzo della grazia, è uno dei dogmi fondamentali della nostra fede. Che se egli è in noi, come è nella gerarchla, le sue comunicazioni non possono essere, qua e là, estranee l'una all'altra. Ciò che egli da alla gerarchla viene pure a noi socialmente per autorità. Ciò che egli ci da sale all'autorità per un'altra via, quella di un'influenza che l'autorità giudicherà, che essa farà sua, di guisa che anche in questo noi saremo governati e non governanti; ma che pertanto avrà la sua origine in mezzo di noi, in uno di noi o in parecchi, separatamente o in uno dei nostri gruppi: associazione particolare, famiglia religiosa o nazione.

E' in questo senso che si è potuto dire: le iniziative vengono soprattutto dai fedeli; invece dall'au-•torità vengono le direttive, i cointrolli e i freni.

Questo è vero solo in parte, poiché la prima iniziativa, in fatto di salute, viene necessariamente dal Salvatore e dai suoi rappresentanti. Per mezzo dell'insegnamento in ciò che esso ha di propriamente rivelato; per mezzo del ministero sacramentale e per mezzo dell'orientazione generale della vita la gerarchla comincia perché il Redentore comincia o Iddio comincia. Ma nel corso dell'azione redentrice e riguardo alla relatività che essa comporta, altre iniziative possono sorgere ovunque, poiché ovunque Dio è presente e, se egli rispetta l'ordine da lui stesso stabilito, non ne è però lo schiavo.

La grazia di Dio, dicono i teologi, non è incate-

245

nata ai sacramenti. Intendiamo la parola sacramento nel senso generale che abbiamo dovuto più di una volta riconoscergli. Ne il sacramento della verità, che è l'insegnamento, ne il sacramento della santità, che e l'azione rituale, ne il sacramento dell'azione cristiana, che è l'esercizio del governo, non contengono tutto ciò che Dio ha voluto dare al complesso organizzato dei fedeli. Vi sono verità private, slanci di santità che non vengono dall'azione rituale; si hanno buone direzioni prese che non sano comandate. Il Dio inferiore, vigore degli esseri, come lo chiama la liturgia, (Rerum Deus tenax vigor), irradia su tutti 1 punti in cui la sua creazione vivente consente alla sua presenza di fiorire.

La natura è piena di anima, diceva il vecchio Aristotele (plères psichès). Pensava, forse, dicendo così, al dramma dei boschi e 'dei prati in cui furoreggia tanta vita ardente e invadente sotto la tenda verde che l'acquarellista posa di colpo?... Ora pure nell'umanità religiosa formicola la vita e per la stessa ragione. Essa è piena di anima. L'anima dello Spirito 'divino la penetra e vi si vedono sfuggire da ogni parte fronde che non provengono ne dal seminatore ufficiale ne dal forestiero, ma che procedono direttamente dalla sorgente immanente di vita óvunique diffusa.

Non dimentichiamo che la vita spontanea che scaturisce al fondo delle anime sotto il tocco dello Spirito deve essere controllata. E' in questo che ci distinguiamo dai falsi mistici o dai protestanti che respingono l'autorità, esigendo che si creda Dio in loro, Cioè in loro stessi. Ma ciò che l'autorità comanda non è stato da essa creato per questo scopo e se, non avendolo creato, lo impiega, si ha il diritto di dire che la vita è stata la sua collaboratrice.

246

Consideriamo la Chiesa non più come organismo come abbiamo fatto nel nostro primo confronto, ma • come nazione o corpo sociale, come abbiamo fatto nel secondo esame, e giungeremo alla stessa conclusione.

La Chiesa è una monarchia: ma si tratta di una monarchia il cui governo non sia influenzato da alcuno? E cioè un'autocrazia nel senso assoluto della parola? Un tale ente sarebbe una mostruosità. Ogni regime personale è temperato da collaborazioni svariate senza le quali essa si trasmuterebbe nella più insopportabile tirannia. Ma un monarca saggio or-? ganizza questa collaborazione e la estende fin àcrve gli è possibile, in luogo di sforzarsi di ridurla; si cir-;-conda di consiglieri, si appoggia sul parere dei mi-;

gliori e eonda il suo popolo prima di legiferare.

La legge, secondo i filosofi, è una espressione della. ragione (dictamen rationis). Quale governo o quale capo di stato può pretendere al monopolio della ra- • gione? L'autorità rappresenta legalmente la ragione nei riguardi dei fini sociali; ma essa non ha la pretesa di incarnarla realmente in lei sola. Essa sa o deve sapere che presso il più umile cittadino si pos- ;

sono trovare sempre utili lumi e a più forte ragione questi si possono trovare presso i migliori o negli :

organismi costituiti. Essa ha dunque interesse di con- ^ sultare e di ispirarsi, pur conservando la libertà del. supremo giudizio, f

Ora ciò che la ragione è per la legge nel governo :

di questo mondo, l'azione dello Spirito divino lo è nella Chiesa in relazione alla legge religiosa. E come la . ragione d'uno Stato non è tutta nel governo, così l'azione dello Spirito non è tutta nella gerarchla ecclesiastica, quantunque qui — ed è in questo che calza ;1 paragone-— sia stata promessa un'assistenza speciale.

Sapendo dunque che lo Spirito Santo non è tutto

247

nella gerarchla ecclesiastica; che egli è diffuso in tutta là Chiesa e che vi anima i fedeli e vi ispira verità, grazie e utili impulsi, l'autorità religiosa ascolta nello stesso tempo in cui parla, essa subisce mentre agisce, santifica il suo lavoro santificatore per mezzo delle infiltrazioni sociali che le pervengono.

E dire infiltrazioni non vuoi dire escludere un'azione più diretta. I cristiani pregano e le loro umili suppliche non sono considerate come non avvenute. In certe epoche l'intervento popolare fu tanto tenuto in considerazione che il celebre adagio: Vox popoli vox Dei sembrava un assioma di governo. Ne venne che fossero indirizzate alle più elevate autorità della Chiesa ammonizioni rispettose ma energiche ed insistenti, il che è certo la forma di collaborazione più viva, da parte di persone come Caterina da Siena o Vincenzo Ferreri, le quali non potevano essere in ciò giustificate che da questo: Dio, esse almeno lo speravano, si manifestava in loro. Ora le autorità le ascoltarono e furono con loro d'accordo.

Ascoltare così la voce di Dio dal di fuori non vuoi dire cessare di contare sulla voce di Dio all'inferno, ma invece ascoltarlo ovunque si riveli. E ciò non significa abdicare, poiché se ci sottomette 'così in apparenza al giudizio dell'inferiore, sì tratta però di un giudizio di cui l'autorità stessa permane giudi-catrice; solo si tratta di un giudizio meglio giudicato, meglio preparato, meglio controllato, in attesa che Dio lo sanzioni. ' ,

Da questo lato la Chiesa, che non è una democrazia, partecipa, come ogni saggio potere, delle democrazia. E parimenti come ogni saggio potere essa partecipa delle aristocrazie nel senso che le autorità secondarie come vescovi, preti, diaconi o dignitari

.1248

qualsiasi esercitano in realtà l'autorità senza dividerla.

Essi non la dividono cioè non la spezzettano, poi-che l'autorità deve restare una, essendo tutta intera cosa del Redentore, che non si divide; ma essi vi partecipano in virtù di una comunicazione che presuppone un ritorno d'influenza.

Essi esercitano, per mezzo dell'elezione, un compito nella formazione dell'autorità. Ed in seguito, per mezzo di consigli privati od organizzati, col governo diretto di una parte del gregge, hanno parte 'nell'esercizio dell'autorità stessa.

' Si dovrà precisare per ogni caso questa cooperazione; ma per ora ci basta aver affermato il principio. Questo ci permette di conchiudere che, se è vero, secondo l'antica saggezza, che il miglior governo è quello che unisce la partecipazione di tutti all'azione dei migliori, controllata e centralizzata da un solo;

il regime della Chiesa si dimostra per quanto è possibile perfetto.

Resta solo da renderlo efficace con un genere di collaborazione che è il più necessario di tutti e la cui ricerca, quantunque puramente esortativa in ap- '• parenza, corrisponde al fondamento stesso di ciò che ci occupa. Bisogna collabo'rare offrendo il proprio cuore.

L'autorità non ha in realtà ragione d'essere, non importa in quale categoria, se non per procurare il bene sociale. E qual'è il bene sociale, tra figli di Gesù, se non la carità .sotto il suo duplice aspetto: amore di Dio e del prossimo, includendovi tutte le virtù che ne discendono e che lo difendono, invocando il progresso morale che ne è la manifestazione e attendendo per più tardi la consumazione?

La carità all'interno dei cuori è II più grande valore della Chiesa. Vale di più, a questo titolo fónda-

-840

mentale, un'anima virtuosa che non un'autorità, e un santo che non un Papa, se il Papa non lo fosse. Il più grande nel Regno dei cieli, secondo la testimonianza di Gesù — e il Eegno dei cieli di cui egli i, parlava è innanzi tutto la Chiesa — non è Pietro ne alcuno dei Dodici, almeno a titolo di capo, ma è un piccolo bambino umile e retto e che assomiglia a Gesù.

Certo, le grazie di missione sono più grandi socialmente e per ciò che è visibile: non ci si pone in ,, rango per ordine di santità; ma le grazie inferiori sono più grandi in senso assoluto e, infine, più efficaci. E' ciò che risulta dalla dottrina di San Paolo sui doni divini, ed è ciò che risulta dalla sua dottrina della autorità che egli pone sempre « a servizio dello Spirito» (II Cor. Ili, 8) precisamente per il fatto che essa ne è la regola.

Dalla regola nessuno può prescindere, e una categoria di individui meno di un singolo; ma senza l'alito di vita e le virtù che lo Spirito obbedito sveglia in noi, la regola non sarebbe che una fune tesa nel vuoto; tutto il sistema di governo della Chiesa sarebbe un mulino senza grano da macinare e a che servirebbe l'abbondanza dei suoi ingranaggi?

.Rendiamoci conto che il formalismo, chiamato nel Vangelo fariseismo, non ha mai potuto salvare alcuno. Ci si predica la fede; ma non ci si può dare la fede. Ci si detta una condotta, ma non si può mantenere una condotta per noi ne, in questo senso, ci si può condurre. Ci si conferiscono i sacramenti e questi, efficaci per istituzione, possono per nostra colpa, esercitare all'inverso la loro efficacia. Ora se questo si generalizzasse, diventerebbe fatale che vi sia reazione in tutto il corpo e sul governo stesso; ma non nella sua origine che è divina, ma nei suoi modi d'applicazione e nella sua efficacia.

260

Non si può più governare quando i sudditi non obbediscono più. Ciò che fa la forza dei governi è la buona volontà dei popoli. Se questa vien meno, la macchina è bloccata e si ferma.

Ma non si deve temere che la Chiesa abbia mai ad arrestarsi, perché lo Spirito di santità che in essa è diffuso può impedire il male ed evitare gli effetti che ne potrebbero derivare. La storia dimostra che le prove a cui è sottoposta la Chiesa, anche le sue prove morali, fanno risaltare da ogni parte le sue virtù nascoste. Ma se la Chiesa non perisce, può però decrescere a cagione del fatto che la vita può, •in ciascuno di noi, inaridirsi.

Sta perciò in noi di dare alla gerarchla la eoo-perazione che sola può rendere pienamente efficace per noi ed utile a tutti il lavoro che essa deve svolgere. Lavoro di cui San Paolo ricordava le condizioni ai Corinti troppo attaccati alle persone gerarchiche, quando diceva loro: « Io ho piantato-; Apollo ha inaf-fi.ato, ma è Dio — cioè Dio inferiore, Dio obbedito — che ha fatto crescere».

251

CAPO IV IL PAPA

II regime della Chiesa, quantunque ammetta una larga cooperazione dei suoi sudditi e delle sue autorità secondarie, è però un regime centralizzato, in fondo monarchico, e ciò per il motivo che l'autorità spirituale della Chiesa è divina.

Questa si governa con la rivelazione, cioè col comunicarci la Verità Prima, con la sacramentalità che è un effluvio divino, e con un potere che, estendendosi sino al fine supremo, deve provenire da Dio.

Nella Chiesa dunque tutto scende dall'alto. E il primo gradino è Gesù. Il Padre che è «più grande di lui» in quanto uomo, ma col quale, per grazia d'unione, non fa che una cosa sola, gli fornisce i beni destinati .all'umanità. Il Figlio dell'Uomo regna con Dio sull'organizzazione che nel Vangelo è precisamente chiamata Regno di Dio, per far risaltare il carattere dell'autorità che vi presiede.

A partire da Gesù, noi sappiamo che l'autorità divina si diffonde per mezzo della missione permanente organizzata dal Salvatore nelle superiori gerarchle della Chiesa e precisamente nel corpo episcopale, successione autentica dei Dodici.

Ma una tale missione, essendo collettiva, non può

^253

essere inorganica. Essa ha un capo che esercita la funzione di Gesù e rappresenta il mandante nel gruppo dei mandatari; essa rende visibile il Capo invisi-' bile che è ritornato nel mistero, quantunque egli non ;

cessi di governare la sua organizzazione, la Chiesa, per mezzo del suo Spirito incessantemente comunicato -con la sua presenza sacramentale e con la sua azione multiforme nei riti della Chiesa. . ,

Pietro, maggiordomo del Regno dei cieli grazie alle chiavi affidategli dal suo Maestro e il successore di Pietro che ha ereditato il suo potere e rappresenta come lui, partito Gesù, la permanenza dell'azione del Redentore: tale è l'autorità suprema nella Chiesa. F già vi abbiamo insistito a proposito del carattere ro- ;

mano della Chiesa stessa. :

Una tale autorità non può essere che plenaria nei riguardi di tutte le funzioni che si riferiscono alla;' missione permanente del Salvatore.

Gesù stesso è il centro non solo della Chiesa visibile e gerarchica, ma di tutti gli uomini sia viventi sia morti sia nascituri, della natura stessa e dell'universo tutto per quanto esso ha relazione con l'umanità. Il Papa non ha un così ampio potere. Egli è semplicemente capo di missione e questa si esercita nel presente, nel visibile. Ma sotto questo riguardo il suo potere è pure plenario, poiché esso non è altro che quello dello stesso Gesù. Il Papa non è un potere intermediario tra il Redentore e i vescovi. Egli è Gesù stesso che governa l'episcopato della Chiesa come vicario.

Ora è essenziale caratteristica di un vicariato quella di non costituire alcun grado gerarchico nuo--vo, ma di lasciar sussistere l'identità, per trasferimento, tra il capo rappresentato e il suo mandatario. Un ambasciatore, nei limiti delle sue facoltà, non

253

è un'autorità posta al disotto del suo principe, ma esercita l'autorità del principe stesso.. Così il Papa esercita nella Chiesa l'autorità di Gesù Cristo, governa in suo nome, costituendo con lui, come suo vicario, un solo ed unico potere e adempiendo alla funzione fondamentale, nei riguardi dell'edificio spirituale, che era stata già affidata a colui che è stato chiamato la pietra angolare.

E ciò che voleva significare il Divin Maestro quando diede al suo rappresentante il nome simbolico di kephas, Pietro. E il Papa, portando il nome dato dal Redentore: pietra angolare o roccia di fondazione, ha ottenuto nei riguardi della sua propria missione tutte le prerogative del Redentore.

Innanzi tutto il magistero, cioè l'insegnamento. Ciò non vuoi dire che il Papa abbia autorità di insegnare qualsiasi elemento nuovo dopo la venuta del Redentore; egli non insegna nulla di nuovo; ma è il capo tra coloro ai quali è stato detto: «Andate ed istruite tutte le nazioni, insegnando loro ciò che vi ho detto ».

In tale modo egli è il ripetitore della lezione divina fatta agli uomini. Conferma i suoi fratelli nella fede; organizza il simbolo, lo interpreta, lo difende, decide in modo definitivo sulle controversie che solleva, serve da ultimo appello nelle dispute che ' tali controversie non possono far a meno di suscitare in seno ad un -gruppo unito — e Che resta precisamente tale per questo mezzo; ma così diverso per l'intelligenza e d'altronde tentato sotto questo rapporto come sotto tutti gli altri.

Tutte le potenze del male non sono dell'ordine pratico. C'è il demone dell'orgoglio intellettuale, quello dell'amor proprio, della ostinazione, del cavillare e della contesa con altri.

'Gesù l'aveva previsto e •volevaopporsi a questo

gB4 . •

pericolo quando diceva: «Simone, Simone, Satana vi ha reclamati per cribrarvi come il frumento; ma io ho pregato per fé affinchè la fede non ti abbandoni. E tu rafforza nella fede i tuoi fratelli ».

Notate questo singolare e questo plurale? Satana vi ha reclamati per cribrarvi, cioè per non lasciarvi tranquilli e agitarvi con pensieri diversi. Anche voi;

miei .inviati potrete subire i suoi assalti. Allora tu, Simone Pietro, se tu fossi pure turbato e agitato da dubbi in merito alla mia parola, ricordati che ho pregato per tè, perché la tu,a fede non venga meno. E poi tu, tu in particolare, come capo devi rafforzare i tuoi fratelli nella fede.

Il privilegio dell'infallibilità trova qui il suo punto di contatto. Ma questo dovrà essere studiato a parte.

La seconda prerogativa essenziale per il vicariato del successore di Pietro è il governo. « Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato in cielo; tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto in ciclo! (Mat-teo XVI, 19) ». Cioè l'autorità di Gesù, ritornato in Cielo, non è però assente dalla sua opera. Egli l'ha comunicata collettivamente a tutto il gruppo dei suoi inviati: così egli dirà ,a tutti in un altro passo dello stesso Vangelo (Ibid. XVIII, 18): « Ciò che voi legherete sulla terra sarà legato anche in Cielo e ciò che scioglierete sulla terra sarà sciolto in Cielo ». Ma, dice Bossuet, « il seguito non distrugge ciò che precede... L'espressione: Tutto ciò che legherai, detta ad una sola persona, viene già a porre sotto la sua potenza ciascuno di coloro a cui poi sarà detto: Tutto ciò che voi legherete» (1).

(1) Discorso sull'unità della Chiesa.

«P,asci i miei agnelli, disse ancora il Salvatore a Pietro prima di partire; pasci le mie pecorelle » (Giov., XXI, 15-17). E su questo passo scrive S. Ambrogio:

«Prima gli agnelli, poi le pecorelle sono affidati alle sue cure; poiché egli è costituito non solo pastore ma pastore dei pastori. Egli pasce gli agnelli e le peco-'relle; pasce i fìgli e le madri (cioè le chiese), governa i sudditi e i vescovi » (1).

Gesù dice: Pasci le mie pecore, pasci i miei agnelli, cioè: io non me ne stacco e tanto meno lascio il potere che ho su di essi; ma questo potere lo comunico affinchè sia esercitato in mio nome. Tu sarai pastore, Pietro, con me e in me, tu sarai un solo pastore con me.

Inoltre Gesù non dice: Pasci il mio gregge, come se parlasse collettivamente; ma i miei agnelli, le mie. pecorelle, designando il tutto per mezzo della parte, come se volesse nominare ognuno individualmente e affidare alla custodia di Pietro non solo l'insieme dei fedeli, ma ogni fedele, non solo l'insieme delle chiese, ma ogni chiesa singola. Questo per dire che il potere di Pietro e dei suoi successori nei riguardi delle chiese e dei fedeli è immediato, cioè che egli può dare ordini a ciascuno e a tutti, individui e gruppi, fedeli, pastori, chiese particolari o Chesa universale.

Di solito, all'infuori delle cause maggiori che il Papa si riserva, questo potere universale si esercita per gradi: così richiede la saggezza; ma non c'è in ciò alcuna necessità di giurisdizione; essendo nella Chiesa una sola l'autorità, ed avendola il Papa intera, a lui è riservato di bastare a tutto in caso di ne -

(1) Espos. in I.uc. X, 175. 286

cessità: da lui solo dipende sapere in quali forme e in quale misura gli conviene di trasferire o di riserbarsi le sue funzioni.

Il Papa è con ciò giudice supremo, in mancanza di che il suo governo sarebbe privo d'efficacia. E il suo giudizio è senza appello. Non si può neppure dire con Pascal al tempo delle sue scorribande gianseni-ste: « Ad tuum Domine Jesu tribunal appello; mi appello, o Signore Gesù, al tuo tribunale ». Questo grido, commovente del resto, è in certi casi giustificato; ma allora l'autorità non è nella sua legge e sul suo terreno. Ma nel suo campo e secondo la sua legge ;

l'autorità del Papa non può cedere a quella di Gesù Cristo, perché è la stessa.

Infine il potere legislativo e giudiziario del Sommo Pontefice presuppone come conseguenza il potere di applicare sanzioni; ben inteso, conforme alla natura della sua giurisdizione: donde le pene canoniche di cui egli è il supremo dispensatore.

Come pontefice propriamente detto, cioè dal punto di vista dell'azione sacramentale, il Papa. non è nulla , più di un vescovo; ma quanto all'uso che ne è fatto ' e ai riti che l'accompagnano egli è primo come in tutto il resto. Egli è capo delle liturgie, da disposizioni su tutto il culto divino per dare all'azione mistica della Chiesa mezzi acconci in relazione ai tempi, ai luoghi e alle persone.

Questi diversi compiti e lo spirito in cui è opportuno adempierli si riflettono nei nomi che per tradizione riceve il capo della Chiesa e nelle insegne esteriori .di cui si riveste la sua dignità.

Lo si chiama il Papa, cioè il Padre, padre per eccellenza nel campo soprannaturale, padre dei padn,

25" 17. — La Chiesa.

essendo capo di coloro che ci generano alla fede con l'insegnamento e alla vita cristiana col battesimo;

capo di coloro che ci governano con un governo che deve essere del tutto paterno, poiché applica la legge d'amore e di cui San Paolo ha espresso l'a/'one nel grido: «La carità di Cristo ci spinge: Carità1;

Chrìsti urget nos ».

Lo si chiama Vicario di Cristo e ne abbiamo già indicato la ragione: è un Cristo proseguito per delega; un procuratore in missione terrestre.

Lo si chiama S.anto Padre o Beatissimo Padre, non tanto per allusione filiale ad una santità personale che piamente si presuppone quanto per ricordare la santità del suo ufficio, la santità della dottrina e delle leggi che egli promulga, la santità del Redentore che rappresenta e dello Spirito di cui è strumento.

Lo si chiama Sommo Pontefice e Vescovo dei vescovi per segnare l'ordine gerarchico che termina nell'unità con l'unico pastore dell'unico gregge evangelico.

Egli stesso si chiama nelle sue lettere apostoliche ,'\Servo dei servi di Dio, e ciò in ricordo della formula del Maestro che definisce l'autorità nel regime cristiano: «Colui che fra voi è capo sia 11 servo di : tutti ». E nello stesso tempo questo umile appellativo sottolinea, oltre allo spirito d'autorità, lo scopo di tale autorità. Ci si spinge al servizio di Dio, pensando di essere così e solo così al nostro servizio.

La tiara con tré corone, o triregno, rappresenta il triplice potere dottrinale, legislativo e giudiziario. Il pallio, riduzione dell'antico mantello bizantino che gl'imperatori davano ai pontefici, è un segno di giurisdizione universale nel senso che il Papa lo porta sempre ed ovunque, a differenza dei vescovi o arci-

258

vescovi che ne fanno un uso ristretto, come è il loro potere. La croce che si porta davanti al Papa nelle cerimonie mostra in nome di chi egli procede. E cosi dicasi del resto. I simboli sono numerosi nel decoro esteriore che circonda l'autorità religiosa. L'idea sarà anche qui sempre la stessa: potere plenario e universale, potere del Redentore trasmesso e perciò, nel campo visibile, potere divino per fini celesti.

Il Papa non rivendica, in nome della sua carica, dignità o principato temporale; ma in nome della sua carica rivendica l'indipendenza piena e intera di cui ha bisogno affinchè lo spirituale si mantenga al disopra delle maglie della rete politica, delle agitazioni da cui le acque nazionali e internazionali sono sempre più o meno turbate.

Ora nel corso degli anni si è visto che la miglior garanzia di questa indipendenza era un principato temporale di piccola estensione, atto solo a sottrarre il pontificato alla sopraffazione d'uno Stato particolare, a danno delle libertà apostoliche e della fiducia dei popoli. « Occorreva, come riferisce la deliberazione dei vescovi del 1682, che il capo della Chiesa, il romano pontefice, non fosse suddito e nemmeno ospite di alcun principe, ma che risiedendo in territorio proprio, fosse sui juris e potesse conservare e propagandare la fede in una nobile tranquilla e augusta libertà e di là potesse governare tutta la comunità cristiana ».

Napoleone I giudicava tale istituzione « la più saggia e la più favorevole che si possa immaginare nel governo delle anime ». Si può credergli; poiché tale istituzione gli era, sotto certi aspetti, assai poco simpatica.

259

Riassumendo, il papato si presenta a noi come l'organo unificatore di tutta l'opera del Redentore e di tutti i suoi fedeli; di tutti i suoi beneficiari dispersi e di tutte le sue funzioni. Tutto ciò che si agita nella Chiesa vi trova il suo centro di impulso. Tutto parte da Roma e tutto vi ritorna. Lo splendore della tiara è costituito da un'irradiazione immensa che, dalla lanterna di San Pietro ove essa sembra riluce, dirige ovunque la sua luce attiva e vede in cambio convergere verso di essa milioni di sguardi. Là è il faro che sulla costa accidentata, al di sopra delle rocce oscure, all'incrocio di strade inesplorate e pericolose, veglia, guida, ammonisce e conforta con la sua vista, esercita l'ufficio di stella e parla di speranza evocando la visione del porto.

Quando il concilio generale chiama a Roma centinaia di vescovi da ogni parte della terra, portatori di omaggi e di voti nonché della testimonianza e dei pensieri religiosi di milioni di esseri, si ha il segno 'concreto dell'unità realizzata dal papato; è allora la marcia verso la stella dell'umanità che si sforza di .raggiungere un punto in cui sa che si trova il suo Dio in un'istituzione di salvezza, come nella culla di Betlemme.

Ma in questa visibile convergenza di viandanti non vi è nulla di più di quanto si trova nella tranquilla realtà quotidiana. La strada del cuore e degli spiriti è sempre rivolta' verso Roma; ed essa può essere sempre percorsa; i veri fedeli la percorrono ogni giorno. E non è un motivo di fede trascurabile questo vasto confluire di elementi presi da tutte le razze e da tutte le nazioni, da tutte le classi sociali e di tutti •i gradi di cultura, da tutte le età e civiltà; elementi divisi in tutto salvo che su credenze e riti essenziali, sull'adesione a un centro indiscusso che nermette'di

dire: Ubi Petrus, ibi Ecclesia: Là ove è Pietro, lì è la Chiesa.

Se il corpo ci unisce alla famiglia e alla patria, che sono le nostre madri secondo la carne, è certo che solo la grazia di Dio ci può unire in modo duraturo e profondamente alla famiglia dei figli di Dio, i quali, non essendo nati che dallo Spirito, non possono esistere che in Lui.

Vi è qui qualche cosa di più dell'uomo. Vi è la testimonianza di una presenza divina.

261

CAPO V IL MAGISTERO INFALLIBILE

Nelle visioni dell'Apocalisse relative alla Chiesa trionfante si trova questa frase di un così profondo simbolismo: «E la città non ha bisogno ne di sole ne di luna per illuminarla, poiché la gloria di Dio la illumina e l'Agnello ne è la face ».

Strano sistema di illuminazione, che sembra doppio e che è uno solo, poiché l'Agnello serve da face e nello stesso tempo la gloria di Dio è per la città eterna l'unica luce!

E' il mistero delle cose comunicate dal Redentore che è qui indicato. Non vi sono due luci, non ve ne e che una. Ma la luce ineffabile, simile alle vibrazioni del fluido etereo, che i nostri occhi non vedono, si condensa sul Figlio dell'Uomo, che le serve di face. Ora l'applicazione di questo mistero alla città di Dio in questo mondo ne segue come diretta conseguenza in quanto la città terrestre non forma che una cosa sola con l'altra, malgrado le divisioni utilitarie e provvisorie.

L'unica luce degli uomini è Dio. Noi non invochiamo altra sorgente di luce. Non si deve dire che nel campo spirituale crediamo ad altro Ente che non sia

262

Dio. Ma questi si rivela agli uomini per mezzo del .Redentore ed ha tatto dell'Agnello immolato e poi glorificato la face della città, permettendogli di dire, come uomo, così per comunicazione: «Sono io la luce del mondo ».

L'Agnello risalito nel mondo invisibile non ha però lasciato senza luce le nostre regioni. L'insegnamento del Vangelo rimane con noi. Ma l'insegnamento senza autorità vivente che cosa diventerebbe!

Quando Aristotele morì, la sua dottrina così coerente, e così elevata nella sua concretezza, così ammirabilmente sintetica, cadde nelle mani di discepoli dalle tendenze diverse che la stirarono in tutti i sensi" e la fecero infine deviare verso il materialismo. Nel medio evo, quando gli Arabi se ne impadronirono, la spinsero verso il panteismo. Oggi coloro che la studiano su testi particolari, come sono i nostri testi e-vangelici; oscuri, come lo sono spesso i nostri oracoli, suscettibili perciò di interpretazioni diverse, come la esegesi lo prova abbastanza in materia di libri santi, non sanno più a qual partito attenersi.

Spezzettamento, deviazioni, discussioni senza uscita e finalmente in pratica il nulla; ecco dunque ciò che avrebbe atteso la Buona Novella, se ci fosse rimasto solo il suo profumo in alcuni ricordi oppure la sua cristallizzazione in alcuni testi senza alcun rappresentante vivente. Ciò è tanto vero che tutte le sette che hanno preso la loro parte sono giunte a una confusione dottrinale tanto più pronunciata quanto più esse sopravvivevano. La stasi di alcune segna semplicemente la loro morte. E' a questo punto che si scrivono libri su libri fra i dissidenti per chiarire questo problema primordiale; qual'è l'essenza del cristianesimo? ' • '

Conoscendo dunque ciò che c'è nell'uomo, come di-,

263

ce l'apostolo Giovanni, e possedendo altri mezzi diversi da quelli che erano a disposizione degli Aristotelici in cerca di una fuggevole posterità, il diviri Maestro organizzò dottrinalmente e praticamente la sua rappresentanza terrestre. Egli era la face e partiva: costituì perciò una face al suo posto, face per sostituzione, face che avrebbe rischiarato della sua luce e non di una nuova luce. E ciò nell'unità di una comunicazione dì cui egli deve restare, con Dio, la sorgente; in una continuità che dovrebbe preservare dall'estinzione le luci evangeliche e invierebbe i suoi raggi in tutte le direzioni così da illuminare tutte le situazioni e da impiegarli per tutte le iniziative pratiche, e intellettuali; ma senza nulla innovare.

Nessuno avrebbe dovuto essere nella Chiesa sole, luna, stella, tale da irradiare nel campo soprannaturale una luce propria. Solo l'Agnello doveva essere la face; la gloria di Dio tutta sola la luce; ma vi sarebbe stata continuità della comunicazione irradiante 'luce per mezzo dell'organo indefettibile chiamato pa ^pato.

Tale è il punto di contatto dell'infallibilità pontifìcia che noi promettevamo di precisare, quantunque in verità tutto sia chiaro, quando bene si giudichi da ciò che precede.

Innanzi tutto si deve considerare che l'infallibilità la quale è una garanzia per tutti i cattolic', non è un privilegio della persona del Papa nel senso che egli abbia a profittarne di più di noi; egli ne trae vantaggio come noi e deve sottomettervisi e credervi.

Il Papa ha fede nell'infallibilità, ha fede cioè nelle sue decisioni ed è obbligato ad esse come il più umile dei fedeli: e ciò è prova che l'infallibilità non gli ap-

264

partiene e che sola luce è qui lo Spirito Santo. L'infallibilità inoltre non è privilegio personale nel senso che il Papa ne abbia in se stesso le disposizioni, come se noi dovessimo attribuirgli una psicologia speciale. Il Papa, in quanto persona privata, è un uomo come tutti gli altri, debole come noi, peccatore come noi e suscettibile di errore come ogni mortale. Ne abbiamo la prova nel fatto che certi papi hanno scritto opere di teologia che non godono nella Chiesa di un'autorità particolare e che si possono liberamente confutare. San Tomaso, semplice monaco, è ben altrimenti importante come dottore del papa Benedetto XIV che d'altra parte era particolarmente competente in questo campo.

Donde si vede che valore abbiano 1 rimproveri che certuni ci fanno a questo riguardo, come se la infallibilità fosse la deificazione di un uomo.

Noi non deifichiamo alcuno, se non Dio; ma Dio lo deifichiamo abbastanza per porlo al disopra delle piccole competizioni d'orgoglio e delle ingratitudini che vorrebbero impedirgli di rivolgersi verso gli uomini.

Egli si è piegato verso gli uomini in forza della creazione stessa, della sua redenzione e continua a farlo per soprappiù proseguendo questa redenzione in tutti i campi in cui abbiamo bisogno che essa ci sollevi.

Da soli, scivoliamo verso l'abisso dell'errore; noi siamo come le Danaidi per le verità religiose. Se vogliamo riscattarci dal nulla dottrinale, bisogna che sia garantito con un mezzo qualsiasi il minimo di verità necessarie. Il mezzo offertoci dal Redentore è la preghiera che il Padre esaudisce sempre e che ot-

265

tiene qui la sicurezza. «Ho pregato affinchè la tua fede non venga meno ».

La preghiera del Redentore basta a salvarci dalle tenebre. Ma è chiaro che non si tratta ne di nuova rivelazione, ne di ispirazione o di nuove verità infuse nel nostro spirito: si tratta semplicemente di una preservazione provvidenziale.

I Papi non sono superuomini ne semi-dei secondo le concezioni pagane. Si deve abbandonare questa interpretazione alla malafede semicosciente o all'imperdonabile leggerezza di alcuni dissidenti. I Papi non sono che deboli mortali convenientemente assistiti. Essi. non beneficiano di alcun miracolo psicologico. Il Salvatore ha pregato anche per loro e ciò basta. La su;a preghiera onnipotente ottiene, don mezzi che si precisano in modo provvidenziale per ogni caso, ciò che potremo chiedere noi stessi con minore efficacia chiedendo a Dio: Preservami dal pericolo di sbagliare.

Ne segue in secondo luogo che ben preciso è l'oggetto dell'infallibilità: e ciò è quanto riguarda la perpetuazione dell'insegnamento del Redentore e che rappresenta il contenuto della sua missione espresso con le parole: «Insegnate loro CIÒ' CHE IO VI HO INSEGNATO ». Non è dunque la rotazione della terra.

Perciò nessuna teoria scientifica o storica, nessun sistema fliosoflco cade, come tale, sotto il magistero ecclesiastico. Se la Chiesa se ne preoccupa e ne giudica, ciò avviene solo quando le loro conclusioni implicano una negazione della sacra eredità. Allora la stessa giurisdizione che si sa giudice di tale eredità religiosa, è conscia pure di essere giudice del suo contrario; ma questa non è una manomissione della

266

scienza: la libertà dei metodi scientifici resta intatta (1). <• - • • :

In terzo luogo, quando attribuiamo l'infallibilità al successore di Pietro, lo facciamo in linea principale ma non esclusiva. Non si deve dimenticare che è stato detto, al plurale: « Andate e istruite tutti i popoli ». Il privilegio di non errare in materia di dottrina religiosa è un privilegio di missione: esso appartiene a tutto il gruppo missionario e in esso a tutta la Chiesa.

Così le decisioni conciliari, dopo il concilio di Gerusalemme presieduto dallo stesso San Pietro, sono registrate al plurale. «E' sembrato bene allo Spirito Santo e a noi», dicevano i nostri primi Padri. Ma il gruppo apostolico o episcopale non gode del privilegio comune che nella sua unità determinata dal capo, sotto la dipendenza del capo, in virtù della confermazione, di cui Pietro è stato incaricato verso i suoi fratelli: «Ho pregato per tè, affinchè la tua fede non venga meno e tu conferma i tuoi fratelli ».

L'infallibilità del gruppo apostolico e del corpo e-piscopale, suo successore; quella di Pietro e del Papa, suo successore, è un'infallibilità che conferma. Di guisa che una decisione non è garantita da promesse efficaci del Salvatore che quando è portata in u-nione con Pietro e da lui confermata secondo le leggi della sua missione. Ciò che dice il concilio senza il Papa, o a maggior ragione contro il Papa, è nullo;

ciò che dice il Papa senza il concilio è per se stesso sufficiente.

Però a lui compete, per procedere secondo la volontà di Dio che fa tutto con saggezza, di illuminarsi

(1) Cfr. V. I, libro II, cap. IX: Della libertà intellettuale del credente.

267

delle luci comuni e di trovare abitualmente in questa collaborazione il mezzo umano della impossibilità di errare garantita per azione divina. Ma se il Papa non provvede a ciò, la promessa del Redentore •non diventa per questo fallace. L'errore di uno solo non sarà causa di infelicità per tutti. Dio ha il mezzo di salvare in ogni caso ciò che ha stabilito di sal-

L'indefettibilità della fede nella Chiesa sarà così opera dei Dodici collettivamente e di Pietro in particolare, dell'episcopato nel suo insieme unito al suo /capo e del capo per un diritto di primato che gliene (Costituirà una prerogativa singolare e propria. Si dice singolare o personale ma non nel senso che riguardi la persona privata del Papa; essa riguarda invece la persona gerarchica, la carica; ma in questa carica e nel Papa soltanto si concentra nella sua pienezza ed essa è perciò, in questo senso, singolare.

D'altra parte essa non dipende dall'insieme, ma al contrario vi si comunica, venendo dal Redentore e da Dio e in tal senso essa è propria. Abbiamo detto che la democrazia religiosa, che volesse far salire dal basso il potere, dottrinale o di altro genere, in luogo di farlo discendere in successive comunicazioni, sarebbe il contrario di un regime divino.

Se si riconosce nelle sue semplici deduzioni — ben semplici a partire dalle divine intenzioni di cui sappiamo essere gratificata l'Umanità — si riconosce con ciò il potere-fantasma tanto coperto di sarcasmi e di odio, all'indomani del concilio Vaticano? Sfida al secolo della luce, bizantinismo, idolatria, autocrazia at-tentatrice di tutti i principi della vita moderna!...

Si continuò su questo tono per circa vent'anni e poi, siccome non si può sempre pensare alle stesse

268

cose, si dimenticò; ma basta ripetere le parole: infallibilità del Papa, perché in certi ambienti si veda ritornare sulle labbra un sorriso o qualche piccola bestemmia fatta subito rientrare, eco dei grandi schiamazzi di un tempo. •

Prima di sorridere o di bestemmiare si dovrebbe cercare di comprendere. Ciò che diciamo è così na- ;

turale, anche nell'ipotesi di una positiva rivelazione, che vi sono stati anche degli increduli e, fra i cristiani dissidenti, dei protestanti (e cito proprio costoro in particolare perché il loro tratto caratteristico è appunto l'opposizione alla Santa Sede) che l'hanno ammesso pienamente.

Ne citiamo uno solo, che non si può trascurare ne tra i suoi correligionari, perché fra essi egli gode di un meritato prestigio, ne tra gli altri, dato che è un'eminente personalità. Augusto Sabatier (1), analizzando il concetto di dogma, prova a lungo che, se si vuole un dogma fisso, bisogna assolutamente farlo custodire dall'infallibilità. E del resto questa dimostrazione non era difficile; ma essa è almeno sincera.

Ben inteso, però, l'autore non la presenta come una ragione per aderire al Papa, ma come una ragione di respingere il dogma fisso in cui sono « coinvolti » coi cattolici anche gli ortodossi protestanti.

Su questi punti siamo ben fissi e non aspettiamo chiarificazioni; ma siamo ben lieti di registrare l'argomento. Se c'è rivelazione, ci si dice, c'è eredità d;

verità da conservare; c'è nel mondo una luce attorno alla quale bisogna porre la mano per impedirle di spegnersi. Allora pensate alla tempesta delle opinioni e contraddizioni umane! Se c'è eredità e pericolo con-

(1) Le religioni d'autorità e le religioni dello Spirito. Che cosa è un dogma?

269

tinuo per questa, pericolo mortale, delle due cose l'una: o il Rivelatore ne trae le conseguenze e permette alle tenebre — senza che forse vi sia colpa da parte di alcuno — di far scomparire la sua luce, oppure deve organizzare un sistema di salvaguardia. In luogo della torcia a vento ci occorrerà il fuoco protetto, il faro la cui corazza di vetro custodisce il suo bagliore contro i venti del mare.

«Un dogma indiscutibile suppone una Chiesa infallibile»; tale è la proposizione lapidaria che stabilisce il nostro autore. — Grazie, caro avversario! Vói avete un bell'aggiungere, dopo di ciò, che non c'è dogma indiscutibile; che il Vangelo non è stato che « un invito tutto morale, un'esperienza, una consolazione offerta a ogni cristiano », non ne saremo commossi, un'esperienza, una consolazione, un invito tutto morale è un canto, e il « vecchio canto » di cui ci risuonano gli orecchi. Noi invece crediamo che il Salvatore ha detto UNA PAROLA; che egli ha parlato « come avente autorità », come dicevano i suoi ascoltatori; come il solo che conoscesse i segreti del ciclo, essendo venuto dal cielo e ripetendo egli ciò che aveva ascoltato da suo Padre, come egli stesso affermava.

C'è in ciò per noi un elemento indiscutibile. e riteniamo che ciò sia la vita dello spirito umano in relazione a oggetti dei quali la nostra scienza tutto ignora, quantunque essi siano, fra tutti, i più indispensabili.

Allora, riprendendo la vostra proposizione, noi diciamo: Un dogma indiscutibile presuppone una Chiesa infallibile? Bene. Aggiungiamo ciò che voi non discuterete: Una Chiesa infallibile presuppone qualcuno in cui, in questa Chiesa, l'infallibilità trovi il suo centro. In questo mondo il dogma vivrà e noi

270

pure religiosamente vivremo, mentre voi con la vostra « esperienza » tutta morale e consolatrice, morite della più bella delle morti dottrinali. E veramente mi sento preso di una pietà simpatica quando vi sento dire, con una frase che letteralmente ammiro, a proposito della definizione solenne fatta nel 1870 dell'infallibilità del Papa: « Le apoteosi non sono che forme pompose della morte ».

La morte! Ma per chi parlate? Sono dunque i cadaveri che vengono ora a dare il segno del trasporto mortuario ai viventi? Chi dunque si è dissociato, come un corpo senza idea vitale, subendo sempre più gli effetti di un principio arbitrario e antisociale; trovandosi ridotto allo stato di magma, precisamente là ove obbedisce meglio ai vostri suggerimenti, in cui si trovano sostanze ricche come voi, o grande spirito, ma prive di legame organico, abbandonate all'anarchia delle combinazioni casuali, come deve avvenire in seno alla terra, quando l'anima, maestra di unità, non è più là?

E siete proprio voi, nella vostra bara che non è neppure sigillata — poiché tutti i vostri quadri artificiali si spostano — che intonate su di noi il la--'mento della fine? Dormite in pace e non datevi pena per la Chiesa!

Lo dicevamo già a proposito dell'unità, che è uno dei caratteri preminenti del cattolicesimo: il movimento di concentrazione realizzato dalla Chiesa nell'ultimo conciliò, lungi dal soffocarla, l'ha fatta meglio sviluppare. Era il movimento della fiera che si raccoglie prima di spiccare il salto. Il Leone di Giuda conosce la legge dei grandi slanci, e passa, ;n caso di bisogno, anche per condizioni che sembrano Soffocarlo. Se l'ultramontanismo è stato un soffocamento, ne vediamo e ne vedremo soprattutto in fu-

27i

turo la distensione graduale, forte, ampia talmente da abbracciare un vasto avvenire, quando i contrasti attuali, talvolta così confusi, ma di una confus'one che indica ricchezza, saranno stati conclusi.

La concentrazione è il primo movimento della vita; l'espansione ne è il secondo; e ciò di fase in fase sino a che un giorno, quando i viventi immortali avranno 'compiuto i loro destini, troveranno nell'espansione eterna, con la pace che perseguono lo •stato felice dei molteplici elementi che noi siamo. Poiché siamo noi, uomini, i beneficiari della vita sovrumana, che garantiamo, in questo mondo e in vista dell'altro, le infallibili verità.

272

CAPO VI L'INFALLIBILITÀ' NEL XIX SECOLO

Avendo guardato in faccia il fantasma, che spaventa alcuni, l'infallibilità del pontefice, lo abbiamo visto svanire in una grande luce. L'infallibilità è ]a vita religiosa mantenuta nella sua direzione, resa stabile, garantita contro la dispersione che è la tendenza naturale dello spirito umano; così il tesoro delle verità indispensabili si trova salvaguardato per mezzo di definizioni non discutibili.

Quando, da questo privilegio preso in generale, risaliamo al privilegio di infallibilità attribuito in proprio al Papa, lo troviamo giustificato quando osserviamo che l'autorità nella Chiesa non risale dalla massa dei fedeli ai suoi capi e al capo supremo, come in una democrazia; ma discende, in nome del Redentore, dal capo supremo, che conferma i suoi fratelli, ai capi intermediari, i vescovi, che sono confermati, poi ai fedeli, che sono istruiti e così l'infallibilità della Chiesa ha il suo centro in quella del Papa e coincide in certo qual modo con essa, di guisa che si può dire: Là ove è Pietro è la Chiesa.! Ubi Petrns, ibi Ecclesia.

L'infallibilità, cosa ben semplice, non è meno fon-

873

18. — La Chiesa.

(lamentale nel grado stesso di ciò che essa vuole garantire. La dottrina è per la società religiosa ciò che per il vivente è la sua idea vitale, cioè i suoi principii d'unità, di specificazione e di esistenza.

Da allora si pone la questione: Perché l'infallibilità è stata definita cosi tardi? Perché solo nel XIX secolo? Ciò che è essenziale non può attendere. Ciò che è centrale deve trovarsi all'inizio, al mezzo e al termine di una esistenza che si pretende immutabile. Se la cosa si svolge diversamente, sembrerà giusto dire, al momento di una dichiarazione, che nulla poteva far prevedere: La Chiesa devia: sono il capriccio e l'autocrazia che la guidano. Non se ne resta ingannati!

Questa questione deve essere in realtà 'risolta. Essa non ha nulla di imbarazzante per noi; ma è interessante per parecchie ragioni.

E' vero; ciò che è essenziale non può attendere, Ma questo è uno di quei principii che non dicono / nulla, finché non si è precisato il loro contenuto. At- 1 tendere, può applicarsi sia alla sostanza d'un tatto sia' ai suoi sviluppi sia al suo manifestarsi. Questo a sua^ volta, e così pure lo sviluppo potranno essere parziali, estesi,. compiuti più o meno e, per finire, completi e indiscutibili.

A questi lumi sì giudichi.

Il primo di tutti i concili, che fu la riunione dei Dodici e dei primi discepoli a Gerusalemme per discutere la questione delle osservanze ebraiche, ci mostra il funzionamento iniziale della gerarchla dedita all'insegnamento. Ora, che cosa si è detto, dopo l'esposizione della causa e per iniziare le conclusioni? «E' sembrato bene allo Spirito Santo e a noi». Una tal maniera di esprimersi non lascia alcun dubbio Sulla coscienza che aveva la Chiesa, sin dagli ini-

274

zi, di possedere nella sua gerarchla, almeno presa nel suo insieme, il mezzo di collegarsi con la Verità prima. .

Ma, notiamo, questa decisione presa in comune è stata avanzata da San Pietro; è lui che presiede, mentre Giacomo, « fratello del Signore », che gode, a cagione di ciò e per la sua pietà, di una grande autorità personale, non formula la sua opinione che riferendosi a lui, Pietro, e nello stesso tempo l'assemblea « mantiene il silenzio » su ciò che è stato discusso, dopo le conclusioni di Pietro. Non è ciò per anticipazione il « Roma locata est, causa 'finita est: Roma ha parlato, la causa è chiusa » che doveva essere proclamato più tardi?

Dopo che San Paolo ha predicato per tré anni, sulla fede di ispirazioni di cui egli conosce l'origine, ma che non sono ancora controllate, lo prende uno scrupolo e, tenendo il giudizio proprio, piaga religiosa che bisognerebbe tante volte reprimere, va a Gerusalemme per confrontare il « suo Vangelo », cioè il suo insegnamento con quello, di chi? — di Pietro Rimane quindici giorni con lui, vede solo Giacomo, prende cura di dire che non ha visto alcun altro e se ne ritoma tranquillo pronto ad annunciare ai Galati, con quell'energia che non ha timore di spingersi sino in fondo: « Quando io stesso od anche un angelo venuto dal ciclo vi annunciasse un Vangelo diverso da quello che vi ho esposto, che egli sia anatema! » .

Non è certo qui un esercizio dell'infallibilità paragonabile, come chiarezza di funzionamento, a ciò che vediamo oggi nella Chiesa cattolica. Non può neppure venire in mente di pretenderlo: non sarebbe ne leale ne intelligente da parte nostra; poiché questo velerebbe ai nostri occhi un carattere

?75

della Chiesa, che ci è tanto caro quanto la sua immutabilità, che ne è il complemento, senza per questo contraddirlo, e cioè il suo carattere progressivo.

Bisogna dirlo ancora una volta: la Chiesa non è un veicolo impantanato. Ma non è neppure il veicolo che se ne va, lento o rapido, carico di immutabili bagagli. E' un'organizzazione vivente. La sua immutabilità è dunque quella del vivente e ogni organo, in essa, deve comportarsi come fa un organo vivente, che all'inizio, raccolto nel mistero del germe, si rivela progressivamente, sotto la spinta del bisogno, grazie a circostanze inteme ed esterne.

La Chiesa, che ha innanzi tutto la perfezione della sua essenza, e per conseguenza ha pure, in stato embrionale, tutto ciò che, in essa, potrà in ogni tempo essere chiamato essenziale, non ha però dall'inizio sviluppato tutto questo elemento essenziale. E come è, vivendo, che la vita si riconosce e sale di gradino in gradino sino alla piena coscienza di se, cosi la Chiesa non ha sin dall'inizio la coscienza piena irrefragabile della sua propria costituzione essenziale in ciò che ne riguarda i punti precisi.

L'infallibilità non deve fare eccezione a questa legge e vi sono d'altronde ragioni storiche cui abbiamo già fatto allusione.

Non solo non occorre che l'infallibilità propria del supremo pontefice apparisse sino dall'inizio, ma era naturale che essa fosse relativamente velata nello stesso San Pietro e che dopo di lui, in luogo di manifestarsi subito in tutto il suo splendore, sì indebolisce per non riprendere il suo sviluppo che più tardi.

Queste affermazioni potrebbero forse stupire? Riflettiamo che il Papato non è nella Chiesa che un organo sostitutivo. E' il Redentore che è il nostro Capo:

Voi non avete che un solo Maestro, egli ha detto. Ora

276 ' ' .

' *

un organo sostitutivo non funziona in pieno che al momento in cui ciò che egli sostituisce non sia scomparso del tutto. ;

All'indomani della morte del Maestro, il suo ricordo era tanto presente, il contatto che ne davano i Dodici, senza distinzione di gerarchla, serbava una tale intensità che la coscienza di tutti ne era riempita. Non erano essi come altri Unti del Signore coloro che il Cristo aveva formati direttamente? Non lo si ascoltava forse ascoltando loro? Tutte le parole divine rimanevano nel loro cuore! Lo Spirito ve le a-yeva agitate, dopo la momentanea stasi della Passione, come i tasti di un piano sotto il tocco di un valente esecutore.

Vi era come un'azione di presenza. Per i fedeli uno dei Dodici, chiunque egli fosse, era il Redentore appena scomparso; era la fiamma ritrovata nella cenere ancora calda. E se Lui era presente, a che cosa poteva servire il ricorso esplicito, regolare, a un: capo di missione che non poteva raccomandarsi che da se stesso?

Morto Pietro, quelli dei Dodici che sopravvivevano, sembravano eclissare fortemente il suo povero successore che non aveva visto il Redentore e non aveva inteso il suo incitamento: Andate ad istruire tutti i popoli.

Morti gli apostoli, le chiese particolari da ciascuno formate trovavano ancora nel ricordo immediato di un apostolo una continuità del Redentore che non si sarebbe affievolita che a poco a poco.

Vita di Gesù nella sua carne mortale: apparizione di Gesù risuscitato; sopravvivenza di Gesù per mezzo degli Apostoli e dei loro immediati successori: tali sarebbero le tappe della visibilità del Signore. .

27T

E ciò avrebbe dispensato le prime chiese dal ricorrere — regolarmente almeno, poiché ve ne sono tracce numerose — ad un'autorità centrale lontana, che non poteva ancora avere prestigio universale.

Solo quando le prime generazioni furono estinte e i ricordi affievoliti, la realtà storica del Reden-

: tore fu ripresa dal passato, e la Chiesa sentì la necessità di girare su sé stessa e di orientarsi. E allora essa, cercando sempre il suo Redentore tn ciò che

.è visibile, poiché egli aveva promesso di rimanere per sempre in mezzo ai suoi, si ricordò che vi era un vicario, un rappresentante stabilito sino dagli inizi in vista appunto di queste incertezze future.

Si può pensare — quantunque vi sia qui un po' di audacia nel fare l'ipotesi — che se la Chiesa a-vesse dovuto durare solo due o tré secoli, non si sarebbe avuto il Papa. Non sarebbe stato allora necessario. Il Redentore stesso sarebbe stato il solo Papa, prima in persona e poi, con la sua persona proiettata nei ricordi. '

Ma vi era l'avvenire e questo, oltre a reclamare il suo Redentore per procura, segno visibile dell'unità del governo divino nella Chiesa, doveva rivelare bisogni di concentrazione che sarebbero andati sempre più acuendosi, come negli organismi la vita si concentra a mano a mano che essa si differenzia e che si estende.

Il regime monarchico della Chiesa doveva così manifestarsi sempre più nella dottrina e in tutto il resto.

Finché un giorno, essendo venuto il momento di basarsi unicamente su se stesso, di darsi la forza di esistere e di agire col suo organismo al completo, in piena luce; di eliminare le contraddizioni, di fissare certi dubbi che sarebbero sempre stati

278

possibili, anche presso i più fedeli, finché la questione di fiducia, — se si può così esprimersi --e in questo caso si trattava di fiducia divina — non fosse stata posta fermamente; di vincere pure illusioni che potessero tendere ad assimilare il regime divino della Chiesa con costituzioni democratiche ovunque diffuse (1), il momento cioè di questa suprema acquisizione gerarchica, la Chiesa tenne al Vaticano, cioè al suo centro, le sue solenni assise. E là, davanti a Dio, sotto l'azione del suo Spirito, fi-, duciosa nella promessa del Redentore, essa decise di proclamare ciò che essa aveva incluso dall'origine nella sua intima costituzione.

Nulla fu fatto ex novo; ma la Chiesa, più cosciente e irradiante, proiettò una luce piena sulla :

triplice corona e così compì nel visibile ciò che erasi compiuto nell'invisibile il giorno in cui il Redentore, salendo alla destra del Padre, aveva inaugurato il suo regno immortale.

Si porrà dopo ciò la questione di quantità di. anni o di secoli? Si chiederà perché occorsero tré secoli all'incirca per rivelare in fatti storici di carattere generale il primato del pontefice romano e perché furono necessari diciotto secoli per giungere alla dichiarazione ufficiale della sua infallibilità? Si vorrà trovare che ciò è lungo, troppo lungo, e perciò arbitrario?

Rispondiamo innanzi tutto: agli occhi della Provvidenza, da cui dipendono, queste cose, «mille anni

(1) E' proprio questo ciò che per una parte alcuni chiamavano, al momento del Sillabo, «fondersi con la civilizzazione moderna ».

279

sono come un giorno e un giorno come mille anni ». Questa espressione del pescatore di Galilea è di una cosi alta filosofia che essa potrebbe bastare. Ma lo comprenderemo meglio aggiungendo questo: tré secoli, diciotto secoli, in relazione alla vita totale della Chiesa, sono periodi paragonabili ai mesi di allattamento e all'adolescenza di un essere umano.

E' cosa anormale che un uomo non raggiunga la sua piena costituzione e non la riveli che dopo un i tempo che rappresenta, ahimè! una notevole parte ' di quello 'che deve passare sulla terra? La Chiesa, ;;

coi suoi apparenti ritardi, è dotata di una capacità di crescita ben altrimenti precoce! ^ , Vorremmo forse dimenitcare che i suoi destini coincidono con quelli della nostra razza; che, sintesi umano-divina per mezzo del Redentore, uomo ;

universale e di ogni tempo, la sua storia è la storia e la sua evoluzione quella del mondo abitato? •>

O allora si vorrà credere il mondo prossimo alla sua fine? Si vorrà restare ingannati delle profezie:

infantili che periodicamente vorrebbero ricondurci ai così detti terrori dell'anno mille?

Se è consentito di avanzare questo paragone, che sembrerà forse un po' ardito, ma che in ogni caso chiarisce bene l'argomento: l'affermarsi in modo de-. flnitivo del papato nel suo ruolo storico in occasione del Concilio Vaticano è un fatto parallelo all'affermarsi in modo definitivo della vera religione-nel mondo. Nell'un caso e nell'altro vi fu un ritardo considerevole, ma normale, in relazione alle durate complessive. • • • , •',

Ricerche, tentativi, deviazioni, nel complesso preparazione: ecco ciò che vi fu prima del Redentore. Poi questi viene e la storia religiosa comincia definitivamente.

?W

Per il Redentore per procura: il Papa, in completo possesso del suo mandato definito e riconosciuto da tutti, tale è la successione che si rivela. Vi è pure preparazione; vi sono anche deviazioni a causa delle eresie; si hanno parimenti esitazioni da parte dei fedeli e dei dottori privati, infine, per iniziativa solenne si ha nascita completa, cioè lavoro alla luce di ciò che vi era già formato in Simon Pietro, ma che era rimasto più o meno latente durante il periodo precedente.

• II Redentore era venuto nella pienezza dei tempi, dice San Paolo, cioè in un'epoca centrale tra le preparazioni necèssarie alla sua opera e l'utilizzazione che ne avrebb'e fatto l'avvenire.

Il pontificato, armato di tutti i suoi poteri, giunge così ad una pienezza temporale che distingue dalle preparazioni le utilizzazioni secolari sulle quali può contare, sino alla fine del nostro pianeta, una società che non muore, ma che si trapianta.

Di guisa che l'espressione ironica che abbiamo trovato prima su di una bocca eretica, a proposito del Concilio Vaticano: Le apoteosi non sono che una torma pomposa della morte, dovrà spostare una volta di più l'oggetto del suo attacco.

Ciò che morirà è ciò che non potrebbe meritare le apoteosi, non avendo m sé alcuna vita divina da manifestare, alcun progresso da perseguire, ma al contrario un principio di dissoluzione da rivelare sempre più finché un giorno finirà nella tomba.

Ciò che vivrà è ciò che l'apoteosi attendeva, perché, divino in sé, doveva fa rilucere ogni giorno più ciò che portava per fissarlo infine, umanamente, in forme definitive.

Compiuta l'apoteosi, manifestatevi in pieno il Redentore e rappresentato in un'istituzione che ha tut-

28i

to il suo peso, riguardo ad una missione precisa. quantunque, sotto altri aspetti, essa ricade nell'umanità peccatrice e soggetta ad errore, eccola la nostra Chiesa col tempo innanzi ad essa. Essa vi procede fiduciosa e ricca di tutte le sue energie, forte dell'adesione unanime dei suoi mèmbri, di una coesione interna che non è mai stata così stabile" segno di vita, se fosse necessario, poiché è il contrario del principio di necrosi sociale che si manifesta nell'anarchia.

Ogni popolo destinato a perire si strazia in lotte intestine: è questa una legge universale. Ogni popolo unito invece, in un ambiente in cui il suo destino conserva una ragione ad essere, è sicuro del suo avvenire.

La Chiesa, unita più che mai, e più che mal necessaria ad un mondo terribilmente convulso e non in condizione di darsi un ordine all'infuori di essa, ci mostra, oltre che le sue promesse immortali;

la carta della sua durata scritta nelle necessita storielle.

Nell'ultima sua apoteosi, che consisterà nel raggiungere il Redentore che arriverà sulle nubi del cielo, il papato morirà, ma in un'esaltazione di gloria, come muoiono, sul far dell'alba, le stelle che ancora brillano nel cielo.

282

CAPO Vii L'ORDINE EPISCOPALE

Dopo aver considerato l'ordine della Chiesa impersonato nel suo capo, che ne costituisce la sintesi, dobbiamo ora studiare lo stesso ordine nel corpo episcopale, che condivide le prerogative del vescovo di Roma e le comunica.

Un ordine, in architettura, è caratterizzato dalla sue colonne e dai collegamenti con ciò che esse sostengono. I vescovi sono le colonne della Chiesa.

Abbiamo esposto come quest'ordine scenda dall'alto e in qual misura esso sia « unito da parentela coi misteri celesti » (1). E' nella Trinità che si deve ricercare l'origine del suo espandersi. Il Figlio procede dal Padre, che trova in lui la « figura della sua sostanza ». La Chiesa procede dal Figlio, che trova in essa la sua estensione, la sua manifestazione permanente e collettiva, il suo « corpo ». Allo stesso modo il gruppo episcopale, cui Gesù Cristo ha comunicato la sua virtù costruttrice della Chiesa, la genera per mezzo del sacerdozio che esso possiede in grado completo, e vi si ritrova poi. Infine, secon-

(1) San Cipriano, De Unitate Ecclesiae, II, 6.

283

'.do le stesse forme d'azione iniziale e di reciprocità, ogni chiesa particolare procede dal suo vescovo come da un principio generatore, e il vescovo trova in essa la manifestazione del suo sacerdozio, l'eflet-to del suo carattere, il frutto della fecondità divina :che le proviene dal Redentore.

Tutto ciò è certissimo e, se Grazio ha potuto dire che si potrebbe togliere piuttosto ad Èrcole il suo aspetto che uno dei suoi versi a Omero, a più forte ragione è vero che al divino poeta, al Verbo, non si rapisce alcuna delle strote per mezzo delle quali egli si esprime nella sua umanità religiosa.

Così l'episcopato, preso nella sua unità, di cui il vescovo di Roma è il collegamento; e poi ogni vescovo nella sua chiesa, in virtù del sacerdozio di Cristo comunicategli, sono la sorgente della fecondità spirituale diffusa in tutta la Chiesa. Essi sono gli sposi di questa madre, che loro genera nuovi figli ogni giorno.

Vescovo (épiskopos) significa ispettore, colui che veglia, che difende e che sorveglia, colui che presiede, in vista di servire. Ma evidentemente la parola qui diminuisce la cosa. Prima di ispezionare e di governare, il vescovo genera; egli è padre; poiché è appunto ad una vita nuova, la vita della grazia che, per mezzo dell'azione sacramentale, .di cui egli è l'agente, noi siamo generati. « In verità, in verità ti dico, nessuno, se non rinasce dall'acqua e dallo Spirito, può entrare nel Regno di Dio » (Giov. Ili, 9).

Il corpo episcopale è come il germe della Chiesa, che egli contiene tutta in sé. Il gruppo degli apostoli, ai quali egli succede e che perpetua, non era forse, nel pensiero del Redentore, il seme del suo grande albero? Così, nella sua preghiera sacerdo-

284

tale, pregando per tutti i suoi, egli prega innanzitutto per i Dodici e aggiunge poi, per indicare ciò che egli attende dalla loro azione per la sua opera: « Non prego solo per essi, ma anche per tutti coloro che per mezzo della loro parola crederanno in me » (Giov., XVII, 20).

Si vede bene da queste parole e da tutte quelle dell'istituzione che l'azione degli apostoli e dei loro successori non sarà multipla ne individuale, ma collettiva. «Padre, che essi si,ano una cosa sola come tu ed io lo siamo ». Una cosa sola nell'unità dello Spirito, essi non saranno tutti assieme che un unico principio, agendo in nome del Redentore, che è uno, e di Dio che è l'Unità stessa.

Se dunque vi sono molti vescovi, non vi è però che un episcopato, come non vi è che una Chiesa. Tutti i vescovi insieme partecipano all'unico sacerdozio eterno. Tutti sono « fratelli » ; il Papa, in quanto vescovo, non è che uno di essi. Ma poiché nello stesso tempo egli è anche il rappresentante del Salvatore che appare in mezzo ai Dodici, e poiché è il suo vicario, il Papa comprende nei suoi poteri i poteri di tutti i vescovi, 'come loro origine. E' lui che glieli conferisce, o per meglio dire, è sotto la sua dipendenza che essi li ricevono; da lui quindi essi li derivano. L'elezione, la nomina non sono che accessori;

l'istituzione apostolica è il fondo; è essa che forma il pastore, in unione col Pastore supremo.

Ben inteso, conferendo i suoi poteri, il Papa non li perde; la fonte non si esaurisce versando la sua acqua. Così abbiamo detto che il Papa ha un potere diretto e ordinario su tutte le chiese particolari e su ciascuno dei loro fedeli; che i titoli particolari di queste chiese gli appartengono in modo superlativo, in mancanza di che mancherebbe l'unità, e la comu-

28^

nità intera della Chiesa non sarebbe più collegata in Gesù Cristo, dal suo rapprensentante; U Redentore non sarebbe più tutto a tutti, unico sposo, nel tutto e in ogni parte, della sua unica sposa.

Dall'unità solidale dell'episcopato derivano molte conseguenze, e specialmente quella che in certe circostanze straordinarie, come in tempo di persecuzioni, di scismi, si potrà vedere un semplice vescovo superare nei suoi interventi i limiti della sua chiesa particolare ed esercitare una funzione più ampia, che dovrà essere interpretata come un atto della comunione dei vescovi, in quanto essi sono solidalmente inviati del Redentore e per conseguenza come un atto emanato dal principio della loro comunione: il Papa.

Così si può spiegare, senza alcun ricorso ad un principio d'eccezione, ciò che aveva luogo nei primi tempi, in cui ogni apostolo, adempiendo da parte sua ad una funzione di inviato universale, si attribuiva un compito generale senza delimitazione di territorio, istituendo vescovi e prescrivendo regole comuni. Vi era in ciò, evidentemente, una funzione iniziale che più tardi, se si fosse mantenuta, avrebbe tereato dell'anarchia. Ma questa funzione non era meno in collegamento coi principi permanenti della costituzione religiosa, della quale solo l'applicazione era speciale. Il riflesso personale di Gesù su ciascuno dei Dodici, in cui i fedeli lo ritrovavano, deve del resto a questa azione d'ordine generale un andamento del tutto semplice, come abbiamo già notato.

All'infuori di questi casi particolari, i vescovi, in quanto fanno parte del corpo degli inviati che rappresentano collettivamente il Cristo, hanno pure cia-

?8R

scuno una funzione universale nella Chiesa. Tale funzione deve essere pure considerata come anteriore a quella che essi esercitano nei riguardi della propria chiesa, dato che, prima che fossero loro attribuite zone di influenza, essi sono stati inviati a tutto il mondo e si sono sentito dire nella persona dei Do-, dici: « Andate ed insegnate a tutti i popoli ».

E' ciò che vogliono significare i teologi dicendo che la comunione episcopale è anteriore al titolo. Tutti insieme i vescovi costituiscono un ordine, che si chiama una comunione ricordando che la carità è il punto di incontro della Chiesa. Ed è da questa comunione episcopale o apostolica che scenderà, per via di paternità spirituale e sacramentale, la comunione di tutti i fedeli, in vista della comunione dei santi.

Un vescovo non è dunque il pastore di un sole gregge; egli è innanzitutto, cogli altri vescovi e col Papa e sotto l'autorità del Papa, pastore della Chiesa universale. E' ciò che dichiarerà poi solennemente, quantunque non in modo unico, il concilio ecumenico.

In queste grandiose assemblee, in cui l'ordine della Chiesa si rivela c»n tanta ampiezza, l'intenzione unitaria che crea l'assemblea religiosa si manifesta innanzi tutto in questo che la Chiesa conciliare è simile ad un cerchio, in cui ogni parte od ogni linea si dispone attorno al suo centro. Il Papa è questo centro attivo donde tutto parte e ove tutto assicura la sua consistenza. Egli è normalmente colui che convoca, che presiede e che conferma infine le sentenze. Se egli non ha fatto convocazione, sarà considerato di averla fatta se confermerà l'azione conciliare, della quale la convocazione è stata il prologo. Se egli stesso non ha presieduto, il suo posto sarà stato occupato dal

287

suo rappresentante effettivo o interpretativo. Non si può più trovare la Chiesa senza il Papa come non si può immaginare l'atmosfera luminosa e feconda senza il sole.

Unitamente al Papa, tutti i vescovi, suoi fratelli, sono veramente i giudici della fede e della pratica cristiana. Nell'emettere decreti, essi diranno come al. primo concilio a Gerusalemme: «E' sembrato bene allo Spirito Santo e a noi » e la voce che essi faranno intendere sarà stata formulata da tutti insieme come per una vibrazione comune. Sotto la garanzia di questo Spirito che è lo Spirito di Cristo, come inviati umani che il divino Inviato ispira, essi decideranno nel campo spirituale per tutta la Chiesa. Essi giudicheranno da questo mondo le dodici tribù d'Israele, cioè tutto il cattolicismo, affinchè esso proceda, per mezzo della loro azione, verso i suoi fini sublimi.

Così tutti i vescovi del mondo hanno un diritto i-naiienabile, e che deriva dal loro stesso ordine, quello cioè di sedere in concilio. Senza nessuna chiamata speciale essi vi hanno posto di diritto come, nel consiglio dei ministri, ogni ministro in carica ha diritto di sedere per la costituzione politica stessa.

Per la stessa ragione i vescovi nel concilio sono tutti eguali, eguali cioè nella decisione, che è propriamente l'alto conciliare se non nei suoi prodromi. I più sapienti, i più informati, i più importanti per la loro sede, che li fa rappresentanti e testimoni di una parte più considerevole delle folle da guidare, influiscono senza dubbio sulle decisioni, ma essi non decidono di più degli altri. Il noi è pronunciato in una perfetta indivisione e in un'eguaglianza fraterna. Si dice: Questo è, o: Che questo sia, come nella Trinità è stato detto: Facciamo l'uomo. Il linguaggio è plu-; rale, e così i termini attivi, ma popolazione.

288

Finché questo yuppo costituito da Dio si mantiene nella fede del suo funzionamento, che lo costituisce precisamente come principio; finché esso rimane nelle sue attribuzioni ha il valore di Cristo stesso, uno come Gesù, poiché la pluralità umana risale, per una sorta di assunzione, all'unità che vi si riflette:

«Chi Vi ascolta Mi .ascolta».

Come in certe circostanze, e correntemente nella Chiesa primitiva, il vescovo e il gruppo dei suoi preti (presbyterium) consacravano in comune, per mezzo di un'azione unica, il corpo e il sangue di Cristo, vita nostra, così qui il gruppo episcopale unito al suo capo consacra il Cristo che è verità, che è via, tracciando la via per la marcia cristiana, a partire dalle dottrine che ne determinano lo scopo e la dirczione.

L'eguaglianza di cui parliamo non è dunque una eguaglianza di suddivisione, come se ciascuno apportasse la sua parte di contributo, o come se il Papa non potesse fare da solo ciò che può fare coi vescovi. Questa legge di suddivisione, che è quella della maggior parte delle costituzioni umane, non ha luogo nella divina gerarchla, poiché essa è estranea alla Trinità, donde emana la gerarchla.

Un presidente di repubblica non può fare da solò ciò che può fare coi suoi ministri, ne questi possono fare da soli ciò che possono fare uniti al loro parlamento, perché qui il potere è un'integrazione;

il principio di azione totale è costituito da casi complementari. Al contrario un rè assoluto può fare dtf solo ciò che può fare coi suoi consiglieri; ma questi non partecipano del suo regno; essi ne preparano solo il funzionamento. Nella Chiesa c'è reale parteci-

280

19. — La Chiesa.

pazione, ma nell'unità, come nell'unità il Figlio partecipa .a tutto ciò che fa il Padre e lo fa con lui, quantunque gli debba e dì essere Figlio e di essere, come tale, partecipe delle sue opere: «II Padre, che è in me, è lui che fa le mie opere... E io pure opero » (Giov., XIV, 10, 17).

La stessa successione di idee ci porta a comprendere come l'unità di vita resti perfetta nella Chiesa, malgrado la sua divisione in chiese particolari e mal-

-grado che ad ogni vescovo sia affidata una parte del gregge.

Una chiesa particolare, una diocesi non devono es-sere considerate come semplici circoscrizioni amministrative, ne come piccoli stati nello stato: sono unità a base sostanziale, come le nostre famiglie, in cui

•l'unità della razza si comunica e si diffonde senza per-dervisi. La razza dei tigli di Dio, ma pure del Cristo, si diffonde in famiglie diverse che l'arricchiscono e non la dividono, che sono essa stessa, che si manifesta in modo diverso è vero, ma nell'identità della sua essenza, mentre si procura da sé, per la sua stessa fecondità originale, le sue espanzioni.

Ne segue evidentemente che quest'ordine è immutabile come una natura delle cose, visto che la sopranatura, in tutte le gradazioni, segue le forme della natura. Nessuna chiesa particolare è necessaria, al pari di una famiglia. A una tale chiesa presa così a parte, non sarà promessa ne l'indefettibilità ne dottrinalmente l'infallibilità che l'ordine soprannaturale solo ha per privilegio. Ma in ciò che essa è ;:e che essa riceve, si ritrovano tutte le relazioni fon-idamentali; le comunicazioni venute dal Cristo, a t partire dalla Trinità in cui egli ci introduce, termi-

'290

nano là e vi sono principio d'ordine e di vita. « Chi riceve voi riceve me » ha detto Gesù Cristo ai Dodici. La chiesa particolare che riceve il suo vescovo riceve in lui Cristo e il suo sacerdozio salvatore. Il vescovo è il suo fondamento, come il Cristo è il fondamento della Chiesa. Per tale via essa riceve il Padre; poiché Gesù Cristo ha aggiunto: « Colui che riceve me, non riceve me, ma il Padre che mi ha inviato » (Marco, IX, 36). Per tale via infine essa riceve lo Spirito Santo, legame vivente del Padre e del Figlio, anima della Chiesa universale, consacrazione della sua propria unità conferita unicamente a quella del corpo di cui è un organo.

La chiesa particolare sta al suo vescovo come una sposa destinata a dargli dei figli e a condurre assieme a lui la vita spirituale. Questo bei paragone derivante da San Paolo ricorre continuamente nel linguaggio religioso. Ma per l'unità dell'episcopato, in cui si ritrova l'unità della Chiesa, queste mistiche nozze entrano come un caso particolare nel caso generale della Chiesa universale unita al suo Salvatore. Il sacramento della nostra unione in Dio è qui tutto intero, poiché l'intero sacerdozio è nel vescovo ed è per suo mezzo che ogni chiesa partecipa con tutti i suoi mèmbri dell'adozione divina.

Inoltre, come per mezzo dell'amore avviene una compenetrazione mutua delle anime, a cagione della quale si può dire: l'amante si trova in ciò che ama e ciò che egli ama è in lui, così, per mezzo della carità organizzata nella Chiesa, avviene una sorta di mutua identità per compenetrazione unitaria tra lo sposo e la sposa mistica, tra il Cristo e la sua umanità religiosa, tra il vescovo e la sua famiglia particolare allo stesso modo che nella Trinità il Padre e il Figlio non sono che una cosa sola nello Spirito d'amore.

29Ì

« Chi vede me vede il Padre mio ha detto Gesù, poiché Io sono nel Padre ed egli. è in me » (Giov,, XIV, 10). Allo stesso modo chi vede la Chiesa (ubi Petrus, ibi Ecclesia), chi vede il vescovo vede la sua chiesa particolare.

Ed è per questa ragione che la Chiesa, cosciente 'dei suoi misteri, continua a provvedere di titolari le chiese defunte, come per conservare loro la vista nel pastore che essa da loro, vita interpretativa che nello stesso tempo è una vita eventuale, vita che potrà ritrovare la sua materia vivente poiché il germe sussiste e la fiaccola non è spenta. Se per una possibilità storica una di queste sedi dovesse improvvisamente rivivere, il suo titolare vi si trasferirebbe e •la vita tornerebbe a pulsarvi come prima.

Il vescovo, nella sua chiesa, esercita da parte sua la triplice prerogativa che abbiamo riconosciuto alla gerarchla nel suo insieme: l'insegnamento, il nuniste-;,rp sacerdotale, il governo. Ciò che egli fa cosi lo fa ancora una volta nell'unità dell'episcopato unito a Pietro, di cui è uno dei suoi mèmbri, ma a titolo particolare, che la Chiesa riconosce.

Dal punto di vista dell'insegnamento (magiste-rium), il vescovo è nella sua chiesa il maestro della dottrina e questa è la sua prima funzione, come la fede, esplicita o implicita, è il primo atto della vite soprannaturale del cristiano. Il vescovo è dottore prima di essere pastore; poiché per essere pastore bisogna che Innanzi tutto egli abbia delle pecorelle per una libera adesione di fede. Questo ordine, che si trova, all'opera delle prime evangelizzazioni, si

29^

mantenne poi in Seguito per le relazioni naturali delle cose. .

Il vescovo riceve da Cristo per la sua chiesa, in virtù della missione comune di cui egli è uno dei titolari, la parola di vita. La sua fede è una fede di insegnamento, come quella dei suoi fedeli è una fede insegnata. Coloro che vi aderiscono, dato che essa conferisce loro il deposito, saranno «nel pensiero di Dio », come lo indica la potente formula espressa da Ignazio da Antiochia. « Ho voluto esortarvi, egli dice, a essere unanimi nel pensiero di Dìo. Poiché se Gesù Cristo, inseparabile dalla nostra vita, rappresenta il pensiero del Padre, i vescovi. nelle zone che essi governano, sono nel pensiero del Padre. Conviene perciò che voi siate uniti nel pensiero del vescovo » (1).

A causa di questo magistero il vescovo ha, nella sua diocesi, l'incarico della predicazione, alla quale deve provvedere, dell'istruzione dei fanciulli e degli adulti, della dottrina cristiana teorica e pratica, delle opere di propaganda e di stampa, di cui gli spetta la guida e l'orientamento, quantunque egli non possa essere sempre il direttore prossimo e imme-. filatamente responsabile. Se sopravviene qualche fatto straordinario, se si costituiscono delle devozioni particolari, spetta a lui giudicare, salvo ricorso alla Santa Sede, e a lui spetta determinare a questo riguardo la condotta dei cristiani.

Per questo egli non gode di una propria infallibilità, quantunque partecipi, come dicevamo, dell'in-'fallibilità della Chiesa come membro della missione collettiva. Questa partecipazione non ha corso che nelle condizioni determinate dall'azione comune.

(1) Epist. ad Èphes. III.

293

Dal punto di vista del sacerdozio (ministerium), il potere d'ordine conferisce al vescovo il diritto di amministrare tutti i sacramenti, compresi l'ordine e la cresima, che gli sono propri, tutti i sacramentali, tutti gli atti di liturgia, tutto ciò che è mezzo di santificazione divinamente istituito o ratificato, in vista di una vita religiosa completa. E invero alla vita religiosa completa, quale si conduce nella chiesa particolare, immagine perfetta dell'altra, risponde il sacerdozio completo.

A questo riguardo ogni vescovo è in una condizione di eguaglianza perfetta con tutti i suoi fratelli. Il Papa stesso non è, dal punto di vista sacramentale, che uno fra i vescovi. La rappresentanza di Cristo sacerdote, che è imperfetta nel clero inferiore;

è integrale nel vescovo e si estende a tutte le sue funzioni. E' ciò che intendono sottolineare alcuni particolari di liturgia, come il fatto che, nella messa;

prima delle orazioni, egli, in luogo della formula usata dal semplice prete: « Dominus vobiscum: il Signore sia con voi » dice: « Pax vobis: la pace sia con voi.», formula che usava il Signore stesso. Si afferra in ciò l'idea che il vescovo è il capo della sua chie-, sa, tonte' per essa di pace e di vita spirituale, come il Redentore è per mezzo del vescovo e del Papa il capo della Chiesa universale.

In base a ciò il vescovo, in quanto principale ministro, dovrà vegliare in tutta la sua diocesi all'amministrazione dei sacramenti, specialmente dell'eucaristia, che ne è il centro. Il mistero della croce e dell'incorporazione a Gesù Salvatore trovano in realtà nella messa e nella comunione la loro rappresenta-.zione reale ed efficace, come nell'episcopato il loro mezzo gerarchico. Quello è dunque il rito centrale è l'oggetto principale delle cure del vescovo che,

m

nella diocesi come in tutta la Chiesa, farà tutto convergere verso di sé. La messa pontificale, col gruppo dei preti assistenti e dei ministri, è l'immagine migliore e nello stesso tempo l'atto principale di tutta l'attività religiosa di una chiesa.

In tal modo il vescovo è pure capo della preghiera; egli prega col suo popolo e per il suo popolo e trasmette a Dio, in unione con tutti, le richieste di tutti. Donde la sua funzione nel costituirsi e nel funzionamento della liturgia e pubblica preghiera, che senza interruzione, anche se sono assenti i fedeli, tratta dei loro interessi e tiene il loro posto. «Ogni chiesa è una lira», dice Ignazio di Antiochia:;

« i sacerdoti e i fedeli vi si uniscono al vescovo, come le corde alla cassa dello strumento sulla quale sono montate, e in questa unione delle anime e delle voci, su questa lira della Chiesa, lo Spirito Santo canta Gesù Cristo» (1).

Dal punto di vista del governo (Imperium), il vescovo partecipa a ciò che chiamiamo, in un senso spirituale, la regalità di Cristo, che si diffonde, come ogni governo, in un triplice potere: legislativo, giudiziario ed esecutivo,

Egli può formulare leggi, sotto riserva delle leggi generali della Chiesa e vi aggiunge i regolamenti d'amministrazione pubblica necessari alla loro applicazione. Egli può aggiungervi ancora, jn occasione di visite pastorali o in altri casi, ordinanze particolari. E le leggi, che egli avrà emanato, avranno valore anche sotto il suo successore sino ad abrogazione da parte di un'autorità eguale o superiore alla sua.

(1) Epistad Ephes., II, 4.

295

Egli è il giudice del suo popolo in materia spirituale;s questo potrà dunque appellarsi al suo tribunale ed egli potrà emettere sentenze, assegnando, in caso di bisogno, delle pene.

Dovrà però ricordarsi, come ha sancito il concilio di Trento, che è pastore e non percuotitore (pa-stores, non percussores); che deve perciò trattare i suoi fedeli come figli, come fratelli e non come ma-< feria di dominio. Convincere e pregare innanzitutto, .riprendere poi, è l'ordine sottolineato da San Paolo < (argue, obsecra, increpa, II Tim., IV, 2). Se occorre 11 riprendere, questo sia fatto in tutta bontà e pazienza (in ornni bonitate et patientia) i affinchè la disciplina salutare e necessaria sia conservata senza asprezza fra' i popoli » (1).

Per esercitare i suoi giudizi con armonia e saggezza il vescovo convoca a intervalli regolari un sinodo diocesano, cioè un'assemblea dei suoi preti e chierici al completo o prescelti, incaricata di informarlo e di consigliarlo in tutte le cose che dipendono dalla sua carica. Il suo governo sarà così più competente e meglio adatto, la promulgazione dei suoi decreti sarà più solenne e, nel caso in cui essi dovessero causare pena, saranno meno facilmente tacciati d'arbitrio.

Il vescovo ha d'altra parte un aiuto permanente in ciò che si chiama il suo capitolo, sorta di senato religioso che assume l'incarico della recita dell'ufficio nella chiesa cattedrale, partecipa al governo della diocesi e sostituisce il vescovo in caso di sede vacante.

In altri tempi il vescovo aveva dei luogotenenti negli arcidiaconi, il cui potere tu notevole, tanto che

(1) Concilio di Trento, sessione XXIV. 296

li si chiamavano « l'occhio e la mano del vescovo ». Ma questa carica è diventai quasi ovunque puramente onorifica, poiché tale carica ora si è fusa con quella dei vicari generali. Si chiamano così coloro che esercitano in nome del vescovo e sotto la sua responsabilità una giurisdizione di ordine generale, volontaria o contenziosa. In quest'ultimo caso il vicario generale competente prende --il nome di ufficiale. Dei vicari temporanei o locali completano questa organizzazione del potere episcopale e ne costituiscono i mezzi.

Inoltre la convocazione di concili particolari, or-dinari o straordinari, provinciali o nazionali, che sono nel grande organismo della Chiesa come funzioni speciali subordinate alla funzione generale della vita, appoggia ancora in altro modo il governo del vescovo.

Queste assemblee, che sono una piccola immagine della Chiesa, suscitano un'impressione che rimane nel clero e nella folla dei fedeli, rafforzando il significato del cattolicismo. Esse confermano anche l'impressio-. ne di carità, se i vescovi riuniti conservano ben chiaro il senso delle loro funzioni.

In realtà, questo carattere di armonia e di bontà, connesso col potere episcopale, non gli è un attributo accidentale: esso deriva dalla sua origine e dalla sua natura speciale. Il vescovo non è capo che perché è pastore, allo scopo di essere pastore. Colui « che da la vita per le sue pecorelle » — poiché questa è la .sua legge, se fosse necessario — non eserciterà su di esse un potere tirannico! E' unicamente per difendere la vita che egli da, nello spirituale, in quanto padre delle anime, che il vescovo è investito di tutti i suoi poteri.

Infine il vescovo è amministratore. Le cose e le '^persone, nel suo gruppo spirituale, sono soggetti del

207

suo governo conforme alle leggi della Chiesa, ai concordati particolari e alle leggi civili che la Chiesa riconosce. E ciò perché i suoi sudditi, in quanto anche sudditi dello Stato, non possono essere strappati a una giurisdizione a profitto di un'altra. « L'una e l'altra società, ha detto Leone XIII, è, nel suo ordine, sovrana: utraque in suo genere maxima (1).

Per conseguenza tutti gli uffici, tutte le cariche, che presuppone l'amministrazione di una diocesi, fanno capo al vescovo. Egli ne è il dispensatore, il con-: trollore e il giudice, salvo la riserva di un'autorità superiore alla sua. Egli deve estendere la sua vigilanza sui beni, che sono 11 mezzo o la materia del le opere.

In breve, sotto tutti i rapporti il vescovo è il centro di vita in cui tutto deve convergere e da cui tutto deriva.

Però il vescovo, è in tutto, dipende dal Papa, che può, per ragioni di cui egli è ^ giudice, restringere, ampliare, sospendere o sopprimere il legittimo esercizio dei suoi diritti. E' per questo motivo che, quantunque abbiamo affermato che per princìpi e per il loro ordine, il che si manifesta principalmente nel Concilio, i vescovi sono tutti eguali, è però in facoltà del Papa di trasmettere a questo o a quello, per la migliore amministrazione della Chiesa, qualche facoltà del suo principato. Questo si risolverà, senza alcuna alterazione della gerarchla essenziale, in un arricchimento e in un nuovo mezzo di governo introdotto nella condotta delle anime. Così, nel corpo, alcuni centri nervosi più importanti esercitano, alle dipendenze dell'encefalo, qualcuna delle sue funzioni.

(1) Enciclica Lzbertas 298

Donde derivano i patriarci» e i vescovi metropolitani, i primati, i delegati patriarcali, i legati, i vi-cari Apostolici eco. che non sono affatto causa di dispersione per l'autorità centrale ne un punto d'arresto nel risalire della vita verso questo centro, ma al contrario una tappa utile.

A cagione sempre dell'unità che coinvolge il corpo episcopale e dell'unità della missione affidata ai Dodici dal Divin Maestro, l'azione particolare del vescovo nella sua diocesi non racchiude là i suoi risultati, ma conserva una portata generale. L'autonomia di ogni pastore in mezzo al suo gregge è più visibile, ma essa non è più reale dell'unità mistica di tutto il corpo.

I vescovi dispersi costituiscono, nel campo spirituale, per mezzo della loro unione tra di loro e con la Santa Sede, una specie di concilio permanente. Gli scambi di vita che avvengono dal centro alla periferia e viceversa, assomigliano a ciò che avviene in un organismo sano, in cui ogni parte è ben distinta e in cui, per altro, ogni parte è in stretta dipendenza dalle altre.

Le leggi che sono promulgate qua e là, i costumi che si stabiliscono, confermati dall'autorità e dall'esperienza, contribuiscono a formare o a perfezionare le leggi e i costumi generali. La salute, che ne deriva costituisce un tesoro comune. Ciò che abbiamo detto della funzione dei governati nel governo della Chie' sa è vero a più forte ragione per quest1 governati, che nello stesso tempo governano, 'cioè i vescovi. Se

299

il Papa « conferma i suoi fratelli » nel concorso che essi gli danno, questo concorso non è perciò meno effettivo. Per la dottrina, la disciplina, la liturgia, per ogni cosa l'azione subordinata dei vescovi è uno dei mezzi di vita di cui la Santa Sede è il centro, di cui il Redentore e lo Spirito divino sono i propulsori.

Per finire, non è il caso di richiamare qui l'osservazione capitale fatta a proposito del sacramento dell'Ordine?

Nella Chiesa il punto di vista mistico domina sempre dall'alto il punto di vista amministrativo, questo essendo un mezzo e l'altro un fine. E 'ciò in modo tale che nella stessa amministrazione, quando essa è religiosa, la scala delle funzioni deve corrispondere per princìpi alla scala dei valori di vita.

Ne segue che il vescovo, posto alla testa della gerarchla nella sua chiesa particolare, e nella comunione degli altri vescovi suoi fratelli, posto in testa di tutta la Chiesa, si trova per questo fatto immesso in uno stato di perfezione; poiché ciò che è supremo deve essere perfetto, in un ordine in cui l'elevazione ha delle vedute santificanti.

Incaricato degli atti religiosi più santi; eguale in ciò allo stesso Papa, investito dei maggiori doveri, che sono tutti di portata mistica, il vescovo è chiamato ad uno stato di vita spirituale che corrisponde alla divina chiamata. Dei tré stati che distinguono i teologi: quello degli Incipienti, quello dei progredienti e quello dei perfetti — comprendendolo ben inteso nel senso di un proposito e di una marcia effettiva, non di un termine — è in quest'ultimo che il Vescovo è invitato a considerarsi presente. Egli ne fa, in occasione della sua consacrazione, la profes-

300 •

sione perpetua e pubblica e dovrà provarlo coi suoi atti.

I sacramenti, che il pastore amministra e di cui egli è il capo, hanno lo scopo di santificare, come si è detto, i canali per i quali essi passano. Questi canali non sono viventi e non devono essere coscienti, per essi come per tutti, del valore di ciò che essi conferiscono? Non ne sono essi pure i clienti? Ritrarranno perciò beneficio più di tutti dell'affetto santificante coloro che hanno in primo luogo e nella sua pienezza il potere di santificare gli altri.

La pienezza del sacerdozio corrisponde normalmente alla pienezza della fede e dell'amore. Il potere di conferire lo Spirito Santo implica normalmente un possesso personale eminente di esso.

301

CAPO VII! L'ORDINE PRESBITERALE

«Non è bene che l'uomo sia solo, dice Jeóva nella Bibbia, diamogli un aiuto simile a lui,».

Queste parole potrebbero applicarsi al vescovo e, in un senso generale, all'episcopato.

Non sarebbe bene che l'episcopato rimanesse solo con la sua pienezza di sacerdozio non resa partecipe. La gerarchla ne risulterebbe immiserita; ma ne risulterebbe pure, in una certa misura, avvilita, nel senso che il principale e l'accessorio, il grande e il , piccolo non risultando più distinti, tutto si abbatterebbe al livello delle funzioni secondarie alle quali l'episcopato dovrebbe ogni giorno dedicarsi.

L'armonia delle opere della Provvidenza sarebbe in tal modo imitata più da lontano; poiché Dio ha dato alle sue creature il compito non solo di esistere, ma di trasmettere l'esistenza; non solo di essere feconde, ma di trasmettere la fecondità. E' dunque conforme alle mire creatrici e ricreatrici che il vescovo trasmetta ai suoi collaboratori la fecondità del suo sacerdozio, come il Cristo ha trasmesso la sua alla Chiesa nella persona dei vescovi e come Dio ha trasmesso la sua al Figlio.

302

L'aiuto simile all'uomo di cui parla la Bibbia sarà per il vescovo la sua stessa chiesa, poiché i collaboratori che egli si da sono presi dal suo seno. Essa è la sposa, dicevamo; ed è per mezzo dell'ordine presbiterale specialmente che essa sarà la madre.

La gerarchla si arricchirà così in estensione, poiché la vita che deriva dalle fonti divine per mezzo del Cristo e del corpo episcopale arriva per mezzo' dei preti al popolo conservando la sua unità indivisibile radicata nell'unità del Padre e del Figlio. '

Là si arresterà d'altronde la gerarchia propriamente detta, che non deve spezzettarsi all'infinito. Il prete riceve il sacerdozio e non lo trasmette più;

consacrato egli non può essere consaeratore. Così egli non può essere un capo gerarchico. Nessun prete è capo, salvo il prete completo che è insignito del pontificato. La chiesa particolare ha un «senato»; — così si chiamava in altri tempi il presbyterium od assemblea dei preti che circondavano il vescovo — essa non ha altro capo all'infuori del vescovo stesso. Anche il vicario generale non può avere questo titolo. Però i preti di ogni rango partecipano del principato affidato al loro capo. Essi vi sono partecipi ma non lo dividono ne lo moltipllcano: sono partecipi della fecondità unica che è diffusa nel gruppo gerarchico consacrato per questo scopo.

Vi saranno pertanto, al di sotto dei preti, dei ministri di rango inferiore. Vi furono sempre dei diaconi; si hanno da molto tempo dei sudcl'aconi e dei chierici insigniti degli ordini minori. Tutti costoro esercitano nei riguardi del sacerdozio una funzione :

ministeriale; essi sono testimoni e servi dei misteri,' eventuali delegati del clero presso i fedeli allo scopo

303;

di prepararli e di servire di collegamento tra essi e il sacerdozio. Ma in realtà è intorno all'episcopato che essi si trovano. Essi sono gli aiuti del vescovo, prete completo, e, a cagione di lui, dei semplici preti che lo assistono. E' per aiutare il primo che essi si mettono a disposizione dei secondi (1).

Così si rivela una volta di più la dipendenza essenziale di ogni prete dal vescovo, delle cui prerogative ed autorità egli è partecipe in un'unità perfetta. Associato nelle tré funzioni ricordate sopra, l'insegnamento, il ministero sacramentale e il governo;

esso stesso tripartito (legislativo, giudiziario ed esecutivo), il prete esercita in ogni funzione una sorta di supplenze. Egli predica e insegna in nome del vescovo, battezza per dare del figli a chi li riceverà da lui impartendo il sacramento della cresima, celebra all'altare sia unitamente al vescovo sia da solo, ma sempre nella sua unità, amministrando con lui il corpo di Cristo, allo stesso modo come egli diffonde la sua verità e condivide il suo regno. Il vescovo esiste per tutto ciò che si fa nella sua diocesi ed è lui che lo fa a titolo principale. L'unità della piccola chiesa, come l'unità dell'altra, è dunque perfetta.

Dato il carattere incompleto del sacerdozio nel ;

semplice prete, la sua dipendenza è una grandezza, poiché essa lo costituisce, a titolo di partecipazione, i nella dignità stessa che egli condivide. '< Non vedo,

(1) Tutti i servizi di ministero di cui parliamo sono derivati dal diaconato, solo ministero che esisteva in origine. Essi devono perciò essere considerati come suddivisioni emanate dall'Autorità della Chiesa: essi non appartengono alla primitiva costituzione di essa. Vi è in ciò un fatto di differenziazione organica a partire dall'episcopato, come abbiamo visto manifestarsi nell'episcopato a partire dalla Santa Sede.

304

diceva a questo riguardo Giovanni Crisostomo, ciò che il prete possegga in meno del vescovo, se non è ciò che egli ha ricevuto » (1). Cosi nella Trinità il Figlio ha tutto ciò che ha il Padre, all'infuori di essere Padre.

E in relazione a ciò i preti sono pure, malgrado il loro rango inferiore, successori degli apostoli. Ad essi pure è stato detto: « Andate ed istruite tutte le nazioni » ; « Fate questo in memoria di me » e « Tutto ' ciò che voi legherete sulla terra sarà legato anche in cielo ». Per derivazione o a titolo principale, si esercita sempre l'unica autorità, di cui si è stati investiti, sempre la stessa.

Questa unità glorificante del clero col suo vescovo, in ogni chiesa particolare, aveva per l'addietro un simbolo commovente che non è scomparso del tutto. Nei giorni delle grandi solennità, tutto il presbyte-rium circondava il vescovo e celebrava con lui in presenza del popolo. In comune si diceva: « Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue» e tutti i fedeli, partecipando ai misteri e comuoicandovisi, avevano davanti agli occhi e nel cuore, per mezzo dei loro sentimenti, la visione e l'impressione dell'unità mistica, della divina gerarchla di cui l'Agnello immola-lato è il centro e che era là presente, se cosi si può dire, un atto di Lui che esercitava l'eterno sacerdozio.

Malgrado questa unità del clero e del vescovo, che per se stessa sarebbe una fonte di eguaglianza tra tutti i preti, vi saranno sempre tra questi delle gradazioni diverse. Ma in verità, è l'unità stessa di cui parliamo che lo vuole, poiché senza di ciò le diverse funzioni dell'episcopato non verrebbero adempiute.

(l),0m. II. in I. Tim. C. III. 20. — La Chiesa.

305

Le necessità dell'amministrazione religiosa hanno dunque obbligato a stabilire un ordine a una suddivisione tra i preti che, fratelli in quanto tali, saranno purtuttavia divisi in una gerarchla di impieghi. Donde l'antica creazione dei Cardinali preti, la cui fortuna doveva elevarsi così alta pur alterandosi;

donde quella dei titoli ecclesiastici con cura d'anime, che sono all'origine delle parrocchie e delle collegiate. Donde ancora le funzioni differenziate di economi, penitenzieri, prevosti, decani, capi di scuole eco. che hanno subito nel corso dei secoli notevoli variazioni. Donde infine la creazione di piccole chiese senza titolo episcopale, ma dipendenti da un vescovo, e costituenti in svariate combinazioni, quelle circoscrizioni religiose che si chiamano oggi le diocesi (1).

Per ben segnare l'unità che si manteneva sotto queste divisioni si erano stabilite delle consuetudini che presentavano -del resto altri vantaggi. Tali le stazioni, o assemblee che il 'vescovo organizzava volta a volta nelle diverse chiese della sua circoscrizione e ove successivamente vi trasportava il suo trono. Oggi la visita pastorale ha lo stesso efletto.

Arriviamo così allo studio delle parrocchie e dei loro titolari: forma attuale della partecipazione del clero alla missione pastorale del vescovo.

La parola curato (curatus, colui che ha un incarico, cioè della parrocchia, donde la parola latina pa-

(1) Nella lingua dell'antichità la parola diocesi (dioi-kests) riguardava una suddivisione amministrativa concernente piuttosto l'ordine civile.

306

rochus) non appartiene al linguaggio primitivo della Chiesa. La parrocchia designava in altri tempi ciò che noi oggi chiamiamo diocesi o una delle sue parti.

Non vi furono curati propriamente detti prima del IV secolo per il motivo che il gregge cristiano ancora limitato non esigeva questa suddivisione nelle diverse chiese. Tutti i fedeli si raccoglievano attorno al vescovo e celebravano con lui le sante liturgie, sia che essi abitassero nella sua stessa città, sia che provenissero dalla campagna. Era il vescovo il vero e proprio curato di tutta la diocesi — ben inteso con il concorso dei preti, ma in tal modo cha nessuno di questi non aveva la cura particolare peimanente di alcun gruppo.

Non che non vi fossero altre chiese ali'infuori della chiesa cattedrale; ma non si faceva altro in esse che pregare: non vi si celebravano ne la santa Messa ne la predicazione, che si preferiva di moltipllcare là ove era la sede gerarchica (1).

Fu evidentemente nelle campagne che si fece innanzitutto sentire il bisogno di questa estensione: è questa vi fu iniziata a partire dal IV secolo. Bisognerà però aspettare sino all'anno mille per trovare regolarmente delle parrocchie nelle città sedi vescovili.

In Gallia lo zelo di un San Martino fece molto. per iniziare il movimento parrocchiale. Lui che, semplice catecumeno, divideva il suo mantello militare per darne la metà a un povero, divise pure il suo mantello episcopale per coprire la nudità religiosa dei suoi fedeli. Lungo le strade di comunicazione, a partire dalla città, egli stabilì dei centri parrocchiali che divennero fiorenti e servirono di modello ad altri.

(1) Cattedrale deriva precisamente da sede: cattedra. 30"

Avvenne poi che i proprietari rurali, per interesse o per zelo, contribuirono a queste fondazioni che. offrendo facilitazioni religiose, fissavano gli abitanti e ne attiravano dei nuovi. Ma furono soprattutto i monaci che, a partire dal V secolo, dissodando terreni e civilizzando, aprendo la Gallia alla vita civile e a quella religiosa, cacciando i lupi e facendo posto all'Agnello di Dio, crearono la rete delle parrocchie francesi.

Si vede da ciò che le cariche curiali non sono affatto di istituzione apostolica o divina; esse emanano dalla Chiesa come una necessità di sviluppo. I curati non costituiscono un terzo ordine della gerarchla che ha come primi gradini il Papa e i vescovi. Un curato non ha giurisdizione propriamente detta, almeno per effetto della sua carica. Egli non può emanare decreti, non è giudice e non possiede un potere esecutivo indipendente. Tutte queste facoltà appartengono al vescovo.

Il curato non è dunque propriamente pastore, il che implicherebbe una propria giurisdizione. I pastori dei popoli sono loro rè, loro capi investiti della triplice prerogativa nella quale si effonde l'autorità sociale. Sono dunque pastori evangelici coloro che posseggono nel campo spirituale poteri simili.

Nulla vieta del resto di usare la parola pastore in un senso meno preciso. E' dolce rivolgerlo a questo capo di famiglia religiosa che è il curato, senza pregiudizio delle precauzioni verbali imposte ai teologi dagli errori giansenisti o gallicani.

Le attribuzioni del curato sono le seguenti: Egli è incaricato specialmente, nella sua parrocchia, di procurare il bene delle anime per mezzo della parola

308

di Dio e con l'amministrazione dei sacramenti. Non che egli debba da solo assumersi tutta la cura della istruzione e dell'edificazione ; ma lo deve fare in una certa misura e per il resto deve sopraintendere a questo bisogno. Di guisa che se qualcuno parla, insegna od amministra i sacramenti nella sua chiesa, quantunque questo qualcuno abbia ricevuto i suoi poteri dal vescovo, egli è in certo qual modo suo supplente in quanto lo stesso parroco ha avuto questo incarico speciale.

Si comprende bene da questo ciò che è il curato nel campo spirituale e ciò che egli non è. Che il vicario o il prete di passaggio abbiano ricevuto i loro poteri dal vescovo, ciò prova che non esiste, da questo al curato, trasferimento della funzione pastorale. Ma che tuttavia il curato abbia una responsabilità, ciò prova che egli è veramente curatus, cioè colui che ha un incarico.

Il curato deve badare alla preghiera e celebrare lui stesso la Messa per il suo popolo. Deve organizzare l'istruzione religiosa, promuovere la buona vita-cristiana, visitare gli ammalati, consolarli e aiutarli a utilizzare cristianamente le loro sofferenze. Deve occuparsi dei poveri e in generale di tutte le opere, organizzando la carità e facendo appello ai parrocchiani ricchi a favore degli altri. Deve amministrare, coi concorsi determinati dal diritto o da saggi costu- :

mi, i beni destinati al culto e alle opere di carità; ^ Deve pensare alla manutenzione e all'arredamento del-' la chiesa, la sua «sposa»; ma deve soprattutto ba- ' dare alla sposa spirituale che è la comunità affidata alle sue cure, esortando a tempo e a contrattempo, come dice l'Apostolo, denunciando i pericoli, avvertendola degli errori. In certi casi può dispensare dalle leggi della Chiesa secondo la sua prudenza. Egli no-

300

mima dei collaboratori con l'approvazione del vescovo; tale è almeno il diritto comune, quantunque la necessità possa in certi casi far sì che venga disposto diversamente. '

I parrocchiani devono in cambio ascoltare le istruzioni del curato, accettare la sua sorveglianza paterna, ricevere da lui o dai suoi mandatari i sacramenti nella misura determinata dalle leggi e dalle consue-tudini. Essi devono contribuire con generosità alle necessità delle sue opere di bene, opere che li riguardano, poiché riguardano le loro persone, i loro figli, i loro oggetti religiosi, i loro poveri. Non sono nostri" fratelli coloro che hanno bisogno di aiuto, anche religioso, d'istruzione o di consolazione?

Ma innanzi tutto i parrocchiani adempiono al loro dovere se sono buoni cristiani, dando con ciò soddisfazione al curato nella sua ragione di essere. Il curato si trova là appunto per loro, non per sé; sono le loro anime che costituiscono il suo bene ed è là loro vita cristiana che è la sua opera. Assistere alle funzioni, offrire parte delle proprie sostanze o anche della loro persona non basta. La casa di Dio è vuota. quando non vi si vedono che dei corpi e la parroc'-chia è pure vuota se non vi si trovano che delle brave persone gentili col loro parroco, assidue alle sue funzioni, generose per le sue questue, ma d'altra parte schiave della vanità o vinte dal male. Anime, anime! ecco ciò che chiedono gli apostoli, e il parroco è un apostolo in luogo, un conquistatore di anime a vantaggio dei conquistati. '

In certe epoche la vita parrocchiale fu di una tale intensità di cui non abbiamo idea. La parola famiglia non era di troppo per esprimere l'unione che esiste-

3ÌO

va tra il parroco e i suoi parrocchiani, tutto dedicato alla vita della parrocchia ne distratto da altre cure o provvidenze. ;

I legami tra un tale pastore e le sue pecorelle, che trovavano nella chiesa tutto, la chiesa innanzi tutto e poi un foro, un municipio, un mercato, un circolo • per le confraternite, un teatro per i Misteri e i drammi liturgici, in caso di bisogno un luogo di ricovero ;

dei prodotti agricoli, dei mobili ecc. e — in caso di guerra — una fortezza, tali legami dunque dovevano essere ben forti.

Un tale cumulo di incombenze non era senza inconvenienti; ma essi promuovevano almeno questa vita comune alla quale la Chiesa tiene tanto. Sul pulpito il curato non si asteneva dal trattare gli affari civili dopo aver trattato quelli religiosi. Facendo parte di tutti i consigli del comune con voce preponderante, la sua opinione era di gran peso: e in nome della morale egli dirimeva molte questioni materiali o amministrative. Tutta la vita della parrocchia era giudicata e guidata con ammonizioni paterne, talvolta severe, quasi sempre ben accette se non dimenticate.

Nelle funzioni, quella specie di passività rispettosa ma un po' inerte, che oggi constatiamo, avrebbe ben stupito i nostri padri. In chiesa si agiva, si sviluppava il dramma: drama, la cosa che si compie. I fedeli si interessavano, col libro alla mano o meglio con la memoria eccitata sino dall'infanzia, a tutte le cerimonie liturgiche. Si cantava, si facevano processioni, si ascoltavano, se per avventura sopravveniva un predicatore straordinario, lunghi discorsi variati e familiari che duravano talvolta delle ore. Le messe delle undici non si usavano, e nemmeno le prediche di un solo quarto d'ora. Si amava tutto ciò che la parrocchia presentava e procurava. Vi si appor-

311

fava in fede,, vi si attingeva coraggio e dolcezza.

Con un mezzo cosi vicino ai fatti, la potenza della Chiesa non era solo teorica; essa raggiungeva la famiglia nei particolari dell'esistenza, là ove il bene e il male trovano ricetto, là ove il Regno di Dio si stabilisce o si perde. Che importava allora che Roma fosse lontana e il vescovo a una grandezza di passaggio!

Napoleone aveva sognato di compiere in Francia, per mezzo dei parroci, tutta una « rivoluzione morale ». Egli concepiva il pastore parrocchiale all'antica:

indipendente e tenuto in considerazione, -; utile per l'alta funzione che intendeva assicurargli, per lo sviluppo dell'intelligenza sociale », « giudice di. pace naturale » dei suoi parrocchiani, « vero capo morale che avrebbe dovuto dirigere la loro vita » e, grazie a conoscenze pratiche e ad un'influenza meritata, una « vera provvidenza per le sue pecorelle » (1).

Questa visione è profonda; ma essa giungeva troppo tardi per essere nuova. Il curato di campagna, sul quale si è fatta tanta poesia al tempo dei romanticismo, questo essere ideale che un Lacordaire avrebbe voluto vivere, non era poi così estraneo alla realtà. Non è stato lontano dal rappresentare il caso generale e non è invano che l'amore del nati o suolo — cioè della piccola patria immediata — è chiamato l'amore di campanile.

I campanili invero furono e sono ancora in molti luoghi il simbolo del comune. I municipi, le scuole sono le prime case di un paese, ma la chiesa è la casa fuori quadro, la casa tra la terra e il cielo, la casa per i corpi e per i sentimenti, per la vita di ogni giorno e per le grandi aspirazioni fuori del tempo. Le nascite, i matrimoni e i lutti, questi tré punti

, (1) Commentari di Napoleone I, v. V,.pag. 409. 3i2

d'incontro dell'esistenza verso i quali tutto converge, convergono essi stessi verso il campanile; questo li domina, li attira e li soccorre.

Ora il campanile è una cosa vivente; vivente innanzi tutto a causa di Dio che abita sotto il suo fastigio, ma anche a causa del pastore che abita alla sua ombra. Il gallo che spesso si gira lassù, guardando da ogni parte, rappresenta la vigilanza di questo padre, la cui cura non si attenua mai: la campana dalle grandi onde sonore o dai piccoli tocchi amm&' nitori è la sua voce nella voce di Dio. Le croci del cimitero sono la sua ultima benedizione; quelle delle strade e delle case rappresentano il sì cordiale e grave che egli dice col suo Maestro alla vita, a tutta la vita, che egli vuole che sia piena di gioia e dolce, ma nello stesso tempo piena di riflessione e santificata, in vista dell'altra vita.

Il parroco è colui che riceve, che unisce, che conforta e che congeda i così rapidi passanti dell'esistenza. In ogni tappa egli osserva in ciascuno il forte e il debole, il bene e il male. Ottiene facilmente la fiducia di chi soffre e accoglie con piacere la notizia delle gioie della vita. Le inclinazioni, i desideri, le relazioni, le inimicizie, i successi o gli errori li cono-.sce quasi tutti e presto o tardi si verrà a raccontargli Ciò che egli ignora.

Egli è ovunque lo si chiama, lungi o vicino, di notte e di giorno, d'inverno e d'estate, presso i grandi e i piccoli. Le discordie lo hanno come conciliatore, le sofferenze come consolatorc, gli errori pubblici come giustiziere e i buoni propositi come testimonio.

Oggi quasi ovunque, come già un tempo nelle c'ttà, questi legami così stretti si sono un po' allentati; la nostra vita è divenuta troppo complessa, troppo rivolta al disperdimento; ma l'unità spirituale sussiste

313

e tutto può rinascere. Coloro, che per lungo tempo hanno lavorato per abbattere una tale magistratura delle anime, hanno commesso, senza saperlo forse, un delitto contro le anime, contro la patria e contro Dio.

In città le funzioni del parroco si complicano notevolmente e necessariamente si frantumano. Anche alla parrocchia si applica la legge di differenziazione crescente degli organismi in evoluzione. I! parroco non è più tutto; dei coadiutori dalle attribuzioni ben delineate costituiscono intorno a lui un piccolo pre-sbyteriiim secondario. Egli però ne resta sempre il capo nel senso non canonico. '

Quando più egli è uomo di valore, di ze^o, di po-, tere attrattivo e di devozione, tanto più può tenere salde in mano le redini. Opere parrocchiali multiple, lezioni di catechismo di diverse classi, scuole, patronati, confraternite, pubblicazioni, opere sociali sempre più estese, opere di zelo la cui azione giunge talvolta sino all'estero, ai paesi di missione, a Roma, esigono da lui attenzione, iniziative come pure gli pongono preoccupazioni pecuniaric formidabili.

Ora in tutto il mondo, malgrado le grandi varietà determinate dalle circostanze, dai luoghi e dall'ambiente, le funzioni fondamentali del parroco e del suo gruppo religioso sono sempre le stesse. In qual-siasi luogo la parrocchia potrebbe essere chiamata, secondo un'espressione cara ai sociologi, la cellula sociale della Chiesa come la famiglia lo è nel campo temporale. Essa è la sua « unità tattica »: (1) ss non la sua unità mistica, mentre la diocesi è la sua unità gerarchica. ,

(1) Cfr. Lesétre, La Parrocchia, pag. 233.

\ 314

L'autore citato aggiunge con acutezza che « la parrocchia cattolica si distingue facilmente, per certi caratteri fondamentali, dalla parrocchia non cattolica ad essa più simile in apparenza, sia greco-scismatica o russa, e dei giansenisti olandesi o dei vecchi cattolici svizzeri o dei ritualisti anglicani che si dicono cattolici e copiano tutti gli usi della Chiesa, ma restano separati dal suo capo ». La ragione è indicata appunto da questa ultima parola. Dall'ultimo parrocchiano al capo della Chiesa universale, per mezzo del vescovo, il legame religioso è ininterrotto; le mutue influenze agiscono dando alla vita di ogni gruppo un'ampiezza che proviene dal più grande organismo al quale esso è collegato. Il ramoscello separato che vegeta, prendendo un po' di umidità dal suolo per cercare di rinverdire è forse paragonabile all'aspetto del ramo sulla pianta che attinge la linfa dalle radici, mentre tutto l'albero si staglia nel cielo?

E' dunque naturale che la parrocchia cattolica costituisca qualche cosa di speciale e sia ovunque sempre la stessa.

La costituzione della Chiesa si adatta alle esigenze locali; ma il tipo di ogni organo vi è ben presto fissato, quando ciò non avviene a causa di una istituzione primitiva. Tutto vi si evolve secondo leggi dettate in fondo dalla natura delle cose, di cui Dio è il fondatore prima di esserne il restauratore per opera del Figlio. Avendo uno stesso lavoro da compiere, un lavoro umano-divino, questa organizzazione non può che gravitare attorno a punti fissi determinati insieme dalla natura umana, considerata qui nella sua essenza, e dall'immutabilità finita del divino.

CAPO IX L'ORDINE MONASTICO

La Chiesa, le chiese particolari, le parrocchie: tali sono le zone successive nelle quali la vita religiosa cattolica è chiamata a svilupparsi e a rivelare la sua organizzazione, unica e pur adattabile alle diverse esigenze.

Passando al campo monastico non ci troviamo più di fronte ad un ordine particolare ne in presenza di un gradino della gerarchla: si tratta di un perfezionamento di vita religiosa e di forme varie, volte a farne sempre più esplicare le risorse a vantaggio diretto delle anime più elevate e indirettamente di tutta la Chiesa.

In quanto organo della Chiesa l'ordine monastico è in realtà di essenza collettiva come la Chiesa stessa. Abbiamo ripetutamente detto che in un'organizzazione dell'amore, quale è il cattolicismo, non c'è posto per la salvezza ricercata isolatamente e ancora meno per la perfezione solitària. Tutto si collega in Dio per mezzo del Cristo, ogni anima è collegata a tutte le altre e ogni gruppo non è che una compagnia, un reggimento, una brigata, una divisione o una formazione speciale nell'esercito completo.

316

E' della Chiesa intera che bisogna dire innanzi tutto ciò che diceva San Benedetto della sua opera, quando la chiamava una scuola del servizio divino (Dominici schola serviti!). Le « scuole » particolari funzionano tutte nello spirito della Chiesa, sotto la sua condotta e per i suoi fini, che sono generali nello stesso tempo che personali per ogni figlio di Dio.

Che si tratti anche degli anacoreti, uomini che vivono in disparte, in un profondo ritiro persino nel ' deserto, come avviene per gli eremiti, o che si tratti di cenobiti, monaci viventi in comunità come i benedettini, o ancora di canonici regolari, come se ne ebbero molti nei primi secoli, o frati, di cui i Francescani, i Domenicani, i Carmelitani, gli Agostiniani, i Minimi sono le grandi famiglie, o ancora di chierici regolari, di cui la Compagnia di Gesù è la più gloriosa falange, o infine di chierici secolari che vivono in comunità, con o senza voti, come i discepoli di Sant'Alfonso e di San Paolo della Croce, i preti della Missione, gli Oblati di ogni famiglia religiosa, gli Oratoriani eco..., in ogni caso l'ordine considerato non è che un'applicazione del pensiero cattolico, un'appendice della sua organizzazione e per conseguenza cosa .sociale.

Un ordine sarà ciò tanto meglio quando si veri-flcherà il caso che un focolaio monastico venga eretto a chiesa particolare con un prelato appartenente propriamente all'ordine episcopale, o, in ogni caso, sotto la dirczione d'un clero appartenente alla gerarchla e che governa in suo nome il gruppo di monaci.

Le chiese monastiche furono particoiarmente numerose e fiorenti a partire dal IV secolo e forse anche prima. I loro capi, quando si trattava di comunità maschili, furono presto presi dallo stesso loro seno, di guisa che completa fu l'omogeneità tra il gruppo

317

considerato come appartenente all'ordine dei monaci e lo stesso gruppo che componeva l'ordine gerarchico.

Ne venne così che queste chiese particolari, in generale più fervorose, meglio fornite di personale, più influenti, estesero ben presto la loro azione e si videro aggregare popolazioni secolari, di cui i monaci erano il clero e l'abate o priore il pastore con cura d'anime. Quando il superiore era vescovo, egli aveva così intorno a sé una vera e propria diocesi; quando non lo era, diventava arciprete nel senso antico della :

parola, era assimilato ai titoli cardinali delle chiese diocesane e prendeva parte a tutti gli atti della vita ecclesiastica che ne derivavano. Si continuava però a tener distinto, in questa apparente contusione, l'ordine monastico dall'ordine gerarchico o canonico.

Più tardi la fondazione dei grandi ordini apostolici procedette da un'idea generale che collegò questi ;

gruppi più direttamente con la Santa Sede, senza pregiudizio dei legami indispensabili con le chiese particolari nei cui terreni tali ordini si diffondevano. E ciò costituiva anche la manifestazione più evidente del carattere sociale di cui l'ordine monastico era investito.

Resta da stabilire 11 valore che queste creazioni rappresentano per la Chiesa e, per questo scopo, da definire in, se stesso l'ordine religioso.

Lo stato religioso è propriamente una professione pubblica di ciò che è in perfezione il lavoro stesso della Chiesa, cioè la santità, che si distingue per mezzo della carità; adesione a Dio e a tutto ciò che è di Dio, soprattutto il prossimo, e deposizione contemporaneamente di ogni elemento straniero od ostile e soprattutto dell'io egoista e peccatore.

318 .

Da questa definizione bisogna eliminare due pos. sibili errori. La professione esterna di perfezione di cui si parla non implica perfezione acquisita, ma ricerca decisa della perfezione. E d'altra parte, quando si dice professione esterna, si indica anche che l'inferiore ne può essere separato. Vi sono religiosi che non sono affatto perfetti; vi sono dei semplici cristiani che sono più avanti con eroismo in questa via maestra del cristianesimo. Questi posseggono l'anima della vita religiosa senza far parte del suo corpo, mentre quelli posseggono il corpo senza avere l'anima.

Ma ciò che importa constatare è che quest'anima della vita religiosa è l'anima stessa della Chiesa e non è affatto una specialità. Ciò che è specialità è la professione esterna e pubblica. E una tale professione, appunto perché pubblica, cioè sanzionata e connessa con l'unità cristiana, eleva colui che professa alla condizione di rappresentante. E' tutta la Chiesa in lui che dichiara i suoi fini, come l'eroe esprime il voto dell'esercito: la vittoria.

La Chiesa intera ha per scopo la santità; ivi è la sua vera opera. La santa Chiesa non è chiamata così che per questo motivo. Così abbiamo detto che l'episcopato, rappresentazione più elevata della Chiesa dal punto di vista mistico, è per se stesso uno stato di perfezione che invita alla perfezione effettiva colui che vi viene consacrato. Qui la rappresentazione non è più gerarchica, ma spontanea; essa è però sanzionata e perciò canonica pure a suo modo. Il caso e dunque fondamentalmente identico.

Donde si vede l'errore capitale dei « moderni » che hanno voluto scoprire nella professione religiosa una istituzione sorpassata, di cui la Chiesa dovrebbe avere tutto l'interesse a liberarsi come di un accessorio ingombrante. L'istituzione religiosa non ha nulla di ac-•

310

cèssorio; essa si collega aUa santità della Chiesa nella sua parte fondamentale; essa rivela nella Chiesa la parte migliore, più compiuta, in concordanza col principio che è il .suo punto di partenza. Se non vi fossero religiosi, sarebbe un insuccesso per l'opera santi-flcatrice intrapresa, perché tutto ciò che è stato iniziato tende al suo compimento e deve poterne mostrare la testimonianza. Come ha ben detto un teologo, « lo stato religioso appartiene tanto all'essenza della Chiesa, che esso ha .cominciato naturalmente con essa, o meglio, che la Chiesa ha cominciato da tale stato» (1).

Il religioso non fa dunque altro che rientrare nella logica del battesimo e spingerne a fondo tutte le conseguenze. Tutti i battezzati fanno professione di darsi a Dio per mezzo di Gesù Cristo ,e di rinunciare a tutto ciò che vi si oppone o lo ignora. Il religioso non può proporsi di più; egli si propone solo di farlo meglio del comune cristiano con maggiore pienezza e utilizzando a questo scopo mezzi più acconci.

E la differenza, che qui stabilisce le gradazioni;

consiste nel fatto che il semplice battezzato può attenersi ai precetti, nel compimento dei quali si prova la carità essenziale, mentre il religioso fa professione dei consigli, almeno dei tré che sono oggetto dei tré voti: distacco dai beni di questo mondo per mezzo della povertà, rinuncia alla carne con la castità, abbandono della propria volontà con l'obbedienza.

Nella vita eterna non si avrà tutto in comune? L'azione della carne non sarà forse assente? l'adesione amorosa ai voleri divini non sarà la legge gene-

(1) Don Gréa, La Chiesa, e la sua costituzione divina, pag. 428.

320

rale? La vita religiosa è una prova e un'anticipazione di questo ordine dei fini allo stesso modo come essa è un seguito e un compimento del battesimo.

Alla morte tutti i cristiani fanno professione religiosa: essi non portano con sé ne i propri beni, ne il proprio corpo, ne la propria volontà- essi si tuffano in Dio e scendono al sepolcro con Gesù -in vista di risuscitare con Lui come era il significato dell'immersione del battesimo.

La vita in Dio, Ricco opulento che nulla ha e che tutto possiede, ricompenserà colui che con una santa morte si è staccato volentieri da ciò che è transitorio. La vita in Dio, nel quale è la vita compiuta ed immutabile, terrà luogo per colui che si ritira dalla vita senza posa morente e sostenuta dall'alimentazione e dalla generazione. La vita in Dio, reggitore degli esseri, assoderà alla sua Provvidenza sempre obbedita' colui che rinuncia definitivamente a volere di propria volontà e che rimette con Gesù il suo spirito tra le mani del Padre. Ed egli si troverà lassù consenziente col programma divino svelato, attore del dramma universale, precisamente perché avrà rinunciato alla « commedia » personale, accettando che essa finisse con 1' « atto sanguinoso ».

Il religioso precede questo momento e vuoi morire spiritualmente come fece Gesù sino dal suo primo inizio di vita e come fecero tutti i suoi eletti a partire dai Dodici. Nulla ormai conterà più per lui, se non Dio, se non ciò che si illumina della luce di Dio; il resto non costituirà che oggetti nelle tenebre; egli stesso, in ciò che non è vivificato da Dio, non sarà più che un cadavere.

Per questo il religioso ne fa voto, cioè uno stato, in luogo di una funzione transitoria; cioè egli vuoi dare alla perfezione cristiana, di cui fa professione,

321

21. — La Chie-,1.

la stessa estensione della vita cristiana; cioè egli cerca di esprimere per questo periodo la conferma nel bene che è propria dell'eternità; egli intende così garantire la sua fedeltà e aggiungere al peso dei suoi doni quello della loro permanenza e della loro sorgente: il capitale con la rendita, l'albero coi suoi frutti.

, La nuova vita avrà di 'solito per rifugio il mona-. stero. Monastero, « casa di Dio », perché Dio vi go- ' ;

verna, perché Dio vi è servito, perché egli vi abita '' ed è il possessore delle anime e dei beni ; menaste- ;' ro, « officina » in cui si trovano i migliori « strumenti delle buone opere » (1).

L'abito speciale portato sarà un segno di consacrazione, di separazione, di santificazione, vestito della sposa mistica, veste candida del nuovo battesimo, • modo simbolico di « indossare Gesù Cristo » come::

San Paolo dice del battezzato, indossando una veste ;;• benedetta nel suo nome, e con ciò assicurazione con- ;•-tro la dimenticanza, preservazione da molti pericoli, , segno di rispetto da parte degli altri per la comune':

edificazione.

La vita di comunità, che è la regola ordinaria, \ simboleggerà l'unità cristiana; essa mostrerà nel eie— lo della Chiesa, vasta adunata di astri, delle costei-lazioni più vicine, delle Pleiadi; essa inviterà a vi- ;

vere col prossimo come con l'Eucaristia, in comunione, col Signore al centro; essa sarà una «provocazione alla carità e .alle buone opere » (Ebrei, X;

24). Gli evasi dal mondo, se il mondo va a loro sotto", forma di ospiti, di viaggiatori, di poveri, gli faranno l'accoglienza che essi farebbero a Cristo, perché, in:

(1) Regola di San Benedetto, cap. IV. 322

Gesù Cristo, la carità, simboleggiata dalla vita in comune, è universale, i . i

I monaci si esercitano alla mutua umiltà, all'u-, miltà davanti a Dio, per mezzo di numerose pratiche che il mondo disprezza. Ma il disprezzo del mondo, non è per il monaco un principio di vita?

I loro occhi non si rivolgono a tutto: essi si serbano per ciò che è inferiore, per la Bellezza lontana e intima. Essi non parlano in modo indiscreto e:

quando parlano, lo fanno in spirito di silenzio e il loro silenzio pieno di mistero assomiglia a quello che è una virtù di Dio.

Il loro silenzio è rispettoso e saggio; è un acquetarsi nell'attesa di un lavoro dall'alto, un'irruzione , di luce nella notte inferiore. Grazie al silenzio, la

• parola, quando si libererà, si manterrà sotto la sua misura e conserverà la preoccupazione dei suoi fini.. L'anima avrà concentrato della forza, badando alla concentrazione dei pensieri in luogo della loro dispersione, coltivando la serenità in luogo dell'agitazione, liberandosi in luogo di attaccarsi a tutti gli-

-arbusti, coprendo il frastuono interno deile passioni, ricevendo invece le voci ispiratrici e offrendosi ai loro suggerimenti, vuotandosi del nulla a vantaggio del tutto.

I monaci si mortificano, cioè essi fanno morire in se stessi ciò che non ha il diritto di vivere o anche ciò che potrebbe legittimamente sussistere, ma che dovrà essere saggiamente sacrificato per cause sublimi. Non è forse sublime l'ascesa dello spirito a partire dalle profondità dove si da il colpo di pie-, de per risalire a galla? Sublime ancor più l'amore del dolore di espiazione, del dolore d'amore che si

323

invoca e che si coltiva, che ci insegna a gustare il calice di Gesù, dopo la divina libazione offerta al Padre?

A tante sofferenze di cattiva lega presso se stessi o presso altri, come pure a tanti godimenti depravati viene sostituita la sofferenza che purifica, che da merito e che salva.

Aggiungendo ciò che inanca alla Passione di Cri-.; sto, questi croceflssi volontari lasciano cadere lagri-\ me e sangue nel torrente della redenzione. Essi ispirarono ad Ozanam il sentimento di questa efficacia e reversibilità quando scrisse, dopo un ufficio notturno alla Grande-Chartrense: «Ho pensato a tutti i delitti che a tale ora si commettono nelle grandi città e mi sono chiesto se veramente là vi era sufficiente espiazione per cancellare tante brutture ».

I monaci non sono per questo tetri o depressi. La gioia dei monasteri è proverbiale. Coloro che hanno scacciato il riso pesante e amaro, il riso che cerca di stordire la tristezza, il riso « convulso » che si sottrae alla misura e rischia di agitare m noi tutti le sozzure, posseggono invece in grado superlativo il sorriso divino o il riso franco che ci rasserena.

Sono i monaci che danno al mondo la sua migliore porzione di gioia. Gioia pura, quella; gioia che e ' un frutto della carità; bacio interiore che è fonte di salute e che profuma, gioia di appartenere a Dio nell'unità di tutto ciò che Dio ama e di espandere il cuore secondo la sua misura; gioia di anticipare il cielo, anche se in mezzo alle più gravi tribolazioni.

Poiché queste sono pure fonte di gioia, così come la gioia fa venire le lagrime. La vita presente è così commista di possessi e di dispiaceri, di speranze e di attese dolorose, che è un incrociarsi continuo di sentimenti contrastanti in cui un'anima profonda più

324

non si ritrova. Le lagrime sono un pane nutriente e il pane, quando lo si mangia, lascia un sapore di cenere. Vita e morte, patria ed esilio, sono qui mescolati, e Dio che è la vita e la patria, Dio, la « porzione » del monaco, perché si da e si ritira, si mostra e si nasconde, diventa per il monaco nello stesso tempo la sua prova e la sua gioia pura. Si direbbe questo Dio con lui, come in una civetteria angosciosa, esaltandolo e flagellandolo, accordandogli come fece con suo Figlio, il privilegio dei dolori. Egli'e felice quando abbraccia la sua croce!

Quando il monaco fa lavori manuali, 11 fa perché il lavoro purifica e acqueta, perché il lavoro è nemico di Satana e avvicina ai lavoratori, nostri fratelli mettendoci in comunione con la natura, nostra divina Sorella; perché ci unisce a tutto il reale, figlio di Dio .e a noi stessi nelle nostre migliori fonti, perché il lavoro fatto pregando e con pazienza rappresenta la felicità vicina e lavorare secondo l'ordine ricevuto è vivere in Dio.

Il lavoro ha come caratteristica di far ritemprare lo spirito a contatto delle realtà terrene. Esso ci fa "obbedire ad una legge e pagare il nostro scotto al- ;

l'opera degli uomini. La terra è santa e tutte le realtà sono sante; per mezzo del lavoro esse vengono elevate dalla loro provvisoria caduta e aiutate a risalire verso le loro origini che sono confinanti coi loro fini.

San Benedetto vuole che il cellerario del monastero tenga con cura gli utensili di lavoro allo stesso modo come tutto il resto che egli amministra, « come i vasi sacri dell'altare» (1). San Basilio aveva

(1) Regola, cap. XXXI.

'3SQ •

detto prima « come dei vasi di Dio » e aveva concluso: « Colui che li disprezza è un sacrilego ». Non è sacrilego chi offende dei beni consacrati e ostacola il lavoro, questo servizio divino?

Dal lavoro che introduce l'idea nella materia inerte, U. monaco passa senza soluzione di continuità al lavoro non manuale che affronta l'idea in se stessa. Lo studio è il compagno più assiduo delle ore di libertà nel monastero. Esso si chiama contemplazione, perché si orienta verso la fonte donde deriva il vero e si tiene incessantemente alla sua dipendenza;

poiché esso intende fare « l'Opera del . Verbo », come diceva Santa Caterina da Siena.

Il Verbo esprime Dio e il Padre ci comunica collo studio e con la preghiera questo Verbo che sempre sgorga. Quando il monaco vi attinge e beve, vi prende ciò che lo fa diventare un Verbo in partecipazione, un rivelatore animato da un soffio ardente grazie allo Spirito d'amore in cui 'sono avvolte le relazioni tra Padre e Figlio.

Quante grandi parole sono uscite da questo commercio interiore che trasmette la parola ufficiale e fondamentale della Scrittura, dei Padri e della Chiesa docente!

Il culto liturgico prende nella vita del monaco un posto che gli è stato spesso disputato, che ,non si deve esagerare, ma che deve essere però sempre notevole. " .

Vi sono monaci che fanno di questo culto uno scopo e la materia principale di una attività che è tutta adoratrice. Il tempo che altri dedicano allo studio, all'apostolato o alla carità corporale, questi trovano giusto di offrirlo all'altare. Essi sono creature

326

che esprimono lodi. Fanno tutto convergere verso il canto, la salmodia, le cerimonie, i riti variati per mezzo dei quali esprimiamo la nostra religione inferiore. Essi si danno al « pensum » divino e chiamano ciò la loro «opera di Dio: opus Dei» e vi consacrano i bei momenti che i « positivi » preferireb-^ bero invece dedicare a fini « seri ». <:;

E' a questi monaci soprattutto che la Chiesa af-< ' fida la sua liturgia, poiché, appartenendo ess' interamente a Dio, sono i 'migliori strumenti di preghiera. Essi fanno di questa una lode continua e completa. La liturgia, che vuole tutto raccogliere per offrirlo al Cielo, che vuole tutto collegare con l'Alfa e l'Omega che essa invoca, trova nel monaco l'intermediario adatto.

A lui spetta la missione di porgere una voce più ricca al nostro universo materiale o morale, di insegnare a coloro che, narrano la gloria di Dio il significato del loro cantico; spetta a lui rappresentare gli uomini distratti, infastiditi, dimentichi o ricalcitranti; spetta a lui piegare le ginocchia, per mandato, e soddisfare per tutti ai divini desideri, « perché anche il Padre cerc.a chi l'adori in spirito e verità» (Giov. IV, 23).

A patti che la loro vita sia una liturgia — pul-chra caerimoni;a, come dicono le Costituzioni domenicane — i monaci avranno anticipato sotto questa forma ancora le sante ed eteme occupazioni; perché le parole di vita eterna saranno sulle loro labbra e .splenderanno' nelle loro opere. Avranno così accordato il loro essere come il decacordo, armonizzando i gesti, i pensieri e la voce. Loderanno Dio con le opere che Dio ha compiute in essi e con le parole di Dio contenute nella Scrittura.

Saranno i monaci che, per affidamento della Chie-

327

sa costituiranno per l'Eucaristia un accompagnamento più degno e per noi più utile, perché la circonderanno del glorioso corteo delle Ore. Per mezzo della Liturgia ciclica, il cui svolgersi ha per centro questo stesso Mistero, come le Ore hanno il loro centro nella Messa, la settimana nella Domenica, l'anno nella Pasqua, prepareranno i cuori alla venuta della grazia ed assicureranno il risplendere dell'idea sacramentale.

I monaci cercheranno di santificare il giorno come la notte, giacché la continuità è una delle qualità che la preghiera ha rivendicato con più esigenza. Non è forse degno, giusto, equo e salutare rendere grazie a Dio in ogni tempo? Non dobbiamo torse ringraziarlo così in ogni luogo? La notte non è che la seconda parte del giorno, e bisogna che Dio sia lodato su tutta la terra.

I monaci intendono così purificare la notte che molti insozzano, toglierle i miasmi del peccato, confidarle come in un terreno che non li conosce i ger-mi dei buoni pensieri, orientarla cristianamente verso il giorno che viene, fare delle sue tenebre una luce di gioia: «Et nox illuminatio mea In deliciis meis ». .

Allontanando il sonno notturno e quello più grave della mancanza, sperano di escludere questo sonno di morte che è il peccato, preludio dell'eterna notte che ' ci insidia. « Camminate mentre avete la luce della vita, perché non vi circondino le tenebre della morte » (Giov., XII, 35).

Si noterà che il sentimento liturgico eleva facilmente i monaci alla poesia e che questa li spinge alla più ardente comunione con la natura. Essi l'amano

328. '

questa sorella terrestre che è sì eminentemente religiosa: religiosa nella sua origine, che è la creazione;

nel suo progresso, che è provvidenza, e nel suo termine: il servizio degli eletti; che la natura è sacra come tutto il reale dacché la libertà non la disorien-Ìa. « Dio vide che tutto era buono » dice la Sacra Scrittura; ora la bontà degli esseri che tendono verso la loro origine, come il ruscello che increspandosi canta la sua sorgente, è la stessa religione. Il monaco prende ' le lezioni di là, come noi vogliamo che egli ce le doni. Vuoi essere in rapporti con Dio come lo è la natura: obbediente, piena di armonia e di lode, motto d'azione, poema che si evolve, liturgia sulle due grandezze infinite.

Egli è nello stesso tempo suo discepolo e sacerdote che ascolta in essa la voce del Signore'e le da una voce (1).

Se poi i monaci hanno altro scopo che non sia il culto, come la carità e l'apostolato, ;! culto sarà sempre anche per essi un valore di primo ordine e ciò a titolo di mezzo ed anche di Scopo parziale di cui nessuno può dispensarsi. Non si possono trascurare-le fonti. E chi non comprende che la fonte della devozione e dell'attività conquistatrice è proprio lì, nel mistico colloquio da solo a solo nutrito da una pubblica professione d'amore feconda di opere?

Bisogna rendersi conto che il culto è per se stesso una carità e un'opera d'apostolato molto preziosa. E' un fatto che tutta l'antichità cristiana se ne pasce

(1) Gli antichi liturgisti, spesso monaci, o che ne ave-. vano i sentimenti, sono fra tutti i più poeti, Cfr. Don Cabrol, II libro della, preghiera antica.

329

e che questa « musica », questa armonia attiva e vocale fu per il mondo barbaro in particolare come la lira d'Orfeo. Un mondo civilizzato invece porterà solo più in alto gli effetti dell'armonia di preghiera.

Tranquillità, edificazione, sentimento del mistero, istruzione con la parola e col simbolo, esempio del ritmo e del gesto, intimo invito ad unirsi quando pubblicamente in nome della Chiesa universale e in faccia a Dio che ci da la sua presenza reale si proclamano in comune il vero immutabile e i più alti beni: tali sono i frutti sperati dal pio dramma.

Bisogna tenere presente che l'apostolo o l'essere di carità, benefattore angelico che Dio ci invia per guarire le nostre piaghe del corpo e dell'anima, è un angelo umano. Gli occorrono perciò, per riuscire, o solo per perseverare, delle forze divine: ove le attingerà se non all'altare, o nelle immediate vicinanze, nell'irradiazione eucaristica, nell'azione rituale?

Presso i monaci predicatori in particolare l'apostolato si fonda nettamente sulla contemplazione e ', le osservanze. « Contemplata aliis tradere: trasmettere i frutti della propria contemplazione», è la divisa di un grande Ordine, e gli altri vi si confor-.' mano (1). '

La ragione è che l'azione è solidale con la vita intcriore; l'espansione prende le mosse dalla concen-! trazione. Coloro che sono d'avviso che sarebbe me-, glio dare all'azione esteriore quanto si dedica di tem-\ pò e di anima alla contemplazione e alle osservanze. ragionano come colui che vorrebbe impiegare a vuotare un serbatoio lo stesso tempo necessario per riem-

(1) Questa formula è di San Tomaso d'Aquino (Somma teologica, II.a II., q. CXXXVIII) ed essa è stata adottata dalla sua famiglia religiosa, i

330

pirio. Vi è dunque solo una questione di misura. Un Ordine apostolico non si comporta come se fosse

solo contemplativo. Ma a voler definire la questione a vantaggio solo dell'azione esteriore si rischia di ', ;% preparare l'anemia delle anime, la dispersione, l'agitazione sterile e i pericoli per coloro che non si tengono a contatto con le fonti.

L'ufficio del coro col suo ordine rigoroso, il suo ritmo e la sua relativa lentezza sembrano essere un • rimedio assai utile per l'inquietudine e la trepidazio-ne moderna. In un'epoca in cui si soffre, più che di altro, di nervosità e di sovraccarico intellettuale si deve ben apprezzare questo bagno di pace e aver fiducia nei risultati di un'attività appena ridotta nella sua estensione, ma d'altra parte resa più intensa, meglio applicata alla parte essenziale delle cose, più matura.

^ Non è nel silenzio infinito che la natura lavora? Non è nella tenebra ardente delle cripte che i grandi monumenti risaltano? La solitudine è un esilio

. che rende il ritorno in patria più cosciente e fecondo.

I veri oziosi non sono i monaci, ai quali si fa talvolta questa ingiuria: sono coloro che sono sempre in ';, agitazione. Spiriti senz'aria, rivolti a piccoli lavori .'i successivi senza pazienza, senza misura, ignorando ' che la pacata lentezza è pure una forza, i non contemplativi restano esclusi sia dall'azione ampia sia dal pensiero elevato. Il marinaio, il contadino e il monaco sanno che non si fa mai tanto lavoro come . quando non lo si fa in fretta.

Si vorrebbe forse pure disconoscere che il culto, in quanto valore di preghiera, riporta i suoi effetti su quanto è intrapreso con spirito di fede? Dio non serba per sé ciò che gli si da; egli lo ritorna a sua volta a noi, che diventiamo i migliori strumenti del-

331

la sua opera, e su coloro che il nostro zelo gli offre come una conquista fraterna ed attesa. Non dimentichiamo che se siamo noi che piantiamo e irrighiamo, è però Dio solo che fa crescere le piante.

E' per questa ragione che i più grandi apostoli monastici sono stati invariabilmente i più zelanti per il servizio divino e quelli che più tenevano a tutti i doveri della vita conventuale. Da San Bernardo o da San Francesco e San Domenico sino a Lacordaire, questo moderno fra i moderni, tutti hanno pensato all'applicazione del proverbio: Medico, cura tè stesso. Essi si sono santificati per santificare gli altri:

hanno consacrato a Dio un culto personale prima di offrirgli eventualmente il culto altrui. L'apostolo è un supplemento e quasi un traboccare di ricchezza. La liturgia loda San Domenico per il tatto che egli ha accresciuto in sé l'uomo canonico rendendolo apostolico (VÌrum canonicum auget in apostolicum): essa non lo loda del fatto che egli abbia abbandonato Dio per l'uomo.

. Si può dunque ritenere che la rinnovazione li-. turgica inaugurata da don Guéranger è in correlazione naturale con le vedute apostoliche dei migliori. Questa campagna era perfettamente opportuna. Lungi dall'impoverire la predicazione, lungi dallo stancare il popolo, essa lo riunisce e lo predispone, per mezzo dell'unità visibile, all'unità mistica nel Signore.

L'utilità religiosa dei monaci è già implicita nel fatto che essi esistono, se è vero che essi completano in sé quello che è il lavoro proprio della Chiesa, ed essa da impulso pure a ciò che essi fanno, sia pure anche nel campo extra religioso, come, ad esempio, quando diventano agricoltori, industriali.

332

amministratori, o si danno a studi per se stessi profani. Tutti questi lavori riservano i loro valori nel ' tesoro della Chiesa per il fatto che innanzi tutto essi santificano coloro che li praticano, mantenendoli nelle sante leggi dei loro istituti e nella legge generale dello sforzo imposto agli uomini e inoltre anche per il fatto che il riconoscimento dei popoli, sensibili soprattutto a ciò che è visibile, torna a vantaggio del sentimento religioso che il benefattore qui rappresenta.

Non occorre ricordare ciò che i monaci hanno compiuto per la civilizzazione. Quantunque alcuni siano propensi a dimenticarlo, nessuno dovrebbe non ri-conoscerlo. Il loro sforzo ha prodotto di più di quello di ogni altra istituzione temporale, e più utilmente, perché ciò avvenne nei primi tempi.

Come- forza d'espansione per la Chiesa, come valore di accrescimento interno e di progresso, l'ordì-ne monastico offre dei servizi, che, umanamente parlando, non potevano essere compiuti da altri. I monaci istruiscono la Chiesa allo stesso modo come la edificano. La mantengono a contatto delle sv.e fonti dottrinali che essi fanno oggetto di studio costante. Essi principalmente, quantunque non essi soli, sono abituati ai grandi lavori, quelli che esigono la solitudine, la collaborazione e l'ampiezza del tempo. Le « cisterne screpolate » dell'informazione affrettata e della piccola pubblicità non sono fatte per loro. Di solito essi vedono profondamente e squadrano ampiamente.

Il ministero della parola, essenziale per la Chiesa, fu loro affidato in una misura sempre crescente. Si direbbe che sono stati proprio essi che hanno inteso questo ordine: Andate ed insegnate a tutte le genti, quantunque ciò avvenga specialmente per mez-

;B3

zo dei vescovi, per i quali la predicazione, come abbiamo visto, è la caratteristica della loro funzione. Desiderosi di afferrare per loro conto la luce divina, i monaci si preoccupano di diffonderla; essi dicono col Salmista: « Non ho nascosto la vostra giustizia nel mio cuore; ho annunciato la vostra verità e la vostra salvezza » (Ps. XXXIX, 11).

L'amore delle anime non è loro punto particolare;

ma essi spingono più innanzi il loro zelo e coprono maggior spazio con la loro azione per il fatto che essi non si limitano al quadro di una diocesi e a maggior ragione di una parrocchia. A partire dal XIII secolo soprattutto, dopo la fondazione dei grandi Ordini apostolici, così chiamati perché sono inviati dalla Santa Sede e percorrono tutto il mondo, il loro zelo si è esteso su tutto il campo del Signore in cui essi gettano il loro seme. Per loro mezzo si è visto rinascere e rafforzarsi l'immagine dei primi • tempi, quella dei viaggi di San Paolo, quella delle.' grandi incursioni che avevano dovuto precedere le fondazioni regolari alle quali aspira la Chiesa come a una opera principale. .

Il lavoro decisivo, nel campo spirituale, si, com- ;

pie per mezzo della gerarchla e per conseguenza nel quadro in cui la gerarchla funziona. Il monaco apo- , •stolo invece non lavora là. Come Paolo, egli non bat- , tezza ma predica. Ma perché si possa battezzare occorre il lavoro dei cacciatori di anime; occorre altresì l'aiuto delle missioni inferiori, degli stimolanti, nuovi,';

insistenti, periodici di cui la parrocchia ed anche la,;;

diocesi sono ben lontane dal fornire sempre i mezzi.' Questi rinnovamenti della vita, che succedono alle;':

preparazioni, costituiscono il duplice complemento dì un'azione centrale che rimane essenziale.

334

«Noi volevamo ardentemente offrirvi non solo il Vangelo, ma anche la nostra anima », scriveva Paolo ai Tessalonicesi (I Tess., II, 8): queste parole non potrebbero evocare, se non esprimere, l'azione apostolica degli Ordini religiosi con l'esempio? « Offrire la propria anima» vuoi dire dare la vita; ogni apostolo deve esservi pronto; ma è anche offrirla a modello, o almeno meritare che essa sia presa come tale. Così la luce sul candelabro e» la città sulla mon-. lagna nel discorso del Signore.

I monaci evangelizzano la vita vivendola. Essi eccedono in relazione a ciò che si chiede alle folle; ma è in tal modo che essi trascinano la folla, porta-'bandiera delle vittorie morali. Fedeli a Dio oltre misura, essi per ciò stesso distolgono dal tradirlo e il . sfatto che essi amplifichino su se stessi i suoi dì.ri':ti. non costituisce un fervido invito a seguire i suoi pre-cetti? , , .

I monaci partono in pellegrinaggio verso Dio con maggior fretta, con minori bagagli, colle reni meglio cinte, non essendo ingombranti le vesti dell'anima, con la lanterna in mano per i passaggi oscuri, pieni della nobile preoccupazione di giungere presso colui che ci chiama. Superandoci nella via essi la segnano facendo così in modo che non la si possa perdere o che vi si possa smarrire. Sulle cime delle salite le loro figure si stagliano nel cielo. ;

Marciare davanti a Dio, cioè in presenza di Dio e nella direziono di Dio è, nella Sacra Scrittura, la lode suprema dei giusti. Ora l'esistenza delle vite mo-nastiche e lo splendore che ne deriva non sono forse un aiuto a ravvivare la divina presenza, a vincere la spaventosa incoscienza che ci tiene prigionieri, ad avere coscienza di Dio,; affinchè la sua volontà ci appaia evidente come il nostro desiderio, di cui egli

335

è la regola e l'ispiratore, insomma, non ci insegnano a camminare sotto quello sguardo la cui luce abbagliante offre lassù l'impeccabilità eterna?

Nelle nostre prove le loro prove volontarie sono un incoraggiamento e un'indicazione. Essi ci insegnano a sopportare il Signore, essi che lo provocano (Ps. XXVI, 14). Essi ci abituano alla sofferenza e santificano per noi le privazioni. Fanno col distacco, una copia della morte e ce la mostrano, per mezzo dell'amore, invidiabile ed ospitale. Colei che viene « una sola volta » viene da parte di un sovrano paterno; essi ce la presentano, e poiché l'hanno ammansata, avremo forse minore spavento a guardare la sua faccia di ombra.

A vantaggio delle anime desiderose del meglio, i monaci hanno fatto in grande l'esperienza della vita intcriore; essi sono dei maestri incontestati, al-l'intuori delle Scritture e dei Padri, di cui molti sono del loro ordine. La loro solitudine ha ascoltato con maggior attenzione questa voce di Dio che è come un soffio di vento (III Rè, XIX, 12); essa ha ascoltato il silenzio che nessuno comprende.

Grazie ad essi. Dio non si scoraggia di parlarci;

il Verbo inferiore si effonde. Il loro distacco dal mondo fa sì che gli eletti del mondo, riguardandoli, si orientino verso cime più eccelse. Il mondo così provocato e diviso spesso si irrita delia selezione che questo miraggio provoca; ma i monaci sanno bene che « disturbando » in questo modo essi servono. Se dopo di ciò essi sono perseguitati con maggior accanimento, sanno che questa sarà la loro ricompensa.

Per coloro che intendono il loro muto appello, essi hanno in anticipo preparato dei quadri. Un nido dell'anima caldo e ben costruito li riceverà, fra i rami della gerarchla, sul tronco della Chiesa. Per

336

coloro che non rispondono all'appello e offendono il 'loro Maestro, i monaci hanno preparato in anticipo a Lui una prova d'amore: sarà loro dolce, nella loro tristezza fraterna e filiale, sentirsi dire: « Siete voi che siete rim.asti con me durante le mie sofferenze»' (Luca, XXII, 28).

In luogo della nostra vita religiosa senza gioia, della nostra fede senza eco, della nostra esperienza triste, della nostra carità inerte, i santi monaci danno da parte loro alla Chiesa una tonicità mistica e attiva che ne completa il valore; essi sono il gioiello della corona gerarchica, quantunque la gerarchla rimanga e debba sempre rimanere il diadema immortale.

Nulla di strano perciò che gli Ordini monastici abbiano in ogni tempo sostenuto le avversità rivolte contro la Chiesa, salvato col loro intervento le situazioni compromesse e trovato nel loro seno, con energici contraccolpi, i mezzi di far fronte a tali av-^' versità.

Vi è una storia commovente che si prosegue dagli inizi della Chiesa sino ai giorni nostri. '

II ' peso della materia di cui essa è gravata e i suoi stessi successi espongono la Chiesa al pericolo di impantanarsi nel fango fecondo ma facilmente sommergente della terra. Il suo edificio morale può cadere, quando sia privato delle sue basi essenziali che sano l'umiltà, il distacco, l'allontanamento da ciò che è sensibile. Occorre allora che dei salvatori collettivi, generalmente guidati da capi di provata santità, vengano, come Francesco e Domenico nel sogno di Innocenze III, a sostenere la costruzione divina ed umana.

22. - - La Chiesa.

Nel solo ordine canonico la Chiesa non potrebbe forse trovare sufficienti reazioni. Accade che «i pa- » stori dormano », come diceva un illustre monaco al Concilio di Trento. « Occorre allora che i cani abbaino ». Essi abbaiano, ed anche mordono, come morde il cane del pastore; essi risvegliano, se ci si può così esprimere, lo Spirito Santo che dorme nelle loro anime, fossero pure quelle dei capi, e fanno avanzare più rapidamente le truppe evangeliche attardatesi.

In realtà, non è compito dell'apostolato di mantenere e, in caso di bisogno, di restaurare ciò che nei primi giorni l'apostolato ha istituito? Lo Spirito divino, abbiamo detto incessantemente, non è tutto nella gerarchla. Là è la grazia di governo e di controllo; altrove spesso è la grazia di iniziativa e di rinnovamento anche dell'autorità in ciò che essa ha di umano. Lo Spirito divino è pure apostolo. Egli percorre il mondo per mezzo dei suoi eletti, allo stesso modo che percorre le nubi, alle quali la liturgia paragona i missionari del Verbo, come pure il vento purificatore apportatore del seme.

Grazie a questa effusione continuamente rinnovata nell'opera eterna, i mali della Chiesa sono per essa l'occasione di mostrare la sua vitalità indistruttibile; le sue malattie sono crisi donde essa riprende il cammino per nuovi gradi di sviluppo; i suoi rimedi le fanno l'effetto di elisir di lunga vita.

In avvenire, come nel passato, occorrerà dunque fare la parte dei monaci. Nessun mezzo più adattabile per vedere il Vangelo adeguarsi alle nuove situazioni e risolvere le future crisi che tutto, in senso umano e divino, ci induce a prevedere.

E' da questo punto di vista utilitario, come più sopra da un punto di vista organico, che dobbiamo

338

affermare l'unione indissolubile nella Chiesa dell'ordine canonico e del suo ausiliario, quello monastico. Entrambi si dividono le funzioni ed effondono i valori della società spirituale cristiana; ambedue rivelano l'essenza del vivente umano-divino.

330

CONCLUSIONE

Questa è dunque la Chiesa, queste sono le sue necessità, la sua essenza intima; tali sono i suoi caratteri, le sue attitudini e la sua organizzazione.

Il tutto è coerente della coerenza di Dio, la cui vita trinitaria ha il suo rinesso nella Chiesa; il tutto è pure coerente della coerenza dell'uomo eterno,;, per mezzo del quale Dio intende collegare alla sua ' eternità tutto ciò che è transitorio.

Questa vita stupefacente è là sotto i suoi occhi con le sue debolezze ed imperfezioni, figlie del tempo, con le sue energie e le sue ineffabili bellezze intime o visibili. La si studi come avremmo voluto fare con minori lacune e si porti in questo studio, se è possibile, maggiore penetrazione e maggior pietà verso la verità che ci salva; che si consideri e riconsideri questo problema permanente posto al mondo con la sua parte di evidenza e di mistero. Perché siano date le condizioni e che non si cada in preda all'illusione inveterata, si approverà come conclusione la fiera dichiarazione del Concilio Vaticano che qualifica la Chiesa « una bandiera innalzata al disopra delle nazioni », affinchè per suo mezzo si manifesti la presenza divina.

Non è con lo sguardo superficiale del passante che si deve studiare la Chiesa e ancora meno con lo

340

sguardo sviato dalla passione che vede dappertutto deficienze; è con vedute larghe come l'orizzonte terrestre che si tratta di considerare le prospettive immortali ove si tratta di avviarsi e d'altra parte bisogna fare ciò con un sentimento di eventuale adesione a tutto ciò che sarà riconosciuto come vero, benefico e necessario.

La verità è abbastanza grande per non offrirsi che a colui che sino da principio le ha consacrato i^-il suo cuore. Possa chi ha seguito le verità contenute in questo libro darsi, aderendovi, alla Verità viven- , tè che ci comprende tutti e un giorno risplenderà in tutti noi.

FINE

841

 

I N D I C E

LIBRO III

La vita sacramentale della Chiesa

 2-I Sacramenti

CAPO I - Idea generale dei Sacramenti

 CAPO II - La Messa .

 CAPO III - II Pater Noster , 

 CAPO IV - L'Elemosina Rituale

  CAPO V - L'Acqua Benedetta

  CAPO VI - Le Benedizioni

 CAPO VII - II Segno della Croce

 CAPO Vili - La Parola di Dio

 CAPO IX - Le Indulgenze

LIBRO IV

L'Atteggiamento della Chiesa nei riguardi di questo mondo

CAPO I - L'atteggiamento della Chiesa nei

riguardi delle religioni che la precedettero 

 CAPO II - L'atteggiamento della Chiesa riguardo alle altre religioni contemporanee 

CAPO III - Atteggiamento della Chiesa nei

guardi delle religioni separate

 CAPO IV -, L'Atteggiamento della Chiesa riguardo alle morali religiose o laiehe » 

 CAPO V - L'Atteggiamento della Chiesa riguardo alla civilizzazione in generale »

 CAPO VI - La Civilizzazione materiale

 CAPO VII - La Cultura intellettuale

 CAPO Vili - L'arte CAPO IX - La vita sociale

 CAPO X - La politica 

 CAPO XI - La vita internazionale 

CAPO XII - La pace 

LIBRO V

L'organizzazione della Chiesa

CAPO I - L'ordine divino della Chiesa

CAPO II - II regime monarchico della Chiesa 

 CAPO III - II compito dei governanti nel governo della Chiesa 

 CAPO IV - II Papa 2

 CAPO V - II magistero infallibile » CAPO VI - L'infallibilità nel XIX secolo 

 CAPO VII - L'ordine Episcopale

 CAPO Vili - L'ordine Presbiterale 

 CAPO IX - L'ordine Monastico Conclusione 

 

 

 

 

2001

Novembre

Ottobre

Settembre

Giugno

Maggio

Aprile

Marzo

Febbraio

Gennaio

2000

Dicembre

Novembre

Ottobre

Settembre

    Politica Cultura Scienze  Società  Religione Psiche  Filosofia  Ambiente Arte  Cinema Sport Napoli Università Home