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Comprendere i bisogni e i desideri delle persone per migliorare la qualità della vita

SEMPRE PIU' UNA CITTA' A MISURA D'UOMO

Di Simona Baldanza

"…La città è.

La città è il tutto,è storia,è un illimitato, piccolo universo di storie,di vicoli, di situazioni che ospitano cuori e albergano menti, come se le sue mura volessero inghiottire segretamente provocando gli attori della vita come un’ammaliatrice taciturna e seducente.

da "CITTÀ" di Erika Torresi

Esistono due modi di progettare una città, un'abitazione, un parco, un edificio o una scuola. Uno lo si può definire "top - down" e l'altro è stato chiamato "progettazione partecipata o collettiva". Il primo procede dall'alto, da chi si occupa più direttamente del progetto, quindi architetti, ingegneri, enti locali ed amministrativi; l'altro dal basso, cioè da coloro che usufruiranno della costruzione, i cittadini. Non che in questo secondo caso ognuno si improvvisi architetto della propria città, ma nella progettazione si parte da un presupposto fondamentale: soddisfare i bisogni della cittadinanza. La differenza tra questi due diversi approcci è fondamentale, anche se nella realtà non sempre è semplice distinguere i vari progetti in base a questa caratteristica. Possono essere utili due schematici esempi per chiarire meglio questi concetti.

Indonesia: il governo ricostruisce un intero villaggio raso al suolo da un terremoto. La riedificazione del luogo avviene senza tener conto dei tradizionali luoghi sacri che popolavano il vecchio villaggio. Il disagio è grande e si ripercuote sugli abitanti come perdita di identità e disorientamento culturale.

Tokyo: C. Alexander costruisce l'Eshin Campus School. Alla base del suo progetto ci sono le proposte degli utenti: "qual è l'ambiente migliore per insegnare?" chiedeva loro. Le persone intervistate indicarono, suscitando anche una certa sorpresa, un lago, per cui Alexander progettò e realizzò un lago artificiale che diede un tocco di originalità alla scuola.

Anche se semplicistici, questi due casi ci danno un'idea di cosa può significare tener conto delle specifiche esigenze della gente di un paese, di una città, di un quartiere nel progettare. Sembrerebbe un aspetto scontato della progettazione e invece non è poi così banale come sembra. Basti pensare alle numerose strutture che vengono realizzate per i cittadini e che poi rimangono inutilizzate: piazze, pinete, parchi, che per la loro posizione o struttura non rispondono alle tendenze delle persone, futuri utenti.

Nell'ottica della progettazione partecipata o collettiva diventa fondamentale il benessere delle persone, che deriva dalla soddisfazione di esigenze e bisogni, dal rispetto della cultura e della storia, dall'espressione delle naturali tendenze di un gruppo sociale, in altre parole della sua identità.

In questo contesto si inserisce la figura di Christofer Alexander, citato nel secondo esempio, architetto degli anni '60. Secondo la teoria di Alexander nella nostra mente sono insiti degli elementi che egli chiama patterns, che si ritrovano in tutti gli uomini di tutte le generazioni e di tutte le provenienze, sono cioè universali. Un pattern può essere definito un modello, uno schema che ricorre nella memoria culturale, un archetipo. L'insieme di più patterns va a costituire il sapere collettivo, l'intelligenza collettiva, l'inconscio collettivo, usando un termine di natura psicoanalitica.

I patterns esistono anche in architettura e rispecchiano quelli che scaturiscono dai processi che regolano il funzionamento dell'intero universo, sia nelle sue forme viventi che non viventi. Essi devono essere tenuti presenti nella fase della progettazione se si vuole favorire il benessere dei cittadini. N.A. Salingaros afferma che qualunque pianificazione che ignori i patterns non può mai sperare di connettersi con gli esseri umani, mentre invece quella connessione deve esserci e deve essere forte, coinvolgendo non solo le facoltà razionali, ma anche la sfera emotiva. Alexander arriva ad affermare che non può esistere alcuna forma di progettazione che non derivi da una proposta dei cittadini.

Questo architetto e teorico americano ha individuato 253 patterns in architettura (raccolti nella sua opera A Pattern Language), tutti esplicati con dati statistici, analisi scientifiche ed esempi pratici.

Come si attuano i patterns nella progettazione?

Una volta individuate le necessità, i desideri e le aspettative del gruppo sociale a cui è destinata l'opera da realizzare, il progettista le relaziona ai patterns, ricercando esempi di archetipi delle situazioni da proporre. Successivamente, il lavoro viene presentato sotto forma di immagini. I risultati ottenuti vanno combinati tra loro con l'ausilio degli utenti per arrivare infine allo stadio conclusivo di questa articolata attività di ricerca antecedente al progetto vero e proprio. E' così che nascono i pattern relativi all'urbanistica di cui sono riportati alcuni esempi nelle immagini, o quelli per l'arredamento degli uffici, delle case etc. I patterns possono essere considerati, quindi, gli equivalenti dei sintagmi nel linguaggio, cioè elementi di base costitutivi, che vanno poi combinati e trasformati in modo flessibile, seguendo i processi della sintassi.

E' un nuovo modo di pensare, di porsi al servizio della collettività, considerando non solo le sue aspettative e le sue esigenze, ma anche la complessità che caratterizza la realtà in cui vive, multiforme, dinamica e variegata. Per questo Salingaros condanna la tendenza alla semplificazione che emerge ad esempio attraverso le mode, definendola "virus - mentale" che fuorvia le menti della collettività a livello inconscio. Non possono esser dati per scontato i bisogni delle persone, proponendo soluzioni preconfezionate: di volta in volta sarà necessario comprendere a fondo le premesse culturali, le esigenze, le aspettative di un gruppo per permettere la sua naturale espressione e la sua realizzazione.

L'attuale tendenza nelle nostre città è quella di creare spazi nei quali le persone possano ritrovarsi, svolgere varie attività, curare interessi, essere a contatto con il verde. A questo tipo di politica fanno riferimento i progetti che prevedono la trasformazione delle città in "città sane", città che rispondano alle esigenze dei cittadini, promuovendo la loro salute. Si assiste alla creazione di piccole oasi, all'interno di complesse e trafficate reti stradali, dove l'inquinamento e il rumore sono più attenuati.

Nonostante gli innegabili benefici apportati da soluzioni di questo tipo, si è ancora lontani da una prospettiva nella quale la reale conoscenza di queste esigenze è la base da cui muovere per progettare. Si propone una forma di benessere precisa, con specifiche caratteristiche, dando per scontato che esse siano condivise dai cittadini.

Da un lato si comincia ad abbandonare la tendenza della netta separazione tra spazi verdi e spazi trafficati, per creare aree in cui il traffico, seppur ridotto, si affianchi ad altre adibite esclusivamente ai pedoni. Ne è un esempio il progetto proposto nel comune di Roma nel 1999 in collaborazione con USPEL, in cui si fa riferimento alle misure di moderazione. Partendo dal presupposto che una netta demarcazione tra gli spazi adibiti al traffico e quelli per i pedoni non fa che rendere ancor più difficile la realizzazione della vita relazionale delle persone, si ritiene auspicabile un'integrazione tra i due, attraverso una riduzione della velocità e del numero delle vetture in circolo e la creazione o l'ampliamento di spazi intermedi tra le aree pedonali e quelle trafficate, come le piste ciclabili e i marciapiedi.

Tuttavia, ancora non siamo di fronte ad un consapevole tentativo di tirare in ballo la reale volontà delle persone. Il coinvolgimento degli utenti come protagonisti si rivela indispensabile per la realizzazione del benessere psicofisico delle persone: sono loro i principale agenti della progettazione, il primo fine a cui questa deve tendere.

 

 

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