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La Prudenza

5 Marzo 2000 – ore 20.30

Dai Proverbi

 

L’inesperto crede a quanto si dice,

ma il prudente bada ai suoi passi.

Il saggio è cauto e schiva il male,

lo stolto è arrogante e presuntuoso.

La persona irosa commette sciocchezze,

ma l’uomo riflessivo sa sopportare.

Gli stolti si fan belli della loro follia,

ma i prudenti si adornano di scienza.

I cattivi si inchineranno davanti ai buoni,

e gli empi alla porta del giusto.

Il povero è odioso persino ai parenti,

il ricco, invece, ha molti amici.

Chi disprezza il tapino, commette peccato;

felice chi ha pietà dei poveri.

Chi macchina del male vuole rovinarsi.

Amore e fedeltà per chi opera il bene.

Ogni lavoro porta i suoi frutti,

ma la chicchera produce miseria.

Diadema dei savi è la loro saggezza,

corona degli stolti è la loro follia.

Il teste veritiero salva gli accusati,

ma il teste falso li tradisce.

( prov. 14,15.25 )

Pillole paoline

 

Osservate, pertanto, con molta attenzione, la vostra condotta, che non sia da stolti, ma da prudenti, approfittando del tempo, perché i giorni sono cattivi; perciò non siate degli sconsiderati, ma studiate bene quale sia la volontà del Signore; non vi inebriate di vino, sorgente di lussuria, ma siate invece ripieni di spirito. Intrattenetevi fra voi con salmi, inni e cantici spirituali, cantando e salmeggiando di tutto cuore al Signore. Rendete di continuo grazie di ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, e state sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo.

( Ef. 5,15.21 )

Dal Catechismo

 

La prudenza è la virtù che dispone la ragione pratica a discernere in ogni circostanza il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per compierlo. L’uomo “accorto controlla i suoi passi” (Prv 14,15). “ Siate moderati e sobri per dedicarvi alla preghiera ” (1 Pt 4,7). La prudenza è la “retta norma dell’azione”, scrive San Tommaso sulla scia di Aristotele. Essa non si confonde con la timidezza o la paura, né con la doppiezza o la dissimulazione. è detta “ auriga virtutum ” - cocchiere delle virtù: essa dirige le altre virtù indicando loro regola e misura. È la prudenza che guida immediatamente il giudizio di coscienza. L’uomo prudente decide e ordina la propria condotta seguendo questo giudizio. Grazie alla virtù della prudenza applichiamo i principi morali ai casi particolari senza sbagliare e superiamo i dubbi sul bene da compiere e sul male da evitare.

La Prudenza secondo i padri

 

La Prudenza secondo San Tommaso

 

Perché la prudenza è virtù morale quando invece risiede nella ragione? Essa è una virtù strana, che sta al confine tra la ragione e la parte appetitiva. È radicata nella ragione e tuttavia è virtù di conoscenza che è mossa dalla volontà che tende al bene. La volontà è cieca e chiede alla ragione: “io voglio tendere al bene, ma non so quale sia il comportamento che veramente esprime giustizia e temperanza”. La prudenza è detta virtù morale perché è nella ragione al servizio dell’appetito o della volontà.

 

Come mai oltre alla prudenza sono necessarie altre virtù? La prudenza è complessa e deve produrre molti atti per cui ha bisogno dell’aiuto delle altre virtù.

Perché la prudenza ha bisogno delle altre virtù morali? Perché la ragione può essere fuorviata dalla parte morale viziosa.

 

Un’immagine della prudenza: la prudenza può essere raffigurata come una virtù che fa da ponte, in moltissimi casi, tra la parte speculativa (dei principi) e la parte pratica (azioni concrete). Fa da collegamento tra la parte conoscitiva e la parte speculativa con la parte pratica. Fa da collegamento tra passato, presente e futuro. Essa prevede il futuro per provvedere al presente, cioè per come debbo comportarmi oggi.

 

La prudenza risiede nella potenza razionale. Perché la prudenza è nella ragione? Perché tutta la vita morale è nella ragione in quanto ogni decisione nel presente deve essere presa in previsione del futuro in quanto è un’azione della ragione che sa confrontare. Etimologicamente prudenza significa: guardare lontano, guardare intorno

La grande differenza tra coscienza e prudenza: la coscienza sa cosa è bene, ma non ha la forza di farlo e supplisce con il senso del dovere; la prudenza invece sa cosa è bene ed ha la forza di compierlo in quanto è il bene stesso che mi attira. L’introduzione della coscienza al posto della prudenza nella morale è stato un grande sbaglio, in quanto la prima obbliga, mentre la seconda viene attirata dal bene. Le cose amate le facciamo più facilmente, più gioiosamente, più spontaneamente.

La prudenza porta dentro di sé sia la parte razionale che la parte appetitiva. Essa è immersa nella tendenza (retta e virtuosa) che chiede alla ragione cosa fare, ma lo percepisce già. La prudenza si distingua da tutte le altre virtù intellettuali perché quelle intellettuali tendono agli universali, mentre la prudenza tende ai singolari. Ma si distingue anche da tutte le altre virtù morali perché essa tende alla conoscenza.

Lo scopo della prudenza non è determinare i fini, ma è quello di cercare i mezzi per realizzare i fini virtuosi. La prudenza si muove tra i fini e le conclusioni (i mezzi da trovare). Il fine a cui guarda la prudenza è il bene globale della vita, essa prepara al futuro. L’atto principale della prudenza è il comando. Il prudente è un uomo di azione che dopo aver analizzato, pensato, studiato agisce prevedendo anche le situazioni prima che avvengono.

 

La prudenza secondo Sant'Agostino

 

Che cosa ottiene la virtù che si chiama prudenza? Essa con la sua grande accortezza distingue il bene dal male, affinché nel compiere l’uno ed evitare l’altro non s’insinui l’errore e perciò anch’essa comprova che noi siamo nel male o che il male è in noi. Insegna appunto che il male è acconsentire al piacere immoderato per peccare e che il bene è non acconsentirgli per non peccare.

La città di Dio

 

Quando si dice che la virtù si divide in quattro, si dice, mi pare, in ragione dei diversi affetti che provengono dall’amore: per cui non avrei alcun dubbio nel definire quelle quattro virtù in modo tale che la temperanza sia l’amore che si dà interamente a Dio; la fortezza, un amore che sopporta volentieri tutte le cose per Dio; la giustizia, un amore che serve Dio solo e per questo comanda rettamente a tutto ciò che dipende dall’uomo; la prudenza, un amore che sceglie ciò che giova per unirsi a Dio e respinge tutto ciò che nuoce.

I costumi ecclesiastici

 

 

La Prudenza secondo S. Francesco di Sales

 

Le virtù perfette non esistono mai le une senza le altre

Non si acquistano tutte le virtù in una volta, in un istante, ma una dopo l’altra, man mano che la ragione, che è come l’anima del nostro cuore, si impadronisce ora di una passione, ora di un’altra, per moderarle e governarle. Ordinariamente la vita della nostra anima ha inizio nel cuore delle nostre passioni, che è l’amore, ed estendendosi a tutte le altre, alla fine dà vita anche all’intelletto per mezzo della contemplazione. Al contrario, la morte morale o spirituale fa il suo primo ingresso nell’anima attraverso la sconsideratezza, e il suo ultimo effetto è quello di rovinare l’amore buono, morendo il quale in noi è morta tutta la vita morale. E benché possa esserci qualche virtù separata dalle altre, non può trattarsi che di virtù morenti, imperfette e deboli: perché la ragione, che è la vita della nostra anima, non è mai soddisfatta e a suo agio in un anima, se non ne possiede tutte le facoltà e passioni; e quando viene offesa e ferita in qualche passione ed effetto, tutte le altre perdono la loro forza e la loro energia e si indeboliscono in modo impressionante.

Vedi, Teotimo, tutte le virtù sono tali in quanto sono secondo la ragione e conformi ad essa; un’azione non può dirsi virtuosa se non procede dall’affetto che il cuore porta all’onestà e alla bellezza della ragione. Ora, se l’amore della ragione possiede e dà vita ad uno spirito, farà tutto ciò che la ragione vorrà in ogni circostanza e, di conseguenza, praticherà tutte le virtù.

Chi ama una virtù per amore della ragione e dell’onesta che vi riluce, le amerà tutte, perché in tutte troverà la stessa cosa, e le amerà ciascuna più o meno, secondo che la ragione vi sarà più o meno risplendente. Chi ama la liberalità e non ama la castità, dimostra di non amare la liberalità per la bellezza della ragione; infatti, quella bellezza è ancora maggiore nella castità, e dove la causa è maggiore, maggiori dovrebbero essere gli effetti. È dunque un segno evidente che quel cuore non è portato alla liberalità a motivo e in condizione della ragione: per cui quella liberalità, che sembra essere virtù, ne ha soltanto l’apparenza, perché non proviene dalla ragione, che è il vero motivo della virtù, ma da qualche altro motivo estraneo. È sufficiente per un bambino essere nato nel matrimonio per portare davanti a tutti il nome, lo stemma e le prerogative del marito di sua madre; ma, per averne il sangue e la natura, bisogna che non soltanto sia nato nel matrimonio, ma anche dal matrimonio: le azioni hanno il nome, lo stemma e i segni della virtù perché, nascendo da un cuore dotato di ragione, è pensabile che siano ragionevoli; tuttavia esse non ne hanno né la sostanza né l’energia se provengono da un motivo estraneo ed adulterino, e non dalla ragione.

Può facilmente accadere che ci sia qualche virtù in un uomo al quale mancano le altre; ma si tratterà o di virtù che stanno nascendo, ancora molto tenere, e come fiori in boccio, o di virtù in via di estinzione, morenti e come fiori appassiti: poiché infatti, alla fin fine, le virtù non possono avere la loro piena integrità e sufficienza se non stanno insieme, come ci assicurano tutta la filosofia e la teologia. Rifletti, Teotimo , quale prudenza può avere un uomo intemperante, ingiusto e vile, poiché ha scelto il vizio e lasciato la virtù? E come si può essere giusti senza essere prudenti, forti e temperanti, poiché la giustizia non è altro che una perpetua, forte e costante volontà di rendere a ciascuno ciò che gli appartiene, e la scienza per mezzo della quale si amministra il diritto si chiama giurisprudenza, e per dare a ciascuno ciò che gli appartiene dobbiamo vivere saggiamente e modestamente, e impedire in noi i disordini dell’intemperanza, per poter dare a noi stessi quello che ci appartiene?

Il termine virtù non significa forse una forza ed una energia appartenenti all’anima, come si dice di certe erbe e di certe pietre preziose che hanno tale e tale virtù o proprietà? Ma la prudenza non è forse imprudente nell’uomo intemperante?

La fortezza senza prudenza, giustizia e temperanza non è più fortezza, ma prepotenza; e la giustizia è ingiusta nell’uomo vile, che non ha il coraggio di osservarla, nell’intemperante, che si lascia trascinare dalle passioni e nell’imprudente , che non sa discernere tra il torto e la ragione.

La giustizia non è giustizia se non è forte, prudente e temperante; né la prudenza è prudenza se non è temperante, giusta e forte; né la fortezza è fortezza se non è giusta, prudente e temperante; né la temperanza è temperanza se non è prudente, forte e giusta: insomma, una virtù non è virtù perfetta se non è accompagnata da tutte le altre virtù.

 

La carità comprende tutte le virtù

Per irrigare il Paradiso terrestre usciva dal luogo di delizie un fiume che si divideva in quattro rami (Gn 2,10).

Ora, l’uomo si trova in un luogo di delizie, dove Dio fa sgorgare il fiume della ragione e del lume naturale per irrigare tutto il Paradiso del nostro cuore; e quel fiume si divide in quattro rami, ossia prende quattro direzioni, secondo i quattro settori dell’anima. Infatti, 1. Sull’intelletto che viene detto pratico, ossia quello che distingue tra le azioni che si debbono fare e quelle che si debbono fuggire, il lume naturale effonde la prudenza, che inclina il nostro spirito a giudicare saggiamente del male che dobbiamo evitare ed allontanare e del bene che dobbiamo operare e perseguire; 2. Sulla nostra volontà fa sorgere la giustizia, che non è altro che una ferma e costante volontà di dare a ciascuno ciò che gli è dovuto; 3. Sull’appetito di concupiscenza fa fluire la temperanza che modera le passioni che vi trova; 4. E sull’appetito irascibile o collerico fa galleggiare la fortezza, che imbriglia e governa tutti i movimenti dell’ira.

Ora, questi quattro fiumi, così distinti, si suddividono poi in altri, affinché tutte le passioni umane possano essere ben indirizzate all’onestà ed alla felicità naturale; ma oltre a ciò, Dio, volendo arricchire i cristiani di un favore speciale, fa zampillare sulla cima della parte superiore del loro spirito una sorgente soprannaturale che noi chiamiamo grazia, che comprende realmente la fede e la speranza, ma che tuttavia consiste nella carità, che purifica l’anima da tutti i peccati, poi l’adorna e l’abbellisce di una bellezza molto gradevole e, alla fine, riversa le proprie acque su tutte le sue facoltà e operazioni per dare all’intelletto una prudenza celeste, alla volontà una santa giustizia, all’appetito di concupiscenza una santa temperanza ed all’appetito irascibile una devota fortezza, perché tutto il cuore umano tenda all’onestà e alla felicità soprannaturale, che consiste nell’unione a Dio.

Se questi quattro torrenti e fiumi della carità incontrano in un’anima qualche virtù naturale, la riducono alla loro obbedienza, mescolandosi a lei per perfezionarla, come l’acqua di profumo perfeziona l’acqua naturale quando vengono mescolate insieme. Ma se la santa dilezione così sparsa non trova le virtù naturali nell’anima, allora essa stessa compie tutte le loro operazioni secondo quanto richiedono le circostanze.

Trattato dell’amor di Dio

 

Anonimo

Non fare affidamento sulla tua prudenza, ma su quella di coloro che Dio ti ha dato per guidarti.

Tratto da “Sulla Prudenza” di Josef Pipier

 

La prima delle virtù cardinali

 

Non vi è frase nella morale classica cristiana che suoni così poco familiare all’orecchio dell’uomo di oggi, anche del cristiano, e che gli appaia anzi così strana e singolare quanto questa: che la virtù della prudenza è la forma base di tutte le altre virtù cardinali, della giustizia, della fortezza e della temperanza; e che l’uomo buono sia tale in virtù della sua prudenza.

Nel nostro concetto corrente di prudenza abbiamo il significato di un’auto-conservazione cercata con cura ansiosa e quello di una certa qual egoistica apprensione per se stesso. Ambedue però non si addicono a ciò che è nobile; nessuno dei due gli è conforme.

E proprio prudenza e fortezza sono divenute nella coscienza comune, concetti quasi incompatibili: “prudente” è colui il quale capisce di dover provvedere per non cadere nell’imbroglio, di dover essere forte; “prudente” è il tattico esperto, che si sa sottrarre all’impegno della persona; alla prudenza si richiama colui che vorrebbe scansare sempre l’attimo del pericolo.

La prudenza “informa” le altre virtù; essa dà loro l’intima forma dell’essere. La prudenza ad ogni libero agire dell’uomo imprime l’intimo sigillo della bontà. Virtù morale è il suggello e l’impronta del volere e dell’agire mediante la prudenza. Tutti i dieci comandamenti di Dio si riducono alla executio prudentiae, all’attuazione della prudenza. Ed ogni peccato è contro la prudenza. Ingiustizia, viltà, intemperanza sono invero in contrasto anzitutto con le virtù della giustizia, della fortezza, della temperanza; ma in ultimo, attraverso le precedenti, sono in contrasto con la prudenza. Ogni uomo che pecchi è imprudente. Così dunque la prudenza è causa, radice, misura, norma, guida e forma fondamentale di tutte le virtù morali; essa agisce in tutte, tutte completandole nella loro essenza vera e propria, tutte sono partecipi di essa, ed in forza di questa partecipazione esse sono virtù.

 

La scienza della realtà e l’attuazione del bene

 

La preminenza della prudenza significa che la realizzazione del bene presuppone la conoscenza della realtà. Fare il bene può solo colui che sappia come siano e come stiano le cose.

La preminenza della prudenza significa che in nessun modo sono sufficienti la così detta “buona intenzione” e il così detto “buon proposito“. La realizzazione del bene presuppone che il nostro agire sia conforme alla situazione reale - cioè: alle realtà concrete, che circondano una concreta azione umana – e che noi quindi prendiamo sul serio queste concrete realtà con lucida obiettività.

Le risoluzioni prudenti dalle quali deriva il nostro libero agire, scaturiscono da due fonti: “è necessario che il prudente conosca i principi fondamentali generali della ragione come pure le circostanze particolari delle cose circa le quali si esplica l’agire morale”.

La peculiarità della prudenza non è la presenza di quei “principi fondamentali generali”. La peculiarità della prudenza è il riferimento alla sfera “dei mezzi e delle vie” e della realtà tutta concreta.

La prudenza, quale “retta costituzione” della ragione pratica ha, come quest’ultima, due volti. Essa conosce e decide, percepisce la realtà e comanda al volere ed all’agire. Ma il conoscere sta prima ed è determinante; la decisione, che darà misura a sua volta determinando volere ed agire, riceve, come qualche cosa di secondario e di subordinato, la sua “misura” della conoscenza. Il precetto della prudenza è, come dice Tommaso, una conoscenza direttiva; la decisione prudente si basa sulla preesistenza di conoscenze vere. Questa fondamentale conoscenza della prudenza si desume del resto anche dall’immediato significato della parola conscientia; coscienza però e prudenza, come si è detto, hanno in un certo senso il medesimo significato. Prudenza tuttavia non è solo conoscenza, non è solo sapere decidere. Si tratta invece di un trapasso di questa scienza della realtà in una decisione prudente, che si esplicherà immediatamente in azione. In questo volgersi immediato della prudenza all’attuazione concreta si fonda la differenza tra il sapere della dottrina morale, anche di quella «casuistica» e quello della prudenza; è importante non scambiare queste forme del sapere etico.

Ai due volti della prudenza, dei quali uno guarda alla realtà oggettiva e l’altro all’attuazione del bene, è associata la doppia serie di presupposti ai quali è legata la perfezione della prudenza.

La “prudenza come conoscenza”, come conoscenza della situazione concreta dell’agire concreto, racchiude in sé anzitutto il saper tacere legato all’oggettiva percezione del reale e la paziente fatica dell’esperienza, che non può essere elusa o sostituita facendo ricorso semplice ed arbitrario alla fede, e tanto meno con un ridursi filosoficamente all’universale. Certamente ogni cristiano riceve col battesimo contemporaneamente alla nuova vita di amicizia con Dio una prudenza soprannaturale («infusa»). Tuttavia questa prudenza donata ad ogni cristiano si riferisce unicamente a quanto è necessario per la salute eterna, e che vi è anche un’altra prudenza, «più perfetta», non già donata direttamente col battesimo, che pone l’uomo in condizione di guidare se stesso ed altri con accortezza, non solo nelle cose inerenti alla salute (eterna), ma anche in quello che ha attinenza con la vita umana: cioè quella prudenza in cui la grazia soprannaturale si è congiunta con la premessa di una potenza naturale perfetta. Si deve stare tuttavia in guardia di non fraintendere che si parli qui di una preminenza della prudenza naturale ed acquisita su quella soprannaturale ed infusa; si intende parlare della preminenza della prudenza «più perfetta» nella quale il naturale e il soprannaturale, l’acquisito ed il donato si congiungono in una felice unione che è letteralmente frutto di grazia.

L’atteggiamento fondamentale dello sguardo silenzioso sulla realtà è l’insieme di tutte le singole premesse alle quali è legato il compimento della prudenza come conoscenza. Le premesse più importanti sono le seguenti tre: memoria, docilitas, solertia.

La “buona” memoria, come premessa per la perfezione della prudenza, non vuol dire altro che: la memoria “fedele all’essere” delle

realtà. Il senso della virtù della prudenza è: che la conoscenza oggettiva della realtà diventi norma per l’agire; che la verità delle cose reali divenga orientativa. Questa verità delle cose reali viene però serbata nella memoria fedele alla realtà. La fedeltà della memoria significa invero che essa serba in sé le cose reali e gli avvenimenti come realmente sono e sono stati.

In tutto quello che riguarda la prudenza nessuno è bastante a se stesso in tutto: senza docilitas non vi è prudenza perfetta. Naturalmente però la docilitas non è la smania di imparare e lo zelo disordinato del “buon scolaro”. È intesa la capacità di istruirsi, che al cospetto della molteplicità reale delle cose e delle situazioni da apprendere, rinuncia a fuggire nell’assurda autarchia di un presunto sapere. S’intende la capacità di lasciarsi dire qualche cosa, che non sorge da una vaga modestia, ma semplicemente dalla volontà di raggiungere una reale conoscenza (che include d’altronde necessariamente vera umiltà).

Solertia è un “potere perfetto”, in forza del quale l’uomo, quando l’improvviso gli si para davanti, non chiude gli occhi volutamente, per fare poi alla cieca, seppure con forza chiassosa, una cosa qualsiasi, ma bensì in forza del quale egli può rapidamente, seppure con sguardo aperto ed obiettivo, decidersi per il bene ed insieme contro la tentazione all’ingiustizia, alla viltà, all’intemperanza. Senza questa virtù della “obiettività nell’inaspettato” non è possibile una prudenza perfetta.

Prudenza significa la cauta serietà e per così dire il filtro della riflessione e nello stesso tempo l’audace coraggio per la definitività della decisione. La prudenza è la “prua intelligente” del nostro essere, da governare tra la molteplicità delle cose finite verso la perfezione. Nella virtù della prudenza si racchiude e giunge a vera e propria perfezione la vita attiva: dopo aver sperimentato la realtà l’uomo agisce sulla realtà, realizzando così se stesso in decisione ed in azione. Questo concetto rivela tutta la sua profondità nella singolare asserzione di Tommaso d’Aquino: nella prudenza, virtù dominante nella direzione della vita, è racchiusa essenzialmente la felicità della vita attiva.

 

Delimitazione e contrapposti

 

Prudenza, come già detto più volte, non significa altro che conoscenza normativa della realtà. Da questa conoscenza viene generata l’azione buona, oppure non viene generata addirittura. Nella decisione della prudenza si attua l’informazione del dovere da parte dell’essere, in essa la vera conoscenza della realtà si completa nell’attuazione del bene. Il buon agire dell’uomo si manifesta dinanzi alla realtà. La bontà del concreto agire umano si basa sul riprodurre la verità delle cose reali; sulla verità, che fu acquistata ed ottenuta in vista della realtà stessa. Ma le realtà che circondano l’agire concreto dell’uomo, sono di una molteplicità quasi infinita. Ed anzitutto l’uomo stesso, che in ciò si differenzia dall’animale, è un “essere dal molteplice e vario agire”; proprio in forza della sua dignità specifica, l’anima dell’uomo è capace del molteplice illimitato. Appunto in forza di ciò il bene dell’uomo varia in maniere molteplici, a seconda delle varie disposizioni dell’uomo, dei momenti e dei luoghi e via dicendo. Ma non mutano gli scopi dell’agire umano né tanto meno le sue direzioni fondamentali. In ogni condizione dell’uomo e dovunque e sempre vi è l’obbligo di essere giusto e forte e temperante.

Ma la realizzazione concreta di questo dovere immutabile, può percorrere un’infinità di vie differenti. Per la giustizia, per la fortezza, per la temperanza vale: «ognuna di esse si realizza in molteplice maniera e non ugualmente nella stessa maniera in tutti».

L’operare umano ha due forme fondamentali: l’agire e il fare. L’opera del fare sono le creazioni reali dell’attività formatrice artistica e tecnica. L’opera dell’agire siamo noi stessi. La prudenza è la perfezione del poter agire, mentre l’arte è la perfezione del poter-fare. L’arte è la “retta ragione” del fare; la prudenza però è la retta ragione dell’agire.

 

La prudenza e l’amore

 

Non è intenzione e compito della virtù della prudenza quello di rintracciare i fini, meglio ancora il fine della vita e stabilire le direttive base dell’essere umano. Intenzione bensì della prudenza è quello di trovare le vie conformi a quello scopo e la realizzazione conforme qui ed adesso a quelle direttive fondamentali. Sapere i fini ultimi della propria vita non è e non può essere frutto di un potere, ancora da acquistare e da perfezionare appunto in questa vita. I fini sono dati antecedentemente; nessuno ignora che deve amare e realizzare il bene. La prudenza è la premessa per la realizzazione ed effettuazione di quest’atteggiamento fondamentale in modo adeguato qui e adesso. Prudente può essere solo colui il quale ami e voglia bene, precedentemente e contemporaneamente; ma solo colui che precedentemente sia prudente, può agire bene. E poiché l’amore del bene aumenta con l’agire, così i fondamenti della prudenza si approfondiscono e si rafforzano tanto maggiormente quanto più essa è fruttuosa. Non occorre neppure una parola per spiegare che le attuazioni più alte e più fruttuose della vita cristiana sono collocate, come in un seme, nella concorde collaborazione di prudenza e di amore. Tale collaborazione è legata alla preminenza dell’amore sulla prudenza. Questa è la fondamentale delle virtù morali; quello però trasforma anche la prudenza stessa. È ben difficile asserire in quale maniera avvenga questa trasformazione della prudenza mediante l’amore.

Nella misura in cui cresce la virtù teologica della carità nell’uomo dotato della grazia, si sviluppa in lui il dono settenario dello spirito; nella stessa misura anche alla prudenza umana – più sensibilmente e più percettibilmente – viene in aiuto il “dono del consiglio”. Il dono del consiglio risponde alla prudenza, sorreggendola e perfezionandola; lo spirito dell’uomo appunto dal fatto che riceve la direttiva dallo Spirito Santo, diviene capace di dirigere se stesso e gli altri.

Dal Regolamento della Comunità

 

Articolo 10:

L’unità della comunità sia sentita come bene primario e imprescindibile di tutti e di ognuno, come segno della nostra fede e vincolo di perfezione. Sia cura di tutti perciò la pratica della carità fraterna che ci muove ad evitare ciò che dispiace all’altro e a fare ciò che è a lui gradito.

Si coltivi lo spirito di pace con impegno, e la cortesia come segno e fiore della nostra carità. Siano evitati quindi tra noi comportamenti e parole grossolane, il turpiloquio, e tutto ciò che possa essere contrario alla semplicità di rapporti e all’amore fraterno tra i membri.

 

Articolo 14:

Ognuno abbia cura nello stabilire i rapporti con gli altri, di controllare e verificare la rettitudine e la purezza della proprie intenzioni, per poter realizzare così una vera, sincera, fraterna amicizia con tutti, scevra da formalismi, ipocrisie o sentimentalismi contrari allo spirito cristiano.

Si tenga presente che semplicità, spontaneità e naturalezza di rapporti non è sinonimo di grossolanità o di volgarità. Spontaneo è ciò che nasce dall’intimo e non è imposto dal di fuori. Naturale è ciò che segue le leggi e le inclinazioni della natura (cioè è secondo natura). E tuttavia l’uno e l’altro non escludono, ma richiedono l’autocontrollo e la coltivazione personale (quella che si dice in senso ampio ma più proprio cultura).

Stiamo insieme per crescere anche da questo punto di vista.

 

 

 

 

 

 

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