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ROMANO GUARDINI

IL POTERE

TENTATIVO DI UN ORIENTAMENTO

MORCELLIANA 1963

Titolo originale dell'opera:

DIE MACHT

Versuch eìner Wegweisung Werkbund-Verlag - Wùrzburg 1951

Traduzione dal tedesco di MARISETTA PARONETTO VALIEB

I* edizione italiana: 1954 I" ristampa: 1963

Tutti i diritti riservati in tutti i Paesi @ Copyright by Morcelliana - Broscia, 1963 Printed in Italy

La Nuova Cartografica - Broscia, 1963

PREMESSA

Ogni epoca storica si svolge entro tutta l'ampiezza della vita umana e può quindi definirsi a partire da ogni settore di essa. Tuttavia, lungo il corso della storia, ora l'uno ora l'altro elemento dell'esistenza acquista un particolare significato.

L'Antichità si è sforzata di scoprire l'immagine dell'uomo armonico e dell'opera nobile e ne è risultato ciò che esprimiamo con il concetto di classicità.

Il Medio Evo ha un acuto sentimento del

rapporto con Dio trascendente, ed è di qui, che si desta lo slancio vigoroso dei giovani popoli occidentali.

Dall'altezza conquistata al di sopra del mondo, la volontà cerca di riplasmare interamente quello stesso mondo e ne risulta quel particolare incontro di fervore e di precisione architettonica che caratterizza la rappresentazione medioevale dell'esistenza. L'Età moderna, infine, si volge verso il mondo con un realismo intellettuale e tecnico sinora sconosciuto.

L'immagine che essa si fa del mondo si esprime nel potere sulla natura. Con l'indagine, la

programmazione, l'efficienza tecnica, in un processo sempre più accelerato l'uomo si fa padrone delle cose.

L'epoca moderna è sostanzialmente giunta al proprio termine. La catena di reazioni che essa ha provocato si prolunga ancora, poiché evidentemente le epoche storiche non si contraddistinguono così come le singole fasi di una indagine scientifica; mentre un'epoca domina, già si prepara la successiva, e quella che l'ha preceduta esercita ancora a lungo il suo influsso.

Nel Sud dell'Europa si trovano ancora oggi vitali elementi classici, e in molti luoghi si incontrano forti correnti medioevali. E nell'epoca che sentiamo avanzare da^ ogni parte e a cui non possiamo ancora dare un nome, l'età moderna giunge alle sue ultime conseguenze, sebbene ciò cheJcizJJuesta età moderna rappresenta l'essenza, non determini, piuJ.'OM^ntìc^) carattere della pagina della storia che sta per aprirsi.

La potenza dell'uomo è andata aumentando zrresistibilmente e si può dire che solo ora essa entra nella sua fase critica. Eppure, nel nostro tempo, non si aspira più in modo essenziale ad un aumento del potere in se stesso. L'età moderna aveva accolto come assoluta vittoria ogni aumento della potenza scientifica e tecnica; le_ sue conquiste le erano senz'altro apparse, come_ un progresso verso realizzazioni più decise e verso una ricchezza di più elevati valori dell'esistenza. Ma la certezza di questa convinzio-

ne è scossa: proprio qui si rivela l'inizio dell'epoca nuova. Non 'pensiamo •più che aumento di potere sia sinonimo di elevazione dei valori della vita. Il potere ci appare problematico nella sua essenza e non soltanto nel senso della critica culturale che si è esercitata lungo tutto il secolo XIX contro l'imperante ottimismo e si è accentuata verso la fine del secolo. Nella coscienza comune si fa strada il sentimento che il nostro rapporto con il potere è errato; anzi che questo potere in aumento è una minaccia

per noi. E la minaccia ha trovato nella bomba atomica quella espressione che colpisce la fantasia e il sentimento di tutti, divenendo simbolo di un qualchecosa di estremamente importante.

L'epoca, ' futura in definitiva non dovrà affrontare il problema dell'aumento del potere, anche se esso aumenta continuamente e a ritmo sempre più accelerato, ma quello del suo dominio. Il senso centrale di questa epoca sarà il dovere di ordinare il potere in modo che l'uomo, facendone uso, possa rimanere uomo. L'uomo dovrà risolversi ad essere forte come uomo, quanto il suo potere è grande come potere, ovvero soccomberà al suo stesso potere, e rovinerà. L'avanzare della nuova epoca si rivela già nel fatto che si possa parlare di una tale risoluzione, senza avere l'aria di costruire utopie o •di moralizzare; nel fatto che ciò esprime un sentimento che in tutti, più o meno, chiaramente si annuncia.

Ciò che abbiamo detto indica l'orientamento delle considerazioni contenute in questo scritto.

Esse si riallacciano a quelle apparse lo scorso anno sotto il titolo La fine dell'epoca moderna : alcuni punti presuppongono quanto là è stato detto; altri lo sviluppano ulteriormente. Perciò le due serie di pensieri si intersecano continuamente, e vorrei chiedere venia per le inevitabili ripetizioni. Ma vorrei al tempo stesso sottolineare che il presente scritto è un tutto compiuto in se stesso.

Monaco, settembre 1951.

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LA NATURA DEL POTERE

Cerchiamo anzitutto di farci un'idea chiara di che cosa è « potere ».

Possiamo parlare di potere delle forze elementari della Natura? Dire ad esempio che una tempesta, che un'epidemia, un leone hanno potere? Certo no; a meno che non lo si dica in modo improprio e figurato.

Siamo evidentemente di fronte a qualcosa, che è capace di azione, capace di produrre un effetto; ma manca quell'elemento di iniziativa a cui il pensiero istintivamente ricorre, quando parliamo di « potere ». Gli elementi della natura hanno, oppure sono « energia », non potere. L'energia diviene potere quando una coscienza la riconosce, quando un essere capace di decisione ne dispone, indirizzandola a determinate mète... Si può applicare quel termine alle energie della natura solo in un determinato senso, quando vengono dette « potenze », e vengono sentite come esseri misteriosi che possiedono in certo modo una iniziativa personale. Ma una tale immagine non appartiene alla nostra rappresentazione del mondo, bensì ad una raffigu-

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razione mitica, in cui l'esistenza consiste nelle reciproche relazioni e lotte e congiungimenti di ! entità operanti. Quelle potenze hanno carattere i religioso; sono, in modo più o meno evidente, ' « divinità ».

Il termine acquista un significato analogo, meno chiaro e meno esattamente consapevole, quando si parla della potenza del cuore, del sentimento, del sangue, ecc. Anche qui si tratta di una primitiva raffigurazione mitica delle iniziative divine o demoniache, che si destano nel mondo inferiore dell'uomo e appaiono indipendenti dalla sua volontà. Esse si travestono poi in concetti scientifici, artistici, sociologici e vivono nella casa spirituale dell'uomo moderno una loro vita strana ed occulta e densa insieme di conseguenze.®

E d'altro lato ..un'idea, una norma morale ha potere? Spesso lo si dice, ma impropriamente. 'Un'idea, una norma, in quanto tale non ha potere, ma validità, poiché riposa in una tranquil-? la oggettività; il suo significato risplende, ma ( non agisce di per sé. Il potere è la capacità di mettere in moto il reale: l'idea, per forza propria, non può farlo, lo può, e diviene allora potere, _c[uando_J^uomo_rassumBJnella_^on^

C della sua vita, quando la congiunge al suo istin-

| ' Ciò diviene particolarmente evidente nella psi-' oologia del profondo, in cui parecchi concetti appaio-* no affatto alchimistici.

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to e al suo sentimento, alle tendenze del suo sviluppo, alle tensioni della sua situazione inferiore, ai compiti delle sue azioni, agli orientamenti delle sue creazioni.

In senso proprio possiamo dunque parlare di potere solo quando siano dati due elementi :

da un lato una vera energia, capace di modificare la realtà delle cose, e di determinare le loro condizioni e le loro reciproche relazioni;

dall'altro una coscienza che ne sia consapevole;

una volontà che stabilisca delle mète, una capacità che disponga della forza per raggiungere quelle mète.

Tutto ciò presuppone lo spirito, quella realtà che è nell'uomo ed è capace di sottrarsi alla immediata complessità della natura e di disporre liberamente di essa.

II

II potere, come specifico fenomeno umano, esige di avere un significato. Con ciò non s'intende soltanto che l'esercizio del potere ha un suo proprio specifico significato, poiché ciò si (può dire anche di una forza naturale, in cui (nulla vi è che non abbia un senso. Il senso elementare della causalità, per cui nulla avviene senza una causa sufficiente; e della finalità, per cui ogni elemento del reale si ordina nel rapporto della parte al tutto, ed anche il senso particolare delle varie forme e funzioni, che si

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ritrovano nei contesti fisici, chimici, biologici... Ma la nostra affermazione è più ampia, dice che l'iniziativa, la quale esercita il potere, da signi-' ficaio a quel potere stesso.

Il potere è pura disponibilità. Non sta come le energie naturali in una necessaria catena causale stabilita a priori, ma in tale catena viene inserito soltanto da colui che agisce. Le energie del sole, ad esempio, operano necessariamente nelle piante determinate trasformazioni biologiche: crescita, colorazione, ricambio, movimento, ecc. Ma le forze dal cui impiego trae origine uno strumento, devono essere a quel fine indirizzate dalla mano dell'uomo. Esse sono a disposizione dell'uomo che le riconosce, le' inserisce nel suo piano, le dirige allo scopo prefìsso. Ciò significa inoltre che le forze della natura, in rapporto allo spirito che le utilizza, hanno in sé una sorta di indifferenza. L'uomo può utilizzarle per la mèta prefissa, la quale può essere costruttiva o distruttiva, nobile o bassa, buona o cattiva. Tutto sta qui.

Non esiste dunque potere alcuno che abbia a priori senso e valore. Esso riceve il suo senso attraverso l'uomo che ne prende coscienza, che ne decide, che lo trasforma in azione, che ne assume cioè la responsabilità. Non esiste potere senza correlativa responsabilità. Esistono le energie irresponsabili della natura, o meglio le energie che operano nell'ambito della necessità naturale e non in quello della responsabilità.

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Ma non esiste un irresponsabile potere dell'uomo.^

Esso .è sempre azione, o almeno permissione,. e come tale una istanza umana, una persona, ne assume la responsabilità. È così anche quando l'uomo non vuole assumere questa responsabilità. Persino quando le cose umane sono a tal punto disordinate o falsamente ordinate che non si può più invocare un responsabile.

Quando ciò avviene, e alla domanda « chi -ha fatto questo? » non risponde ne un « io », ne un « noi », ne una persona, ne una comunità di persone, l'esecizio del potere sembra divenir simile ad un fenomeno naturale. E si ha l'impressione che ciò avvenga sempre più di frequente, e che nel corso del processo storico l'esercizio

2 Relativamente alla prima si è determinata nell'età moderna una caratteristica confusione, ovvero è riapparsa una confusione che si riscontra nel pensiero greco, ed in particolare ellenistico e che era stata superata dal pensiero cristiano. Si sentono continuamente frasi come » la natura ha disposto in modo che »; « ciò contraddice alla volontà della natura », ecc. Tali frasi sono senza senso. La natura non « vuole » assolutamente nulla. Di essa si può semplicemente dire: entro il processo naturale di cui si tratta, ciò deve essere così o così. Tutto il resto è lirica o mitologia che non regge più. In realtà l'affermazione che la « natura fa determinate cose » ha sostituito l'affermazione che « Dio, il quale ha creato la natura, ha voluto quella determinata cosa ed in quel luogo ». C'è dunque chi assume la responsabilità anche delle energie della natura, e questo è, in un modo creatore, Dio.

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del potere divenga sempre più anonimo. La progressiva _statalizzazione_ dei fatti sociali, economici, tecnici, ed insieme le teorie materialistiche che concepiscono la storia come un processo necessario, significano, secondo il nostro punto di vista, il tentativo di abolire il carattere della responsabilità accettata, di scindere il potere dalla persona, e rendere il suo esercizio simile ad un fenomeno naturale.^ In tal modo, il carattere essenziale del potere come energia di cui una persona è responsabile, non viene soppresso, ma solo corrotto. Ne nasce una condizione di colpa che si attua poi in forme di distruzione;?1

3 Sembra che vi contraddica un momento che si rivela appunto in questo processo: la dittatura. Nella misura in cui l'autentica responsabilità viene sommersa, si rivela la tendenza a risolvere i problemi dell'azione per mezzo di decisioni autoritarie, o più esattamente arbitrarie. Ma, se si osserva più attentamente, si scopre che l'autore di tali decisioni non sta in una posizione di autentica responsabilità, ma si volge di volta in volta ad altri gradi superiori da cui riceve ordini. La istanza suprema, al di là di qualsiasi indipendenza del proprio agire, si riconosce come ese-cutrice di una volontà collettiva. Se tale esecuzione non incontra più il successo, il dittatore viene eliminato, così come egli stesso elimina le istanze subordinate, appena esse rivelano una propria iniziativa. Ma ciò significa che il dittatore non è più l'antitesi costruttiva della collettività. Insieme essi cancellano la persona e formano il soggetto anonimo della potenza.

4 Anche Nietzsche, attraverso il suo concetto della n amoralità dell'agire », ha cercato di sottrarre l'esercizio della potenza all'ambito della responsabilità — che è sempre responsabilità morale — e di

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In sé il potere non è ne buono ne cattivo. ma riceve il proprio senso solo dalla decisione di colui che lo esercita. Per sé, esso non è neppure costruttivo, ne distruttivo, ma è pura possibilità di tutto questo, poiché è retto"essen-zialmente dalla libertà. Se non è la libertà a determinarlo, se l'uomo cioè non vuole qualche cosa, allora nulla avviene, ovvero si ha una mescolanza di abitudini, di impulsi incoerenti, di stimoli casuali, cioè un caos.

Il potere rappresenta perciò indifferentemente la possibilità di ciò che è buono e positivo ed il pericolo di ciò che è cattivo e distruttore. Tale pericolo cresce in diretto rapporto con la misura del potere ed è ciò di cui noi oggi,_a^ volte con subitaneità terrificante, siamo divenuti consapevoli. Il pericolo può provenire inoltre dal fatto che del potere disponga una volontà

farne un fenomeno naturale di grado più elevato, davanti alla cui forza invitta la coscienza dell'obbli-

gazione morale appare quasi come malattia. Qui la trasposizione avviene in modo più sottile che nel col-lettivismo. Anzitutto essa mantiene l'iniziativa del singolo. Ma costui sta « al di là del bene e del male » ; è pura forma creatrice che procede da se stessa. Perciò egli, come singolo, diviene una « natura " in cui agiscono le energie della terra, del mondo, dell'universo. In verità egli è, ineliminabilmente, persona, e come tale, per la sua stessa natura, è situato entro l'obbligazione morale. E perciò quella pretesa equiparazione alla natura è solo apparenza, e diserzione.

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\ che ha un orientamento morale falso, ovvero p, j non sente più alcuna obbligazione morale.

Può anche avvenire che dietro di esso non ci sia più alcuna volontà a cui ci si possa rivolgere, nessuna persona che risponda, ma solo una organizzazione anonima, in cui ciascuno è guidato e sorvegliato dalle istanze immediatamente contigue ed appare perciò privato della propria responsabilità. Un simile pericolo diviene parti-colarmente minaccioso, come lo constatiamo sempre di più, quando a vista d'occhio si attu-tisce il senso della persona, della sua dignità e responsabilità, il senso dei valori personali del-la libertà, dell'onore, della originalità dell'agire e dell'esistere.

Il potere assume allora un carattere che non si può individuare, se non alla luce della Rivelazione: esso diviene demoniaco. Quando l'azione non è più sorretta dalla coscienza personale,

non è più assunta dalla responsabilità morale, un vuoto singolare si determina in colui che . agisce. Egli non ha più il senso di essere lui i, ad agire, il senso che l'azione cominci in lui e ;, che egli perciò ne deve rispondere. Sembra che \ egli non esista più in quanto soggetto e che 'l'azione passi semplicemente attraverso di lui, semplice anello di una catena.

Lo stesso avviene nei rapporti con gli altri:

r\), egli non può fare appello ad alcuna autentica ' autorità, poiché questa presuppone la persona, la quale con le sue facoltà sta direttamente di fronte a Dio e risponde di sé davanti a Lui. Si

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diffonde sempre più la sensazione che non ci sia affatto un « qualcheduno », che agisce, che del-l'accadimento risponda un qualchecosa di indonnito, che non si può in nessun luogo afferrare, che non si presenta davanti a nessuno, che non risponde a nessuna domanda. Il suo comportamento viene avvertito come necessario, il singolo perciò vi si abbandona. Appare incomprensibile e perciò misterioso e suscita, in forma corrotta, quel sentimento che l'uomo deve ave-re davanti al destino, ovvero davanti a Dio.5

Il vuoto che si forma non doveL_.la__perspJia_ scompare, poiché essa non può essere ne rigettata dall'uomo ne tolta all'uomo, ma là dove essa viene ignorata, negata, violentata non si limita a_rimanere tale: ciò significherebbe che in un certo modo l'uomo diventa un essere naturale e la sua potenza una energia della natura. Il che non è possibile. In verità quel vuoto rappresenta una infedeltà divenuta atteggiamento permanente e là dove manca il padrone, si avanza un'altra iniziativa, quella demoniaca. Nella sicurezza della sua fede nel progresso, il secolo diciannovesimo ha deriso la figura del demonio, diciamo più onestamente e più esattamente, di Satana; ma chi è capace di vedere non ride. Sa che egli esiste ed è al lavoro. Certo anche il nostro tempo non si pone di fronte alla sua realtà effettiva. Quando parla di « demoniaco », come tanto spesso avviene, non c'è se-

s Cfr. kafka nei romanzi II processo ed II castello. 19

rietà nelle sue parole. Per lo più sono vane chiacchiere; e dove se ne parla sul serio si esprime una paura indistinta o si intende qualche stato psicologico, ovvero qualcosa di simbolico. Quando la scienza delle religioni, e la psicologia del profondo, il dramma, il film, il romanzo d'appendice parlano di demoniaco, esprimono semplicemente il sentimento che ci sia nella esistenza un elemento di disarmonia, di contraddizione, di malizia, qualchecosa di estremamente incomprensibile e sinistro che emerge con particolare evidenza in date situazioni individuali e storiche ed al quale corrisponde una particolare angoscia. In realtà si tratta non del « demoniaco ». ma di Satana. E chi sia Satana lo dice in modo competente solo la Rivelazione.

Ili

A definire il potere è necessario infine un ultimo aspetto : il suo carattere universale. Che l'uomo abbia un potere e nel suo esercizio esperimenti una singolare soddisfazione, non è un .aspetto eccezionale dell'esistenza, ma è connesso, o almeno può essere connesso, alle sue attività ed alle sue condizioni abituali; anche a quelle che a prima vista non sembrano avere alcun legame con il carattere del potere.

È evidente che ogni atto dell'agire e del fare, del possedere e del godere genera la coscienza immediata di disporre di un potere.

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Lo stesso si può dire di tutti gli atti vitali. Ogni attività in cui si esplichi l'immediatezza vitale è esercizio di potere e come tale viene avvertita... Analogamente si potrebbe dire dell'esercizio del conoscere. Per sé esso significa la capacità di penetrare dentro ciò che è con lo sguardo e con l'intelletto; ma colui che conosce sperimenta la forza che dal conoscere gli deriva. Egli sente di « divenire consapevole della verità », ed il sentimento ipuò trapassare in quello di « essere padrone della verità ». A tale sentimento appartiene anzitutto l'orgoglio del conoscere: tanto più esso aumenta quanto più l'oggetto conosciuto appare lontano dall'immediatezza pratica; si pensi alle parole di Nietz-sche suU'« orgoglio dei filosofi ». L'obbedienza di fronte alla verità si muta nella passione del dominarla, dell'esercitare una specie di legislazione spirituale. La consapevolezza del potere congiunto alla conoscenza trova l'espressione di un'efficacia immediata anche là dove trapassa in magia.

I miti e le favole conoscono il sapere cui è unito il potere. Chi conosce il nome di una cosa o di un uomo, ha potere su di esso; basti pensare agli incantesimi, agli scongiuri, alle maledizioni. In senso più profondo la potenza del sapere significa conoscenza della natura del mondo, del mistero del destino, del corso delle cose umane e divine. È quel sapere per cui gli dei che si trovano al governo del mondo, sono padroni del mondo e che, nel racconto della tenta-

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zione del Genesi, Satana interpola alle parole di Dio, per confondere l'autentico senso della conoscenza del bene e del male. Nelle favole una determinata parola vince il drago, scopre il tesoro sepolto, libera l'uomo prigioniero dell'incantesimo.

Il sentimento del potere può persino congiungersi a situazioni che sembrano contraddirlo: sofferenza, privazione, inferiorità. Così ad esempio il malato diviene consapevole di conquistare attraverso la sua sofferenza una conoscenza della vita più profonda di quella concessa al sano; o l'inferiore dice a se stesso che egli soggiace, perché è più nobile di colui al quale è arriso il successo.

Persino il senso così tormentoso del complesso di inferiorità è sempre collegato con una più o meno celata presunzione : anche se si tratta semplicemente di un individuo che non è r capace di mantenersi al livello dei criteri elevati che ha stabilito per se stesso.

Ogni atto, ogni situazione, già il semplice fatto di vivere, di essere, è direttamente, o per vie traverse, congiunto col sentimento dell'esercizio del potere e della voluttà del potere. Nella forma positiva genera la coscienza di essere padroni di se stessi, di avere una forza; nella forma negativa diviene alterigia, vanità.

La coscienza del potere porta dunque in sé un carattere assolutamente generale, ontologico. È espressione immediata dell'esistenza, che può

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volgersi in forma positiva o negativa, nella verità o nella falsità, in ciò che è giusto e in ciò che è ingiusto.

Questo fenomeno trapassa così nella metafisica, o, più esattamente, nella religione.

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IL CONCETTO TEOLOGICO DEL POTERE

Per una più profonda conoscenza del potere è importante ciò che la Rivelazione dice della sua natura.

Ne ritroviamo i presupposti, già all'inizio dell'Antico Testamento, là dove si parla dell'essenziale destino dell'uomo. Dopo il racconto della creazione del mondo, nel primo capitolo del Genesi si legge : « Allora Dio disse : facciamo l'uomo a nostra immagine, simile a noi, egli sarà il signore dei pesci del mare e degli uccelli in cielo, del bestiame e di tutti gli animali selvaggi e dei campi e di tutto ciò che striscia & si muove sulla terra! E Dio creò l'uomo a sua immagine. Secondo l'immagine di Dio lo creò, Uomo e donna lo creò. E Dio li benedisse e disse loro: Siate fecondi e moltipllcatevi e riempite la terra e sottomettetela e siate i signori dei pesci del mare e degli uccelli dell'aria e di tutti gli animali che si muovono sulla terra! ».

E nella seconda narrazione della creazione si legge : « Allora Dio, il Signore, formò l'uomo dalla terra, col fango, e gli alitò un soffio di vita-

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nelle narici; e così l'uomo divenne un essere vivente » (Gen. 1, 26-28; 2, 7).

Per prima cosa, dunque, si dice che l'uomo

•è di natura diversa dagli altri esseri viventi. Egli è creato come ogni essere vivente, ma lo è in modo particolare, e precisamente secondo l'immagine di Dio. È fatto di terra, della terra dove cresce l'alimento dell'uomo; ma vive in lui un soffio dell'alito divino. È perciò inserito nel complesso della natura, ma al tempo stesso sta in un immediato rapporto con Dio e può

•quindi prendere posizione di fronte alla natura. Può esercitare il suo impero su di essa, anzi deve farlo, cosi come deve essere fecondo e fare

•della terra l'abitazione della sua discendenza.

Il rapporto dell'uomo con il mondo viene ul-'teriormente sviluppato nel secondo capitolo e precisamente dal punto di vista cui abbiamo

•già. accennato, che cioè l'uomo deve divenire padrone non solo della natura, ma anche di se stesso; deve avere forza non solo per il lavoro, ma anche per la propagazione della sua propria vita : « Allora Dio, il Signore, disse : non è bene

•che l'uomo sia solo. Io gli farà un aiuto che sia

•conforme a lui. Allora Dio, il Signore, formò

•dalla terra tutti gli animali dei campi e tutti gli uccelli dell'aria e li portò all'uomo per vedere come li avrebbe chiamati; e come l'uomo li avrebbe chiamati, quello sarebbe stato il loro .nome. E l'uomo diede nome a tutte le bestie e a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali feroci; ma non trovò fra di essi nessun aiuto

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che fosse conforme all'uomo » (Gen. 2, 18-20).

L'uomo riconosce quindi di essere essenzialmente diverso dall'animale, e di non poter avere perciò comunanza di vita con lui, ne di poter propagare per suo mezzo la propria vita.

E più avanti si legge : « Allora Dio, il Signore, fece scendere un sonno profondo sull'uomo, così che egli si addormentò. E prese una delle sue cestole e riempì il posto nuovamente di carne. E Dio, il Signore, della cestola che aveva preso dall'uomo plasmò una donna e la condusse all'uomo. E l'uomo gridò: Questa infine è ossa delle mie ossa e carne della mia carne. Essa si chiamerà virago, poiché è stata tratta dall'uomo. E perciò l'uomo abbandonerà il padre e la . madre e aderirà alla sua donna e saranno un solo còrpo » (Gen. 2, 21-24).

Questi testi, che riecheggiano attraverso tutto l'Antico ed il Nuovo Testamento, dicono che all'uomo è stato dato potere sia sulla natura sia sulla propria vita. E dicono inoltre che da questo potere nasce una autorizzazione ed un dovere: esercitare un dominio.

In questo dono di potere, nella capacità di farne uso e nell'imperio che ne consegue, consiste la naturale somiglianzà a Dio dell'uomo. Si esprime qui l'essenziale distinzione e la pienezza di valore dell'esistenza umana, ed è questa la risposta della Scrittura alla domanda, donde si origini quel carattere ontologico del potere di cui abbiamo più su parlato. L'uomo

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non può essere uomo ed oltre a ciò esercitare o meno un potere; esercitare quel potere è essenziale per lui. A ciò lo ha destinato l'Autore della sua esistenza. E noi facciamo bene a ricordarci che nel protagonista del progresso moderno, anche nel protagonista di quello sviluppo di potere umano che in esso si compie, e precisamente nel borghese, agisce una fatale inclinazione: esercitare il potere in modo sempre più fondamentale, scientificamente e tecnicamente perfetto, e al tempo stesso non prenderne apertamente le difese, cercando invece di ammantarlo dei pretesti dell'utilità, del benessere, del progresso e così via. L'uomo ha perciò esercitato una potenza senza sviluppare l'etica corrispondente.6 Ne è nato così un uso della forza, che non è essenzialmente governato dall'etica e che trova la sua espressione più genuina nella società anonima.

Solo quando si, riconoscono questi fatti, il fenomeno del potere acquista tutto il suo peso:

la sua grandezza e la sua serietà, quella serietà che sta nella responsabilità. Se l'umano potere e la potenza che ne deriva ha la sua radice nella somiglianzà con Dio, esso non è un diritto autonomo dell'uomo, ma qualche cosa che gli è stato prestato. Per la grazia egli è signore, e la sua

6 Anche questo è un sintomo della inferiore disonestà insita nell'atteggiamento moderno e di cui ho parlato nel mio scritto La fine dell'epoca moderna (trad. ital., 2" ed., in questa stessa collana, pp. 108 ss.).

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signoria egli deve esercitare facendosene responsabile di fronte a Colui che è Signore per essenza. Il potere si fa allora obbedienza e servizio.

In primo luogo poiché deve conformarsi alla verità delle cose. Ce lo dice un passo scritturale che è decisivo nel rivelarci il senso del secondo racconto della creazione, il passo in cui si parla del destino dell'uomo, che è diverso da quello dell'animale: la comunanza di vita, impossibile con l'animale, è possibile solo con un altro uomo. Potenza non significa imporre la propria volontà a ciò che è dato dalla natura, ma significa possedere, formare, creare partendo dalla conoscenza; una conoscenza che accetta ciò che l'essere è in se stesso, e lo esprime nel « nome », cioè nella parola essenziale. Potenza è inoltre obbedienza e servizio, poiché si muove entro la creazione di Dio e ha il compito di continuare come storia e come cultura, nello spazio della libertà finita, quello che Dio nella sua assoluta libertà ha creato come natura. La umana potenza non deve dunque costruire un proprio mondo autonomo, ma deve, secondo la volontà di Dio, portare a compimento il mondo di Dio facendone un umano mondo di libertà.

II

Segue il racconto della tentazione dell'uomo e possiamo a priori supporre che essa avrà per oggetto il punto decisivo della sua esistenza e

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cioè il potere ed il suo uso. Così è infatti, ed il senso profondo del racconto merita realmente una interpretazione, parola per parola.

« E Dio, il Signore, prese l'uomo e lo portò nel giardino dell'Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. E Dio, il Signore, comandò all'uomo: di tutti gli alberi del giardino potrai mangiare; ma dell'albero della conoscenza del male e del bene non potrai mangiare; poiché quando tu ne mangiassi moriresti » (Gen. 2, 15-17).

Il senso di questo passaggio diviene chiaro quando si siano eliminate le solite interpreta-zioni naturalistiche, secondo le quali « l'albero della conoscenza del male e del bene » sarebbe la conoscenza stessa, l'uomo che diviene libero nel distinguere il vero dal falso, il giusto dall'ingiusto; sarebbe quindi la maturità dello spirito, che si differenzia dai sogni acritici e dalla dipendenza personale del bambino. Un'altra interpretazione, collegata alla prima, dice che l'albero significa la maturità sessuale dell'uomo;

il divenire padrone di sé e dell'altro sesso nella fecondità. Ma tali interpretazioni si fondano su di una affermazione aprioristica, per cui l'uomo sarebbe dovuto divenire colpevole per divenire autonomo, critico, vitalmente maturo, signore di se stesso e delle cose. Fare il male sarebbe stato entrare nella libertà... Ma basta considerare attentamente il racconto, per constatare che non vi è traccia in esso di una tale interpretazione psicologica. In nessun luogo viene proibita la conoscenza e neppure l'appagamento sessuale.

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Al contrario, all'uomo è imposta come dovere la conquista della libertà del conoscere, il dominio delle cose, la pienezza della vita. Fin dal momento della creazione ciò è imposto espressamente alla sua natura, come dono e come dovere. Egli deve essere il signore degli animali — che in questo caso stanno a significare tutte le cose della natura — e perciò deve ricono-scerli. Quando sopraggiunge la prova egli ha già compreso la natura degli animali e l'ha espressa. nei nomi. E come può essere proibito il congiungimento dei sessi, quando è detto espressamente che uomo e donna saranno « una sola carne » & con la loro discendenza « riempiranno la terra »?"

Tutto ciò significa che l'uomo deve giungere al dominio nel senso più ampio, ma rimanendo» in un rapporto di obbedienza a Dio e attuando quel dominio come servizio. Egli deve divenire signore, ma restando fedele all'immagine di Dio che è in lui, e senza pretendere di essere lui l'archetipo.

Ciò che segue è fondamentale per tutte le interpretazioni dell'esistenza, mostra come proprio qui la tentazione muove all'attacco:

«II serpente... disse alla donna: vi ha forse detto il Signore di non mangiare di alcun albero del giardino? E la donna disse al serpente: Possiamo mangiare i frutti degli alberi del giardino, solo dei frutti dell'albero che sta nel mezzo del giardino, il Signore ha detto: non. mangiatene e non toccatelo neppure, che non.

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abbiate a morire. Allora il serpente disse alla donna: voi non morrete affatto; ma Dio sa che appena ne avrete mangiato, gli occhi vi si apriranno e voi sarete come Dio e conoscerete il bene e il male. E la donna vide che il frutto dell'albero sarebbe stato buono a mangiarsi e che era piacevole agli occhi e desiderabile, poiché donava la conoscenza; e prese di quel frutto e ne mangiò e ne diede anche al suo uomo, che era presso di lei ed anch'egli mangiò. Allora i loro occhi si apersero, si avvidero di essere nudi, e cucirono assieme delle foglie di fìco e se ne fecero dei grembiuli » (Gen. 3, 1-7).

Il serpente, immagine simbolica di Satana, confonde davanti all'uomo i fatti fondamentali della sua esistenza; la differenza essenziale fra creatore e creatura; il rapporto fra l'archetipo e la copia; la realizzazione di sé nella verità e quella nella usurpazione; il dominio come servizio e il dominio come pretesa propria. Il puro concetto di Dio viene sospinto nella mitologia, poiché se si dice che Dio sa che Fuorno, attraverso l'atto proibito può divenire simile a Lui, ciò significa che Dio ha paura, che sente la sua divinità minacciata dall'uomo; allora il suo rapporto con l'uomo sarebbe il rapporto delle divinità mitologiche, che provengono dalle comuni radici, dalla causa prima della natura e non sono perciò in definitiva da più dell'uomo. Quelle divinità sono padrone solo di fatto, non essenzialmente, e perciò l'uomo può detronizzarle e dominare a sua volta. Basta trovare la via, e le

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parole della tentazione sostengono che quella via è la conoscenza del bene e del male. Anche questa conoscenza, quindi, viene intesa in senso mitico : come l'iniziazione nel mistero del mondo, che è riservata a chi è padrone del mondo e da magari poteri e garantisce il dominio. Appena l'uomo l'acquista, si eleva all'altezza di chi detiene il potere e può detronizzarlo. Di questo non si parla nelle parole di Dio, ma la tentazione consiste proprio nel falsare l'autentico rapporto con Dio, facendolo scivolare in questa ambiguità mitica.7 Invece la prova positiva deve consistere nel tributo di onore che l'uomo offre alla verità di Dio, mentre resta egli stesso obbediente alla sua propria verità.

Gli uomini cadono invece nell'inganno e avanzano la pretesa di un dominio per forza propria. Il seguito del racconto biblico ha un autentico valore di rivelazione là dove dice che la disubbidienza non porta con sé la conoscenza che rende simili a Dio, ma la mortale esperienza di essere « nudi ». La nudità di cui ora si

7 Dalla ambiguità mitica nasce il desiderio sacrilego; e viceversa l'inganno del mito diviene possibile solo quando la concupiscenza gli crea lo spazio. È un tutto in cui gli elementi si condizionano e si giustificano reciprocamente, il circolo vizioso dell'esistenza sbagliata, voluta a partire dall'impenetrabile inizio della libertà, mentre la circolarltà che definisce l'esistenza autentica è questa: il a cuore puro » rende capaci di vedere la verità; la verità veduta apre la via ad una più profonda purezza; la più profonda purezza rende capaci di una più elevata conoscenza, e così via.

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parla è essenzialmente diversa da quella di cui si è parlato poco più su, dove si diceva : « gli uomini erano nudi, ma non se ne vergognavano ».

Ora è turbato il rapporto fondamentale dell'esistenza. L'uomo ha ancora, come prima, potere e possibilità di dominio. Ma è infranto l'ordine in cui ciò aveva il proprio senso, il senso di un servizio, l'ordine in cui il potere accordato non era disgiunto dalla responsabilità di fronte al vero Signore.

Secondo l'insegnamento della Bibbia, non esiste più dunque il puro fenomeno del potere e della potenza che ne procede. All'inizio della storia dell'uomo ha luogo un avvenimento il cui significato non si può esprimere con i semplici concetti della ribellione esterna od interna, de^ pericolo e del perturbamento. Non si tratta di una lesione biologica o psicologica o spirituale che sta entro la storia e neppure di una colpa morale che si sia manifestata entro il complesso dell'esistenza, ma di un avvenimento che travalica la nostra condizione storica. Esso ha turbato il rapporto fondamentale dell'esistenza in modo tale che da quel momento l'intera storia dell'uomo si svolge entro uno spazio determinato appunto da quel turbamento.

Il quadro storico della Bibbia acquista perciò un particolare carattere. Contraddice alle raffigurazioni naturalistico-ottimistiche ed anche a quelle culturali-pessimistiche che si sono

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delineate nel tempo moderno. Nonostante l'abbondanza del materiale raccolto e l'esattezza dei metodi e la profondità delle interpretazioni queste concezioni storiche sono irreali ed inconsistenti, e nei limiti che ci sono qui imposti non possiamo ulteriormente parlarne.

Anche da questo punto di vista, il pericolo del potere conserva comunque un suo particolare carattere di urgenza : l'usare del potere in modo errato è non solo possibile, ma verosimile, a meno che non si dica che è inevitabile. È l'ine-vitabilità che si esprime nei miti della hybris:

Prometeo, Sisifo, Quei miti non sono i miti dell'uomo in senso assoluto (così come la caduta dell'uomo non appartiene in senso assoluto all'uomo), ma esprimono la condizione della sua caduta.8

8 Un tale uomo non esiste affatto. La nuova religiosità mitica che si rileva dovunque e muove da premesse storiche, filosofiche, estetiche, psicologiche, politiche, poggia sul presupposto indimostrato che ciò che paria attraverso il mito sia l'uomo " naturale » in senso assoluto, e che perciò il mito contenga l'in-terpretazione prima dell'esistenza. Tale presupposto è così dogmatico che il contraddirvi viene considerato come un attentato sacrilego. In verità il mito è l'autoespressione dell'uomo che ha già dietro di sé la prima decisione. In esso non paria l'esistenza primitiva, ma quella storica, cioè l'esistenza decaduta. E non una esistenza che doveva cadere per divenire capace di storia, ma quella esistenza che è caduta, perché tale è stata la decisione dell'uomo. Avrebbe anche potuto essere diversa. Tutto il resto è un tragicismo nel quale la colpa cerca di giustificarsi proclamandosi neces-

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Ciò che dice il Vecchio Testamento si completa solo nella rivelazione del Nuovo Testamento.

Ili

Esporne il contenuto non è facile. La dottrina dell'Antico Testamento è di una semplicità grandiosa. Si direbbe che ha qualche cosa di classico nel distinguere direttamente il disegno di Dio e la ribellione dell'uomo, la condizione primitiva del creato e la decadenza provocata dalla ribellione. L'immagine che ci presenta il Nuovo Testamento è molto più difficile da afferrare.

La Redenzione non è un semplice miglioramento della condizioni dell'essere, ma si pone al livello della creazione. Non procede dalle strutture del mondo, sia pure quelle più spirituali, ma dalla pura libertà di Dio. Pone un nuovo inizio: crea un nuovo luogo dell'esistere, un nuovo criterio del bene, una nuova forza di realizzazione. E ciò non significa una magia esercitata sul mondo, e neppure l'esser rapiti in uno spazio libero da vincoli; la Redenzione si compie entro la realtà dell'uomo e delle cose.

saria. Solo sulla base di questa premessa si può comprendere il mito, ed esso diviene veramente un profondissimo ammaestramento. (Su questo problema spero di poter presentare qualche cosa di più esatto.)

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Ne deriva una situazione assai complessa, che forse si esprime nella forma più chiara nella dottrina dell'Apostolo San Paolo circa il rapporto fra l'uomo vecchio e l'uomo nuovo.

È perciò difficile parlarne, tanto più difficile, perché anche volendo strettamente limitarsi alle parole della Rivelazione, si deve pur tentare di dire qualche cosa sul divino in senso assoluto, e cioè sui « motivi » di Dio. A ciò si aggiunge un elemento pratico ed immediato, e chiedo di poter parlare in forma personale. Come già nello scritto precedente, vorrei qui portare il mio contributo ad un problema che interessa tutti, e mi preoccupo del fatto che i pensieri espressi in questo capitolo possano limitare la cerchia delle persone a cui mi rivolgo. Ma d'altro lato è evidente che la nostra situazione esige chiarezza; e perciò è bene che, nella imprecisione delle teorie e dei programmi, venga esposto senza alcuna omissione il senso del messaggio cristiano.

Lo spazio a nostra disposizione è assai ristretto e perciò ci volgiamo subito al punto decisivo, e cioè alla persona e alla condotta del Cristo.

In ogni cultura superiore, gli uomini saggi hanno conosciuto il pericolo del potere ed hanno parlato del suo superamento. La loro ultima parola si chiama moderazione e giustizia. Il potere trascina alla superbia e al disprezzo del diritto; all'uomo violento si contrappone l'uo-

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mo ragionevole, che onora gli dei e gli uomini e custodisce la giustizia. Ma tutto questo non è ancora redenzione: è il tentativo di trovare un punto di appoggio nell'esistenza sconvolta, di stabilire un ordine; l'esistenza non è concepita come un tutto 8 come farà invece la Redenzione.

In che consiste, dal punto di vista dei problemi che qui ci preoccupano, il carattere decisivo del messaggio della Redenzione? Esso si esprime in una parola che nel corso dell'epoca moderna ha perduto il suo significato : l'umiltà.10

L'umiltà è scesa a significare debolezza, carenza vitale, viltà nell'affermare i diritti della vita, mancanza di nobili sentimenti, è diventata il complesso di ciò che Nietzsche chiama « decadenza » e « morale dello schiavo ». Ma il senso del fenomeno è andato in tal modo completamente perduto. E se si deve senz'altro riconoscere che nel corso quasi bimillenario della sto-

9 Questo sembra il caso del buddismo. Ma a prescindere dal fatto che anche qui la linea dell'azione liberatrice non proviene mai dal mondo, la radica-lità della lotta contro i pericoli del potere consiste nel rappresentare l'esistenza come assurda. Liberazione è allora l'ingresso nel Nirvana.

10 Quanto poco l'uomo moderno sia in grado di giudicare dell'umiltà; quanto abbia bisogno di una iniziazione anche solo per prendere atto del suo fenomeno, lo mostra l'articolo di max scheler: Zur RehabiUtierung der Tugend. Dissertazioni ed articoli, voi. I, 1915 (edizione posteriore sotto il titolo: Uro-wertung der Werte, pp. 3 ss., particolarmente pp. 8 ss.).

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ria cristiana si trovano concetti e manifestazioni di umiltà che corrispondono a quei giudizi, essi stanno a significare decadenza, anzi caduta da una grandezza che non è più compresa.

L'umiltà, nel senso cristiano, è una virtù di forza, non di debolezza. Nel senso primitivo umile è il forte, colui che ha sentimenti elevati e coraggiosi. Colui che per primo ha realizzato una condotta di umiltà e l'ha resa possibile agli uomini, è Dio stesso, con l'incarnazione del Logos. Nella lettera ai Filippesi, Paolo dice che « Cristo, essendo nella forma di Dio, considerava l'essere simile a Dio non un furto (che si possiede ingiustamente e che si tiene stretto timorosamente, per debolezza), ma si è annientato, assumendo la forma di servo, e apparendo sotto l'immagine di uomo, e fu riconosciuto come uomo e si abbassò, ubbidiente sino alla morte, la morte di croce » (2, 5-8). Tutta l'umiltà creata discende da questo atto con cui il Figlio di Dio è divenuto uomo. Quell'atto che Egli non ha compiuto perché spinto da necessità, ma in pura libertà, poiché Egli, il Sovrano, così aveva voluto. Il nome di questo sovrano « perché » è l'amore; e a questo proposito si deve osservare che la misura di un tale amore non deve essere derivata dall'uomo, ma da ciò che Dio dice di sé. Poiché, come l'umiltà, anche quello che il Nuovo Testamento chiama amore ha inizio in Dio (1 Joh. 4, 8-10).

Come abbia potuto avvenire che Egli, l'Assoluto e Sovrano, sia entrato in una unità esi-

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stenziale con una natura umana; che Egli non solo regga la storia, ma si inserisca in essa;

che abbia accolto in sé tutto ciò che da un tale inserimento discende, cioè il « destino » nel senso autentico, tutto ciò è imperscrutabile. Appena muoviamo dai criteri di una filosofia puramente naturalistica, ovvero dal concetto dell'essere assoluto, il messaggio dell'incarnazione diviene mitologico o assurdo. Ma già far questo è un assurdo, perché è un capovolgere l'ordine delle cose. Non si può dire: Dio è così e così, e perciò non può fare questo o quello; ma bisogna dire: Egli agisce così e perciò manifesta chi Egli è. Non è possibile esprimere un giudizio sulla Rivelazione; si può solo riconoscere che essa è avvenuta, accettarla e pertanto da essa esprimere un giudizio sul mondo e sull'uomo. È questo il fatto fondamentale del Cristianesimo: Dio stesso entra nel mondo. Ma come? ^

La lettera ai Filippesi dice: nella forma dell'umiltà.

Consideriamo la situazione esistenziale di Gesù; il modo in cui si svolge la sua attività e prende forma il suo destino; le forme dei suoi rapporti con gli uomini; lo spirito delle sue azioni, delle sue parole, della sua condotta, e sempre vedremo una potenza altissima tradursi nella forma dell'umiltà. Solo alcuni accenni: Egli discende da antica stirpe, regale; ma quella stirpe è decaduta ed è divenuta insignificante. I suoi rapporti economici e sociali sono modesti.

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Neppure all'apice della sua attività Egli appartiene ad uno dei gruppi dominanti; e gli uomini che attira attorno a sé non danno mai l'impressione di avere una personalità o delle capacità fuori dell'ordinario. Dopo breve tempo Egli viene coinvolto in un processo bugiardo; il giudice romano, in parte spaventato, in parte annoiato, cede di fronte ai nemici e lo condanna ad una morte insieme straziante e disonorevole. Si è a ragione osservato che il destino dei grandi personaggi della storia antica, anche quando conduce ad una fine tragica, mantiene sempre una certa proporzione, si tiene entro le misure di ciò che può toccare ad un grande: nel caso di Gesù tale misura non esiste e sembra gli possa accadere assolutamente tutto. Questo destino è già prefigurato nella misteriosa figura del « servo » della profezia di Isaia (52, 13-53, 12).

In questo senso è usato da San Paolo il termine %evooig, a significare l'annichilamento con cui Egli, che è per sua essenza nella i^ogcpT) •&eov, nella forma di Dio, discese nella Ho^cp^ -rov bovkov, nell'abbassamento del servo.

L'intera esistenza di Gesù è traduzione della potenza in umiltà. O, per esprimerci in forma attiva: traduzione nell'obbedienza alla volontà del Padre, quale si esprime di volta in volta nella situazione; e questa situazione nel suo complesso e nei singoli momenti è tale che esige un continuo « annichilamento ». Per Gesù l'obbedienza non è qualche cosa che sopraggiun-

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gè m un secondo momento, ma forma il nocciolo stesso del suo essere. È già obbedienza il fatto che Egli non predispone la sua « ora » secondo la sua volontà, ma in assoluta purezza la vede nella volontà di Dio.

Questa volontà diviene la sua volontà in senso assoluto: l'onore del Padre il suo onore. E non perché Egli si arrenda al comando, ma in piena libertà.

L'assumere la « forma del servo » non significa debolezza, ma forza. I Vangeli sono scritti da uomini semplici. Non hanno ne l'afflato epico delle storie, ne la penetrazione psicologica a cui siamo oggi avvezzati. Il loro racconto si ferma sui singoli episodi immediati e sulle parole in cui si condensa un annuncio importante. E sono inoltre frammentar!, s'interrompono là dove si vorrebbe sapere di più: le nostre abitudini letterarie ci rendono sensibili a tutte queste insufficienze e ad altre simili. È necessaria un'attenzione che proviene dall'intimo per leggere esattamente. Allora ci si dispiega davanti una esistenza di una tale potenza che non trova paragone in tutta la storia. Un potere che non conosce limite esterno, ma solo il limite che proviene dall'intimo: la volontà del Padre liberamente accolta, così che essa esige ed opera in ogni momento, in ogni situazione e fino nei primi moti del cuore. È la forza, che qui obbedisce, non la debolezza. È kyriótes, la sovranità, che qui si abbassa alla forma del

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servo. Un potere che si possiede in modo così completo da essere capace di rinunciare a se stesso. In una solitudine che è grande come la sua sovranità.

Tenendo questo davanti agli occhi, possiamo quasi a riprova cercare se fra i personaggi della storia ne esista uno che sia pari, o addirittura superiore. E ci sembra a volte di averlo trovato; ma solo fintantoché si pongono a fondamento del nostro giudizio i criteri dell'azione sociale e politica, della cultura spirituale, della profondità religiosa. Ma se si va al nocciolo — e per prendere conoscenza di questo nocciolo è in realtà necessaria la capacità di visione che si chiama « fede » — allora quelle superiorità appaiono per ciò che sono: qualità e capacità che stanno entro l'ambito del mondo. L'esistenza di Gesù, invece, è tesa fra il mistero del Dio vivente, sovrano di fronte a tutto ciò che si chiama mondo, e il presente della più concreta storicità. Muovendo da questa assoluta superiorità e penetrando entro i più stretti legami storici, Egli abbraccia la creazione nella sua totalità, ne espia la colpa e schiude il nuovo inizio.

Questa è la risposta del Nuovo Testamento all'interrogativo circa il potere. Esso non viene respinto come tale. Gesù tratta il potere umano come esso è, una realtà. E lo sente; altrimenti un episodio come quello della terza tentazione, che è appunto una tentazione di hybris (Mt. 4,

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8-10) non avrebbe alcun senso. Ma altrettanto chiaro diviene il suo pericolo: sollevarsi contro Dio, sino a non vederlo più come la realtà più seria; smarrire le proporzioni; esercitare la violenza in tutte le sue forme. A questo Gesù contrappone l'umiltà che libera fin nelle più intime radici dall'incantamento del potere.

Si potrebbe chiedere che cosa succede allora nella storia, e se la degenerazione del potere è stata di fatto superata. Non è facile dare una risposta.

Redenzione non significa che il mondo nel suo complesso è stato modificato una volta per tutte, ma che Dio ha posto un nuovo inizio dell'esistenza. Questo inizio esiste e rappresenta una possibilità permanente. Una volta per tutte è divenuta manifesta la posizione del potere davanti agli occhi di Dio; una volta per tutte, nell'obbedienza di Gesù, è stata data una risposta. Ma questa obbedienza non ha un carattere privato, è aperta, è accessibile a tutti. Non è l'esperienza ed il superamento personale del singolo, ma un atteggiamento a cui ciascuno può avere parte, purché lo voglia: intesa la parola « volere » nella pienezza del suo significato neotestamentario, che abbraccia insieme la grazia del volere-potere e la risolutezza del tradurre la volontà in azione.

Questo inizio esiste e nulla potrà più cancellarlo. La misura in cui si realizza è cosa propria di ogni individuo e di ogni tempo. La storia ricomincia nuovamente con ogni uomo, e

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ricomincia ad ogni ora, in ogni vita di uomo. Ed ha perciò in qualsiasi momento, la possibilità di cominciare di nuovo, da quell'inizio che qui è stato posto.

Per quanto poi concerne il sapere come si possa, ora, concretamente, risolvere l'urgente problema di vita e di morte, che è il controllo ed il padroneggiamento del potere, la nostra risposta, nei limiti in cui una risposta è possibile, deve rifarsi più addietro.

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LO SVILUPPO DEL POTERE

Cerchiamo ora di farci un'idea chiara della natura e delle proporzioni del potere acquistato dall'uomo. È evidente che si tratta solo di accenni. Rispondere esattamente alla domanda sarebbe nientemeno che tracciare la storia della cultura.

Significative sono anzitutto le prime scoperte e le prime forme con cui l'uomo ha assoggettato la natura che gli era estranea sia dal punto di vista intellettuale sia dal punto di vista pratico." Vi appartengono i primi arnesi:

11 II concetto di " estraneità » ha molti livelli. Esso abbraccia da un lato il fatto che l'uomo non comprende e non domina ancora la natura. Ed inoltre-un fatto più profondo, che diviene chiaro solo attraverso la Rivelazione e cioè 1'" estraneità » che proviene dalla colpa. Significa che la natura resiste all'uomo; o meglio che l'uomo affronta la natura con_ delle pretese che stanno in contraddizione con l'essenza di ciò che è creato; ciò che è creato si pone perciò di traverso e contrasta la volontà umana. Molto ci sarebbe da dire a questo proposito. Da questa analisi risulterebbe una conoscenza dei fatti fonda-

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coltelli, martelli, utensili per attingere, ruote, aratri; le prime armi: clave, pugnali, lance; i primi mezzi per difendersi dalle intemperie: il conciare ed il cucire le pelli degli animali, l'invenzione della tessitura; i primi medicamenti:

erbe ed unguenti. Vi appartengono le prime costruzioni architettoniche : sostegni, tetti, porte, gradini; i primi mezzi di comunicazione: barca e ruota. Vi appartiene ancora la coltivazione delle piante alimentari e l'addomesticamento degli animali selvatici.

Ne si devono dimenticare quei prodotti, altrettanto primitivi, che non rispondono a nessun scopo immediato. A questo proposito dobbiamo tener presente che il concetto di « scopo » così come lo intendiamo noi, è tardivo e •deve essere usato con prudenza quando ci si riferisce a quello stadio primitivo, in cui tutto, dal vestito all'arma, dall'aratro alla soglia di casa, oltre al significato di utilità, anzi, prima di esso, ha anche una significazione simbolica. Ma qui pensiamo alle cose che, ai nostri occhi, non hanno alcuno scopo, come ad esempio le svariate decorazioni che servono come amuleti per allontanare le forze maligne e per accattivarsi le forze benevole; le immagini del culto, le pitture murali, ecc.

Già queste prime forme sono qualcosa di dimentali della cultura di un tutt'altro realismo e di tutta un'altra profondità, che non le solite interpre-'tazioni naturalistiche ed idealistiche.

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verso da ciò che fa, ad esempio, l'uccello, quando costruisce il suo nido. A prima vista sembrerebbe trattarsi dello stesso procedimento:

l'uomo cioè inserisce nell'insieme delle funzioni del suo corpo delle cose che potenziano queste stesse funzioni. Ma in realtà nell'uomo agisce, a priori, qualche cosa che manca all'animale;

l'uomo riconosce, comunque ciò possa accadere, il rapporto fra causa ed effetto; egli sente, ovvero comprende, il significato della struttura funzionale ed orienta i singoli movimenti per realizzarla; ciò equivale a dire che è lo spirito ad agire. L'uomo si solleva al disopra degli immediati rapporti naturali; li abbraccia con lo sguardo, decide, agisce. Raccoglie e sviluppa le sue esperienze; le riceve dagli altri e le prosegue.

Un'indagine più esatta ci conduce ai fenomeni elementari dell'attività culturale.

Per comprenderli ci dobbiamo raffigurare un uomo che abbia degli istinti straordinariamente vigili; dei sensi acuti e finemente sviluppati; un gioco vivace sia del corpo nel suo insieme, sia delle singole membra ed organi. Appena si presenta il bisogno di cibo, o l'urgenza di liberarsi da una malattia o di cercare protezione contro un pericolo, egli si da a cercare nel suo ambiente vicino e lontano. L'istinto distingue le erbe utili da quelle nocive; immediatamente osserva come una pietra o un pezzo di legno si possono inserire nella complessa azione delle membra e degli organi, o come il movimento di

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un'asse o di un tronco di un albero incavato può utilizzare la corrente dell'acqua. L'applicazione pratica conferma, o rigetta o rettifica ciò che è stato fatto istintivamente e porta a nuove possibilità... Non si deve evidentemente ritenere che per ogni determinato bisogno si sia trovato uno strumento appropriato, ma si deve considerare tutto l'insieme in cui gli elementi di volta in volta si condizionano reciprocamente:

la spinta del bisogno conduce alla scoperta dei rimedi, ma a sua volta la disponibilità dei mezzi con cui soddisfare il bisogno determina il carattere e la misura del bisogno stesso. Ed il processo si fonda non tanto sul calcolo razionale, quanto sulle manifestazioni dell'istinto, sul sentimento della forma e della funzione, sulla esperienza pratica, nel cui gioco si manifesta quel determinato complesso di rapporti.

Particolarmente importante è inoltre il momento del ricordo ovvero della tradizione. La capacità dell'uomo primitivo, sia individualmente, sia nella vita del gruppo, di ricordare e di proseguire ciò che è stato visto e fatto è straordinariamente accentuata. Perciò, una volta trovata una cosa, essa viene custodita e ulteriormente sviluppata.

Si aggiungano ancora elementi che sono in gran parte perduti per l'uomo di cultura di oggi, ma sembrano consueti nei popoli primitivi, percezioni che vanno al di là del dato immediato; sensazione di essere avvertiti e guidati;

di essere sorretti da un inconscio non ancora

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deviato dalla riflessione e fondato su un'organizzazione dei sensi altamente sviluppata.

L'uomo primitivo sente inoltre tutta l'esistenza come dominata da potenze misteriose. Tutto ciò che è singolare ed importante nella natura, cose e fenomeni, ha un significato che va al di là della pura empiria. È manifestazione di potenza divina e perciò sacra ed intangibile;

anche gli oggetti della vita civilizzata: casa, fuoco, strumenti di lavoro, armi, ornamenti, mezzi di comunicazione, ecc. hanno un tale significato. La loro fabbricazione è stata insegnata da esseri superiori, e quegli esseri esercitano il proprio influsso su di essi e li proteggono; ciò rinsalda essenzialmente quella capacità di conservazione a cui abbiamo già accennato. Le scoperte che si sono fatte non vanno perdute, esse rimangono oggetto di attenzione, di cura e di sforzo ulteriore.

Dagli elementi culturali così ritrovati viene derivata una possibilità per altri e l'analogia con ciò che si è già raggiunto è di aiuto per nuove conquiste.

Tutte queste forme rappresentano un potere ed il loro esercizio è potenza. Così sorge il complesso dell'attività culturale. Si scoprono e si utilizzano le materie e le energie della natura circostante. Vengono sorrette le forze naturali dell'uomo, e quelle che sono riposte nell'organizzazione dei suoi sensi, nelle sue membra, nella sua costituzione, mentre si allarga il cam-

pò della loro azione. L'influsso che, in virtù dei rapporti della famiglia e della stirpe, un uomo esercita sugli altri, viene compreso, ordinato, sviluppato nelle diverse forme dell'ordine sociale, ecc.

II

Questo sviluppo procede con una certa uniformità dalle prime epoche preistoriche sino all'inizio dell'evo moderno.

Significativa è l'impressione che fa su di noi l'atteggiamento dell'uomo che ne è protagonista e lo stile delle sue manifestazioni culturali:

anche nelle sue realizzazioni più grandi e nel momento della più intensa e ricca creatività, resta qualche cosa di singolarmente commisurato all'uomo. Non occorre parlare del livello di quelle creazioni. Nomi come quello dell'Acropoli di Atene, della Città Imperiale di Pechino, della Cattedrale di Chartres, indicano delle vette al di sopra delle quali i tempi successivi non riescono ad elevarsi, e a fianco delle quali devono accontentarsi di innalzare le loro proprie grandezze. Ma le opere antiche hanno una misura che solo raramente — ad esempio in certe costruzioni assire o romane — sembra essere varcata. Spazio vitale, imponenza e struttura dell'impresa, sono tali che l'uomo le sente intimamente come diretta prosecuzione del suo proprio essere. È tale proporzione che ci induce ad

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applicare alle epoche culturali che abbiamo nominato, e sia pure con ogni precauzione e limitazione, l'attributo di « organico ». Nel modo in cui l'uomo comprende la natura, si comporta davanti ad essa, la utilizza, le imprime una forma, si stabilisce una specie di equilibrio fra la ragione, l'istinto e l'immaginazione.

L'uomo si impadronisce di ciò che gli è offerto, lo condensa, ne aumenta l'efficacia, ma considerate le cose nel loro complesso essenziale, non spezza le loro strutture.12

Ma accade poi qualche cosa di nuovo. L'uomo comincia a scrutare la natura con esattezza metodica. Non la comprende più col solo sentimento e con l'intuizione, non l'afferra più solo per mezzo di simboli e attraverso il lavoro delle sue mani e si deve forse dire che gradatamente disimpara questi suoi atteggiamenti, mentre analizza la natura sperimentalmente e teoricamente. Riconosce le sue leggi e impara a porre le condizioni nelle quali i dati elementi producono direttamente gli effetti voluti. Si creano così dei complessi funzionali che si rendono pro-

12 Queste sono naturalmente — la parola stessa lo dice — delle approssimazioni. Anche in queste epoche ci sono strutture e atteggiamenti in cui l'equilibrio viene a mancare. È un equilibrio instabile, sempre minacciato; figure come quella di Icaro sono espressione di questo pericolo. Tuttavia restiamo con l'impressione che ho descritta, ed essa diviene tanto più forte, quanto più sono « moderne a le condizioni da cui ci volgiamo a guardare indietro.

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gressivamente indipendenti dalla diretta organizzazione umana ed a cui si possono fissare a piacimento delle mète: la tecnica.

La scienza come concezione razionale della realtà e la tecnica come complesso del nuovo ordinamento dell'azione, reso possibile dalla scienza, imprimono un nuovo carattere all'esistenza: il carattere del potere, ovvero della potenza in un senso che diremo acuto.

La natura viene scandagliata sempre più profondamente. Le sue energie vengono isolate in modo sempre più preciso e messe a disposizione dell'uomo attraverso un metodo matematico-sperimentale sempre più esatto.

La macchina sviluppa la sua vera natura. Lo strumento non fa che rafforzare le naturali capacità lavorative delle membra e degli organi dell'uomo e le forme primitive della macchina potevano ancora venir confuse con esso. Ma nel processo del suo sviluppo la macchina si è rivelata come qualcosa di diverso e precisamente come un sistema di funzioni scientificamente calcolato ed esattamente costruito, che si distacca sempre più dall'insieme delle attività del corpo umano vivente. La sua forma assoluta sarebbe quella della macchina che serve se stessa, si regola da sé ed è capace di riparare automaticamente i danni che si potessero produrre. E vediamo che, di fatto, le macchine ora costruite si avvicinano a questa mèta, ne voglia-

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mo qui discutere in quale misura tale mèta è raggiungibile.

Le singole macchine sono collegate le une alle altre. Le loro operazioni si integrano e completano e nasce così la fabbrica. Diverse fabbriche, spesso coordinate dal punto di vista tecnico ed economico, formano un settore di produzione. E al di là si delinea una generale programmazione del lavoro meccanico, per cui la industria di un paese appare come un sistema unitario.13

Trae origine di qui un ordine di strutture, che sono pensate e prodotte dall'uomo, ma che, nella loro costruzione ed azione, si allontanano sempre più da un'organizzazione direttamente umana. Esse obbediscono alla volontà dell'uomo e raggiungono le mète da lui segnate, ma al tempo stesso acquistano una vera e propria autonomia nella propria funzione e nello sviluppo ulteriore.

A questa trasformazione del processo e del rendimento del lavoro corrisponde una trasformazione dell'uomo stesso che lavora.

Scompare il lavoro artigiano, che domina la scena di tutta la precedente cultura. Nella misura in cui si sviluppa la macchina, viene a cessare quella forma di lavoro immediato in cui cooperano l'occhio, la mano, la volontà di rag-

13 Cfr. l'unità sistematica della standardizzazione dell'industria tedesca, o quella geografica della Ten-nessee-Valley.

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giungere uno scopo, il senso del materiale utilizzato, la fantasia e la capacità di imprimere una forma. Il processo della produzione ed i suoi frutti sono sottratti alle forme ed alle proporzioni immediate, spirituali e corporali, si basano sulla conoscenza scientifica, su una costruzione specifica e vengono forniti da un processo meccanico.

Perciò — sotto un particolare aspetto — l'uomo diviene più bisognoso: perde la ricchezza della sua personale creazione; e si adatta invece ad inventare delle macchine, a servirsene ed a servirle. Ma mentre può imporre a queste macchine qualsiasi compito e sviluppare così un potere in aumento costante, a sua volta adatta ad esse il suo proprio volere, poiché non esiste alcuna azione che sia unilaterale. Ciò significa che chi produce rinuncia alla individuale vitalità del lavoro e si abitua a voler produrre sofo ciò che è consentito dalla macchina;

quanto più la macchina si perfeziona, tanto più scompare la possibilità della produzione individuale, e scompare al tempo stesso quell'elemento umano, attivo, che vitalmente opera col corpo e con lo spirito, nel lavoro manuale. Nasce l'« operaio » servo della macchina. Chi usa dei prodotti della macchina non avverte più quel rapporto possibile solo con ciò che è stato creato da mani di uomo, e diventa il moderno consumatore, le cui possibilità di gusto sono orien-tate dalla produzione in serie, dalla réclame e dalla tecnica delle vendite. E il consumatore tro-

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vera assurde o estetizzanti delle valutazioni o delle esigenze a cui solo l'autentico lavoro artigiano può rispondere...

Dall'altro lato sempre più cresce quel rendimento produttivo che si sviluppa secondo la scienza e la tecnica; si delinea il profilo di un'opera collettiva immensa ed insieme l'attuarsi nell'uomo delle corrispondenti possibilità, finora paralizzate.

Mentre la natura viene progressivamente conquistata dall'uomo e dalla sua opera, anche l'uomo stesso viene dominato da altri uomini che gli impongono un ordinamento; e il suo lavoro viene dominato da altri lavori ai quali va riferito. A questo proposito si deve considerare che gli acquirenti del frutto di quel lavoro, cioè tutti gli uomini, vivono di esso e perciò sono soggetti a loro volta ad un costante influsso.

Anzi le conseguenze vanno anche più lontano. La cultura che precedette la piena affermazione della tecnica era caratterizzata dal fatto che l'uomo poteva personalmente sperimentare ciò che aveva riconosciuto teoricamente e realizzato col proprio lavoro. Il campo della conoscenza e dell'azione da un lato, il campo dell'esperienza dall'altro coincidevano in una misura che determinava la condotta generale. Di. qui si originava quella particolare armonia, quell'elemento « organico » che noi sentiamo carat-teristico della cultura precedente la tecnica. Ora la possibilità del conoscere e del fare supera

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sempre più quella dello sperimentare. Sorge un mondo di pensiero, di lavoro, di azione, di cui non si ha più un sentimento immediato e totale e che l'uomo si avvezza a considerare come qualche cosa che vive in sé, oggettivamente.

Nello scritto citato all'inizio avevo proposto il concetto di uomo « non-umano » per definire l'umanità che si sviluppa come conseguenza ed insieme come causa di questo processo. Comprendo, lo ripeto qui, quanto l'espressione è equivoca, ma non posso trovarne una migliore. Non significa l'uomo « inumano », il quale, la storia ce lo insegna, poteva esistere anche nelle epoche « umane », ma colui 'che non sa ritrovare più quella relativa armonia, fra il campo della conoscenza e dell'azione da un lato, e quello dell'esperienza dall'altro. La 'sua conoscenza si svolge entro possibilità di conoscenza •e di azione che hanno superato in modo decisivo l'aatica misura.14 A ciò si ricollega, come causa insieme ed effetto, uno dei sintomi più inquietanti di quella trasposizione di cui facciamo quotidiana esperienza, cioè il carattere

14 Per fare un solo esempio: se qualcuno abbatte "un altro con un'arma, può avere esperienza diretta del suo atto. La cosa è tutta diversa quando egli da "una lontana altezza, in un aeroplano, preme su di un "bottone, e sotto muoiono centinaia di migliata di persone. Egli ha potuto conoscere e compiere questo atto, ma non può viverlo come azione e come avvenimento. E ciò vale anche per le altre azioni, con gradi e livelli diversi.

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« oggettivo » del nuovo uomo. Esso significa da un lato volontà e capacità di dedicarsi, senza riguardo per i sentimenti soggettivi, ai singoli compiti che divengono sempre più grandi e pericolosi, e anche pudore di mostrare sentimenti più profondi, anzi del solo lasciarli sviluppare, in una vita che si svolge in forme sempre più pubbliche. Ma esso significa anche una crescente incapacità di sentimento; una progressiva freddezza del cuore; una indifferenza nei rapporti con gli uomini e con le cose della vita. Caratteristico è anche quel surrogato che viene sostituito in larga misura all'autentico sentimento: la sensazione; eccitazione violenta, ma superficiale, che afferra sull'istante e rapidamente svanisce e non ha ne fecondità ne durata.13

Che rispondere allora alla domanda fondamentale circa ciò che si intende per proporzioni «umane»? Può significare l'insieme delle possibilità contenute in genere nell'uomo; e perciò i vari modi in cui egli entra in contatto con il mondo, i compiti davanti a cui viene a trovarsi e le attività attraverso cui li può adempiere. Colui che si ritrova a suo agio nel passato, inclina a circoscrivere tali possibilità a quelle che si sono manifestate fino a un certo

10 Essa ha già trovato addirittura i suoi organi nella stampa, nel cinema, nella radio, e vi si è stabilita con una sicurezza e naturalezza che ci spaventerebbe, se fossimo più vigili ed attenti.

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periodo del passato: il Medio Evo, o l'inizio dell'epoca moderna, o il cla'ssicismo tedesco, o la prima guerra mondiale. E per analogia è incline a identificare le condizioni di una esistenza umana sana e dignitosa con le norme che si riferiscono all'epoca prediletta. Ciò che segue viene necessariamente concepito come una decadenza dall'autentica umanità. È ciò che continuamente si verifica negli ambienti umanistici.

Per stabilire il nesso esatto fra ciò che precede e ciò che sta per seguire è necessaria una annotazione intermedia. Ciò che abbiamo testé esposto potrebbe dare l'impressione che tutto questo processo sia concepito come decadimento dell'umanità. Ed in effetti tale lo considera un giudizio oggi assai diffuso; ma a tale giudizio io devo oppormi.

Chi-'pensa così, anche se spesso non ne ha coscienza, fa coincidere l'uomo in genere con l'umanità di un determinato, seppure lungo, periodo storico. A ciò lo inducono la ricchezza e la qualità delle manifestazioni di quel periodo ed ancor più, il fatto che in esso egli ha le sue proprie radici culturali. E qui, di solito, egli commette determinati errori. Da un lato non osserva le possibilità negative che anche il passato presenta. Non per nulla alla definizione filosofica del potere abbiamo fatto seguire quella teologica. L'interna rovina di cui parla la Rivelazione non si riferisce a determinate epoche,

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ma all'uomo in generale. Da un punto di vista cristiano è considerato certo decadenza il fatto che l'Epoca moderna, nella sua fisionomia storica, si distacchi dalla Rivelazione; ed è comprensibile che la meditazione storica cristiana si soffermi con particolare predilezione sul Medio Evo. Ma non si deve neppure dimenticare che l'immediatezza con cui un'epoca per così dire ufficialmente cristiana applicava ai problemi del mondo le verità della Rivelazione ha anche le sue ombre. Si dimentica facilmente che queste verità non sono interamente evidenti, ma significano insieme giudizio e grazia; e che il riconoscerle ed il metterle in pratica presuppone perciò una costante metànoia.. Quando ciò non avviene si ha una parvenza di cristianesimo, che non tocca la effettiva sostanza della vita... Ma a prescindere da questo, anche nelle epoche anteriori alla tecnica eran presenti tutte le possibilità di ingiustizia e di distruzione; solo che esse agivano entro un sistema di vita che, per il suo carattere fondamentale organico ed armonico, le faceva apparire meno pericolose che nel tempo successivo. In sostanza i pericoli che hanno incominciato a manifestarsi nell'epoca moderna e divengono incombenti ai nostri giorni, non rappresentano se non la rivelazione di possibilità che erano sempre attive.

Ma il concetto di uomo viene in tal modo inteso in un senso troppo ristretto. Alla sua essenza appartiene la capacità di superare i confini dell'organico e dell'armonico; e quando

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lo fa non è meno « uomo » di quanto lo fosse prima di compiere questo passo. Naturalmente i pericoli di cui si è parlato si presentano allora assai più gravi, e l'uomo storicamente entra nella vera ed evidente crisi della sua umanità. Ma « crisi » è sempre decisione fra possibilità negative e positive, e la questione essenziale è di sapere dove cada questa decisione. Se di fronte a questa crisi nasce l'impressione che si esasperi il pericolo di ciò che è negativo, ingiusto, distruttivo, ciò rappresenta qualche cosa di nuovo, non in modo essenziale, ma solo nei riguardi dell'intensità. Quel pericolo sta nell'uomo, in senso assoluto, e non è esclusivamente connesso al tempo che sopraggiunge; la giusta posizione può essere solo quella di accettare la situazione che ci è data e di dominarla dall'interno, appoggiandosi alle forze più pure dello spirito e della grazia. Se falliamo non significa che là nostra epoca, come tale, sia decadenza e rovina, ma diviene evidente che in ogni tempo l'uomo è soggetto a decadenza e rovina ed ha bisogno della Redenzione; ciò che in determinati tempi ed in determinate circostanze, può essere meno evidente che in altre.

Non vogliamo in tal modo semplicemente approvare ciò che oggi avviene e avverrà nel futuro: protestiamo solo sul fatto che si voglia identificare l'umanità di un'epoca che volge alla sua fine con l'umano in genere e che si voglia addebitare solo alla nuova epoca quelle possibilità di distruzione che oggi divengono

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evidenti. Sarebbe una forma di pessimismo che a priori condanna la battaglia alla sconfitta.

Torniamo indietro... Al dissolvimento dell'attività organica individuale corrisponde quella delle ingrandite strutture vitali. La famiglia perde il suo significato di articolazione e di ordine. La comunità, la città, lo Stato si reggono sempre meno sulle famiglie, le parentele, i gruppi di lavoro, le classi, eec. Sempre più gli uomini appaiono come moltitudine informe, organizzata senza uno scopo.

Ciò consegue ad un aumento della popolazione che non ha riscontro nel passato. L'aumento stesso è provocato dalla scienza e dalla tecnica: i disastri naturali sono prevenuti o almeno più facilmente superati; le malattie sono debellate in modo più sicuro e radicale; l'igiene, l'organizzazione del lavoro, la previdenza sociale, creano migliori condizioni di vita e di lavoro, ecc. Ma l'aumento della popolazione sembra in rapporto col diminuire della sua originalità. Nella misura in cui la popolazione aumenta, gli individui divengono più uniformi; le famiglie che vivono di un'autentica tradizione più rare; la possibilità di un'esistenza dall'impronta personale più ridotta. Le nuove città si assomigliano sempre più, sia che sorgano in Europa, in Cina, nel Nord America, in Russia, nel Sud America. Si forma un tipo di uomo che vive alla giornata, ha un carattere allarmante

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•di arbitraria sostituibilità ed è esposto alle pretese del potere.

Giungiamo così allo Stato moderno che presenta appunto caratteri corrispondenti agli elementi ora delineati. Anch'esso smarrisce i legami organici e diviene sempre più un sistema di funzioni dominanti. L'uomo vivo recede; l'apparato si avanza. Una tecnica sempre più affinata della inventariazione, della amministrazione burocratica e, per esprimersi senza veli, una sempre più netta « economicizzazione » dell'uomo, tende a trattare l'uomo nella stessa guisa con cui la macchina tratta la materia da cui ricava i suoi prodotti. La difesa della persona che subisce una tale violenza viene avvertita dall'apparato burocratico come un perturbamento, che deve essere superato con metodi più esatti ed una costrizione più dura.

Perequante riguarda le popolazioni, esse rimangono quei vasti gruppi umani, definiti attraverso il paese, la razza, la cultura, che entro

10 Stato divengono protagonisti della storia. Ma mentre nel passato essi davano l'impressione di individualità collettive inconfondibili, ora si avvicinano sempre più gli uni agli altri. Le reci-proche dipendenze economiche e politiche divengono sempre più grandi, l'abbigliamento ed

11 tenore di vita sempre più uniformi. Le strutture ed i procedimenti degli Stati si possono in gran parte scambiare. Sembra contraddire questo livellamento delle individualità degli Stati e

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dei popoli il moderno nazionalismo, sviluppatesi in aspra contrapposizione contro l'unità dell'occidente medioevale. Ma quella unità aveva come sua fonte lo spirito e la fede e lasciava libertà alla vita dei popoli; il livellamento dell'epoca moderna proviene dalla razionalità della scienza e dalla funzionalità della tecnica. Visto- di qui il nazionalismo appare come un estremo tentativo dei popoli di difendersi dall'essere assorbiti in un sistema formalistico, che è però destinato a fallire e a cedere di fronte a più astratte concezioni del potere.

Uno sguardo di insieme ci da l'impressione che sia la natura, sia l'uomo stesso siano sempre più alla mercé dell'imperiosa pretesa del potere, economico, tecnico, organizzativo, statale. Sempre più nettamente si delinea una situazione in cui l'uomo tiene in suo potere la natura, ma insieme l'uomo tiene in suo potere l'uomo, e lo Stato tiene in suo potere il popolo e il circolo vizioso del sistema tecnico-economico, tiene in suo potere la vita.

Questo carattere di disponibilità si accentua per il fatto che le norme morali perdono di immediata intelligibilità e diminuisce perciò il loro influsso moderatore del potere.

Le norme etiche valgono per la loro intcriore validità; ma divengono storicamente operose incarnandosi negli istinti vitali, nelle tendenze spirituali, nelle strutture sociali, nelle creazioni culturali e nelle tradizioni storiche. Il processo

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di cui abbiamo parlato distrugge le antiche radici. Al loro posto subentrano in un primo tempo almeno, gli ordinamenti meccanici e formali: l'« organizzazione ». Ma l'organizzazione da sola non crea una morale.

Diminuisce perciò nella vita generale il significato delle norme etiche e viene sostituito dalla valutazione dell'efficacia e del risultato. Ciò vale in particolare per le norme che difendono la persona umana. Ci limitiamo ad un solo esempio: fino ad un tempo non molto lontano era considerato sacrilegio il sezionare un cadavere, e non perché il Medio Evo fosse retrogrado, come ritengono gli autoglorificatori dell'Europa moderna, ma essenzialmente perché sul cadavere aleggiava ancora il brivido di un tradizionale rispetto. Di qui possiamo misurare la tremenda velocità con cui le barriere del sen-. timento vengono abbattute l'una dopo l'altra. Che cosa c'è ancora nell'uomo che la sensibilità media concepisca come intangibile? Non si sono fatti degli esperimenti sull'uomo vivente? Che cosa altro era la prassi di taluni istituti « medici » dei campi di concentramento se non vivisezione? Che cosa significa quel complesso che va dal controllo del concepimento alla interruzione della gravidanza, dalla fecondazione artificiale alla eutanasia, dalla selezione delle razze, alla distruzione della vita degli indesiderabili? Che cosa non si può fare all'uomo quando si^consideri quell'opinione comune che si rivela nei discorsi quotidiani, nei giornali, nel cinema,

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nella radio, nella letteratura e non per ultimo nella condotta di coloro che detengono il potere; degli uomini di Stato, dei legislatori, dei militari, dei responsabili della vita economica?

Questo scomparire dei vincoli morali immediatamente operanti abbandona in definitiva l'uomo in balìa del potere. Nel passato di cui noi stessi abbiamo fatto l'esperienza l'uomo non avrebbe potuto essere abbassato così come è avvenuto, nel presente di cui si fa ora altrove esperienza, egli non potrebbe patire tali continui abusi, se il senso morale non lo avesse a tal punto abbandonato; anche il senso del singolo uomo per il proprio essere personale.

È stato già osservato più volte che non esistono causalità unilaterali in ciò che è vivente. Un essere agisce sull'altro rendendo possibile la sua azione, anzi provocando il suo compiersi. All'esercizio del potere, considerato nel suo insieme e nella prospettiva del tempo, corrisponde in chi viene dominato non solo un passivo lasciar accadere, ma anche una volontà di essere dominato, e di essere per tale via liberato dal peso della responsabilità e dello sforzo personale. Nel complesso, a colui che viene dominato, avviene ciò che egli stesso vuole. Se il potere deve esercitare la sua violenza su di lui, è nel suo intimo che devono cadere anzitutto le barriere del rispetto e della difesa di sé.

Si aggiunga ancora che il contenuto direttamente religioso della vita si riduce sempre di

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più. Non si tratta della diminuzione dell'influsso della fede cristiana sulle condizioni generali — ciò che è pure naturalmente vero — ma di qualche cosa di più elementare: diminuisce il valore religioso dell'esistenza.

Nei tempi più antichi tutto aveva una definizione religiosa. Tutte le cose che hanno un significato per la vita ed il lavoro dell'uomo avevano una radice religiosa e da essa erano garantite. I pesi e le misure ed il denaro con cui pagare, gli utensili e le armi; la soglia della casa ed il confine del campo; la posizione della città e la sua forma, con la piazza nel centro e le mura all'intorno; le cose della natura con il loro significato per gli uomini e gli animali di cui l'uomo va a caccia: tutto proveniva dalla divinità ed aveva misteriosi poteri. Nella misura in cui il pensiero critico si fa strada, l'uomo diviene padrone della natura, si delinea il significato proprio dei suoi vari settori, e quella consapevolezza diminuisce.18

1° Anche il Cristianesimo coopera a spezzare quel contenuto immediatamente religioso dell'esistenza, la cui potenza aveva sopraffatto l'uomo, gli aveva fatto apparire il mondo some l'assoluto divino, imprigionandolo nel suo incantesimo. La Rivelazione spezza questo incantesimo poiché annuncia un Dio che, sovrano egli stesso, ha creato il mondo e lo giudicherà. L'esperienza naturalmente religiosa dell'essere, che dipende dal temperamento personale oltre che dallo sviluppo storico e spirituale, non viene pertanto soppressa, ma opera ulteriormente; solo che essa è ora purificata dal Dio della Rivelazione, ordinata, inserita

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L'uomo moderno non si libera solo dalla comunità e dalla tradizione, ma anche dai legami religiosi. Non si limita all'indifferenza davanti alla professione di fede cristiana che un tempo era decisiva, ma diviene scettico di fronte alle manifestazioni religiose in genere. Le cose divengono «mondane», intesa la parola «mondo» non più nell'antico senso, ricco di religiosità, ma in un nuovo senso profano, che indica l'insieme delle cose, delle energie, dei processi che si possono afferrare razionalmente e dominare per mezzo della tecnica. Ciò significa che sia l'uomo in generale, sia i singoli momenti essenziali della sua vita, come ad esempio la condizione inerme del fanciullo, il particolare carattere della donna, la debolezza ed insieme la pienezza d'esperienza della vecchiaia, perdono il loro accento metafìsico. La nascita non è più

nelle varie forme del culto e del costume. Ma è chiaro che questo processo ha la funzione di liberare dall'incantesimo. Nell'immediato rapporto religioso con il mondo, il cristiano, come una volta il fedele dell'Antica Alleanza, è perciò assai meno n religioso » del pagano di un tempo. Qui è l'appiglio per l'accusa paradossale di empietà che fu lanciata dallo Stato pagano contro i cristiani. Con presupposti mutati, le corrisponde oggi l'accusa di " ostilità contro lo Stato » che dal tempo della Riforma e del sorgere degli Stati nazionali viene rivolta contro la Chiesa. Il suo ultimo travestimento è l'accusa di « sabotaggio » che lo Stato totalitario lancia ad ogni credente in quanto tale. Sarebbe utile seguire la natura e la trasformazione di questa accusa, dal falso processo contro Cristo sino ad oggi.

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che il sorgere di un individuo della specie umana; il matrimonio è un semplice congiungersi di uomo e donna con determinate conseguenze personali e giuridiche; la morte è la conclusione di un processo generale che si chiama «vita». La felicità e l'infelicità non sono più una sorte che viene da Dio ma semplicemente casi favorevoli o sfavorevoli di cui bisogna venire a capo. Le cose perdono il loro mistero e divengono prodotti che hanno determinati valori economici, estetici, igienici. La storia non è più la molteplice vicenda di un governo provvidenziale retto da sapienza e clemenza, ma un seguito di fenomeni empirici. Lo Stato non rappresenta più la maestà divina, ma, come dice una formula priva di senso, è « per grazia del popolo » ; per esprimerci senza abusare di valori religiosi ormai abbandonati: è l'auto-organizzazione del popolo, che afferma poi la propria indipendenza sulla base di leggi psicologiche e sociologiche e domina il popolo stesso. Tutto ciò non solo rafforza, ma suggella quella conseguenza di cui abbiamo parlato: l'uomo, con tutto quello che egli ha ed è, viene a trovarsi abbandonato agli assalti del potere.

Da tutto ciò che abbiamo detto emerge un concetto, di cui non è facile considerare sufficientemente la portata: la pianificazione universale.

In essa l'uomo domina con lo sguardo ciò che gli è stato dato: materie ed energie della

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natura, ed anche l'uomo stesso nella sua consistenza. La statistica da una conoscenza esatta di ciò che esiste. La teoria mostra i mezzi con cui può essere configurato. La ragione di Stato decide quale deve essere la mèta di un risultato collettivo. La tecnica, presa la parola nel senso più ampio, stabilisce i metodi per raggiungerlo.

Questa pianificazione viene suggerita per motivi importanti: necessità politiche, aumento della popolazione; limitatezza dei beni economici ed esigenza di una più giusta .ripartizione, ampiezza dei compiti da risolvere, e così via. Ma dietro tutto questo stanno impulsi non pratici, ma spirituali: il sentimento di avere il diritto ed il dovere di stabilire una mèta al lavoro dell'uomo e di considerare tutto ciò che è a disposizione dell'uomo come mezzo per raggiungere quella mèta.

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IL NUOVO VOLTO DELL'UOMO E DEL MONDO

Dopo tali considerazioni è spontaneo domandarsi qual è il significato finale di tutto ciò.

E di consueto ci sentiamo rispondere che attraverso una scienza sempre più penetrante ed una tecnica sempre più efficiente, aumenta il potere che l'uomo ha di disporre delle cose che gli sono state date, un potere che significa sicurezza, utilità, benessere, progresso. L'uomo è meglio protetto dai pericoli che attentano alla sua vita ed alla sua salute; deve lavorare di meno; il suo tenore di vita si eleva; ha nuove possibilità di sviluppare la sua personalità ed il suo lavoro; può liberarsi da attività di minore importanza e consacrarsi ad attività più elevate ed avere perciò una vita sempre più ricca, e così via.

È chiaro come il sole che ciò è vero, se si guarda al singolo individuo. È senza dubbio una vittoria poter riconoscere e superare più facilmente le tensioni sociali, poter regolare l'approvvigionamento dei mezzi di sussistenza; poter

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percorrere rapidamente grandi distanze, ecc. Ma come stanno le cose se si guarda all'insieme?

Nessun uomo ragionevole dubiterà del significato delle conquiste della medicina. Basta che egli stesso cada malato, o debba curare qualcuno che soffre, perché se ne renda subito conto. Ma nel campo della medicina — come in ogni campo della cultura — ogni momento è collegato con l'altro e col tutto. Se ora ci poniamo davanti agli occhi questo tutto, che consiste di scienza medica, di tecnica igienica e terapeutica, di industria farmaceutica, di assicurazioni e mutue, senza dimenticare il nuovo atteggiamento dell' uomo moderno, come paziente e come medico, di fronte alla malattia ed alla sanità; se pensiamo ancora che questo enorme apparato si rivolge all'uomo vivente ed influisce su di lui nei modi più disparati, così che l'uomo a sua volta vi si adatta, ne risulta un vero arricchimento? O, per limitarci ad un solo aspetto, si corre forse il pericolo di compromettere ciò che, al di là dell'esattezza delle conoscenze e dei metodi è appunto il fondamento di ogni esser sano e voler risanare, e precisamente la volontà di salute, la vitale fiducia, la istintiva sicurezza e capacità di rinnovamento dell'uomo vivente?

Oppure: è evidente il vantaggio di un sistema di assicurazione che sia ben studiato e funzioni in modo sicuro. Malattia, disoccupazione, incidenti della natura, vecchiaia, perdono una buona parte della loro gravita, quando si sa

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che è assicurato quello che materialmente è necessario. Ma immaginiamo raggiunta la mèta cui tendono gli sforzi delle assicurazioni e creata quella organizzazione che abbraccia tutti i cittadini e tiene conto di ogni situazione di bisogno. In tale sistema, che cosa diverranno a lungo andare e per la media delle persone la coscienziosità ed il buon senso, l'indipendenza ed il carattere, la fiducia nella vita e la disponibilità davanti al futuro? Un tale sistema di previdenza automatica non diverrà insieme un sistema che riduce l'uomo in condizione di minorità? Non si attenuerà sempre di più lo stretto rapporto con ciò che si chiama iniziativa, destino, provvidenza?

Oppure: se il traffico si svolge in modo più colere e completo, si guadagna realmente tempo? Ciò sarebbe vero se l'uomo trovasse più agio e divenisse più tranquillo. E invece egli appare sempre più incalzato, e il risparmio di tempo attraverso l'accelerarsi del traffico ha in realtà l'effetto che egli si imprigiona sempre più nel tempo. E quando davvero l'uomo guadagna tempo, come se ne serve? Si libera forse dalla folla, o non si butta invece nella ressa di chi si diverte o si dedica a sport assurdi, legge, ascolta, vede roba inutile? La fretta ansiosa che lo svuota non prosegue in altra forma e la teoria della vita più ricca non getta la maschera rivelandosi illusione?

Potremmo fissare la nostra attenzione sugli aspetti più diversi e sempre giungeremmo al

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risultato che la vera giustificazione del progresso culturale non può consistere in una utilità comunque concepita, perché tutto questo conoscere, lavorare, creare porta con sé anche un pericolo che si aggrava sempre più. Vivere secondo la cultura significa in definitiva vivere secondo la decisione dello spirito; ma ciò significa che quanto più grande diventa il dominio del mondo, tanto più è rischioso il vivervi.

Se si considerano i motivi da cui scaturisce l'operare dell'uomo ed il giucco delle forze che determinano le decisioni della storia, si vede operare dappertutto la volontà fondamentale del dominio. In essa profondamente si radicano la grandezza e la tragedia, la gioia ed il dolore dell'uomo. Dal momento della creazione, il dominare è destino essenziale dell'uomo. Avere la facoltà di dominare è concessione di Dio. Avere il dovere di dominare è un ordine. Essere poi costretti a farlo, dopo la caduta, è una fatalità ed una prova continua e pesante.

Ma come si attua — da un punto di vista generale — questo dominio? L'uomo vuole acquistare conoscenza del mondo per plasmarlo in nuove forme. È questo il senso dell'attività culturale, il cui realizzarsi conduce attraverso un pericolo sempre più grande.

A fondamento di questa trasformazione sta una immagine in cui l'uomo cerca di esprimere la natura delle cose, il proprio essere ed il senso

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della vita. L'aspirazione al dominio di cui si è parlato non mira che a realizzare una nuova immagine del mondo.

È sempre difficile parlare di qualche cosa che è al suo primo inizio, ma forse se ne possono rilevare alcuni tratti. L'antica immagine del mondo, ne abbiamo già parlato, cercava di esprimere l'armonia immanente di un universo sentito come divino, di cui si faceva garante la nobiltà dell'uomo. Il Medio Evo volle ordinare Resistenza partendo da un punto trascendente di autorità e di sacro potere. L'Epoca moderna cercò di conquistare il dominio della natura per mezzo della conoscenza razionale, della precisione tecnica. Che avverrà nella futura immagine del mondo? Mentre il potere aumenta ulteriormente, anzi raggiunge forme definitive, nei limiti in cui si può applicare tale parola ad una situazione storica, il suo carattere si rivela alla coscienza come carattere di pericolo ed il senso essenziale del mondo futuro sarà il domare lo stesso potere.

II

Dobbiamo perciò cercare anzitutto di farci un'idea di questo pericolo.17

L'uomo può disporre sempre più integral-

17 Cfr. La fine dell'epoca moderna, trad. ed. ediz. cit., pp. 92 ss.

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inente e delle cose, e dell'uomo stesso. L'esercizio del potere gli è consentito dalla libertà. E la libertà è determinata dalla mentalità dell'uomo. Quale è oggi il sentimento dell'uomo? In quale modo avverte egli la propria responsabilità?

In un recente tentativo di analisi della nostra situazione si trova questa inquietante affermazione : « la crisi del nostro tempo e del nostro mondo sembra correre verso un avvenimento che, visto dal nostro punto di vista, può definirsi solo col termine di " catastrofe globale "... vogliamo riconoscere chiaramente che solo pochi decenni ci separano da quell'avvenimento. L'intervallo è determinato dall'aumento delle possibilità tecniche, il quale sta in rapporto diretto con la diminuzione della consapevole responsabilità dell'uomo ».

Si impongono evidentemente delle riserve di fronte a simili affermazioni; ma gli uomini di cui conosciamo la condotta — ognuno nel proprio campo — danno l'impressione di sentirsi responsabili di ciò che accade? E questa responsabilità influenza la loro attività professionale e privata? Gli organi che guidano lo svolgersi della vita pubblica danno l'impressione, in definitiva, di sapere di che si tratta e di regolare di conseguenza la propria azione? La misura del potere disponibile è garantita da un corrispondente giudizio sul senso dell'esistenza umana, da una proporzionata risolutezza nel prendere posizione sulle questioni morali, da un'adeguata

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forza di carattere? Esiste un'etica del potere costruita su di un reale contatto con il fenomeno? Il giovane, e proporzionatamente alle sue esperienze precedenti, l'uomo adulto viene educato al retto uso del potere? Questa educazione forma un elemento stabile della nostra formazione umana, sia individuale che sociale?

Io temo che, se rispondiamo lealmente a queste domande, la risposta sia allarmante. Si ha in buona parte l'impressione che la maggioran-iZa delle persone non sappia di che si tratti. E quando lo sappia, si trovi in un'assoluta incertezza circa il da farsi, e, considerando le cose nell'insieme, le lasci andare per la loro china.

In che consistono i pericoli di cui effettivamente si tratta?

C'è anzitutto il pericolo che balza agli occhi con più evidenza, quello della distruzione violenta, della guerra. E sembra che ci siano ancora, sempre, uomini che fondano su di essa le proprie speranze.

Le distruzioni di vite e forze umane, di beni economici e di patrimonio culturale provocate da una nuova guerra, sono al di là di ogni va-lutazione.18 Ma ancora più terribili sarebbero

i8 . Martedì a San Francisco, poche ore prima dell'apertura della conferenza sul trattato di pac& giapponese, il presidente Truman ha comunicato che gli Stati Uniti dispongono di nuove armi la cui capacità distruttiva supera quella della bomba atomica. Nel caso di una guerra generale queste armi potrebbero spegnere la civiltà » ( « Frankfurter Allge-

le distruzioni interne. Cadrebbe in rovina ciò che ancora rimane di ordine morale e spirituale, di rispetto dell'uomo, di forza del carattere e di fedeltà del cuore. E per un periodo di tempo assai lungo ne risulterebbe una condotta che non crede più se non all'astuzia ed alla violenza: attuazione piena di ciò che si chiama nichilismo. Tale sarebbe anche il destino dei vincitori — nei limiti in cui il concetto di «vincitori», legato ad un ordinamento ormai declinante, può avere ancora un senso e non si debba piuttosto parlare, come è già accaduto, di sopravvissuti, poiché ogni guerra futura sarebbe di natura universale e colpirebbe la totalità degli uomini.19

Non così immediatamente afferrabile, ma dappertutto minaccioso è un altro pericolo. L'uomo acquista un potere sempre più grande sopra lo stesso uomo, ha la possibilità di esercitare un influsso sempre più profondo su di lui, nel corpo, nell'anima, nello spirito: in quale dirczione •eserciterà tale influsso?

Uno dei più tremendi ammaestramenti per coloro la cui formazione culturale risaliva al-

.meine Zeitung », edizione tedesca, 6 settembre 1&51). Non si devono certo trascurare gli scopi tattici di una simile affermazione. Tuttavia è l'affermazione dell'uomo di Stato, che in definitiva determina l'iniziativa dell'occidente. (Si ricordi la data di pubblicazione del saggio - N.d.R.).

19 Cfr. guakdini, Auf der Sucfie nach dem Frie-•den, « Hochland », 41" anno, fase. 2.

SO

l'epoca precedente la prima guerra mondiale, fu che, nell'esistenza concreta, lo spirito si è rivelato assai più debole di quanto non avessero pensato. Essi avevano creduto che lo spirito, immediatamente ed in quanto tale, dovesse essere più forte della violenza e della menzogna. Ciò si esprimeva in frasi come : « non si può soffocare lo spirito »... « la verità si impone »... « alla fine vince ciò che è genuino ».. e così via. Affermazioni in cui erano false almeno la immediatezza e la sicurezza idealistica. Coloro che sostenevano tali idee sono stati costretti ad imparare quanto si estende il potere della organizzazione dello Stato e della vita pubblica ed in quale spaventosa misura è possibile paralizzare lo spirito, scoraggiare la persona, confondere le misure del male e del bene.

Quale fra i valori che il tempo moderno credeva di aver garantito contro la pretesa tenebra medioevale non è stato rinnegato? Che cosa è rimasto integro di tutte le conquiste della cultura? La dignità del vero e la nobiltà del giusto, l'onore dell'uomo, l'inviolabilità del suo essere corporale e spirituale, la libertà della persona e del suo lavoro, il diritto di avere e di esprimere le proprie convinzioni, la fedeltà dell'impiegato, non solo nell'esecuzione dell'ordine, ma anche nell'adempimento dei doveri obiettivi; l'indipendenza della scienza, responsabile di fronte al proprio significato; arte, educazione, attività medica, che cosa di tutto questo non è stato distrutto? La violenza e la menzogna

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non sono divenute atteggiamento permanente? Non facciamoci illusioni; ciò non è avvenuto nella forma di uno smarrimento momentaneo, ma in quella di un sistema teoretico e pratico elaborato in ogni aspetto.20

Un esperimento è durato per dodici anni e ciò che lo ha fatto crollare è venuto dall'ester-

20 Un punto di partenza per una riflessione: può lo spirito ammalarsi? Non solo i suoi organi fisiologici, il cervello ed il sistema nervoso; e non solo il suo ordine psicologico, l'azione degli impulsi e la concatenazione delle idee, ma lo spirito stesso, e in quanto tale? Dove si celebra la vita dello spirito? Già Fiatone, e più tardi, ispirandosi alla pienezza della Rivelazione, Agostino, ci hanno detto che lo spirito vive nel rapporto con ciò che è vero e buono e santo. Lo spirito è vitale e sano nella conoscenza e nella giustizia, nell'amore e nell'adorazione; e tutto questo inteso in senso proprio e non allegorico. Che succede dunque, quando quel rapporto viene sconvolto? Lo spirito si ammala. Non semplicemente quando esso sbaglia, o mente, o commette ingiustizia; è difficile dire quante volte ciò deve avvenire, perché subentri quell'accecamento di ogni acume, quello sconvolgimento di ogni capacità, per cui lo spirito stesso si rivela malato. Ma certamente ciò avviene quando la verità, in quanto tale, perde il suo significato; quando il successo si sostituisce alla giustizia ed al bene; quando ciò che è santo non viene più avvertito e non se ne sente neppure la mancanza. Ciò che allora accade non riguarda più la psicologia, ma la scienza dello spirito e le misure che si possono prendere non sono misure terapeuti-che, ma sono la conversione delle idee, la metanolo,... Sotto questo punto di vista che cosa significano i dodici anni in Germania e quelli che sono ormai trentaquattro nell'Oriente?

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no, non dal di dentro. L'altro dura già da tren-t'anni e si sviluppa sempre più. Non sottovalutiamo la forza storica di tali esperimenti, tanto più che in tutta la struttura della vita odierna, nella sua razionalizzazione e meccanizzazione, nella tecnica dell'orientare le opinioni, e nelle possibilità pedagogiche, si ritrova uno stimolo continuo ad imitarli. Questo stimolo può operare anche se è contraddetto dalle idee ufficialmente riconosciute, poiché è sovente il nemico che detta i metodi ed i metodi sono spesso più forti delle idee.

Un terzo pericolo è l'azione che il potere come tale, la violenza, esercita sull'esistenza. Ci sono cose che possono essere senz'altro dominate da una forza razionalmente ordinata, ad esempio tutto ciò che attiene alla natura inanimata. Ma già nella natura animata la cosa è diversa; per imprimerle una forma c'è bisogno di intuizione e di espnt de finesse. Ed in particolare le cose umane — tutto ciò che si chiama educazione, assistenza, ordine pubblico, edificazione di una cultura — per rimanere urna- . ne e giungere all'altezza dello spirito devono passare attraverso il tramite della persona.

Ciò che è congiunto alla verità, al bene, alla giustizia si attua solo per un'adesione vitale, una convinzione autentica, una rispondenza inferiore. Richiede profondo rispetto, incoraggiamento, pazienza. Chi agisce deve entrare nell'ambito della libertà, prendere l'iniziativa, de-

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stare l'originalità creativa. Deve contribuire a sviluppare gli impulsi di ciò che è vivente e lasciar piena libertà ai suoi itinerari.

Quanto è più grande il potere e tanto più forte è la tentazione di scegliere la via più facile, quella appunto della violenza. « Eliminare » la persona e la sua libertà, l'esistenzialità del vero, l'originalità del creare; ottenere con la forza ciò che ci si è prefissi e presentare come privo di valore ciò che con la forza non si può ottenere. Costruire quindi una cultura che ha solo un fondamento razionale e tecnico. Ma allora bisogna che l'uomo stesso sia concepito in modo tale da poter essere « afferrato », « amministrato », formato a priori per determinati scopi.21 Non solo da un punto di vista fisico, ma anche psichico: pensiamo ai mezzi della suggestione, della propaganda, dell'influenza esercitata sui giudizi. E persino da un punto di vista spirituale, quando la dialettica e la tecnica della discussione, la raffigurazione della storia e della vita, l'intera prospettiva dell'esistenza, si svolgono non nel rispetto della verità, ma per scopi pratici e scompare ciò che è autenticamente spirituale, ciò che è valido di fronte all'uomo capace di osservare e di giudicare.

21 È bene dar ascolto al linguaggio. La condizione in cui si trova, la parola che esso adopera o evita sono significative dell'intima costituzione di un'epoca. Come è allora rivelatore il fatto che parole, come quelle citate, siano applicate all'uomo!

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Infine un quarto pericolo: quello che il potere costituisce per chi lo usa. Nulla rende più problematica la purezza del carattere e le più nobili qualità dell'anima. Essere in possesso di un potere che non è definito da una responsabilità morale e non controllato da un profondo rispetto della persona, significa distruzione dell'umano in senso assoluto.

L'antichità era consapevole di questo pericolo, vedeva la grandezza dell'uomo, ma vedeva anche che, con tutta la sua forza, egli è assai vulnerabile e che la sua esistenza dipende dalla sua capacità di mantenere misura ed equilibrio. Per Fiatone il tiranno, cioè colui che detiene il potere e non è vincolato dalla venerazione per gli dèi e dal rispetto della legge, era figura della perdizione... Il tempo moderno ha sempre più disimparato questa sapienza. Ciò che in esso avviene, questa negazione di ogni norma che stia al di sopra dell'uomo, questo considerare il potere come autonomo e definirne l'uso solo sulla base dell'interesse politico o dell'utilità tecnico-economica, non ha precedenti nella storia.

Non intendiamo parlare solo di chi occupa posizioni chiave nella politica interna ed estera e nella dirczione economica, ma di chiunque ha « potere » ; di chiunque è in grado di decidere, di comandare, di far lavorare degli uomini, di provocare degli effetti, di creare delle condizioni, per parlare un linguaggio biblico di « esercitare un dominio ».

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Far questo è essere simili al Signore del mondo; qui si origina la grandezza dell'uomo. Ma già nel secondo capitolo di questo scritto, abbiamo cercato di mostrare che tutto il nesso fra forza e direziono, fra energia e misura, fra impulso ed ordine è profondamente sconvolto nell'uomo; grande è il pericolo di confondere la forza con la violenza, l'iniziativa con la sovranità, il comando con l'asservimento, la giustizia obiettiva con l'interesse, l'azione autentica, vasta e duratura, con il successo ed è un pericolo che cresce nella misura in cui vengono meno i legami con la norma morale e l'elevatezza religiosa. Sempre più minacciosa diviene la perversione del potere e con essa la perversione della stessa natura umana. Poiché non c'è azione che si esaurisca nel suo oggetto, sia esso una cosa o una persona; ogni azione afferra anche colui che la compie. È una terribile illusione pensare che Fazione rimanga « al di fuori » di chi agisce, poiché in verità quell'azione penetra anche in lui, anzi in lui stesso prima che nell'oggetto del suo agire. In verità egli « diviene » continuamente ciò che egli « fa » :

ciascuno, dal capo responsabile dello Stato, al dirigente di un ufficio o alla donna di casa, dallo scienziato al tecnico, dall'artista al contadino... Perciò, se l'uso del potere continua a svilupparsi lungo le linee indicate, non si può prevedere che cosa avverrà in chi usa del potere: distruzioni morali e rovine spirituali di natura ancora sconosciuta.

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Ili

Nell'imagine del mondo che si va ora trasformando si possono identificare elementi connessi a questi pericoli? Si può affermare che la futura struttura dell'esistenza storica si prepara ad affrontarli?

Vorrei ancora sottolineare che quanto ho detto qui è un semplice supporre e tentare di indovinare, poiché dappertutto le cose sono ancora allo stato fluido. Inoltre l'interpretazione di ciò che ci è contemporaneo è così influenzata dall'atteggiamento personale, l'impulso demolitore è così violento e le condizioni storiche così instabili, che la possibilità di una interpreta-zione pessimistica è almeno altrettanto grande di quella ottimistica. La mia opinione, se posso esprimermi in forma personale, risulta già chiara da quanto ho detto, ma vorrei ripetere ancora una volta, espressamente, che credo alla possibilità di una soluzione positiva. Non nel senso liberale, secondo cui tutto andrà in fine per il meglio; ed ancor meno nel senso storicistico e dialettico, secondo cui ciò che avviene si muove necessariamente verso una mèta migliore. Pensare così compromette anzi ogni soluzione positiva; poiché non mette in causa quello che in definitiva importa, la responsabilità dell'uomo libero. Ed io penso che questa libertà porta con sé la speranza di condurre la storia lungo il sentiero positivo.

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Significativo nella nuova immagine del mondo appare anzitutto il fatto della sua finitezza. La scienza e la tecnica calcolano bensì con misure immense; i numeri crescono in grandezza, discendono in piccolezza fino all'impensabile, eppure, per vedere la differenza, basta paragonare il sentimento generale oggi dominante con quello che accompagnava il sorgere dell'epoca moderna. Spazio e tempo, misure ed energie si rivelano oggi in dimensioni ignote all'epoca moderna: ma noi non li sentiamo in termini di illimitatezza, mentre così li aveva appassionatamente sentiti l'epoca moderna pur disponendo di dati assai più modesti.

Per essa il mondo era tutto. Non solo in senso quantitativo, in quanto esso era « tutto ciò che esiste », ma in senso qualitativo, in quanto assoluto ed illimitato. Perciò l'uomo non poteva mai prendere posizione di fronte ad esso, ma solo entro di esso. Il mondo lo superava in modo essenziale ed assoluto. Non esisteva fondamentalmente ne distacco, ne critica, ma soltanto adattamenti ed immedesimazione. Ed era insieme diffuso il sentimento di una illimitata pienezza di essere, di una inesauribilità di riserve. L'una cosa e l'altra rendevano impossibile una vera e propria contrapposizione. Pare invece che ora si faccia strada il sentimento che il mondo sia qualche cosa che ha una forma e perciò un limite. Mostruosamente grande certo nelle sue proporzioni, nelle più grandi, e nelle più piccole, ma tuttavia appunto misurato. Il

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concetto del « tutto » sembra acquistare un nuovo significato. Non significa più l'adorazione dell'imperiosa sovranità dell'essere in senso assoluto, ne l'appello dell'infinito all'offerta dionisiaca, ma il compendio di ciò che ci è dato e di fronte a cui è possibile, anzi è imposta una posizione, un giudizio, un programma. Riesce molto più facile all'uomo riconoscersi per ciò che è: vivente nel mondo e insieme al di fuori di esso; legato al mondo ed insieme libero davanti ad esso; per così dire al margine del mondo, dappertutto e sempre al suo margine.

Da questo sentimento fondamentale nasce una diversa condotta nei riguardi del mondo. Più aspra, più dura, ma insieme con la testa e le mani singolarmente libere. Il mondo non sopraffa quella condotta, bensì la stimola e la esige, invitandola ad una responsabilità spirituale.

Qualche cosa di analogo si avverte anche in quel settore dell'attività pratica che deve tener conto delle più rilevanti misure terrene:

la politica — intesa la parola nel senso dell'operare per mezzo dei popoli e degli Stati,. attraverso le regioni e le epoche. L'epoca moderna poteva avere il sentimento che esistessero ancora spazi sconosciuti, riserve non ancora utilizzate: ne troviamo un'espressione nel concetto di « colonia ». Anche il singolo popolo ed il suo Stato contenevano zone di ricchezze materiali ed umane non ancora esplorate e conquistate. E si giustificava il sentimento che ci fosse

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più materiale di quanto non venisse utilizzato;

più forze di quante non ce ne fossero in atto. "Ma ora la terra si è rinchiusa in un unico campo politico che non contiene più nessuna zona di vuoto. Dal punto di vista della politica estera ciò che prima era disponibile si trasforma sotto i nostri occhi in oggetto di politica: il fenomeno della colonia scompare. Dal punto di vista della politica interna, attraverso le tecniche della statistica e dell'amministrazione, il paese ed il popolo vengono riconosciuti e inquadrati a seconda del tenore di vita, dei possedimenti e delle energie.

Di conseguenza i compiti politici si spostano sempre più da ciò che è estensivo, a ciò che è intensivo- Acquista una particolare urgenza ciò che in senso proprio si chiama « governare » :

cioè il vedere, giudicare, afferrare, guidare, valorizzare ciò che è dato, avendo lo sguardo all'insieme.

In un campo chiuso ogni provvedimento suscita reazioni molto più acute, sia in senso positivo che in senso negativo. Non si perde nell'indefinito, ma si delinea con chiarezza e reclama una responsabilità. Forse l'aumento patologico della burocrazia non è solo un sintomo negativo, ma contiene, come suo nocciolo autentico, la coscienza che i dati della storia e della politica sono disponibili in misura molto più elevata che nel passato e che perciò si deve governare in modo molto più consapevole ed esatto: tutte le disposizioni particolareggiate

SO

ed i controlli sarebbero forme in cui lo Stato moderno non riesce ancora a trovare se stesso.

Nella stessa dirczione sembra orientarsi quella consapevolezza della collettività che si fa. strada ovunque. Mentre nel passato l'esistenza era automaticamente concepita come l'insieme di singoli elementi che si potevano congiungere a seconda dei vari punti di vista, si riconosce ora che essa poggia su delle strutture organiche. Che non esiste la singola cosa isolata, il singolo processo, ma che il singolo si trova a priori inscritto in un tutto e che, reciprocamente, il tutto si definisce attraverso ogni singolo. Da ciò la consapevolezza che tutto opera in tutto. Chi ad esempio ricorda ancora con quale sicurezza dogmatica il razionalismo della fine dell'ottocento interpretava gli accadimenti in base ad una causalità unilaterale e rigettava l'assurdità scolastica del concetto di causa finale, vede ora con meraviglia riemergere quel concetto come « nuovo », e lo vede applicato in modo così radicale che si può parlare di inversione della causalità, e dunque di una causalità retroattiva.

Politicamente, prendendo la parola nel senso più alto, ci avviciniamo sempre più ad una condizione in cui i rapporti economici, sociali, politici di un paese coinvolgono tutti gli altri paesi. Come nessuno strato di una popolazione può vivere in cattive condizioni sociali ed economi-che ed igieniche, senza che ciò si rifletta su tutta

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la comunità, reciprocamente nessun gruppo particolare prospera 'effettivamente, alla lunga, quando la condizione generale non sia nell'ordine.

Si comincia anzi a vedere che per la condizione sociale ed economica del singolo e del gruppo sono importanti persino la religione e la concezione del mondo. Abbiamo visto con i nostri occhi come è stata completamente capovolta la tesi moderna del carattere privato della Weltanschauung. La costruzione dogmatica che il giudizio corrente rinfaccia al Medio Evo era piena libertà a paragone di ciò a cui il nazionalsocialismo ha dato l'avvio e che continua ad accadere nel comunismo. Trascuriamo per il momento la sopraffazione di ogni verità e dignità, che fu ed è perpetrata da questi regimi; dal nostro punto di vista ha importanza la constatazione che anche qui nessun settore dell'esistenza può essere risparmiato. Ciò che chiamiamo libertà, indipendenza, autonomia della persona, deve dunque essere cosa diversa da quanto ritiene la posizione liberale; ed è piuttosto la sfera inferiore in cui la persona vive con se stessa, intimamente congiunta alla realtà dell'esistenza. La convinzione che le opinioni religiose sul mondo e sulla vita siano qualche cosa di soggettivo e l'opposta convinzione che sia lo Stato a determinare tali opinioni sono così connesse l'una con l'altra, che si possono definire come due aspetti dello stesso errore fondamentale.

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Per ciò che riguarda l'immediata condizione dell'uomo, la biologia e la medicina riconoscono sempre più chiaramente che la funzione di un singolo organo influisce su tutto l'organismo e che la condizione del tutto influisce su ogni singolo organo; non esiste dunque malattia fisica che non abbia conseguenze spirituali, così come, reciprocamente, ogni processo spirituale ha i suoi presupposti fisici.

Questa tendenza trova la sua espressione più generale nell'importanza crescente della concezione della relatività, che non va confusa con il dissolvente relativismo del tempo passato, il quale spogliava i singoli dati del loro valore individuale, riconduceva ogni elemento ad un altro e distruggeva così l'originalità dei valori. Il pensiero relativistico attuale, se vedo esattamente, ha un altro senso. Esso vuole mostrare che ogni singolo essere è costituito di complessi unitari, in cui i diversi elementi sono dati gli uni con gli altri, gli uni attraverso gli altri, gli uni in rapporto con gli altri. Ciò ha inizio in un fenomeno elementare come il rapporto conoscitivo nel quale l'oggetto non è concepito indipendente dal soggetto, ma colui che osserva partecipa della cosa osservata; ovvero il rapporto di causalità, in cui non esiste azione unilaterale di un essere su di un altro, ma ogni azione è bipolare.

Appare perciò anche qui il fenomeno della visione e concezione di insieme, sia nel bene che nel male. E con esso l'esigenza di un auten-

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tico « governo », basato sulla conoscenza del come le energie dell'esistenza agiscano le une sulle altre e sul sentimento della responsabilità di fronte a questa esistenza formata di così molteplici azioni reciproche.

La moderna immagine del mondo conteneva l'idea di una natura che significava al tempo stesso norma e sicurezza. E questa natura era considerata come un complesso di leggi e di rapporti che da un lato costringevano l'uomo, ma dall'altro lo proteggevano e garantivano. Conoscenza e tecnica spezzano ora le strutture della natura. Gli elementi sono a disposizione di chi voglia impadronirsene. Da ordine sovrano ed insieme accogliente, la natura diviene un complesso di energie e di materie di cui l'uomo dispone. Da tutto intangibile che si doveva contemplare in gioiosa ammirazione, diviene sconfinata possibilità, fonte di energie, cantiere di lavoro. E mentre nell'epoca moderna l'uomo aveva considerato se stesso come membro di questa natura, si fa ora strada il sentimento che egli può impadronirsi di essa in libertà incondizionata, e farne ciò che vuole, farla fiorire e farla rovinare.

Un analogo mutamento si osserva negli ordinamenti tradizionali dell'esistenza, nelle svariate forme della tradizione, rappresentata nell'occidente dall'umanesimo e dal cristianesimo, nell'Asia e nell'Africa dalla tradizione religiosa e culturale. Quella tradizione in cui il singolo entrava con la sua vita e il suo lavoro, trovan-

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dovi insieme la sua definizione e la sua sicurezza, si dissolve ora dovunque. È caratteristico osservare come la novità viene generalmente considerata come un valore in sé e per sé. L'impulso a trasformare tutto sembra qualcosa di più che non il sintomo di un procreare o la convinzione dell'importanza della cosa scoperta. Certo esso ha forme negative: mancanza di rispetto e di responsabilità, vistosità ed altro ancora. Ma sembra che vi sia anche qualche cosa di positivo: il sentimento che il mondo è alla nostra disposizione in un modo che non ha precedenti e che il disporne giustamente non è garantito ne dalla natura stessa ne dalla tradizione, ma dipende dal giudizio e dalla volontà dell'uomo.

Abbiamo ampiamente parlato degli aspetti pericolosi, così ci limitiamo ad accennarli ancora una volta. Il pericolo non appartiene ai sintomi puramente negativi della veniente cultura, poiché in tal caso si dovrebbe concludere che essa deve scomparire. Il pericolo è essenziale alla futura immagine del mondo e, se inteso rettamente, le da nuova serietà. In tutto il futuro non ci sarà vita di uomo che nella sua essenza non sia in pericolo. La coscienza di tale situazione è assai viva ed ha anche forme di non-valore: la paura, la mancanza di serietà, il vivere alla giornata, che dappertutto si rilevano. Ma si mostrano anche sintomi positivi. Sembra che la borghese volontà di sicurezza

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scompaia e che l'uomo riesca a liberarsi da molti pregiudizi che un tempo parevano ovvii. Intere popolazioni vengono trapiantate dalla propria patria in altri territori; l'antico concetto dell'abitazione scompare in gran parte e lascia il posto ad una forma di vita quasi nomade; l'uomo di oggi perde il piacere del risparmio e muta il suo atteggiamento di fronte agli istituti bancari ed assicurativi; tutto questo ed altro ancora sembra avere non solo il significato negativo dello sradicamento, ma anche un significato positivo : davanti all'imprevedibilità dei pericoli sopravvenienti l'uomo cerca di acquistare una maggiore mobilità. Sembra farsi strada la coscienza che tutto è giunto a tal punto perché tutto in definitiva consiste nella libertà e l'uomo deve perciò conquistare un abito di maggiore libertà: singolare risultato dell'epoca, della scienza naturale classica, in cui tutto pareva determinato dalla necessità e perciò fondato nella sicurezza!

Infine il mondo che ora emerge ha un carattere di più grande mobilità, plasticità, potenzialità di quanto non apparisse nella precedente immagine.22

22 I vari elementi sin qui descritti si sovrappongono l'uno all'altro; pure questa non è un'obiezione contro il quadro che dobbiamo tracciare. Essi presentano diversi aspetti di una sola ed identica cosa: la caratteristica forma aggregata, se così si può dire, della esistenza futura; il modo di costruirsi e di muo-

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Si potrebbe mostrarlo da diversi indizi. Ne accenniamo uno. Il corpo umano era fino ad ora considerato come un sistema chiuso, che si costruiva partendo da se stesso, era mosso dai propri impulsi e determinato dalle proprie leggi: questa era l'immagine del corpo della scienza materialistica, biologistica. In questa corporeità chiusa, il singolo, preoccupato di problemi teorici o pratici, quando lo riteneva giusto, cercava di collocare l'anima, lo spirito e alla domanda sul come si stabilisca il rapporto fra l'anima ed il corpo rispondeva per lo più attraverso il concetto di un duplice ordine. Tali concezioni si modificano radicalmente. L'immagine del corpo umano perde la sua solida compattezza. Appare come qualche cosa di vivo e di mobile; quasi un accadimento che continuamente si ripete. E questo accadere viene determinato dall'anima. Più esattamente: l'uomo sembra attuarsi nella tensione fra due poli, quello materiale e quello psichico e spirituale.23 Ne da testimonianza la conoscenza sempre più efficace del carattere psicosomatico di tutti i fenomeni del corpo, ed in particolare della malattia e della salute. Ma nella stessa dirczione sembra orientato anche un concetto che appare espresso con piena coscienza e sviluppato in program-

versi, che crediamo di vedere nella futura immagine del mondo.

23 Non ci occupiamo qui dei problemi che sorgono a proposito della concezione di questi due « poli »• e del pericolo di un nuovo monismo.

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ma da Nietzsche: quello dell'allevare. Nietzsche afferma che attraverso misure appropriate si può influenzare la vivente sostanza dell'uomo. Non possiamo discutere qui se ed in quale misura ciò è possibile; tuttavia la teoria mostra che l'uomo vivente viene sentito come qualche cosa di molto più mobile e potenziale che nel passato. Ma appunto per questo assai più esposto al pericolo.

Appena la nostra attenzione ha individuato in un punto questo carattere, lo ritrova ovun-que nell'immagine del mondo che si va trasformando. Dappertutto si vede che le cose sono molto meno solide, molto più mobili, più affidate all'iniziativa dell'uomo, di quanto non si pensasse nel XIX secolo.

Da quanto detto — ed altro si potrebbe aggiungere — si arriva ad un'ultima conclusione : alla consapevolezza della responsabilità dell'uomo.

Sotto la moderna concezione della natura stanno motivi complicati. Anzitutto la volontà di essere liberi per esercitare in modo autonomo il dominio sul mondo; il che significherebbe di conseguenza che l'uomo, padrone di sé, assumerebbe anche una vera responsabilità della sua azione. Ma non esiste responsabilità autonoma di un essere finito : qui l'uomo avanza delle pretese su ciò che appartiene solo a Dio. Perciò quella responsabilità viene assunta, anche se soltanto in apparenza, fintantoché nel

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mondo risuona ancora un'eco del messaggio cristiano della creazione e del governo di Dio. Ma in realtà è già pronto il concetto che rias-sorbe in sé la effettiva responsabilità del mondo, e precisamente il concetto di una natura che è tutto in tutto, infinita ed eterna e abbraccia perciò anche l'uomo. E l'uomo, sia pure attraverso vie indirette, empiriche e metafisiche, una sola cosa ha da fare: inserirsi in essa.

Le diverse teorie razionalistiche, evoluzioni-stiche, sociologistiche non fanno che costituire il fondamento più o meno scientifico di questa volontà fondamentale. La libertà autentica è garantita solo nel porsi di fronte a Dio sovrano e personale; così come un'autentica responsabilità solo attraverso Lui è resa possibile ed impegnativa. Una natura che tutto risolva in se stessa sopprime al contrario e libertà e responsabilità. Nonostante l'apparente autonomia dello spirito, sarebbe essa a determinare la storia e ne rappresenterebbe al tempo stesso la garanzia; ma ciò si rivela sempre più falso. Non la natura, ma l'uomo determina le cose. E non per una necessità che farebbe di lui una specie di seconda natura, ma per la libertà. La coscienza di ciò si fa strada nei campi più diversi. Ne è esempio caratteristico l'esistenzialismo estremo, che capovolge in libertà radicale l'antico determinismo, rimanendo altrettanto estraneo alla realtà. Tutta la sostanza della verità si dissolve e l'uomo resta in balìa di un puro arbitrio; il che significa che tutto diviene assurdo.

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Nulla da aiuto all'uomo: egli deve volgersi nuovamente alla verità, tornare indietro, ovvero proseguire avanti; comunque si voglia chiamare la direzione in cui si deve attuare la metànoia che porta a salvezza. L'uomo non può trovar riparo nelle leggi astratte della natura e della storia, ma deve lui stesso impegnarsi, e qui è la speranza del futuro. Sembra che ciò sia in contraddizione con le teorie più disparate; formule universali e storicismo dialettico. Ma chi è preparato intellettualmente e moralmente deve accettare il fatto su cui si fonda ogni futuro sviluppo : che l'uomo è il responsabile del corso della storia e di ciò che diviene l'esistenza del mondo e dell'uomo stesso. Egli può agire bene o può errare, e per far bene deve essere nuovamente pronto a quella condotta che già Fiatone aveva riconosciuto come il compendio del dovere umano: la «giustizia», ovvero la volontà di riconoscere l'essenza delle cose e di fare ciò che è giusto di fronte ad essa.

In quanto siamo venuti dicendo è amorato già più di una volta il concetto di « governo ». Se il mio giudizio è esatto, è questo il punto di riferimento pratico verso cui confluiscono le linee della futura immagine del mondo. Cerchiamo di porlo in luce con più evidenza.

Il quadro che abbiamo tracciato mostra un mondo che non scorre da se stesso, ma deve essere guidato. In esso l'uomo non è posto al riparo, ma deve osare con la propria iniziativa;

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Questo mondo esige perciò l'uomo che è capace di « governarlo ».

Un tale concetto si è corrotto, come tanti altri concetti essenzialmente vitali. Quando l'uomo di oggi sente questa parola, pensa probabilmente ad un impiegato che lo ostacola; ad un rappresentante della statalità totalitaria che lo offende; ad uno specialista che compie una qualche operazione necessaria nel complesso del mondo sociale ed economico, operazione di cui egli non comprende nulla e davanti alla quale è pertanto diffidente. Di lontano, infine, emerge dai ricordi storici l'immagine ormai estranea dell'antico signore, che aveva un'autorità di origine divina, ma garantiva anche, con la sua responsabilità, la giustizia e il benessere. Una evoluzione estremamente problematica ha condotto da quella immagine alle varie forme con cui, in base alla teoria moderna, il « popolo » nel suo proprio « nome » decide del suo pro-' prio destino.

L'educazione ai compiti politici — intesa la parola nell'antico significato di rapporto con la res p-ublica — deve oggi superare un tale concetto. Ciò che si intende qui per « governare » è una posizione umana, morale e spirituale. Contiene anzitutto la coscienza del come il mondo futuro sarà e del come esso è affidato all'uomo, a ciascun uomo nel posto che occupa. A ciò si aggiunge il sapere quale immensità di potere sta a disposizione dell'uomo. E la coscienza che un tale potere può essere tenuto a freno solo

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dalla responsabilità. Nessun paragrafo di costituzione, nessuna alta corte di giustizia, nessuna autorità può essere di aiuto, se l'uomo medio non sente che la res publica, il bene comune di una esistenza umana libera e dignitosa, è affidato nelle sue mani. Di qui nasce la fedeltà alle cose: il riconoscere che è un delitto l'assegnare le singole cariche in base all'ambizione, al vantaggio, alla tattica di partito; mentre si tratta solo di sapere quale è il lavoro da svolgere, e chi lo svolge, perché l'uomo adatto sia assegnato al posto adatto. Poter governare significa dunque essere superiore; vedere la molteplicità e la reciproca dipendenza degli elementi attivi;

ritrovare sempre quella misura così minacciata, su cui dovrà poggiare non solo il benessere, ma resistenza di tutti.24

IV

La struttura del mondo, quale dovrebbe essere e di cui abbiamo cercato di tracciare alcuni lineamenti, molto generali, non nasce sulla base di necessità oggettive, in una specie di processo cosmico-storico, ma viene creata dall'uomo. Tale creazione non procede solo da riflessione razionale e dalla volontaria determinazione della

24 Solo in questo atteggiamento e non in qualsi-voglia dogma di uguaglianza consiste ciò che si può chiamare davvero « democrazia ».

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mèta, ma ciò che è oggettivamente voluto deve farsi operante in colui che agisce.

Più esattamente: una effettiva immagine del mondo deve essere contemporaneamente operante all'interno ed all'esterno, insieme immagine di un lavoro ed immagine dell'uomo. E si solleva perciò il problema di sapere come sarà l'uomo che deciderà dell'epoca futura. Quali i suoi impulsi e la sua condotta. Si può dire qualche cosa attorno a ciò.

Se prescindiamo da coloro che sono ottimisti per una felice vitalità o per una salda ideologia, ci imbattiamo dappertutto in una profonda preoccupazione. Essa riguarda anzitutto le concrete possibilità storione e politiche; ma al di là di queste riguarda qualche cosa di fondamentale : è veramente l'uomo all'altezza della sua propria opera? Nel corso degli ultimi cento anni egli ha sviluppato il potere in una misura che va al di là di tutto quello che si poteva supporre. Questo potere si è in gran parte oggettivizzato : in conoscenze e procedimenti scientifici, i quali suscitano sempre nuovi problemi; in strutture politiche che sono in movimento verso il futuro; in schemi tecnici che incalzano per la loro propria dinamica; ed infine, ed anzitutto, nella logica propria degli atteggiamenti spirituali, intellettuali dell'uomo stesso. Ci si domanda, con preoccupazione, se l'uomo è capace di piegare a sé tutto questo e farlo in modo da poter conservare il suo onore,

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e portare frutto ed avere gioia; e si fa strada il sentimento che l'uomo, quale è oggi, non è in grado di farlo. Le sue opere ed i loro effetti sono saliti al di sopra di lui e si sono resi indipendenti. Hanno assunto un carattere extraumano, cosmico, per non dire demoniaco, che non può più essere guidato umanamente.

Non si può contestare che tale sentimento sia in parte esatto. Ognuno conosce degli uomini che in concreto non sono più capaci di dominare l'avvenimento, il lavoro, la forma di vita che da essi si sviluppa e vi soggiacciono col sentimento di essere degli estranei, anzi di essere in balìa degli avvenimenti. Esiste un gruppo di uomini, e non pochi, nati in un periodo precedente a quello che scorre fra le due guerre mondiali. A taluno di essi riesce di riservarsi uno spazio di vita entro cui resistere. Altri sono almeno capaci di crearsi un loro mondo intcriore di ricordi, di libri, di opere d'arte. Nel complesso essi sono degli inferiori. Ma questo non è tutto e forse si rivelerà qui qualche cosa che va al di là del destino di una generazione che appartiene al passato. Forse lo sviluppo del potere umano, con la sua oggetti-vizzazione dimostra che l'uomo ha cessato di stare nella storia come soggetto ed è ormai un semplice tramite di processi che si sottraggono al suo raggio di azione; non è più lui a reggere il potere, ma dal potere viene egli stesso governato?

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Se si dovesse raffrontare l'uomo in genere con l'uomo che vive oggi, la risposta al nostri interrogativi sarebbe quanto meno assai perplessa. Ma di contro ad essa si annuncia una speranza, il cui contenuto non è facile definire.

Da un lato essa ha una forma puramente religiosa e si esprime nella fiducia che Dio è più grande di tutto il processo del mondo. Egli tiene quel processo nelle sue mani, e perciò la sua grazia può ad ogni momento operare in un mondo la cui norma esemplare non è il funzionamento della macchina, ma la creazione dello spirito vivente.

Un'altra speranza si volge al grembo profondo della storia. Abbiamo già detto che l'in-terpretazione meccanicistica dell'esistenza è fallita. Certo ogni accadimento ha una propria causa, ma accanto alle cause meccaniche esistono le cause creatrici, e accanto alle cause che scorrono entro la necessità esiste anche la causalità spontanea.25 Essa opera già nel campo della biologia e della psiche e diviene decisiva nella storia. Nulla è più lontano dalla realtà del concetto di un processo storico che si svolge secondo necessità. Al di là di quel processo non sta una conoscenza, ma una volontà. Questo dovrebbe essere ormai chiaro agli occhi di chi è capace di apprendere dagli avvenimenti; poiché questa volontà ha assunto l'aspetto di una in-

25 guardimi, Libertà, grazia, destino, Morcellia-na, Brescia 1957, p. 88 ss.

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lamia metafisica. In realtà non si può calcolare e. priori il eorso della storia, ma solo accettarlo ovvero determinarlo. La storia ricomincia nuovamente ad ogni istante, in quanto viene continuamente decisa nella libertà di ogni uomo, ma anche in quanto emergono dal suo fondo creatore nuove figure e nuove forme di accadimenti. Perciò quella speranza si orienta ad attendere il sorgere di una nuova realtà umana, che sia al livello dell'immensità del potere che l'uomo ha sino ad oggi esercitato e che non sa più dominare.

Nello spirito del concetto moderno di personalità si sarebbe detto che si spera nel grande uomo; nel genio capace di realizzare una padronanza del potere che possa a tutti servire di modello. Ma al solo pronunciare tale pensiero vediamo quanto esso sarebbe romantico per noi. La situazione odierna ha bisogno non del grande singolo, ma di una nuova struttura umana. Con ciò non si intende qualche cosa che è frutto di fantasia, ma qualcosa che si è sempre ripetuto nella storia. Al caos della migrazione dei popoli, durato per mezzo millennio, mise fine un tipo di uomo di cui si può dire ugualmente che fu il creatore e fu il risultato del Medio Evo. Quando egli ebbe avuto il suo tempo e fornito la sua opera, un nuovo tipo si presentò. Ed è l'uomo che è stato protagonista dell'Epoca moderna e ha scatenato quel potere immenso che diviene un pericolo oggi per noi. Egli non ha fatto che scatenarlo, ma esistenzial-

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mente non è alla sua altezza e lo si riconosce già nel modo con cui cerca di giustificare, sotto i pretesti dell'utilità e del benessere, l'immensità del suo dominio sulla natura e sull'essere umano.

Da qui la speranza che sia in divenire un uomo che non soggiaccia alle forze scatenate, ma sia capace di ricondurle nell'ordine. Che sia capace non soltanto di esercitare un potere sulla natura, ma anche un potere sul proprio potere, ordinandolo al senso della vita e dell'opera dell'uomo; che apprenda ad essere «reggitore», impedendo che ogni cosa crolli nella violenza e nel caos.

Dire a questo proposito cose più esatte, senza cadere nella fantasticheria è difficile. Si devono andar raccogliendo un po' dappertutto, indizi, speranze, tentativi, linee di sviluppo interrotte da errori ed abbracciarli in una visione unitaria.

Il quadro che ne risulta è utopistico; ma ci sono due specie di utopia. L'una è un giucco ozioso della fantasia; l'altra invece è una proiezione anticipata di ciò che sta sopravvenendo. E questa ha avuto grande importanza nella storia. Una ricerca che parta da un puro non-sa-pere e non-avere è impossibile; si può cercare solo quello che in una certa maniera si è anticipatamente acquisito. L'utopia è lo sforzo di portare all'aperto, in immagini e programmi, perché possa essere efficacemente cercato, ciò

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che è ancora nascosto e si apre la strada nel divenire della storia.

Come dovrebbe apparire dunque il tipo umano che dobbiamo cercare, o il cui divenire è oggetto della nostra speranza?

Dovrebbe anzitutto avere un rapporto originario col potere.

Questo uomo deve sapere ed accettare che il senso della cultura del futuro sia non il benessere, ma il dominio; adempimento del compito che Dio ha imposto alla natura dell'uomo. Deve risultarne non una universale assicurazione, ma una struttura in cui il senso di questo dominio si esprima nella sua grandezza. Il borghese non ne ha voluto sapere, ne ha avuto paura, lo ha considerato fondamentalmente ingiusto. E perciò ha usato con cattiva coscienza del potere di cui in effetto disponeva, dissimulandolo sotto i pretesti della sicurezza, dell'utilità, del benessere. Egli non ha perciò elaborato ne un autentico ethos, ne uno stile del dominio, ma si è sempre ritirato indietro nell'anonimo. L'uomo che ora intendiamo, mette decisamente al secondo posto l'utilità, la sicurezza e il benessere e pone al primo posto la grandezza della struttura del mondo che oggi si impone.

Perciò si aggiunge un secondo elemento: un rapporto originario con la tecnica.

L'uomo che l'ha creata non l'ha accolta nel suo sentimento vitale.

Nel diciannovesimo secolo, il proprietario di

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una grande industria che si costruiva una casa, costruiva un palazzo od un castello feudale. La gioventù nata fra le due guerre la pensa diversamente. Presenta un tipo di uomo i cui sentimenti sono all'unisono con la tecnica. Il movimento della sua vita scorre entro le strutture tecniche in un modo che sbalordisce chi abbia un diverso orientamento. E perciò gli è consentita, nell'uso di quelle strutture, l'impassibilità necessaria a quel superamento di cui stiamo parlando.

Ma l'uomo cui qui alludiamo ha anche il senso profondo del pericolo che nasce dalla situazione generale. Da Hiroshima in poi noi sappiamo di vivere all'orlo della rovina e sappiamo che continueremo a vivere così fino a che dura la storia. L'uomo del nuovo tipo sente questo pericolo. E naturalmente lo teme, ma non soggiace alla paura, l'atmosfera del pericolo gli è familiare.26 Egli la conosce, le si pone davanti. Ed essa rappresenta persino un carattere di grandezza intimamente avvertito. A questo

26 Sarebbe importante poter stabilire se il sentimento di angoscia che domina il nostro tempo è avvertito da tutti, ovvero soltanto o prevalentemente da coloro che strutturalmente hanno le loro radici al di là del confine fra le due epoche. Con ciò non è detto che chi stia al di qua di tale confine non si senta minacciato dai pericoli politici, economici, sociologici. Ma questo non è ancora il paralizzante disagio, che distrugge il modo d'essere o di concepire e afferra l'uomo, il quale non sente più il mondo come la propria casa.

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orientamento ci richiamano anche il rifiuto del borghese a rifugiarsi entro le previdenze calcolate in anticipo e quei mutamenti nel rapporto con la proprietà e l'abitazione, dei quali abbiamo già parlato; e allo stesso orientamento richiamano alcune tendenze della nuova arte, della filosofia, ecc. L'uomo a cui alludiamo ha il potere di vivere nel pericolo, od almeno sente il compito e la capacità di impararlo.

E — questo sarebbe un ulteriore elemento del quadro — senza prenderlo come un'avventura: piuttosto con la coscienza di essere responsabile del mondo.

Egli si è liberato del dogma moderno che tutte le cose tendono per proprio conto al meglio. Per lui non esiste più l'ottimismo della fede nel progresso; egli sa che altrettanto facilmente, anzi più facilmente le cose possono volgere al peggio. Egli sa che il mondo è nelle mani della libertà; ne sente perciò responsabilità. E amore, un amore particolare: proprio perché il mondo è lanciato allo sbaraglio ed è distruttibile. Al sentimento del potere e della sua grandezza, alla familiarità con la tecnica ed alla volontà di farne uso, al fascino del pericolo si mescola una benevolenza, anzi una tenerezza per questa esistenza finita e così minacciata.

Fa parte di questo quadro il sentimento di imperativi assoluti. L'uomo futuro è decisamente illiberale, ciò non significa che egli non ha il senso della libertà. Secondo l'atteggia-

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mento « liberale » non si può introdurre nella vita alcun elemento assoluto, poiché esso genererebbe subito Vaut-aut e perciò la lotta. Si dovrebbe invece dire che si possono considerare le cose in un determinato modo, o anche in modo diverso. La cosa principale sarebbe la « vita » ed il vivere in pace gli uni con gli altri; i valori e le idee invece riguarderebbero solo le opinioni personali. E comunque, se ciascuno avesse piena libertà di agire, tutto si accomoderebbe... Ma l'uomo che ora abbiamo in mente sa che un simile atteggiamento non ha saputo mantenersi all'altezza della situazione esistenziale in evoluzione. In essa non ci troviamo di fronte a -sottigliezze e complicazioni, ma a qualcosa di assoluto: dignità o asservimento : vita o morte:

verità o menzogna; spirito o violenza.

Questo uomo sa comandare ed obbedire. Sa che cosa è la disciplina. Non come passivo adattamento, ma nella responsabilità della coscienza, nel rispetto della persona. È questo il presupposto per il compito più grande che egli deve assolvere: ristabilire una autorità che rispetti la dignità umana; creare un ordine in cui la persona possa esistere. La capacità di comandare e quella di oboedire sono andate perdute nella misura in cui la fede ed il dogma sono scomparsi dalla coscienza degli uomini. Al posto della verità assoluta è subentrata la « parola d'ordine»; al posto del comando la costrizione; al posto dell'obbedienza la rinuncia a se stessi. Si deve nuovamente scoprire che cosa

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siano comandare ed obbedire. E questo è possibile solo se si riconosca nuovamente una sovranità assoluta, dei valori assoluti, cioè se Dio viene riconosciuto come norma vivente e punto di riferimento dell'esistenza.

Solo partendo da Dio, in definitiva, può l'uomo coerentemente comandare e solo guardando a Lui può obbedire.

Questo uomo ha un rinnovato senso per l'ascesi. Sa che non esiste dominio che non sia insieme dominio su di sé. Non si può costruire alcuna forma se colui che costruisce non è egli stesso formato. Non esiste grandezza che non poggi sul dominio di sé e sulla rinuncia. Gli impulsi inferiori non sono nell'ordine, ma devono venire padroneggiati. Il credere nella sedicente bontà della natura è viltà. È un distogliere lo sguardo dal male che è in essa assieme al bene; e il bene stesso finisce col perdere la sua serietà. A quel male si deve resistere e questa è ascesi. L'assolutezza dell'autentico imperativo, che non procede dalla violenza, ma dalla autorità valida, e quella dell'autentico obbedire che procede non dall'abbandono di sé, ma dal riconoscimento di un effettivo potere, possono realizzarsi solo quando l'uomo si solleva al di sopra della immediatezza dell'istinto e della inclinazione. L'uomo a cui pensiamo impara nuovamente la forza liberatrice della vittoria su di sé: riconosce che la sofferenza intcriormente accettata trasforma l'uomo, e che ogni crescita essenziale non dipende solo dal lavoro,

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ma anche dal sacrificio liberamente offerto.

Affine è quel cameratismo da uomo a uomo, di cui vediamo gli indizi in molte parti. Non la mancanza di distanza della caserma e dell'accampamento. E neppure quel residuo di ethos che ancora rimane quando i compiti della vita hanno perduto il loro senso, e si sono smarriti la fiducia, la magnanimità, la gioia. Ma invece il senso immediato di solidarietà che unisce quelli che sono accomunati dallo stesso lavoro e dallo stesso pericolo. La naturale disposizione all'aiuto reciproco ed alla integrazione nel lavoro.27 Anche questo atteggiamento ha qualche cosa di assoluto, in quanto sta al di là di tutti i legami particolari del sangue e della simpatia.

Da quanto detto risulta ben chiaro che non si tratta di una varietà dello spirito soldate-sco. Il tipo che qui intendiamo può impersonarsi altrettanto bene nel soldato e nel prete, nel commerciante e nel contadino, nel medico e nell'artista, nell'operaio e nello scienziato ricercatore. E non deve neppure essere considerato esclusivamente dal lato della durezza, nel modo in cui una volta si parlava di « volontà fanatica », di a accanimento selvaggio », di « impegno brutale ». L'uomo che parlava così, era in realtà debole. Era violento a causa della sua propria insicurezza, brutale per la meschinità del suo

27 II concetto di vicinato, che, da qualche tempo acquista rilievo, è collegato a questo. Anch'esso crea un dovere di aiuto, al di là delle antipatie e simpatie personali.

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cuore. E se si dava il caso che non temesse il pericolo e la morte, era perché ai suoi occhi non aveva valore lo spirito. La forza a cui pensiamo proviene dallo spirito, dal libero donarsi del cuore, e perciò da essa può discendere tutto ciò che si chiama rispetto, magnanimità, bontà, delicatezza, intimità, ecc.

Dobbiamo ancora accennare ad un ultimo elemento di questa immagine dell'uomo: al suo atteggiamento religioso.

Se la possibilità del dominio sul mondo viene sentita così come si è accennato in queste pagine, potrebbe derivarne una volontà di azione e di dominio del mondo totalmente concreta e terrestre, che rifiuti come un ostacolo ogni metafisica. Ma anche in tale caso la grandezza del compito indurrebbe l'uomo ad affrontare il reale con la massima serietà. E ciò porterebbe a riconoscere che il dominio del mondo può essere raggiunto solo per il tramite della verità e perciò in obbedienza alla natura delle cose.

In questa lealtà sarebbe contenuta anche l'occasione di un'autentica religiosità. Chi considera la realtà senza pregiudizi riconosce facilmente che la finitezza dell'essere coincide con il fatto che esso è creato; può intendere il carattere di rivelazione contenuto in ogni essere e di qui giungere ad una decisa accettazione della Rivelazione biblica.28 Di qui deriverebbe

28 Cfr. guardini, Die Sinne und die religiose Erkenntnis, Werkbund Verlag, Wurzburg 1950.

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una religiosità affatto priva di sentimentalismi e realistica nel pieno senso. Essa non si muoverebbe più entro la frammentarietà dell'interiorità psicologica o dell'idealismo religioso, ma entro la realtà, che, essendo integrale, è anche creata da Dio e da Lui conservata e intimamente governata dalla Sua volontà.

In una tale chiarezza questo uomo sarebbe anche capace di penetrare al di; là di quella finzione che domina tutto lo sviluppo scientifico e tecnico: l'inganno della divinizzazione liberale della cultura, del totalitario perfezionamento del mondo, del pessimismo tragico, dei nuovi miti, della ibrida psicoanalisi, ecc. Egli vedrebbe che la realtà non è affatto così, che queste vie sono false, che l'uomo è diverso e diversa la logica inferiore della vita. Si può fondare una grande speranza sulla forza di questo leale indagare e riconoscere, che fa parte del nuovo realismo.

Questo uomo, ci pare, avrebbe anche la vitale occasione di comprendere il nocciolo misterioso dell'umiltà cristiana, quale abbiamo cercato di delinearla. Di vedere la forza trasformatrice che è in lui, vera esplosione intellettuale e spirituale dell'atomo dell'esistenza, e di trame energia capace di avviare la soluzione di quel groviglio dell'esistenza che sembra insolubile.

Da tutto questo potrebbe derivare qualche cosa di simile alla capacità di « governare » della quale abbiamo fatto parola.

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Così, o in modo analogo, si potrebbe tracciare il ritratto dell'uomo, verso cui tende il presentimento del nostro tempo.

Certo questo disegno non è sufficiente; si tratta di qualchecosa che deve ancora avvenire. Perciò quanto abbiamo detto è forse un'utopia, ma forse un'utopia giusta.

Ne deve sfuggire che qui abbiamo tracciato il profilo dell'uomo. Delineare quello della donna sarebbe compito della donna, a meno che l'uomo non prenda l'iniziativa di dire alla donna come lui la desidera. Non solo come la desiderano i suoi sensi, ma anche e soprattutto come la desidera il suo spirito, il suo cuore, che è il centro dell'uomo vivente. E dal canto suo la donna dovrebbe dire come vede il vero uomo. Non sarebbe una via cattiva. Un dialogo: forse in taluni punti esso è già in corso, nello scambio sociale, nella poesia, nel dramma, nell'arte figurativa. Solo che è sovente difficile distinguere ciò che è genuino dal malinteso, dal risentimento, dalla maniera, dalla moda, dalla falsa presunzione.

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POSSIBILITÀ DELL'AZIONE

Di fronte a questa situazione obiettiva, l'uomo minacciato vorrebbe sapere ciò che oggi può fare.

Importanti sono naturalmente anzitutto le decisioni della politica, sia interna che estera;

la risoluzione dei problemi economici e sociali;

la sistemazione dei profughi; lo sviluppo del sistema scolastico; il lavorare ai problemi posti dalla ricerca scientifica e dall'arte e così via. Ma nei limiti dello spazio a nostra disposizione non possiamo parlare di tutto questo.

Sembra piuttosto possibile dire qualcosa attorno a quel settore dal quale riceve la sua finale definizione ogni azione ed ogni acccttazione: la riflessione, il giudizio, la decisione personale ed anche i compiti educativi che di qui discendono.

L'uomo moderno, lo abbiamo già accennato, concepisce volentieri il corso della storia come un processo che si svolge in base ad una necessità. In tale concetto agisce ancora l'idea, an-

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che essa moderna, della natura, concepita come il dato assoluto. Se la natura è tale, allora anche ciò che in essa avviene è « naturale » e perciò giusto. È vero che la storia si definisce per

10 spirito, ma lo spirito, secondo questa concezione, appartiene anch'esso a quell'universo, la cui « giustizia » si esprime nel concetto di natura. E perciò nonostante gli errori, gli inconvenienti, le distruzioni singolarmente prese, anche il córso della storia è « naturale » ed è perciò sicuro e nell'ordine.

Una delle decisioni fondamentali circa il futuro consiste nel vedere se si riconosce che tale concezione è errata. L'uomo si definisce per lo spirito, ma lo spirito non è « natura ». Non vive e non agisce secondo necessità storiche o metafisiche, ma muove da un principio intcriore: è libero. In definitiva l'uomo è vivo e sano a causa del retto rapporto del suo spirito con la verità e la bontà, rapporto che egli può anche corrompere e negare. L'uomo non appartiene in modo assoluto al mondo, ma sta al suo limite, dentro di esso, ed insieme al di fuori, inserito nel mondo ed insieme capace di disporne, per

11 fatto che è in contatto immediato con Dio. Non con lo spirito universale, o col mistero del tutto, o con il fondamento primo, ma con il Signore sovrano, il creatore di tutti gli esseri, che lo ha chiamato e lo mantiene nella sua chiamata, ha affidato il mondo alla sua responsabilità ed esige che gliene renda conto.

Perciò la storia non si svolge da sé, ma vie-

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ne fatta. E può dunque prendere anche una dirczione sbagliata, non solo in singole decisioni, in singoli momenti e settori, ma anche in tutta la sua direziono e attraverso intere epoche. E noi Io sappiamo, o almeno lo intuiamo, pure in mezzo a tutta la sicurezza della nostra esattezza sperimentale e teoretica; ciò costituisce la particolarità della nostra situazione.

La concretezza del mondo, sempre più disponibile e utilizzabile, è affidata alla decisione dell'uomo; ma questi smarrisce sempre più il legame che lo vincola alle norme che discendono dalla verità dell'essere, alle esigenze di ciò che è buono e santo e le sue decisioni minacciano di divenire sempre più arbitrarie.

Perciò la risposta fondamentale alla domanda che ci siamo fatti più su dice che l'uomo deve riconoscere la piena misura della propria responsabilità ed assumerla. Ma per poter far questo, deve riconquistare il giusto rapporto con la verità delle cose, con le esigenze del suo io più profondo, infine con Dio. Altrimenti soccomberà al suo proprio potere e quella « catastrofe globale » di cui all'inizio si è parlato, diverrà inevitabile.

Dicendo che lo spirito non è definito da necessità naturali, ma deve agire in libertà, non s'intendeva dire che l'uomo deve egli stesso stabilire il senso dell'accadere. È significativo che tanto l'esistenzialismo estremo quanto lo Stato

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totalitario pensino così e pertanto si manifestino come i due poli opposti della stessa volontà fondamentale di esercitare il potere come arbitrio e perciò come violenza. In realtà ogni essere ha una propria forma significativa, da cui discende una norma di ciò che è possibile e giusto per l'uomo che agisce. E la libertà non consiste nel seguire l'arbitrio personale o politico, ma ciò che è richiesto dalla natura dell'essere.

Tutto ciò significa che si deve riconoscere l'orientamento delle modificazioni storiche descritte in queste pagine: il loro fondamento e i problemi che esse pongono. Un compito che la scuola e la scuola superiore devono assumere, se non vogliono trovarsi al di fuori del tempo.

A questo proposito hanno importanza anche quei tentativi di ricerca e di organizzazione, che si sono sviluppati in connessione con il lavoro pedagogico degli ultimi cinquant'anni e con i movimenti giovanili, dando luogo a settimane di studio, incontri estivi, accademie, ecc. Il luogo sociologico di quei tentativi sta fra scuola e scuola superiore, fra ricerca individuale e professionale. Perciò essi sono particolarmente adatti a rintracciare ciò che è in divenire e le autorità responsabili hanno ogni motivo di favorirli. Non attirandoli nel proprio influsso, poiché allora, per parlare chiaro, verrebbe meno la speranza insita nella libera ricerca, ma concedendo loro spazio, appoggio, collaborazione in forme che si dovranno trovare.

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Il tempo moderno è incline a mettere mano con metodi intellettuali ed organizzati al rinnovamento che si rivela necessario. Ma i compiti che oggi dobbiamo affrontare sono così immensi, che bisogna impegnarsi più in profondità.

Come la scienza ha cominciato a scomporre gli elementi della natura, qualche cosa di analogo deve avvenire nell'umano: l'uomo deve controllare i fatti elementari della sua esistenza. Se non lo fa, le cose si allontanano da lui, sempre più estranee. È assai diffusa l'opinione che la tecnica, l'economia, la politica, debbano avere un indirizzo « realistico » e si intende con ciò un modo di agire che non prende in considerazione i valori finali, il destino personale dell'uomo, i diritti di Dio. In realtà ciò è tanto poco « realistico » quanto lo è il considerare il fenomeno della malattia dal solo punto di vista corporeo, trascurando gli elementi psicologici e biografici. La medicina riconosce sempre più chiaramente in quale misura il corpo è sano o malato a causa dell'anima, e si può chiamare realistica solo quella diagnosi che tiene conto della realtà dello spirito e dell'anima. Qualche cosa di analogo vale anche qui. Ci sono già degli uomini, e forse non sono così pochi, di fronte ai quali, senza scherno e senza scetticismo, si può affermare che il problema consiste in una metànoia: un esame di tutta quanta la condotta della vita e una trasformazione del modo con cui uomini e cose vengono visti ed accolti. Sono questi gli uomini dai qua-

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li dipendono le decisioni future e ad essi si rivolge ciò che dirò in seguito.

Per parlare in modo tutto concreto, ci siamo resi ben conto di ciò che avviene quando un qualsiasi superiore affida un compito ad un dipendente... ed analogamente un qualsiasi insegnante insegna e tiene la disciplina... il prete rappresenta le cose di Dio... il medico cura un paziente... l'impiegato tratta col pubblico allo sportello, alla scrivania, nella sala d'aspetto... l'industriale dirige la sua impresa... il mercante bada ai suoi clienti... l'operaio fa il suo lavoro, il contadino amministra la sua fattoria e coltiva il suo campo? Ci siamo resi ben conto dello sviluppo concreto, dei sentimenti e degli atteggiamenti che si determinano, e dei sentimenti che li provocano, delle conseguenze, vicine e lontane, che ne discendono? Si rispetta la verità in tutto questo e si ha fiducia nella sua validità? Il diritto rimane intangibile diritto? L'uomo con cui si deve trattare, si sente rispettato ed accolto in un rapporto personale? Si fa appello alla sua libertà, a ciò che in lui è vivente e creatore? Ci si preoccupa che la cosa sia fatta come deve esserlo secondo la sua propria natura?

Non si dovrebbe obiettare che queste sono cose private, storicamente inoperanti, poiché non sarebbe vero. Ogni processo, anche il più travolgente processo storico, ha ad un certo punto la forma di una tale situazione; e la storia procede a seconda del modo in cui essa vie-

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ne superata. Ma qui è appunto l'aspetto inquietante del tempo presente: che queste cose non sono immediatamente comprensibili, in nessun senso... Certo anche nel passato la verità, il diritto, la dignità personale, il rapporto con la intima originalità dell'altro uomo non erano sempre, forse mai, rispettati secondo la regola;

ma erano almeno fondamentalmente riconosciuti. Si era inclini a tenerne conto ed il singolo, se i suoi sentimenti erano giusti, poteva ad ogni momento disporsi a tradurli in pratica. Tale stato di cose si è mutato e forma appunto l'oggetto del crescente «disagio della cultura»;

il sentimento che si sia infranta un'armonia. Perciò si deve riconoscere che non si tratta solo di questioni di morale privata, ma di questioni che investono il reale corso dela storia, la politica concreta, il successo o la rovina della nostra vita civile e culturale.

II

Facciamo il tentativo, non facile, ne molto soddisfacente, di accennare ad alcuni punti di vista pratici.

All'essenza di una proposta realmente pratica appartiene che essa sia attuabile, cioè che possa divenire concreta. Tentiamola dunque:

anche a rischio che possa suonare « moralistica ». In realtà anche i più freddi « realisti », la gente pratica, largamente libera da tutti i

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« pregiudizi » calcola che ci possa essere un numero notevole di persone che vivono della schernita «morale»; poiché sono esse e non gli « spiriti liberi » che reggono l'esistenza.

Dobbiamo dunque anzitutto renderci conto di quello che si chiama atteggiamento contemplativo, ma rendercene conto, non solo parlarne in modo interessante.

Dappertutto è azione, organizzazione e movimento, ma di dove vengono essi guidati? Da un di dentro che non sa più riconoscersi nel proprio intimo, ma pensa, giudica, agisce, partendo dalle zone periferiche della pura ragione, dalla volontà di raggiungere la mèta, dagli impulsi del potere, del possesso, del piacere. Che non ha più alcun contatto con la verità, col centro della vita, con ciò che è essenziale e permanente, ma si aggira fra le cose transeunti e casuali. Devono essere! ancora periodi nella sua vita, momenti nella sua giornata, in cui egli si arresta e col cuore aperto si pone di fronte ad un problema che durante il giorno lo ha toccato. In una sola parola: l'uomo deve nuovamente pregare e meditare.

Non si può dire in un modo generale come egli lo debba fare. Dipende dalle sue convinzioni fondamentali; dalla sua posizione religiosa, dal suo temperamento, dall'ambiente in cui vive.

In ogni modo egli deve liberarsi dall'assillo, divenire calmo e presente; aprirsi ad una parola di devozione, di saggezza, di nobiltà mo-

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rale attinta alla Sacra Scrittura, a Fiatone o a Pascal, a Goethe o a Jeremias Gotthelf.* Deve porsi di fronte alla critica che quella parola esercita su di lui, e partendo da essa esaminare uno dei problemi che la vita quotidiana gli pone. Solo con un atteggiamento così approfondito, si può conquistare una posizione di fronte ai poteri del mondo circostante.29

Dobbiamo inoltre porci nuovamente la domanda elementare circa l'essenza delle cose.

Già un esame fugace ci mostra in quale modo schematico noi le accettiamo, a quale punto siamo definiti dalle nostre convenzioni; con quale superficialità maneggiamo le cose, sotto il profilo del vantaggio, della comodità, del risparmio di tempo. Ma le cose hanno una propria natura e quando essa si corrompe o subisce violenza si irrigidisce e contro di lei non valgono più ne l'inganno ne la forza. La realtà si rinchiude e si sottrae alla mano dell'uomo. Gli ordinamenti escono dai loro ingranaggi. Gli assi della compagine economica, sociale, politica si arroventano. Delle cose non si può fare quello che si vuole, o almeno non lo si può fare in tutto il loro insieme e per un lungo periodo;

* Pseudonimo dello svizzero albert Brrzius (1797-1854), pastore, scrittore con intenti di educazione popolare (n. d. R.).

29 A questo proposito forse potrei ricordare il mio scritto Vorschuie des Betens (trad. it.: Introduzione alla preghiera, Morcelliana, Brescia I9602), il quale cerca di descrivere, partendo dalle premesse cristiane, la natura e le forme dell'atto elementare della contemplazione.

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si possono trattare le cose solo in modo corrispondente al loro essere, altrimenti si preparano delle catastrofi. Chi è capace di vedere vede come dappertutto si prepari la catastrofe di una realtà falsamente maneggiata.

Dobbiamo perciò avvicinarci ancora una volta alla natura dell'essere e domandarci: che cosa è il lavoro, considerato nel complesso della vita? Che sono la legge e il diritto, se devono essere un aiuto e non un impedimento? Che cosa è la proprietà, nella sua giustizia e nella sua ingiustizia? Che cosa è l'autentico comando e per quale via è possibile? Che cosa è l'obbe-dienza e come si concilia con la libertà? Quale è il significato della sanità, della malattia, della morte? Che cosa è l'amicizia ed il cameratismo? Quando l'attrazione verso l'altro può pretendere il grande nome di amore? Che cosa significa quell'unione di uomo e donna che si chiama matrimonio, e che a poco a poco si è così imbarbarita, che soltanto pochi sembrano averne una qualche idea, sebbene essa regga tutta l'esistenza umana? Esiste una gerarchla di valori? E quale è il più importante, quale il meno importante? quale indifferente? E così via.

Noi viviamo di queste realtà fondamentali, per esse, con esse. Le maneggiamo, le ordiniamo, le riformiamo, ma sappiamo che cosa sono? Evidentemente no, altrimenti non potremmo trattarle con tanta trascuratezza. Dobbiamo dunque impararlo; e non solo per via razionale, ma in modo tale da giungere di fronte al

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loro essere, da lasciarci penetrare del loro significato.30

Inoltre dobbiamo nuovamente imparare che il dominio del mondo presuppone il dominio di noi su noi stessi; come potranno gli uomini controllare l'immenso potere che cresce ininterrottamente fra le loro mani se non sanno formare se stessi? Come potranno prendere delle decisioni politiche o culturali, se vengono a mancare continuamente di fronte a se stessi?

C'è stato un tempo in cui i filosofi, gli storici, i poeti, consideravano la parola « ascesi » come espressione dell'odio medioevale contro la. vita, e difendevano l'etica dell'immediatezza e della vita esaurita nel godimento. Una tale concezione si è certamente mutata, almeno in coloro che sentono la responsabilità del proprio pensiero e del proprio giudizio. Ma facciamo bene a convincerci che mai nulla è diventato grande senza «ascesi»; e ciò di cui ora si tratta è qualche cosa di molto grande, anzi di decisivo. È il decidere se col nostro lavoro vogliamo attuare la sovranità a noi affidata in modo ch& essa conduca alla libertà o all'asservimento.

30 Un aiuto lo forniscono gli scritti sapienti e buoni di josef piepeh; Musse iind Kult (Miinchen 1948;

traduz. ital. " Otium " e culto, Morcelliana) e Das Schweigen Goethes (1951) sono piccoli capolavori. O anche otto fr. bollnow: Einfache Sittlichkeit (Got-tingen 1947). Senza dimenticare i libri apparsi già da tempo e mai superati di fr. W. foerster: Leben-skunde (1904) e Lebensfiihrung (1909).

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Ascesi significa che l'uomo tiene se stesso nelle proprie mani. Perciò deve riconoscere nel suo intimo il male ed affrontarlo in modo efficace. Deve ordinare i suoi impulsi fisici e spirituali, ciò che non è possibile senza il superamento di sé; deve educarsi a possedere in libertà i suoi beni e a sacrificare le cose inferiori a quelle più alte... Deve lottare per la libertà e la sanità del suo interno; combattere contro il meccanismo della réclame, contro il flusso delle sensazioni, contro l'invadenza molteplice dello strepito. Deve educarsi a stabilire delle distanze, ad acquistare un'indipendenza del giudizio, resistere contro ciò che « si » dice. La strada, il traffico, il giornale, la radio, il cinema impongono compiti di autoeducazione, anzi della più elementare autodifesa, che in gran parte non erano neppure sospettati, e tanto meno chiariti ed affrontati. Dappertutto l'uomo capitola di fronte alle forze della barbarie:

l'ascesi significa che egli non deve capitolare, ma combattere e al posto decisivo, cioè contro se stesso.31 Che egli deve crescere dall'interno,

31 Un solo, piccolo, ma impressionante esempio:

nel numero del 6 settembre 1951 lo » Zeit » di Amburgo annunciava che un « moderno autore di radiocomme-die, durante la notte aveva di nascosto calato un microfono dal suo appartamento esattamente di fronte alla finestra aperta della stanza da letto di una vecchia coppia, che abitava al piano di sotto. La radio della Germania nord-occidentale trasmetteva poi i litigi coniugali assieme ad altre istantanee della vita quotidiana, sotto il titolo « capriolo », poiché l'autore

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disciplinando e superando se stesso, e vivere così nell'onore, portando frutti proporzionati al senso della sua vita.

Inoltre, dobbiamo nuovamente porci l'interrogativo circa l'estremo punto di riferimento della nostra esistenza: Dio.

L'uomo non è così congegnato, da essere finito in se stesso e da potere, oltre a ciò, entrare o meno in rapporto con Dio, a seconda della sua opinione e del suo piacimento; la sua essenza consiste in modo decisivo nel rapporto con Dio. L'uomo non esiste che in quanto riferito a Dio, perciò il suo carattere viene defidi questa serie si chiamava « Capra ». Il fatto creò degli scrupoli nella stazione trasmittente, tuttavia erano scrupoli di carattere giuridico e non morale. Ed essi furono definitivamente superati, quando l'autore potè spiegare in modo degno di fede che tutte le per-.sone che di nascosto egli aveva spiato e le cui intimità aveva fissato « documentariamente 11 sul filo del magnetofono, avevano acconsentito, e persino per iscritto, alla diffusione ». Quale capitolazione! I motivi che furono addotti formano un problema a sé. Ma comunque, come dice l'autore dell'articolo, si tratta di una cosa » stupefacente e spaventosa » ; tanto più che il pubblico accettò il " gioco » senza protestare. Questo mostra a che cosa si trova disposto l'uomo inconsistente del nostro tempo. Non si ritrova già qui il totalitarismo, che fa dell'uomo un essere totalmente » pubblico » ? Vediamo che cosa significa qui l'ascesi? La lotta contro ciò che tradisce l'uomo in se stesso? Una lotta che non può venire condotta con morbido idealismo e con la fede nella bontà della natura umana?

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nito dal modo stesso in cui egli concepisce questa relazione, dalla serietà con cui la considera, dall'azione che, in base ad essa, egli compie. Questa è la situazione e nessun filosofo ne politico, nessun poeta ne psicologo può mutarvi nulla.

Davanti alla realtà non è bene fare come se non esistesse, poiché essa si vendica. Se gli istinti sono ricacciati o i conflitti non vengono risolti, si determinano le neurosi. Dio è la realtà che fonda ogni altra realtà, anche l'umana. Se non Gli si rende il Suo diritto l'esistenza si animala.

Ed infine: fare ogni singola cosa, così come essa deve essere fatta secondo la sua verità. Agire con fiducia, in libertà di spirito, al di là degli impedimenti intcriori ed esteriori, al di sopra dell'egoismo, dell'ignavia, del rispetto umano, della viltà. Non qualcosa di programmatico, ma ciò che di volta in volta è giusto, qui, ora: non permettere che un uomo iche è nel bisogno sia lui a pregarci, ma andargli incontro ed aiutarlo... condurre a termine una pratica d'ufficio come è richiesto dalla retta ragione e dalla dignità umana... affermare una verità, quando è il momento di farlo, anche se essa provoca contraddizione e risa... assumere una responsabilità quando la coscienza dice che è doveroso farlo, e così via.

Questo è un cammino che, percorso con onestà e coraggio, conduce molto lontano, nessuno

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sa quanto lontano, là dove si decidono le cose del tempo.

Può sembrare strano che la nostra meditazione, dopo aver posto interrogativi così vasti, sbocchi in un ambito così individuale.

Ma secondo il titolo del libro si doveva appunto intraprendere il « tentativo di un orientamento ». Che senso avrebbe sviluppare delle idee e trascurare il punto partendo dal quale quelle idee possono realizzarsi o fallire?

Ed al lettore non sarà sfuggito che non abbiamo voluto qui dare programmi o ricette, ma stimolare l'iniziativa da cui può procedere un fecondo lavoro.

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Premessa ......... pag. 7

La natura del potere ...... » 11

II concetto teologico del potere ... » 25

Lo sviluppo del potere ..... » 47

II nuovo volto dell'uomo e del mondo . » 73

Possibilità dell'azione ...... » 117

 

 

 

 

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