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ROMANO GUARDINI
IL POTERE
TENTATIVO DI UN ORIENTAMENTO
MORCELLIANA 1963
Titolo originale dell'opera:
DIE MACHT
Versuch eìner Wegweisung Werkbund-Verlag -
Wùrzburg 1951
Traduzione dal tedesco di MARISETTA PARONETTO
VALIEB
I* edizione italiana: 1954 I" ristampa: 1963
Tutti i diritti riservati in tutti i Paesi @
Copyright by Morcelliana - Broscia, 1963 Printed in Italy
La Nuova Cartografica - Broscia, 1963
PREMESSA
Ogni epoca storica si svolge entro tutta
l'ampiezza della vita umana e può quindi definirsi a
partire da ogni settore di essa. Tuttavia, lungo il corso della storia,
ora l'uno ora l'altro elemento dell'esistenza acquista un particolare
significato.
L'Antichità si è sforzata di scoprire l'immagine
dell'uomo armonico e dell'opera nobile e ne è risultato ciò che
esprimiamo con il concetto di classicità.
Il Medio Evo ha un acuto sentimento del
rapporto con Dio trascendente, ed è di qui, che si
desta lo slancio vigoroso dei giovani popoli occidentali.
Dall'altezza conquistata al di sopra del mondo, la
volontà cerca di riplasmare interamente quello stesso mondo e ne
risulta quel particolare incontro di fervore e di precisione
architettonica che caratterizza la rappresentazione medioevale
dell'esistenza. L'Età moderna, infine, si volge verso il mondo con
un realismo intellettuale e tecnico sinora sconosciuto.
L'immagine che essa si fa del mondo si esprime nel
potere sulla natura. Con l'indagine, la
programmazione, l'efficienza tecnica, in un processo
sempre più accelerato l'uomo si fa padrone delle cose.
L'epoca moderna è sostanzialmente giunta al proprio
termine. La catena di reazioni che essa ha provocato si prolunga ancora,
poiché evidentemente le epoche storiche non si contraddistinguono così
come le singole fasi di una indagine scientifica; mentre un'epoca
domina, già si prepara la successiva, e quella che l'ha preceduta
esercita ancora a lungo il suo influsso.
Nel Sud dell'Europa si trovano ancora oggi vitali
elementi classici, e in molti luoghi si incontrano forti correnti
medioevali. E nell'epoca che sentiamo avanzare da^ ogni parte e a cui
non possiamo ancora dare un nome, l'età moderna giunge alle sue ultime
conseguenze, sebbene ciò cheJcizJJuesta età moderna rappresenta
l'essenza, non determini, piuJ.'OM^ntìc^) carattere della pagina della
storia che sta per aprirsi.
La potenza dell'uomo è andata aumentando zrresistibilmente
e si può dire che solo ora essa entra nella sua fase critica.
Eppure, nel nostro tempo, non si aspira più in modo essenziale ad un
aumento del potere in se stesso. L'età moderna aveva accolto come
assoluta vittoria ogni aumento della potenza scientifica e tecnica; le_
sue conquiste le erano senz'altro apparse, come_ un progresso verso
realizzazioni più decise e verso una ricchezza di più elevati
valori dell'esistenza. Ma la certezza di questa convinzio-
ne è scossa: proprio qui si rivela l'inizio
dell'epoca nuova. Non 'pensiamo •più che aumento di
potere sia sinonimo di elevazione dei valori della vita. Il potere
ci appare problematico nella sua essenza e non soltanto nel senso della
critica culturale che si è esercitata lungo tutto il secolo XIX contro
l'imperante ottimismo e si è accentuata verso la fine del secolo. Nella
coscienza comune si fa strada il sentimento che il
nostro rapporto con il potere è errato; anzi che questo
potere in aumento è una minaccia
per noi. E la minaccia ha trovato nella bomba atomica
quella espressione che colpisce la fantasia e il sentimento di tutti,
divenendo simbolo di un qualchecosa di estremamente importante.
L'epoca, ' futura in definitiva non dovrà affrontare il
problema dell'aumento del potere, anche se esso aumenta continuamente e
a ritmo sempre più accelerato, ma quello del suo dominio. Il
senso centrale di questa epoca sarà il dovere di ordinare il potere
in modo che l'uomo, facendone uso, possa rimanere uomo. L'uomo
dovrà risolversi ad essere forte come uomo, quanto il suo potere è
grande come potere, ovvero soccomberà al suo stesso potere, e
rovinerà. L'avanzare della nuova epoca si rivela già nel fatto che
si possa parlare di una tale risoluzione, senza avere l'aria di
costruire utopie o •di moralizzare; nel fatto che ciò esprime un
sentimento che in tutti, più o meno, chiaramente si annuncia.
Ciò che abbiamo detto indica l'orientamento
delle considerazioni contenute in questo scritto.
Esse si riallacciano a quelle apparse lo scorso anno
sotto il titolo La fine dell'epoca moderna : alcuni punti
presuppongono quanto là è stato detto; altri lo sviluppano
ulteriormente. Perciò le due serie di pensieri si intersecano
continuamente, e vorrei chiedere venia per le inevitabili ripetizioni.
Ma vorrei al tempo stesso sottolineare che il presente scritto è un
tutto compiuto in se stesso.
Monaco, settembre 1951.
10
LA NATURA DEL POTERE
Cerchiamo anzitutto di farci un'idea chiara di che
cosa è « potere ».
Possiamo parlare di potere delle forze elementari della
Natura? Dire ad esempio che una tempesta, che un'epidemia, un leone
hanno potere? Certo no; a meno che non lo si dica in modo improprio e
figurato.
Siamo evidentemente di fronte a qualcosa, che è capace
di azione, capace di produrre un effetto; ma manca quell'elemento di
iniziativa a cui il pensiero istintivamente ricorre, quando parliamo
di « potere ». Gli elementi della natura hanno, oppure sono «
energia », non potere. L'energia diviene potere quando una coscienza la
riconosce, quando un essere capace di decisione ne dispone,
indirizzandola a determinate mète... Si può applicare quel termine
alle energie della natura solo in un determinato senso, quando vengono
dette « potenze », e vengono sentite come esseri misteriosi che
possiedono in certo modo una iniziativa personale. Ma una tale immagine
non appartiene alla nostra rappresentazione del mondo, bensì ad una
raffigu-
11
razione mitica, in cui l'esistenza consiste nelle
reciproche relazioni e lotte e congiungimenti di ! entità operanti.
Quelle potenze hanno carattere i religioso; sono, in modo più o meno
evidente, ' « divinità ».
Il termine acquista un significato analogo, meno
chiaro e meno esattamente consapevole, quando si parla della potenza del
cuore, del sentimento, del sangue, ecc. Anche qui si tratta di una
primitiva raffigurazione mitica delle iniziative divine o
demoniache, che si destano nel mondo inferiore dell'uomo e appaiono
indipendenti dalla sua volontà. Esse si travestono poi in concetti
scientifici, artistici, sociologici e vivono nella casa spirituale
dell'uomo moderno una loro vita strana ed occulta e densa insieme di
conseguenze.®
E d'altro lato ..un'idea, una norma morale ha potere?
Spesso lo si dice, ma impropriamente. 'Un'idea, una norma, in quanto
tale non ha potere, ma validità, poiché riposa in una tranquil-? la
oggettività; il suo significato risplende, ma ( non agisce di per
sé. Il potere è la capacità di mettere in moto il reale: l'idea,
per forza propria, non può farlo, lo può, e diviene allora
potere, _c[uando_J^uomo_rassumBJnella_^on^
C della sua vita, quando la congiunge al suo istin-
| ' Ciò diviene particolarmente evidente nella psi-'
oologia del profondo, in cui parecchi concetti appaio-* no affatto
alchimistici.
12
to e al suo sentimento, alle tendenze del suo sviluppo,
alle tensioni della sua situazione inferiore, ai compiti delle sue
azioni, agli orientamenti delle sue creazioni.
In senso proprio possiamo dunque parlare di potere
solo quando siano dati due elementi :
da un lato una vera energia, capace di modificare la
realtà delle cose, e di determinare le loro condizioni e le loro
reciproche relazioni;
dall'altro una coscienza che ne sia consapevole;
una volontà che stabilisca delle mète, una capacità
che disponga della forza per raggiungere quelle mète.
Tutto ciò presuppone lo spirito, quella realtà che
è nell'uomo ed è capace di sottrarsi alla immediata complessità della
natura e di disporre liberamente di essa.
II
II potere, come specifico fenomeno umano, esige di
avere un significato. Con ciò non s'intende soltanto che l'esercizio
del potere ha un suo proprio specifico significato, poiché ciò si
(può dire anche di una forza naturale, in cui (nulla vi è che non
abbia un senso. Il senso elementare della causalità, per cui nulla
avviene senza una causa sufficiente; e della finalità, per cui ogni
elemento del reale si ordina nel rapporto della parte al tutto, ed anche
il senso particolare delle varie forme e funzioni, che si
' J2- -^o ' -^c-b. ^ ^~- ;-^-
^"-^-'^-v^- ^3
ritrovano nei contesti fisici, chimici, biologici... Ma
la nostra affermazione è più ampia, dice che l'iniziativa, la quale
esercita il potere, da signi-' ficaio a quel potere stesso.
Il potere è pura disponibilità. Non sta come le
energie naturali in una necessaria catena causale stabilita a priori, ma
in tale catena viene inserito soltanto da colui che agisce. Le energie
del sole, ad esempio, operano necessariamente nelle piante determinate
trasformazioni biologiche: crescita, colorazione, ricambio, movimento,
ecc. Ma le forze dal cui impiego trae origine uno strumento, devono
essere a quel fine indirizzate dalla mano dell'uomo. Esse sono a
disposizione dell'uomo che le riconosce, le' inserisce nel suo piano, le
dirige allo scopo prefìsso. Ciò significa inoltre che le forze della
natura, in rapporto allo spirito che le utilizza, hanno in sé una
sorta di indifferenza. L'uomo può utilizzarle per la mèta
prefissa, la quale può essere costruttiva o distruttiva, nobile
o bassa, buona o cattiva. Tutto sta qui.
Non esiste dunque potere alcuno che abbia a priori
senso e valore. Esso riceve il suo senso attraverso l'uomo che ne prende
coscienza, che ne decide, che lo trasforma in azione, che ne assume
cioè la responsabilità. Non esiste potere senza correlativa
responsabilità. Esistono le energie irresponsabili della natura, o
meglio le energie che operano nell'ambito della necessità naturale e
non in quello della responsabilità.
14
Ma non esiste un irresponsabile potere dell'uomo.^
Esso .è sempre azione, o almeno permissione,. e come
tale una istanza umana, una persona, ne assume la responsabilità. È
così anche quando l'uomo non vuole assumere questa responsabilità.
Persino quando le cose umane sono a tal punto disordinate o falsamente
ordinate che non si può più invocare un responsabile.
Quando ciò avviene, e alla domanda « chi -ha fatto
questo? » non risponde ne un « io », ne un « noi », ne una
persona, ne una comunità di persone, l'esecizio del potere sembra
divenir simile ad un fenomeno naturale. E si ha l'impressione che
ciò avvenga sempre più di frequente, e che nel corso del processo
storico l'esercizio
2 Relativamente alla prima si è determinata nell'età
moderna una caratteristica confusione, ovvero è riapparsa una
confusione che si riscontra nel pensiero greco, ed in particolare
ellenistico e che era stata superata dal pensiero cristiano. Si sentono
continuamente frasi come » la natura ha disposto in modo che »;
« ciò contraddice alla volontà della natura », ecc. Tali frasi
sono senza senso. La natura non « vuole » assolutamente nulla. Di
essa si può semplicemente dire: entro il processo naturale di cui si
tratta, ciò deve essere così o così. Tutto il resto è lirica o
mitologia che non regge più. In realtà l'affermazione che la «
natura fa determinate cose » ha sostituito l'affermazione che « Dio,
il quale ha creato la natura, ha voluto quella determinata cosa ed
in quel luogo ». C'è dunque chi assume la
responsabilità anche delle energie della natura, e questo è, in
un modo creatore, Dio.
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del potere divenga sempre più anonimo. La progressiva
_statalizzazione_ dei fatti sociali, economici, tecnici, ed insieme le
teorie materialistiche che concepiscono la storia come un processo
necessario, significano, secondo il nostro punto di vista, il tentativo
di abolire il carattere della responsabilità accettata, di scindere
il potere dalla persona, e rendere il suo esercizio simile ad un
fenomeno naturale.^ In tal modo, il carattere essenziale del potere
come energia di cui una persona è responsabile, non viene
soppresso, ma solo corrotto. Ne nasce una condizione di colpa che si
attua poi in forme di distruzione;?1
3
Sembra che vi contraddica un momento che si rivela appunto in questo
processo: la dittatura. Nella misura in cui l'autentica responsabilità
viene sommersa, si rivela la tendenza a risolvere i problemi dell'azione
per mezzo di decisioni autoritarie, o più esattamente
arbitrarie. Ma, se si osserva più attentamente, si scopre che
l'autore di tali decisioni non sta in una posizione di autentica
responsabilità, ma si volge di volta in volta ad altri gradi superiori
da cui riceve ordini. La istanza suprema, al di là di qualsiasi
indipendenza del proprio agire, si riconosce come ese-cutrice di una
volontà collettiva. Se tale esecuzione non incontra più il
successo, il dittatore viene eliminato, così come egli stesso elimina
le istanze subordinate, appena esse rivelano una propria iniziativa. Ma
ciò significa che il dittatore non è più l'antitesi costruttiva della
collettività. Insieme essi cancellano la persona e formano il
soggetto anonimo della potenza.
4 Anche Nietzsche, attraverso il suo concetto
della n amoralità dell'agire », ha cercato di sottrarre l'esercizio
della potenza all'ambito della responsabilità — che è sempre
responsabilità morale — e di
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In sé il potere non è ne buono ne cattivo. ma riceve
il proprio senso solo dalla decisione di colui che lo esercita. Per
sé, esso non è neppure costruttivo, ne distruttivo, ma è pura possibilità
di tutto questo, poiché è retto"essen-zialmente dalla
libertà. Se non è la libertà a determinarlo, se l'uomo cioè non
vuole qualche cosa, allora nulla avviene, ovvero si ha una mescolanza di
abitudini, di impulsi incoerenti, di stimoli casuali, cioè un caos.
Il potere rappresenta perciò indifferentemente la
possibilità di ciò che è buono e positivo ed il pericolo di ciò che
è cattivo e distruttore. Tale pericolo cresce in diretto rapporto
con la misura del potere ed è ciò di cui noi oggi,_a^ volte con
subitaneità terrificante, siamo divenuti consapevoli. Il pericolo
può provenire inoltre dal fatto che del potere disponga una volontà
farne un fenomeno naturale di grado più elevato, davanti
alla cui forza invitta la coscienza dell'obbli-
gazione morale appare quasi come malattia. Qui la
trasposizione avviene in modo più sottile che nel col-lettivismo.
Anzitutto essa mantiene l'iniziativa del singolo. Ma costui sta « al
di là del bene e del male » ; è pura forma creatrice che procede da
se stessa. Perciò egli, come singolo, diviene una « natura
" in cui agiscono le energie della terra, del mondo,
dell'universo. In verità egli è, ineliminabilmente, persona, e come
tale, per la sua stessa natura, è situato entro l'obbligazione morale.
E perciò quella pretesa equiparazione alla natura è solo apparenza, e
diserzione.
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'")8T~^. co-^'c.i.<-^_ .. . e-
\ che ha un orientamento morale falso, ovvero p, j
non sente più alcuna obbligazione morale.
Può anche avvenire che dietro di esso non ci sia più
alcuna volontà a cui ci si possa rivolgere, nessuna persona che
risponda, ma solo una organizzazione anonima, in cui ciascuno è
guidato e sorvegliato dalle istanze immediatamente contigue ed appare
perciò privato della propria responsabilità. Un simile pericolo
diviene parti-colarmente minaccioso, come lo constatiamo sempre di più,
quando a vista d'occhio si attu-tisce il senso della persona, della sua
dignità e responsabilità, il senso dei valori personali del-la
libertà, dell'onore, della originalità dell'agire e dell'esistere.
Il potere assume allora un carattere che non si può
individuare, se non alla luce della Rivelazione: esso diviene demoniaco.
Quando l'azione non è più sorretta dalla coscienza personale,
non è più assunta dalla responsabilità morale, un
vuoto singolare si determina in colui che . agisce. Egli non ha più il
senso di essere lui i, ad agire, il senso che l'azione cominci in lui e
;, che egli perciò ne deve rispondere. Sembra che \ egli non
esista più in quanto soggetto e che 'l'azione passi semplicemente
attraverso di lui, semplice anello di una catena.
Lo stesso avviene nei rapporti con gli altri:
r\ ), egli non può fare appello ad alcuna
autentica ' autorità, poiché questa presuppone la persona, la
quale con le sue facoltà sta direttamente di fronte a Dio e risponde di
sé davanti a Lui. Si
18
diffonde sempre più la sensazione che non ci sia
affatto un « qualcheduno », che agisce, che del-l'accadimento risponda
un qualchecosa di indonnito, che non si può in nessun luogo afferrare,
che non si presenta davanti a nessuno, che non risponde a nessuna
domanda. Il suo comportamento viene avvertito come necessario, il
singolo perciò vi si abbandona. Appare incomprensibile e perciò
misterioso e suscita, in forma corrotta, quel sentimento che
l'uomo deve ave-re davanti al destino, ovvero davanti a Dio.5
Il vuoto che si forma non doveL_.la__perspJia_ scompare,
poiché essa non può essere ne rigettata dall'uomo ne tolta all'uomo,
ma là dove essa viene ignorata, negata, violentata non si limita
a_rimanere tale: ciò significherebbe che in un certo modo l'uomo
diventa un essere naturale e la sua potenza una energia della natura. Il
che non è possibile. In verità quel vuoto rappresenta una infedeltà
divenuta atteggiamento permanente e là dove manca il padrone, si
avanza un'altra iniziativa, quella demoniaca. Nella sicurezza della
sua fede nel progresso, il secolo diciannovesimo ha deriso la figura del
demonio, diciamo più onestamente e più esattamente, di Satana; ma chi
è capace di vedere non ride. Sa che egli esiste ed è al lavoro. Certo
anche il nostro tempo non si pone di fronte alla sua realtà effettiva. Quando
parla di « demoniaco », come tanto spesso avviene, non c'è se-
s Cfr. kafka nei romanzi II processo ed II castello.
19
rietà nelle sue parole. Per
lo più sono vane chiacchiere; e dove se ne parla sul serio si esprime
una paura indistinta o si intende qualche stato psicologico, ovvero
qualcosa di simbolico. Quando la scienza delle religioni, e la
psicologia del profondo, il dramma, il film, il romanzo d'appendice
parlano di demoniaco, esprimono semplicemente il sentimento che ci sia
nella esistenza un elemento di disarmonia, di contraddizione, di
malizia, qualchecosa di estremamente incomprensibile e sinistro che
emerge con particolare evidenza in date situazioni individuali e
storiche ed al quale corrisponde una particolare angoscia. In realtà si
tratta non del « demoniaco ». ma di Satana. E chi sia Satana lo dice
in modo competente solo la Rivelazione.
Ili
A definire il potere è necessario infine un ultimo
aspetto : il suo carattere universale. Che l'uomo abbia un potere e nel
suo esercizio esperimenti una singolare soddisfazione, non è un
.aspetto eccezionale dell'esistenza, ma è connesso, o almeno può
essere connesso, alle sue attività ed alle sue condizioni abituali;
anche a quelle che a prima vista non sembrano avere alcun legame con il
carattere del potere.
È evidente che ogni atto dell'agire e del fare, del
possedere e del godere genera la coscienza immediata di disporre di un
potere.
20
Lo stesso si può dire di tutti gli atti vitali. Ogni
attività in cui si esplichi l'immediatezza vitale è esercizio di
potere e come tale viene avvertita... Analogamente si potrebbe dire
dell'esercizio del conoscere. Per sé esso significa la capacità di
penetrare dentro ciò che è con lo sguardo e con l'intelletto; ma colui
che conosce sperimenta la forza che dal conoscere gli deriva. Egli sente
di « divenire consapevole della verità », ed il sentimento ipuò
trapassare in quello di « essere padrone della verità ». A tale
sentimento appartiene anzitutto l'orgoglio del conoscere: tanto più
esso aumenta quanto più l'oggetto conosciuto appare lontano
dall'immediatezza pratica; si pensi alle parole di Nietz-sche suU'«
orgoglio dei filosofi ». L'obbedienza di fronte alla verità si muta
nella passione del dominarla, dell'esercitare una specie di legislazione
spirituale. La consapevolezza del potere congiunto alla conoscenza trova
l'espressione di un'efficacia immediata anche là dove trapassa in
magia.
I miti e le favole conoscono il sapere cui è unito il
potere. Chi conosce il nome di una cosa o di un uomo, ha potere su di
esso; basti pensare agli incantesimi, agli scongiuri, alle maledizioni.
In senso più profondo la potenza del sapere significa conoscenza della
natura del mondo, del mistero del destino, del corso delle cose umane e
divine. È quel sapere per cui gli dei che si trovano al governo del
mondo, sono padroni del mondo e che, nel racconto della tenta-
21
zione del Genesi, Satana interpola alle parole di Dio,
per confondere l'autentico senso della conoscenza del bene e del male.
Nelle favole una determinata parola vince il drago, scopre il tesoro
sepolto, libera l'uomo prigioniero dell'incantesimo.
Il sentimento del potere può persino congiungersi a
situazioni che sembrano contraddirlo: sofferenza, privazione,
inferiorità. Così ad esempio il malato diviene consapevole di
conquistare attraverso la sua sofferenza una conoscenza della vita più
profonda di quella concessa al sano; o l'inferiore dice a se stesso che
egli soggiace, perché è più nobile di colui al quale è arriso il
successo.
Persino il senso così tormentoso del complesso di
inferiorità è sempre collegato con una più o meno celata presunzione
: anche se si tratta semplicemente di un individuo che non è r
capace di mantenersi al livello dei criteri elevati che ha stabilito per
se stesso.
Ogni atto, ogni situazione, già il semplice fatto di
vivere, di essere, è direttamente, o per vie traverse, congiunto col
sentimento dell'esercizio del potere e della voluttà del potere. Nella
forma positiva genera la coscienza di essere padroni di se stessi, di
avere una forza; nella forma negativa diviene alterigia, vanità.
La coscienza del potere porta dunque in sé un carattere
assolutamente generale, ontologico. È espressione immediata
dell'esistenza, che può
22
volgersi in forma positiva o negativa, nella verità o
nella falsità, in ciò che è giusto e in ciò che è ingiusto.
Questo fenomeno trapassa così nella metafisica, o, più
esattamente, nella religione.
23
IL CONCETTO TEOLOGICO DEL POTERE
Per una più profonda conoscenza del potere è
importante ciò che la Rivelazione dice della sua natura.
Ne ritroviamo i presupposti, già all'inizio dell'Antico
Testamento, là dove si parla dell'essenziale destino dell'uomo. Dopo il
racconto della creazione del mondo, nel primo capitolo del Genesi si
legge : « Allora Dio disse : facciamo l'uomo a nostra immagine, simile
a noi, egli sarà il signore dei pesci del mare e degli uccelli in
cielo, del bestiame e di tutti gli animali selvaggi e dei campi e di
tutto ciò che striscia & si muove sulla terra! E Dio creò l'uomo a
sua immagine. Secondo l'immagine di Dio lo creò, Uomo e donna lo creò.
E Dio li benedisse e disse loro: Siate fecondi e moltipllcatevi e
riempite la terra e sottomettetela e siate i signori dei pesci del mare
e degli uccelli dell'aria e di tutti gli animali che si muovono sulla
terra! ».
E nella seconda narrazione della creazione si legge : «
Allora Dio, il Signore, formò l'uomo dalla terra, col fango, e gli
alitò un soffio di vita-
25
nelle narici; e così l'uomo divenne un essere vivente
» (Gen. 1, 26-28; 2, 7).
Per prima cosa, dunque, si dice che l'uomo
•è di natura diversa dagli altri esseri viventi. Egli
è creato come ogni essere vivente, ma lo è in modo particolare, e
precisamente secondo l'immagine di Dio. È fatto di terra, della terra
dove cresce l'alimento dell'uomo; ma vive in lui un soffio dell'alito
divino. È perciò inserito nel complesso della natura, ma al tempo
stesso sta in un immediato rapporto con Dio e può
•quindi prendere posizione di fronte alla natura. Può
esercitare il suo impero su di essa, anzi deve farlo, cosi come deve
essere fecondo e fare
•della terra l'abitazione della sua discendenza.
Il rapporto dell'uomo con il mondo viene ul-'teriormente
sviluppato nel secondo capitolo e precisamente dal punto di vista cui
abbiamo
•già. accennato, che cioè l'uomo deve divenire
padrone non solo della natura, ma anche di se stesso; deve avere forza
non solo per il lavoro, ma anche per la propagazione della sua propria
vita : « Allora Dio, il Signore, disse : non è bene
•che l'uomo sia solo. Io gli farà un aiuto che sia
•conforme a lui. Allora Dio, il Signore, formò
•dalla terra tutti gli animali dei campi e tutti gli
uccelli dell'aria e li portò all'uomo per vedere come li avrebbe
chiamati; e come l'uomo li avrebbe chiamati, quello sarebbe stato il
loro .nome. E l'uomo diede nome a tutte le bestie e a tutti gli uccelli
del cielo e a tutti gli animali feroci; ma non trovò fra di essi nessun
aiuto
26
che fosse conforme all'uomo » (Gen. 2, 18-20).
L'uomo riconosce quindi di essere essenzialmente diverso
dall'animale, e di non poter avere perciò comunanza di vita con lui, ne
di poter propagare per suo mezzo la propria vita.
E più avanti si legge : « Allora Dio, il Signore, fece
scendere un sonno profondo sull'uomo, così che egli si addormentò. E
prese una delle sue cestole e riempì il posto nuovamente di carne. E
Dio, il Signore, della cestola che aveva preso dall'uomo plasmò una
donna e la condusse all'uomo. E l'uomo gridò: Questa infine è ossa
delle mie ossa e carne della mia carne. Essa si chiamerà virago,
poiché è stata tratta dall'uomo. E perciò l'uomo abbandonerà il
padre e la . madre e aderirà alla sua donna e saranno un solo còrpo »
(Gen. 2, 21-24).
Questi testi, che riecheggiano attraverso tutto l'Antico
ed il Nuovo Testamento, dicono che all'uomo è stato dato potere sia
sulla natura sia sulla propria vita. E dicono inoltre che da questo
potere nasce una autorizzazione ed un dovere: esercitare un dominio.
In questo dono di potere, nella capacità di farne uso e
nell'imperio che ne consegue, consiste la naturale somiglianzà a Dio
dell'uomo. Si esprime qui l'essenziale distinzione e la pienezza di
valore dell'esistenza umana, ed è questa la risposta della Scrittura
alla domanda, donde si origini quel carattere ontologico del potere di
cui abbiamo più su parlato. L'uomo
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non può essere uomo ed oltre a ciò esercitare o meno
un potere; esercitare quel potere è essenziale per lui. A ciò lo ha
destinato l'Autore della sua esistenza. E noi facciamo bene a ricordarci
che nel protagonista del progresso moderno, anche nel protagonista di
quello sviluppo di potere umano che in esso si compie, e precisamente
nel borghese, agisce una fatale inclinazione: esercitare il potere in
modo sempre più fondamentale, scientificamente e tecnicamente perfetto,
e al tempo stesso non prenderne apertamente le difese, cercando invece
di ammantarlo dei pretesti dell'utilità, del benessere, del progresso e
così via. L'uomo ha perciò esercitato una potenza senza sviluppare
l'etica corrispondente.6 Ne è nato così un uso della forza,
che non è essenzialmente governato dall'etica e che trova la sua
espressione più genuina nella società anonima.
Solo quando si, riconoscono questi fatti, il fenomeno
del potere acquista tutto il suo peso:
la sua grandezza e la sua serietà, quella serietà che
sta nella responsabilità. Se l'umano potere e la potenza che ne deriva
ha la sua radice nella somiglianzà con Dio, esso non è un diritto
autonomo dell'uomo, ma qualche cosa che gli è stato prestato. Per la
grazia egli è signore, e la sua
6
Anche questo è un sintomo della inferiore disonestà insita
nell'atteggiamento moderno e di cui ho parlato nel mio scritto La
fine dell'epoca moderna (trad. ital., 2" ed., in questa stessa
collana, pp. 108 ss.).
28
signoria egli deve esercitare facendosene responsabile
di fronte a Colui che è Signore per essenza. Il potere si fa allora
obbedienza e servizio.
In primo luogo poiché deve conformarsi alla verità
delle cose. Ce lo dice un passo scritturale che è decisivo nel
rivelarci il senso del secondo racconto della creazione, il passo in cui
si parla del destino dell'uomo, che è diverso da quello dell'animale:
la comunanza di vita, impossibile con l'animale, è possibile solo con
un altro uomo. Potenza non significa imporre la propria volontà a ciò
che è dato dalla natura, ma significa possedere, formare, creare
partendo dalla conoscenza; una conoscenza che accetta ciò che l'essere
è in se stesso, e lo esprime nel « nome », cioè nella parola
essenziale. Potenza è inoltre obbedienza e servizio, poiché si muove
entro la creazione di Dio e ha il compito di continuare come storia e
come cultura, nello spazio della libertà finita, quello che Dio nella
sua assoluta libertà ha creato come natura. La umana potenza non deve
dunque costruire un proprio mondo autonomo, ma deve, secondo la volontà
di Dio, portare a compimento il mondo di Dio facendone un umano mondo di
libertà.
II
Segue il racconto della tentazione dell'uomo e possiamo
a priori supporre che essa avrà per oggetto il punto decisivo della sua
esistenza e
29
cioè il potere ed il suo uso. Così è infatti, ed il
senso profondo del racconto merita realmente una interpretazione, parola
per parola.
« E Dio, il Signore, prese l'uomo e lo portò nel
giardino dell'Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. E Dio, il
Signore, comandò all'uomo: di tutti gli alberi del giardino potrai
mangiare; ma dell'albero della conoscenza del male e del bene non potrai
mangiare; poiché quando tu ne mangiassi moriresti » (Gen. 2,
15-17).
Il senso di questo passaggio diviene chiaro quando si
siano eliminate le solite interpreta-zioni naturalistiche, secondo le
quali « l'albero della conoscenza del male e del bene » sarebbe la
conoscenza stessa, l'uomo che diviene libero nel distinguere il vero dal
falso, il giusto dall'ingiusto; sarebbe quindi la maturità dello
spirito, che si differenzia dai sogni acritici e dalla dipendenza
personale del bambino. Un'altra interpretazione, collegata alla prima,
dice che l'albero significa la maturità sessuale dell'uomo;
il divenire padrone di sé e dell'altro sesso nella
fecondità. Ma tali interpretazioni si fondano su di una affermazione
aprioristica, per cui l'uomo sarebbe dovuto divenire colpevole per
divenire autonomo, critico, vitalmente maturo, signore di se stesso e
delle cose. Fare il male sarebbe stato entrare nella libertà... Ma
basta considerare attentamente il racconto, per constatare che non vi è
traccia in esso di una tale interpretazione psicologica. In nessun luogo
viene proibita la conoscenza e neppure l'appagamento sessuale.
30
Al contrario, all'uomo è imposta come dovere la
conquista della libertà del conoscere, il dominio delle cose, la
pienezza della vita. Fin dal momento della creazione ciò è imposto
espressamente alla sua natura, come dono e come dovere. Egli deve essere
il signore degli animali — che in questo caso stanno a significare
tutte le cose della natura — e perciò deve ricono-scerli. Quando
sopraggiunge la prova egli ha già compreso la natura degli animali e
l'ha espressa. nei nomi. E come può essere proibito il congiungimento
dei sessi, quando è detto espressamente che uomo e donna saranno « una
sola carne » & con la loro discendenza « riempiranno la terra
»?"
Tutto ciò significa che l'uomo deve giungere al dominio
nel senso più ampio, ma rimanendo» in un rapporto di obbedienza a Dio
e attuando quel dominio come servizio. Egli deve divenire signore, ma
restando fedele all'immagine di Dio che è in lui, e senza pretendere di
essere lui l'archetipo.
Ciò che segue è fondamentale per tutte le
interpretazioni dell'esistenza, mostra come proprio qui la tentazione
muove all'attacco:
«II serpente... disse alla donna: vi ha forse detto il
Signore di non mangiare di alcun albero del giardino? E la donna disse
al serpente: Possiamo mangiare i frutti degli alberi del giardino, solo
dei frutti dell'albero che sta nel mezzo del giardino, il Signore ha
detto: non. mangiatene e non toccatelo neppure, che non.
31
abbiate a morire. Allora il serpente disse alla donna:
voi non morrete affatto; ma Dio sa che appena ne avrete mangiato, gli
occhi vi si apriranno e voi sarete come Dio e conoscerete il bene
e il male. E la donna vide che il frutto dell'albero sarebbe stato buono
a mangiarsi e che era piacevole agli occhi e desiderabile, poiché
donava la conoscenza; e prese di quel frutto e ne mangiò e ne diede
anche al suo uomo, che era presso di lei ed anch'egli mangiò. Allora i
loro occhi si apersero, si avvidero di essere nudi, e cucirono assieme
delle foglie di fìco e se ne fecero dei grembiuli » (Gen. 3,
1-7).
Il serpente, immagine simbolica di Satana, confonde
davanti all'uomo i fatti fondamentali della sua esistenza; la differenza
essenziale fra creatore e creatura; il rapporto fra l'archetipo e la
copia; la realizzazione di sé nella verità e quella nella usurpazione;
il dominio come servizio e il dominio come pretesa propria. Il puro
concetto di Dio viene sospinto nella mitologia, poiché se si dice che
Dio sa che Fuorno, attraverso l'atto proibito può divenire simile a
Lui, ciò significa che Dio ha paura, che sente la sua divinità
minacciata dall'uomo; allora il suo rapporto con l'uomo sarebbe il
rapporto delle divinità mitologiche, che provengono dalle comuni
radici, dalla causa prima della natura e non sono perciò in definitiva
da più dell'uomo. Quelle divinità sono padrone solo di fatto, non
essenzialmente, e perciò l'uomo può detronizzarle e dominare a sua
volta. Basta trovare la via, e le
32
parole della tentazione sostengono che quella via è la
conoscenza del bene e del male. Anche questa conoscenza, quindi, viene
intesa in senso mitico : come l'iniziazione nel mistero del mondo, che
è riservata a chi è padrone del mondo e da magari poteri e garantisce
il dominio. Appena l'uomo l'acquista, si eleva all'altezza di chi
detiene il potere e può detronizzarlo. Di questo non si parla nelle
parole di Dio, ma la tentazione consiste proprio nel falsare l'autentico
rapporto con Dio, facendolo scivolare in questa ambiguità mitica.7
Invece la prova positiva deve consistere nel tributo di onore che l'uomo
offre alla verità di Dio, mentre resta egli stesso obbediente alla sua
propria verità.
Gli uomini cadono invece nell'inganno e avanzano la
pretesa di un dominio per forza propria. Il seguito del racconto biblico
ha un autentico valore di rivelazione là dove dice che la disubbidienza
non porta con sé la conoscenza che rende simili a Dio, ma la mortale
esperienza di essere « nudi ». La nudità di cui ora si
7
Dalla ambiguità mitica nasce il desiderio sacrilego; e viceversa
l'inganno del mito diviene possibile solo quando la concupiscenza gli
crea lo spazio. È un tutto in cui gli elementi si condizionano e si
giustificano reciprocamente, il circolo vizioso dell'esistenza
sbagliata, voluta a partire dall'impenetrabile inizio della libertà,
mentre la circolarltà che definisce l'esistenza autentica è questa: il
a cuore puro » rende capaci di vedere la verità; la verità veduta
apre la via ad una più profonda purezza; la più profonda purezza rende
capaci di una più elevata conoscenza, e così via.
33
parla è essenzialmente diversa da quella di cui si è
parlato poco più su, dove si diceva : « gli uomini erano nudi, ma non
se ne vergognavano ».
Ora è turbato il rapporto fondamentale dell'esistenza.
L'uomo ha ancora, come prima, potere e possibilità di dominio. Ma è
infranto l'ordine in cui ciò aveva il proprio senso, il senso di un
servizio, l'ordine in cui il potere accordato non era disgiunto dalla
responsabilità di fronte al vero Signore.
Secondo l'insegnamento della Bibbia, non esiste più
dunque il puro fenomeno del potere e della potenza che ne procede.
All'inizio della storia dell'uomo ha luogo un avvenimento il cui
significato non si può esprimere con i semplici concetti della
ribellione esterna od interna, de^ pericolo e del perturbamento. Non si
tratta di una lesione biologica o psicologica o spirituale che sta entro
la storia e neppure di una colpa morale che si sia manifestata entro il
complesso dell'esistenza, ma di un avvenimento che travalica la nostra
condizione storica. Esso ha turbato il rapporto fondamentale
dell'esistenza in modo tale che da quel momento l'intera storia
dell'uomo si svolge entro uno spazio determinato appunto da quel
turbamento.
Il quadro storico della Bibbia acquista perciò un
particolare carattere. Contraddice alle raffigurazioni
naturalistico-ottimistiche ed anche a quelle culturali-pessimistiche che
si sono
34
delineate nel tempo moderno. Nonostante l'abbondanza del
materiale raccolto e l'esattezza dei metodi e la profondità delle
interpretazioni queste concezioni storiche sono irreali ed
inconsistenti, e nei limiti che ci sono qui imposti non possiamo
ulteriormente parlarne.
Anche da questo punto di vista, il pericolo del potere
conserva comunque un suo particolare carattere di urgenza : l'usare del
potere in modo errato è non solo possibile, ma verosimile, a meno che
non si dica che è inevitabile. È l'ine-vitabilità che si esprime nei
miti della hybris:
Prometeo, Sisifo, Quei miti non sono i miti dell'uomo in
senso assoluto (così come la caduta dell'uomo non appartiene in senso
assoluto all'uomo), ma esprimono la condizione della sua caduta.8
8 Un
tale uomo non esiste affatto. La nuova religiosità mitica che si rileva
dovunque e muove da premesse storiche, filosofiche, estetiche,
psicologiche, politiche, poggia sul presupposto indimostrato che ciò
che paria attraverso il mito sia l'uomo " naturale » in senso
assoluto, e che perciò il mito contenga l'in-terpretazione prima
dell'esistenza. Tale presupposto è così dogmatico che il contraddirvi
viene considerato come un attentato sacrilego. In verità il mito è l'autoespressione
dell'uomo che ha già dietro di sé la prima decisione. In esso non
paria l'esistenza primitiva, ma quella storica, cioè l'esistenza
decaduta. E non una esistenza che doveva cadere per divenire capace di
storia, ma quella esistenza che è caduta, perché tale è stata la
decisione dell'uomo. Avrebbe anche potuto essere diversa. Tutto il resto
è un tragicismo nel quale la colpa cerca di giustificarsi proclamandosi
neces-
35
Ciò che dice il Vecchio Testamento si completa solo
nella rivelazione del Nuovo Testamento.
Ili
Esporne il contenuto non è facile. La dottrina
dell'Antico Testamento è di una semplicità grandiosa. Si direbbe che
ha qualche cosa di classico nel distinguere direttamente il disegno di
Dio e la ribellione dell'uomo, la condizione primitiva del creato e la
decadenza provocata dalla ribellione. L'immagine che ci presenta il
Nuovo Testamento è molto più difficile da afferrare.
La Redenzione non è un semplice miglioramento della
condizioni dell'essere, ma si pone al livello della creazione. Non
procede dalle strutture del mondo, sia pure quelle più spirituali, ma
dalla pura libertà di Dio. Pone un nuovo inizio: crea un nuovo luogo
dell'esistere, un nuovo criterio del bene, una nuova forza di
realizzazione. E ciò non significa una magia esercitata sul mondo, e
neppure l'esser rapiti in uno spazio libero da vincoli; la Redenzione si
compie entro la realtà dell'uomo e delle cose.
saria. Solo sulla base di questa premessa si può
comprendere il mito, ed esso diviene veramente un profondissimo
ammaestramento. (Su questo problema spero di poter presentare qualche
cosa di più esatto.)
36
Ne deriva una situazione assai complessa, che
forse si esprime nella forma più chiara nella dottrina dell'Apostolo
San Paolo circa il rapporto fra l'uomo vecchio e l'uomo nuovo.
È perciò difficile parlarne, tanto più difficile,
perché anche volendo strettamente limitarsi alle parole della
Rivelazione, si deve pur tentare di dire qualche cosa sul divino in
senso assoluto, e cioè sui « motivi » di Dio. A ciò si aggiunge un
elemento pratico ed immediato, e chiedo di poter parlare in forma
personale. Come già nello scritto precedente, vorrei qui portare il mio
contributo ad un problema che interessa tutti, e mi preoccupo del fatto
che i pensieri espressi in questo capitolo possano limitare la cerchia
delle persone a cui mi rivolgo. Ma d'altro lato è evidente che la
nostra situazione esige chiarezza; e perciò è bene che, nella
imprecisione delle teorie e dei programmi, venga esposto senza alcuna
omissione il senso del messaggio cristiano.
Lo spazio a nostra disposizione è assai ristretto e
perciò ci volgiamo subito al punto decisivo, e cioè alla persona e
alla condotta del Cristo.
In ogni cultura superiore, gli uomini saggi hanno
conosciuto il pericolo del potere ed hanno parlato del suo superamento.
La loro ultima parola si chiama moderazione e giustizia. Il potere
trascina alla superbia e al disprezzo del diritto; all'uomo violento si
contrappone l'uo-
37
mo ragionevole, che onora gli dei e gli uomini e
custodisce la giustizia. Ma tutto questo non è ancora redenzione: è il
tentativo di trovare un punto di appoggio nell'esistenza sconvolta, di
stabilire un ordine; l'esistenza non è concepita come un tutto 8
come farà invece la Redenzione.
In che consiste, dal punto di vista dei problemi che qui
ci preoccupano, il carattere decisivo del messaggio della Redenzione?
Esso si esprime in una parola che nel corso dell'epoca moderna ha
perduto il suo significato : l'umiltà.10
L'umiltà è scesa a significare debolezza, carenza
vitale, viltà nell'affermare i diritti della vita, mancanza di nobili
sentimenti, è diventata il complesso di ciò che Nietzsche chiama «
decadenza » e « morale dello schiavo ». Ma il senso del fenomeno è
andato in tal modo completamente perduto. E se si deve senz'altro
riconoscere che nel corso quasi bimillenario della sto-
9
Questo sembra il caso del buddismo. Ma a prescindere dal fatto che anche
qui la linea dell'azione liberatrice non proviene mai dal mondo, la
radica-lità della lotta contro i pericoli del potere consiste nel
rappresentare l'esistenza come assurda. Liberazione è allora l'ingresso
nel Nirvana.
10 Quanto poco l'uomo moderno sia in grado di
giudicare dell'umiltà; quanto abbia bisogno di una iniziazione anche
solo per prendere atto del suo fenomeno, lo mostra l'articolo di max
scheler: Zur RehabiUtierung der Tugend. Dissertazioni ed
articoli, voi. I, 1915 (edizione posteriore sotto il titolo: Uro-wertung
der Werte, pp. 3 ss., particolarmente pp. 8 ss.).
38
ria cristiana si trovano concetti e manifestazioni di
umiltà che corrispondono a quei giudizi, essi stanno a significare
decadenza, anzi caduta da una grandezza che non è più compresa.
L'umiltà, nel senso cristiano, è una virtù di forza,
non di debolezza. Nel senso primitivo umile è il forte, colui che ha
sentimenti elevati e coraggiosi. Colui che per primo ha realizzato una
condotta di umiltà e l'ha resa possibile agli uomini, è Dio stesso,
con l'incarnazione del Logos. Nella lettera ai Filippesi, Paolo dice che
« Cristo, essendo nella forma di Dio, considerava l'essere simile a Dio
non un furto (che si possiede ingiustamente e che si tiene stretto
timorosamente, per debolezza), ma si è annientato, assumendo la forma
di servo, e apparendo sotto l'immagine di uomo, e fu riconosciuto come
uomo e si abbassò, ubbidiente sino alla morte, la morte di croce » (2,
5-8). Tutta l'umiltà creata discende da questo atto con cui il Figlio
di Dio è divenuto uomo. Quell'atto che Egli non ha compiuto perché
spinto da necessità, ma in pura libertà, poiché Egli, il Sovrano,
così aveva voluto. Il nome di questo sovrano « perché » è l'amore;
e a questo proposito si deve osservare che la misura di un tale amore
non deve essere derivata dall'uomo, ma da ciò che Dio dice di sé.
Poiché, come l'umiltà, anche quello che il Nuovo Testamento chiama
amore ha inizio in Dio (1 Joh. 4, 8-10).
Come abbia potuto avvenire che Egli, l'Assoluto e
Sovrano, sia entrato in una unità esi-
39
stenziale con una natura umana; che Egli non solo regga
la storia, ma si inserisca in essa;
che abbia accolto in sé tutto ciò che da un tale
inserimento discende, cioè il « destino » nel senso autentico, tutto
ciò è imperscrutabile. Appena muoviamo dai criteri di una filosofia
puramente naturalistica, ovvero dal concetto dell'essere assoluto, il
messaggio dell'incarnazione diviene mitologico o assurdo. Ma già far
questo è un assurdo, perché è un capovolgere l'ordine delle cose. Non
si può dire: Dio è così e così, e perciò non può fare questo o
quello; ma bisogna dire: Egli agisce così e perciò manifesta chi Egli
è. Non è possibile esprimere un giudizio sulla Rivelazione; si può
solo riconoscere che essa è avvenuta, accettarla e pertanto da essa
esprimere un giudizio sul mondo e sull'uomo. È questo il fatto
fondamentale del Cristianesimo: Dio stesso entra nel mondo. Ma come? ^
La lettera ai Filippesi dice: nella forma dell'umiltà.
Consideriamo la situazione esistenziale di Gesù; il
modo in cui si svolge la sua attività e prende forma il suo destino; le
forme dei suoi rapporti con gli uomini; lo spirito delle sue azioni,
delle sue parole, della sua condotta, e sempre vedremo una potenza
altissima tradursi nella forma dell'umiltà. Solo alcuni accenni: Egli
discende da antica stirpe, regale; ma quella stirpe è decaduta ed è
divenuta insignificante. I suoi rapporti economici e sociali sono
modesti.
40
Neppure all'apice della sua attività Egli appartiene ad
uno dei gruppi dominanti; e gli uomini che attira attorno a sé non
danno mai l'impressione di avere una personalità o delle capacità
fuori dell'ordinario. Dopo breve tempo Egli viene coinvolto in un
processo bugiardo; il giudice romano, in parte spaventato, in parte
annoiato, cede di fronte ai nemici e lo condanna ad una
morte insieme straziante e disonorevole. Si è a ragione osservato che
il destino dei grandi personaggi della storia antica, anche quando
conduce ad una fine tragica, mantiene sempre una certa proporzione, si
tiene entro le misure di ciò che può toccare ad un grande: nel caso di
Gesù tale misura non esiste e sembra gli possa accadere assolutamente
tutto. Questo destino è già prefigurato nella misteriosa figura del «
servo » della profezia di Isaia (52, 13-53, 12).
In questo senso è usato da San Paolo il termine %evooig,
a significare l'annichilamento con cui Egli, che è per sua essenza
nella i^ogcpT) •&eov, nella forma di Dio, discese nella Ho^cp^
-rov bovkov, nell'abbassamento del servo.
L'intera esistenza di Gesù è traduzione della potenza
in umiltà. O, per esprimerci in forma attiva: traduzione
nell'obbedienza alla volontà del Padre, quale si esprime di volta in
volta nella situazione; e questa situazione nel suo complesso e nei
singoli momenti è tale che esige un continuo « annichilamento ». Per
Gesù l'obbedienza non è qualche cosa che sopraggiun-
41
gè m un secondo momento, ma forma il nocciolo
stesso del suo essere. È già obbedienza il fatto che Egli non
predispone la sua « ora » secondo la sua volontà, ma in assoluta
purezza la vede nella volontà di Dio.
Questa volontà diviene la sua volontà in senso
assoluto: l'onore del Padre il suo onore. E non perché Egli si arrenda
al comando, ma in piena libertà.
L'assumere la « forma del servo » non significa
debolezza, ma forza. I Vangeli sono scritti da uomini semplici. Non
hanno ne l'afflato epico delle storie, ne la penetrazione psicologica a
cui siamo oggi avvezzati. Il loro racconto si ferma sui singoli episodi
immediati e sulle parole in cui si condensa un annuncio importante. E
sono inoltre frammentar!, s'interrompono là dove si vorrebbe sapere di
più: le nostre abitudini letterarie ci rendono sensibili a tutte queste
insufficienze e ad altre simili. È necessaria un'attenzione che
proviene dall'intimo per leggere esattamente. Allora ci si dispiega
davanti una esistenza di una tale potenza che non trova paragone in
tutta la storia. Un potere che non conosce limite esterno, ma solo il
limite che proviene dall'intimo: la volontà del Padre liberamente
accolta, così che essa esige ed opera in ogni momento, in ogni
situazione e fino nei primi moti del cuore. È la forza, che qui
obbedisce, non la debolezza. È kyriótes, la sovranità, che qui
si abbassa alla forma del
42
servo. Un potere che si possiede in modo così completo
da essere capace di rinunciare a se stesso. In una solitudine che è
grande come la sua sovranità.
Tenendo questo davanti agli occhi, possiamo quasi a
riprova cercare se fra i personaggi della storia ne esista uno che sia
pari, o addirittura superiore. E ci sembra a volte di averlo trovato; ma
solo fintantoché si pongono a fondamento del nostro giudizio i criteri
dell'azione sociale e politica, della cultura spirituale, della
profondità religiosa. Ma se si va al nocciolo — e per prendere
conoscenza di questo nocciolo è in realtà necessaria la capacità di
visione che si chiama « fede » — allora quelle superiorità appaiono
per ciò che sono: qualità e capacità che stanno entro l'ambito del
mondo. L'esistenza di Gesù, invece, è tesa fra il mistero del Dio
vivente, sovrano di fronte a tutto ciò che si chiama mondo, e il
presente della più concreta storicità. Muovendo da questa assoluta
superiorità e penetrando entro i più stretti legami storici, Egli
abbraccia la creazione nella sua totalità, ne espia la colpa e schiude
il nuovo inizio.
Questa è la risposta del Nuovo Testamento
all'interrogativo circa il potere. Esso non viene respinto come tale.
Gesù tratta il potere umano come esso è, una realtà. E lo sente;
altrimenti un episodio come quello della terza tentazione, che è
appunto una tentazione di hybris (Mt. 4,
43
8-10) non avrebbe alcun senso. Ma altrettanto chiaro
diviene il suo pericolo: sollevarsi contro Dio, sino a non vederlo più
come la realtà più seria; smarrire le proporzioni; esercitare la
violenza in tutte le sue forme. A questo Gesù contrappone l'umiltà che
libera fin nelle più intime radici dall'incantamento del potere.
Si potrebbe chiedere che cosa succede allora nella
storia, e se la degenerazione del potere è stata di fatto superata. Non
è facile dare una risposta.
Redenzione non significa che il mondo nel suo complesso
è stato modificato una volta per tutte, ma che Dio ha posto un nuovo
inizio dell'esistenza. Questo inizio esiste e rappresenta una
possibilità permanente. Una volta per tutte è divenuta manifesta la
posizione del potere davanti agli occhi di Dio; una volta per tutte,
nell'obbedienza di Gesù, è stata data una risposta. Ma questa
obbedienza non ha un carattere privato, è aperta, è accessibile a
tutti. Non è l'esperienza ed il superamento personale del singolo, ma
un atteggiamento a cui ciascuno può avere parte, purché lo voglia:
intesa la parola « volere » nella pienezza del suo significato
neotestamentario, che abbraccia insieme la grazia del volere-potere e la
risolutezza del tradurre la volontà in azione.
Questo inizio esiste e nulla potrà più cancellarlo. La
misura in cui si realizza è cosa propria di ogni individuo e di ogni
tempo. La storia ricomincia nuovamente con ogni uomo, e
44
ricomincia ad ogni ora, in ogni vita di uomo. Ed ha
perciò in qualsiasi momento, la possibilità di cominciare di nuovo, da
quell'inizio che qui è stato posto.
Per quanto poi concerne il sapere come si possa, ora,
concretamente, risolvere l'urgente problema di vita e di morte, che è
il controllo ed il padroneggiamento del potere, la nostra risposta, nei
limiti in cui una risposta è possibile, deve rifarsi più addietro.
45
LO SVILUPPO DEL POTERE
Cerchiamo ora di farci un'idea chiara della natura e
delle proporzioni del potere acquistato dall'uomo. È evidente che si
tratta solo di accenni. Rispondere esattamente alla domanda sarebbe
nientemeno che tracciare la storia della cultura.
Significative sono anzitutto le prime scoperte e le
prime forme con cui l'uomo ha assoggettato la natura che gli era
estranea sia dal punto di vista intellettuale sia dal punto di vista
pratico." Vi appartengono i primi arnesi:
11 II
concetto di " estraneità » ha molti livelli. Esso abbraccia da un
lato il fatto che l'uomo non comprende e non domina ancora la natura. Ed
inoltre-un fatto più profondo, che diviene chiaro solo attraverso la
Rivelazione e cioè 1'" estraneità » che proviene dalla colpa.
Significa che la natura resiste all'uomo; o meglio che l'uomo affronta
la natura con_ delle pretese che stanno in contraddizione con
l'essenza di ciò che è creato; ciò che è creato si pone perciò di
traverso e contrasta la volontà umana. Molto ci sarebbe da dire a
questo proposito. Da questa analisi risulterebbe una conoscenza dei
fatti fonda-
47
coltelli, martelli, utensili per attingere, ruote,
aratri; le prime armi: clave, pugnali, lance; i primi mezzi per
difendersi dalle intemperie: il conciare ed il cucire le pelli degli
animali, l'invenzione della tessitura; i primi medicamenti:
erbe ed unguenti. Vi appartengono le prime
costruzioni architettoniche : sostegni, tetti, porte, gradini; i primi
mezzi di comunicazione: barca e ruota. Vi appartiene ancora la
coltivazione delle piante alimentari e l'addomesticamento degli animali
selvatici.
Ne si devono dimenticare quei prodotti, altrettanto
primitivi, che non rispondono a nessun scopo immediato. A questo
proposito dobbiamo tener presente che il concetto di « scopo » così
come lo intendiamo noi, è tardivo e •deve essere usato con prudenza
quando ci si riferisce a quello stadio primitivo, in cui tutto, dal
vestito all'arma, dall'aratro alla soglia di casa, oltre al significato
di utilità, anzi, prima di esso, ha anche una significazione simbolica.
Ma qui pensiamo alle cose che, ai nostri occhi, non hanno alcuno scopo,
come ad esempio le svariate decorazioni che servono come amuleti per
allontanare le forze maligne e per accattivarsi le forze benevole; le
immagini del culto, le pitture murali, ecc.
Già queste prime forme sono qualcosa di di mentali
della cultura di un tutt'altro realismo e di tutta un'altra profondità,
che non le solite interpre-'tazioni naturalistiche ed idealistiche.
48
verso da ciò che fa, ad esempio, l'uccello, quando
costruisce il suo nido. A prima vista sembrerebbe trattarsi dello stesso
procedimento:
l'uomo cioè inserisce nell'insieme delle funzioni del
suo corpo delle cose che potenziano queste stesse funzioni. Ma in
realtà nell'uomo agisce, a priori, qualche cosa che manca all'animale;
l'uomo riconosce, comunque ciò possa accadere, il
rapporto fra causa ed effetto; egli sente, ovvero comprende, il
significato della struttura funzionale ed orienta i singoli movimenti
per realizzarla; ciò equivale a dire che è lo spirito ad agire. L'uomo
si solleva al disopra degli immediati rapporti naturali; li abbraccia
con lo sguardo, decide, agisce. Raccoglie e sviluppa le sue esperienze;
le riceve dagli altri e le prosegue.
Un'indagine più esatta ci conduce ai fenomeni
elementari dell'attività culturale.
Per comprenderli ci dobbiamo raffigurare un uomo che
abbia degli istinti straordinariamente vigili; dei sensi acuti e
finemente sviluppati; un gioco vivace sia del corpo nel suo insieme, sia
delle singole membra ed organi. Appena si presenta il bisogno di cibo, o
l'urgenza di liberarsi da una malattia o di cercare protezione contro un
pericolo, egli si da a cercare nel suo ambiente vicino e lontano.
L'istinto distingue le erbe utili da quelle nocive; immediatamente
osserva come una pietra o un pezzo di legno si possono inserire nella
complessa azione delle membra e degli organi, o come il movimento di
49
un'asse o di un tronco di un albero incavato può
utilizzare la corrente dell'acqua. L'applicazione pratica conferma, o
rigetta o rettifica ciò che è stato fatto istintivamente e porta a
nuove possibilità... Non si deve evidentemente ritenere che per ogni
determinato bisogno si sia trovato uno strumento appropriato, ma si deve
considerare tutto l'insieme in cui gli elementi di volta in volta si
condizionano reciprocamente:
la spinta del bisogno conduce alla scoperta dei rimedi,
ma a sua volta la disponibilità dei mezzi con cui soddisfare il bisogno
determina il carattere e la misura del bisogno stesso. Ed il processo
si fonda non tanto sul calcolo razionale, quanto sulle manifestazioni
dell'istinto, sul sentimento della forma e della funzione, sulla
esperienza pratica, nel cui gioco si manifesta quel determinato
complesso di rapporti.
Particolarmente importante è inoltre il momento del
ricordo ovvero della tradizione. La capacità dell'uomo primitivo, sia
individualmente, sia nella vita del gruppo, di ricordare e di proseguire
ciò che è stato visto e fatto è straordinariamente accentuata.
Perciò, una volta trovata una cosa, essa viene custodita e
ulteriormente sviluppata.
Si aggiungano ancora elementi che sono in gran parte
perduti per l'uomo di cultura di oggi, ma sembrano consueti nei popoli
primitivi, percezioni che vanno al di là del dato immediato; sensazione
di essere avvertiti e guidati;
di essere sorretti da un inconscio non ancora
50
deviato dalla riflessione e fondato su un'organizzazione
dei sensi altamente sviluppata.
L'uomo primitivo sente inoltre tutta l'esistenza come
dominata da potenze misteriose. Tutto ciò che è singolare ed
importante nella natura, cose e fenomeni, ha un significato che va al di
là della pura empiria. È manifestazione di potenza divina e perciò
sacra ed intangibile;
anche gli oggetti della vita civilizzata: casa, fuoco,
strumenti di lavoro, armi, ornamenti, mezzi di comunicazione, ecc. hanno
un tale significato. La loro fabbricazione è stata insegnata da esseri
superiori, e quegli esseri esercitano il proprio influsso su di essi e
li proteggono; ciò rinsalda essenzialmente quella capacità di
conservazione a cui abbiamo già accennato. Le scoperte che si sono
fatte non vanno perdute, esse rimangono oggetto di attenzione, di cura e
di sforzo ulteriore.
Dagli elementi culturali così ritrovati viene derivata
una possibilità per altri e l'analogia con ciò che si è già
raggiunto è di aiuto per nuove conquiste.
Tutte queste forme rappresentano un potere ed il loro
esercizio è potenza. Così sorge il complesso dell'attività culturale.
Si scoprono e si utilizzano le materie e le energie della natura
circostante. Vengono sorrette le forze naturali dell'uomo, e quelle che
sono riposte nell'organizzazione dei suoi sensi, nelle sue membra, nella
sua costituzione, mentre si allarga il cam-
pò della loro azione. L'influsso che, in virtù dei
rapporti della famiglia e della stirpe, un uomo esercita sugli
altri, viene compreso, ordinato, sviluppato nelle diverse forme
dell'ordine sociale, ecc.
II
Questo sviluppo procede con una certa uniformità dalle
prime epoche preistoriche sino all'inizio dell'evo moderno.
Significativa è l'impressione che fa su di noi
l'atteggiamento dell'uomo che ne è protagonista e lo stile delle sue
manifestazioni culturali:
anche nelle sue realizzazioni più grandi e nel momento
della più intensa e ricca creatività, resta qualche cosa di
singolarmente commisurato all'uomo. Non occorre parlare del livello di
quelle creazioni. Nomi come quello dell'Acropoli di Atene, della Città
Imperiale di Pechino, della Cattedrale di Chartres, indicano delle vette
al di sopra delle quali i tempi successivi non riescono ad elevarsi, e a
fianco delle quali devono accontentarsi di innalzare le loro proprie
grandezze. Ma le opere antiche hanno una misura che solo raramente —
ad esempio in certe costruzioni assire o romane — sembra essere
varcata. Spazio vitale, imponenza e struttura dell'impresa, sono tali
che l'uomo le sente intimamente come diretta prosecuzione del suo
proprio essere. È tale proporzione che ci induce ad
52
applicare alle epoche culturali che abbiamo nominato, e
sia pure con ogni precauzione e limitazione, l'attributo di « organico
». Nel modo in cui l'uomo comprende la natura, si comporta davanti ad
essa, la utilizza, le imprime una forma, si stabilisce una specie di
equilibrio fra la ragione, l'istinto e l'immaginazione.
L'uomo si impadronisce di ciò che gli è offerto, lo
condensa, ne aumenta l'efficacia, ma considerate le cose nel loro
complesso essenziale, non spezza le loro strutture.12
Ma accade poi qualche cosa di nuovo. L'uomo comincia a
scrutare la natura con esattezza metodica. Non la comprende più col
solo sentimento e con l'intuizione, non l'afferra più solo per mezzo di
simboli e attraverso il lavoro delle sue mani e si deve forse dire che
gradatamente disimpara questi suoi atteggiamenti, mentre analizza la
natura sperimentalmente e teoricamente. Riconosce le sue leggi e impara
a porre le condizioni nelle quali i dati elementi producono direttamente
gli effetti voluti. Si creano così dei complessi funzionali che si
rendono pro-
12
Queste sono naturalmente — la parola stessa lo dice — delle
approssimazioni. Anche in queste epoche ci sono strutture e
atteggiamenti in cui l'equilibrio viene a mancare. È un equilibrio
instabile, sempre minacciato; figure come quella di Icaro sono
espressione di questo pericolo. Tuttavia restiamo con l'impressione che
ho descritta, ed essa diviene tanto più forte, quanto più sono «
moderne a le condizioni da cui ci volgiamo a guardare indietro.
53
gressivamente indipendenti dalla diretta organizzazione
umana ed a cui si possono fissare a piacimento delle mète: la tecnica.
La scienza come concezione razionale della realtà e la
tecnica come complesso del nuovo ordinamento dell'azione, reso possibile
dalla scienza, imprimono un nuovo carattere all'esistenza: il carattere
del potere, ovvero della potenza in un senso che diremo acuto.
La natura viene scandagliata sempre più profondamente.
Le sue energie vengono isolate in modo sempre più preciso e messe a
disposizione dell'uomo attraverso un metodo matematico-sperimentale
sempre più esatto.
La macchina sviluppa la sua vera natura. Lo strumento
non fa che rafforzare le naturali capacità lavorative delle membra e
degli organi dell'uomo e le forme primitive della macchina potevano
ancora venir confuse con esso. Ma nel processo del suo sviluppo la
macchina si è rivelata come qualcosa di diverso e precisamente come un
sistema di funzioni scientificamente calcolato ed esattamente costruito,
che si distacca sempre più dall'insieme delle attività del corpo umano
vivente. La sua forma assoluta sarebbe quella della macchina che serve
se stessa, si regola da sé ed è capace di riparare automaticamente i
danni che si potessero produrre. E vediamo che, di fatto, le macchine
ora costruite si avvicinano a questa mèta, ne voglia-
54
mo qui discutere in quale misura tale mèta è
raggiungibile.
Le singole macchine sono collegate le une alle altre. Le
loro operazioni si integrano e completano e nasce così la fabbrica.
Diverse fabbriche, spesso coordinate dal punto di vista tecnico ed
economico, formano un settore di produzione. E al di là si delinea una
generale programmazione del lavoro meccanico, per cui la industria di un
paese appare come un sistema unitario.13
Trae origine di qui un ordine di strutture, che sono
pensate e prodotte dall'uomo, ma che, nella loro costruzione ed azione,
si allontanano sempre più da un'organizzazione direttamente umana. Esse
obbediscono alla volontà dell'uomo e raggiungono le mète da lui
segnate, ma al tempo stesso acquistano una vera e propria autonomia
nella propria funzione e nello sviluppo ulteriore.
A questa trasformazione del processo e del rendimento
del lavoro corrisponde una trasformazione dell'uomo stesso che lavora.
Scompare il lavoro artigiano, che domina la scena di
tutta la precedente cultura. Nella misura in cui si sviluppa la
macchina, viene a cessare quella forma di lavoro immediato in cui
cooperano l'occhio, la mano, la volontà di rag-
13
Cfr. l'unità sistematica della standardizzazione dell'industria
tedesca, o quella geografica della Ten-nessee-Valley.
55
giungere uno scopo, il senso del materiale utilizzato,
la fantasia e la capacità di imprimere una forma. Il processo della
produzione ed i suoi frutti sono sottratti alle forme ed alle
proporzioni immediate, spirituali e corporali, si basano sulla
conoscenza scientifica, su una costruzione specifica e vengono forniti
da un processo meccanico.
Perciò — sotto un particolare aspetto — l'uomo
diviene più bisognoso: perde la ricchezza della sua personale
creazione; e si adatta invece ad inventare delle macchine, a servirsene
ed a servirle. Ma mentre può imporre a queste macchine qualsiasi
compito e sviluppare così un potere in aumento costante, a sua volta
adatta ad esse il suo proprio volere, poiché non esiste alcuna azione
che sia unilaterale. Ciò significa che chi produce rinuncia alla
individuale vitalità del lavoro e si abitua a voler produrre sofo ciò
che è consentito dalla macchina;
quanto più la macchina si perfeziona, tanto più
scompare la possibilità della produzione individuale, e scompare al
tempo stesso quell'elemento umano, attivo, che vitalmente opera col
corpo e con lo spirito, nel lavoro manuale. Nasce l'« operaio » servo
della macchina. Chi usa dei prodotti della macchina non avverte più
quel rapporto possibile solo con ciò che è stato creato da mani di
uomo, e diventa il moderno consumatore, le cui possibilità di gusto
sono orien-tate dalla produzione in serie, dalla réclame e dalla
tecnica delle vendite. E il consumatore tro-
56
vera assurde o estetizzanti delle valutazioni o delle
esigenze a cui solo l'autentico lavoro artigiano può rispondere...
Dall'altro lato sempre più cresce quel rendimento
produttivo che si sviluppa secondo la scienza e la tecnica; si delinea
il profilo di un'opera collettiva immensa ed insieme l'attuarsi
nell'uomo delle corrispondenti possibilità, finora paralizzate.
Mentre la natura viene progressivamente conquistata
dall'uomo e dalla sua opera, anche l'uomo stesso viene dominato da altri
uomini che gli impongono un ordinamento; e il suo lavoro viene dominato
da altri lavori ai quali va riferito. A questo proposito si deve
considerare che gli acquirenti del frutto di quel lavoro, cioè tutti
gli uomini, vivono di esso e perciò sono soggetti a loro volta ad un
costante influsso.
Anzi le conseguenze vanno anche più lontano. La cultura
che precedette la piena affermazione della tecnica era caratterizzata
dal fatto che l'uomo poteva personalmente sperimentare ciò che aveva
riconosciuto teoricamente e realizzato col proprio lavoro. Il campo
della conoscenza e dell'azione da un lato, il campo dell'esperienza
dall'altro coincidevano in una misura che determinava la condotta
generale. Di. qui si originava quella particolare armonia,
quell'elemento « organico » che noi sentiamo carat-teristico della
cultura precedente la tecnica. Ora la possibilità del conoscere e del
fare supera
5T
sempre più quella dello sperimentare. Sorge un mondo di
pensiero, di lavoro, di azione, di cui non si ha più un sentimento
immediato e totale e che l'uomo si avvezza a considerare come qualche
cosa che vive in sé, oggettivamente.
Nello scritto citato all'inizio avevo proposto il
concetto di uomo « non-umano » per definire l'umanità che si sviluppa
come conseguenza ed insieme come causa di questo processo. Comprendo, lo
ripeto qui, quanto l'espressione è equivoca, ma non posso trovarne una
migliore. Non significa l'uomo « inumano », il quale, la storia ce lo
insegna, poteva esistere anche nelle epoche « umane », ma colui 'che
non sa ritrovare più quella relativa armonia, fra il campo della
conoscenza e dell'azione da un lato, e quello dell'esperienza
dall'altro. La 'sua conoscenza si svolge entro possibilità di
conoscenza •e di azione che hanno superato in modo decisivo l'aatica
misura.14 A ciò si ricollega, come causa insieme ed effetto,
uno dei sintomi più inquietanti di quella trasposizione di cui facciamo
quotidiana esperienza, cioè il carattere
14
Per fare un solo esempio: se qualcuno abbatte "un altro con
un'arma, può avere esperienza diretta del suo atto. La cosa è tutta
diversa quando egli da "una lontana altezza, in un aeroplano, preme
su di un "bottone, e sotto muoiono centinaia di migliata di
persone. Egli ha potuto conoscere e compiere questo atto, ma non può
viverlo come azione e come avvenimento. E ciò vale anche per le altre
azioni, con gradi e livelli diversi.
58
« oggettivo » del nuovo uomo. Esso significa da un
lato volontà e capacità di dedicarsi, senza riguardo per i sentimenti
soggettivi, ai singoli compiti che divengono sempre più grandi e
pericolosi, e anche pudore di mostrare sentimenti più profondi, anzi
del solo lasciarli sviluppare, in una vita che si svolge in forme sempre
più pubbliche. Ma esso significa anche una crescente incapacità di
sentimento; una progressiva freddezza del cuore; una indifferenza nei
rapporti con gli uomini e con le cose della vita. Caratteristico è
anche quel surrogato che viene sostituito in larga misura all'autentico
sentimento: la sensazione; eccitazione violenta, ma superficiale, che
afferra sull'istante e rapidamente svanisce e non ha ne fecondità ne
durata.13
Che rispondere allora alla domanda fondamentale circa
ciò che si intende per proporzioni «umane»? Può significare
l'insieme delle possibilità contenute in genere nell'uomo; e perciò i
vari modi in cui egli entra in contatto con il mondo, i compiti davanti
a cui viene a trovarsi e le attività attraverso cui li può adempiere.
Colui che si ritrova a suo agio nel passato, inclina a circoscrivere
tali possibilità a quelle che si sono manifestate fino a un certo
10
Essa ha già trovato addirittura i suoi organi nella stampa, nel cinema,
nella radio, e vi si è stabilita con una sicurezza e naturalezza che ci
spaventerebbe, se fossimo più vigili ed attenti.
59
periodo del passato: il Medio Evo, o l'inizio dell'epoca
moderna, o il cla'ssicismo tedesco, o la prima guerra mondiale. E per
analogia è incline a identificare le condizioni di una esistenza umana
sana e dignitosa con le norme che si riferiscono all'epoca prediletta.
Ciò che segue viene necessariamente concepito come una decadenza
dall'autentica umanità. È ciò che continuamente si verifica negli
ambienti umanistici.
Per stabilire il nesso esatto fra ciò che precede e
ciò che sta per seguire è necessaria una annotazione intermedia. Ciò
che abbiamo testé esposto potrebbe dare l'impressione che tutto questo
processo sia concepito come decadimento dell'umanità. Ed in effetti
tale lo considera un giudizio oggi assai diffuso; ma a tale giudizio io
devo oppormi.
Chi-'pensa così, anche se spesso non ne ha coscienza,
fa coincidere l'uomo in genere con l'umanità di un determinato, seppure
lungo, periodo storico. A ciò lo inducono la ricchezza e la qualità
delle manifestazioni di quel periodo ed ancor più, il fatto che in esso
egli ha le sue proprie radici culturali. E qui, di solito, egli commette
determinati errori. Da un lato non osserva le possibilità negative che
anche il passato presenta. Non per nulla alla definizione filosofica del
potere abbiamo fatto seguire quella teologica. L'interna rovina di cui
parla la Rivelazione non si riferisce a determinate epoche,
60
ma all'uomo in generale. Da un punto di vista cristiano
è considerato certo decadenza il fatto che l'Epoca moderna, nella sua
fisionomia storica, si distacchi dalla Rivelazione; ed è comprensibile
che la meditazione storica cristiana si soffermi con particolare
predilezione sul Medio Evo. Ma non si deve neppure dimenticare che
l'immediatezza con cui un'epoca per così dire ufficialmente cristiana
applicava ai problemi del mondo le verità della Rivelazione ha anche le
sue ombre. Si dimentica facilmente che queste verità non sono
interamente evidenti, ma significano insieme giudizio e grazia; e che il
riconoscerle ed il metterle in pratica presuppone perciò una costante metànoia..
Quando ciò non avviene si ha una parvenza di cristianesimo, che non
tocca la effettiva sostanza della vita... Ma a prescindere da questo,
anche nelle epoche anteriori alla tecnica eran presenti tutte le
possibilità di ingiustizia e di distruzione; solo che esse agivano
entro un sistema di vita che, per il suo carattere fondamentale organico
ed armonico, le faceva apparire meno pericolose che nel tempo
successivo. In sostanza i pericoli che hanno incominciato a manifestarsi
nell'epoca moderna e divengono incombenti ai nostri giorni, non
rappresentano se non la rivelazione di possibilità che erano sempre
attive.
Ma il concetto di uomo viene in tal modo inteso in un
senso troppo ristretto. Alla sua essenza appartiene la capacità di
superare i confini dell'organico e dell'armonico; e quando
61
lo fa non è meno « uomo » di quanto lo fosse prima di
compiere questo passo. Naturalmente i pericoli di cui si è parlato si
presentano allora assai più gravi, e l'uomo storicamente entra nella
vera ed evidente crisi della sua umanità. Ma « crisi » è sempre
decisione fra possibilità negative e positive, e la questione
essenziale è di sapere dove cada questa decisione. Se di fronte a
questa crisi nasce l'impressione che si esasperi il pericolo di ciò che
è negativo, ingiusto, distruttivo, ciò rappresenta qualche cosa di
nuovo, non in modo essenziale, ma solo nei riguardi dell'intensità.
Quel pericolo sta nell'uomo, in senso assoluto, e non è esclusivamente
connesso al tempo che sopraggiunge; la giusta posizione può essere solo
quella di accettare la situazione che ci è data e di dominarla
dall'interno, appoggiandosi alle forze più pure dello spirito e della
grazia. Se falliamo non significa che là nostra epoca, come tale, sia
decadenza e rovina, ma diviene evidente che in ogni tempo l'uomo è
soggetto a decadenza e rovina ed ha bisogno della Redenzione; ciò che
in determinati tempi ed in determinate circostanze, può essere meno
evidente che in altre.
Non vogliamo in tal modo semplicemente approvare ciò
che oggi avviene e avverrà nel futuro: protestiamo solo sul fatto che
si voglia identificare l'umanità di un'epoca che volge alla sua fine
con l'umano in genere e che si voglia addebitare solo alla nuova epoca
quelle possibilità di distruzione che oggi divengono
62
evidenti. Sarebbe una forma di pessimismo che a priori
condanna la battaglia alla sconfitta.
Torniamo indietro... Al dissolvimento dell'attività
organica individuale corrisponde quella delle ingrandite strutture
vitali. La famiglia perde il suo significato di articolazione e di
ordine. La comunità, la città, lo Stato si reggono sempre meno sulle
famiglie, le parentele, i gruppi di lavoro, le classi, eec. Sempre più
gli uomini appaiono come moltitudine informe, organizzata senza uno
scopo.
Ciò consegue ad un aumento della popolazione che non ha
riscontro nel passato. L'aumento stesso è provocato dalla scienza e
dalla tecnica: i disastri naturali sono prevenuti o almeno più
facilmente superati; le malattie sono debellate in modo più sicuro e
radicale; l'igiene, l'organizzazione del lavoro, la previdenza sociale,
creano migliori condizioni di vita e di lavoro, ecc. Ma l'aumento della
popolazione sembra in rapporto col diminuire della sua originalità.
Nella misura in cui la popolazione aumenta, gli individui divengono più
uniformi; le famiglie che vivono di un'autentica tradizione più rare;
la possibilità di un'esistenza dall'impronta personale più ridotta. Le
nuove città si assomigliano sempre più, sia che sorgano in Europa, in
Cina, nel Nord America, in Russia, nel Sud America. Si forma un tipo di
uomo che vive alla giornata, ha un carattere allarmante
63
•di arbitraria sostituibilità ed è esposto alle
pretese del potere.
Giungiamo così allo Stato moderno che presenta
appunto caratteri corrispondenti agli elementi ora delineati. Anch'esso
smarrisce i legami organici e diviene sempre più un sistema di funzioni
dominanti. L'uomo vivo recede; l'apparato si avanza. Una tecnica sempre
più affinata della inventariazione, della amministrazione burocratica
e, per esprimersi senza veli, una sempre più netta « economicizzazione
» dell'uomo, tende a trattare l'uomo nella stessa guisa con cui la
macchina tratta la materia da cui ricava i suoi prodotti. La difesa
della persona che subisce una tale violenza viene avvertita
dall'apparato burocratico come un perturbamento, che deve essere
superato con metodi più esatti ed una costrizione più dura.
Perequante riguarda le popolazioni, esse rimangono quei
vasti gruppi umani, definiti attraverso il paese, la razza, la cultura,
che entro
10 Stato divengono protagonisti della storia. Ma mentre
nel passato essi davano l'impressione di individualità collettive
inconfondibili, ora si avvicinano sempre più gli uni agli altri. Le
reci-proche dipendenze economiche e politiche divengono sempre più
grandi, l'abbigliamento ed
11 tenore di vita sempre più uniformi. Le strutture ed
i procedimenti degli Stati si possono in gran parte scambiare. Sembra
contraddire questo livellamento delle individualità degli Stati e
64
dei popoli il moderno nazionalismo, sviluppatesi in
aspra contrapposizione contro l'unità dell'occidente medioevale. Ma
quella unità aveva come sua fonte lo spirito e la fede e lasciava
libertà alla vita dei popoli; il livellamento dell'epoca moderna
proviene dalla razionalità della scienza e dalla funzionalità della
tecnica. Visto- di qui il nazionalismo appare come un estremo tentativo
dei popoli di difendersi dall'essere assorbiti in un sistema
formalistico, che è però destinato a fallire e a cedere di fronte a
più astratte concezioni del potere.
Uno sguardo di insieme ci da l'impressione che sia la
natura, sia l'uomo stesso siano sempre più alla mercé dell'imperiosa
pretesa del potere, economico, tecnico, organizzativo, statale. Sempre
più nettamente si delinea una situazione in cui l'uomo tiene in suo
potere la natura, ma insieme l'uomo tiene in suo potere l'uomo, e lo
Stato tiene in suo potere il popolo e il circolo vizioso del sistema
tecnico-economico, tiene in suo potere la vita.
Questo carattere di disponibilità si accentua per il
fatto che le norme morali perdono di immediata intelligibilità e
diminuisce perciò il loro influsso moderatore del potere.
Le norme etiche valgono per la loro intcriore validità;
ma divengono storicamente operose incarnandosi negli istinti vitali,
nelle tendenze spirituali, nelle strutture sociali, nelle creazioni
culturali e nelle tradizioni storiche. Il processo
65
di cui abbiamo parlato distrugge le antiche radici. Al
loro posto subentrano in un primo tempo almeno, gli ordinamenti
meccanici e formali: l'« organizzazione ». Ma l'organizzazione da sola
non crea una morale.
Diminuisce perciò nella vita generale il significato
delle norme etiche e viene sostituito dalla valutazione dell'efficacia e
del risultato. Ciò vale in particolare per le norme che difendono la
persona umana. Ci limitiamo ad un solo esempio: fino ad un tempo non
molto lontano era considerato sacrilegio il sezionare un cadavere, e non
perché il Medio Evo fosse retrogrado, come ritengono gli
autoglorificatori dell'Europa moderna, ma essenzialmente perché sul
cadavere aleggiava ancora il brivido di un tradizionale rispetto. Di qui
possiamo misurare la tremenda velocità con cui le barriere del sen-.
timento vengono abbattute l'una dopo l'altra. Che cosa c'è ancora
nell'uomo che la sensibilità media concepisca come intangibile? Non si
sono fatti degli esperimenti sull'uomo vivente? Che cosa altro era la
prassi di taluni istituti « medici » dei campi di concentramento se
non vivisezione? Che cosa significa quel complesso che va dal controllo
del concepimento alla interruzione della gravidanza, dalla fecondazione
artificiale alla eutanasia, dalla selezione delle razze, alla
distruzione della vita degli indesiderabili? Che cosa non si può fare
all'uomo quando si^consideri quell'opinione comune che si rivela nei
discorsi quotidiani, nei giornali, nel cinema,
66
nella radio, nella letteratura e non per ultimo nella
condotta di coloro che detengono il potere; degli uomini di Stato, dei
legislatori, dei militari, dei responsabili della vita economica?
Questo scomparire dei vincoli morali immediatamente
operanti abbandona in definitiva l'uomo in balìa del potere. Nel
passato di cui noi stessi abbiamo fatto l'esperienza l'uomo non avrebbe
potuto essere abbassato così come è avvenuto, nel presente di cui si
fa ora altrove esperienza, egli non potrebbe patire tali continui abusi,
se il senso morale non lo avesse a tal punto abbandonato; anche il senso
del singolo uomo per il proprio essere personale.
È stato già osservato più volte che non esistono
causalità unilaterali in ciò che è vivente. Un essere agisce
sull'altro rendendo possibile la sua azione, anzi provocando il suo
compiersi. All'esercizio del potere, considerato nel suo insieme e nella
prospettiva del tempo, corrisponde in chi viene dominato non solo un
passivo lasciar accadere, ma anche una volontà di essere dominato, e di
essere per tale via liberato dal peso della responsabilità e dello
sforzo personale. Nel complesso, a colui che viene dominato, avviene
ciò che egli stesso vuole. Se il potere deve esercitare la sua
violenza su di lui, è nel suo intimo che devono cadere anzitutto le
barriere del rispetto e della difesa di sé.
Si aggiunga ancora che il contenuto direttamente
religioso della vita si riduce sempre di
67
più. Non si tratta della diminuzione dell'influsso
della fede cristiana sulle condizioni generali — ciò che è pure
naturalmente vero — ma di qualche cosa di più elementare: diminuisce
il valore religioso dell'esistenza.
Nei tempi più antichi tutto aveva una definizione
religiosa. Tutte le cose che hanno un significato per la vita ed il
lavoro dell'uomo avevano una radice religiosa e da essa erano garantite.
I pesi e le misure ed il denaro con cui pagare, gli utensili e le armi;
la soglia della casa ed il confine del campo; la posizione della città
e la sua forma, con la piazza nel centro e le mura all'intorno; le cose
della natura con il loro significato per gli uomini e gli animali di cui
l'uomo va a caccia: tutto proveniva dalla divinità ed aveva misteriosi
poteri. Nella misura in cui il pensiero critico si fa strada, l'uomo
diviene padrone della natura, si delinea il significato proprio dei suoi
vari settori, e quella consapevolezza diminuisce.18
1° Anche il Cristianesimo coopera a spezzare quel
contenuto immediatamente religioso dell'esistenza, la cui potenza aveva
sopraffatto l'uomo, gli aveva fatto apparire il mondo some l'assoluto
divino, imprigionandolo nel suo incantesimo. La Rivelazione spezza
questo incantesimo poiché annuncia un Dio che, sovrano egli stesso, ha
creato il mondo e lo giudicherà. L'esperienza naturalmente religiosa
dell'essere, che dipende dal temperamento personale oltre che dallo
sviluppo storico e spirituale, non viene pertanto soppressa, ma opera
ulteriormente; solo che essa è ora purificata dal Dio della
Rivelazione, ordinata, inserita
68
L'uomo moderno non si libera solo dalla comunità e
dalla tradizione, ma anche dai legami religiosi. Non si limita
all'indifferenza davanti alla professione di fede cristiana che un tempo
era decisiva, ma diviene scettico di fronte alle manifestazioni
religiose in genere. Le cose divengono «mondane», intesa la parola
«mondo» non più nell'antico senso, ricco di religiosità, ma in un
nuovo senso profano, che indica l'insieme delle cose, delle energie, dei
processi che si possono afferrare razionalmente e dominare per mezzo
della tecnica. Ciò significa che sia l'uomo in generale, sia i singoli
momenti essenziali della sua vita, come ad esempio la condizione inerme
del fanciullo, il particolare carattere della donna, la debolezza ed
insieme la pienezza d'esperienza della vecchiaia, perdono il loro
accento metafìsico. La nascita non è più
nelle varie forme del culto e del costume. Ma è chiaro
che questo processo ha la funzione di liberare dall'incantesimo.
Nell'immediato rapporto religioso con il mondo, il cristiano, come una
volta il fedele dell'Antica Alleanza, è perciò assai meno n religioso
» del pagano di un tempo. Qui è l'appiglio per l'accusa paradossale di
empietà che fu lanciata dallo Stato pagano contro i cristiani. Con
presupposti mutati, le corrisponde oggi l'accusa di "
ostilità contro lo Stato » che dal tempo della Riforma e del sorgere
degli Stati nazionali viene rivolta contro la Chiesa. Il suo ultimo
travestimento è l'accusa di « sabotaggio » che lo Stato totalitario
lancia ad ogni credente in quanto tale. Sarebbe utile seguire la natura
e la trasformazione di questa accusa, dal falso processo contro Cristo
sino ad oggi.
69
che il sorgere di un individuo della specie umana; il
matrimonio è un semplice congiungersi di uomo e donna con determinate
conseguenze personali e giuridiche; la morte è la conclusione di un
processo generale che si chiama «vita». La felicità e l'infelicità
non sono più una sorte che viene da Dio ma semplicemente casi
favorevoli o sfavorevoli di cui bisogna venire a capo. Le cose perdono
il loro mistero e divengono prodotti che hanno determinati valori
economici, estetici, igienici. La storia non è più la molteplice
vicenda di un governo provvidenziale retto da sapienza e clemenza, ma un
seguito di fenomeni empirici. Lo Stato non rappresenta più la maestà
divina, ma, come dice una formula priva di senso, è « per grazia del
popolo » ; per esprimerci senza abusare di valori religiosi ormai
abbandonati: è l'auto-organizzazione del popolo, che afferma poi la
propria indipendenza sulla base di leggi psicologiche e sociologiche e
domina il popolo stesso. Tutto ciò non solo rafforza, ma suggella
quella conseguenza di cui abbiamo parlato: l'uomo, con tutto quello che
egli ha ed è, viene a trovarsi abbandonato agli assalti del potere.
Da tutto ciò che abbiamo detto emerge un concetto, di
cui non è facile considerare sufficientemente la portata: la
pianificazione universale.
In essa l'uomo domina con lo sguardo ciò che gli è
stato dato: materie ed energie della
70
natura, ed anche l'uomo stesso nella sua consistenza. La
statistica da una conoscenza esatta di ciò che esiste. La teoria mostra
i mezzi con cui può essere configurato. La ragione di Stato decide
quale deve essere la mèta di un risultato collettivo. La tecnica, presa
la parola nel senso più ampio, stabilisce i metodi per raggiungerlo.
Questa pianificazione viene suggerita per motivi
importanti: necessità politiche, aumento della popolazione; limitatezza
dei beni economici ed esigenza di una più giusta .ripartizione,
ampiezza dei compiti da risolvere, e così via. Ma dietro tutto questo
stanno impulsi non pratici, ma spirituali: il sentimento di avere il
diritto ed il dovere di stabilire una mèta al lavoro dell'uomo e di
considerare tutto ciò che è a disposizione dell'uomo come mezzo per
raggiungere quella mèta.
71
IL NUOVO VOLTO DELL'UOMO E DEL MONDO
Dopo tali considerazioni è spontaneo domandarsi qual è
il significato finale di tutto ciò.
E di consueto ci sentiamo rispondere che attraverso una
scienza sempre più penetrante ed una tecnica sempre più efficiente,
aumenta il potere che l'uomo ha di disporre delle cose che gli sono
state date, un potere che significa sicurezza, utilità, benessere,
progresso. L'uomo è meglio protetto dai pericoli che attentano alla sua
vita ed alla sua salute; deve lavorare di meno; il suo tenore di vita si
eleva; ha nuove possibilità di sviluppare la sua personalità ed il suo
lavoro; può liberarsi da attività di minore importanza e consacrarsi
ad attività più elevate ed avere perciò una vita sempre più ricca, e
così via.
È chiaro come il sole che ciò è vero, se si guarda al
singolo individuo. È senza dubbio una vittoria poter riconoscere e
superare più facilmente le tensioni sociali, poter regolare
l'approvvigionamento dei mezzi di sussistenza; poter
73
percorrere rapidamente grandi distanze, ecc. Ma come
stanno le cose se si guarda all'insieme?
Nessun uomo ragionevole dubiterà del significato delle
conquiste della medicina. Basta che egli stesso cada malato, o debba
curare qualcuno che soffre, perché se ne renda subito conto. Ma nel
campo della medicina — come in ogni campo della cultura — ogni
momento è collegato con l'altro e col tutto. Se ora ci poniamo davanti
agli occhi questo tutto, che consiste di scienza medica, di tecnica
igienica e terapeutica, di industria farmaceutica, di assicurazioni e
mutue, senza dimenticare il nuovo atteggiamento dell' uomo moderno, come
paziente e come medico, di fronte alla malattia ed alla sanità; se
pensiamo ancora che questo enorme apparato si rivolge all'uomo vivente
ed influisce su di lui nei modi più disparati, così che l'uomo a sua
volta vi si adatta, ne risulta un vero arricchimento? O, per limitarci
ad un solo aspetto, si corre forse il pericolo di compromettere ciò
che, al di là dell'esattezza delle conoscenze e dei metodi è appunto
il fondamento di ogni esser sano e voler risanare, e precisamente la
volontà di salute, la vitale fiducia, la istintiva sicurezza e
capacità di rinnovamento dell'uomo vivente?
Oppure: è evidente il vantaggio di un sistema di
assicurazione che sia ben studiato e funzioni in modo sicuro. Malattia,
disoccupazione, incidenti della natura, vecchiaia, perdono una buona
parte della loro gravita, quando si sa
74
che è assicurato quello che materialmente è
necessario. Ma immaginiamo raggiunta la mèta cui tendono gli sforzi
delle assicurazioni e creata quella organizzazione che abbraccia tutti i
cittadini e tiene conto di ogni situazione di bisogno. In tale sistema,
che cosa diverranno a lungo andare e per la media delle persone la
coscienziosità ed il buon senso, l'indipendenza ed il carattere, la
fiducia nella vita e la disponibilità davanti al futuro? Un tale
sistema di previdenza automatica non diverrà insieme un sistema che
riduce l'uomo in condizione di minorità? Non si attenuerà sempre di
più lo stretto rapporto con ciò che si chiama iniziativa, destino,
provvidenza?
Oppure: se il traffico si svolge in modo più colere e
completo, si guadagna realmente tempo? Ciò sarebbe vero se l'uomo
trovasse più agio e divenisse più tranquillo. E invece egli appare
sempre più incalzato, e il risparmio di tempo attraverso l'accelerarsi
del traffico ha in realtà l'effetto che egli si imprigiona sempre più
nel tempo. E quando davvero l'uomo guadagna tempo, come se ne serve? Si
libera forse dalla folla, o non si butta invece nella ressa di chi si
diverte o si dedica a sport assurdi, legge, ascolta, vede roba inutile?
La fretta ansiosa che lo svuota non prosegue in altra forma e la teoria
della vita più ricca non getta la maschera rivelandosi illusione?
Potremmo fissare la nostra attenzione sugli aspetti più
diversi e sempre giungeremmo al
75
risultato che la vera giustificazione del progresso
culturale non può consistere in una utilità comunque concepita,
perché tutto questo conoscere, lavorare, creare porta con sé anche un
pericolo che si aggrava sempre più. Vivere secondo la cultura significa
in definitiva vivere secondo la decisione dello spirito; ma ciò
significa che quanto più grande diventa il dominio del mondo, tanto
più è rischioso il vivervi.
Se si considerano i motivi da cui scaturisce l'operare
dell'uomo ed il giucco delle forze che determinano le decisioni della
storia, si vede operare dappertutto la volontà fondamentale del
dominio. In essa profondamente si radicano la grandezza e la tragedia,
la gioia ed il dolore dell'uomo. Dal momento della creazione, il
dominare è destino essenziale dell'uomo. Avere la facoltà di dominare
è concessione di Dio. Avere il dovere di dominare è un ordine. Essere
poi costretti a farlo, dopo la caduta, è una fatalità ed una prova
continua e pesante.
Ma come si attua — da un punto di vista generale —
questo dominio? L'uomo vuole acquistare conoscenza del mondo per
plasmarlo in nuove forme. È questo il senso dell'attività culturale,
il cui realizzarsi conduce attraverso un pericolo sempre più grande.
A fondamento di questa trasformazione sta una immagine
in cui l'uomo cerca di esprimere la natura delle cose, il proprio essere
ed il senso
76
della vita. L'aspirazione al dominio di cui si è
parlato non mira che a realizzare una nuova immagine del mondo.
È sempre difficile parlare di qualche cosa che è al
suo primo inizio, ma forse se ne possono rilevare alcuni tratti.
L'antica immagine del mondo, ne abbiamo già parlato, cercava di
esprimere l'armonia immanente di un universo sentito come divino, di cui
si faceva garante la nobiltà dell'uomo. Il Medio Evo volle ordinare
Resistenza partendo da un punto trascendente di autorità e di sacro
potere. L'Epoca moderna cercò di conquistare il dominio della natura
per mezzo della conoscenza razionale, della precisione tecnica. Che
avverrà nella futura immagine del mondo? Mentre il potere aumenta
ulteriormente, anzi raggiunge forme definitive, nei limiti in cui si
può applicare tale parola ad una situazione storica, il suo carattere
si rivela alla coscienza come carattere di pericolo ed il senso
essenziale del mondo futuro sarà il domare lo stesso potere.
II
Dobbiamo perciò cercare anzitutto di farci un'idea di
questo pericolo.17
L'uomo può disporre sempre più integral-
17
Cfr. La fine dell'epoca moderna, trad. ed. ediz. cit., pp. 92 ss.
77
inente e delle cose, e dell'uomo stesso. L'esercizio del
potere gli è consentito dalla libertà. E la libertà è determinata
dalla mentalità dell'uomo. Quale è oggi il sentimento dell'uomo? In
quale modo avverte egli la propria responsabilità?
In un recente tentativo di analisi della nostra
situazione si trova questa inquietante affermazione : « la crisi del
nostro tempo e del nostro mondo sembra correre verso un avvenimento che,
visto dal nostro punto di vista, può definirsi solo col termine di
" catastrofe globale "... vogliamo riconoscere chiaramente che
solo pochi decenni ci separano da quell'avvenimento. L'intervallo è
determinato dall'aumento delle possibilità tecniche, il quale sta in
rapporto diretto con la diminuzione della consapevole responsabilità
dell'uomo ».
Si impongono evidentemente delle riserve di fronte a
simili affermazioni; ma gli uomini di cui conosciamo la condotta —
ognuno nel proprio campo — danno l'impressione di sentirsi
responsabili di ciò che accade? E questa responsabilità influenza la
loro attività professionale e privata? Gli organi che guidano lo
svolgersi della vita pubblica danno l'impressione, in definitiva, di
sapere di che si tratta e di regolare di conseguenza la propria azione?
La misura del potere disponibile è garantita da un corrispondente
giudizio sul senso dell'esistenza umana, da una proporzionata
risolutezza nel prendere posizione sulle questioni morali, da
un'adeguata
78
forza di carattere? Esiste un'etica del potere costruita
su di un reale contatto con il fenomeno? Il giovane, e
proporzionatamente alle sue esperienze precedenti, l'uomo adulto viene
educato al retto uso del potere? Questa educazione forma un elemento
stabile della nostra formazione umana, sia individuale che sociale?
Io temo che, se rispondiamo lealmente a queste domande,
la risposta sia allarmante. Si ha in buona parte l'impressione che la
maggioran-iZa delle persone non sappia di che si tratti. E quando lo
sappia, si trovi in un'assoluta incertezza circa il da farsi, e,
considerando le cose nell'insieme, le lasci andare per la loro china.
In che consistono i pericoli di cui effettivamente si
tratta?
C'è anzitutto il pericolo che balza agli occhi con più
evidenza, quello della distruzione violenta, della guerra. E sembra che
ci siano ancora, sempre, uomini che fondano su di essa le proprie
speranze.
Le distruzioni di vite e forze umane, di beni economici
e di patrimonio culturale provocate da una nuova guerra, sono al di là
di ogni va-lutazione.18 Ma ancora più terribili sarebbero
i8 . Martedì a San Francisco, poche ore prima
dell'apertura della conferenza sul trattato di pac& giapponese, il
presidente Truman ha comunicato che gli Stati Uniti dispongono di nuove
armi la cui capacità distruttiva supera quella della bomba atomica. Nel
caso di una guerra generale queste armi potrebbero spegnere la civiltà
» ( « Frankfurter Allge-
7»
le distruzioni interne. Cadrebbe in rovina ciò che
ancora rimane di ordine morale e spirituale, di rispetto dell'uomo, di
forza del carattere e di fedeltà del cuore. E per un periodo di tempo
assai lungo ne risulterebbe una condotta che non crede più se non
all'astuzia ed alla violenza: attuazione piena di ciò che si chiama
nichilismo. Tale sarebbe anche il destino dei vincitori — nei limiti
in cui il concetto di «vincitori», legato ad un ordinamento ormai
declinante, può avere ancora un senso e non si debba piuttosto parlare,
come è già accaduto, di sopravvissuti, poiché ogni guerra futura
sarebbe di natura universale e colpirebbe la totalità degli uomini.19
Non così immediatamente afferrabile, ma dappertutto
minaccioso è un altro pericolo. L'uomo acquista un potere sempre più
grande sopra lo stesso uomo, ha la possibilità di esercitare un
influsso sempre più profondo su di lui, nel corpo, nell'anima, nello
spirito: in quale dirczione •eserciterà tale influsso?
Uno dei più tremendi ammaestramenti per coloro la cui
formazione culturale risaliva al-
.meine Zeitung », edizione tedesca, 6 settembre
1&51). Non si devono certo trascurare gli scopi tattici di una
simile affermazione. Tuttavia è l'affermazione dell'uomo di Stato, che
in definitiva determina l'iniziativa dell'occidente. (Si ricordi la data
di pubblicazione del saggio - N.d.R.).
19 Cfr. guakdini, Auf der Sucfie nach dem Frie-•den,
« Hochland », 41" anno, fase. 2.
SO
l'epoca precedente la prima guerra mondiale, fu che,
nell'esistenza concreta, lo spirito si è rivelato assai più debole di
quanto non avessero pensato. Essi avevano creduto che lo spirito,
immediatamente ed in quanto tale, dovesse essere più forte della
violenza e della menzogna. Ciò si esprimeva in frasi come : « non si
può soffocare lo spirito »... « la verità si impone »... « alla
fine vince ciò che è genuino ».. e così via. Affermazioni in cui
erano false almeno la immediatezza e la sicurezza idealistica. Coloro
che sostenevano tali idee sono stati costretti ad imparare quanto si
estende il potere della organizzazione dello Stato e della vita pubblica
ed in quale spaventosa misura è possibile paralizzare lo spirito,
scoraggiare la persona, confondere le misure del male e del bene.
Quale fra i valori che il tempo moderno credeva di aver
garantito contro la pretesa tenebra medioevale non è stato rinnegato?
Che cosa è rimasto integro di tutte le conquiste della cultura? La
dignità del vero e la nobiltà del giusto, l'onore dell'uomo,
l'inviolabilità del suo essere corporale e spirituale, la libertà
della persona e del suo lavoro, il diritto di avere e di esprimere le
proprie convinzioni, la fedeltà dell'impiegato, non solo
nell'esecuzione dell'ordine, ma anche nell'adempimento dei doveri
obiettivi; l'indipendenza della scienza, responsabile di fronte al
proprio significato; arte, educazione, attività medica, che cosa di
tutto questo non è stato distrutto? La violenza e la menzogna
81
non sono divenute atteggiamento permanente? Non
facciamoci illusioni; ciò non è avvenuto nella forma di uno
smarrimento momentaneo, ma in quella di un sistema teoretico e pratico
elaborato in ogni aspetto.20
Un esperimento è durato per dodici anni e ciò che lo
ha fatto crollare è venuto dall'ester-
20 Un
punto di partenza per una riflessione: può lo spirito ammalarsi? Non
solo i suoi organi fisiologici, il cervello ed il sistema nervoso; e non
solo il suo ordine psicologico, l'azione degli impulsi e la
concatenazione delle idee, ma lo spirito stesso, e in quanto tale? Dove
si celebra la vita dello spirito? Già Fiatone, e più tardi,
ispirandosi alla pienezza della Rivelazione, Agostino, ci hanno detto
che lo spirito vive nel rapporto con ciò che è vero e buono e santo.
Lo spirito è vitale e sano nella conoscenza e nella giustizia,
nell'amore e nell'adorazione; e tutto questo inteso in senso proprio e
non allegorico. Che succede dunque, quando quel rapporto viene
sconvolto? Lo spirito si ammala. Non semplicemente quando esso sbaglia,
o mente, o commette ingiustizia; è difficile dire quante volte ciò
deve avvenire, perché subentri quell'accecamento di ogni acume, quello
sconvolgimento di ogni capacità, per cui lo spirito stesso si rivela
malato. Ma certamente ciò avviene quando la verità, in quanto tale,
perde il suo significato; quando il successo si sostituisce alla
giustizia ed al bene; quando ciò che è santo non viene più avvertito
e non se ne sente neppure la mancanza. Ciò che allora accade non
riguarda più la psicologia, ma la scienza dello spirito e le misure che
si possono prendere non sono misure terapeuti-che, ma sono la
conversione delle idee, la metanolo,... Sotto questo punto di
vista che cosa significano i dodici anni in Germania e quelli che sono
ormai trentaquattro nell'Oriente?
82
no, non dal di dentro. L'altro dura già da tren-t'anni
e si sviluppa sempre più. Non sottovalutiamo la forza storica di tali
esperimenti, tanto più che in tutta la struttura della vita odierna,
nella sua razionalizzazione e meccanizzazione, nella tecnica
dell'orientare le opinioni, e nelle possibilità pedagogiche, si ritrova
uno stimolo continuo ad imitarli. Questo stimolo può operare anche se
è contraddetto dalle idee ufficialmente riconosciute, poiché è
sovente il nemico che detta i metodi ed i metodi sono spesso più forti
delle idee.
Un terzo pericolo è l'azione che il potere come tale,
la violenza, esercita sull'esistenza. Ci sono cose che possono essere
senz'altro dominate da una forza razionalmente ordinata, ad esempio
tutto ciò che attiene alla natura inanimata. Ma già nella natura
animata la cosa è diversa; per imprimerle una forma c'è bisogno di
intuizione e di espnt de finesse. Ed in particolare le cose umane
— tutto ciò che si chiama educazione, assistenza, ordine pubblico,
edificazione di una cultura — per rimanere urna- . ne e giungere
all'altezza dello spirito devono passare attraverso il tramite della
persona.
Ciò che è congiunto alla verità, al bene, alla
giustizia si attua solo per un'adesione vitale, una convinzione
autentica, una rispondenza inferiore. Richiede profondo rispetto,
incoraggiamento, pazienza. Chi agisce deve entrare nell'ambito della
libertà, prendere l'iniziativa, de-
83
stare l'originalità creativa. Deve contribuire a
sviluppare gli impulsi di ciò che è vivente e lasciar piena libertà
ai suoi itinerari.
Quanto è più grande il potere e tanto più forte è la
tentazione di scegliere la via più facile, quella appunto della
violenza. « Eliminare » la persona e la sua libertà, l'esistenzialità
del vero, l'originalità del creare; ottenere con la forza ciò che ci
si è prefissi e presentare come privo di valore ciò che con la forza
non si può ottenere. Costruire quindi una cultura che ha solo un
fondamento razionale e tecnico. Ma allora bisogna che l'uomo stesso sia
concepito in modo tale da poter essere « afferrato », « amministrato
», formato a priori per determinati scopi.21 Non solo
da un punto di vista fisico, ma anche psichico: pensiamo ai mezzi della
suggestione, della propaganda, dell'influenza esercitata sui giudizi. E
persino da un punto di vista spirituale, quando la dialettica e la
tecnica della discussione, la raffigurazione della storia e della vita,
l'intera prospettiva dell'esistenza, si svolgono non nel rispetto della
verità, ma per scopi pratici e scompare ciò che è autenticamente
spirituale, ciò che è valido di fronte all'uomo capace di osservare e
di giudicare.
21 È bene dar ascolto al linguaggio. La condizione in
cui si trova, la parola che esso adopera o evita sono significative
dell'intima costituzione di un'epoca. Come è allora rivelatore il fatto
che parole, come quelle citate, siano applicate all'uomo!
84
Infine un quarto pericolo: quello che il potere
costituisce per chi lo usa. Nulla rende più problematica la purezza del
carattere e le più nobili qualità dell'anima. Essere in possesso di un
potere che non è definito da una responsabilità morale e non
controllato da un profondo rispetto della persona, significa distruzione
dell'umano in senso assoluto.
L'antichità era consapevole di questo pericolo, vedeva
la grandezza dell'uomo, ma vedeva anche che, con tutta la sua forza,
egli è assai vulnerabile e che la sua esistenza dipende dalla sua
capacità di mantenere misura ed equilibrio. Per Fiatone il tiranno,
cioè colui che detiene il potere e non è vincolato dalla venerazione
per gli dèi e dal rispetto della legge, era figura della perdizione...
Il tempo moderno ha sempre più disimparato questa sapienza. Ciò che in
esso avviene, questa negazione di ogni norma che stia al di sopra
dell'uomo, questo considerare il potere come autonomo e definirne l'uso
solo sulla base dell'interesse politico o dell'utilità
tecnico-economica, non ha precedenti nella storia.
Non intendiamo parlare solo di chi occupa posizioni
chiave nella politica interna ed estera e nella dirczione economica, ma
di chiunque ha « potere » ; di chiunque è in grado di decidere, di
comandare, di far lavorare degli uomini, di provocare degli effetti, di
creare delle condizioni, per parlare un linguaggio biblico di «
esercitare un dominio ».
85
Far questo è essere simili al Signore del mondo; qui si
origina la grandezza dell'uomo. Ma già nel secondo capitolo di questo
scritto, abbiamo cercato di mostrare che tutto il nesso fra forza e
direziono, fra energia e misura, fra impulso ed ordine è profondamente
sconvolto nell'uomo; grande è il pericolo di confondere la forza con la
violenza, l'iniziativa con la sovranità, il comando con l'asservimento,
la giustizia obiettiva con l'interesse, l'azione autentica, vasta e
duratura, con il successo ed è un pericolo che cresce nella misura in
cui vengono meno i legami con la norma morale e l'elevatezza religiosa.
Sempre più minacciosa diviene la perversione del potere e con essa la
perversione della stessa natura umana. Poiché non c'è azione che si
esaurisca nel suo oggetto, sia esso una cosa o una persona; ogni azione
afferra anche colui che la compie. È una terribile illusione pensare
che Fazione rimanga « al di fuori » di chi agisce, poiché in verità
quell'azione penetra anche in lui, anzi in lui stesso prima che
nell'oggetto del suo agire. In verità egli « diviene » continuamente
ciò che egli « fa » :
ciascuno, dal capo responsabile dello Stato, al
dirigente di un ufficio o alla donna di casa, dallo scienziato al
tecnico, dall'artista al contadino... Perciò, se l'uso del potere
continua a svilupparsi lungo le linee indicate, non si può prevedere
che cosa avverrà in chi usa del potere: distruzioni morali e rovine
spirituali di natura ancora sconosciuta.
86
Ili
Nell'imagine del mondo che si va ora trasformando si
possono identificare elementi connessi a questi pericoli? Si può
affermare che la futura struttura dell'esistenza storica si prepara ad
affrontarli?
Vorrei ancora sottolineare che quanto ho detto qui è un
semplice supporre e tentare di indovinare, poiché dappertutto le cose
sono ancora allo stato fluido. Inoltre l'interpretazione di ciò che ci
è contemporaneo è così influenzata dall'atteggiamento personale,
l'impulso demolitore è così violento e le condizioni storiche così
instabili, che la possibilità di una interpreta-zione pessimistica è
almeno altrettanto grande di quella ottimistica. La mia opinione, se
posso esprimermi in forma personale, risulta già chiara da quanto ho
detto, ma vorrei ripetere ancora una volta, espressamente, che credo
alla possibilità di una soluzione positiva. Non nel senso liberale,
secondo cui tutto andrà in fine per il meglio; ed ancor meno nel senso
storicistico e dialettico, secondo cui ciò che avviene si muove
necessariamente verso una mèta migliore. Pensare così compromette anzi
ogni soluzione positiva; poiché non mette in causa quello che in
definitiva importa, la responsabilità dell'uomo libero. Ed io penso che
questa libertà porta con sé la speranza di condurre la storia lungo il
sentiero positivo.
87
Significativo nella nuova immagine del mondo appare
anzitutto il fatto della sua finitezza. La scienza e la tecnica
calcolano bensì con misure immense; i numeri crescono in grandezza,
discendono in piccolezza fino all'impensabile, eppure, per vedere la
differenza, basta paragonare il sentimento generale oggi dominante con
quello che accompagnava il sorgere dell'epoca moderna. Spazio e tempo,
misure ed energie si rivelano oggi in dimensioni ignote all'epoca
moderna: ma noi non li sentiamo in termini di illimitatezza, mentre
così li aveva appassionatamente sentiti l'epoca moderna pur disponendo
di dati assai più modesti.
Per essa il mondo era tutto. Non solo in senso
quantitativo, in quanto esso era « tutto ciò che esiste », ma in
senso qualitativo, in quanto assoluto ed illimitato. Perciò l'uomo non
poteva mai prendere posizione di fronte ad esso, ma solo entro di esso.
Il mondo lo superava in modo essenziale ed assoluto. Non esisteva
fondamentalmente ne distacco, ne critica, ma soltanto adattamenti ed
immedesimazione. Ed era insieme diffuso il sentimento di una illimitata
pienezza di essere, di una inesauribilità di riserve. L'una cosa e
l'altra rendevano impossibile una vera e propria contrapposizione. Pare
invece che ora si faccia strada il sentimento che il mondo sia qualche
cosa che ha una forma e perciò un limite. Mostruosamente grande certo
nelle sue proporzioni, nelle più grandi, e nelle più piccole, ma
tuttavia appunto misurato. Il
88
concetto del « tutto » sembra acquistare un nuovo
significato. Non significa più l'adorazione dell'imperiosa sovranità
dell'essere in senso assoluto, ne l'appello dell'infinito all'offerta
dionisiaca, ma il compendio di ciò che ci è dato e di fronte a cui è
possibile, anzi è imposta una posizione, un giudizio, un programma.
Riesce molto più facile all'uomo riconoscersi per ciò che è: vivente
nel mondo e insieme al di fuori di esso; legato al mondo ed insieme
libero davanti ad esso; per così dire al margine del mondo, dappertutto
e sempre al suo margine.
Da questo sentimento fondamentale nasce una diversa
condotta nei riguardi del mondo. Più aspra, più dura, ma insieme con
la testa e le mani singolarmente libere. Il mondo non sopraffa
quella condotta, bensì la stimola e la esige, invitandola ad una
responsabilità spirituale.
Qualche cosa di analogo si avverte anche in quel settore
dell'attività pratica che deve tener conto delle più rilevanti misure
terrene:
la politica — intesa la parola nel senso dell'operare
per mezzo dei popoli e degli Stati,. attraverso le regioni e le epoche.
L'epoca moderna poteva avere il sentimento che esistessero ancora spazi
sconosciuti, riserve non ancora utilizzate: ne troviamo un'espressione
nel concetto di « colonia ». Anche il singolo popolo ed il suo Stato
contenevano zone di ricchezze materiali ed umane non ancora esplorate e
conquistate. E si giustificava il sentimento che ci fosse
89>
più materiale di quanto non venisse utilizzato;
più forze di quante non ce ne fossero in atto. "Ma
ora la terra si è rinchiusa in un unico campo politico che non contiene
più nessuna zona di vuoto. Dal punto di vista della politica estera
ciò che prima era disponibile si trasforma sotto i nostri occhi in
oggetto di politica: il fenomeno della colonia scompare. Dal punto di
vista della politica interna, attraverso le tecniche della statistica e
dell'amministrazione, il paese ed il popolo vengono riconosciuti e
inquadrati a seconda del tenore di vita, dei possedimenti e delle
energie.
Di conseguenza i compiti politici si spostano sempre
più da ciò che è estensivo, a ciò che è intensivo- Acquista una
particolare urgenza ciò che in senso proprio si chiama «
governare » :
cioè il vedere, giudicare, afferrare, guidare,
valorizzare ciò che è dato, avendo lo sguardo all'insieme.
In un campo chiuso ogni provvedimento suscita reazioni
molto più acute, sia in senso positivo che in senso negativo. Non si
perde nell'indefinito, ma si delinea con chiarezza e reclama una
responsabilità. Forse l'aumento patologico della burocrazia non è solo
un sintomo negativo, ma contiene, come suo nocciolo autentico, la
coscienza che i dati della storia e della politica sono disponibili in
misura molto più elevata che nel passato e che perciò si deve
governare in modo molto più consapevole ed esatto: tutte le
disposizioni particolareggiate
SO
ed i controlli sarebbero forme in cui lo Stato moderno
non riesce ancora a trovare se stesso.
Nella stessa dirczione sembra orientarsi quella
consapevolezza della collettività che si fa. strada ovunque. Mentre nel
passato l'esistenza era automaticamente concepita come l'insieme di
singoli elementi che si potevano congiungere a seconda dei vari punti di
vista, si riconosce ora che essa poggia su delle strutture organiche.
Che non esiste la singola cosa isolata, il singolo processo, ma che il
singolo si trova a priori inscritto in un tutto e che,
reciprocamente, il tutto si definisce attraverso ogni singolo. Da ciò
la consapevolezza che tutto opera in tutto. Chi ad esempio ricorda
ancora con quale sicurezza dogmatica il razionalismo della fine
dell'ottocento interpretava gli accadimenti in base ad una causalità
unilaterale e rigettava l'assurdità scolastica del concetto di causa
finale, vede ora con meraviglia riemergere quel concetto come « nuovo
», e lo vede applicato in modo così radicale che si può parlare di
inversione della causalità, e dunque di una causalità retroattiva.
Politicamente, prendendo la parola nel senso più alto,
ci avviciniamo sempre più ad una condizione in cui i rapporti
economici, sociali, politici di un paese coinvolgono tutti gli altri
paesi. Come nessuno strato di una popolazione può vivere in cattive
condizioni sociali ed economi-che ed igieniche, senza che ciò si
rifletta su tutta
91
la comunità, reciprocamente nessun gruppo particolare
prospera 'effettivamente, alla lunga, quando la condizione generale non
sia nell'ordine.
Si comincia anzi a vedere che per la condizione sociale
ed economica del singolo e del gruppo sono importanti persino la
religione e la concezione del mondo. Abbiamo visto con i nostri occhi
come è stata completamente capovolta la tesi moderna del carattere
privato della Weltanschauung. La costruzione dogmatica che il
giudizio corrente rinfaccia al Medio Evo era piena libertà a paragone
di ciò a cui il nazionalsocialismo ha dato l'avvio e che continua ad
accadere nel comunismo. Trascuriamo per il momento la sopraffazione di
ogni verità e dignità, che fu ed è perpetrata da questi regimi; dal
nostro punto di vista ha importanza la constatazione che anche qui
nessun settore dell'esistenza può essere risparmiato. Ciò che
chiamiamo libertà, indipendenza, autonomia della persona, deve dunque
essere cosa diversa da quanto ritiene la posizione liberale; ed è
piuttosto la sfera inferiore in cui la persona vive con se stessa,
intimamente congiunta alla realtà dell'esistenza. La convinzione che le
opinioni religiose sul mondo e sulla vita siano qualche cosa di
soggettivo e l'opposta convinzione che sia lo Stato a determinare tali
opinioni sono così connesse l'una con l'altra, che si possono definire
come due aspetti dello stesso errore fondamentale.
92
Per ciò che riguarda l'immediata condizione dell'uomo,
la biologia e la medicina riconoscono sempre più chiaramente che la
funzione di un singolo organo influisce su tutto l'organismo e che la
condizione del tutto influisce su ogni singolo organo; non esiste dunque
malattia fisica che non abbia conseguenze spirituali, così come,
reciprocamente, ogni processo spirituale ha i suoi presupposti fisici.
Questa tendenza trova la sua espressione più generale
nell'importanza crescente della concezione della relatività, che non va
confusa con il dissolvente relativismo del tempo passato, il quale
spogliava i singoli dati del loro valore individuale, riconduceva ogni
elemento ad un altro e distruggeva così l'originalità dei valori. Il
pensiero relativistico attuale, se vedo esattamente, ha un altro senso.
Esso vuole mostrare che ogni singolo essere è costituito di complessi
unitari, in cui i diversi elementi sono dati gli uni con gli altri, gli
uni attraverso gli altri, gli uni in rapporto con gli altri. Ciò ha
inizio in un fenomeno elementare come il rapporto conoscitivo nel quale
l'oggetto non è concepito indipendente dal soggetto, ma colui che
osserva partecipa della cosa osservata; ovvero il rapporto di
causalità, in cui non esiste azione unilaterale di un essere su di un
altro, ma ogni azione è bipolare.
Appare perciò anche qui il fenomeno della visione e
concezione di insieme, sia nel bene che nel male. E con esso l'esigenza
di un auten-
93
tico « governo », basato sulla conoscenza del come le
energie dell'esistenza agiscano le une sulle altre e sul sentimento
della responsabilità di fronte a questa esistenza formata di così
molteplici azioni reciproche.
La moderna immagine del mondo conteneva l'idea di una
natura che significava al tempo stesso norma e sicurezza. E questa
natura era considerata come un complesso di leggi e di rapporti che da
un lato costringevano l'uomo, ma dall'altro lo proteggevano e
garantivano. Conoscenza e tecnica spezzano ora le strutture della
natura. Gli elementi sono a disposizione di chi voglia impadronirsene.
Da ordine sovrano ed insieme accogliente, la natura diviene un complesso
di energie e di materie di cui l'uomo dispone. Da tutto intangibile che
si doveva contemplare in gioiosa ammirazione, diviene sconfinata
possibilità, fonte di energie, cantiere di lavoro. E mentre nell'epoca
moderna l'uomo aveva considerato se stesso come membro di questa natura,
si fa ora strada il sentimento che egli può impadronirsi di essa in
libertà incondizionata, e farne ciò che vuole, farla fiorire e farla
rovinare.
Un analogo mutamento si osserva negli ordinamenti
tradizionali dell'esistenza, nelle svariate forme della tradizione,
rappresentata nell'occidente dall'umanesimo e dal cristianesimo,
nell'Asia e nell'Africa dalla tradizione religiosa e culturale. Quella
tradizione in cui il singolo entrava con la sua vita e il suo lavoro,
trovan-
94
dovi insieme la sua definizione e la sua sicurezza, si
dissolve ora dovunque. È caratteristico osservare come la novità viene
generalmente considerata come un valore in sé e per sé. L'impulso a
trasformare tutto sembra qualcosa di più che non il sintomo di un
procreare o la convinzione dell'importanza della cosa scoperta. Certo
esso ha forme negative: mancanza di rispetto e di responsabilità,
vistosità ed altro ancora. Ma sembra che vi sia anche qualche cosa di
positivo: il sentimento che il mondo è alla nostra disposizione in un
modo che non ha precedenti e che il disporne giustamente non è
garantito ne dalla natura stessa ne dalla tradizione, ma dipende dal
giudizio e dalla volontà dell'uomo.
Abbiamo ampiamente parlato degli aspetti pericolosi,
così ci limitiamo ad accennarli ancora una volta. Il pericolo non
appartiene ai sintomi puramente negativi della veniente cultura, poiché
in tal caso si dovrebbe concludere che essa deve scomparire. Il pericolo
è essenziale alla futura immagine del mondo e, se inteso rettamente, le
da nuova serietà. In tutto il futuro non ci sarà vita di uomo che
nella sua essenza non sia in pericolo. La coscienza di tale situazione
è assai viva ed ha anche forme di non-valore: la paura, la mancanza di
serietà, il vivere alla giornata, che dappertutto si rilevano. Ma si
mostrano anche sintomi positivi. Sembra che la borghese volontà di
sicurezza
95
scompaia e che l'uomo riesca a liberarsi da molti
pregiudizi che un tempo parevano ovvii. Intere popolazioni vengono
trapiantate dalla propria patria in altri territori; l'antico concetto
dell'abitazione scompare in gran parte e lascia il posto ad una forma di
vita quasi nomade; l'uomo di oggi perde il piacere del risparmio e muta
il suo atteggiamento di fronte agli istituti bancari ed assicurativi;
tutto questo ed altro ancora sembra avere non solo il significato
negativo dello sradicamento, ma anche un significato positivo : davanti
all'imprevedibilità dei pericoli sopravvenienti l'uomo cerca di
acquistare una maggiore mobilità. Sembra farsi strada la coscienza che
tutto è giunto a tal punto perché tutto in definitiva consiste nella
libertà e l'uomo deve perciò conquistare un abito di maggiore
libertà: singolare risultato dell'epoca, della scienza naturale
classica, in cui tutto pareva determinato dalla necessità e perciò
fondato nella sicurezza!
Infine il mondo che ora emerge ha un carattere di più
grande mobilità, plasticità, potenzialità di quanto non apparisse
nella precedente immagine.22
22 I
vari elementi sin qui descritti si sovrappongono l'uno all'altro; pure
questa non è un'obiezione contro il quadro che dobbiamo tracciare. Essi
presentano diversi aspetti di una sola ed identica cosa: la
caratteristica forma aggregata, se così si può dire, della esistenza
futura; il modo di costruirsi e di muo-
96
Si potrebbe mostrarlo da diversi indizi. Ne
accenniamo uno. Il corpo umano era fino ad ora considerato come
un sistema chiuso, che si costruiva partendo da se stesso, era mosso dai
propri impulsi e determinato dalle proprie leggi: questa era l'immagine
del corpo della scienza materialistica, biologistica. In questa
corporeità chiusa, il singolo, preoccupato di problemi teorici o
pratici, quando lo riteneva giusto, cercava di collocare l'anima, lo
spirito e alla domanda sul come si stabilisca il rapporto fra l'anima ed
il corpo rispondeva per lo più attraverso il concetto di un duplice
ordine. Tali concezioni si modificano radicalmente. L'immagine del corpo
umano perde la sua solida compattezza. Appare come qualche cosa di vivo
e di mobile; quasi un accadimento che continuamente si ripete. E questo
accadere viene determinato dall'anima. Più esattamente: l'uomo sembra
attuarsi nella tensione fra due poli, quello materiale e quello psichico
e spirituale.23 Ne da testimonianza la conoscenza sempre più
efficace del carattere psicosomatico di tutti i fenomeni del corpo, ed
in particolare della malattia e della salute. Ma nella stessa dirczione
sembra orientato anche un concetto che appare espresso con piena
coscienza e sviluppato in program-
versi, che crediamo di vedere nella futura immagine del
mondo.
23 Non ci occupiamo qui dei problemi che sorgono a
proposito della concezione di questi due « poli »• e del pericolo di
un nuovo monismo.
97
ma da Nietzsche: quello dell'allevare. Nietzsche afferma
che attraverso misure appropriate si può influenzare la vivente
sostanza dell'uomo. Non possiamo discutere qui se ed in quale misura
ciò è possibile; tuttavia la teoria mostra che l'uomo vivente viene
sentito come qualche cosa di molto più mobile e potenziale che nel
passato. Ma appunto per questo assai più esposto al pericolo.
Appena la nostra attenzione ha individuato in un punto
questo carattere, lo ritrova ovun-que nell'immagine del mondo che si va
trasformando. Dappertutto si vede che le cose sono molto meno solide,
molto più mobili, più affidate all'iniziativa dell'uomo, di quanto non
si pensasse nel XIX secolo.
Da quanto detto — ed altro si potrebbe aggiungere —
si arriva ad un'ultima conclusione : alla consapevolezza della
responsabilità dell'uomo.
Sotto la moderna concezione della natura stanno motivi
complicati. Anzitutto la volontà di essere liberi per esercitare in
modo autonomo il dominio sul mondo; il che significherebbe di
conseguenza che l'uomo, padrone di sé, assumerebbe anche una vera
responsabilità della sua azione. Ma non esiste responsabilità autonoma
di un essere finito : qui l'uomo avanza delle pretese su ciò che
appartiene solo a Dio. Perciò quella responsabilità viene assunta,
anche se soltanto in apparenza, fintantoché nel
98
mondo risuona ancora un'eco del messaggio cristiano
della creazione e del governo di Dio. Ma in realtà è già pronto il
concetto che rias-sorbe in sé la effettiva responsabilità del mondo, e
precisamente il concetto di una natura che è tutto in tutto, infinita
ed eterna e abbraccia perciò anche l'uomo. E l'uomo, sia pure
attraverso vie indirette, empiriche e metafisiche, una sola cosa ha da
fare: inserirsi in essa.
Le diverse teorie razionalistiche, evoluzioni-stiche,
sociologistiche non fanno che costituire il fondamento più o meno
scientifico di questa volontà fondamentale. La libertà autentica è
garantita solo nel porsi di fronte a Dio sovrano e personale; così come
un'autentica responsabilità solo attraverso Lui è resa possibile ed
impegnativa. Una natura che tutto risolva in se stessa sopprime al
contrario e libertà e responsabilità. Nonostante l'apparente autonomia
dello spirito, sarebbe essa a determinare la storia e ne
rappresenterebbe al tempo stesso la garanzia; ma ciò si rivela sempre
più falso. Non la natura, ma l'uomo determina le cose. E non per una
necessità che farebbe di lui una specie di seconda natura, ma per la
libertà. La coscienza di ciò si fa strada nei campi più diversi. Ne
è esempio caratteristico l'esistenzialismo estremo, che capovolge in
libertà radicale l'antico determinismo, rimanendo altrettanto estraneo
alla realtà. Tutta la sostanza della verità si dissolve e l'uomo resta
in balìa di un puro arbitrio; il che significa che tutto diviene
assurdo.
99
Nulla da aiuto all'uomo: egli deve volgersi nuovamente
alla verità, tornare indietro, ovvero proseguire avanti; comunque si
voglia chiamare la direzione in cui si deve attuare la metànoia
che porta a salvezza. L'uomo non può trovar riparo nelle leggi astratte
della natura e della storia, ma deve lui stesso impegnarsi, e qui è la
speranza del futuro. Sembra che ciò sia in contraddizione con le teorie
più disparate; formule universali e storicismo dialettico. Ma chi è
preparato intellettualmente e moralmente deve accettare il fatto su cui
si fonda ogni futuro sviluppo : che l'uomo è il responsabile del corso
della storia e di ciò che diviene l'esistenza del mondo e dell'uomo
stesso. Egli può agire bene o può errare, e per far bene deve essere
nuovamente pronto a quella condotta che già Fiatone aveva riconosciuto
come il compendio del dovere umano: la «giustizia», ovvero la volontà
di riconoscere l'essenza delle cose e di fare ciò che è giusto di
fronte ad essa.
In quanto siamo venuti dicendo è amorato già più di
una volta il concetto di « governo ». Se il mio giudizio è esatto, è
questo il punto di riferimento pratico verso cui confluiscono le linee
della futura immagine del mondo. Cerchiamo di porlo in luce con più
evidenza.
Il quadro che abbiamo tracciato mostra un mondo che non
scorre da se stesso, ma deve essere guidato. In esso l'uomo non è posto
al riparo, ma deve osare con la propria iniziativa;
100
Questo mondo esige perciò l'uomo che è capace di «
governarlo ».
Un tale concetto si è corrotto, come tanti altri
concetti essenzialmente vitali. Quando l'uomo di oggi sente questa
parola, pensa probabilmente ad un impiegato che lo ostacola; ad un
rappresentante della statalità totalitaria che lo offende; ad uno
specialista che compie una qualche operazione necessaria nel complesso
del mondo sociale ed economico, operazione di cui egli non comprende
nulla e davanti alla quale è pertanto diffidente. Di lontano, infine,
emerge dai ricordi storici l'immagine ormai estranea dell'antico
signore, che aveva un'autorità di origine divina, ma garantiva anche,
con la sua responsabilità, la giustizia e il benessere. Una evoluzione
estremamente problematica ha condotto da quella immagine alle varie
forme con cui, in base alla teoria moderna, il « popolo » nel suo
proprio « nome » decide del suo pro-' prio destino.
L'educazione ai compiti politici — intesa la parola
nell'antico significato di rapporto con la res p-ublica — deve oggi
superare un tale concetto. Ciò che si intende qui per « governare »
è una posizione umana, morale e spirituale. Contiene anzitutto la
coscienza del come il mondo futuro sarà e del come esso è affidato
all'uomo, a ciascun uomo nel posto che occupa. A ciò si aggiunge il
sapere quale immensità di potere sta a disposizione dell'uomo. E la
coscienza che un tale potere può essere tenuto a freno solo
101
dalla responsabilità. Nessun paragrafo di costituzione,
nessuna alta corte di giustizia, nessuna autorità può essere di aiuto,
se l'uomo medio non sente che la res publica, il bene comune di
una esistenza umana libera e dignitosa, è affidato nelle sue mani. Di
qui nasce la fedeltà alle cose: il riconoscere che è un delitto
l'assegnare le singole cariche in base all'ambizione, al vantaggio, alla
tattica di partito; mentre si tratta solo di sapere quale è il lavoro
da svolgere, e chi lo svolge, perché l'uomo adatto sia assegnato al
posto adatto. Poter governare significa dunque essere superiore; vedere
la molteplicità e la reciproca dipendenza degli elementi attivi;
ritrovare sempre quella misura così minacciata, su cui
dovrà poggiare non solo il benessere, ma resistenza di tutti.24
IV
La struttura del mondo, quale dovrebbe essere e di cui
abbiamo cercato di tracciare alcuni lineamenti, molto generali, non
nasce sulla base di necessità oggettive, in una specie di processo
cosmico-storico, ma viene creata dall'uomo. Tale creazione non procede
solo da riflessione razionale e dalla volontaria determinazione della
24
Solo in questo atteggiamento e non in qualsi-voglia dogma di uguaglianza
consiste ciò che si può chiamare davvero « democrazia ».
102
mèta, ma ciò che è oggettivamente voluto deve farsi
operante in colui che agisce.
Più esattamente: una effettiva immagine del mondo
deve essere contemporaneamente operante all'interno ed all'esterno,
insieme immagine di un lavoro ed immagine dell'uomo. E si solleva
perciò il problema di sapere come sarà l'uomo che deciderà dell'epoca
futura. Quali i suoi impulsi e la sua condotta. Si può dire qualche
cosa attorno a ciò.
Se prescindiamo da coloro che sono ottimisti per una
felice vitalità o per una salda ideologia, ci imbattiamo dappertutto in
una profonda preoccupazione. Essa riguarda anzitutto le concrete
possibilità storione e politiche; ma al di là di queste riguarda
qualche cosa di fondamentale : è veramente l'uomo all'altezza della sua
propria opera? Nel corso degli ultimi cento anni egli ha sviluppato il
potere in una misura che va al di là di tutto quello che si poteva
supporre. Questo potere si è in gran parte oggettivizzato : in
conoscenze e procedimenti scientifici, i quali suscitano sempre nuovi
problemi; in strutture politiche che sono in movimento verso il futuro;
in schemi tecnici che incalzano per la loro propria dinamica; ed infine,
ed anzitutto, nella logica propria degli atteggiamenti spirituali,
intellettuali dell'uomo stesso. Ci si domanda, con preoccupazione, se
l'uomo è capace di piegare a sé tutto questo e farlo in modo da poter
conservare il suo onore,
103
e portare frutto ed avere gioia; e si fa strada il
sentimento che l'uomo, quale è oggi, non è in grado di farlo. Le sue
opere ed i loro effetti sono saliti al di sopra di lui e si sono resi
indipendenti. Hanno assunto un carattere extraumano, cosmico, per non
dire demoniaco, che non può più essere guidato umanamente.
Non si può contestare che tale sentimento sia in parte
esatto. Ognuno conosce degli uomini che in concreto non sono più capaci
di dominare l'avvenimento, il lavoro, la forma di vita che da essi si
sviluppa e vi soggiacciono col sentimento di essere degli estranei, anzi
di essere in balìa degli avvenimenti. Esiste un gruppo di uomini, e non
pochi, nati in un periodo precedente a quello che scorre fra le due
guerre mondiali. A taluno di essi riesce di riservarsi uno spazio di
vita entro cui resistere. Altri sono almeno capaci di crearsi un loro
mondo intcriore di ricordi, di libri, di opere d'arte. Nel complesso
essi sono degli inferiori. Ma questo non è tutto e forse si rivelerà
qui qualche cosa che va al di là del destino di una generazione che
appartiene al passato. Forse lo sviluppo del potere umano, con la sua
oggetti-vizzazione dimostra che l'uomo ha cessato di stare nella storia
come soggetto ed è ormai un semplice tramite di processi che si
sottraggono al suo raggio di azione; non è più lui a reggere il
potere, ma dal potere viene egli stesso governato?
104
Se si dovesse raffrontare l'uomo in genere con l'uomo
che vive oggi, la risposta al nostri interrogativi sarebbe quanto meno
assai perplessa. Ma di contro ad essa si annuncia una speranza, il cui
contenuto non è facile definire.
Da un lato essa ha una forma puramente religiosa e si
esprime nella fiducia che Dio è più grande di tutto il processo del
mondo. Egli tiene quel processo nelle sue mani, e perciò la sua grazia
può ad ogni momento operare in un mondo la cui norma esemplare non è
il funzionamento della macchina, ma la creazione dello spirito vivente.
Un'altra speranza si volge al grembo profondo della
storia. Abbiamo già detto che l'in-terpretazione meccanicistica
dell'esistenza è fallita. Certo ogni accadimento ha una propria causa,
ma accanto alle cause meccaniche esistono le cause creatrici, e accanto
alle cause che scorrono entro la necessità esiste anche la causalità
spontanea.25 Essa opera già nel campo della biologia e della
psiche e diviene decisiva nella storia. Nulla è più lontano dalla
realtà del concetto di un processo storico che si svolge secondo
necessità. Al di là di quel processo non sta una conoscenza, ma una
volontà. Questo dovrebbe essere ormai chiaro agli occhi di chi è
capace di apprendere dagli avvenimenti; poiché questa volontà ha
assunto l'aspetto di una in-
25
guardimi, Libertà, grazia, destino, Morcellia-na, Brescia 1957,
p. 88 ss.
105
lamia
metafisica. In realtà non si può calcolare e. priori il eorso
della storia, ma solo accettarlo ovvero determinarlo. La storia
ricomincia nuovamente ad ogni istante, in quanto viene continuamente
decisa nella libertà di ogni uomo, ma anche in quanto emergono dal suo
fondo creatore nuove figure e nuove forme di accadimenti. Perciò quella
speranza si orienta ad attendere il sorgere di una nuova realtà umana,
che sia al livello dell'immensità del potere che l'uomo ha sino ad oggi
esercitato e che non sa più dominare.
Nello spirito del concetto moderno di personalità si
sarebbe detto che si spera nel grande uomo; nel genio capace di
realizzare una padronanza del potere che possa a tutti servire di
modello. Ma al solo pronunciare tale pensiero vediamo quanto esso
sarebbe romantico per noi. La situazione odierna ha bisogno non del
grande singolo, ma di una nuova struttura umana. Con ciò non si intende
qualche cosa che è frutto di fantasia, ma qualcosa che si è sempre
ripetuto nella storia. Al caos della migrazione dei popoli, durato per
mezzo millennio, mise fine un tipo di uomo di cui si può dire
ugualmente che fu il creatore e fu il risultato del Medio Evo. Quando
egli ebbe avuto il suo tempo e fornito la sua opera, un nuovo tipo si
presentò. Ed è l'uomo che è stato protagonista dell'Epoca moderna e
ha scatenato quel potere immenso che diviene un pericolo oggi per noi.
Egli non ha fatto che scatenarlo, ma esistenzial-
106
mente non è alla sua altezza e lo si riconosce già nel
modo con cui cerca di giustificare, sotto i pretesti dell'utilità e del
benessere, l'immensità del suo dominio sulla natura e sull'essere
umano.
Da qui la speranza che sia in divenire un uomo che non
soggiaccia alle forze scatenate, ma sia capace di ricondurle
nell'ordine. Che sia capace non soltanto di esercitare un potere sulla
natura, ma anche un potere sul proprio potere, ordinandolo al senso
della vita e dell'opera dell'uomo; che apprenda ad essere «reggitore»,
impedendo che ogni cosa crolli nella violenza e nel caos.
Dire a questo proposito cose più esatte, senza cadere
nella fantasticheria è difficile. Si devono andar raccogliendo un po'
dappertutto, indizi, speranze, tentativi, linee di sviluppo interrotte
da errori ed abbracciarli in una visione unitaria.
Il quadro che ne risulta è utopistico; ma ci sono due
specie di utopia. L'una è un giucco ozioso della fantasia; l'altra
invece è una proiezione anticipata di ciò che sta sopravvenendo. E
questa ha avuto grande importanza nella storia. Una ricerca che parta da
un puro non-sa-pere e non-avere è impossibile; si può cercare solo
quello che in una certa maniera si è anticipatamente acquisito.
L'utopia è lo sforzo di portare all'aperto, in immagini e programmi,
perché possa essere efficacemente cercato, ciò
107
che è ancora nascosto e si apre la strada nel divenire
della storia.
Come dovrebbe apparire dunque il tipo umano che dobbiamo
cercare, o il cui divenire è oggetto della nostra speranza?
Dovrebbe anzitutto avere un rapporto originario col
potere.
Questo uomo deve sapere ed accettare che il senso
della cultura del futuro sia non il benessere, ma il dominio;
adempimento del compito che Dio ha imposto alla natura dell'uomo. Deve
risultarne non una universale assicurazione, ma una struttura in cui il
senso di questo dominio si esprima nella sua grandezza. Il borghese non
ne ha voluto sapere, ne ha avuto paura, lo ha considerato
fondamentalmente ingiusto. E perciò ha usato con cattiva coscienza del
potere di cui in effetto disponeva, dissimulandolo sotto i pretesti
della sicurezza, dell'utilità, del benessere. Egli non ha perciò
elaborato ne un autentico ethos, ne uno stile del dominio, ma si
è sempre ritirato indietro nell'anonimo. L'uomo che ora intendiamo,
mette decisamente al secondo posto l'utilità, la sicurezza e il
benessere e pone al primo posto la grandezza della struttura del mondo
che oggi si impone.
Perciò si aggiunge un secondo elemento: un rapporto
originario con la tecnica.
L'uomo che l'ha creata non l'ha accolta nel suo
sentimento vitale.
Nel diciannovesimo secolo, il proprietario di
108
una grande industria che si costruiva una casa,
costruiva un palazzo od un castello feudale. La gioventù nata fra le
due guerre la pensa diversamente. Presenta un tipo di uomo i cui
sentimenti sono all'unisono con la tecnica. Il movimento della sua vita
scorre entro le strutture tecniche in un modo che sbalordisce chi abbia
un diverso orientamento. E perciò gli è consentita, nell'uso di
quelle strutture, l'impassibilità necessaria a quel superamento di cui
stiamo parlando.
Ma l'uomo cui qui alludiamo ha anche il senso profondo
del pericolo che nasce dalla situazione generale. Da Hiroshima in poi
noi sappiamo di vivere all'orlo della rovina e sappiamo che continueremo
a vivere così fino a che dura la storia. L'uomo del nuovo tipo sente
questo pericolo. E naturalmente lo teme, ma non soggiace alla paura,
l'atmosfera del pericolo gli è familiare.26 Egli la conosce,
le si pone davanti. Ed essa rappresenta persino un carattere di
grandezza intimamente avvertito. A questo
26
Sarebbe importante poter stabilire se il sentimento di angoscia che
domina il nostro tempo è avvertito da tutti, ovvero soltanto o
prevalentemente da coloro che strutturalmente hanno le loro radici al di
là del confine fra le due epoche. Con ciò non è detto che chi stia al
di qua di tale confine non si senta minacciato dai pericoli politici,
economici, sociologici. Ma questo non è ancora il paralizzante disagio,
che distrugge il modo d'essere o di concepire e afferra l'uomo, il quale
non sente più il mondo come la propria casa.
109
orientamento ci richiamano anche il rifiuto del borghese
a rifugiarsi entro le previdenze calcolate in anticipo e quei mutamenti
nel rapporto con la proprietà e l'abitazione, dei quali abbiamo già
parlato; e allo stesso orientamento richiamano alcune tendenze della
nuova arte, della filosofia, ecc. L'uomo a cui alludiamo ha il potere di
vivere nel pericolo, od almeno sente il compito e la capacità di
impararlo.
E — questo sarebbe un ulteriore elemento del quadro
— senza prenderlo come un'avventura: piuttosto con la coscienza di
essere responsabile del mondo.
Egli si è liberato del dogma moderno che tutte
le cose tendono per proprio conto al meglio. Per lui non esiste più
l'ottimismo della fede nel progresso; egli sa che altrettanto
facilmente, anzi più facilmente le cose possono volgere al peggio. Egli
sa che il mondo è nelle mani della libertà; ne sente perciò
responsabilità. E amore, un amore particolare: proprio perché il mondo
è lanciato allo sbaraglio ed è distruttibile. Al sentimento del potere
e della sua grandezza, alla familiarità con la tecnica ed alla volontà
di farne uso, al fascino del pericolo si mescola una benevolenza, anzi
una tenerezza per questa esistenza finita e così minacciata.
Fa parte di questo quadro il sentimento di imperativi
assoluti. L'uomo futuro è decisamente illiberale, ciò non significa
che egli non ha il senso della libertà. Secondo l'atteggia-
110
mento « liberale » non si può introdurre nella vita
alcun elemento assoluto, poiché esso genererebbe subito Vaut-aut e
perciò la lotta. Si dovrebbe invece dire che si possono considerare le
cose in un determinato modo, o anche in modo diverso. La cosa principale
sarebbe la « vita » ed il vivere in pace gli uni con gli altri; i
valori e le idee invece riguarderebbero solo le opinioni personali. E
comunque, se ciascuno avesse piena libertà di agire, tutto si
accomoderebbe... Ma l'uomo che ora abbiamo in mente sa che un simile
atteggiamento non ha saputo mantenersi all'altezza della situazione
esistenziale in evoluzione. In essa non ci troviamo di fronte a
-sottigliezze e complicazioni, ma a qualcosa di assoluto: dignità o
asservimento : vita o morte:
verità o menzogna; spirito o violenza.
Questo uomo sa comandare ed obbedire. Sa che cosa è la
disciplina. Non come passivo adattamento, ma nella responsabilità della
coscienza, nel rispetto della persona. È questo il presupposto per il
compito più grande che egli deve assolvere: ristabilire una autorità
che rispetti la dignità umana; creare un ordine in cui la persona possa
esistere. La capacità di comandare e quella di oboedire sono andate
perdute nella misura in cui la fede ed il dogma sono scomparsi dalla
coscienza degli uomini. Al posto della verità assoluta è subentrata la
« parola d'ordine»; al posto del comando la costrizione; al posto
dell'obbedienza la rinuncia a se stessi. Si deve nuovamente scoprire che
cosa
111
siano comandare ed obbedire. E questo è possibile solo
se si riconosca nuovamente una sovranità assoluta, dei valori assoluti,
cioè se Dio viene riconosciuto come norma vivente e punto di
riferimento dell'esistenza.
Solo partendo da Dio, in definitiva, può l'uomo
coerentemente comandare e solo guardando a Lui può obbedire.
Questo uomo ha un rinnovato senso per l'ascesi. Sa che
non esiste dominio che non sia insieme dominio su di sé. Non si può
costruire alcuna forma se colui che costruisce non è egli stesso
formato. Non esiste grandezza che non poggi sul dominio di sé e sulla
rinuncia. Gli impulsi inferiori non sono nell'ordine, ma devono venire
padroneggiati. Il credere nella sedicente bontà della natura è viltà.
È un distogliere lo sguardo dal male che è in essa assieme al bene; e
il bene stesso finisce col perdere la sua serietà. A quel male si deve
resistere e questa è ascesi. L'assolutezza dell'autentico imperativo,
che non procede dalla violenza, ma dalla autorità valida, e quella
dell'autentico obbedire che procede non dall'abbandono di sé, ma dal
riconoscimento di un effettivo potere, possono realizzarsi solo quando
l'uomo si solleva al di sopra della immediatezza dell'istinto e della
inclinazione. L'uomo a cui pensiamo impara nuovamente la forza
liberatrice della vittoria su di sé: riconosce che la sofferenza
intcriormente accettata trasforma l'uomo, e che ogni crescita essenziale
non dipende solo dal lavoro,
112
ma anche dal sacrificio liberamente offerto.
Affine è quel cameratismo da uomo a uomo, di cui
vediamo gli indizi in molte parti. Non la mancanza di distanza della
caserma e dell'accampamento. E neppure quel residuo di ethos che
ancora rimane quando i compiti della vita hanno perduto il loro senso, e
si sono smarriti la fiducia, la magnanimità, la gioia. Ma invece il
senso immediato di solidarietà che unisce quelli che sono accomunati
dallo stesso lavoro e dallo stesso pericolo. La naturale disposizione
all'aiuto reciproco ed alla integrazione nel lavoro.27 Anche
questo atteggiamento ha qualche cosa di assoluto, in quanto sta al di
là di tutti i legami particolari del sangue e della simpatia.
Da quanto detto risulta ben chiaro che non si tratta di
una varietà dello spirito soldate-sco. Il tipo che qui intendiamo può
impersonarsi altrettanto bene nel soldato e nel prete, nel commerciante
e nel contadino, nel medico e nell'artista, nell'operaio e nello
scienziato ricercatore. E non deve neppure essere considerato
esclusivamente dal lato della durezza, nel modo in cui una volta si
parlava di « volontà fanatica », di a accanimento selvaggio », di «
impegno brutale ». L'uomo che parlava così, era in realtà debole. Era
violento a causa della sua propria insicurezza, brutale per la
meschinità del suo
27 II
concetto di vicinato, che, da qualche tempo acquista rilievo, è
collegato a questo. Anch'esso crea un dovere di aiuto, al di là delle
antipatie e simpatie personali.
113
cuore. E se si dava il caso che non temesse il pericolo
e la morte, era perché ai suoi occhi non aveva valore lo spirito. La
forza a cui pensiamo proviene dallo spirito, dal libero donarsi del
cuore, e perciò da essa può discendere tutto ciò che si chiama
rispetto, magnanimità, bontà, delicatezza, intimità, ecc.
Dobbiamo ancora accennare ad un ultimo elemento di
questa immagine dell'uomo: al suo atteggiamento religioso.
Se la possibilità del dominio sul mondo viene sentita
così come si è accennato in queste pagine, potrebbe derivarne una
volontà di azione e di dominio del mondo totalmente concreta e
terrestre, che rifiuti come un ostacolo ogni metafisica. Ma anche in
tale caso la grandezza del compito indurrebbe l'uomo ad affrontare il
reale con la massima serietà. E ciò porterebbe a riconoscere che il
dominio del mondo può essere raggiunto solo per il tramite della
verità e perciò in obbedienza alla natura delle cose.
In questa lealtà sarebbe contenuta anche l'occasione di
un'autentica religiosità. Chi considera la realtà senza pregiudizi
riconosce facilmente che la finitezza dell'essere coincide con il fatto
che esso è creato; può intendere il carattere di rivelazione contenuto
in ogni essere e di qui giungere ad una decisa accettazione della
Rivelazione biblica.28 Di qui deriverebbe
28
Cfr. guardini, Die Sinne und die religiose Erkenntnis, Werkbund
Verlag, Wurzburg 1950.
114
una religiosità affatto priva di sentimentalismi e
realistica nel pieno senso. Essa non si muoverebbe più entro la
frammentarietà dell'interiorità psicologica o dell'idealismo
religioso, ma entro la realtà, che, essendo integrale, è anche creata
da Dio e da Lui conservata e intimamente governata dalla Sua volontà.
In una tale chiarezza questo uomo sarebbe anche capace
di penetrare al di; là di quella finzione che domina tutto lo sviluppo
scientifico e tecnico: l'inganno della divinizzazione liberale della
cultura, del totalitario perfezionamento del mondo, del pessimismo
tragico, dei nuovi miti, della ibrida psicoanalisi, ecc. Egli vedrebbe
che la realtà non è affatto così, che queste vie sono false, che
l'uomo è diverso e diversa la logica inferiore della vita. Si può
fondare una grande speranza sulla forza di questo leale indagare e
riconoscere, che fa parte del nuovo realismo.
Questo uomo, ci pare, avrebbe anche la vitale occasione
di comprendere il nocciolo misterioso dell'umiltà cristiana, quale
abbiamo cercato di delinearla. Di vedere la forza trasformatrice che è
in lui, vera esplosione intellettuale e spirituale dell'atomo
dell'esistenza, e di trame energia capace di avviare la soluzione di
quel groviglio dell'esistenza che sembra insolubile.
Da tutto questo potrebbe derivare qualche cosa di simile
alla capacità di « governare » della quale abbiamo fatto parola.
115
Così, o in modo analogo, si potrebbe tracciare il
ritratto dell'uomo, verso cui tende il presentimento del nostro tempo.
Certo questo disegno non è sufficiente; si tratta di
qualchecosa che deve ancora avvenire. Perciò quanto abbiamo detto è
forse un'utopia, ma forse un'utopia giusta.
Ne deve sfuggire che qui abbiamo tracciato il profilo
dell'uomo. Delineare quello della donna sarebbe compito della donna, a
meno che l'uomo non prenda l'iniziativa di dire alla donna come lui la
desidera. Non solo come la desiderano i suoi sensi, ma anche e
soprattutto come la desidera il suo spirito, il suo cuore, che è il
centro dell'uomo vivente. E dal canto suo la donna dovrebbe dire come
vede il vero uomo. Non sarebbe una via cattiva. Un dialogo: forse in
taluni punti esso è già in corso, nello scambio sociale, nella poesia,
nel dramma, nell'arte figurativa. Solo che è sovente difficile
distinguere ciò che è genuino dal malinteso, dal risentimento, dalla
maniera, dalla moda, dalla falsa presunzione.
116
POSSIBILITÀ DELL'AZIONE
Di fronte a questa situazione obiettiva, l'uomo
minacciato vorrebbe sapere ciò che oggi può fare.
Importanti sono naturalmente anzitutto le decisioni
della politica, sia interna che estera;
la risoluzione dei problemi economici e sociali;
la sistemazione dei profughi; lo sviluppo del sistema
scolastico; il lavorare ai problemi posti dalla ricerca scientifica e
dall'arte e così via. Ma nei limiti dello spazio a nostra disposizione
non possiamo parlare di tutto questo.
Sembra piuttosto possibile dire qualcosa attorno a quel
settore dal quale riceve la sua finale definizione ogni azione ed ogni
acccttazione: la riflessione, il giudizio, la decisione personale ed
anche i compiti educativi che di qui discendono.
L'uomo moderno, lo abbiamo già accennato, concepisce
volentieri il corso della storia come un processo che si svolge in base
ad una necessità. In tale concetto agisce ancora l'idea, an-
117
che essa moderna, della natura, concepita come il dato
assoluto. Se la natura è tale, allora anche ciò che in essa avviene è
« naturale » e perciò giusto. È vero che la storia si definisce per
10 spirito, ma lo spirito, secondo questa concezione,
appartiene anch'esso a quell'universo, la cui « giustizia » si
esprime nel concetto di natura. E perciò nonostante gli errori, gli
inconvenienti, le distruzioni singolarmente prese, anche il córso della
storia è « naturale » ed è perciò sicuro e nell'ordine.
Una delle decisioni fondamentali circa il futuro
consiste nel vedere se si riconosce che tale concezione è errata.
L'uomo si definisce per lo spirito, ma lo spirito non è « natura ».
Non vive e non agisce secondo necessità storiche o metafisiche, ma
muove da un principio intcriore: è libero. In definitiva l'uomo è vivo
e sano a causa del retto rapporto del suo spirito con la verità e la
bontà, rapporto che egli può anche corrompere e negare. L'uomo non
appartiene in modo assoluto al mondo, ma sta al suo limite, dentro di
esso, ed insieme al di fuori, inserito nel mondo ed insieme capace di
disporne, per
11 fatto che è in contatto immediato con Dio. Non con
lo spirito universale, o col mistero del tutto, o con il fondamento
primo, ma con il Signore sovrano, il creatore di tutti gli esseri, che
lo ha chiamato e lo mantiene nella sua chiamata, ha affidato il mondo
alla sua responsabilità ed esige che gliene renda conto.
Perciò la storia non si svolge da sé, ma vie-
118
ne fatta. E può dunque prendere anche una dirczione
sbagliata, non solo in singole decisioni, in singoli momenti e settori,
ma anche in tutta la sua direziono e attraverso intere epoche. E noi Io
sappiamo, o almeno lo intuiamo, pure in mezzo a tutta la sicurezza della
nostra esattezza sperimentale e teoretica; ciò costituisce la
particolarità della nostra situazione.
La concretezza del mondo, sempre più disponibile e
utilizzabile, è affidata alla decisione dell'uomo; ma questi smarrisce
sempre più il legame che lo vincola alle norme che discendono dalla
verità dell'essere, alle esigenze di ciò che è buono e santo e le sue
decisioni minacciano di divenire sempre più arbitrarie.
Perciò la risposta fondamentale alla domanda che ci
siamo fatti più su dice che l'uomo deve riconoscere la piena misura
della propria responsabilità ed assumerla. Ma per poter far questo,
deve riconquistare il giusto rapporto con la verità delle cose, con le
esigenze del suo io più profondo, infine con Dio. Altrimenti
soccomberà al suo proprio potere e quella « catastrofe globale » di
cui all'inizio si è parlato, diverrà inevitabile.
Dicendo che lo spirito non è definito da necessità
naturali, ma deve agire in libertà, non s'intendeva dire che l'uomo
deve egli stesso stabilire il senso dell'accadere. È significativo che
tanto l'esistenzialismo estremo quanto lo Stato
119
totalitario pensino così e pertanto si
manifestino come i due poli opposti della stessa volontà fondamentale
di esercitare il potere come arbitrio e perciò come violenza. In
realtà ogni essere ha una propria forma significativa, da cui discende
una norma di ciò che è possibile e giusto per l'uomo che agisce. E la
libertà non consiste nel seguire l'arbitrio personale o politico, ma
ciò che è richiesto dalla natura dell'essere.
Tutto ciò significa che si deve riconoscere
l'orientamento delle modificazioni storiche descritte in queste pagine:
il loro fondamento e i problemi che esse pongono. Un compito che la
scuola e la scuola superiore devono assumere, se non vogliono trovarsi
al di fuori del tempo.
A questo proposito hanno importanza anche quei tentativi
di ricerca e di organizzazione, che si sono sviluppati in connessione
con il lavoro pedagogico degli ultimi cinquant'anni e con i movimenti
giovanili, dando luogo a settimane di studio, incontri estivi,
accademie, ecc. Il luogo sociologico di quei tentativi sta fra scuola e
scuola superiore, fra ricerca individuale e professionale. Perciò essi
sono particolarmente adatti a rintracciare ciò che è in divenire e le
autorità responsabili hanno ogni motivo di favorirli. Non attirandoli
nel proprio influsso, poiché allora, per parlare chiaro, verrebbe meno
la speranza insita nella libera ricerca, ma concedendo loro spazio,
appoggio, collaborazione in forme che si dovranno trovare.
120
Il tempo moderno è incline a mettere mano con metodi
intellettuali ed organizzati al rinnovamento che si rivela necessario.
Ma i compiti che oggi dobbiamo affrontare sono così immensi, che
bisogna impegnarsi più in profondità.
Come la scienza ha cominciato a scomporre gli elementi
della natura, qualche cosa di analogo deve avvenire nell'umano: l'uomo
deve controllare i fatti elementari della sua esistenza. Se non lo fa,
le cose si allontanano da lui, sempre più estranee. È assai diffusa
l'opinione che la tecnica, l'economia, la politica, debbano avere un
indirizzo « realistico » e si intende con ciò un modo di agire che
non prende in considerazione i valori finali, il destino personale
dell'uomo, i diritti di Dio. In realtà ciò è tanto poco « realistico
» quanto lo è il considerare il fenomeno della malattia dal solo punto
di vista corporeo, trascurando gli elementi psicologici e biografici. La
medicina riconosce sempre più chiaramente in quale misura il corpo è
sano o malato a causa dell'anima, e si può chiamare realistica solo
quella diagnosi che tiene conto della realtà dello spirito e
dell'anima. Qualche cosa di analogo vale anche qui. Ci sono già degli
uomini, e forse non sono così pochi, di fronte ai quali, senza scherno
e senza scetticismo, si può affermare che il problema consiste in una metànoia:
un esame di tutta quanta la condotta della vita e una trasformazione del
modo con cui uomini e cose vengono visti ed accolti. Sono questi gli
uomini dai qua-
121
li dipendono le decisioni future e ad essi si rivolge
ciò che dirò in seguito.
Per parlare in modo tutto concreto, ci siamo resi
ben conto di ciò che avviene quando un qualsiasi superiore affida un
compito ad un dipendente... ed analogamente un qualsiasi insegnante
insegna e tiene la disciplina... il prete rappresenta le cose di Dio...
il medico cura un paziente... l'impiegato tratta col pubblico allo
sportello, alla scrivania, nella sala d'aspetto... l'industriale dirige
la sua impresa... il mercante bada ai suoi clienti... l'operaio fa il
suo lavoro, il contadino amministra la sua fattoria e coltiva il suo
campo? Ci siamo resi ben conto dello sviluppo concreto, dei sentimenti e
degli atteggiamenti che si determinano, e dei sentimenti che li
provocano, delle conseguenze, vicine e lontane, che ne discendono? Si
rispetta la verità in tutto questo e si ha fiducia nella sua validità?
Il diritto rimane intangibile diritto? L'uomo con cui si deve trattare,
si sente rispettato ed accolto in un rapporto personale? Si fa appello
alla sua libertà, a ciò che in lui è vivente e creatore? Ci si
preoccupa che la cosa sia fatta come deve esserlo secondo la sua propria
natura?
Non si dovrebbe obiettare che queste sono cose private,
storicamente inoperanti, poiché non sarebbe vero. Ogni processo, anche
il più travolgente processo storico, ha ad un certo punto la forma di
una tale situazione; e la storia procede a seconda del modo in cui essa
vie-
122
ne superata. Ma qui è appunto l'aspetto inquietante del
tempo presente: che queste cose non sono immediatamente comprensibili,
in nessun senso... Certo anche nel passato la verità, il diritto, la
dignità personale, il rapporto con la intima originalità dell'altro
uomo non erano sempre, forse mai, rispettati secondo la regola;
ma erano almeno fondamentalmente riconosciuti. Si era
inclini a tenerne conto ed il singolo, se i suoi sentimenti erano
giusti, poteva ad ogni momento disporsi a tradurli in pratica. Tale
stato di cose si è mutato e forma appunto l'oggetto del crescente
«disagio della cultura»;
il sentimento che si sia infranta un'armonia. Perciò si
deve riconoscere che non si tratta solo di questioni di morale privata,
ma di questioni che investono il reale corso dela storia, la politica
concreta, il successo o la rovina della nostra vita civile e culturale.
II
Facciamo il tentativo, non facile, ne molto
soddisfacente, di accennare ad alcuni punti di vista pratici.
All'essenza di una proposta realmente pratica appartiene
che essa sia attuabile, cioè che possa divenire concreta. Tentiamola
dunque:
anche a rischio che possa suonare « moralistica ». In
realtà anche i più freddi « realisti », la gente pratica, largamente
libera da tutti i
123
« pregiudizi » calcola che ci possa essere un numero
notevole di persone che vivono della schernita «morale»; poiché sono
esse e non gli « spiriti liberi » che reggono l'esistenza.
Dobbiamo dunque anzitutto renderci conto di quello che
si chiama atteggiamento contemplativo, ma rendercene conto, non solo
parlarne in modo interessante.
Dappertutto è azione, organizzazione e movimento, ma di
dove vengono essi guidati? Da un di dentro che non sa più riconoscersi
nel proprio intimo, ma pensa, giudica, agisce, partendo dalle zone
periferiche della pura ragione, dalla volontà di raggiungere la mèta,
dagli impulsi del potere, del possesso, del piacere. Che non ha più
alcun contatto con la verità, col centro della vita, con ciò che è
essenziale e permanente, ma si aggira fra le cose transeunti e casuali.
Devono essere! ancora periodi nella sua vita, momenti nella sua
giornata, in cui egli si arresta e col cuore aperto si pone di fronte ad
un problema che durante il giorno lo ha toccato. In una sola parola:
l'uomo deve nuovamente pregare e meditare.
Non si può dire in un modo generale come egli lo debba
fare. Dipende dalle sue convinzioni fondamentali; dalla sua posizione
religiosa, dal suo temperamento, dall'ambiente in cui vive.
In ogni modo egli deve liberarsi dall'assillo, divenire
calmo e presente; aprirsi ad una parola di devozione, di saggezza, di
nobiltà mo-
124
rale attinta alla Sacra Scrittura, a Fiatone o a Pascal,
a Goethe o a Jeremias Gotthelf.* Deve porsi di fronte alla critica che
quella parola esercita su di lui, e partendo da essa esaminare uno dei
problemi che la vita quotidiana gli pone. Solo con un atteggiamento
così approfondito, si può conquistare una posizione di fronte ai
poteri del mondo circostante.29
Dobbiamo inoltre porci nuovamente la domanda elementare
circa l'essenza delle cose.
Già un esame fugace ci mostra in quale modo schematico
noi le accettiamo, a quale punto siamo definiti dalle nostre
convenzioni; con quale superficialità maneggiamo le cose, sotto il
profilo del vantaggio, della comodità, del risparmio di tempo. Ma le
cose hanno una propria natura e quando essa si corrompe o subisce
violenza si irrigidisce e contro di lei non valgono più ne l'inganno ne
la forza. La realtà si rinchiude e si sottrae alla mano dell'uomo. Gli
ordinamenti escono dai loro ingranaggi. Gli assi della compagine
economica, sociale, politica si arroventano. Delle cose non si può fare
quello che si vuole, o almeno non lo si può fare in tutto il loro
insieme e per un lungo periodo;
* Pseudonimo dello svizzero albert Brrzius (1797-1854),
pastore, scrittore con intenti di educazione popolare (n. d. R.).
29 A questo proposito forse potrei ricordare il
mio scritto Vorschuie des Betens (trad. it.: Introduzione alla
preghiera, Morcelliana, Brescia I9602), il quale cerca di
descrivere, partendo dalle premesse cristiane, la natura e le forme
dell'atto elementare della contemplazione.
125
si possono trattare le cose solo in modo
corrispondente al loro essere, altrimenti si preparano delle catastrofi.
Chi è capace di vedere vede come dappertutto si prepari la catastrofe
di una realtà falsamente maneggiata.
Dobbiamo perciò avvicinarci ancora una volta alla
natura dell'essere e domandarci: che cosa è il lavoro, considerato nel
complesso della vita? Che sono la legge e il diritto, se devono essere
un aiuto e non un impedimento? Che cosa è la proprietà, nella sua
giustizia e nella sua ingiustizia? Che cosa è l'autentico comando e per
quale via è possibile? Che cosa è l'obbe-dienza e come si concilia con
la libertà? Quale è il significato della sanità, della malattia,
della morte? Che cosa è l'amicizia ed il cameratismo? Quando
l'attrazione verso l'altro può pretendere il grande nome di amore? Che
cosa significa quell'unione di uomo e donna che si chiama matrimonio, e
che a poco a poco si è così imbarbarita, che soltanto pochi sembrano
averne una qualche idea, sebbene essa regga tutta l'esistenza umana?
Esiste una gerarchla di valori? E quale è il più importante, quale il
meno importante? quale indifferente? E così via.
Noi viviamo di queste realtà fondamentali, per esse,
con esse. Le maneggiamo, le ordiniamo, le riformiamo, ma sappiamo che
cosa sono? Evidentemente no, altrimenti non potremmo trattarle con tanta
trascuratezza. Dobbiamo dunque impararlo; e non solo per via razionale,
ma in modo tale da giungere di fronte al
126
loro essere, da lasciarci penetrare del loro
significato.30
Inoltre dobbiamo nuovamente imparare che il dominio del
mondo presuppone il dominio di noi su noi stessi; come potranno gli
uomini controllare l'immenso potere che cresce ininterrottamente fra le
loro mani se non sanno formare se stessi? Come potranno prendere delle
decisioni politiche o culturali, se vengono a mancare continuamente di
fronte a se stessi?
C'è stato un tempo in cui i filosofi, gli storici, i
poeti, consideravano la parola « ascesi » come espressione dell'odio
medioevale contro la. vita, e difendevano l'etica dell'immediatezza e
della vita esaurita nel godimento. Una tale concezione si è certamente
mutata, almeno in coloro che sentono la responsabilità del proprio
pensiero e del proprio giudizio. Ma facciamo bene a convincerci che mai
nulla è diventato grande senza «ascesi»; e ciò di cui ora si tratta
è qualche cosa di molto grande, anzi di decisivo. È il decidere se col
nostro lavoro vogliamo attuare la sovranità a noi affidata in modo ch&
essa conduca alla libertà o all'asservimento.
30 Un
aiuto lo forniscono gli scritti sapienti e buoni di josef piepeh; Musse
iind Kult (Miinchen 1948;
traduz. ital. " Otium " e culto,
Morcelliana) e Das Schweigen Goethes (1951) sono piccoli
capolavori. O anche otto fr. bollnow: Einfache Sittlichkeit (Got-tingen
1947). Senza dimenticare i libri apparsi già da tempo e mai superati di
fr. W. foerster: Leben-skunde (1904) e Lebensfiihrung
(1909).
127
Ascesi significa che l'uomo tiene se stesso nelle
proprie mani. Perciò deve riconoscere nel suo intimo il male ed
affrontarlo in modo efficace. Deve ordinare i suoi impulsi fisici e
spirituali, ciò che non è possibile senza il superamento di sé; deve
educarsi a possedere in libertà i suoi beni e a sacrificare le cose
inferiori a quelle più alte... Deve lottare per la libertà e la
sanità del suo interno; combattere contro il meccanismo della réclame,
contro il flusso delle sensazioni, contro l'invadenza molteplice dello
strepito. Deve educarsi a stabilire delle distanze, ad acquistare
un'indipendenza del giudizio, resistere contro ciò che « si » dice.
La strada, il traffico, il giornale, la radio, il cinema impongono
compiti di autoeducazione, anzi della più elementare autodifesa, che in
gran parte non erano neppure sospettati, e tanto meno chiariti ed
affrontati. Dappertutto l'uomo capitola di fronte alle forze della
barbarie:
l'ascesi significa che egli non deve capitolare, ma
combattere e al posto decisivo, cioè contro se stesso.31 Che
egli deve crescere dall'interno,
31 Un
solo, piccolo, ma impressionante esempio:
nel numero del 6 settembre 1951 lo » Zeit » di Amburgo
annunciava che un « moderno autore di radiocomme-die, durante la notte
aveva di nascosto calato un microfono dal suo appartamento esattamente
di fronte alla finestra aperta della stanza da letto di una vecchia
coppia, che abitava al piano di sotto. La radio della Germania
nord-occidentale trasmetteva poi i litigi coniugali assieme ad altre
istantanee della vita quotidiana, sotto il titolo « capriolo »,
poiché l'autore
128
disciplinando e superando se stesso, e vivere così
nell'onore, portando frutti proporzionati al senso della sua
vita.
Inoltre, dobbiamo nuovamente porci l'interrogativo circa
l'estremo punto di riferimento della nostra esistenza: Dio.
L'uomo non è così congegnato, da essere finito in se
stesso e da potere, oltre a ciò, entrare o meno in rapporto con Dio, a
seconda della sua opinione e del suo piacimento; la sua essenza consiste
in modo decisivo nel rapporto con Dio. L'uomo non esiste che in quanto
riferito a Dio, perciò il suo carattere viene defi di
questa serie si chiamava « Capra ». Il fatto creò degli scrupoli
nella stazione trasmittente, tuttavia erano scrupoli di carattere
giuridico e non morale. Ed essi furono definitivamente superati, quando
l'autore potè spiegare in modo degno di fede che tutte le per-.sone che
di nascosto egli aveva spiato e le cui intimità aveva fissato «
documentariamente 11 sul filo del magnetofono, avevano acconsentito, e
persino per iscritto, alla diffusione ». Quale capitolazione! I motivi
che furono addotti formano un problema a sé. Ma comunque, come dice
l'autore dell'articolo, si tratta di una cosa » stupefacente e
spaventosa » ; tanto più che il pubblico accettò il " gioco »
senza protestare. Questo mostra a che cosa si trova disposto l'uomo
inconsistente del nostro tempo. Non si ritrova già qui il
totalitarismo, che fa dell'uomo un essere totalmente » pubblico » ?
Vediamo che cosa significa qui l'ascesi? La lotta contro ciò che
tradisce l'uomo in se stesso? Una lotta che non può venire condotta con
morbido idealismo e con la fede nella bontà della natura umana?
129
nito dal modo stesso in cui egli concepisce questa
relazione, dalla serietà con cui la considera, dall'azione che, in base
ad essa, egli compie. Questa è la situazione e nessun filosofo ne
politico, nessun poeta ne psicologo può mutarvi nulla.
Davanti alla realtà non è bene fare come se non
esistesse, poiché essa si vendica. Se gli istinti sono ricacciati o i
conflitti non vengono risolti, si determinano le neurosi. Dio è la
realtà che fonda ogni altra realtà, anche l'umana. Se non Gli si rende
il Suo diritto l'esistenza si animala.
Ed infine: fare ogni singola cosa, così come essa deve
essere fatta secondo la sua verità. Agire con fiducia, in libertà di
spirito, al di là degli impedimenti intcriori ed esteriori, al di sopra
dell'egoismo, dell'ignavia, del rispetto umano, della viltà. Non
qualcosa di programmatico, ma ciò che di volta in volta è giusto, qui,
ora: non permettere che un uomo iche è nel bisogno sia lui a pregarci,
ma andargli incontro ed aiutarlo... condurre a termine una pratica
d'ufficio come è richiesto dalla retta ragione e dalla dignità
umana... affermare una verità, quando è il momento di farlo, anche se
essa provoca contraddizione e risa... assumere una responsabilità
quando la coscienza dice che è doveroso farlo, e così via.
Questo è un cammino che, percorso con onestà e
coraggio, conduce molto lontano, nessuno
130
sa quanto lontano, là dove si decidono le cose del
tempo.
Può sembrare strano che la nostra meditazione, dopo
aver posto interrogativi così vasti, sbocchi in un ambito così
individuale.
Ma secondo il titolo del libro si doveva appunto
intraprendere il « tentativo di un orientamento ». Che senso avrebbe
sviluppare delle idee e trascurare il punto partendo dal quale quelle
idee possono realizzarsi o fallire?
Ed al lettore non sarà sfuggito che non abbiamo voluto
qui dare programmi o ricette, ma stimolare l'iniziativa da cui può
procedere un fecondo lavoro.
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Premessa .........
pag. 7
La natura del potere ...... » 11
II concetto teologico del potere ... » 25
Lo sviluppo del potere ..... » 47
II nuovo volto dell'uomo e del mondo . » 73
Possibilità dell'azione ...... » 117
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