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VITA DI SAN DOMENICO

P. Enrico D. Lacordaire dei Predicatori


 

CAPITOLO I.

 

Genesi di San Domenico.

 

In una valle della Vecchia Castiglia irrigata dal Duero e quasi ad egual distanza da Aranda come da Osma, sorge un piccolo villaggio col nome di Caleruega nel dialetto del paese, e Calaroga nella lingua più dolce di molti storici. Quivi nacque S. Domenico l'anno 1170 dell'era cristiana; e prima a Dio, poi a Felice di Gusman ed a Giovanna d'Aza dovè la sua esistenza. Sono ancora in piedi alcuni ruderi della casa che quei pii signori possedevano a Calaroga, ed in cui S. Domenico venne alla luce. Alfonso il Savio, re di Castiglia, d'intesa con la moglie, coi figli e coi

Grandi di Spagna, nel 1266 trasformò quell'abitazione in un monastero di religiose domenicane. Vi si notano tuttora parti più antiche che non il corpo dell'edifizio, e punto rispondenti all'architettura di un monastero, quali: una torre militare del medio evo, in cui sono incrostate le armi dei Gusman; una fontana che dai Gusman prende nome; ed altri avanzi chiamati dal popolo, organo della tradizione, il palazzo dei Gusman. Il ramo castigliano di questa illustre famiglia aveva la sua principale residenza a poche leghe dalla città, nel castello dei Gusman; e la tomba a Gumiel d'Izam, nelle vicinanze di Calaroga, in una cappella della chiesa dei Cisterciensi. Là, dopo morti, furono trasportati Felice Gusman e Giovanna d'Aza, e seppelliti in due cripte contigue. Ma la venerazione stessa di cui furono oggetto, fu presto causa, che venissero separati. L'infante di Castiglia Giovanni Emanuele, verso il 1318 volle che il corpo di Giovanna d'Aza fosse trasferito nel convento dei Domenicani di Pennafiel, da lui medesimo fatto edificare. Fu così che Felice rimase solo nel sepolcro de' suoi maggiori, qual testimonio fedele dello splendore della sua famiglia, da lui trasmesso a S. Domenico; mentre Giovanna se ne andava a raggiungere la posterità spirituale del suo figliuolo, onde godere di quella gloria da lui acquistata coll'anteporre la fecondità che viene dal Cristo a quella della carne e del sangue .

 

E’ celebre il prodigio che precedè la nascita di San Domenico. Parve alla madre di vedere in sogno il frutto delle sue viscere sotto la forma di un cane, che avesse in bocca una fiaccola accesa e che le balzasse dal grembo come per incendiare tutta la terra. Turbata assai da un presagio, di cui ignorava affatto il significato, andava spesso a pregare sulla tomba di S. Domenico di Silos, già abate del monastero omonimo, posto a poca distanza da Calaroga. E fu in riconoscenza delle consolazioni di là riportate che la madre volle imposto il nome di Domenico a quel suo figliuolo, che era stato l'oggetto di tante sue preghiere. Era il terzo figlio che usciva dal suo seno benedetto. Antonio, il primogenito, consacrò la vita al servigio dei poverelli, e la sua grande carità molto fece onore al carattere sacerdotale di cui fu insignito; il secondo, per nome Mannes, morì rivestito anch'egli dell'abito dei Frati Predicatori.

Quando Domenico fu portato alla chiesa per esservi battezzato, un nuovo prodigio manifestò la grandezza a cui era predestinato. La madrina - gli storici non ce la fanno conoscere se non col nome di nobile - vide una stella risplendere mirabilmente sulla fronte del battezzato; del che pare rimanesse vestigio sul volto di Domenico, quale segno caratteristico della sua fisonomia, brillando sempre sulla sua fronte un certo splendore che dolcemente attraeva il cuore di chi lo riguardasse. Il battistero di marmo bianco dove Domenico fu rigenerato coll'acqua sacramentale, nel 1605 venne trasportato nel convento dei Frati Predicatori a Valladolid per comando di Filippo III, che volle farvi battezzare suo figlio. Oggi si può vedere in S. Domenico di Madrid, e parecchi altri infanti di Spagna vi sono stati iniziati alla vita in Gesù Cristo, Signor Nostro amatissimo.

Domenico fu nutrito unicamente di latte materno; la sua madre non permise che altro sangue gli scorresse nelle vene: Lo volle invece stretto sempre al suo seno, dal quale non potè attingere che casto alimento, e vicino alle proprie labbra, da cui non potè altro ascoltare che parole di verità. In questo commercio di amore materno egli avea forse a temere l'involontaria mollezza delle fasce, e quella sovrabbondanza di cure, da cui anche la più cristiana tenerezza non sa sempre contenersi; ma la grazia che operava, in lui fu ben presto virtù preservatrice anche contro questo pericolo. Domenico infatti appena potè muovere con libertà le membra, segretamente usciva dalla culla per coricarsi in terra, quasi conoscesse già le miserie degli uomini e la differenza della loro sorte quaggiù, né pieno di amore per essi, gli reggesse il cuore di rimanere in morbido letto a preferenza dell'ultimo de' suoi fratelli; o meglio ancora, già iniziato ai segreti della culla di Gesù Cristo, non ambisse altro letto diverso dal suo. Questo è quanto sappiamo dei primi sei anni della sua vita.

Entrato nel settimo anno Domenico lasciò la casa paterna per essere condotto a Gumiel d'Izam, presso suo zio, arciprete di quella chiesa. Ivi, vicino alla tomba dei suoi antenati, sotto la doppia autorità della parentela e del sacerdozio, passò Domenico la seconda metà dell'infanzia. Scrive uno storico: "prima che il mondo avesse fatto impressione sull'animo del fanciullo, fu affidato, come Samuele, alla scuola della, Chiesa, acciocchè un sano insegnamento mettesse radici nel suo tenero cuore. E basato sopra così solidi fondamenti, crebbe veramente di corpo e di spirito, elevandosi ogni giorno, con progresso felice, a più alto grado di virtù" .

La terza scuola in cui Domenico venne formandosi, fu, l'Università, di, Palenza, nel regno di Leone, la sola allora in tutta la Spagna. Era sui quindici anni, e là per la prima volta si vide in balla di se stesso, lungi dalla fortunata valle, dove, sotto le torri di Calaroga e di Gumiel d'Izam, avea lasciato tutte le dolci e care memorie, che richiamano l'anima verso la terra natale. Rimase a Palenza per dieci anni, dei quali i primi sei consacrò allo studio delle lettere e della filosofia, quali allora s’insegnavano. «Ma per quanto l'angelico giovanetto, fa notare uno storico, penetrasse assai facilmente nelle ragioni della scienza umana, nondimeno non vi si sentiva troppo attratto, cercandovi indarno la sapienza divina, che è il Cristo. Questa infatti niun filosofo la potè mai ad altri comunicare; nessun principe di questo mondo l'ha mai conosciuta. Onde per il timore di sprecare in vani esercizi il fiore e la forza della sua giovinezza, e per estinguere la sete che lo divorava, Domenico attinse, alle profonde e limpide sorgenti, della teologia. Invocando e pregando il Cristo, ch'è la sapienza del Padre, aprì alla verace scienza il suo cuore, agli insegnamenti della Sacra Scrittura apprestò le sue orecchie. E così dolce gli giunse la divina parola, e con sì ardente brama la ricevette nell'anima, che durante i quattro anni che vi si applicò, passò quasi insonni le notti consacrando allo studio il tempo del riposo; e per dieci anni si astenne anche dal vino, onde dissetarsi al fonte di questa divina sapienza con castità di lei sempre più degna. Era cosa ammirabile e cara veder lui sì giovane, quale traspariva dal florido aspetto, accoppiar tanto bene e nelle parole e nel modi la gravità di una veneranda vecchiezza. Superiore ai divagamenti propri della sua età, non ricercava che la giustizia; geloso del tempo, anteponeva

ad inutili passeggi la solitudine della chiesa, sua madre, e la sacra quiete dei di lei tabernacoli, fra la preghiera ed il lavoro egualmente assiduo passando tutti i suoi giorni. Né il fervido amore col quale osservava i divini comandamenti fu senza la meritata ricompensa; chè il dator di ogni bene infuso in lui tanto spirito di saggezza e d'intelligenza, da fargli risolvere senza alcuna difficoltà le più ardue questioni» .

Due episodi di questi dieci anni passati a Palenza ci sono stati tramandati. Il primo, quando Domenico durante una carestia che desolava la Spagna, non contento di dare ai poveri tutto ciò che aveva, non escluse le vesti, giunse a vendere anche i libri annotati di proprio pugno per distribuirne il denaro ai poveri. Ed a chi faceva le meraviglie com'egli si fosse potuto privare dei mezzi stessi di studio, rispose con queste poche parole, le prime che di lui ci siano pervenute: «Potrei forse studiare su pelli morte, quando vi sono uomini che muoiono di fame?» . Nobile esempio, che mosse i professori stessi e gli alunni dell'Università a venire anche loro in soccorso di quegli sventurati. - L'altro episodio avvenne quando alla vista di una donna che piangeva dirottamente perché non aveva modo di riscattare il suo fratello schiavo dei Mori, il Santo offrì per il riscatto la sua stessa persona. Dio però non lo permise, riserbando Domenico alla redenzione spirituale di moltissimi uomini. Come a un viaggiatore che passi, al cader dell'autunno, per un campo spogliato di messi, uno o l'altro frutto sfuggito alla mano dell'agricoltore ed unico resto di una fertilità scomparsa basta per giudicare dei campi sconosciuti che attraversa; così la Provvidenza lasciando nell'ombra del passato la giovinezza del suo servo Domenico, pure ha voluto che la storia ce ne conservasse alcuni tratti: imperfette ma vive rivelazioni di un'anima, in cui la purità, la grazia, l'intelligenza, la verità, tutte le virtù insomma erano i frutti dell'amore di Dio e degli uomini, maturi innanzi stagione.

Domenico toccava già l'anno venticinquesimo, e Dio non gli aveva ancora manifestato ciò che richiedesse da lui. Per l'uomo di mondo la vita è come uno spazio da percorrersi il più lentamente possibile, e per la via più dolce; tale però non è per il cristiano, il quale sa che ogni uomo è vicario di Gesù Cristo per cooperare col sacrificio di sé alla redenzione dell’umanità, e che nel disegno di questa grand'opera ciascuno ha un posto preparatogli fin dall'eternità, ma ch'egli è libero di accettare o di ricusare. E sa di più che se abbandonerà volontariamente il posto offertogli dalla Provvidenza nella milizia delle creature utili, un altro migliore di lui vi sarà sostituito; ed egli rimarrà abbandonato a se stesso nella via larga, ma corta dell'egoismo. Questi pensieri occupano seriamente il cristiano a cui non è ancor nota la sua vocazione; e convinto che il più certo mezzo per conoscerla è il vivo desiderio di adempirla qualunque essa sia, sta pronto a tutto ciò che Dio voglia da lui. Di tutti gli uffici necessari alla repubblica cristiana, non ne disprezza alcuno, perché in ciascuno possono sempre riscontrarsi le tre condizioni che ne costituiscono la vera importanza: la volontà di Dio che lo impone, il bene che ne risulta dalla fedele esecuzione, e l'ossequio del cuore devoto chiamato ad esercitarlo. Crede eziandio fermamente che gli uffici meno onorati non sono i più dispregevoli, e che la corona dei santi mai discende più opportunamente dal cielo di quando va ad ornare una fronte povera e incanutita nell'umiltà volontaria di una dura abnegazione. Poco dunque importa al cristiano dove Dio lo destini; gli basta sapere che fa la di Lui volontà. Ora Iddio aveva preparato pel giovane Domenico un mediatore ben degno, il quale gli rivelasse la sua vocazione non solo, ma gli aprisse le porte della sua futura carriera, e l'introducesse per vie impreviste sul teatro ove la Provvidenza lo aspettava.

Fra i mezzi di riforma proposti da coloro che si studiavano di rialzare l'ecclesiastica disciplina, uno era particolarmente raccomandato dai Sommi Pontefici, cioè l'introduzione della vita comune nel clero. In comune erano vissuti gli Apostoli: e S. Agostino ispirandosi appunto a loro aveva lasciato a tal fine la famosa Regola che porta il suo nome. La vita comune non è in sostanza che la vita di famiglia e di amore al più alto grado di perfezione; ed è impossibile praticarla fedelmente, e non sentirsi compresi da sentimenti di fraternità, di povertà, di pazienza, di abnegazione, che sono l'anima del cristianesimo. Da un secolo e mezzo circa davasi il nome di Canonici Regolari a quei preti, che abbracciavano tal genere di vita. Essi peraltro, se ne eccettui l'Ordine dei Canonici Regolari Premonstratensi, fondate da San Norberto nel 1120, non costituivano un corpo solo sotto un medesimo capo; ma ogni casa aveva il suo proprio Priore, dipendente unicamente dal Vescovo. Martino di Bazan, vescovo di Osma, desideroso di contribuire egli pure alla restaurazione della Chiesa, aveva di recente mutato in Canonici Regolari i canonici della sua cattedrale; e venuto a sapere come all'Università di Palenza si trovasse un giovane di raro merito, nativo della sua diocesi, concepì la speranza d'incorporarlo al suo capitolo e d'averlo così cooperatore nella riforma. Affidò l'affare a quell'uomo che gli era stato principale aiuto nella difficile opera intrapresa, uomo illustre per nascita, per ingegno, per dottrina, per immacolatezza di vita, e che a queste qualità, comuni anche ad altri, aggiunse poi un titolo non diviso con altri mai. Sono sei secoli che, lo spagnuolo Don Diego d'Azevedo riposa sotto una pietra che non mi fu dato visitare; ciò nonostante non posso proferire il suo nome, senza provarne sentimenti di affettuosa riverenza. Egli fu il mediatore, scelto da Dio per illuminare e dirigere il patriarca di una famiglia di cui sono figliuolo; ed io risalendo con la memoria la lunga catena de’ miei padri spirituali, lo ritrovo fra S. Domenico e Gesù Cristo.

La storia non ci ha conservato i primi colloqui fra Don Diego e il giovane Gusman; ma dagli effetti che ne seguirono, è facile indovinarli. Sull'età dei venticinque anni ogni anima generosa non altro e meglio desidera che di donare sé stessa. Ricca di amore come di forza non chiede al cielo e alla terra che una causa, grande cui consacrarsi con devozione magnanima. E

se ciò è vero di ogni anima ben temperata per felice disposizione di natura, quanto più dovrà dirsi di quella in cui il cristianesimo e la natura insieme si uniscano quasi vergini fiumi, di cui non una stilla sola siasi perduta in vane passioni? Facile adunque è immaginare quali fossero i discorsi fra Don Diego ed il giovane studente di Palenza. In pochi minuti gl'insegnò senza dubbio quel che indarno si cerca nei libri e nelle Università: a qual punto cioè fosse allora giunta la lotta del bene e del male nel mondo, quali le profonde ferite inflitte alla Chiesa, quale la generale tendenza delle cose, quale insomma l'intreccio segreto di tutto un secolo. E Domenico, messo a parte dei mali del suo tempo da un uomo che li sentiva profondamente, provò certamente l'irresistibile bisogno di contribuire anch'egli col corpo e collo spirito a vantaggio della Cristianità sofferente. Intravide in un baleno la sua vocazione, il suo dovere nello stato sacerdotale secondo l'ordine di Melchisedech, sull'esempio di Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo, unica sorgente di verità, di bene, di grazia, di pace, di ogni nobile sacrificio; i cui nemici, comunque si chiamino, sono i nemici eterni del genere umano.

Questo divin sacerdozio, avvilito in mani troppo indegne della consacrazione, aveva bisogno di essere rinobilitato al cospetto di Dio e dei popoli: cosa impossibile ad ottenersi, se non col far rivivere le apostoliche virtù in coloro che ne avevano l'onore e l'obbligo. E perché in ogni rinnovazione di cose, questo è il primo passo: fare cioè quel che si vuol poi fatto dagli altri; l'erede dei Gusman consacrò la sua vita a Dio nel capitolo già riformato di Osma, sotto la direzione di Don Diego che ne era il priore. «Allora - così si esprime il beato Giordano di Sassonia - egli sì mostrò tra canonici suoi fratelli quasi fiaccola ardente, primo in santità, ultimo di tutti per umiltà di cuore, spirante intorno a sé un odore di vita, che vita in altri infondeva, ed un profumo simile a quello d'incenso. I suoi fratelli attratti da questa sua condotta tanto religiosa, lo elessero a loro sottopriore, affinché collocato più in alto, il suo esempio fosse meglio avvertito e più efficace. E Domenico, come olivo che mette rampollo, come cipresso che s'innalza al cielo, passava il giorno e la notte in chiesa pregando incessantemente, senza uscir quasi mai fuori del chiostro per timore di rubar tempo alle consuete contemplazioni. Dio gli aveva fatto grazia di piangere pei peccatori, per gl'infelici e per gli afflitti; il santuario interno della sua compassione era ricolmo dei loro mali, e questo amore doloroso, premendogli fortemente il cuore, ne traeva le lacrime. Era suo costume, e di rado lo interrompeva, di passare la notte pregando, intrattenendosi, a porte chiuse, con Dio. Ed allora si udivano talvolta vive voci e come dei gemiti, indarno soffocati in petto. La domanda che più di frequente indirizzava a Dio era specialmente quella della grazia di una carità verace, di un amore che niente risparmiasse per la salute degli uomini; persuaso di non poter essere un membro vero del Cristo, se non quando si fosse consacrato con tutte le forze alla redenzione delle anime, sull'esempio dello stesso Salvator nostro Gesù Cristo, immolatosi generosamente per la salute di tutti. Leggeva un libro intitolato Conferenze dei Padri, dove si parla dei vizi e della spirituale perfezione; e leggendolo faceva ogni sforzo per conoscere tutte le vie del bene e seguirle. Queste letture coadiuvate dalla grazia lo sublimarono a purità di coscienza non comune, ad un grado di contemplazione illustrata da copiosi lumi, ad una perfezione insomma elevatissima.

La Provvidenza non ebbe fretta riguardo a Domenico, quantunque la sua vita non dovesse esser lunga; e per ben nove anni lo lasciò ad Osma, affinché si preparasse ad una missione a lui ancora sconosciuta. In questo frattempo, cioè nel 1201, Don Diego d'Azevedo successe nella sede vescovile a Martino di Bazan; e Domenico, poco dopo, cominciò ad annunziare la parola di Dio, sempre però nelle vicinanze di Osma, continuando molto probabilmente in questo suo ministero, di cui ignoriamo i particolari, fino al 1203: momento solenne, in cui Domenico sull'età di trentaquattro anni lasciò la Spagna, per incamminarsi, senza saperlo, verso il luogo de' suoi destini.

Qui finisce la genesi di S. Domenico, vale a dire la serie di. quelle cose che formando il corpo e l'anima di lui, lo prepararono alla missione provvidenziale ch'egli liberamente dovea compiere. Ogni uomo ha la sua genesi proporzionata alla sua futura missione nel mondo, la conoscenza della quale basta da sola a fare intravedere ciò ch'egli sarà. L'amicizia ci apre i nascondigli profondi ove stan sepolti i misteri del passato e dell'avvenire; la confessione ce li fa conoscere sott'altro aspetto; la storia tenta di penetrarvi dentro fino a rintracciarli nelle prime loro cause, per rannodarne così il filo alla mano di Colui che crea i germi e vi depone il bene sotto innumerevoli forme. Domenico chiamato da Dio a fondare un Ordine nuovo, che avrebbe edificata la Chiesa con la povertà, con la predicazione e con la scienza divina, ebbe una genesi manifestamente conforme a tale predestinazione. Nasce da famiglia illustre, perché la povertà volontaria è più attraente in chi ha saputo dispregiare e la fortuna e la nobiltà che possedeva; nasce nella Spagna, fuori del paese che sarà il teatro del suo apostolato, perché uno dei più grandi sacrifici riserbati all'apostolo è quello appunto di abbandonare la patria per esser lume a nazioni di cui ignora anche la lingua; passa all'Università i primi, dieci anni della sua giovinezza per acquistarvi la scienza necessaria all'evangelico ministero, e trasmetterne l'eredità e la cultura al suo Ordine; per altri nove anni si assoggetta alle pratiche della vita comune affine di sperimentarne i benefici, le difficoltà, i pregi e non imporre in seguito ai suoi fratelli un giogo che egli stesso non avesse portato per molto tempo.

Fin dall'infanzia poi Dio gli dà l'istinto e la grazia di sottomettere il corpo ad un genere di vita assai duro. Imperocché come l'apostolo sopporterebbe la fatica de' viaggi, il caldo, il freddo, la fame, le prigioni, le percosse, la miseria, se per tempo non avesse adusato il corpo alla più rigida disciplina? E anche un gusto precoce ed ardente della preghiera gli è dato da Dio, essendo la preghiera l'atto onnipotente che mette a disposizione dell'uomo le forze stesse del Cielo: il Cielo è inaccessibile alla violenza; la preghiera lo abbassa fino a noi. Soprattutto poi Domenico è adorno del dono senza il quale tutti gli altri son un nulla, il dono di una carità immensa, che giorno e notte lo stimola a consacrarsi tutto alla salvezza de' suoi fratelli, e lo rende sensibile fino alla lacrime a tutte le loro afflizioni. Ad iniziarlo infine ne' misteri del suo secolo, Dio lo fa incontrare in un uomo di forte tempra, che gli sarebbe amico fedele e suo Vescovo, e che lo avrebbe introdotto, come ora vedremo, in Francia ed a Roma. Questi i fatti, non numerosi,

ma progressivi e profondi, che s'intrecciano man mano in un giro di trentaquattro anni, e che ci mostrano Domenico già formato e giunto immacolato alle porte di una, virilità la più splendida che possa desiderare un, uomo, il quale abbia conoscenza di Dio.

 

INDICE

INTRODUZIONE

 

Capitolo I. Genesi di S. Domenico

Capitolo II Arrivo di S. Domenico in Francia

Suo primo viaggio a Roma

Colloquio a Montpellier .

Capitolo III Apostolato di S. Domenico dall' abboccamento di Moutpellier fino al principio della guerra Albigese

Fondazione del monastero di Notre-Dame di Prouille

Capitolo IV Guerra degli AlbIgesi

Capitolo V Apostolato di S. Domenico dal principio della guerra Albigese fino al quarto

Concilio Lateranense

Istituzione del SS. Rosario

S. Domenico ed i suoi primi discepoli a Tolosa

Capitolo VI Secondo viaggio di S. Domenico a Roma

Approvazione provvisoria dell'Ordine dei Frati Predicatori fatta da Innocenzo III

Incontro di S. Domenico con S. Francesco d'Assisi

Capitolo VII Riunione di S. Domenico e del suoi compagni a Notre-Dame di Prouille

Regola e Costituzioni dei Frati Predicatori

Fondazione del convento di S. Romano a Tolosa

Capitolo VIII Terzo viaggio di S. Domenico a Roma

Conferma dell'Ordine dei Frati Predicatori

Predicazione di S. Domenico nel palazzo del Papa

Capitolo IX Nuova riunione dei Frati Predicatori a Notre-Dame di Prouille, e loro diffusione in Europa

Capitolo X Quarto viaggio di S. Domenico a Roma

Fondazione dei conventi di S. Sisto e di S. Sabina

Miracoli che accompagnarono queste due fondazioni

Capitolo XI Soggiorno dì S. Domenico a S. Sabina

S. Giacinto ed il B. Ceslao entrano nell'Ordine

Miracolosa unzione fatta dalla Vergine Santissima sul B. Reginaldo

Capitolo XII Fondazione dei conventi di S. Giacomo a Parigi, e di S. Niccolò di Bologna

Capitolo XIII Viaggio di S. Domenico in Spagna ed in Francia

Sue veglie nella grotta di Segovia

Modo di viaggiare e sistema di vita del Santo

Capitolo XIV Quinto viaggio di S. Domenico a Roma

Morte del B. Reginaldo

Il B. Giordano di Sassonia entra nell'Ordine

Capitolo XV Primo Capitolo Generale dell'Ordine

Dimora di S. Domenico in Lombardia

Istituzione del Terz'Ordine

Capitolo XVI Sesto ed ultimo viaggio di S. Domenico a Roma

Secondo Capitolo Generale Malattia e morte del Santo Patriarca

Capitolo XVII Traslazione del corpo di S. Domenico

Canonizzazione del Santo

 

 

APPENDICE

L'ORDINE DI S. DOMENICO

Capitolo I Della legittimità degli Ordini religiosi dinanzi suo Stato

Capitolo II Idea generale dell'Ordine dei Frati Predicatori

Motivi per ristabilirlo in Francia

Capitolo III Azione dei Frati Predicatori come Apostoli

Loro Missioni nell' antico e nel nuovo mondo

Capitolo IV Azione dei Frati Predicatori come dottori

S. Tommaso d'Aquino

Capitolo V Artisti, Vescovi, Cardinali, Papi, Santi e Sante, dati alla Chiesa dall’Ordine dei Frati Predicatori

Capitolo VI L'Inquisizione

Capitolo VII Conclusione

 

 

 

 

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