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SAINT-ESPRIT DANS LA VIE CHRÉTIENNE Éditions Du
Cerf - Paris,
Versione dal francete di Resina Vcruggio
JKosina
Nihil obstat quominus imprimatur MedioÌani die 10-7-1960
i i Salr^os. Arienti i-J. .1 W>. eccl.
IMPRIMATUR
in: Curia Arch. MedioÌani die 9-7-1960 f J. Schiavini
Vie. Gen.
1 Proprietà .riservata Editrice Àncora - Milano
N. A. 1571 - Novembre 1960
cuoic Grafiche Artigianelli Pavoniani - Milano
PREFAZIONE '^"
G7? ró»^ cÀe pubblichiamo sono stati il tema di un
ritiro predicato alle Piccole Suore 'Domenicane infermiere dei poveri
della casa di Beùune.
Non era la prima vohv che P. Aì^G-ardeil esponeva, in un
regolare corso di esercii spirituali, il complesso della dottrina dei Doni
e d'Si Frutti dello Spirito Santo. Per non parlare che^el suo ministero in
questa congregazione, nel^QVJ a Orléans e nel 1923 a Verviers,
egli vi avevS. già predicato in circostanze analoghe su questo soggetto,
e ve ragione di credere che abbia fatto beneficiare altre comunità di una
dottrina spirituale della quale egli, da lungo tempo, aveva la padronanza.
(1)
Questo insegnamento e adatto^ iffffWnsy, tutto
1 ) Ìl P. Gardeil aveva
già pubblicato nel 1903 un'opera di attualità su questo soggetto:
« / doni d^llò^'pinto Scmto fiei Santi 'Domenicani » ^(Parigi,
Gabalda), e, qualche vanna^dopo-j «.componeva per il « Dizionario di
Teologia cattolica » l'articolo « Dam dello Spirito .Smta.*
Gi. quest'opera, t. IV, col. 172S-I78I,
g PREFAZIONE
m'
alle anime consacrate a Dio nello stato religioso, ma
gioverà pure a tutti coloro che, sacerdoti e laici, aspirano ad un'alta
vita spirituale. « Lo Spirito
soffia dftve vuole. » La benedica rugiada dei Suoi doni e dei Suoi
frutti non è il privilegio di alcun genere di vita: essa può discendere
su qualsiasi anima santificata dalla grazia. Ciò che troverà in queste
pagine è, quindi, nel senso più vero della parola, un ritiro sulla vita
cristiana.
Crediamo utile, però, attirare l'attenzione su di un
punita: non abbiamo qui, per essere esatti, una trattazjyne fondamentale
sulla vita cristiana. L'attività pftgpria dei doni non si svolge, almeno
secondo la futura delle cose, che sulla base delle virtù teologali,
mediante le quali l'anima prende contatto col alvino, e sul fondamento
delle virtù morali, per cui-la nostra vita è rottamente indirizzata a
Dio. A queste basi della vita cristiana il P. Gardeil consacrava un'altra
serie di conferenze delle quali presuppone qui i risultati già acquisiti.
Tuttavia, in questa serie di studi, specialmente nella ^rj^a, se ne
troverà un richiamo sufficiente per potere, senza altre spiegazioni e
senza tema di cadere in errore, porsi dal punto di vista proprio di
queste^yriflessiom^ ^'lJq \
II testo di: questo ritiro non è opera diretta del P.
Gardeil, che, come era suo solito, aveva parlato
PREFAZIONE ,'J
« ex abundantìa cordis » ; esso e stato
raccolto da una sua uditrice, ma egli stesso ne ha curata la trascrizione,
servendosene fer sua personale utilità. E' dunque, un'opera autenticata
dal suo autore, del quale possiede d'altronde, in maniera innegabile,
l'impronta originale. Insieme al rigore teologico dell'esposizione, la
religiosa che ha piamente trascritto queste istruzioni ha conservato
felicemente qualcosa della fiamma intcriore, contenuta ma ardentissima,
che faceva della parola del Padre Gardeil non solo un'opera di verità, ma
l'opera di un cuore d'apostolo. Possano, dunque, queste pagine prolungare
ed estendere, se Dio lo vuole, l'azione soprannaturale di colui che
certamente è, e rimane sempre un teologo, ossia l'uomo della scienza
divina, il quale ha però compreso e sentito che tale scienza e, allo
stesso tempo, sapienza, scienza che si gusta (saporosa), sapida scientìal
Le Saulchoir
H.D. Gardeil, O. P.
INTRODUZIONE
LO SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
Dobbiamo dapprima precisare il posto che occupa lo Spirito
Santo ed in particolare le ispirazioni dello Spirito Santo, nella nostra
vita cristiana, e a tal fine farci un quadro d'insieme delle meraviglie di
questa vita cristiana che siamo destinati a vivere nella sua perfezione,
poiché la vita religiosa è la perfezione della vita cristiana, non una
vita a parte. Essa affonda le sue radici nella vita cristiana. E' più
perfetta solo perché richiede un amore più grande, e più grande per il
fatto che non solamente toglie ciò che è proibito, ma sacrifica ciò che
è permesso: in questo consiste la differenza tra la vita cristiana e la
vita religiosa. Per ambedue il comandamento è lo stesso: « Amerai il tuo
Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze.» Vi sono
delle
10 INTRODUZIONE
anime cristiane che sono più sante delle nostre, perché
vivono una vita più profonda, più sacrificata, più eroica. Esse,
tuttavia, non sono nello stato di perfezione, perché non fanno
ufficialmente professione di tendere alla perfezione con il sacrificio di
ciò che è permesso; anch'esse compiono tale sacrificio, ma non è quello
il loro scopo precipuo.
I - La vita
cristiana
La vita cristiana, chiamata così perché ci è stata
apportata da Cristo, è la vita eterna del cielo, già iniziata fin d'ora,
con tutto ciò che la compone, la riempie, con tutti i suoi elementi, uno
solo escluso: la visione di Dio. In conseguenza di ciò, la nostra carità
non è stimolata come lo sarà dalla visione divina; inoltre, possiamo
sempre perdere questa vita, mentre in ciclo non potremo più separarcene.
Possediamo già fin d'ora realmente e sostanzialmente Dio,
come nella vita eterna? Sì, la nostra anima ha questa felicità quando
possiede la grazia santificante; possediamo realmente Dio come i beati.
Dio è dappertutto e tutto intero dappertutto. Noi non
possiamo farcene facilmente un'idea.
INTRODUZIONE 11
Dio, che è Spirito infinito, è ih una maniera Speciale
in tutto. La nostra anima è in tutto il nostro corpo. Dio è in tutta la
creazione. Dovunque crea, conserva, muove ad agire, Dio esiste tutto
intero. Quando diciamo che Dio è immenso, ciò significa che è
assolutamente presente dappertutto, non solamente come noi, quando
vediamo, ma con la Sua Persona, realmente, sostanzialmente. Egli non può
fare le cose senza crearle, e si è dove si, crea, senza intermediario.
Egli è dunque in tutto.
Ma in misura ben maggiore, Dio è nell'anima del giusto!
Se Egli è tutto intero nelle cose, vi è per necessità, poiché produce
l'essere di ogni cosa; ima vi è materialmente, nell'indifferenza completa
da parte dell'essere che riceve il suo Dio. Egli, qui, impone la Sua
presenza. Nell'anima u-mana, Dio trova già un potere lontano di
cono-scerLo e di amarLo; quand'essa però possiede la grazia santificante
che è una partecipazione alla stessa natura divina, e che la rende capace
di compiere atti riservati a Dio, di conoscerLo e di amarLo, essa è in
grado di attingere il suo Dio, essa è divinizzata. L'anima può compiere,
sul piano di creatura, quest'atto supremo di Dio che possiede Se stesso,
conoscendosi, ed amandosi, nella Sua eterna vita. Quando l'anima è capace
di im-
U? WKOWZ1WS
padronirsi in tal modo di Dio, Egli rimane in essa in due
maniere: dapprima con la presenza necessaria che ha in ogni essere (quindi
con quella oggettiva), perché l'anima con la cognizione e l'amore ha il
potere di aprirsi dinanzi a questa presenza, essendo capace di ricevere
quest'Ospite intcriore e darGli ospitalità. E' ciò che si chiama l'inabitazione
di Dio nelle anime dei giusti. Dio vi è come nella Sua propria dimora.
L'anima, spirito vivente, si apre per ricevere il Divino Spirito: con la
cognizione e l'amore divinizzati, essa è capace di attingere lo Spirito
Divino, di co-noscerLo, di amarLo, di entrare in relazione con Lui,
relazioni ineguali ma intime, poiché ambo le parti hanno di .che
comprendersi e amarsi.
La vita cristiana è dunque l'inabitazione personale di
Dio nell'anima che si schiude per darGli ospitalità. Ciò avviene per la
potenza che fa i figli di Dio, di cui parla il Vangelo di S. Giovanni (1,
12). Noi possediamo tutto questo se, per la misericordia di Dio, ci
troviamo in stato di grazia. Dio dimora nel nostro essere intcriore.
Allorché desideriamo la Sua presenza, è lì che dobbiamo cercare
l'Ospite intcriore, l'Amico col quale possiamo condurre, con una certa
familiarità, una vita intima, beatificante, se siamo fra colóro che
comprendono tali cose.
i":
INTRODUZIONE 13;
L'anima in questo stato è come un seme di e-ternità. Nel
seme è tutto ciò che farà la pianta;
basterà ch'essa sia nutrita dall'umidità, dal sole,
perché tutto si sviluppi; ma ciò non cambierà la sua natura. La-nostra
anima, con la sua capacità di attingere Dio, che è in lei come germe
fecondante, possiede il seme del ciclo, della beatitudine. In realtà, il
ciclo e l'anima del giusto sono la medesima cosa; in questa, tutto è
preparato, non è ancora l'epoca del raccolto. E' un dono che abbiamo
ricevuto nel battesimo: la grazia santificante consente al bimbo
battezzato di possedere Dio, che è in lui sostanzialmente presente.
Quando raggiungeremo la vita eterna, non dovremo
ravvisarla ad oriente o ad occidente; essa scaturirà dalle profondità
dell'anima santificata dalla grazia, sarà la rivelazione di ciò che
eravamo: «Ciò che saremo non appare ancora» dice S. Paolo, ma già
esiste. Nel profondo delle nostre anime vi è tutto ciò che formerà la
nostra beatitudine. Dio vi è sostanzialmente presente. Vi è il Padre, il
Figlio e lo Spirito Santo; ivi il Padre genera il Suo Verbo; il Verbo
riflette il Padre di cui è l'immagine sostanziale; entrambi si amano
infinitamente, e da quest'amore procede lo Spirito Santo. Vita di
intimità del Perfettissimo con Se stesso, nella conoscenza e nell'a-
14 INTRODUZIONE
more. L'anima cristiana è, per la fede, il testimonio di
questo spettacolo che si svolge in essa e che la pone in uno stato di
adorazione.
Dio è là, ma tuttavia abbiamo ancora del cammino da
percorrere. Da un lato siamo al termine, perché possediamo Dio; ma
dall'altro non Lo possediamo ancora per sempre e non godiamo dello
spettacolo visibile della Sua perfezione e della Sua gloria: dobbiamo
conquistare la nostra definitiva eternità, con gli atti della vita
cristiana. Il neonato che muore dopo il battesimo è trasportato nel luogo
della visione divina; noi dobbiamo invece far fruttificare i doni di Dio.
Abbiamo visto la Sua parte, ora occorre il nostro sforzo. La via che ci
separa dall'eternità è lunga, difficile, seminata di ostacoli; e poi vi
sono gradi differenti, la si può raggiungere più o meno presto e più o
meno perfettamente, meritare una visione più o meno completa (di questo
spettacolo), un possesso più o meno grande di questo bene infinito.
II - Compito
dello Spirito Santo nella vita cristiana
Ora, Dio non rimane inattivo dinanzi agli sforzi che
dobbiamo fare per percorrere la via che ci farà raggiungere il nostro
destino definiti-
INTRODUZIONE 15
vo. Anzitutto, è Lui che ha creato la nostra anima
dandole la grazia con le virtù infuse che si chiamano virtù teologali,
le virtù molali, ed anche i doni dello Spirito Santo. Inoltre, Egli
conserva, sostiene, e muove dentro di noi questa vita che abbiamo da Lui.
Dio è presente in ogni atto della nostra vita spirituale.
Ed ecco che ora si manifesta il compito dello Spirito
Santo. Quando si tratta di creare, tutto è comune al Padre, al Figlio e
allo Spirito Santo. Il Padre ha voluto che, in ordine alla salvezza, il
Figlio si incarnasse e soffrisse per noi. Entrambi hanno voluto che,
compiuta la salvezza, lo Spirito Santo la continuasse attraverso la
santificazione delle nostre anime. Cristo, indubbiamente, è sempre
presente; Egli è il capo della Chiesa, ci vivifica coi Suoi sacramenti,
ci distribuisce le Sue grazie attuali, ci istruisce per mezzo della
Chiesa, ci avvolge con la Sua azione. Ma soprattutto Egli ci invia
continuamente il Suo Spirito Santo: «Vi manderò lo Spirito Santo, Egli
disse, che vi insegnerà e vi suggerirà ogni cosa e vi consolerà quando
partirò » (Giov. 14, 26). La cura della nostra santificazione viene
affidata, in una maniera misteriosa, allo Spirito Santo. Egli è la guida
del nostro cammino, incaricato dal Padre, e dal Figlio di condurci alla
vita eterna.
16 IUTRODUZÌONE
Ora, lo Spìrito Santo ci guida
in due maniere. Spirazione d'amore del Padre e del Figlio, opera per mezzo
delle ispirazioni che seguono una duplice via. Talvolta ci lascia
semplicemente agire da soli, fare atti di fede, di speranza, di carità, o
atti di prudenza, di giustizia, di forza o di temperanza; noi stessi diamo
impulso a questi atti. Lo Spirito Santo veglia sul nostro operato: noi
siamo sotto l'azione di questo amore divino, ma conserviamo il comando, la
dirczione della nostra vita. Per fare un atto di adorazione, per esempio,
ci mettiamo d'impegno, facciamo noi stessi uno sforzo; allo stesso modo,
per un atto di giustizia o di carità, riflettiamo per compierlo nella
maniera migliore, stiamo attenti a non ferire la carità con le nostre
parole, ci dominiamo fortemente per reprimere la nostra impressione... Lo
Spirito Santo non è assente, è la causa prima che applica all'azione le
nostre energie soprannaturali; ma noi conserviamo la dirczione. Ed in ciò
sta la sostanza della vita cristiana: il governo soprannaturale, ma
personale, di noi stessi per mezzo delle virtù cristiane.
Ciò ha i suoi inconvenienti, perché noi possediamo le
virtù in un modo assai imperfetto. Possiamo commettere con tanta
facilità colpe più o meno gravi: meno gravi, tuttavia, nella vita
religiosa! Vi sono tante insidie, difficoltà, tentazioni
INTRODUZIONE 17
alle quali non sfuggiamo neppure nella vita religiosa! Lo
Spirito Santo, che già ci ha dato queste energie che sono le virtù e ci
aiuta a metterle in pratica, non potrebbe venire in nostro aiuto più
efficacemente? Come sarebbe vantaggioso per noi se Lui stesso prendesse la
dirczione ! Come saremmo assicurati contro queste deficienze ! Ebbene
questo secondo intervento dello Spirito Santo ci è garantito per mezzo di
ciò che noi chiamiamo i sette doni dello Spirito Santo, la Sapienza,
l'Intelletto, il Consiglio, la Fortezza, la Scienza, la Pietà e il Timore
di Dio. Lo Spirito Santo stesso, con ispirazioni corrispondenti ai Suoi
doni, ci muove e ci stimola, mentre noi siamo come strumenti nelle Sue
mani, non abbiamo più il primo posto nella direzione della nostra
condotta: muniti del Suo aiuto, dobbiamo solo acconsentire alla Sua o-pera
e il lavoro è più facile, le difficoltà sono eliminate.
Ecco la differenza fra i due modi di lavorare alla nostra
salvezza. Si potrebbe paragonarli al procedere di una barca a remi o a
.vela. A remi, bisogna lavorare a forza di braccia e dirigere la barca: si
conserva il comando; ma, a vela, se il vento soffia, non occorre, o almeno
non è più così necessario, affaticarsi; si va più veloci e si ;e meno
stanchi.
18 INTRODUZIONE
Agire per mezzo delle virtù attive di fede, speranza e
carità e delle virtù morali infuse di prudenza, giustizia, forza e
temperanza con tutte le loro ramificazioni, richiede sforzo. E' questa,
però, la base della nostra vita, perché lo Spirito non soffia sempre.
Tuttavia, questo aiuto aggiunto al riostro sforzo, questo soffio, ci è
assicurato dal fatto stesso che insieme alla grazia santificante
possediamo i doni che ci vengono infusi nel battesimo.
Ili - Alcune
osservazioni importanti
1° - I doni non Sono le ispirazioni stesse dello Spirito
Santo; essi sono le potenze che rendono la nostra anima docile all'impulso
diretto dello Spirito Santo, sono richiami e quasi vele destinate a
captare il soffio dello Spirito Santo. La nostra anima non è così
divinamente docile per natura; ma quando ama Dio per la grazia, ella si
offre allo Spirito d'Amore, Spirito di Scienza, di Fortezza, di
Intelletto...; possiamo spiegare, in tal modo, la nostra vela da noi
stessi con l'aiuto ordinario della grazia, e lo Spirito Santo soffia e
conduce il nostro cammino. I doni, nei confronti delle ispirazioni,
possono venir paragonati ai ricevitori del telegrafo senza fili che
permettono di ricettare tutto da di-
INTRODUZIONB 19
stanze incalcolabili. Alcuni fili sospesi possono captare
queste onde elettriche, concentrarle e; trasmettere così i
pensieri attraverso l'aria. I doni sono nell'anima come questi fili
sensibili, capaci di ricevere le ispirazioni dello Spirito Santo a
beneficio dell'anima nostra. E quanto più l'anima ama Dio, tanto più è
pronta e docile.
2° -1 doni dello Spirito Santo non sono più importanti
della carità; non esisterebbero in un'anima, se non vi fosse già
carità, che resta la cosa principale. Ma in un'anima che ama Dio, vi sono
queste disposizioni, questi sette doni; possiamo spiegare la vela e
tendere il filo, e il soffio o l'onda vi trasmettono queste forze che
vengono dalla divinità per condurci.
Lo Spirito Santo è in tal modo la guida di tutto il
cammino. Rimanendo nel nostro intimo, ci spinge dall'interno, sia che ci
lasci la nostra attività, sia che al nostro richiamo prenda Lui stesso la
dirczione del nostro procedere. Se nelle difficoltà, tentazioni, prove,
la nostra vela è spiegata, noi passiamo attraverso la tormenta e
arriviamo dall'altra parte. Ciò non avviene senza sacrifici, ma abbiamo
l'aiuto necessario; basta essere docili, non cessare di offrire la nostra
anima alle ispirazioni, e siamo certi di riuscire più efficacemente col
mezzo essenzialmente divino degli impulsi che ci conducono,
20 IffTKODUZtWe
piuttosto che con quello più ordinario, nel quale
dirigiamo noi stessi il nostro cammino.
3° - Non si tratta di fenomeni straordinari, di vie
spirituali eteree: certamente lo Spirito Santo ci condurrà più in alto,
poiché Egli abita nelle altezze; ma siccome la Sapienza attinge tutto, da
un estremo all'altro, ci faciliterà anche la repres-- sione delle nostre
cattive tendenze, per esempio l'impazienza, lo scoraggiamento, la
distrazione nella preghiera... Egli agisce tanto per le piccole cose che
per le grandi, il Suo potere si estende sia ai più piccoli dettagli che
alle grandi cose: è la qualità propria dello Spirito infinitamente
perfetto.
Sotto la Sua ispirazione, possiamo passare in rivista
tutti gli atti della vita ordinaria; solo il punto di vista è cambiato.
L'azione dei doni dello Spirito Santo non differisce dall'attività delle
virtù nei confronti della materia di cui si occupa; ma questa materia è
toccata in un altro modo, col soffio dello Spirito Santo: invece di agire
per iniziativa propria, siamo strumenti ma tutto ciò non costituisce che
una sola vita cristiana, e, pertanto, una sola vita religiosa.
4" — L'attività propria dei doni dello Spirito
Santo, secondo S. Agostino e S. Tommaso, è raf-
MTRODVSIONS ^
figurata nelle prime sette beatitudini di S. Matteo. Il
governo diretto dello Spirito Santo avrebbe lo scopo di suscitare in noi
questa povertà, questa dolcezza, ecc... Ogni beatitudine si riferisce in
tal modo a un dono. Lo Spirito si limita ad ispirare i punti principali.
Per la povertà di spirito, per esempio, invece di dover lavorare nei
minimi particolari contro le concupiscenze, lo Spirito Santo ci da uno
spirito di spogliamente, e tutto diventa puro mediante lo Spirito che in
alto abita: questo settore della nostra vita è messo in ordine. Lo stesso
per le lacrime: un soffio ci invade e produce di colpo gli effetti di un
lavoro paziente.
Riguardo all'ordine da seguire, N. Signore possedendo
tutti i doni nella loro pienezza, ed avendoli esercitati così, era
normale che la Scrittura cominciasse con l'attribuirGli il più perfetto,
la Sapienza. Noi invece cominciamo dal basso: « II Timore è l'inizio
della Sapienza» (Ps., 110, 10).
Riflettiamo a queste cose che possono esserci di aiuto per
la nostra vita soprannaturale, e darci uno slancio verso la perfezione, se
abbiamo il culto di questo tipo d'operazione dello Spirito Santo
raccogliamo con riconoscenza e docilità i nostri pensieri su questo
divino Spirito che è in noi, e ci attireremo le Sue benedizioni,
CAPITOLO PRIMO IL DONO DEL TIMOR DI DIO
« L'inizio della Sapienza è il timor di Dio » (Ps.,
110, 10). . .
Il primo soffio dello Spirito Santo nell'anima, la Sua
prima ispirazione, allorché per esempio, Egli la converte dal male al
bene oppure inizia un progresso, è il Timor di Dio.
L'espressione: timor di Dio, ci agghiaccia; ci piace
parlare di amore di Dio, ma non di timore, ed abbiamo ragione.-Vi è
tuttavia un timore che non possiamo ricusare.
I - II
timore, dono dello Spirito Santo
Vi è un timore che non è altro -che paura, la passione
della paura, passione molto poco onorifica e puramente umana, Vi sono
delle povere anime
24 LO SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
che temono Dio così, ed esse, per paura, agiscono al di
fuori di Lui. Adamo ed Èva ebbero paura nel paradiso terrestre perché
avevano peccato; lo stesso fece il servo infedele che, temendo la
severità del suo padrone, nascose il talento ricevuto. Così fu il timore
di san Pietro, che ebbe paura di una fantesca e rinnegò il suo Maestro.
Questa paura ci fa peccare, essa è nociva: non ha diritto al regno di
Dio.
Vi è un altro timore, quello dei servi. Allorché questo
timore, chiamato servile, è il solo motivo delle nostre buone
azioni, queste vengono completamente viziate. Ciò è proprio di colui che
servirebbe Dio soltanto per timore dei Suoi giudizi e dell'inferno,
dicendo: Se l'inferno non esistesse, mi comporterei diversamente. Questo
timore servile è dannoso, e può essere causa di peccati...
Vi è, tuttavia, un certo timore servile, timore dei
giudizi di Dio, dei Suoi castighi, che può essere utilizzato per fini
buoni. Questa paura può aiutarci, può trattenerci in alcuni casi. E'
utile, per esempio, nell'educazione dei bambini che non sono ancora
sensibili ai motivi elevati. Allorché 1 amor di Dio non è escluso, ed il
tunore non è 1 unico morivo, questo può essere un mezzo che ha una sua
bontà; convertìre, e mantenere nella giusta via. Il
IL DONO DEL TIMOR DI DIO
25
Concilio di Trento lo dichiara un dono di Dio,
contro i protestanti.
Finalmente -vi è il timore filiale, quello dei figli.
Esso è tale, quando un'anima ama veramente Dio con tutto il cuore,
vedendo in Lui la Bontà.'perfetta, l'unico Bene, sapendo che Egli è il
Padre suo che l'ama, e non cessa di vedere, tuttavia, quanto Egli è
grande, maestoso, chiuso nel Suo segreto imperscrutabile, coi Suoi
terribili giudizi, e la Sua Onnipotenza infinita. Che farà l'anima fra
queste due prospettive : un Dio terrìbile e un Dio Padre? Quale
dirczione prenderà il suo cuore ? Dovrà forse, a motivo della Sua
maestà, fuggire il Padre suo? O respingere ogni timore a motivo della Sua
bontà, che tuttavia non impedisce la Sua giustizia? Se ella ama veramente
Dio, non c'è che una soluzione per lei : buttarsi verso il Padre suo. Che
può temere infatti se non di essere separata da Lui ? Essa temerà allora
perché Dio è santo, ed ella peccatrice; perché Egli è grande, ed essa
così piccola; ma si tratterà del timore di un figlio per il Padre. Per
porsi al sicuro di fronte alla Sua grandezza, 1 anima, non dimenticando
ch'Egli è anche Bontà, Gli si getterà nelle braccia. Questo timore non
dimentica, indubbiamente, la maestà di Dio, la Sua giustizia e i Suoi
castighi, ma esso si volge in affetto, in un desiderio più ardente di
appartenerGli, di non essere mai
26 LO SPIRITO SANTO
NELLA -VITA CRISTÌHNA
separato da Lui. Che differenza fra questo timore di
essere separati da Dio e il timore servile che fa obbedire ai Suoi
comandamenti soltanto per paura! Il timore filiale, nella sua essenza, è
fatto d'amore. E' sempre timore perché si ha paura di essere indegni
della maestà, della perfezione, della santità di Dio; ma è un timore
che nasce dall'amore. Questo è il timore ispirateci dallo Spirito Santo
quando noi mettiamo in atto il dono del Timore, il quale si trova solo
nell'anima che ama Dio.
Questa ispirazione di timore è intimamente legata, lo si
vede, con ciò che noi chiamiamo la pietà, una parte della virtù
di religione con la quale ci rivolgiamo a Dio come a un Padre. Ecco
perché, secondo San Tommaso, il dono del Timore è un ausiliario della
virtù di religione. Le anime veramente pie, che considerano Dio come un
Padre, ricevono dall'ispirazione del dono del Timore una sovrabbondanza di
forza per aderire e conformarsi a Lui.
II - Gli
effetti del dono del Timore
Quando l'anima è in questostato di docilità all'azione
dello Spirito Santo, rie viene di conseguenza che ella si abbandona a Dio
e si mette completamente nelle Sue mani. « Signore, ella dice,
IL DONO DEL TIMOR DI DIO
27
prendimi, possiedimi, io Ti appartengo; tienimi, stringimi
perch'io non possa separarmi da Tè ». Questo abbandono, questa consegna
di tutto il nostro essere con tutte le nostre energie nelle mani di Dio
affinchè Egli ci possegga, è l'effetto immediato del dono del Timore.
L'esigenza principale di un buon strumento è quella di esser
ben tenuto. Pur con uno strumento difettoso, se sappiamo tenerlo bene
in mano, renderemo di più che con uno strumento perfezionato, prezioso,
ma che non sapessimo tenere bene in mano e che perciò potrebbe convenire
ad altri, ma che non sarebbe adatto a noi. Ci troveremmo a disagio.
Abbiamo visto che il governo dello Spinto Santo ha questo
di speciale che, per mezzo dei doni. Dio si serve di noi come di
istrumenti. Egli stesso ci governa con le Sue ispirazioni. In tal modo il
dono del Timore è il primo in ordine al perfezionamento dell'anima. « II
timore è 1 inizio della Sapienza». (Ps. 110, 10). Infatti, come prima di
fare qualche cosa, bisogna avere in mano lo strumento, e l'operaio deve
prendere innanzi tutto l'utensile, così prima di operare in noi con le
Sue ispirazioni, lo Spirito Santo c'invade. Presto (o tra poco) seguiranno
la Fortezza, la Pietà, la Scienza, il Consiglio, l'Intelletto, la
Sapienza. Al mo-
2g i.0 WRITQ santo NELLA VITA CRISTIANA
merito, non siamo che all'inizio, e tale inizio è
l'offerta di noi stessi nelle mani dello Spirito Santo il quale, per
successive ascensioni, ci condurrà sino alla Sapienza.
E' attuando questo abbandono di noi stessi nelle mani di
Dio, che il dono del Timore diventa l'ausiliario della virtù teologale
della speranza. La speranza è una virtù che ci fa confidare di
ricevere la beatitudine eterna, sorretti dal soccorso divino. Non
contiamo affatto su noi stessi e poco sui nostri meriti; ma unicamente su
l'aiuto divino che è il migliore dei nostri meriti. Infatti, solo il
soccorso divino è proporzionato alla beatitudine. Mettendoci in tal modo
sotto 1 egida dell'aiuto divino, il dono del Timore è 1 ausiliario della
speranza con la quale si armonizza. Essendo nelle mani di Dio, siamo nella
posizione giusta per ricevere il Suo aiuto, aiuto che è il mezzo proprio
per ottenere il paradiso.
Approfondiamo maggiormente, ora^ le attività del dono del
Timore.
Che abbiamo da temere ? Perché temiamo Dio ? Per una
ragione sola: perché a causa della nostra volontà e della nostra
libertà, abbiamo in noi il terribile potere di separarci da Lui. Più che
Dio, infatti, noi temiamo la nostra volontà peccatrice. L'effetto del
dono del Timore sarà di volgerci, so-
IL DOMDELTimKt>l PIO
29
stenuti dall'onnipotenza dell'ispirazione dello Spirito
Santo, verso la nostra volontà perversa per combatterla, rinunciarvi,
annientarla crocifiggendo la nostra carne secondo la parola del salmista:
«Trafiggi le mie carni col umore» '(Ps. 118, 12Q).
Quando si teme di perdere Dio, si teme il peccato ed ogni occasione di
peccato: i nostri vizi e persi-nò le nostre piccole mancanze, debolezze,
impotenze.
Abbiamo sperimentato questo effetto del dono del Timore
dopo una buona confessione: forse avevamo commesso qualche colpa più
grave, e considerandola con amarezza sotto lo sguardo di Dio, che
sentivamo vicinissimo a noi, al termine del nostro atto di fede, ci
volgevamo a Lui come a un Padre dicendo: Come ho potuto fare ciò al Padre
mio? e come ho potuto separarmi da Lui per una cosa tanto piccola ? Noi
provavamo un sentimento di contrizione, avevamo il cuore frantumato
(contrito) e avremmo voluto annullare la nostra colpa, che detestavamo per
amore di Dio... Nel sacramento della penitenza, il dono del Timore agisce
al massimo per tutte le anime. Durante e dopo l'assoluzione, siamo sempre
sotto l'influenza dei timore filiale: lo Spirito di Timore ci ispira la
penitenza, il dispiacere per le colpe commesse, e
30 LO SPIRITO SANTO NEl^A VITA CElSTlANA
per conseguenza il desiderio di lottare contro di esse per
combatterle.
San Tommaso dichiara, inoltre, che il dono del Timore è
un potente ausiliario della virtù di temperanza. Coloro che temono
realmente Dio, con sentimenti di figli, a cagione delle colpe delle quali
vedono nella loro carne la sorgente sempre rinascente, sono temperanti,
penitenti, sobri, umili. La temperanza non ha miglior ausiliario di questo
Spirito di Timore che ci mette in guardia contro la volontà peccatrice.
Il dono del Timore è dunque un aiuto, talvolta per la
pietà che favorisce, talvolta per la speranza che intensifica, talvolta
per la temperanza che, per esso, regna.
Quando l'anima, avendo ricevuto il dono del Timore, e,
temendo di essere separata da Dio, si è abbandonata completamente a Lui,
affinchè Egli non la lasci, e faccia di lei ciò che Lui vuole, quando
ella ha cominciato a fuggire il peccato e le sue occasioni, è entrata
nello stato delle anime timorate. L'anima si fa timorosa
conformemente e per opera dello Spirito Santo.
Ella non è scrupolosa, perché lo scrupolo non ha niente
a che vedere col dono del Timore, è un'infermità, una prova naturale o
soprannaturale.
Quest'anima non ha neppure una coscienza
IL DONO DEL-TISlOK DI
MO- 31
troppo lassa, benché abbia una certa larghezza di
spirito, e quindi essa non disprezza le piccole cose. E stabilita senza
fatica in un giusto centro, ad u-guale distanza da un timóre esagerato e
da una coscienza troppo larga: ha una coscienza giusta, (delicata). , .
• . . ••\ :
Vi sono anime che si fanno notare per la rettitudine del
loro comportamento; sono equilibrate, giuste, distanti da ogni eccesso;
sono amabili, per-sino piacevoli, ma controllate; esse danno l'impressione
di essere guidate e questa invisibile guida dirige i loro pensieri, i loro
giudizi, il loro modo di fare; il loro contegno è un modello. Ciò è
dovuto al vero timore, al timore che è frutto dello Spirito Santo; timore
che non irrigidisce nello spavento, poiché è filiale, ma che mantiene
nell'atteggiamento di riverenza e impedisce di cedere alla seduzione della
natura. Lo Spirito Santo tiene le anime in quel giusto equilibrio che ci
è difficile determinare col nostro solo giudizio. Egli ve le ha stabilite
d un tratto, senza fatica.
Ili - Gradi
dello Spirito di Timore
A mano a mano che il nostro amore cresce, il dono del
Timore ci trova più docili. L'anima si apre, si dilata. Ciò che restava
del timore un po' rigido sparisce, la fiducia sovrabbonda. Il timore
32 LO SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
filiale, infatti, ha i suoi gradi; al primo inizio ci si
deve ancora correggere, ma l'anima si dilata sempre più e dice con gioia
queste parole del Salmo di Compieta: «Colui che vive sotto 1 egida del
Signore dimora all'ombra della Sua protezione»; e ancora: «Sotto le sue
ali troverai rifugio (spererai)» (Ps. 90, le 4), nelle quali il Signore
si paragona alla madre che cova i suoi pulcini. Dio è come questa madre
e, protetta dalle sue ali, l'anima non conserva del timore che un'ansia
d'amore, che un fremito di ammirazione: in ciò sta la suprema
trasfigurazione del timore.
Così ci appare Santa Rosa, tutta aperta come una rosa
tremante in cima allo stelo; ella fu pertanto una rigida penitente, ha
attraversato tutti i gradi del timore, ma nel suo schiudersi gioioso è
soltanto la figlia del Padre.
Gli Angeli hanno questo atteggiamento dinanzi alla maestà
di Dio. Essi sono felici, ma cantano incessantemente: «Egli è Santo», «Sanc-tus»,
penetrando sempre più nel mistero della Sua santità e trovandosi dinanzi
a Lui così imperfetti, così piccoli... Sono frementi di un'ammirazione
che, nello stato di gloria, è il termine supremo del dono del Timore.
Dolce emozione, poiché essa ha per oggetto la maestà che rimane sul
volto del Padre.
IL-DÓNO DEL TIMOR DI DIO 33
Viviamo in questo timore e cerchiamo di sperimentarne
tutti i gradi. Lo Spirito Santo, nell'intimo della nostra anima, vuole
ispirarcelo, vuole infiammare il nostro cuore d amore filiale, vuole
deporvi la trepidazione di sfuggire dalle mani del Padre, di incontrare la
minima occasione di peccato. Apriamo le nostre anime, spieghiamo la nostra
vela generosamente, con fiducia. Ciò dipende da noi, perché siamo noi
che dobbiamo servirci dei nostri doni abituali, col soccorso ordinario
della grazia. E lo Spirito divino opererà. Col Suo soffio, Egli ci
libererà da un'infinità di complicazioni nelle quali ci dibattiamo. Noi
ci lamentiamo di vederci irritabili, indocili, pigri nella preghiera...;
lottiamo qui e là, ci pentiamo, siamo perdonati, resistiamo per un po' di
tempo, poi ricadiamo; vi sono delle dispute, delle tentazioni oscure nelle
quali ci dibattiamo. Ciò è bene, dobbiamo farlo. La venerabile Agnese di
Langeac ha detto:
« E necessario un buon combattimento per ogni
tentazione». Tuttavia, non c'è forse in noi la tendenza a voler far
troppo e da soli? Poiché lo Spirito Santo vuoi prendere il governo della
nostra vita, serviamoci di Lui: raggiungeremo prima e più efficacemente
lo stesso risultato che non con le lotte.
Occorre perciò amare di più. Bisogna che il
1 .In snirUa Stinta noli fi vìiei frfs'tìnna
34 LO SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
Buon Dio sia tutto per noi, che noi Lo amiamo al
disopra di tutto. E' forse penoso amare ? E' vero, Dio è sconcertante.
Perfino nell'Eucaristia, non Lo vediamo e non dobbiamo vederLo; dobbiamo
conquistarci l'eternità. Tuttavia, vi- sono dei momenti nei quali
possiamo penetrare oltre il velo, sperimentare la Sua dolcezza, entrare in
intimità con Lui. Cerchiamo di essere sempre più uniti a Dio e saremo
una cosa sola con lo Spirito Santo:
« Colui che aderisce a Dio (per amore), è un solo
spirito con Lui» (I Cor. 6, 17). Il Suo Spirito si riversa nell'anima che
Lo ama, e sotto il Suo influsso noi correremo allegramente di virtù in
virtù. Se incontreremo degli ostacoli, li oltrepasseremo invece di
rovesciarli ad uno ad uno. Il lavoro è, così, più efficace e meno
penoso. Proviamo; mettiamo la nostra anima sotto la ispirazione dello
Spirito d'amore, abbandonandoci maggiormente, in una parola, all'azione
del Buon Dio. Perché:
«Dio comincia a regnare in un'anima, quand'es-sa è sotto
l'ispirazione del dono del Timor di Dio che fa i poveri di spirito ».
CAPITOLO SECONDO BEATITUDINE DELLA POVERTÀ'
« Beati i poveri 'di spirito, perché di essi i il regno
dei deli» (Matt., 5, 3).
A prima vista non sì vede il rapporto esistente fra la
povertà di spirito (o povertà di aspirazione) e il dono del Timore').
Quale è dunque il rapporto tra questa povertà che ci ispira lo Spirito
Santo e il dono del Timore ? .
^) «Pauperes spirìtu » si può tradurre tanto con «
poveri di spirito» che con «poveri d'aspirazione». Infatti, siamo in
presenza di due spiriti: lo spirito di Dio e il nostro. Se noi traduciamo
« spiritu » con: il nostro spirito, possiamo dire povertà di aspi"
razione; se vediamo in esso lo Spirito di Dio, diciamo: povertà ispirata
dallo Spirito di Dìo. Ma povertà di aspirazione e povertà per
ispirazione dello Spirito Santo, è tutt'uno. Poiché se il nostro spirito
ha delle aspirazioni di povertà, è lo Spirito di Dio che gliele ispira.
36 LO SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
I - Dono del Timore e povertà ispirata dallo Spirito
Ricordiamoci che il dono del Timore non è il dono del
timore servile, che per molti è un dono di Dio, ma che si trova nei
peccatori. Il dono dello Spirito Santo, al contrario, non si incontra che
nelle anime che già amano Dio; ha per effetto di avvicinarci a Dio come a
un Padre e, per timore di essere separati da Lui, di gettarci nelle Sue
braccia affinchè faccia di noi ciò che vorrà.
La prima cosa che farà lo Spirito Santo, sarà di
premunirci contro il solo ostacolo, sulla terra, che possa farci
abbandonare la volontà divina, ossia la nostra volontà peccatrice, il
nostro amore al peccato. Ora l'amore al peccato si nutre di oggetti senza
cui non può vivere: il mondo, le passioni gli forniscono le ricchezze con
le quali esso conserva la sua vita. Quale è questo alimento? San Giovanni
dice: «Tutto ciò che è sulla terra è concupiscenza degli occhi,
concupiscenza dello spirito, concupiscenza della carne » (I Giov., 2,
16). Vi sono sulla terra, nel mondo, - questo mondo che Nostro Signore
detesta -, degli oggetti che ci attirano e che favoriscono la
concupiscenza della carne con le tentazioni inferiori, la concupiscenza
degli occhi, coi beni di questo mondo, la concupi-
BEATITUDINE DELLA POVERTÀ' 37
scenza dello spirito con 1 orgoglio, l'indipendenza. Nel
mondo non c'è altro, ed ecco perché Nostro Signore 1 ha odiato, insieme
a queste tré attrazioni che tendono a sottrarre al regno di Dio, per
farci peccare, i nostri desideri, le nostre aspirazioni, la nostra
volontà.
L'ispirazione del Timore di Dio ci arma contro la nostra
volontà peccatrice, contro queste tré concupiscenze rivolte verso i beni
del mondo, distacco dalla carne, distacco dall'indipendenza immoderata,
distacco dalle ricchezze. Ora, tutto questo è lo spirito di povertà. Il
movimento di odio della nostra volontà peccatrice, di avversione per
tutti i beni di cui si mitre, ispirateci dal/timore perfetto, si traduce
con un sentimento, una volontà di impoverimento nei confronti di tutti
questi beni. .
Che differenza con lo spirito del mondo il quale, in una
ricerca sfrenata, si precipita sui piaceri, gli onori, l'indipendenza, la
fortuna! Lo Spirito di Dio è proprio la tendenza opposta. San Paolo dice:
« Ciò che dal punto di vista umano era per me un guadagno l'ho
considerato come immondizia (Filipp., 3, 8). E lo spirito di Timore che
produce in ava tale rovesciamento; l'oggetto dei nostri desideri
carnali ci viene in orrore; ce ne allontaniamo per il timore che,
accettandolo,
38 LO SPIRITO SANT.O N'ELICA VITA CRISTIANA
pur in modesta misura, esso possa attrarci e separarci in
tal modo da Dio nostro Padre, per il timore della giustizia che ci
aspetta, e perché non abbiamo altro rifugio che Lui, altra sicurezza che
questo spirito di povertà che Egli ci ispira nei confronti di tutto ciò
che potrebbe nutrire la nostra volontà peccatrice.
In tal modo il dono del Timore si collega alla beatitudine
dei poveri di spirito.
II -. Il
movimento essenziale del dono del fimore
Cè un episodio che rappresenta bene ciò che lo Spirito
Santo mormora in fondo all'anima, quando ispira questo sentimento, questo
desiderio di povertà verso tutto ciò che forma l'oggetto della
concupiscenza umana. Lo troviamo nella vita di S. Benedetto Giuseppe Labre,
vita più da ammirare che da imitare e che non è quella di un uomo in
comunità. Questo santo aveva un culto, una passione per la povertà.
Ora, quando mendicava e gli veniva dato qualcosa (nel momento in cui
veniva servito), diceva: «Poco, poco», temendo sempre di ricevere troppo
e di fare delle riserve. Allorquando questo servitore di Dio fu in punto
di morte, mormorò qualcosa; piegati su di lui per
BEATITUDINE DELLA POVERTÀ'
39
udire ciò che diceva, si intesero ancora queste parole:
«Poco, poco».
Questa è la paroletta che lo Spirito Santo ci mormora di
fronte alla concupiscenza del mondo. Poco! Ciò che è necessario basta:
non c'è bisogno d'altro. San Paolo diceva in tal senso: « Se abbiamo di
che nutrirci siamo paghi» (I Tim., 6, 8). La regola di S. Agostino vuole
che ci studiamo di diminuire i nostri bisogni piuttosto che aumentare le
nostre entrate, stimandoci in tal modo più felici. E' sempre, pur sotto
tutte queste forme, la stessa ispirazione di Dio che, con tocchi divini,
muove l'anima a desiderare il distacco dai beni del mondo. « Egli ci
ispira la noncuranza per tutte le creature, affinchè il Creatore possa
essere trovato », dice ^Imitazione. E questo si ricollega a ciò
che dice S. Agostino: «Tutte le volte che diminuisce in noi la
concupiscenza, cresce l'amor di Dio » (S. Agostino, De doctrina
Christiana, III, Cap. 10; Liber de diversis quaestìonìbus,
83, Q. XXXVI). L'amore di Dio regnerà pienamente quando la concupiscenza
sarà nulla.
Bisogna, però, che questo movimento di distacco, di
impoverimento provenga dall'ispirazione dello Spirito Santo, non dalla
ragione orgogliosa;;
questp fu il caso di Diogene che, vedendo un giornomun
uomo bere nelle mani, spezzò il bic-
40 LO SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
chiere che aveva conservato come indispensabile,
giudicandolo ormai inutile: quest'uomo aveva posto l'orgoglio nel suo
impoverimento. Noi, invece, dobbiamo allontanarci dal peccato e da ogni
sua sorgente mossi dall'amor di Dio e dalla divina ispirazione dello
Spirito di Timore. Siamo i figli dello Spirito di Timore ed abbiamo in Lui
un aiuto nei nostri combattimenti.
Ili - La
povertà delle aspirazioni, ausilio dello stato religioso
La lotta contro le tré concupiscenze forma la base dello
stato religioso, il quale non è altro che 1 amore eminente per Dio che
non solo ci fa astenere da ciò che è ad Esso contrario, il peccato, ma
arriva a farci sacrificare persino ciò che è permesso e perfettamente
legittimo. Esso vien reso stabile per mezzo dei yotì: voti d'obbedienza,
di povertà, di castità; impegni da noi presi solennemente per sempre, di
rinunciare alle tré concupiscenze: indipendenza della volontà, beni del
mondo e piacere. In tal modo, eoi 'distacco da queste cose, con la
promessa e la pratica quotidiana, arriviamo a dominare le concupiscenze e
a
BEATITUDINE DELLÀ-'PÓVESTA'
41
svincolare l'amore superiore di Dio, in modo da progredire
sempe in questo amore.
Lo Spirito di Timore, nella misura in cui ci ispira questo
desiderio di impoverimento, è identico allo spirito dello stato
religioso. Si tratta dello stesso spirito sotto due forme. Se lo Spirito
Santo solo ci ispira questo impoverimento, è semplicemente la buona vita
cristiana; se inoltre adoperiamo la disciplina, l'organismo della vita
religiosa, ciò è un mezzo in più, ma il fine è sempre lo stesso. Ciò
che lo spirito religioso ricerca, è ciò che ispira lo Spirito di Timore.
Sotto l'influenza del dono del Timore, ci ritroviamo
dunque, nella grigia vita quotidiana, a compiere quei differenti esercizi
e quei sacrifici a cui siamo obbligati per praticare i voti e diminuire in
noi l'attrazione degli oggetti di concupiscenza. La materia dei nostri
atti è la stessa, soltanto lo spirito differisce. Invece di lottare
contro i particolari per acquistare lo spirito di distacco nei confronti
degli oggetti cui siamo attaccati, per reprimere i nostri pensieri di
orgoglio, il nostro spirito d indipendenza, invece di cercare di ridurre
le difficoltà ad una ad una, riceviamo lo Spirito di Dio, il quale,
fondato su un amore più grande, ci ispira un distacco generale. Egli ci
mor-
42 LO SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
mora questa parola: poco, poco in qualsiasi cosa. Se si
tratta di indipendenza: poco; se di attaccamento agli agi, alle cose
facili: poco; se di concupiscenza del cuore, di affetto umano: poco...: In
tutti i campi: poco. Ci istruisce sull'insieme, non sul dettaglio. Egli ci
spinge con un'insistenza onnipotente, e se Gli concediamo di entrare,
andremo sino all'estremo limite della perfezione. Il Suo tocco differisce
dal lavoro di minatore che siamo obbligati a fare noi stessi abitualmente;
distaccare ogni giorno, blocco per blocco, nell'oscurità della fede, per
dovere, tutto ciò che si oppone all'unione divina. Questo lavoro tuttavia
è eccellente e necessario, perché lo Spirito Santo non è obbligato ad
agire sempre in noi per mezzo dei doni. Se 1 anima, però, vive nella Sua
atmosfera, amando sempre più, abbandonandosi a Lui sempre più, ella
diverrà anche più docile, sentirà un desiderio generale e possente di
impoverimento, e giungerà in tal modo ai piccoli distacchi della vita
religiosa.
Tutti i grandi santi vi sono arrivati. Allorché S.
Domenico vedeva i cibi dei suoi fratelli, a suo parere troppo saporiti
(forti), i conventi troppo confortevoli, il suo cuore ne era fortemente
afflitto. In occasione di un Capitolo, egli avrebbe voluto che
l'amministrazione dei beni fosse lasciata ai
BEATITUDINE DELLA POVERTÀ' 43
fratelli conversi, per favorire lo spogliamento. Dopo la
stesura delle costituzioni, chiese ai suoi fratelli di accettare le
proprie dimissioni, non voleva essere a capo: ciò lo preoccupava. Per lui
' poco ', voleva dire lasciare tutto, per andare presso i Cu-mani, in capo
al mondo.
San Francesco d'Assisi è il tipo dell amante della
povertà. Egli era veramente il povero del Buon Dio, lavorato dallo
Spirito di povertà; una specie di violento soffio, partendo dal fondo
dell'anima, lo accompagnava sempre; volle per sé e per i suoi un distacco
sempre maggiore da ogni cosa: poveri nel cibo, nell'abito, nella dimora,
ridotti a mendicare. Non volle aver rapporto con tutto ciò che forma
l'oggetto della concupiscenza.
Da notare, che non si tratta qui di povertà sotto forma
di virtù, per la quale si fanno dei sacrifici: questa forma è
eccellente. Qui si tratta invece, della povertà che viene dallo Spirito
Santo; è come un soffio che consuma, che muove il cuore al distacco.
Nostro Signore ne è il modello; ci predica la povertà
sotto tutte le forme: «Colui che vuoi venire dietro di Me, rinunci a se
stesso, venda tutti i suoi beni... e mi segua » (Marco, 8, 34; 10, 21).
Egli vuole inculcarci questo spirito fondamentale. lo spirito di Timore ce
lo fa ritrovare, ce lo comu-
44
LO SPIRITO SANTO ffELLA VITA CRISTIANA
nica come conseguenza dell'amore. Lo spirito di totale
povertà vuole che, pur conservando ciò che è necessario per svolgere la
nostra opera, non vi sdamo attaccati e sappiamo spogliarci del resto.
IV -
Pratica.
Consideriamo alcuni doveri che sono la conseguenza di
questo spirito di povertà.
1-1 beni materiali. - Non c'è materia abbondante per
lo spirito di proprietà, in una comunità. Tuttavia, anche nelle:
comunità meglio dirette, vi sono talvolta delle riprese sui beni
posseduti:
non si tratta di cose considerevoli, ma non sono state
rimesse nelle mani dei superiori, non sono stati chiesti i permessi
necessari. Certo, non era granché quel pezzo di stoffa che un religioso
di S. Bernardo aveva conservato per rattoppare il suo abito; tuttavia, il
santo fece venire questo religio--so in mezzo alla comunità a Citeaux, e
gli inflis-se una correzione formidabile. S. Bernardo non era crudele, ma
aveva questo spirito di povertà che è l'essenza del Vangelo; egli diceva
a se stesso:
« Se cedo, saremo disorientati ; Cristo ha detto di
essere poveri, noi abbiamo accettato questo, per
BEATITUDINE DELLA POVERTÀ' 45
mezzo dei voti, e tale fatto è un vero scandalo». E' un
esempio questo, e gli esempi sono preziosi in quanto mettono le cose al
loro massimo di intensità..
In materia di povertà, non bisogna quindi possedere
niente, se non col permesso. Bisogna anche, nei confronti delle cose
possedute, essere distaccati. Quindi se vi sono delle intrusioni, degli
accaparramenti, se ci prendono ciò che è di nostro uso, non dobbiamo
lasciarci dominare dall indignazione, mancare di carità, conservare
pensieri amari, come succede talvolta, quando ci vengono tolti i nostri
poveri piccoli beni di questo mondo che ci vengono lasciati.
II - Gli onori e le distinzioni. - Nella vita
religiosa sono rare le occasioni di innalzarsi agli onori e alle
distinzioni, e i superiori stessi sono avvertiti dalla regola che non sono
dei padroni, ma piuttosto dei padri che devono essere felici di mettersi
al servizio degli altri. Tuttavia, possono nascere qualche volta dei
sentimenti di vanità, di desiderio di brillare. Innanzi tutto interni:
cerchiamo di rialzarci ai nostri occhi, talvolta abbassando gli altri.
Inoltre, vogliamo affermare le nostre capacità anche all'esterno, con
l'assolutismo dei nostri giudizi, dei nostri apprezzamenti. Ecco la no-
46 LO SPÌRITO SANTO^NELLA VITA : CRISTIANA
stra natura, noi siamo delle creature umane e non degli
angeli. Dall altra parte però, lo Spirito Santo mormora la parola
dell'Imitazione: «Ama di essere sconosciuto e considerato niente».-Esso
è, sotto un'altra forma, il pensiero stesso del beato Labre: Poco. Poco
onore, poca stima, anche dal punto di vista del valore del nostro
giudizio, per non dare un alimento alla concupiscenza e alla nostra
volontà peccatrice e metterci in tal modo nel pericolo di iniziare una
separazione da Dio. Tale è l'oggetto del dono del Timore. Più ci
distaccheremo, più saremo certi di non separarci da Dio. Lui solo conta;
non dobbiamo alimentare la concupiscenza dell'orgoglio.
Ili - L'obbedienzd. - Non siamo fatti per obbedire,
ma per comandare secondo il grado che ci è proprio, sotto il governo di
Dio, al quale solo dobbiamo, in definitiva, obbedienza. Tuttavia, non
abbiamo voluto conservare la padronanza (personale) dei nostriatti;
abbiamo visto che in questa padronanza vi era un'insidia, e che fidandoci
del nostro giudizio per condurci, noi ci saremmo mal condotti : abbiamo
fatto, coi voti, l'abdicazione della nostra libertà, non ci apparteniamo
più nei confronti di tutto ciò che ci impone la Regola, e nei confronti
della base stessa della nostra vita.
BEATITUDINE DELLA POVERTÀ' 47
Potremo ancora cambiare qualche piccolezza nei dettagli
che non sono previsti dalla Regola. Ma in quanto all'essenza, tutto è
previsto; il superiore può esigere dalla nostra volontà tutte le
rinunce. Se avessimo lo spirito di povertà, andremmo noi stessi incontro
a tali rinunce, non vi sarebbe più bisogno dell ordine dei superiori per
indurci a compierle: cercheremmo sempre più la sottomissione, la
dipendenza sotto ogni forma. Seguendo le ispirazioni dello Spirito Santo,
saremmo portati a fare, dal punto di vista dell'obbedienza, piuttosto di
più che di meno, pur con le dovute riserve dettate dalla prudenza... Le
ispirazioni dello Spirito Santo non vanno contro le leggi sicure della
prudenza, allo stesso modo che non vanno contro la obbedienza o contro la
Regola. E' lo Spirito Santo che ci ha dato la Regola, che ci ha dato la
prudenza; Egli non ci può indurre a distaccarci <la essa. Ciò si
applica ad ogni materia, ma è soprattutto in materia di povertà che si
potrebbe essere portati ad essere imprudenti.
IV - Gli affetti umani - Infine, non dobbiamo dare
libero corso ai pensieri d affetto, alla nostalgia degli affetti umani. E'
la povertà di cuore che ci mette al di sopra dei loro richiami, e di
quelli più inferiori che ci possono venire attraverso i sen-
48 LO SPIRITO santo NELLA
.VITA CRISTIANA
si... L'anima penitente si allontana dalle cose dolci per
compiacersi nelle amare, per amor di Dio e per non essere mai separata da
Lui.
Questo spirito di povertà è racchiuso nel concetto di
poco, è come il grano di senapa del Vangelo. Nel fondo di noi stessi,
mormora solamente questa paroletta: poco. Ma questa paroletta è
po-tentissima. Per essa siamo premuniti contro ogni concupiscenza, prima
che 1 occasione si presenti, e se questa si presenta, ci troviamo
preparati a respingerla... Questo Spirito è, nel nostro intimo,; c.q-me
una intuizione, una sensibilità che ci rende avvertiti delle occasioni
che possono alimentare la nostra volontà peccatrice, accrescere la
concupiscenza e correre il rischio di separarci da Dio, e ce ne allontana
prontamente facendoci dire: poco, il meno possibile... Tutto ciò,
tuttavia, senza e-sagerazione, secondo la via comune, la maniera virtuosa
che è praticata attorno a noi. Tale è lo Spirito di Dio, il dono del
Timore.
Le anime che, nella vita religiosa soprattutto, sono molto
sensibili agli impulsi di questo Spirito e che, per conseguenza, cercano
sempre il meno piuttosto che il più in tutti i campi temporali, a-vranno
una grande ricompensa. « Beati i poveri di spirito, perché di questi è
il regno dei cicli ». Queste anime non debbono fare altro che
perseverare,
BEATITUDINE DELLA POVERTÀ'
49
esse sono già nella via giusta e infallibile; le
ricchezze del ciclo appartengono già a loro, anche se non le posseggono
ancor definitivamente. Tali anime hanno accettato lo spirito di
impoverimento, lo hanno conservato ed hanno detto: «Io considero tutto il
creato come immondizia, non voglio più avere rapporti con le ricchezze
inferiori » ; tutto il loro tesoro è in Dio, esse posseggono il regno
dei cicli! Ciò è, indubbiamente, solo un inizio, un dono intcriore. Ma
lo Spirito Santo che già opera in esse, non le abbandonerà e, con altre
ispirazioni, facendole salire di perfezione in perfezione, le condurrà
fino al possesso definitivo del regno dei cicli, la cui certa speranza è
racchiusa nella povertà secondo lo spirito.
CAPITOLO TERZO IL DONO DELLA FORTEZZA
« Che Dio vi conceda, mediante la possanza dello
Spirito Santo, di essere fortificati nell'uomo inferiore^ (Efesi 3,
16).
Eccoci nelle mani di Dio grazie al dono del Timore.
Egli ci ha ispirati a rifugiarci in Lui, per poter essere docili strumenti
nelle Sue mani. A-desso potrà fare di noi, sua opera, qualcosa; potrà
farci salire attraverso i gradi della vita intcriore sino alla vita
eterna.
Quando si ha bene in mano uno strumento, si inizia il
lavoro, e la qualità di questo inizio è la forza, il vigore. E'
naturale, quindi, che sia il dono della Fortezza ad essere utilizzato dopo
quello del Timore, per compiere coraggiosamente, mediante lo Spirito
Santo, il nostro dovere, difenderci contro gli ostacoli ed aprirci un
cammino sino al compimento della vita eterna.
52 LO SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
I - La virtù della
fortezza
La Fortezza è una virtù di altissima importanza nella
vita cristiana. D'altronde, essa è importante per tutto. Non basta,
quindi, avere pensieri elevatissimi, desideri ferventi, se non sono
sostenuti da una forte volontà. Nostro Signore ce lo ha detto. Quando
Egli fa l'elogio del Precursore, resta come in ammirazione dinanzi a lui e
dice:
« Che siete andati a vedere nel deserto ? Una canna
agitata dal vento ? » Ma che vi è di comune tra una fragile canna e
colui che tuonava con voce forte nel deserto ? No, Giovanni Battista e- un
forte.
Egli stesso, il Signore, pronunciando il discorso sulla
montagna, « parlava, dice il Vangelo, come colui che tiene autorità e
non come gli scribi e i farisei» (Matt. 7, 29). Gesù fu un forte. Forte
nella Sua agonia per sopportarla e, dominando la tristezza, aderire alla
volontà del Padre suo. Egli ha camminato, conservandosi forte dinanzi a
Pila-to, ad Erode, alla folla in delirio. E all'ultimo istante, compiuta
la Sua missione, non ha forse detto, rendendo la Sua anima al Padre in un
atto supremo di padronanza di Sé: «Nelle tue mani rimetto il mio spirito
»?
IL DONO DELLA FORTEZZA 53
Nostro Signore possedeva la sorgente della fortezza; ma
noi possiamo imitarLo a modo nostro. Egli amava elogiare la fortezza: «
Quando un uomo forte e ben armato fa la guardia alla casa, tutto è in
pace». (Luca 11, 21) E' questa l'immagine del giusto che possiede la
virtù della fortezza;
egli difende la sua casa, è forte, tutto ciò che
possiede è al sicuro; non vi sono tentazioni, imboscate serie o
pericolose contro un uomo ben armato. Per contrasto, noi vediamo Nostro
Signore giudicare la debolezza. Indicando il debole, colui che non
è così ben armato: « Che il rè rifletta. Egli dice, se con cinquemila
uomini può affrontarne ventimila; altrimenti domandi la pace» (Le. 16,
31). Quando si tratta della nostra vita intcriore, chiedere la pace
significa arrendersi.
La fortezza è dunque necessaria. E quand essa è al
servizio della verità, del diritto, della volontà di fare il bene, non
c'è più grande creatrice di lavoro, ne più grande protettrice delle
opere già compiute. Bisogna essere forti per creare un'opera e per
difenderla.
Per questo, lo Spirito Santo, fra i doni che ci elargisce
con la grazia, ha messo in. noi la virtù della fortezza. La fortezza può
essere una virtù umana, acquistata attraverso gli atti ripetuti di coloro
che combattono e si sforzano di condurre
54 LO SPIRITO SANTO.NELLA VITA CRISTIANA
una vita onesta, di compiere le opere che li sollecitano.
Questa virtù deve essere ben più grande quando si tratta di compiere,
con mezzi umani, con una volontà e un'intelligenza umane, con passioni
umane, l'opera così alta della nostra salvezza che incontra tanti
pericoli. Affinchè, dunque, il figlio di Dio non sia, quando raggiungerà
l'uso di ragione, in balia degli ostacoli che potranno bersagliarlo. Dio
gli ha dato nel battesimo, insieme alla grazia santificante, la virtù
della fortezza;
questa si trova in lui già formata, egli dovrà solo
farla crescere. Il cristiano è un forte, ha la virtù della fortezza,
può lavorare, lottare. Ed è bene aver là convinzione che se siamo
deboli, se non facciamo tutto il possibile per compiere il dovere, è
perché non abbiamo utilizzato questa risorsa messa in noi da Dio. •
II - II
coraggio cristiano
Lo Spirito Santo ci ha dato la fortezza soprannaturale che
ci è necessaria. Dobbiamo, dunque, ingrandire i nostri desideri
all'altezza della predestinazione divina. Anche la più piccola, la più
modesta delle anime cristiane è chiamata ad un destino altissimo: essa
deve divenire un'eletta, una
IL DONO DELLA FORTEZZA 55
santa del ciclo, tale è il fine voluto per lei da Dio.
Egli ci ha destinati, dice S. Paolo, nel Cristo Gesù Nostro Signore,
affinchè siamo santi e immacolati (Efes., 1, 4). '
Non ci vogliono pusillanimi, piccoli, che si accontentano
di poco, che si fanno la loro piccola vita, nella grande vita cristiana.
Ci vogliono anime all'altezza del fine, anime vigorose che non
indietreggino, che non siano esitanti, che diano tutto, dicendo: devo
arrivare al ciclo, la mia vita è una preparazione al livello della vita
eterna. Ci vogliono anime magnanime! La «magnanimità», la grandezza d
anima, è la prima manifestazione della virtù della fortezza in un cuore
cristiano;
siamo di queste anime. Osserviamo il furore degli uomini
per arrivare al primo posto: è questa l'ambizione, ^sempre piccola
perché il suo fine è sulla terra. Dobbiamo spostarla, porre i nostri
progetti all'altezza del fine stabilito da Dio.
Non è ancora tutto, però. Quando i nostri desideri sono
all'altezza, bisogna por mano all'opera affinchè ogni giorno le attività
nostre siano pure all'altezza. E' l'opera della virtù, virtù che
progredisce. Per compiere i nostri doveri di cristiani e quelli della
nostra vita religiosa, bisogna affrontarli vigorosamente. Questo nuovo
compito della fortezza si chiama «coraggio cristiano».
56 LO SPIRITÒ SANTO NELLA
VITA. CRISTIANA
. Per non lasciarci scoraggiare dinanzi ad un dovere,
ma per affrontarlo, iniziarlo e portarlo a compimento con vigore, ci vuole
un'anima coraggiosa. Per compiere il proprio dovere di cristiano ed
attendere ad ogni cosa nel modo che la coscienza ci suggerisce, ci vuole
una grande virtù. Le o-pere si fanno col coraggio, e non c'è opera che
non sia frutto di un coraggio che si è prodigato senza riserve.
Per noi, il dovere si presenta sotto una forma austera,
difficile a lungo andare, quella della regolarità. Abbiamo una regola che
traccia i nostri doveri, quelli della nostra vita intcriore, della nostra
vita di comunità, della nostra vita di apostolato, dei nostri differenti
incarichi. Siamo, così, di fronte ad una moltitudine di doveri
catalogati, e, ad ogni istante, senza tregua, ci troviamo in presenza di
un esercizio da compiere. Non e è niente che richieda più coraggio di
questo esercizio della regolarità. Colui che vi è fedele può veramente
dire a se stesso: Ho compiuto il mio dovere. Questa coscienza del dovere
compiuto è la ricompensa delle anime coraggiose. Non bisogna pertanto
insistere eccessivamente: volere, per esempio, con una salute debole,
adempiere delle pesanti mansioni. Bisogna tener conto delle possibilità e
chiedere permessi che limitino certi doveri. Ma pur
IL DONO DELLA FORTEZZA 57
con le dispense e le impossibilità, ci rimane sempre
abbastanza. Noi non possiamo, senza essere coraggiosissimi, tendere al
nostro sublime fine nella maniera dovuta. Praticare questa regolarità
senza negligenze, senza infedeltà nelle piccole cose, mette veramente
alla prova; ma questo ci santifica, perché alla radice di tali sforzi vi
è l'amore' di Dio;
senza di esso non saremmo coraggiosi. Così, tutti i
nostri atti hanno un merito eccellente grazie a questo coraggio.
Vi è un altro aspetto del coraggio cristiano che è più
ingrato, più difficile, più meritorio anche del primo, benché sembri
fare meno. Abbiamo visto che ci vuole coraggio per lavorare; ma alla fine
si può anche vedere la riuscita, il successo del proprio operare. Quando
si soffre, però, non si vede niente. Non si tratta più di intraprendere
con vigore, bensì di « sopportare » il dolore fisito che ci impedisce
di prodigarci nelle attività che ci stanno più a cuore ; sopportare le
pene dello spirito, causate da oscurità della fede, o da scrupoli,
stanchezza, noia, depressione, pene che Nostro Signore ha provato nella
sua agonia, quando diceva: « La mia anima è triste sino alla morte ».
Le pene del cuore, che- talvolta ci riempiono di angoscia, per quelli che
amiamo, per le persone care che abbiamo lasciate... La nostra vita è
colma di ogni sorta di do-
58 LO SPIRITO .SANTO-NSLLA VITA cristiana
lori. Pene causate dai nostri peccati, dalle nostre
infermità, dalle persone che ci sono attorno che giustamente o
ingiustamente ci danno incomodo. Ostacoli esterni si alzano contro di noi,
i nostri nemici trionfano. La nostra anima è oppressa. Ci vengono tese
insidie per trascinarci verso il male o verso un minor bene. E' necessario
il coraggio per sopportare, per resistere, per tener duro, per « dominare
» la propria anima, affinchè rimanga tranquilla sotto lo sguardo di Dio,
per «possederla » come dice Nostro Signore : « Nella sofferenza,
possederete le anime vostre » (Luca 21, 19). Andare sino in fondo, senza
debolezza, facendo la volontà di Dio e meritare così la vita eterna, è
l'opera della fortezza.
Infine dobbiamo avere delle grandi vedute e usare il
coraggio per lavorare e sopportare, non soltanto per un istante, ma per
tutta una vita, minuto per minuto. E la vita continua, e gli ostacoli si
rinnovano. Un'altra virtù deve coronare la fortezza: « la perseveranza
», virtù che non si stanca, che rinnova sempre l'impulso ad agire.
Lo Spirito Santo ci da il germe di questa fortezza nel
battesimo, insieme alla grazia santificante ed in essa. Con questa energia
che procede dall a-more di Dio e con l'amore di Dio, possiamo arrivare
sino al martirio, l'atto supremo che si possa
IL DONO DELLA FORTEZZA 59
compiere nella vita umana: lasciarci trafiggere, bruciare,
strappare le membra senza mormorare, tenendo il proprio cuore fisso al
ciclo.
Ili • Necessita del
dono della Fortezza
Precisamente, l'altezza del fine e quella certa
delicatezza che deve avere la nostra fortezza per riuscire sono, per
l'anima, una sorgente di difficoltà, una occasione di debolezza. Sappiamo
che la grazia è onnipotente e che non ci manca mai; ma non siamo ancora
confermati in essa come lo saremo in ciclo: finora la grazia è così
esposta in noi alle debolezze, che possiamo perderla. I pericoli sono
così grandi, il compito sì alto, c'è ragione di temere, se vogliamo
conservare « da soli», pur con tè energie divine della virtù della
fortezza, la dirczione della nostra vita. Ci rendiamo profondamente conto
di questo, quando dopo una luce ricevuta, una buona confessione, un
ritiro, ci siamo proposti una cosa precisa che richiedeva coraggio:
ci siamo messi all'opera dopo aver chiesto l'aiuto divino,
e non siamo riusciti. Era necessario qualche cosa di più, un aiuto ancor
più divino.
Lo Spirito Santo ha pietà della nostra debolezza; non
vuole lasciarci soli padroni dell energia
50 LO SPIRITO SANTO NELLA
VITA CRISTIANA
che ci da: la completa con un «dono». Il dono della
Fortezza viene in aiuto alla nostra virtù della fortezza. Il dono non
è più fondato su energie da noi possedute in maniera permanente e che
possiamo usare o non usare, — benché spetti a noi il tendere la nostra
vela, — ma viene dallo Spirito Santo, e quando lo Spirito Santo
s'impadronisce di noi, noi siamo irresistibilmente mossi, e non siamo più
soggetti agli alea e ai vacillamenti del nostro governo personale.
IV - Effetti del dono della Fortezza
E' il contrasto che vediamo negli Apostoli prima e dopo la
venuta dello Spirito Santo. Se si volesse dipingere gli esseri più
paurosi, più codardi, più timidi del mondo, non avremmo che da guardare
gli Apostoli nel Vangelo: essi hanno paura di tutto. Pietro da l'illusione
di essere forte, ma è solo impulsivo: sfodera la spada, taglia l'orecchio
di un soldato. Eccolo il suo coraggio! Poco dopo, fugge davanti ad
un'ancella. Non è presente alla crocifissione; «egli seguiva da molto
lontano» è detto di lui (Marco 14, 54). Tutti gli Apostoli fuggirono;
e tuttavia ci è lecito pensare che essi avevano la grazia
divina, la virtù della fortezza, la carità.
IL DONO DELLA FORTEZZA Q\
'Nostro Signore li chiamava amici, ma non avevano ricevuto
lo Spirito Santo. RicevutoLo, li ritroviamo pieni di coraggio. Questi
barcaioli che non sapevano ne parlare ne comportarsi, sono adesso di
fronte ai potenti, agli stranieri e non ne sono turbati: essi parlano con
sicurezza in mezzo ad una folla di uomini che facilmente dominano e
convincono. Pietro che ha tremato davanti a una ancella, non teme più
neanche il gran-sacerdotc :
« Non possiamo fare a meno di dire ciò che abbiamo visto
e inteso», egli dice (Atti 4, 20). E ancora:
« E meglio obbedire a Dio che agli uomini » (Atti 5,
29). Che differenza tra la virtù con le sue incertezze e difficoltà, e
il dono che comunica tale slancio! Lo Spirito Santo si è impadronito
degli Apostoli e ne ha fatto dei leoni. Egli li ha guidati per tutta la
vita. Scendendo su di essi come su San Paolo, ci ha ottenuto la grande
opera dell'espansione del cristianesimo, cosa per cui noi siamo salvi.
Essi hanno dato la vita per questo, ma il loro sangue fu seme di
cristiani.
Possiamo tutto sperare quando si vede questa
trasformazione. Il principio della fortezza dello Spirito Santo è
l'onnipotenza di Dio. Diciamo:
« Patrem omnipotentem », ma il Figlio pure lo è, così
come lo Spirito Santo che comunica la Sua onnipotenza all'anima nel dono
della Fortezza.
52 LO SPIRITÒ SANTO NELLA VITA CRISTIANA
V - Caratteri del dono della Fortezza
I. Efficacia. - La stessa potenza che ha
risuscitato Nostro Signore è a disposizione dello Spirito Santo per farci
risuscitare dai morti. Non si può essere più basso di un morto: che c'è
di più inerte, di più impotente di un cadavere? Nostro Signore è
diventato questo cadavere, e la potenza di Dio l'ha risuscitato! Questa
risurrezione fu la grande devozione di San Paolo. Quand'egli si sentiva
debole, al pensiero che di un morto. Dio aveva fatto il vivente che è il
Cristo risuscitato, riprendeva coraggio, mettendo la sua fiducia in questa
fortezza con la quale non c'è niente che non possiamo fare. Questa
potenza, questa fortezza che ha risuscitato Nostro Signore dai morti, lo
Spirito Santo la mette a nostra disposizione. E l'Apostolo, forte di ciò,
proclamava la risurrezione dei corpi, ma anche quella delle anime che
lasciano i peccati e le infermità; è la soppressione di ogni impotenza
nella vita cristiana. Lo Spirito vive sempre per farci passare dalla morte
alla vita e farci salire malgrado le .nostre debolezze.
II. Certezza dì vìncere. - Che avviene col dono
della Fortezza, sotto l'onnipotenza di Dio che lo Spirito Santo ci
comunica ? Quando le anime han-
IL DONO DELLA FORTEZZA '^3
no chiesto la fortezza di Dio e viene loro concessa, esse
hanno una fiducia assoluta che domina ogni situazione, ogni difficoltà:
la certezza di sfuggire a tutti i pericoli, di compiere qualsiasi opera
che si presenterà ad esse come un dovere facente parte della loro
predestinazione. Non vi è nulla che non possiamo fare, quando la Fortezza
dello Spirito Santo è con noi. San Pàolo diceva: « Son certo che ne la
morte, ne la vita, ne le cose presenti, ne le future, ne ciò che è in
alto o in basso..., assolutamente niente può separarmi dall'amore di Dio
che ho nel Cristo Gesù » (Rom., 8, 39). Egli aveva questa fiducia
assoluta nella fortezza di Dio che era con lui per superare tutti gli
ostacoli ed essere alla altezza di tutti i suoi compiti. Lui, così umile
che si riconosceva così miserabile, aggiungeva « posso tutto in Colui
che mi fortifica » (Filip. 4, 13).
Questo perché col dono di Fortezza non agiamo più solo
come padroni e guide della nostra vita, ma come strumenti dell'onnipotenza
dello Spirito Santo. Vi sono delle anime le quali irradiano questa fiducia
dominatrice. Una di queste è Santa Giovanna d'Arco, che è l'incarnazione
del dono della Fortezza. Che debba attaccare o sopportare, ella non è
titubante, va, domina tutto. La sua carriera si svolge tra lotte e
processi; ella però non si lascia turbare da nessuna cosa, è certa di
sfuggire al peri-
54 LO SPIRITO SANTQ NELLA
VITA CRISTIANA
colo, si lancia nella mischia; dona se stessa sino al
punto di morire e all'ultimo istante afferra la croce e dice ancora:
«Gesù».
III. Attività vittoriosa. - Quando siamo così
sotto l'azione dello Spirito Santo, ne segue che l'attività nostra, nei
confronti del dovere e della sofferenza, diventa un'attività vittoriosa.
L anima esposta allinfluenza dello Spirito di Fortezza
s'avanza nella vita dominando tutto: con la virtù, essa si lasciava
ancora abbattere, col dono compie invincibilmene il suo compito, sopporta
la regolarità, supera gli ostacoli, domina la sofferenza; essa ha
un'impressione di vigore, unita alla certezza che niente la potrà
fermare. Essa può ancora avere delle mediocrità, delle debolezze, delle
lacune; trovandosi in una carne mortale, non può ancora realizzare
perfettamente la santità, ma essa è abitualmente calma, sicura, decisa,
la sua vita è un seguito di vittorie. Tutto questo essa non lo ha attinto
dalla sua forza umana, ma, dalla sua docilità allo Spirito Santo; essa
confida nella forza dello Spirito divino, perché non ha fiducia in se
stessa, sapendo che nonostante qualche buona velleità, non può condurre
niente a buon fine. Essa dice con S. Paolo che « ciò che è debo-
IL DONO DELLA FORTEZZA 55
lezza di Dio è più forte di tutti gli uomini » (Cor.
1, 25), ed essa è pronta a compiere il suo destino.
Concludiamo. Ci vuole il soffio dello Spirito di Fortezza
per costruire in noi l'uomo inferiore, condurre una vita intcriore vera,
profonda. Chiediamo allo Spirito Santo di compiere quest opera in noi, che
è poi la preparazione dell uomo eterno, e di farci vivere in continuità
con Dio. Ciò avverrà a condizione di essere strumenti, alla maniera del
pennello che l'Artista divino terrà per ritracciare i tratti dell'uomo
intcriore; chiediamoglielo!
O Spirito Santo, dono del Padre e del Figlio, concedici di
essere fortificati da questa fortezza che Ti è propria, affinchè
diveniamo delle anime intcriori, ossia compiamo coi nostri piccoli mezzi
questo capolavoro che si chiama un'anima intcriore .sulla terra, e che
sarà domani, in ciclo, un'anima di santo.
5. - Lo sairito Santo
nella vita cristiana
CAPITOLO QUARTO LA FAME DI GIUSTIZIA
« Beati coloro che hanno fame e sete di
giustizia, perché saranno saziati » (Mat., 5, 6).
Per giustizia, qui, si deve
intendere santità;
pare che sia il significato vero della parola. Non si
tratta infatti della virtù particolare della giustizia, ma di quella
giustizia generale che Dio ci da e che è identica alla giustificazione
mediante la grazia santificante. La santificazione dell anima è con
ragione chiamata giustizia poiché ci mette in regola e ci rende giusti
nei confronti di Dio:
e questa è la santità.
I - Correlazione fra il dono e la beatitudine
Questa beatitudine ci è presentata dai nostri abituali
maestri nell aspetto particolare che è quello di racchiudere l'attività
caratteristica del donò di Fortezza. Di primo acchito non si afferra bene
gg LO SPIRITO
SANTO NELLA VITA CRISTIANA
questa relazione. Consideriamo però, che i forti
ordinariamente hanno un grande appetito. Vi è corrispondenza tra la
potenza necessaria ad un'opera tanto materiale che spirituale, e
l'appetito, il desiderio. Nel campo spirituale, i forti, coloro che
possono fare delle opere, lavorare, hanno un tale appetito, una tale fame,
una tale'sete di spiegare le loro forze! Essi hanno la magnanimità e sono
anime dai grandi desideri. Non è dunque arbitrario questo ravvicinamento
tra gli affamati di santità e i forti secondo lo Spirito Santo.
Tanto più che la Fortezza infusa dallo Spirito Santo
nelle Sue ispirazioni è proporzionata al fine ch'Egli ha in vista. E che
cosa vede? Egli scruta sino in fondo 1 abisso di Dio, ne vede la santità
infinita. E quello l'ideale che avrà per noi. Egli ci spinge all'infinito
della santità. Tale è la perfezione senza lirriiti alla quale l'anima
tende quand'es--sa è spinta dallo Spirito Santo: ella è affamata e
assetata di santità. Ed ecco dove si ricollegano la beatitudine e il dono
di Fortezza.
1,1 - La
fame e la sete di santità in Nostro Signore
Vediamo adesso in che consiste questa fame e sete
di santità, dapprima in Nostro Signore, pòi in noi stessi.
LA FAME DI GIUSTIZIA g9
La fame e la sete sono bisogni « irresistibili »,
violenti, che esigono naturalmente di essere soddisfatti. :' "
La fame e la sete: sonoin più dei bisogni sempre « rinnovante'si
». Quand'essi sono stati soddisfatti, ce ne liberiamo per qualche ora, ma
poi ritornano e vogliono di nuovo essere appagati.
Infine si prova un certo ^piacere » fisico,
naturale a soddisfarli; è il gusto di fare un buon pranzo, di mangiare
del pane quando si ha fame.
Sono questi i tré caratteri della fame e della sete:
queste parole di Nostro Signore non furono dette senza fondamento.
Consideriamo adesso questo bisogno di santità, di
giustizia in Nostro Signore Gesù Cristo che è il modello di noi tutti.
Egli si è servito espressamente di queste due parole,
famfe e sete, per caratterizzare il suo stato d'animo, la fortezza con la
quale si dava alla Sua opera. .
Quando i Suoi discepoli, dopo averlo lasciato presso il
pozzo di Giacobbe, ritornano e lo "solle-, citano a prendere un po'
di cibo. Egli dice: «Io ho mangiato un cibo che voi non conoscete » (Giov.
4, 32), un alimento invisibile, immateriale. Egli poi spiega la natura di
questo cibo: «Mio
70 LO SPIRITO SANTO NELLA VITA, CRISTIANA
cibo è di fare la volontà del Padre mio e di compiere
sino in fondo l'opera Sua » (Giov. 4, 34). Ecco il suo bisogno
irresistibile, sempre rinascente, che soddisfa con piacere ma che lascia
posto a nuovi appetiti. Non c'è parola più forte: la volontà del Padre
suo che è il suo cibo, il suo alimento necessario quotidiano. Egli non ne
ha avuto altro. L'Apostolo ci dice: «Entrando nel mondo. Egli dice:
Eccomi, Padre, per compiere la Tua volontà » (Ebr. 10, 5). E partendo da
questa vita, ripete tré volte: « Non la mia volontà, ma la tua. Padre
» (Mar. 14, 36 e ss.). Cristo non ha fatto un passo senza proporsela, era
di ciò che aveva fame.
In tutto il Vangelo si parla anche del calice di cui
Nostro Signore aveva sete: una prima volta quando Egli annuncia la sua
Passione e morte, rispondendo a Giacomo e Giovanni che chiedono di aver
parte alla Sua gloria: « Potete bere lo stesso calice che berrò ? »
(Mar. 10, 38). Al momento del Suo arresto nel Getsemani Gesù dirà a
Pietro:
«Forse che non berrò il calice che il Padre mio mi
diede?» (Giov. 18, 11). Nella Sua agonia, ritroviamo questo calice, il
calice della volontà del Padre. Durante tale prova, Nostro Signore ha un
primo movimento di' repulsione, di tristezza, di angoscia dinanzi a questo
calice: «Se è possibile, Padre, che questo calice si allontani da me—A
E
LA FAME DI GIUSTIZIA J\
pertanto Egli era venuto per berlo: ma si riprende subito
dicendo: «Non la mia volontà, o Padre, ma la tua » (Mar., 14, 36), e
l'accetta (Mar., 14, 36). Sulla croce. Egli dice questa parola
incomprensibile: «Sitio». Egli ha sete sempre dello stesso
calice. Si crede di accontentarLo dandoGli da bere, ma non vuole quella
bevanda. Accanto al pozzo di Giacobbe, aveva detto Ja stéssa parola:
«Debbo bere un'acqua che voi non conoscete » (Giov., 4). Egli ha sete di
questo calice di amarezza, di sofferenza che deve subire per salvarci. E
quando ha bevuto sino alla feccia, può dire: «Cónsuia-matum est».
Tutto è compiuto. Ho bevuto il calice sino in fondo, non mi resta che
dare la vita.
Nostro Signore aveva fame e sete di questa santità, del
compimento della volontà del Padre, e in special modo di quella che
voleva la sua morte, il suo sacrificio per riparare 1 ingiuria fatta alla
santità di Dio e risantificare l'umanità. Ecco Nostro Signore di fronte
alla fame e alla sete di giustizia, all'urgenza imperiosa di santità, a
questa santificazione attiva delle nostre anime dove Egli ha trovato la
consumazione della sua opera.
Ili - La fame e la sete di
giustizia i» noi
Che dobbiamo fare per avere anche noi fame e sete di
santità?
72 LO SPIRITO SANTO 'NELLA VITA CRISTIANA
Bisogna che questa fame e questa"~setesianò\ in noi
allo stato irresistibile. Se abbiamo dei buoni desideri, un po' di buona
volontà, ma in modo intermittente debole, non raggiungeremo che risultati
modesti, sufficienti forse per salvarsi, per^, condurre una vita religiosa
onorevole, ma non per avere una vita cristiana veramente seria, generosa,
consapevole: una vita religiosa piena, con tutta la profondità e lo
sviluppo che da essa derivano. Lo spirito di Fortezza ci viene in aiuto
ispirandoci la fiducia prodotta dalla comunicazione della sua propria
fortezza, e l'attività dominatrice, che è come qualche cosa del suo
desiderio di santità.
L'Apostolo dice: «La carità, l'amore di Gesù Cristo ci
spinge» (2 Cor., 5, 14). Essa è in noi allo stato di bisogno
violento, non ci lascia tranquilli:
ed abbiamo da fare, per amare Dio al di sopra di tutte le
cose e compiere continuamente con ardore la Sua volontà. E' questo il
sentimento ispirateci dallo Spirito Santo, il quale dandoci la Fortezza,
ci da pure i suoi appetiti.
E' frequente'fra i'santi questo stato di fame della
santità. Possiamo osservarlo in modo notevole in Santa Caterina da Siena.
La sua fame di santità è straordinaria, tanto nella sua vita
contemplativa-che nell'attività! Semplice fanciulla, ella avvicina le
società più disparate e sale persino
LA FAME DI GIUSTIZIA 73
sul patibolo per sostenere un criminale; andrà ad
Avignone e pur in mezzo a queste azioni esteriori, ella persegue nel suo
interno la santità sino alla compiutezza più consumata. Ella avrà il
timore, lo scrupolo perfino, il dolore amaro della minima colpa che potrà
sfuggirle: uno sguardo distolto un'istante su un fratello che passava...
Ella ha sentito il bisogno irresistibile della perfezione assoluta,
perfetta.
Questo bisogno irresistibile deve anche essere in noi
sempre rinascente. Certe anime hanno talvolta di questi nuovi
ardori che le infiammano per qualche tempo. Poi succede che, cambiato il
momento, le circostanze e l'ambiente, esse credono di essere autorizzate a
lasciar spegnere il loro fervore. Non è di tale specie la fame secondo lo
Spirito, ma si rinnova sempre ed è perseverante:
« Facendo il bene non abbiamo debolezze, non stanchiamoci
mai », dice S. Paolo (II Tess., 3, 13). Che nell'intimo siamo lieti o
tristi, che tale o tal'al-tra passione si sollevi, che le influenze
esteriori siano per noi di consolazione o di afflizione, l'anima che
possiede la fortezza dello Spirito Santo rinnova sempre la sua fame e la
sua sete; ella rimane la stessa, perché non si appoggia sulle sue forze,
ma sulla fortezza di Dio che le viene comunicata dallo Spirito Santo.
74 LO SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
Potremmo fare qui il nostro esame di coscienza. Le
negligenze, i torpori, le inconstanze che ci impediscono di fare il bene a
fondo, in una maniera continua, dimostrano che non abbiamo sufficiente
fame di santità. Lo Spirito Santo può darci questa fame, poiché abbiamo
in noi il dono della Fortezza, che ha per compito di produrla. Da noi
stessi non potremmo averla; ma tendiamo la vela, apriamo il cuore,
esponiamoci all'azione dello Spirito Santo, perché ci comunichi questa
forza irresistìbile e sempre uguale a se stessa.
Infine, questo bisogno, avendo tutte le proprietà della
fame, se soddisfatto, ci da anche gioia. Quando ci siamo sforzati
per seguire l'ispirazione dello Spirito Santo, quando raggiungiamo una
certa continuità nell'opera di Dio o compiamo qualcosa di più difficile,
proviamo una contentezza intcriore. L'anima ha compiuto un sacrificio, uno
sforzo, si sente pacificata, la sua fame è per un certo tempo appagata.
E' così che Santa Caterina, dopo uno sforzo che
richiedeva maggior sacrificio, quando per esempio, curando una lebbrosa,
aveva fatto uno sforzo supremo per superare il disgusto e dedicarsi a
colei che la perseguitava, sentiva la sua fame di santità appagata come
dopo un pasto magnifico. Ella si sentiva felice, e Nostro Signore,
apparendole, espri-
LA FAME DI GIUSTIZIA 75
meva il suo contento, sanzionando in tal modo quello stato
di pace nel quale essa era entrata. Al termine di una giornata nella quale
abbiamo compiuto con grande cura il nostro dovere, siamo come nutriti
della volontà di Dio, ci sentiamo pacificati, tranquilli; è la gioia
spirituale promessa a coloro che si sforzano di compiere la volontà di
Dio.
Poiché tale è la situazione e che lo Spirito Santo vuole
aiutarci, non dobbiamo che invocare il suo aiuto, metterci sotto la sua
mozione, ed Egli ci darà questa fame e sete di giustizia. Ed ecco che in
maniera semplicissima, noi risolveremo una quantità di problemi e
supereremo infinite tentazioni che si presentano sotto la forma delle tré
concupiscenze. Sotto l'impulso dello Spirito Santo, era sufficiente la
paroletta « Poco », dal punto di vista della povertà, per distaccarci
da tutto. Così, nei confronti della santità, ispirandocene la fame e la
sete, lo Spirito Santo ci darà una specie di intuizione, di sensibilità,
di senso divino col quale cammineremo, sapendo sempre come comportarci
dinanzi ai diversi doveri od ostacoli.
Bisogna tuttavia guardarci dalle illusioni. Vi sono delle
persone, alle quali l'immaginazione da una fame di santità fittizia, che
non è secondo lo Spirito, ma secondo il loro gusto, e che perciò
76 LO SPIRITO
SANTO NELLAVITA CRISTIANA
diventano dei tiranni per gli altri. La vera fame di
santità non fa mai di questi errori e allo stesso modo l'illuminazione
non è mai contraria alla prudenza e all'obbedienza. Non dobbiamo mai
crederci autorizzati dallo Spirito Santo ad una fame di santità
personale, per esempio, a un amore intransigente per un'osservanza, una
mortificazione, e ciò contro l'autorità, la Regola, la prudenza.
Eliminiamo queste cose, conserviamo ciò che è buono. « Sappiate
discernere gli spiriti, diceva S. Paolo, ritenete il buono » (I Tess., 5,
21). La reale docilità all'azione dello Spirito Santo ci condurrà
lontano, — grazie all'ampiezza del campo dell'ob-bedienza e della
prudenza, — molto lontano nella perfezione, nella santità del
compimento della volontà di Dio.
IV - Pratica
Consideriamo adesso più da vicino quello che ci ispira la
fame di santità, questa fame che ci viene dallo Spirito Santo.
a) - Lajame e la sete della dottrina divina. -E'
attraversò questa via che il vero Dio si rivela a noi, che si fa
conoscere per-farsi amare. Questa dottrinai racchiusa dapprima negli
insegnamenti
LA FAME DI GIUSTIZIA 77
del Nuovo Testamento e nella dottrina della Chiesa. Alcuni
santi hanno meditato con lo Spirito divino sulle parole di Dio e ce le
trasmettono con la luce da,essi acquistata e ancora ricche dell'emozione
da essi provata. Tale dottrina ci fa conoscere Dio Padre, Figlio e Spirito
Santo, la Sua vita divina, la carità con la quale il Padre manda il
Figlio suo. Nostro Signore, con la sua duplice natura, il suo Cuore
adorabile, organo dell'amore sostanziale di Dio, i fatti della sua vita
che manifestano in parte la santità del Padre; il dramma della Redenzione
di cui siamo causa, lo Spirito Santo con le sue bontà, le sue attenzioni,
il suo influsso, la Chiesa, la liturgia, gli scritti dei dottori e dei
santi, e specialmente il nostro Credo:
ecco il nutrimento della contemplazione e della carità
vera che secondo la misura della sua istruzione trova il vero Dio. Se
abbiamo un po' di tempo nutriamoci di questo cibo; ed anche se ci sentiamo
stanchi, nutriamocene ancora col ricordo. Meditiamo i misteri del Rosario
che racchiudono la quintessenza della dottrina della rivelazione. Questo
cibo è santificante.
b) - La fame e la sete dei sacramenti. E' per mezzo
di questi che riceviamo o rinnoviamo la grazia divina.
7g LO SPIRITO SANTO NELLA' VITA CRISTIANA
Fame e sete della penitenza, che deriva direttamente dalla
croce. Tutte le volte che ci accostiamo a questo sacramento siamo dinanzi
alla croce, ed è Nostro Signore stesso che dall'alto della croce, per
mezzo della mano del sacerdote, ci da questo cibo della grazia speciale
che è la fortezza contro il peccato.
Fame e sete della Messa, nella quale c'è la presenza
reale di Nostro Signore nel suo stato d'immolazione. Quale nutrimento per
la partecipazione alla santità ! Fame e sete della Messa nella quale
giungiamo sino a ricevere nel tabernacolo del nostro corpo, questo pane,
l'Ostia del Calvario bruciante degli atti d'amore del Figlio di Dio. Che
accrescimento di grazia santificante ci viene in tal modo comunicata ! «
Io sono il pane di vita» (Giov., 6, 48), ha detto Nostro Signore. Se
vogliamo condurre una vita santa, che conduca a Dio, abbiamo fame di
questo pane; in esso è l'alimento, la sorgente, la manna nascosta. « Ho
fame», diceva semplicemente santa Caterina, e il beato Raimondo capiva,
ed andava a cercare l'Eucaristia. Se talvolta le nostre comunioni sono
tiepide, tormentate, è perché abitualmente non abbiamo abbastanza fame.
La nostra fame dovrebbe essere sempre irresistibile. Che potremmo
desiderare di più, se possediamo Colui che i Beati posseg-
LA FAME DI GIUSTIZIA 79
gono quando Lo contemplano faccia a faccia e si nutrono di
Lui ? Dovremmo vivere tutto il giorno della comunione del Corpo del
Signore, come pure del desiderio di riceverLo ancora.
e) - La fame e la sete della volontà di Dio. -Noi
siamo inquadrati dalla volontà di Dio, la quale si presenta a noi sotto
la forma della Regola, delle obbedienze che ci vengono comunicate, delle
ispirazioni della coscienza... Ma noi non sappiamo riconoscerla. Vediamo
solo l'occupazione tale o tal'altra che ci piace o no, la tal persona,
contrarietà, prova della vita comune... esse invece sono volontà di Dio.
Se avessimo fame di giustizia, come Nostro Signore, accoglieremmo queste
occasioni di inquietudine, di prova, come un cibo sostanzioso capace di
appagarci. Lo Spirito Santo può illuminarci per correggere le nostre
vedute nei dettagli. Durante la vita nascosta, Nostro Signore, nei suoi
viaggi, nelle sue azioni, occupazioni, conversazioni, poteva facilmente
incontrare occasioni di urto, di pena; ma erano il suo cibo, perché in
esse era la volontà di Dio ch'Egli vedeva in ogni cosa piccola o grande.
Quando Dio vuole per noi la prova, la sofferenza, è
questa la sua volontà. Le sofferenze sono penose e l'impressione naturale
prodotta in noi
gQ LO SPIRITO SANTO NELLA VII
A. CRISTIANA
da queste messaggere del Buon Dio è un'impressione di
contrarietà, di disgusto; si geme su di sé, si vorrebbe sottrarsi.
Un'anima forte riconosce in esse la volontà di Dio. Santa Teresa non
concepiva una vita senza sofferenza: « O soffrire, o morire », diceva.
La fame delle sofferenze è difficile, eroica; non solo
accettarle, ma desiderarle, è un effetto ben evidente del dono di
fortezza. Ve ne sono di queste anime le quali chiamano le infermità,
misericordie del Signore. Esse vedono nelle sofferenze una più intima
associazione alle sofferenze del Salvatore ed esse le desiderano con
ardore. Tutto ciò è al di sopra delle nostre forze, ma lo Spirito Santo
può ispirarcelo; perché non domandar-Glielo?
d) - La fame e la sete delle anime. - E' questo un
altro cibo che ci viene proposto.
E dapprima le anime delle persone che ci sono più vicine.
Sono anime che Dio ama, e di cui vuole il bene. Esse hanno le loro lacune,
le loro debolezze, come noi abbiamo le nostre. Tuttavia Dio si compiace in
esse, vuole santificarle, perché vede innanzi tutto il loro bene. Noi
pure dobbiamo entrare nelle mire e nella volontà di Dio, reprimere ogni
sentimento cattivo, amaro, e alimentare
LA FAME DÌ GIUSTIZIA gì
in noi sentimenti di bontà, di misericordia, servendole
in ogni modo, per aiutarle nel lavoro della loro santificazione.
In seguito, le anime dei disgraziati che hanno bisogno di
noi; bisogna vederne l'anima, la volontà di Dio su di essa, la presenza
misteriosa di Gesù Cristo nel povero e nel malato. Diamoci a ciò, con
sempre maggior slancio e con la nostra instancabile dedizione alle miserie
del corpo, portiamo a Dio le anime alle quali ci invia o che Egli stesso
ci manda.
Abbiamo quindi parecchie occasioni di provare e di
soddisfare questa fame e questa sete di santità, che nel Vangelo ci è
data come una beatitudine e che nasce dall'attività del dono della
Fortezza.
Abbandoniamoci completamente al soffio divino, che ci
darà la forza, la fiducia, l'attività vittoriosa e il cui segno in noi
sarà la fame della santità, la sete della volontà divina. Non temiamo
di spingere all'estremo questa fame nei limiti della prudenza; lo Spirito
Santo è con noi per condurci sino alla verità, alla giustizia, alla
santità. Il nostro lavoro di consenso, anche se richiede dei sacrifici,
sarà ricompensato, poiché sta scritto nel Vangelo « beati coloro che
hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati » (Mar., 5-6).
CAPITOLO QUINTO IL DONO DELLA PIETÀ'
« Dio ha messo in noi lo Spirito di Suo Figlio che
grida in noi:; .Padre » (Gai;, 4, 6).
Il terreno è già sgombrato, grazie al soffio dello
Spirito di Dio. Per lo Spirito di Timore, la nostra vita si è già
liberata dalle tré concupiscenze, ciò che era il desiderio profondo
della nostra vita religiosa. Per lo Spirito di Fortezza che produce in noi
la fame e la sete di santità, eccoci potentemente armati per fronteggiare
i nostri doveri quotidiani e gli ostacoli che incontriamo nel loro
adempimento.
Lo Spirito ora ci muove di nuovo, per stabilirci nella
pace, non più nel nostro èssere ulteriore e precisamente nei confronti
delle nostre concupiscenze o dei nostri doveri personali, ma nei confronti
degli altri. Egli ci stabilisce nella pace, ed essendo in pace, non avremo
altra preoccupazione
84 LO SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
che di elevarci più in alto, al vertice della vita
intcriore con Dio.
/ - Definizione della Pietà
Questo nuovo-tocco dello Spirito è il dono della Pietà.
Questa produrrà il suo effetto sul terreno delle nostre relazioni con gli
altri.
Generalmente è la virtù 'della giustizia che ci
stabilisce in questa pace e armonizza i nostri atti col diritto altrui:
per essa, noi diamo a ciascuno il suo. La giustizia non è tutto: vi è
pure la carità. Ma la giustizia è il fondamento della vita sociale, e,
trasportata nell'ordine soprannaturale, essa è il fondamento della vita
della Chiesa e del mondo. Questa è una delle ragioni per cui diciamo di
un santo che è giusto; egli non deve niente a nessuno, ha pagato tutto,
è stato giusto nei confronti dei diritti altrui, compresi quelli di Dio.
Fra i diritti che incontriamo, ve ne è uno, infatti, che
è il diritto supremo: il diritto di Dio. Dio è il nostro Creatore, senza
il quale non esisteremmo. Egli ci conserva, è il Padrone della nostra
vita, il nostro sovrano Benefattore, i suoi diritti sono i primi. Ecco
perché vi; è nella virtù della giustizia una parte principale, la
religione,
IL DONO DELLA PIETÀ' g5
con la quale nei limiti del possibile, rendiamo giustizia
a Dio stesso. Ai giorni nostri, si crede di essere giusti senza rendere
giustizia a Dio. Errore ! La virtù della religione è la virtù
principale.
Fra i diversi aspetti di questa virtù ve n'è uno che ha
qualcosa di particolare, di dolce: è la pietà. Essa è una parte della
virtù della religione, con la quale rendiamo giustizia a Dio dandoGli la
devozione, la preghiera, il sacrificio, il digiuno, l'astinenza, il
rispetto, il culto, tutto l'insieme dei doveri con i quali Lo riconosciamo
come Sovrano Signore. La pietà pone un accento di tenerezza nella
religione perché rivolgendosi a Dio Lo considera Padre. La pietà
va oltre la religione naturale ordinaria; essa non vede i diritti del
Padrone, del Signore, ma quelli del Padre; è una religione che ha (del)
cuore. Non si paga il proprio padre come si paga un'altra persona; nei
riguardi di un padre non si pratica la giustizia con ciò che essa ha di
più rigido e indifferente verso le persone. Pur rendendo a Dio ciò che
Gli è dovuto, tanto come cristiani, con la preghiera, l'assistenza alla
Messa, l'uso dei Sacramenti, che come religiosi, con l'adempimento degli
esercizi promessi, l'osservanza della Regola, non si è fatto ancora
tutto! Un figlio non è mai in regola con suo padre, perché il cuore lo
spinge a dargli sempre più-onore e culto; allo
g6 LO SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
stesso modo la religione deve essere sovrabbondante. La
pietà è il cuore della religione.
' -^""r - ' ' .
II - II dono della Pietà
Lo .Spirito divino prende possesso proprio di questo cuore
della religione, e là con una nuova ispirazione, ci tocca nel profondo
del nostro essere per animarci dello Spirito di Pietà.
a) - Lo Spirito di Pietà in Nostro Signore.
Quando si parla dello Spirito di Pietà, un'immagine sorge
in noi, quella del Figlio diletto del Padre. La cosa più originale e
veramente nuova del Vangelo, è la rivelazione della paternità divina.
Anche nelle differenti religioni si trova una certa conoscenza di questa
paternità, ma Nostro Signore ha sentito profondamente e in una maniera
unica questo sentimento dei figli verso il padre. In ciò niente di
straordinario, essendo Egli il Figlio consustanziale del Padre.
Tertulliano ha detto che nessuno è più madre, di Dio. Nessuno possiamo
dire noi, è più figlio di Nostro Signore.
Lo Spirito di Pietà appare già in Nostro Signore quando,
dodicenne, risponde ai Suoi genitori che Lo cercavano : « Non debbo forse
occuparmi delle cose del Padre mh ? » (Lue., 2, 48). Tutta la
IL DONO DELLA PIETÀ' §7
Sua vita è in questo programma. Egli riconosce il potere
di Maria e di Giuseppe : « Egli era ad essi sottomesso»; ma quando si
tratta del Padre suo, non conosce che Lisi.
Abbiamo innumerevoli tratti del cuore filiale e pio di
Nostro Signore. San Matteo ci riporta questa bella preghiera, che sembra
provenire da San Giovanni, tanto ha u-n carattere di intimità:
«Ti ringrazio, Padre, di avere nascosto queste cose ai
superbi, e di averle rivelate agli umili-Così è. Padre, perché così a
Tè piacque... Ogni potere è stato dato a me dal Padre mio... Nessuno
conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio l'ha
rivelato... Venite, voi tutti che siete oppressi, ed io vi solleverò. Il
mio giogo è dolce e il mio fardello leggero» (Mat., 11, 25-30).
Quale effusione! Ita, Pater; Sì, Padre! E'
l'espressione che meglio traduce la relazione del cuore di un figlio col
padre. E la seguente che ne è il commento: «Faccio sempre ciò che a Lui
piace » (Giov., 8, 29). « Sì, Padre, perché ciò ti piace».
Si^constata anche-questo culto di Nostro Signore per il Padre suo nel
discorso della montagna, che è come l'introduzione al Vangelo della
dottrina di Nostro Signore. Il nome del Padre vi appare continuamente.
Cristo promulga la nuova legge, ma l'annunzio principale è la paternità
di-
g8 LO SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
vina : « Siate perfetti come il Padre vostro celeste è
perfetto» (Mat., 5, 48). Questo Padre che fa brillare il sole sui buoni e
sui cattivi, piovere sui giusti e sugli ingiusti. Si tratti della
preghiera, d'insegnare la maniera di digiunare o di fare l'elemosina:
tutto si fa per amore del Padre, per pietà filiale: « Nascondetevi nel
Padre ». Inùtili tante parole, « II Padre sa ciò di cui. avete bisogno
» ;
nessuna ipocrisia, « II Padre che sta nel segreto vi
ricompenserà » (Mat., 6, 6-8, 18).
Il Verbo è lo Splendore del Padre, non vive che
riflettendoLo; Egli ne riceve la sostanza e Gliela rimanda come
un'immagine della perfezione del suo volto. Sono queste perfezioni che si
traducono nell'umanità di Nostro Signore con tali accenti filiali.
Nel discorso dopo la Cena, Nostro Signore dice ancora : «
Filippo, chi mi vede, vede anche il Padre mio» (Giov., 14, 9). E dice
pure: «Quando faccio qualche cosa non sono mai solo... Il Padre è con
me» (Giov., 16, 32). Nella ^preghiera sacerdotale, si avverte un tono
ancora più filiale, pieno di fiducia, di abbandono, di rispetto. Nostro
Signore è in rapporti intimi col Padre suo, rapporti di rispetto,
rapporti d'amore; Egli compie continuamente la volontà del Padre: il
Padre è l'orizzonte del Suo pensiero, non l'abbandona mai
IL DONO DELLA PIETÀ' §9
Nella parabola del figlioì prodigo. Egli ci descrive
questo Padre : come un cuore pieno di pietà, di misericordia, di
un'infinita condiscendenza. Infine ci ha' lasciato come un testamento del
suo cuore filiale, nella preghiera che ci ha ordinato di dire: «Padre
nostro che sei nei cicli». Egli vuole che in Dio consideriamo solo ciò
che Lui stesso vi vede: la Sua; paternità. Quest'appellativo di Padre è
presente in ogni richiesta del « Poter », bisognerebbe ripeterlo
ad ognuna : « Padre, venga il Tuo regno; Padre, sia fatta la Tua
volontà;
Padre, dacci oggi il nostro pane... Padre, perdonaci... »
E' il grido del cuore di Nostro Signore, ed Egli vuole che sgorghi anche
dal cuore dei suoi figli.! Ecco la grande rivelazione della paternità
divina.
b) - Lo spirito di Pietà in noi.
Ecco in che modo, però, potremo avere un cuore simile a
quello di Nostro Signore: Lo Spirito Santo è lo Spirito del Verbo, lo
Spirito di Nostro Signore. Quand'Egli ci promette lo Spirito Santo dice :
« Non farà niente da sé, dirà tutto quello che avrà udito. Egli
riceverà del mio, e con questo mio vi evangelizzerà, vi annunzierà ciò
che ho detto » (Gioy., 16, 13-14). Egli riceverà del mio; che :cosa?
Evidentemente ciò che vi è di più
90 LO SPIRITO SANTO NELLA
VITA CRISTIANA
intimo, di più « suo » in Nostro Signore, il senso
della paternità di suo Padre: la sua Pietà. Ecco ciò che riceverà lo
Spirito per comunicarcelo.
Lo Spirito di Pietà trae, dunque, la sua origine
dall'invio fattone da Nostro Signore. Figli di Dio rigenerati, abbiamo a
nostra disposizione lo Spirito del Figlio suo, che ci ha inviato e che
grida in noi, come grida nel profondo della sua anima:
«Abba, Padre». L'apostolo ci da questa parola familiare
nella lingua siro-caldaica usata da Nostro Signore, per conservarle,
indubbiamente, con la lingua, l'accento intraducibile che aveva sulle sue
labbra. ''
Ecco che cosa è il dono della Pietà, dove trae la sua
origine, in chi trova il suo modello, e quale è la sua azione specifica:
Formare nell'intimo delle nostre anime il dolce nome del Padre celeste,
con qualcosa dell'accento messovi da Nostro Signore nel pronunciarlo.
Ili - I-,'opera del .dono di Pwtà
Raggiungiamo'qui i nostri doveri ordmari, ma dall'alto,
con la semplicità dei mezzi divini. Abbiamo già detto che il desiderio
di povertà è messo nel nostro cuore dallo Spirito Santo, che vi irn-
IL DONO DELLA PIETÀ' 0^
prime questa paroletta: «Poco». La Fortezza vi è
deposta col sentimento semplice della fame di santità: «Ho fame». La
Pietà ci verrà inspirata con questa breve carolai Abba, Padre,
formata nel nostro cuore dallo Spirito Santo.
Una piccolissima moneta, se è in metallo prezioso, può
equivalere ad un lingotto di bilione. Un solo diamante può avere un
valore superiore ad una quantità di pietre meno preziose. Con questa
semplice parola dataci dallo Spirito Santo nel-l'ispirarci la pietà, con
questo nome di Padre, abbiamo l'equivalente, e più, di tutta la
religione. La virtù della religione nasce per intero in uno stato
superiore in colui che, sotto l'ispirazione dello Spirito di Pietà,
concepisce e onora Dio come Padre suo.
Con l'ordinària virtù della religione, noi ci diamo alla
pietà in una maniera sincera, ma laboriosa. Riempiamo le nostre giornate
con pii esercizi; per ciò che concerne il culto di Dio, compiamo i nostri
doveri a suo tempo, con l'attenzione, l'atteggiamento, i gesti; il -tono
voluti. Questa maniera è meritoria e indispensabile; essa è il
fondamento stesso della nostra vita cristiana, ma è penosa, piena di
ostacoli, senza parlare delle distrazioni, dei torpori, delle negligenze,
delle preghiere abbreviate, dette troppo in fretta, ecc... E
92 LO SPIRITO SANTO NELLA VITA CSISTWA
tuttavia vi mettiamo tutta la buona volontà. Ah! se lo
Spirito Santo ci desse qualcosa del Figlio diletto del padre, di
quell'amore, di quell'accento penetrante che Egli metteva in tutto ciò
che faceva per il Padre suo; se nel nostro spirito Egli mettesse il Suo
Spirito di Pietà, che era l'anima della Sua vita, noi ritroveremmo
facilmente e ameremmo dall'interno tutto quello che facciamo con fatica.
La preghiera non ci costerebbe, vi andremmo incontro! La durata degli
esercizi? ma in essi ci sentiremmo in intimità col Padre nostro! I vari
doveri, l'ufficio comune, le chiamate alla preghiera, che vengono ad
interrompere il corso delle nostre occupazioni?... Noi saremmo preparati a
tutto, già offerti da un-cuore essenzialmente filiale!
Ecco ciò che può ottenerci lo Spirito di Pietà. Andremo
dunque incontro a questo Spirito con un amore di Dio sempre più
vittorioso, più sovrano e più intimo. In questo amore troveremo la
sottomissione, la •docilità alle mozioni dello Spirito, il quale potrà
così formare, impastare il nostro cuore sul modello, Nostro Signore, e
farne un cuore di figlio attento alle cose del Padre suo. Ecco come
potremo rinnovare la nostra pietà dall'interno. Ma il dono della Pietà
esiste già in noi per il Battesimo, con la grazia santificante, Ce ne
IL DONO DELLA PIETÀ' 93
serviamo, talvolta;: nell'orazione, m un momento di
grazia, ci raccogliamo sotto l'illuminazione divina, ci appartiamo in
faccia al Padre nel segreto di noi stessi, e^ogni tanto la sua figura
paterna s'illumina e ci viene rivelata. Si tratta allora di avere una
docilità e una prontezza maggiore.
Nella misura in cui noi stabiliremo questo culto
inispirilo e verità, saremo sempre meno soddisfatti delle formule, dei
doveri compiuti con negligenza. Troveremo nel profondo della nostra
preghiera il senso della paternità, sull'esempio di Nostro Signore:
allora risponderemo alla nostra vocazione, saremo veramente e interamente
delle anime religiose.
La virtù della religione è, dopo le virtù teologali, la
nostra virtù principale: essa ha per compito di farci mettere in pratica
le ispirazioni delle virtù teologali. Suo esercizio è la lode di Dio, ma
niente nella nostra vita sfugge al suo spirito, tutto ciò che facciamo è
per la gloria di Dio. Essa è il cuore del nostro spirito; mettiamoci
questo senso della divina paternità, della bontà, della benevolenza di
Dio come ce lo ha rivelato Nostro Signore. ; •
Abbiamo il culto particolare di questa illumi-nazione
dello Spirito Santo che ci infonde (oppure trasmette) il senso della
paternità; cerchiamo di
94 £0 SPIRITÒ
SANTO NELLA VITA CRISTIANA
non essere più tanto attivi, ma più passivi; desideriamo
con amore di ricevere da Nostro Signore « del Suo», stabiliti nella
docilità, e il nostro cuore sarà trasformato dal sentimento filiale. Poi
andiamo con gioia a tutti i nostri doveri di religione.
IV - II suo irradiamento
a) - Lo Spinto di Pietà e la fraternità
umana.
La pietà non semplifica solamente il lavoro della virtù
di religione, semplifica anche i nostri rapporti con gli altri. Se abbiamo
il senso della paternità divina, considereremo gli altri (gli altri,
parola così dura) come fratelli, come figli diletti dello stesso Padre
celeste.
Nella pietà c'è l'amore fraterno, dice l'Apostolo (II
Pietro 1, 7). Nel senso della Paternità universale di Dio su tutti i suoi
figli è racchiuso il senso della fraternità. Nei nostri rapporti con gli
altri, avremo allora la stessa dolcezza, la stessa tenerezza che nei
rapporti col Padre. La giustizia da sola è rigida, essa dice: prendi ciò
che ti appartiene e vattene; è giusto ma duro. Essa s'intenerisce, però,
e diventa amorosa quando coloro ai quali si rivolge le appaiono come i
figli di uno stesso Padre. La pietà adolcisce le relazioni sociali.
a DONO DELLA PIETÀ' 95
Essa mette interamente la pace con tutti e con Dio e ve la
mette con abbondanza.
Liberi ormai da ogni preoccupazione nelle nostre relazioni
con i diritti altrui, come nei confronti delle concupiscenze personali,
avremo in tal modo la pace, e potremo liberamente « volare verso Dio»
come dice la Imitazione, dedicarci alle cose divine, innalzarci alle
altezze della contemplazione.
b) - L'estensione della paternità divina.
Un irradiamento speciale dello Spirito di Pietà si
estende a tutti coloro che partecipano alla paternità divina. « Piego le
ginocchia dinanzi al Padre di Nostro Signore Gesù Cristo, dal quale
prende nome e deriva ogni paternità in ciclo e sulla terra » (Efes., 3,
14-15). San Paolo vede qui in ciclo e sulla terra una'estensione della
paternità divina:
essa è dappertutto dove si può pronunciare il nome di
Padre.
In cielo: non diciamo certo a Nostro Signore e allo
Spirito Santo.; Padre Nostro. Tuttavia essi sono Padre in un certo senso,
per il fatto che sono col Padre un solo Dio, un solo Creatore, un solo
Benefattore. Tutto questo è già in ciclo un'estensione della paternità.
L'irradiamento di tale paternità, si. estende anche ad alcuni santi: in
primo
96 LO SPIRITO
SANTO NELLA VITA 'CRISTIANA
luogo alla Santa Vergine. Non diciamo la «paternità »
della Santissima Vergine, ma la « maternità», che è universale. Ella
partecipa per prima alla paternità divina, ha diritto alla nostra pietà
filiale, noi la chiamiamo: Madre di Misericordia, Madre della divina
grazia... Il patriarca San Giuseppe, patrono della Chiesa universale, san
Domenico, Padre dell'ordine Domenicano, posseggono una paternità che è
l'irradiamento della paternità divina. Il dono di Pietà ci ispirerà un
accento filiale nei confronti di questi depositar! in ciclo della
paternità divina: ovunque dove brilla un raggio di questa paternità, il
culto che offriamo deve essere impregnato di questo sentimento.
Sulla terra: Vi è un irradiamento della paternità
divina nella Chiesa, ed in particolare su colui che noi chiamiamo il Santo
Padre, « Papa », ossia il Padre grande, tenero, amato. Vi è un
culto filiale verso la Chiesa; ce lo ispirerà lo Spirito di Pietà. Non
si possono dire pii coloro che non riconoscono, nella Chiesa, una Madre, e
nel suo Capo, un Padre, al quale si deve uìi amore filiale. Perché così
è avvenuto recentemente di persone anche devote le quali non trovando il
Papa abbastanza patriota, emisero lamenti e recriminazioni. Le anime pie
che hanno una devozione filiale al Papa, non hanno queste dimenticanze,
esse ac-
IL DONO DELLA PIETÀ.' 97
cettano la sua autorità e tutto ciò che viene da lui,
come da un Padre che possiede l'irradiamento del Padre celeste.
Più lontano ancora, i Superiori del nostro Ordine e tutti
i Superiori ecclesiastici posseggono pure un irradiamento della paternità
divina. La Regola ci dice: Obbedite ai vostri Superiori come a Padri o a
Madri. La considerazione di questo irradiamento che è in essi, deve
prevalere sulla giustizia che esercitiamo col rispetto, con l'obbe-dienza
nei confronti dei Superiori; essa deve apportarci qualcosa di speciale. La
nostra obbedienza verso di essi non dev'essere un'obbedienza qual-siasi,
bensì devota, filiale, pia.
Vi è ancora una cosa, non più una persona, sulla quale
si estende un irradiamento della paternità divina: la Sacra Scrittura,
questa si presenta con l'autorità della Regola della nostra fede,
specialmente il Nuovo Testamento e, realmente, essa ci nutre come un
«Padre». Nella parola sacra. Dio Padre esercita verso di noi la Sua
bontà paterna, mettendovi qualcosa di Sé. Dobbiamo dunque avere il più
grande rispetto e amore per la Sacra Scrittura, non tanto con segni
esteriori, come col bacio della pagina prima e dopo la lettura, quanto con
una filiale docilità a seguirla. Coloro che l'hanno interpretata come una
parola
9g: LO SPÌRITO
SANTO nella VITA CRISTIANA
umana, dandole un senso personale, cercando di toglierle
ogni diritto al nostro rispetto, hanno fatto un grande peccato. Dobbiamo
ricevere le parole della sacra Scrittura, accettarle, acconsentire
intcriormente ad esse con amore filiale, assimilarle perché diventino per
noi una fonte di conoscenza, d'amore, di attività al servizio di Dio,
cornea se noi ascoltassimo la voce stessa di nostro Padre.
CAPITOLO SESTO
BEATITUDINE DELLA MITEZZA O MANSUETUDINE
« Beati i miti perché possederanno la terra » (Mat.,
5, 4).
L'attività del dono di Pietà si manifesta con
l'ispirazione della mansuetudine. Vedremo adesso come avviene il raccordo
fra il dono di Pietà e la beatitudine della mansuetudine. Questa trova la
sua applicazione nelle relazioni con gli uomini, perche si può essere
miti, e lo si deve essere, dapprima intcriormente, ma questa virtù deve
poi riversarsi sugli altri.
/ - Giustizia, Pietà e Mansuetudine
Da che cosa sono regolate le relazioni col prossimo?
Dapprima dalla y4rtu della giustizia che si
100 LÒ SPÌRITO
SANTO NELLA-VITA ÉRÌSTIANA
stabilisce fra il dare e l'avere, che fa il pareggio fra i
debiti e i diritti, e stabilisce in tal modo la pace. Quando abbiamo
ricevuto quanto ci era dovuto, noi siamo in pace col nostro debitore.
L'uomo, in quanto essere socievole, ha bisogno della giustizia, che gli
permette d'intrecciare relazioni, fra commercianti per esempio, con mutui
scambi. Questa virtù è estremamente utile perché vi siano buoni
rapporti, e questi, come è stato constatato, possono essere eccellenti
tra persone che la vivono nella pratica. Tuttavia, la giustizia ha qualche
cosa non di ingiusto, ma di rigido per il fatto ch'essa non tiene conto
delle persone; guarda solamente a ciò che è dovuto da una parte e
dall'altra, fa il pareggio fra le cose, di modo che coloro che sono pagati
non ne hanno alcuna riconoscenza, poiché si tratta di cosa convenuta. In
tali condizioni le relazioni sociali non vanno molto lontano, e vediamo le
classi divise, benché ognuno riceva ciò che gli è dovuto, perché
dietro le relazioni di giustizia, non ci sono relazioni personali. Se
anticamente si trovavano vecchi servitori affezionati alle famiglie, è
perché c'era più carità, che ha una maggior attenzione verso le
persone.
Il dono della Pietà viene dall'alto in aiuto alla nostra
povera giustizia che, dal punto di vista della pace, è limitata,
impotente. La Pietà ci fa
BEATITUDINE'DELLA MITEZZA O MANSUETUDINE •[Q'[
vedere e sentire in Dio il Padre. Non è difficile, però,
rendersi conto che questo Padre è un Padre comune; non il Padre di
ciascuno di noi individualmente, ma il Padre di tutti. Nostro Signore non
ha voluto che, pregando, dicessimo: Padre mio, come diceva Lui, Figlio
unico, ma Padre nostro, tutti insieme ; il « Pater » è una preghiera
essenzialmente collettiva. Colui allora che ha il senso di questa
paternità considera l'umanità come una grande famiglia i cui mèmbri
sono uniti fra loro dal più stretto legame quello di primo grado:
figli di uno stesso Padre: non sono cugini, ma fratelli.
Ciò è esatto, ed è per questo che la Chiesa si serve della parola:
prossimo, poiché non si può essere più vicini.
Ora, è chiaro che le nostre relazioni sono più
tenere, se vediamo un fratello in coloro con i quali abbiamo da fare, che
incontriamo attorno a noi. In ogni relazione umana metteremo dolcezza e
familiarità, come avviene tra i fratelli di una stessa famiglia, uniti
sotto l'autorità del padre e della madre : la dolcezza vi regna nel
fondo, nonostante tutte le piccole baruffe fraterne. L'irradiamento
naturale della pietà che abbiamo verso il Padre, si rivolge anche ai
figli. L'umanità è in tal modo animata dalla bontà degli uni nei
confronti degli altri. Ed è solo da qui che può venire la soluzione
102 LO SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
della questione sociale. Quando si avrà capita, colta,
sperimentata, gustata la paternità divina e la filiazione comune nel
Padre, i conflitti violenti spariranno tanto fra le nazioni, ;che fra le
diverse classi della società.
Questo spirito di fraternità lo vediamo fra i primi
cristiani: non erano che un cuore e un'anima sola; i pagani stupiti
dicevano: « Vedete come si amano». E Dio ha conservato negli istituti
religiosi come un centro dove persiste questo culto che è sparito dal
mondo. Essi, in fondo, rappresentano ciò che era la comunità primitiva.
L'amore della fraternità procede dal sentimento vivo
della paternità celeste. Un battelliere corso, vedendo scacciare dei
poveri battellieri stranieri dalla costa, esclamava con indignazione: «E'
forse bene affamare gli uomini che hanno bisogno di mangiare? Non sono
forse dei corpi di Dio come noi ? » Quell'uomo, senza rendersene conto,
aveva volgarizzato la parola di San Paolo: «Le diverse nazioni non
formano che un solo corpo in Dio» (Ef., 3, 6). Allo stesso modo che noi
diciamo: confratelli, san Paolo dice: « concorporales », corpi diversi
in un sol corpo.
L'umanità forma una famiglia sulla quale riposa lo
sguardo del Padre celeste. L'amore del Padre si estende a tutti gli
uomini. « Egli fa spléfl-
BEATITUDINE DEÌ.W-MITEZZA O MANSUETUDINE \Q^
dere il sole sui buoni e suoi cattivi » (Mat., 5, 45).
Dal punto di vista soprannaturale. Egli intende salvarli tutti, e benché
alcuni Gli sfuggano, da loro la possibilità di salvarsi, volendo fare di
essi i suoi figli prediletti, partecipanti alla sua natura, comunicanti
con la sua propria vita. Tutta l'umanità è una sola famiglia, come
un'unica pasta u-mana. Fra tutti i mèmbri deve regnare la mansuetudine.
Dapprima nei cuori e nella sfera delle passioni proprie ad ognuno, come la
collera, l'indignazione, i sentimenti violenti; poi nel trattare con gli
altri, dando segni di bontà recìproca.
La Pietà ci da così il senso della Paternità divina e
l'ispirazione della pietà muove alla mansuetudine. Il rapporto è
chiarissimo.
II - La Mansuetudine, atto del dono di Pietà in Nostro
Signore
Questo spirito di mansuetudine, lo troviamo nella sua
pienezza, in Nostro Signore. Nessuna ha raggiunto un tale grado di pietà;
nessuno è stato « più figlio » ; ma vediamo in che modo la sua pietà,
il suo sentimento profondo della paternità divina si trasformano in una
infinita mansuetudine: « Imparate da me che sono mansueto », Egli dice.
Se c'è un comandamento suo, questi è pro-
1-04 • LO SPIRITO SANTO
NELLA VITA. CRISTIANA
prio quello della carità: «Amatevi gli uni gli altri».
La sua lezione personale, il suo esempio, è la mansuetudine: Imparate dal
mio esempio, dalla mia persona, da « Me », da quello che dico, da ciò
che faccio. Basta guardarLo per avere questa impressione di mansuetudine:
è la sua perso-naiissima lezione. Indubbiamente Nostro Signore è stato
giusto, lo zelo del Padre Suo lo divorava, e quando prese la frusta, nel
tempio, fece opera di giustizia. Al di fuori, però, di queste relazioni
con quelle anime cattive che erano i Farisei e gli Scribi, Lo vediamo
infinitamente mite con gli altri uomini. Se Egli ha potuto dire : « Chi
potrà accusarmi di peccato ?» (Lue., 4, 18), allo stesso modo può dire
: « Imparate da Me che sono mansueto » (Mat., 11, 29) a coloro che Lo
conoscono meglio; essi non potranno rimproverarGli nulla. Sin dal Suo
ingresso nella vita pubblica, alla Sua prima manifestazione nella sinagoga
di Nazareth, dice queste parole : « Lo Spirito di Dio è sopra di
Me...», ed è per questo che «sono inviato da Lui a guarire coloro che
hanno il cuore ferito, a rendere la vista ai ciechi, a riscattare gli
schiavi » (Gio., 8, 46). Proprio perché lo Spirito di Dio è su di Lui,
Egli possiede tale mansuetudine. San Mat-teo, vedendo in Lui questa
mitezza. Gli applica le parole di Isaia: «Ecco il figlio mio... non farà
BEATITUDINE DELLA MITEZZA O MANSUETUDINE
105
sentire la sua voce... non griderà... non spegnerà il
lucignolo che fuma ancora... non spezzerà la canna fessa» (Isaia, 43,
1-4; Mat., 12, 17-21).
San Paolo ha fatto l'esperienza di questa mansuetudine del
Cristo nei suoi confronti, quand'era ancora empio, e pensa di essere stato
trattato così, per essere un esempio della pazienza di Dio nella sua
opera di formazione degli eletti futuri, ed era solito dire : « Ve ne
supplico per la mansuetudine del Cristo ».
Cristo da un'impressione di mitezza, è l'immagine della
mitezza. Non soltanto la sua vita è in armonia con Lui stesso, ma Egli
vuole formare dei miti. « Vi mando, Egli dice, come agnelli in mezzo ai
lupi» (Lue., 10, 3). Così era stato salutato a sua volta da Giovanni
Battista : « Ecco l'Agnello di Dio » (Giov., 1, 29, 36). Egli manda i
Suoi apostoli senza armi, senza apparato, affinchè essi conquistino il
mondo con la mansuetudine. E difatti, se sono forti nell'affermazione
della verità, quando si tratta della loro persona, i discepoli, come
Santo Stefano, si lasciano condurre alla morte « con mitezza » : «
Signore, gridò, non imputar loro questo peccato» (Atti, 7, 59), pare di
sentire l'eco della Croce: « Padre mio, perdona loro». Ecco perché
Nostro Signore non può sentire l'indignazione negli Apostoli. Giovanni e
Giaco-
106 L0 SWBITO
SANTO NELLA VITA CRISTIANA
mo vogliono attirare il fuoco del ciclo sulle città
colpevoli di non averli ricevuti. Li canzona e d'ora in poi li chiamerà
« figli del tuono » (Lue.., 9, 54;
Mare., 3, 17). :
Dappertutto, dunque, nel Vangelo troviamo il segno della
mansuetudine. E ciò si capisce facilmente. Nostro Signore, nella sua
divinità: ^stessa, nella sua anima umana, vedeva il Padre faccia a
faccia; aveva d'altronde in Lui l'ispirazione dello Spirito Santo che dava
alla sua anima umana il sentimento della paternità. Egli compiva allora
questa missione di riconciliazione dei figli col Padre loro, alla quale
era stato inviato dal Padre con un'intenzione estremamente mite. Egli
vedeva in noi dei fratelli, dei figli del Padre, ed è con questo
sentimento dolcissimo che si consacrava alla loro salvezza.
IH •
Pratica della Mansuetudine
La mansuetudine di Nostro Signore è un modello che
dobbiamo imitare. Molto spesso, tuttavia, troviamo nelle persone pie una
vera miscono-scenza di questa mitezza evangelica. Nelle anime devote,
troviamo una severità, un'amarezza, uno zelo forse, ma amaro,
un'indignazione... tutto, il
BEATITUDINE DELLA MITEZZA O MANSUETUDINE }ffJ
contrario dello spirito di mansuetudine. E tali persone
sono « pie », non trascurano una sola pratica devozionale; ma la loro
pietà si cambia in veleno;
non è una vera pietà. La vera pietà deve commuoversi
alla vista della paternità di Dio, poi riversare sugli altri qualcosa di
questa tenera commozione. Se la pietà non è rivestita di mansuetudine,
significa che essa non. arriva sino al cuore della religione. La religione
non è un'insieme di pratiche, non si ferma agli oggetti, ma è dominata
dal pensiero del Padre che sta nei cicli. La vera pietà si manifesta con
qualche cosa di mite, di compassionevole, di buono verso gli altri; ed
esige, all'interno, sentimenti, pensieri, un insieme di vita intcriore
mite, in un dominio di sé che reprime l'indignazione, l'impazienza, la
collera.
Se noi saremo fedeli allo spirito di Pietà che ci muove
alla mansuetudine, riformeremo il nostro interno dominandoci per reprimere
gli stimoli della natura : « La mansuetudine forma le persone che sono
padrone di se stesse », dice san Tomaso (IIaIIae,q.CLVII,a.4).
Non bisogna seguire gli istinti, i pensieri che ci
attraversano la mente presentandoci il prossimo sotto il suo aspetto
ingrato. Dobbiamo essere capaci di reprimere ;un primo movimento di
antipatia, di animosità, di violenza, di indignazione,
IQg LO SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
di collera, d'impazienza..., movimenti che si formano
nelle anime che hanno delle passioni, e tutte ne hanno. Mettiamo ordine
dentro di noi facendovi regnare la mansuetudine, la dolcezza che è
l'applicazione del dono di pietà di cui siamo provvisti. Le persone che,
pur essendo devote, hanno conservato un insieme di sentimenti naturali o
cattivi che li eccitano contro il prossimo, hanno dentro di loro un
focolaio antifraterno, ed ecco perché, malgrado le pratiche di pietà,
esalano il loro fondo cattivo rimasto sotto questo rivestimento di pietà.
Bisogna che la nostra pietà corregga dapprincipio l'interno. Nostro
Signore dice che l'esterno non ha importanza « è dall'interno che escono
i cattivi pensieri, i cattivi sentimenti » (Matt., 15, 11), e il resto.
Non saremo miti verso gli altri senza questo calmo dominio di noi stessi.
Il dono di Pietà, muovendoci alla mansuetudine, ha dunque
per primo effetto di distruggere questi cattivi focolai di asprezza e di
amarezza e mettervi invece dei sentimenti dolci, e buoni verso tutti,
affinchè possano felicemente irradiare all'esterno.
Allorché lo Spirito Santo ha soavemente compiuto questa
pacificazione intcriore, ci spinge ad essere miti nei confronti degli
altri, tanto interior-
SÉATÌTUDWS DELLA MITEZZA, o MANSUETUDINE 1[(^
mente che esteriormente, con l'espressione del viso, col
tratto, col modo di fare, con le parole.
Il programma di San Paolo era « vincere il male col bene
» (Rom., 12, 21). La scala della mansuetudine è, infatti,
l'incontro col male. Trionfiamo sul male con la mitezza essendo « come
agnelli in mezzo ai lupi». San Pietro diceva: «Siate sottomessi ad ogni
creatura» (I Pietro, 2, 13). Se non affronteremo gli altri con
l'atteggiamento di padroni che vogliono dominare, ed invece mettiamo nei
nostri rapporti qualche cosa di rispettoso, di sottomesso, disporremo il
prossimo allo stesso atteggiamento.
Ascoltate anche questo: « Reputatevi reciprocamente
superiori gli uni agli altri » (Filip., 2, 3). Allora ci useremo
considerazione, riguardi, amicizia. Quando ci si rivolge alle persone del
popolo, si è portati a tenerle a distanza, a parlare loro con una certa
condiscendenza, e non si riesce a conquistarne la simpatia. Bisogna
radicarci in questa verità che siamo tutti mèmbri di una stessa
famiglia: lo Spirito Santo ci ispirerà questa convinzione e la perfetta
mansuetudine con la quale dobbiamo avvicinare tutti i nostri fratelli come
figli del Padre celeste.
« Portate i pesi gli uni degli altri » (Gai., 6, 2).
Siamo compagni di cammino, ciascuno col suo
H() LO SPÌRITO SANTO tIÈLLA
VIVA 6tì.SflAVA
fardello: per gli uni, sofferenze intcriori o esteriori;
per altri, lavoro difficile; sappiamo penetrare nell'intimo degli altri,
portare le loro pene. Facciamolo verso coloro ai quali si rivolge il
nostro apostolato. Facciamolo entro l'ambito delle nostre famiglie : qui,
soprattutto, incontreremo dei fratelli e delle sorelle. Abbiamo questo
spirito di fraternità che in questa sede deve essere esplicito ed
ufficiale. Nei confronti di questo primo prossimo, esercitiamo lo spirito
di mansuetudine che ci viene dall'ispirazione del dono di Pietà, poiché
andiamo verso uno stesso Padre che vuole il bene di noi
tutti, in uno stesso amore.
Se facciamo queste cose, possederemo la terra. Non abbiamo
forse tutti la grande ambizione di avere influenza, di governare le
coscienze, di fruire della approvazione degli uomini, di possedere i
cuori? Il grande mezzo è la mansuetudine. Gli Apostoli non ne hanno
conosciuto altro e sono stati efficaci nella loro opera, avendo la guida
dello Spirito Santo. La mansuetudine ispirata dalla pietà è onnipotente.
Se vogliamo possedere la piccola terra della nostra comunità, oppure
quell'altra terra che è il campo del nostro apostolato, o anche la buona
fama nella nostra città, serviamoci della mansuetudine, è il mezzo
efficace. Essa ci darà, non solo la terra di quaggiù, ma l'altra che ci
at-
SeAWUDINE DELLA MITEZZA O ]^ANSUÈTut)lN£
^
tende in alto (lassù). La „« Pietà », insieme alla
mansuetudine che ci comunica, è utile a tutto;
ha la promessa della vita presente, la terra, e della vita
futura, il ciclo.
Coloro, dunque, che avranno tenuto a freno le loro
passioni intcriori con la mansuetudine che scaturisce dallo Spirito di
Pietà, avendo il culto della paternità celeste e vivendo nella
fraternità, irradiando dolcezza attorno a sé, avranno fin d'ora la «
terra delle anime » e più tardi la terra dei viventi. La loro pietà,
infatti, ha la duplice promessa della vita presente e della vita futura.
CAPITOLÒ SETTIMO IL DONO DEL CONSIGLIO
« Parla, Signore, il Tuo serva Ti ascolta » (Rè.,
3, 9-10).
E' questa la parola che il giovane Samuele, su consiglio
del gran sacerdote Eli, rispose al Signore che lo chiamava e, da quel
momento, fu a sua volta un gran profeta. Tale parola ci introduce nel
nostro soggetto: «il dono del Consiglio», che ci viene incontro sotto la
forma di una parola di Dio. Egli ce la fa udire intcriormente; non ci
istruisce dal di fuori, come fa con la parola della Chiesa, ma
dall'interno.
1 - Posizione del Consiglio
nell'organismo spirituale
Prima di dire ciò che lo Spirito Santo ci ispira col suo
Consiglio, è bene porre il dono del Consiglio nel suo centro (o al suo
posto).
114 L0 SPIRITO
SANTO NELLA VITA cristiana
Da notarsi che i doni ci sono dati per venire in aiuto
alle debolezze delle nostre virtù. Queste, pur soprannaturali, ma
appartenendo a noi esseri mutevoli che ne disponiamo per il nostro agire,
partecipano, da questo lato, alle infermità della nostra natura. Le
virtù sono tuttavia delle grandi perfezioni in rapporto alla natura
stessa. La fede è una grande perfezione per la nostra intelligenza che
eleva ad una sfera ben superiore alle forze del nostro spirito. La
speranza e la carità perfezionano grandemente la volontà: esse
l'attirano verso i beni eterni e la muovono a sentimenti di amicizia per
Dio. La prudenza ha pure un grande compito, poiché s'impadronisce delle
intenzioni della carità e le trasforma in realizzazioni pratiche,
mettendo la volontà sotto l'influenza della giustizia, regolando le
passioni con la temperanza e la fortezza.
La prudenza interviene fra le ispirazioni dell'amore di
Dio che essa raccoglie e le potenze attive che essa muove. E' la virtù
del governo, il centro della vita morale soprannaturale; trasforma le
a-spirazioni dell'amore negli atti minuti (o nelle azioni pratiche), e
l'amore si prova con i fatti.
Anche per i doni lo schema è lo stesso: il dono del
Timore perfeziona la virtù della temperanza;
il dono della Fortezza perfeziona la virtù della
fortezza; il dono della Pietà perfeziona la virtù
IL DÓNO DEL CONSIGLIO ^5
della giustizia. Elevandosi, il dono del Consiglio
perfezionerà la virtù della prudenza. Più in alto ancora, i doni
dell'Intelletto e della Scienza serviranno la virtù della fede, il dono
supremo della Sapienza servirà la virtù divina della carità.
Poiché il dono del Consiglio perfeziona la facoltà di
governo pratico, si trova « al centro » dell'azione dello Spirito Santo
in noi. Più in alto vi è la contemplazione; più in basso, la pratica di
ogni giorno; al centro, il Consiglio trasforma la luce della
contemplazione in ispirazioni pratiche, come la prudenza, ma nella maniera
sua propria che è più elevata. Esso ha un compito direttivo sugli altri
doni inferiori: la Fortezza, la Pietà, là Giustizia; come la Prudenza lo
ha sulle virtù della religione, della giustizia, della fortezza, della
temperanza.
Il - Gli
interventi dello Spirito di Consiglio
Qui si potrebbe fare un'obiezione. Come può il Consiglio
essere un'ispirazione? Non c'è niente che rassomigli meno ad
un'ispirazione che la prudenza, che si occupa di sapere quale partito
prendere e che pesa tutte le cose per scegliere il migliore. I consigli
sono la cosa più lunga e più im-
1-16 LO SPIRITO SANTO NELLA
VITA CRISTIANA
brogliata. Niente rassomiglia meno ad un'ispirazione che
un consiglio.
Ciò è vero per i consigli dati, ma non per quelli che si
ricevono; se ci vengono dati da una persona qualificata, arrivano già
maturati, degni di essere accettati immediatamente. Ora, i consigli che ci
vengono dallo Spirito del Padre e del Figlio sono il frutto del consiglio
della Trinità. Lo Spirito Santo ce li da già pronti; ce li inspira
intcriormente mettendoli nel nostro cuore.
Questi consigli esistono?
Ne abbiamo l'esperienza. Giovanna d'Arco lo sapeva bene
quando rispondeva ai giudici: «Voi avete preso parte al vostro consiglio,
ed io al mio ». Ella parlava, è vero, delle sue voci, ma le sue voci
erano voci di Dio; ella opponeva i consigli dall'alto a quelli degli
uomini. Questo aiuto dall'alto non manca a nessuna anima cristiana.
Il dono del Consiglio è assolutamente indispensabile per
trarsi d'impiccio nella vita spirituale. Dobbiamo dirigere la nostra vita
spirituale: non basta a tal fine una natura forte, educata alla temperanza
e alla giustizia. Abbiamo bisogno di una dirczione d'insieme; le
circostanze della vita cambiano, gli schemi si modificano, la nostra vita
personale non rimane la stessa, cambiamo con l'età, progrediamo o
indietreggiamo; dobbiamo adattare
IL DONO DEL CONSIGLIO \\'J
queste potenze di forza, di giustizia, di temperanza a una
materia essenzialmente malleabile, difficile a modellare secondo l'arte
dei santi. Da soli non sapremmo riuscire.
Inoltre, la nostra vista è corta, non vediamo « lontano
» in noi stessi, ed abbiamo uno strumento adattissimo per chiuderci gli
occhi : l'amor proprio, che ci nasconde le vie della prudenza. La vita,
persone e cose, gira incessantemente attorno a noi. Non vediamo « bene »
o, se vediamo bene, non abbiamo la fermezza necessaria per imporre a noi
stessi il nostro giudizio. Tavolta usiamo « le vie traverse », se il
partito giusto ci sembra troppo difficile ; o « giochiamo d'astuzia »
con le ispirazioni dell'amore di Dio, per non contrariare i nostri
attacchi, le nostre abitudini. Questa è sovente la nostra psicologia nel
governo di noi stessi.
La virtù della prudenza, anche soprannaturale,
s'inserisce in questa psicologia di miseria: diventata cosa nostra, tocca
a noi manovrarla, ne serbiamo l'iniziativa. Essa è certamente una
perfezione soprannaturale, ma noi abbiamo ancora delle passioni, delle
intenzioni nascoste, non agiamo con sincerità e perseveranza. Tuttavia,
una volta concepita l'intenzione dell'amor di Dio, dovremmo trasformarla
in dirczione pratica di immediata esecuzione; tale ? l'esigenza della
virtù .perfetta,
Hg LO SPIRITO
SCINTO NELLA VITA CRISTIANA
Donde viene l'ostacolo a questa perfezione ?
Nostro Signore dice : « La luce del vostro corpo,
è.l'occhio; se il vostro occhio è sano, tutto il corpo sarà nella luce;
se il vostro occhio è cattivo, se il vizio lo turba, tutto il corpo sarà
nelle tenebre» (Matt., 6, 22-23).
Il nostro corpo è l'azione; l'occhio è la luce della
coscienza. Se il nostro occhio non è puro, in che modo potremo rispondere
alle direttive della carità: sì, se così è; no, se non è
così? Ecco il lato debole.
Lo Spirito Santo s'interpone appunto per venire in aiuto a
questa debolezza. Vi è, infatti, un altro aspetto più consolante: non
passiamo tutta la vita a destreggiarci; ci sono anche delle ferme
decisioni, altrimenti non saremmo degni del nome di cristiani. Quando lo
Spirito Santo vede che l'anima giusta si dibatte, le da dei buoni
consigli:
consigli persuasivi, efficaci, che tendono a farle
realizzare la cosa voluta da Dio, tanto sono insistenti. Questi ci vengono
dati per gli atti. più or-dinari, perché la materia dei doni non è
forzatamente elevata... Siamo sotto l'influenza di una passione,
l'irritazione, per esempio; una voce ci dice: contieniti, taci, rimani
padrone di tè. Ci chiediamo ciò che bisognerebbe dire a tale persona;
ci raccogliamo, si fa la luce; ecco cip che bisogna
IL DONO DEL CONSIGLIO 119
dire o che non bisogna dire: è il consiglio che abbiamo
ricevuto dall'alto! Siamo tentati ad agire troppo in fretta; qualche cosa
ci trattiene, ci spinge a riflettere, a pregare prima di operare: il
Consiglio ci ritira dalla precipitazione. Se, al contrario, siamo portati
alla negligenza, ci scuote. In circostanze più gravi, abbiamo delle
prove, delle preoccupazioni, un cambiamento di esistenza, la nostra anima
è turbata; ci raccogliamo nella pace ed è la risposta divina: « Perché
ti tormenti? Ad ogni giorno basta la sua pena » (Mat., 6, 34). O anche :
« Getta la tua pena nel Signore, Egli ti nutrirà »
(Salmo 54, 23). Improvvisamente, nel momento in cui stavamo per prendere
una decisione disperata, veniamo illuminati, consolati, e possiamo
continuare il nostro cammino. Talvolta lo Spirito insinua, stimola;
talvolta Egli riprende, rimprovera:
è il rimòrso; talvolta si fa giudice: testimonia nel
nostro interno sulla bontà o sulla malizia del nostro operato.
Ili - Consiglio e coscienza
Ma, si dirà, qui è la coscienza dei filosofi che parla,
non è lo Spirito Santo!
Che cos'? la coscienza ? E' il suggerimento della
120 L0 SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
retta ragione, la quale è una partecipazione della luce
di Dio. Ora questa voce della coscienza rassomiglia fortemente alle
ispirazioni dello Spirito Santo. La nostra ragione è retta, quand'essa è
sotto l'influenza della ragione di Dio, quando parla sotto la sua mozione.
Però, in un'anima divinizzata dalla grazia, che ha qualcosa della natura
di Dio, che è sotto l'azione costante dello Spirito Santo, della grazia
del Cristo, vi è di più: vi è l'illumi-nazione propriamente detta.
Tutto ciò tuttavia, coscienza e illuminazione non fa che un tutto unico.
Di fatto, è lo stesso Dio che illumina la coscienza e da l'ispirazione.
Per l'anima divinizzata, nella quale inabita Dio, e dove Egli ha creato
tutto un organismo per ricevere le Sue ispirazioni, quando è sottomessa
al regime dei Doni, i suggerimenti della coscienza sono in realtà delle
ispirazioni dello Spirito Santo, o meglio le illuminazio-ni del dono di
Consiglio si esprimono con i suggerimenti luminosi della coscienza. La
filosofia sola, infatti, non può spiegare tutta la psicologia
soprannaturale della coscienza. Nell'anima divinizzata, la vita naturale
si compenetra con la vita soprannaturale. La teologia considera questa
realtà totale e negli incitamenti della coscienza che s'impongono con
forza, discerne questo elemento soprannaturale: l'ispirazione,
IL DONO DEL CONSIGLIO • 121
Nostro Signore non ci ha forse assicurato che lo Spirito
Santo sarebbe stato la nostra grande coscienza? «Vi manderò lo Spirito
Santo, Egli riceverà del mio e vi suggerirà tutto ciò che vi ho detto»
(Giov., 14, 16, 26; 16, 14). Questi di nuovo vi sarà inviato nel momento
in cui ne avrete bisogno, sotto forma di suggerimento impalpabile,
invisibile, sotto la forma di un consiglio.
IV - Pratica
Dobbiamo ancora vedere in che modo il dono del Consiglio
può suggerirci, in certi casi,, tale o tal'altra parola di Nostro
Signore, per soddisfare ai bisogni di tutta la nostra vita cristiana.
Consideriamo un po' le esperienze della nostra vita.
Ci troviamo in colpa, per esempio, per aver mancato alla
carità fraterna. Abbiamo fatto male, lo sappiamo; ma, per l'animosità
che si prova ancora, non ci si può calmare e arrivare alla pace
necessaria per ricevere Nostro Signore. Improvvisamente si sente nel più
profondo di noi stessi questa parola: «Se, quando tu presenti la tua
offerta all'altare, ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di
tè, lascia la tua offerta dinanzi all'altare e va prima a riconciliarti
col tuo fratello,
122 LO SPIRITO SANTO NELLA
VITA CRISTIANA
1 ' ' ^
poi vieni a presentare la tua offerta » (Mat., 5, 23-24).
Si era esitanti, non si aveva il coraggio: eccoci liberati! E' lo Spirito
di Consiglio che ci ha dato la luce che ci era necessaria. Si segue il
comandamento del Vangelo e, riconciliati, si va alla comu- • nione.
Un'anima è tentata dal demonio della vana gloria, il
quale si insinua frequentemente nelle buone opere. L'orgoglio, dice san
Vincenzo Fer-rier, s'inorgoglisce persino della sua caduta; dopo essere
caduti ed avere fatto un atto di umiltà, ecco che ci si trova a pensare:
Come sono stato umile! La legittima soddisfazione di un'opera buona si
cambia così in amor proprio. L'anima è trascinata e il bene è
contaminato. Essa forse non se ne rende conto... Ed ecco che si ricorda
della seguente parola: « Chela vostra luce brilli in una tal maniera che
gli uomini, vedendola, glorifichino il vostro Padre celeste che sta nel
Cielo » (Mat., 5, 16). E l'anima comprende che deve avere un unico fine,
che la sua luce non deve brillare per la sua propria gloria, e ch'essa non
deve trarre vanità dalle sue ^ buone opere. Oppure, nella stessa
circostanza, lo Spirito suggerisce un'altra parola: « Che la vostra mano
destra ignori ciò che fa la sinistra» (Mat., 6, 3), « Pregate il
Signore nel segreto, dopo aver chiusa la porta, affinchè nessuno lo
sappia. Se di- .,
IL DONO DEL CONSIGLIO yQ
giuriate, adornatevi, perché non lo si veda...». Nostro
Signore aveva un tale culto dell'oscurità nelle buone opere, dell'umiltà
! Ed io a che punto sono? Proseguendo sul terreno dell'amor proprio, avrei
perso tutto il frutto della mia azione!
In seguito ad azioni maldestre o a colpe, ci si è esposti
a ricevere dei rimproveri. Invece di riconoscere semplicemente i propri
torti, si cercano delle spiegazioni, ci si vuoi « riprendere »,
scusarci. Ecco, però che risuona in fondo al cuore la vóce di Nostro
Signore : « Che la vostra parola sia sì quando è sì; no quando è no
» (Mat., 5, 37). E rientriamo in possesso di noi stessi : « Dirò le
cose come stanno». Eccoci liberati dalle nostre duplicità, dai nostri
farisaismi. ;
Un'altra volta l'anima tentata dice a se stessa:
Questa persona con la quale vivo ha una quantità di
difetti, è maldestra e non vuole riconoscerlo; è irritante... non posso
vivere con lei; che peso!... E d'un tratto l'anima sente : « Fa
attenzione che nel guardare la paglia nell'occhio di tuo fratello, tu non
veda la trave che è nel tuo » (Mat., 7, 3). Ed essa, subito illuminata,
dice a se stessa: « Questa persona è come me : ha i suoi difetti, io ho
i miei, siamo compagni d'infermità».
Ecco adesso l'anima in mezzo a prove di salute e di
abbattimento, crisi interne q esterne le fann.g
•[24 L0 SPIRITO
SANTO-NELLA. VITA CRISTIANA
sentire il peso della vita, ed essa grida: «Signore che
Ti ho fatto? Ciò è insopportabile». Ma d'un tratto la parola del
Vangelo si fa sentire : « Se qualcuno vuole venire dietro di me, rinneghi
se stesso, prenda la sua croce e Mi segua » (Mat., 16, 24). Allora
l'anima risponde : « Ho voluto seguirti. Signore, ho ciò che Tu mi hai
annunciato: la mia croce da portare... rinnegarmi. Comprendo, e accetto».
Oppure «Venite a Me voi tutti che siete affaticati... Prendete il vostro
giogo che è il Mio... è leggero» (Mat., 11, 30), perché l'ho portato
Io e voi lo portate con Me. Nostro Signore fa in tal modo brillare la luce
della sua croce. Egli da l'intelligenza del mistero della croce. Dice a
noi come a san Pietro che fuggiva il martirio : « Ritorno a Roma per
esservi di nuovo crocifisso». Allora anche noi rientriamo a Roma, e
riprendiamo la nostra croce.
Bisognerebbe citare tutto il Vangelo... Lo Spirito Santo
rafforza le luci della nostra coscienza con le sue ispirazioni. A volte in
una maniera dolce: è un suggerimento, un mormorto, ma persuasivo,
insistente. Altre volte è un duro rimprovero, quando non ascoltiamo e ci
ostiniamo. Egli agisce per illuminarci in ogni circostanza. Il Vangelo ci
istruisce in generale. Lo Spirito Santo fa rivivere in noi i consigli del
Vangelo al momento
IL DONO DEL CONSIGLIO ]^5
opportuno, in faccia alle difficoltà. « Egli vi
suggerirà, dice Nostro Signore, tutto ciò che vi ho detto» (Giov., 14,
26).
L'opera del dono di Consiglio è una realtà. Siamone
consapevoli. Per la grazia santificante abbiamo il dono del Consiglio e la
facoltà di ricevere le sue ispirazioni; cerchiamo di essere fermamente
convinti che siamo sotto la sua azione e serviamocene; prendiamo
l'abitudine di ricorrere ai suoi lumi e, quando il bisogno si farà
sentire. Egli ci aiuterà al momento giusto.
V - Mater boni cowsilii
La Santissima Vergine è mediatrice, mediatrice universale
in ordine alla grazia. Ora, Ella è salutata in modo particolare dalla
Chiesa come mediatrice delle grazie di cui ci occupiamo qui. Leone XIII ha
aggiunto alle sue litanie la seguente invocazione: « Mater boni consilii
», invocazione cara all'Ordine di San Benedetto.
La Santissima Vergine ha certamente il diritto e il dovere
di darci direttamente dei consigli; ma la sua azione si esercita anche per
ottenerci i consigli dello Spirito Santo: Ella può pregare loSpi-
\^jq LO SPIRITO SANTO f!Ét,LA' VITA CRISTIANA
rito Santo e agire su di Lui, affinchè ci dia le sue
ispirazioni quando ne abbiamo bisogno.
Che cosa ci resta da fare?
Mettiamo in movimento il nostro dono, mettiamoci sotto
l'ispirazione dello Spirito Santo;
mettiamoci pure sotto la protezione della Vergine Santa:
Ella ci ricorderà di ricorrere allo Spirito Santo, e Lei stessa Gli
chiederà di venirci in aiuto. Il dono perfetto allora ci sarà
doppiamente garantito: da parte nostra, poiché tenderemo la nostra vela
al soffio dello Spirito Santo, che ci darà i suoi doni; da parte della
Santa Vergine, poiché, oltre i suoi doni, saprà muovere la nostra buona
volontà pregando lo Spirito Santo, affinchè ci dia i suoi quando ne
avremo bisogno.
CAPITOLO OTTAVO BEATITUDINE DEI MISERICORDIOSI
« Beati i misericordiosi perche otterranno
misericordia » (Mat., 5,7).
I - In che senso la misericordia è detta l'effetto
proprio del dono di
Consiglio?
La misericordia è, secondo sant'Agostino e san Tomaso,
l'effetto proprio del dono del Consiglio. Indubbiamente questo dono ha una
sfera più vasta di quella della misericordia. Dallo Spirito Santo
possiamo ricevere consigli per ogni cosa: ne fa testimonianza la varietà
che troviamo nel Vangelo. Il Consiglio è un dono direttivo, e dirige
tutte le virtù morali, l'umiltà, la castità, la giustizia, la pietà,
la religione... I consigli dello Spirito Santo si estendono ad ogni ordine
di cose. Perché, allora, collegare particolarmente la misericordia a
questo dono?
In ogni virtù, come in ogni opera in generale,
128 LO StìNTO
SANTO NELLA VITA cristiana
vi è un punto nel quale si manifesta tutta l'eccellenza
di questa virtù, nel quale essa raggiunge il grado più alto. San Tomaso
dice che la fortezza da il massimo di sé, solo nel martirio; ed egli ne
conclude che il martirio è l'atto proprio della fortezza, benché sia
pertanto un atto di fortezza il resistere a un dolore minore. Allo stesso
modo la misericordia è « l'effetto proprio » del dono di Consiglio,
perché qui essa da la sua pienezza.
II - In
che consiste la misericordia?
Vediamolo dapprima per contrasto. La misericordia non è
la semplice carità fraterna, che e-stende a tutti il suo effetto: la
benevolenza. La Carità è universale, fa il bene senza preferenza di
persone; si può fare del bene al proprio superiore o a un ricco, che non
sono pertanto dei «miserabili ». Distinguiamo, dunque, già la
misericordia dalla carità.
La misericordia non è l'elemosina. Questa è un atto
della misericordia: un'anima misericordiosa mette la sua attività nel
dare l'elemosina. Sappiamo che ci sono sette specie di misericordia
corporale e sette di spirituale. Le elemosine corporali, però, che hanno
per oggetto il corpo, molto
BEATITUDINE DÈI MISERICORDIOSI
129
facilmente vanno al di là, sino all'anima, che è
spirituale.
La misericordia non è neppure la semplice bontà che
è qualcosa di più generico.
La misericordia è un sentimento di pietà che ci viene
ispirato dalla carità, e ci rende inclini verso il « miserabile » verso
chi è privo di tutto, sia dal punto di vista temporale che spirituale.
Non esiste la misericordia, se non ci sono miserabili; sono costoro che
fan sorgere il sentimento della misericordia, che deve essere regolato
dalla prudenza, e adottato dalla carità, affinchè l'amore di Dio ne sia
il movente. La misericordia è una sfumatura eccellente della carità
fraterna; è in essa che l'amore per i fratelli raggiunge la sua pienezza;
per essere misericordiosi bisogna « amare di più » il prossimo, che per
essere semplicemente buoni e caritatevoli.
La misericordia si volge ad ogni specie di miseria,
fisica, morale o intellettuale, e s'impegna per rimediare a questa
miseria. Per ovviare a una grande miseria, bisogna essere ricchi, potenti,
superiori. Un atto di benevolenza per una persona piacevole è una
carità, ma non è difficile. Quando ci si trova di fronte a un abisso e
si vuole colmarlo, quando si vuole andare ad aiutare un'anima per
9. • Lo
Spirito Santo nella vita cristiana
130 L0 SPIKITO SANTO' NELLA VITA CRISTIANA
sottrarla alla miseria, è un atto di carità speciale ed
eccellente, che suppone il possesso di abbondanti tesori di bontà, e di
mezzi adatti per alleviarne i grandi mali.
Per questa ragione, secondo lo stesso san To-maso, la
misericordia è l'atto proprio e speciale di Dio. Infatti, Egli è
l'Essere superiore p&r eccellenza, nulla Gli manca. Quando si volge
verso la povera creatura, è spinto a venirle in aiuto perché è ricco e
buono: la miseria attira il dono della divina sovrabbondanza. Tutto è
miserabile per Dio, anche gli angeli, eccezion fatta per gli angeli
beatificati e i santi beati perché sono ormai saziati. Tutto ha bisogno
di Dio. Bisogna che Dio comunichi l'essere ad ogni cosa e provveda ai
bisogni di tutto ciò che esiste. E' proprio di Colui che ha creato questo
povero mondo di inclinarsi verso di esso in un sentimento d'amore, che è
di pura misericordia. Tutte le nostre bontà non raggiungono la
nobiltà di questo Amore, che non avendo bisogno di nulla, s'inclina verso
colui che ha bisogno di tutto, per dargli tutto.
Vediamo in tal modo che la misericordia differisce dalla
mansuetudine. Questa ci fa dominare e trattenere in noi ciò che possiamo
avere di spiacevole, di dannoso, di perverso, d'irritabile, affin-
BEATITUDINE DEI MISERICORDIOSI
131
che non escano da noi altro che soavi e buone azioni per
il prossimo, qualunque esso sia. La mansuetudine ci ispira dapprima di
correggere noi stessi; di ingentilire i nostri costumi e di placare le
nostre passioni per volgerci, in un secondo tempo, agli altri con soavità
e guadagnarne il cuore. Essa è di regola nei rapporti con tutti. La
misericordia, al contrario, è una carità che si propone di venire in
aiuto ai soli miserabili, e come la mansuetudine non suppone sempre la
miseria che è indispensabile alla misericordia, la misericordia a sua
volta non esige sempre la « correzione » 2) intcriore, di cui
non può fare a meno la mansuetudine.
Ili -
Rapporto esistente fra la misericordia e il dono del Consiglio
In che modo lo Spirito Santo, inviandoci il Suo Consiglio,
ci rende misericordiosi? Perché la misericordia è l'effetto proprio del
dono di Consigliò ? E' facile adesso comprenderlo.
2 ) La parola « correzione »
è presa qui in un senso speriaie ed indica quello stato ispirateci dalla
mansuetudine nel « corregger? t> le nostre asperità.
^32 L0 SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
a) - Z/ ^o»o del Consiglio e la verità Sella nostra
miseria.
Il dono del Consiglio, perfezionando la prudenza che è la
facoltà del nostro governo personale, deve avere la qualità prima della
prudenza, che è di farci vedere le cose come sono, di farci vedere
giusto, ma a fondo. L'uomo prudente vede giusto, così vien chiamato un
uomo giudizioso. Egli vede il giusto mezzo, la giusta decisione da
prendere. Vede giusto in sé: nella sua natura, liei suo carattere, nelle
sue passioni per dominarle;
nelle sue qualità per usarne. Egli vede giusto negli
altri, in tutti coloro che hanno qualche rapporto con lui3).
La risultante del dono di Consiglio deve essere dunque di
far vedere giusto in noi e negli altri.
Che cosa significa veder giusto?
Vedere giusto è innanzi tutto riconoscere la miseria
universale. La grande verità è questa: che siamo una collezione di
miserabili, senza eccezione per noi stessi. Non abbiamo niente di
veramente buono, di veramente forte; la nostra natura
3) Facciamo osservare che veder giusto non è la sola
qualità della prudenza, ci vuole anche la forza di volontà che
eseguisce:
il prudente deve governare, dare l'impulso.
BEATITUDINE DEI MISERICORDIOSI ^33
è limitata e, senza la misericordia del buon Dio, non
faremo che cose estremamente mediocri. Questa natura, d'altronde, è
decaduta; Dio l'aveva fatta potente, retta per la sua giustizia originale.
L'uomo che possedeva in sé l'avvenire dell'umanità, malgrado i doni
ricevuti, ha peccato, si è separato da Dio. Nostro Signore, è vero, ha
col suo sacrificio, riparato la colpa, ma molti ancora non aderiscono a
Lui e rimangono nella loro miseria; ed anche negli stessi cristiani rimane
l'inclinazione cattiva, conseguenza delle ferite del peccato. Gesù Cristo
riconciliandoci, ci ha resi capaci, di nuovo, di vivere della vita divina;
se la colpa, però, è riparata nella parte superiore della nostra anima,
se, munita della grazia e della carità, l'anima può aprirsi una strada
verso la beatitudine, rimane nondimeno un focolaio d'incendio; le passioni
sono contenute, ma ancora vive, il loro ardore ci infiamma per cose
cattive: la superbia dello spirito, la concupiscenza della carne, la
collera... Ci son state lasciate quattro ferite per avere più meriti
nella conquista del ciclo.
Coloro che non sono stati rigenerati col battesimo sono in
uno stato ancor più miserabile, e i cristiani, che non hanno conservato
la grazia, hanno qualcosa di questo stato di spaventosa miseria,
134 L0 SPIRITO
SANTO NELLA VITA CRISTIANA
Quanto a coloro che fanno il possibile per rimanere nella
carità, hanno anch'essi il loro triste retaggio.
Noi dunque lo diciamo ed è vero: l'umanità è una
collezione di miserabili, e noi siamo in testa. Dio lo vede e diffonde la
Sua bontà su tutti, ci dice Nostro Signore: «Egli fa piovere sui buoni e
sui cattivi, brillare il sole sui giusti e sugli ingiusti » (Mat., 5,
45), tanto nel campo spirituale che in quello temporale. Egli vede la
miseria di, tutti, ed è per questo che i suoi benefizi sono-così
sovrabbondanti; privo di ciò, il mondo non terrebbe l'equilibrio
necessario. La sapienza e la prudenza di Dio si manifestano nella sua
misericordia.
Il Dio del Vangelo, la Sapienza incarnata, e una vivente
manifestazione della misericordia divina; tale qualità si rivela nella
persona di Nostro Signore. E' questa ..una prova della sua divinità; è
un argomento potente di apologetica: se Nostro Signore non fosse stato
Dio, che avrebbe potuto suggerire agli evangelisti, che dovevano
descrivere un Dio incarnato, di farLo misericordioso, dandogli proprio
questo attributo fondamentale di Dio? Appunto perché era Dio, infatti.
Nostro Signore ha messo in opera molto naturalmente la misericordia
divina: essendo Dio, Egli era infinitamente misericordioso, lo era al
massimo grado.
BEATITUDINE DEI MISERICORDIOSI
135
Ed è in ciò che si manifesta la sua meravigliosa
sapienza, la sua prudenza.
L'episodio più commovente riferitoci dal Vangelo, nel
quale rifulge la misericordia di Dio in Nostro Signore, è forse quello
della donna adultera (Giov., 8, 3-11). I farisei, avendo sorpreso questa
donna, la conducono dinanzi al Maestro, e Gli dicono che la legge di Mosè
ordina la sua lapidazione ; Gli domandano che ne pensa : « Chi di voi è
senza peccato scagli la prima pietra », dice il Salvatore a quegli
ipocriti, che presto si allontanano uno dopo l'altro. Poi rimasto solo con
quell'infelice: «Nessuno ti ha condannata», le dice, « e neppure io ti
condanno, va' in pace e non voler più peccare».
In questa scena si rivela chiaramente la vista corta
dell'uomo e la lucidità (o penetrazione profonda) di Nostro Signore che
è Dio: quegli uomini sono spietati, sono felici di aver sorpreso questa
donna e vogliono che le sia applicata la legge. Non vedono che, in fondo,
sono loro i più miserabili; la colpa di lei è grave, ma è meno grave
della loro. Essi hanno la superbia dello spirito, l'ipocrisia in materia
religiosa, un'assoluta mancanza di carità; bianchi all'esterno «come
sepolcri », osservano la legge dal di fuori, « filtrano i moscerini» e
si credono puri. Si rendono conto
136 L0 SPIRITO
SCÌNTO NELLA VITA CRISTIANA
questi sepolcri, che sono pieni di putredine? La passione
ha oscurato la loro vista! L'uomo non sa che cos'è l'uomo. Insensati!
Nostro Signore sapeva invece « ciò che vi è nell'uomo»
(Giov., 2, 25); una profonda miseria fisica e morale, l'impotenza a volere
il bene, la capacità a volere il male. Di fronte a quest'oceano di
povertà e di miseria, che cosa è questa donna? Un « caso particolare »
della legge universale. La' sua colpa è grave, ma Gesù non ne è
sorpreso, ve ne sono altre più gravi in questi farisei che vogliono
lapidarla. Egli vede lungi, vede il fondo di miseria che si nasconde in
ogni cuore umano, in ogni volontà umana, in ogni vita umana. Egli lo vede
chiaramente, perché niente Gli è nascosto, e, nella Sua natura umana è
pienamente assistito dallo Spirito di Consiglio. Allora si disinteressa
della dura giustìzia umana: e lo dimostra scrivendo per terra. Che cosa?
Non lo sappiamo. Egli ha scritto una sola volta e sulla sabbia. Gli
accusatori si rendono conto della loro ridicola posizione, e, vedendo
indubbiamente le colpe che nascondevano a se stessi, si ritirano. Allora,
viene la parola di misericordia: tutta la misericordia di Nostro Signore,
il Suo amore per i peccatori è in questa parola.
BEATITUDINE DEI MISERICORDIOSI
137
Egli cercava di preferenza i peccatori. Egli dimorava
presso un Zaccheo, un pubblicano appartenente a una razza di peccatori. Un
Dio che si fa una simile reputazione ! Che misericordia straordinaria! Ne
siamo rapiti. Ma un Dio vede con chiarezza!
Il misericordioso vede giusto; per conseguenza è
profondamente prudente. Egli ha tutti gli elementi per giudicare, può
dire la verità, mostrare la condotta da seguire: nessuno vede più a
fondo di lui. La misericordia sarà, dunque, fra tutti gli atti ispirati
dal dono del Consiglio, il gioiello, la perla preziosa. Se vogliamo vedere
chiaramente, essere prudenti, siamo misericordiosi. Vedremo in tal modo
con verità l'uomo che siamo, conosceremo anche gli uomini che ci
circondano. La misericordia facendoci penetrare la miseria universale,
scopriremo meglio la scintilla di bene che Dio vi ha lasciato, e che
dobbiamo riconoscere, anche in coloro che sono cattivi, perversi, tarati.
Quando Nostro Signore, nella persona del Padrone del
campo, risponde ai servitori che Gli chiedono se debbono strappare il
loglio seminato dal nemico : « No, lasciate crescere il grano e il loglio
sino alla mietitura; poi li separerete» (Mat., 13, 24-30), mostra la sua
pietà a cagione di questa scintilla di bene che scopre anche nelle
volontà più
138 LO SPIEITQ .SANTV NELLA
VITA CRISTIANA
perverse. Sulla croce, davanti a quella folla che ha
crocifisso il suo Rè, davanti ai crudeli farisei dice: «Padre, perdona
loro, perché non sanno quello che fanno» (Lue., 23, 34). In ogni male,
vi è sempre un fondo di bene sul quale far leva; in ogni anima, una
segreta energia, per elevarsi sino alla vita eterna.
Cerchiamo di vedere alla maniera di Cristo. Chiediamo allo
Spirito Santo di farci penetrare la miseria universale e la nostra. Allora
non saremo più scossi dall'indignazione farisaica che si insinua nelle
anime dalla vista corta che non hanno ricevuto il dono del Consiglio. Non
ci sarà più il disprezzo per gli altri, ne quelle maniere sdegnose,
crudeli, con le quali trattiamo talvolta i poveri miserabili, senza vedere
il male di cui soffrono, e che è la causa della loro ripugnante
bruttezza. Inoltre anche se ci dicono delle ingiurie, se qualcuno ci vuoi
male, capiremo che ciò è conseguenza di una piaga nascosta di cui queste
persone soffrono, e che dobbiamo avere pietà di questi infelici.
Abbiamo visto che lo Spirito Santo ci da questa vista
giusta, lasciamoci allora dirigere da essa nelle nostre opere di
misericordia.
BEATITUDINE DEI MISERICORDIOSI
139
b) Prudenza e misericordia.
\
II dono del Consiglio perfeziona divinamente, abbiamo
visto, l'opera della prudenza. Ora, che ci consiglia la prudenza?
Certamente di servirci del miglior mezzo per salvarci. Il dono del
Consiglio deve miettere in piena evidenza, in .una maniera tutta divina,
questo mezzo migliore, che è proprio la «misericordia».
Non c'è nel Vangelo/precetto più inculcato dì questo;
«Con la misura onde misurate, vi sarà rimisurato» - «Non giudicate e
non sarete giudicati. Secondo il giudizio col quale giudicate, sarete
giudicati » (Mat., 7, 2). Siamo in tal modo avvertiti che la misericordia
è il solo mezzo per ottenere misericordia. La suprema prudenza è di
essere misericordiosi ! E' dunque evidente il legame strettissimo fra la
misericordia e il dono del Consiglio che perfeziona la prudenza.
In una scena evangelica, Nostro Signore ci miostra quale
sarà la condotta del Padre Suo verso coloro che non fanno misericordia.
Un rè chiese conto del proprio denaro al suo servitore; costui non avendo
di che pagare, il padrone da ordine che sia venduto. L'infelice supplica,
e il padrone gli rimette tutto il debito. (Questa è l'immagine di
noi miserabili come eravamo dinanzi a Dio col
140 L0 SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
peccato originale e coi nostri peccati attuali, ch'Egli ci
ha rimessi). Ma il servitore graziato incontra un suo compagno di lavoro
che a sua volta era suo debitore, e lo afferra alla gola. Anche
quest'infelice supplica, ma l'esattore non vuole intendere ragione e
consegna il debitore alla giustizia. Vedendo ciò, i testimoni lo
conducono dal padrone che pronuncia un severo giudizio: Io ti ho rimesso
il debito, tu avresti dovuto fare lo stesso con tuo fratello. E lo punì
come si meritava. « Anche a voi succederà così, se di cuore non
perdonerete le ingiurie ricevute» (Mat., 18, 23-35).
E' la legge. Ci verrà usata misericordia, se abbiamo
fatto misericordia. Ne segue che le persone accorte, le anime prudenti,
debbono usare misericordia e prendere alla lettera la domanda del « Pater
» : « Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri
debitori». A misura che le ingiurie e le miserie si presenteranno, i
prudenti aumenteranno la loro misericordia per ottenere a loro volta il
perdono del Padre. E' questo un motivo d'interesse, ma Nostro Signore ha
giudicato opportuno di suggerircelo, per renderci più vigilanti.
La prudenza ci consiglia la misericordia, e la pratica
della misericordia ci renderà ancora più prudenti. L'aiuto dello Spirito
Santo che riceveremo per il governo di noi stessi, sarà il compenso
BEATITUDINE DEI MISERICORDIOSI ^
alle misericordie che avremo fatto. Se usiamo
misericordia, Dio ci darà una grazia di consiglio più profonda. Allora
saremo ancor più portati alla misericordia. In tal modo, di misericordia
in prudenza, e di prudenza in misericordia, sarà un cerchio senza fine
che avrà per risultato una grande potenza nel governo di noi medesimi, e
l'acquisto di innumerevoli meriti.
e) - Misericordia e salvezza delle anime.
Per essere salvati, non dobbiamo soltanto ottenere
misericordia, ma anche « cercare il regno di Dio e la sua giustizia »,
estendere questo regno, fare regnare nei cuori la carità di Cristo. Il
dono del Consiglio deve insegnarci il miglior modo per riuscirvi, e la
misericordia è ancora quello più eccellente. Ciò mostra un nuovo legame
fra il dono del Consiglio e questa virtù.
I grandi politici credono che il sapere a tempo usare la
forza sia il mezzo per regnare. La grande molla, invece, per noi, è di
penetrare questa miseria universale che si nasconde, e di cercare, con
benefici senza numero, di colmare quest'abisso. I misericordiosi
raggiungono, anche nelle cose soprannaturali, dei risultati che la
violenza non ottiene. Avere parole compassionevoli, essere buono,
142 LO SPIRITO SANTO NELLA
VITA CRISTIANA
sempre buono, è il mezzo per regnare sui cuori. E' la
politica più profonda. Se dobbiamo escludere la violenza, non dobbiamo
pertanto trascurare l'autorità: la correzione fraterna è compresa fra le
opere di misericordia. Ordinariamente, però, è con la dolcezza, le buone
maniere di un'anima compassionevole, aperta alle miserie altrui, che
conquisteremo i cuori. San Tomaso dice : « II dono del Consiglio dirige
specialissimamente nelle opere di misericordia » (II a II ae, q. LII, a.
4, ad I. m). Da la compassione che apre il cuore, e, quando il cuore è
conquistato, tutto il resto verrà. Con la misericordia, l'apostolo del
Salvatore conduce i peccatori sino al confessionale, sino alla comunione,
sino alla vita cristiana seria, sino alla sovrana dignità della vita
religiosa in tutta la sua pienezza. Cerchiamo di essere amabili, passando
sopra alle colpe altrui, pur vedendole; portiamo rimedio dapprima alle
miserie corporali, per arrivare poi agli intimi dolori; siamo
compassionevoli:
regneremo sui cuori, risusciteremo le anime. E, salvando
le anime, saremo certamente salvati : Dio ci giudicherà servi buoni e
fedeli.
Essere misericordiosi, significa, dunque, essere saggi e
profondamente prudenti. Ci sorprende allora che il dono del
Consiglio ci porti di preferenza alla misericordia?
BEATITUDINE DEI MISERICORDIOSI
143
* * *
II Consiglio dello Spirito Santo conosce il modo di
governare le anime. Dobbiamo, per primo, essere i figli dello Spirito
Santo, rimanere sotto l'azione del dono di Consiglio. Teniamoci in
contatto intimo con Lui, che ci comunicherà con più abbondanza lo
spirito di misericordia e ci dirigerà nel suo esercizio facendoci usare i
mezzi per essere buoni. In tal modo saremo condotti con prudenza nella via
della salvezza, certi di ricevere un giorno misericordia.
Rivolgiamoci allo Spirito Santo ogni volta che abbiamo
bisogno di essere misericordiosi, per veder giusto tanto nell'interesse
nostro che in quello degli altri; tendiamo la nostra vela per metterci
sotto la sua azione, e non iniziamo ne continuiamo nessuna opera di
misericordia, senza ricorrere costantemente al suo buon Consiglio.
CAPITOLO NONO IL DONO DELLA SCIENZA
« Le cose invisibili di Dio sono viste attraverso
le cose create, ivi compresa la sua potenza eterna e la sua divinità
» (Rom., 1, 20).
I - Transizione dai doni pratici ai doni intellettuali
Abbiamo terminata la parte morale del nostro studio. Col
dono del Consiglio è stata posta la base del governò pratico di noi
stessi per mezzo dei doni, Infatti il Timore, la Pietà, la Fortezza, il
Consiglio, costituiscono una sorte di sovrintendenza dello Spirito Santo,
che deve mettere il nostro mondo intcriore nella pace; così protette, le
potenze superiori della nostra anima, l'intelligenza con la fede, la
volontà con la speranza e la carità, potranno, infatti, svilupparsi in
pace nell'amore di Dio.
Dobbiamo ora risalire alla sorgente dalla quale
146 L0
SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
vengono le ispirazioni dello Spirito Santo; elevandoci
sino al principio stesso della nostra vita divina, ne fortificheremo le
energie, entreremo in relazione più intima col nostro Dio per mezzo della
fede e della carità! Lo Spirito divino aiuterà la nostra fede con la
Scienza e l'Intelligenza, aiuterà la nostra Carità con la Sapienza.
Stiamo per penetrare quindi nel regno di Dio, in un mondo
determinato dai nostri rapporti con Lui. Protetti dai doni pratici, ci
siamo occupati delle nostre relazioni con gli uomini e con noi stessi e
abbiamo cercato di cogliere tutta la perfezione che Dio vuole mettervi
mediante l'azione dello Spirito Santo. Adesso contempleremo,-l'altezza che
la fede e la carità debbono raggiungere sotto l'impulso dello stesso
Spirito.
Le virtù morali pratiche trovano il loro principio
direttivo nelle nostre relazioni con Dio. Il miglior modo di compiere un
atto morale, quindi, è di farlo per dare più posto nella nostra vita'),
all'amor divino. Noi stabiliamo dapprima le esi-
* ) Anche lo stesso dominio delle virtù morali deve
essere determinato dall'amore divino: la carità è la forma perfetta di
tutte le virtù; ma qui, le influenze della carità si esercitano in
tutt'altro modo che nel dominio superiore delle virtù teologali, ed è
ciò che si mostrerà con lo studio dei doni della Scienza,
dell'Intelletto e della Sapienza.
IL DÓNO DELLA SCIENZA \^J
genze dell'amor di Dio, per determinare poi il nostro
dovere, regolandoci su di esse. Tale è, si può dire, l'esercizio della
nostra vita cristiana sul terreno delle virtù morali, nei nostri rapporti
con gli uomini e con noi stessi. La nostra vita teologale ha un altro
ritmo. Con tutto il movimento della fede e della carità noi risaliamo
verso la vita intima di Dio. Per mezzo dell'attività di queste virtù,
imitiamo la vita stessa di Dio, compiamo gli atti riservati a Dio:
Conoscersi come Egli è, e amarsi in proporzione della sua conoscenza. Per
la misericordia di Dio, che ci fa partecipi della sua natura e del suo
potere, noi ci sforziamo di vivere la nostra vita divina, come figli che
cercano di imitare il loro padre; questo è il compito della Fede, della
Speranza e della Carità.
II -Natura della Fede
La fede è una virtù per la quale diamo il nostro assenso
alle verità riguardanti Dio contenute nella rivelazione, particolarmente
in quella di Nostro Signore. Essendo convinti, per fede, che Dio è come
ci insegna questa rivelazione, entriamo in relazione col vero Dio per
mezzo di un atto simile all'atto glorioso che Dio fa contemplandosi, e che
148 L0 SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
fanno con Lui, in ciclo, gli angeli e i beati. Non ci sono
due veri Dio, quello del ciclo e quello del Vangelo: quando crediamo nel
Vangelo, siamo in relazione di conoscenza col vero Dio del ciclo. Che bene
prezioso questo lume sull'oggetto della nostra futura felicità!
Possediamo già la sostanza di ciò che speriamo, e, grazie alla fede,
essa è a nostra portata. Proprio per la fede, noi ci appoggiamo sulla
testimonianza stessa di Dio, che è la Verità. San Tomaso canta nelF'Adoro
Tè: «Io credo tutto ciò che ha detto il Figlio di Dio».
Siccome la fede è una perfezione della nostra natura
umana (non possiamo credere contro la ragione), essa ricorre a certi
argomenti per aiutarci a credere: questa è apologetica; ma la fede non
riposa su di essa. La filosofia e l'apologetica servono soltanto a
convincerci che, facendo un atto di fede, facciamo una cosa ragionevole.
Dopo di che, « bisogna credere », credere in modo assoluto,
perché l'oggetto della nostra fede è rivelato. Il motivo è la
testimonianza stessa di Dio: «lo ha detto Dio », e Dio, con la
sua grazia, lo testimonia nel nòstro interno, come afferma san Giovanni:
« Colui che crede ha la testimonianza di Dio in sé »
(Mare., 8, 2; Mal, 9, 36). Un bambino battezzato, giunto all'età della
ragione, crede naturalmente come se fosse in piena luce. L'interna testi-
IL DONO DELLA SCIENZA 149
monianza di Dio inclina il nostro cuore e il nostro
pensiero a credere. Tale testimonianza è il vero movente della fede.
D'altra parte essendo la nostra fede uria virtù di questa
vita, durante la quale camminiamo verso il Ciclo, essa conserva una certa
oscurità, è come una debole luce che ci guida in un luogo tenebroso: non
siamo ancora arrivati alla patria luminosa, la guardiamo da lontano...
Quest'oscurità ci lascia insoddisfatti dal punto di vista intellettuale;
vorremmo vedere chiaramente: ci è penoso dover
continuamente obbedire alla fede solo per forza di volontà, invece di
avere la piena luce; sarebbe così bello vedere! Siccome però siamo per
via,'in un tempo nel quale dobbiamo meritarci l'arrivo al termine, non
dobbiamo vedere. Ne risulta che, pur non essendovi dubbio nella nostra
fede, perché aderiamo fermamente, vi è tuttavia una specie di
ondeggiamento: si prova come un movimento di oscillazione, il nostro
pensiero non è fissato dalla vista dell'oggetto. San Tomaso dice: «cogi-tatio»;
vi è una certa agitazione, un andare e venire del pensiero. Questo ci
spiega perché nell'orazione, siamo così soggetti alle distrazioni, alle
evasioni dello spirito: non bisogna attribuirli alla sola negligenza, ma
al fatto che non siamo «ancorati», la nostra contemplazione non ha
niente
.150 LO SPIRITO SCÌNTO NELLA VITA CRISTIANA
della contemplazione definitiva. Se, come gli angeli,
potessimo vedere l'Essenza divina, tutto sarebbe diverso. L'oggetto della
nostra contemplazione, invece, ha qualche cosa di sconcertante'nei
confronti di una conoscenza che è fatta per vedere, che cerca di vedere e
non vede. Per sua natura, dunque, la fede comporta una certa oscurità, e
dobbiamo rassegnarci a questa privazione, di non poter vedere Dio. La poca
luce della fede non ce lo permette, ma in ciclo riceveremo il lume di
gloria per questa visione beatifica; sulla tefira siamo trattenuti dai
legami del corpo.
ZJZ - Necessita
dei doni di Scienza e d'Intelletto
La fede presenta due altre difficoltà, che si superano
con l'Intelletto e la Scienza.
La prima difficoltà sta nel fatto che la fede, lume
soprannaturale, lume sovrumano, è radicata nella nostra ragione umana.
Essa la perfeziona, ma in contraccambio ne riceve una specie di urto. La
nostra ragione non è fatta per l'infinito; deve ottenere le sue
conoscenze per mezzo dei sensi ai quali è legata; questi la informano
sulle cose materiali, visibili, dalle quali deve risalire a pensieri
spirituali. Le cose sensibili e le .evidenze della
IL DONO DELLA SCIÈNZA 15^
ragione, riguardanti le creature visibili e comprensibili,
attirano il nostro spirito e possono stornarne l'attenzione e occuparlo
interamente. Le creature attirano la nostra conoscenza prima, e poi il
nostro cuore che, vedendole belle e buone, vi si attacca. E tutto questo
va a scapito della carità. Il compito della povera fede che parla delle
cose invisibili, diventa allora molto difficile. Il dono della Scienza
deve ovviare a questa imperfezione.
La seconda difficoltà proviene dalla rivelazione, dai
dogmi. La forma umana nella quale sono e-spressi non ci può soddisfare
interamente. La Sacra Scrittura eleva il più possibile le nostre idee,
affinchè possiamo estrarre il divino dalle concezioni umane. Ma noi non
penetriamo completamente il suo linguaggio, non andiamo sino in fondo. E'
difficile cogliere il senso di una parabola, ed ancor più penetrare in un
mistero, quello dell'Incarnazione, per esempio, nonostante le spiegazioni
date dalla teologia. Siamo pieni di ammirazione, vediamo che sarebbe dolce
capire, ma non possiamo addentrarci sino in fondo al mistero, il cui senso
è nascosto sotto la lettera. Di qui la necessità di un dono che ci
introduca nel cuore del mistero, e questo è il dono dell'Intelletto.
152 L0 SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
IV - II dono della
Scienza
II dono della Scienza è necessario a causa
dell'ossessione che anche il credente più sincero prova nei confronti
delle creature che sono l'oggetto naturale della sua conoscenza. Vediamo
le cose di questo mondo, e aon vediamo Dio; siamo attratti dalla
terra," e tentati di disertare la contemplazione divina.
Quanto, infatti, ci occupano la mente le creature, e come
ci lasciamo prendere dalla loro falsa scienza! Alcuni pensano ch'esse
possano spiegarsi senza Dio, perché si valgono della scienza falsa delle
creature. Altri credono che l'uomo sia nato buono, che non c'è colpa
originale in lui, che non c'è ragione quindi di purificarsi il cuore, e
che, tutta la natura essendo ugualmente buona, ci si può abbandonare alle
sue attrattive con piena libertà, goderne il più possibile. Altri non
vedono che il male; pensano che se vi fosse un Dio, non permetterebbe
terribili calamità come la guerra, la peste, la carestia, le miserie, le
malattie, i dolori d'ogni sorta. Altri ammettono Dio, ma credono che tale
cosa o tal'altra sfugga alla Sua Provvidenza, la libertà, per esempio, e
tutto l'ordine che da essa dipende. Essi vogliono in tal modo sottrarre
l'uomo e la società al governo divino,
IL DONO DELLA SCIEN.ZÀ 153
II fascino che la natura opera su di noi proviene
soprattutto dal suo potere di seduzione : essa contiene una parte di bene
col quale ci avvince. Abbiamo il desiderio della felicità; le creature ci
dicono: noi siamo questa felicità, e siamo tentati di acconsentire ad
esse e dimenticare Dio. Sappia-i,' mo sfuggire completamente a
questo materiali-' smo? I beni del mondo non tengono forse un
posto troppo grande in noi ? Siamo affascinati dalla I
loro vista, diamo loro un'importanza eccessiva, e abbandoniamo il pensiero
di Dio, o per lo meno esso si stempera, si allontana. Come è ostacolata
la nostra fede nel suo movimento verso Dio dall'ossessione del creato,
malgrado la forza della testimonianza divina! E' verissimo, gli oggetti
apparenti ci attirano: seducono la nostra intelligenza e il nostro cuore.
Lo Spirito Santo, vedendo la nostra fede in lotta con
queste ossessioni, ha voluto liberarcene con l'ispirazione del dono della
Scienza. Tale è la ragion d'essere di questo dono, che ci vien dato per
avere una giusta idea delle creature, affinchè non siano un ostacolo, ma
un aiuto; non impediscano la fede ma ne diventino un sussidio.
154 L0 SPIRITO SANTO NEU.A VITA CRISTIANA
V • I due aspetti del dono della Scienza
Lo Spirito Santo, con una prima ispirazione di questo
dono, ci farà capire, nel nostro essere intcriore soprannaturalizzato, il
vuoto, l'insufficienza, la vanità delle creature; ce ne farà
sperimentare, assaporare con delizia il nulla. Non si tratta certo del
vertice della contemplazione, questa non è che la prima tappa: sotto il
suo lume, però, ci appare chiaramente la vanità delle cose che ci
trattenevano. Le grandi conversioni avvengono appunto per l'intensità di
questo sentimento. Sant'Agostino dopo essersi trascinato nell'amore
terreno ritorna per un desiderio di felicità che Dio ha messo in lui. Ha
visto quanto scarsa sia la soddisfazione che si trova in questa valle di
lacrime: tutto ha una durata così breve, le gioie peccaminose sono così
amare! Tale è dunque il primo effetto del dono della Scienza: essa ci fa
conoscere il nulla delle creature, ci istruisce con gli avvenimenti della
vita, con le disgrazie e i lutti: il tradimento di un amico, una fortuna
che crolla, la morte di una persona amata, ma soprattutto la conoscenza di
ciò che veramente è l'uomo. Sant'Agostino perde il suo carissimo amico
Alipio, e le delusioni lo riportano a Dio. Nelle «Confessioni», egli
esalta ad
IL DONO DELLA SCIENZA 155
ogni istante queste disillusioni alle quali dovette la
felicità.
Un'anima, quando sa che non deve aspettarsi niente dalle
creature, perché la ingannano amaramente, è sapiente della grande
scienza dello Spirito Santo. Nostro Signore disponeva in tal modo alla
santità una Caterina da Siena dicendole : « Tu sei quella che non
è».
Il primo frutto della scienza ispirateci dallo Spirito
Santo è dunque di conoscere la brevità, la piccolezza, il nulla delle
cose terrestri, la loro incapacità a riempire il nostro cuore avido di
vera felicità. Quando si possiede questa scienza, si è liberati dal
fascino dei beni perituri e ci si può slanciare in Dio.
Le creature non sono niente, o per lo meno, niente « per
se stesse » ; posseggono tuttavia ciò che hanno ricevuto : l'esistenza,
la bellezza, la bontà, il valore. Il mondo ha un riflesso che gli viene
da un'altra parte. E il vero significato di tale riflesso è il senso di
questa bellezza che il dono della Scienza deve insegnarci: ecco l'altro
fruttò della sua ispirazione.
Dobbiamo approfondire ciò che dicono le creature: «I
cicli narrano la gloria di Dio» dice il salmo (Ps., 18, 2). In una
splendida notte stellata, di fronte a un mondo di meraviglie, contemplando
156 L0 SPIRITO
SANTO .nella VITA CRISTIANA
gli astri, si pensa ad uno di essi che tra poco si leverà
come tutte le mattine, per avvicinarsi a noi quel tanto sufficiente a
riscaldarci ed illuminarci. Si riconosce allora che vi è in ciò l'opera
di un'Intelligenza infallibile che nasconde nei suoi disegni una bontà
senza pari. Il mondo allora diventa trasparente, rivela Dio,
l'intelligenza e la bontà di--vina.
Se penetriamo nella vita delle anime e ne osserviamo le
azioni generose, possiamo vedervi il riflesso di una bellezza morale
superiore. E se queste anime sono veramente religiose, ci offrono come una
trasparenza di Dio.
Avviene lo stesso nella storia dell'umanità; la
Provvidenza conduce tutto ai suoi fini, rimette in piedi il giusto,
castiga il cattivo, sostiene il debole. Quest'ammirabile condotta sfugge a
molti, ma un sant'Agostino ne era pieno d'ammirazione ; il Consiglio di
Dio gli manifestava la sua Sapienza attraverso gli avvenimenti della
storia. Considerando la propria vita, il modo con cui è stata condotta,
il punto al quale siamo arrivati, viene da esclamare : « Signore, siamo
stati guidati dalla Tua mano destra ».
E' questo un altro frutto del dono della Scienza :^ ci fa
vedere, attraverso le cose create, come la
IL DONO'DELLA SCIENZA 157
natura, gli avvenimenti, le,anime, le cose invisibili
ch'esse svelano, la traccia di Dio, la sua onnipotenza e la sua divinità.
VI - II dono della. Scienza m Nostro Signore
Nostro Signore possedeva in modo eccellente questa
scienza, insieme a tutti gli altri doni; conosceva la piccolezza delle
cose, e 'sentiva la voce che s'innalza dalla natura per proclamare il
Creatore.
Dopo aver descritto l'uòmo che ha un raccolto abbondante
e vuoi fare ingradire i suoi granai, dandosi quindi al piacere, aggiunge
queste parole :
«Infelice, questa stessa notte morrai;... e tutto ciò a
chi apparterrà? » (Lue., 12, 20). Altrove, parlando della fine del
mondo, Nostro Signore ci dice che verrà come un ladro, a mostrarci le
città del piacere. Sodoma e Gomorra, ridotte a niente... Egli ha la
visione della povertà delle cose umane, del nulla del mondo.
Égli vede anche Dio in trasparenza nelle creature. Nel
Discorso sulla montagna evoca gli uccelli che non seminano ne
raccolgono... i gigli del campo che non filano, e da questo spettacolo
sale sino ' al Padre; celeste, la cui bontà per i piccoli esseri è per
Lui così. evidente,
158 L0 SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
Quando Dio ci da la grazia di vedere il mondo così, tutto
concorre a rafforzare la fede. Un san Francesco d'Assisi, che ha tanto
rassomigliato a Nostro Signore, perfino nel suo corpo, scopre nell'acqua,
nel fuoco, delle cose magnifiche; si ferma rapito davanti agli uccelli
come davanti agli astri e scorge in tutta la natura il volto del Padre
celeste. Questa percezione è un dono che Dio fa alle anime sante; tutto
per esse è occasione ad elevarsi a Dio; la natura, invece di essere un
ostacolo, diventa un aiuto; l'umanità, con le sue attrazioni, è motivo
di lodare il Signore. E' ancora l'effetto del dono della Scienza.
#. * *
Lo Spirito Santo ci ispira dunque un modo del tutto nuovo
di vedere le creature: 1°. Ci mostra il loro nulla, la loro
impossibilità di soddisfare i nostri desideri, svelandoci la loro
contingenza, la loro dipendenza da Dio: perché da se stesse non sono
nulla; 2°. Ci mostra nella loro perfezione qualcosa della perfezione di
Dio. Guardandole così, siamo preservati dalle loro insidie e condotte da
esse verso il Signore. E' il rovesciamento del modo di vedere della
ragione umana, per la quale ciò che conta è il visibile. Non si vedono
più che
IL DONO DELLA SCIENZA 159
due cose: un nulla che non può allontanare il cuore da
Dio, e un essere che chiama Dio.
Questa scienza è all'inizio della contemplazione: è già
una contemplazione, non la più alta, ma la più bassa; una contemplazione
pertanto, perché pur restando sul piano delle creature, per una
comunicazione dello Spirito di Dio che vi si riflette, noi ci eleviamo a
cercare il volto del Signore. La nostra fede, per il dono della Scienza,
acquista una specie di movimento verticale, che dalle creature si dirige
verso il Creatore, come dice Denys.
Fra le grazie d'orazione, santa Teresa distingue ciò che
essa chiama la prima orazione « soprannaturale » : il raccoglimento. Non
che la buona meditazione o « la semplice orazione nella fede » di cui
parla Bossuet non sia soprannaturale, ma nell'orazione detta di
raccoglimento non siamo più noi a dirigere i nostri pensieri, è Dio che
opera in noi per sua azione propria. Santa Teresa insegna dunque che
l'anima, dopo essere uscita dal castello intcriore, ha vagato al di fuori,
sui fiori, nei prati..., poi è stata presa da un disgusto inesplicabile,
ha udito il dolcissimo richiamo del Padrone del castello e, voltandosi, è
stata « trasportata » sulle ali di questo disgusto, sino a Lui. La santa
ha molto semplicemente descritto l'effet-
150 L0 SPIRITO
SANTO NELLA VITA CRISTIANA
to dell'ispirazione dello Spirito Santo relativo al dono
della Scienza. Lo Spirito Santo, col quale noi dobbiamo essere in grande
intimità, ci distacca dalle creature, ci fa udire il suo richiamo e, col
raccoglimento, ci introduce nel primo grado iegli stati soprannaturali
d'orazione. Siamo trasportati all'interno, e possiamo così entrare in una
? maggior conoscenza e intimità di Dio, partecipare ' ai gradi superiori
dell'orazione che racchiudono il più alto grado d'unione con Dio che vi
sia sulla terra, e sono la sorgente per eccellenza del dono |? della
Scienza, la quale ci introduce in questo giardino, ci separa dalle
creature, e ci fa salire verso Dio mostrandoci il riflesso della sua
bellezza e della sua bontà attraverso tutte le cose.
CAPITOLO DECIMO BEATITUDINE DELLE LACRIME
« Beati quelli 'che piangono perché saranno
consolati» (Mat., 5, 5).
I - Le lacrime fhe sono dette beate
Le lacrime che sono un dono dello Spirito Santo, non sono
le lacrime di coloro che, infelici, piangono semplicemente sulle loro
miserie. Giustamente pensiamo che coloro che piangono in questa vita,
riceveranno una ricompensa da Dio;
ma bisogna che la meritino, che le loro lacrime siano
meritorie. Le lacrime in se stessè non hanno diritto alla consolazione.
Possono essere lacrime di dolore, di sofferenza, di disperazione, d'amor
proprio ferito: queste lacrime, causate da motivi puramente naturali, non
comportano ricompensa. È' vero che, se noi sopportiamo le nostre pene
nella
152 L0 SPIRITO SANTO NELLA VIVA CRISTIANA
fede per Dio, queste hanno valore presso di Lui;
ma tali lacrime meritorie nella fede non sono quelle
prodotte dall'attività del dono della Scienza.
La scienza ispirata dallo Spirito Santo a noi che amiamo
Dio, è la scienza della debolezza, dell'insufficienza, della corruzione
delle creature. Essa è dapprima moto di repulsione che poi logicamente si
trasforma in slancio verso Dio. Questa seconda scienza, che ci fa vedere
il Creatore attraverso la creatura, è la vera scienza delle creature che
eleva perennemente il nostro sguardo verso Dio. (Denys definisce orazione
verticale quella che io ricollego al dono della Scienza, perché
mostrandoci il riflesso di Dio nella creatura, eleva direttamente il
nostro sguardo a Lui. Definisce orazione a spirale quella che io ricollego
all'Intelletto, e orazione circolare quella che attribuisco alla
Sapienza).
Dopo aver approfondito l'insufficienza delle creature, in
quanto esse rappresentano per noi dei beni fallaci, alcune anime sono
spinte ad avvertire, sotto l'azione dello Spirito Santo, questa debolezza
e cattiveria delle creature che ci distolgono da Dio, ma ad assaporare
pure il rapporto delle creature con Dio, e, per questa via, a salire «
dalle cose visibili alle invisibili», come dice san Paolo (Rom., 1,20).
BEATITUDINE DELLE LACRIME l/g
II - Beatitudine delle lacrime e dono della Scienza
II primo passo di questa scienza è dunque di farci
sperimentare l'insufficienza delle creature, i mali che presentano,
seducendoci.
Vi sono delle anime che piangono a tale vista. Di questo
genere sono le lacrime dei convcrtiti. Illuminati dallo Spirito Santo,
vedendo la bassezza delle cose da cui sono stati attratti, e la delusione
subita nel cercare la loro felicità, si dolgono della loro aberrazione e
piangono sui loro traviamenti. Se hanno abbandonato delle false teorie,
provano amarezza nei confronti di quelle idee, della morale che astrae da
Dio, delle basse dottrine del sensualismo, alle quali hanno
intellettualmente aderito, lo si vede dai loro scritti, tutto ciò è per
essi una sorgente di lacrime. Il Padre Gra-try, narrando la sua
conversione, riferisce che, li-ceista ancora, vedendo crollare tutto ciò
che costituiva la sua felicità, gridò in mezzo alle lacrime:
« Oh Dio, oh Dio! ». Accanto agli intellettuali però,
ci sono quelli che si sono lasciati prendere dal cuore, che si sono
rotolati nel fango. Che grida! Che pianti! al pensiero della vergogna
nella quale sono caduti, degli anni perduti e anche del Dio che hanno
offeso, poiché è Dio che li ispira. Possiamo citare qui le lacrime della
Maddalena, le
164 L0 SPIRITO ^ANTO NELLA VITA CRISTIANA
quali tuttavia sono dovute a motivi complessi. Ella ha
visto il Cristo risplendere della bellezza morale ch'Egli attingeva alla
sorgente della Santa Trinità e, sentendosi indegna di ciò, ha pianto.
San Pietro che aveva ceduto alla paura, che aveva preferito salvaguardare
la sua vita, piuttosto che proclamare il suo Maestro, piangeva amaramente
al pensiero di essersi preferito a Lui. Tutti i peccatori che si
convertono versano queste lacrime.
Noi stessi, senza aver avuto tali deviazioni, quando
abbiamo aderito alla futilità, o siamo tentati di aderirvi ancora,
proviamo un sentimento di tristezza che può giungere sino alle lacrime.
E' questa la scienza della vanità dei falsi beni che lo
Spirito Santo ci inspira. Bisogna rimanere sotto questa azione, non
lasciar inaridire la sorgente delle lacrime, ma alimentarla, perché è
salutare, ci allontana dal male. Piangiamo, non lacrime materiali, ma
lacrime del cuore, sulle nostre infedeltà, futilità, tempo perduto...
Queste lacrime sono pure. Possono far parte di un'orazione; sono l'entrata
in materia, l'inizio dell'orazione soprannaturale di raccoglimento: le «lacrime»
appartengono a questa fase.
Vi sono ancora altre lacrime. Nói piangiamo vedendo
chiaramente la brevità della vita. Ciò può avvenire in occasione di una
disgrazia che ha tolto
BE'ATlfUDÌNE DELLE LACRIME \(g
ogni fascino alle cose esteriori, che sono come la
facciata dietro la quale si cela la realtà divina, e ce ne mostra il
nulla; o in occasione di un lutto che ci porta a considerare questa breve
vita che finirà, e a pensare alla morte, noi proviamo allora un
sentimento intenso del nostro nulla, penetriamo la fine di tutto, e una
profonda malinconia e tristezza s'impossessano di-noi. E' questa dunque la
vita, gridiamo; quella persona onorata aveva tutte le lusinghe della
giovinezza, della fortuna, della bellezza; tutto crolla e domani sarà il
nostro turno. Che cosa sono? Che cos'è l'uomo? E' Dio che inspira queste
lacrime. I convcrtiti lo sperimentano: sono esse che li hanno riportati a
Dio. Anche le anime ferventi fanno questa esperienza. Alla vista del nulla
e della malinconia che ne deriva, esse trovano un motivo per allontanarsi
dal creato e slanciarsi verso Dio. Lacrime delle persone colpite da lutti,
lacrime di infelici: sono anch'esse un effetto della scienza che lo
Spirito Santo ci inspira.
Un'altra sorgente di lacrime élla vista della pazza vita
del mondo. Le anime che amano Dio, considerando questa ricerca universale
del vuoto, provano una commiserazione infinita. Questo sentimento era nel
cuore di Nostro Signore quando vedeva le folle guidate dai farisei. Ne
aveva pietà
156 LO SPIRITO
SANTO NELLA VITA CRISTIANA
come di pecore senza pastore : « Ho pietà della folla»
(Mare., 8, 2; Mar., 9, 36). Si sente in questa parola tremare una lacrima.
In altra circostanza, trovandosi sulla montagna degli ulivi, contemplando
Gerusalemme, pianse su di essa: «O Gerusalemme tanto amata... ho voluto
radunare i tuoi figli, come la gallina raduna i suoi pulcini... non sarà
lasciata di tè pietra su pietra » (Mat., 23, 37). Egli prova questo
sentimento dinnanzi all'empietà, all'ingratitudine della sua patria.
Sono queste le lacrime degli apostoli, di coloro che
convertono le anime. Il desiderio di fare del bene fa loro maggiormente
comprendere la miseria dei poveri uomini. San Domenico piangeva sovente;
la sua fisionomia, benché dolce, era soffusa di malinconia. Considerando
una città, pensava ai peccatori che vi abitavano, a coloro che
scambiavano i beni delle creature per beni veri... Il suo compagno
Bertrand de Garigue piangeva spesso come lui sui propri peccati. San
Domenico gli disse un giorno: « Basta, ora piangi sui peccati degli
altri». Egli pensava che non vi è niente di più fecondo di queste
lacrime ispirate dalla vista del male che ferisce le anime; perché
significano che si ha sperimentato a fondo il male, e si ha una ardente
carità desiderosa di togliere quei peccatori dal fango.
BEATITUDINE DELLE LACRIME \ffJ
Vi sono anche le lacrime causate dai dolori che Dio ci
manda. Pene fisiche o morali che talvolta durano a lungo, che non ci
lasciano. Malattie che ci immobilizzano davanti al bene da fare, male di
coloro che amiamo, particolarmente quando offendono la legge divina e
siamo impotenti a richiamarli. Vi è, anche qui, una comunicazione del
dono della Scienza. A contatto delle nostre sofferenze, constatiamo la
piccolezza del nostro essere, vediamo come contiamo poco e che Dio non ha
bisogno di noi. Le sofferenze delle anime che ci circondano ci mostrano la
loro povertà se lasciate a se stesse, perché in tutto dipendono da Dio.
Noi piangiamo e perciò stesso ci rivolgiamo a Dio per attingere da Lui
consolazione; siamo impotenti, Lui solo potrà sottrarre alla miseria
umana noi e coloro che amiamo.
Quando entriamo in orazione, non si deve temere di
entrarvi con le nostre esperienze personali. Il principale soggetto
dell'orazione è Dio;
ecco perché prendiamo un libro che ci parli di Dio,
sfogliamo il Vangelo per ascoltare le sue parole e scoprirvi le sue
perfezioni, ma noi stessi, la nostra miseria e debolezza, la miseria degli
altri, formano anche dei soggetti eccellenti di meditazione. Questi
pensieri sono un inizio. Possiamo entrare con essi nell'orazione, e le
lacrime che ci
15§ LO SPIRITO SANTO NEÌ^LA
VITA cristiania.
faranno versare si cambieranno in gioia. Lacrime salutari
che possono avvicinarci a Dio, perché sgorgano da un cuore che sente sino
alla sofferenza la miseria delle creature. -
Ecco un primo aspetto, un aspetto essenziale di questa
scienza che .governa la vita purgativa, fase dell'orazione nella quale ci
si purifica per mezzo di un sentimento doloroso, e della comprensione di
ciò che è il disgraziato attaccamento alle creature.
Lo Spirito Santo ci ispira un altro sentimento nei
confronti delle creature, che è il secondo aspetto del dono della
Scienza, e consiste nel far trasparire da esse la faccia di Dio. Alla
vista dei benefizi che scopriamo in noi e attorno a noi, non possiamo
dubitare che Dio si nasconda dietro le cose alle quali Egli da il suo
splendore.'
Ed eccoci attratti da Dio. Se l'anima però sente l'azione
di Dio, non può vederLo; è attratta da luì,-ma non può raggiungerLo.
E' una''nuova causa di dolore. L'anima cerca Dio nella notte de' sensi,
cerca le sue tracce come la sposa del Cantico che sospira verso il suo
Diletto. Ella piange d'angoscia; dov'è il mio Dio che lo possa vedere! E'
questa un'altra specie d'orazione caratterizzata dalle lacrime, che non
sono più lacrime di pentimento, ma di doloroso desiderio. Lo si vede, ma
BEATITUDINE DELLE LACRIME -[ff)
incompletamente. Lo si sente ma non si può raggiungere.
La Santa Vergine, quando ritrova Nostro Signore nel Tempio Gli rivolge
questo rimprovero «Che hai fatto?... Tuo padre ed io, piangendo, ti
cercavamo » (Lue., 12, 20). La sposa cerca il suo Dio come la Madre cerca
suo Figlio, piangendo.
Queste lacrime della ricerca di Dio nelle creature
impotenti a donarLo, benché ne tradiscano la presenza, sono ancora un
effetto del dono della Scienza che ci da una conoscenza sufficiente per
attaccarci a Dio, senza tuttavia rivelarLo. E' la prima notte dell'anima.
La notte dei sensi appartiene a questa ricerca. La Sposa cerca il suo Dio
nella notte. Essa ha compreso che Dio è dietro a questo velo diafano, ma
ella è come racchiusa in un cerchio dall'orizzonte delle creature, e si
trova nella notte. Lo Spirito Santo le ha inspirato la volontà di non
attaccarsi al mondo; i suoi sensi sono inoperosi; essa vede le creature,
ma non vuole sentire che Dio; forza i suoi sensi a rimanere nella notte.
E' una situazione dolorosa, questa, di avere i sensi e di non servirsene.
Creature ingannatrici, ella dice, ditemi-dov'è il Dio che cerco... E
piange.
170 L0 SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
III - II dono delle
lacrime e l'esperienza cristiana
Le cose suddette sono elevate, ma tuttavia non sono
assenti dalla nostra vita. Vi sono dei momenti nei quali la nostra anima
ha compreso, gustato questa scienza. Le creature lasciavano abbastanza
trasparire Dio, tanto da farceLo desiderare, ma non abbastanza per
darceLo. Eravamo di fronte ad immagini impotenti a calmare i nostri
desideri. Così gli Israeliti non vedevano il Messia che attraverso le
figure: l'agnello pasquale, la pietra, che significava il Cristo dal quale
usciva l'acqua viva, la grazia... Il Messia era per essi una grande
speranza, ma un velo stava fra Lui ed essi. Le creature ci rivelano Dio e
allo stesso tempo ce Lo nascondono. E' un'eccellente orazione, questa
ricerca compiuta « nella valle di lacrime » : ricerca dolorosa,
sostenuta dalla speranza che il velo sarà lacerato e noi possederemo Dio.
Le lacrime si ricollegano dunque alla seguente duplice
scienza: 1 - l'esistenza effimera, la vanità;
la corruzione delle creature; 2 - la maniera con cui
possono condurci a Dio.
Vediamo fiorire queste due scienze nell'anima di
Sant'Agostino. Già convcrtito, ancora catecumeno però, è seduto in un
angolo oscuro del Duomo di Milano e ascolta le gravi melodie di san-
BEATITUDINE DELLE LACRIME 171
t'Ambrogio. Ripassa la sua vita nascosta, le miserie nelle
quali ha vissuto, il popolo attratto dai falsi dei, ed anche le creature
che l'hanno portato verso Dio: la sua santa madre, nella quale egli
discerne come un riflesso della divinità, sant'Ambrogio che gli
rappresenta la santità di Dio. E comincia a piangere copiosamente: «Mi
facevano bene quelle lacrime», dice. Orazione di raccoglimento: condotto
dallo Spirito Santo, egli cominciava la sua nuova vita raccogliendosi
nelle lacrime; lacrime sulla piccolezza delle cose della terra, sulla
disgrazia per lui di essersi dato ad esse; lacrime di riconoscenza per i
benefizi di Dio che si è mostrato attraverso le cose attirandolo a Sé.
Con ciò comprendiamo il potere della grazia che ci da lo Spirito Santo
ispirandoci la scienza vera delle creature, che ce ne mostra la vanità
profonda e il senso relativo, e con questa luce ci distacca da esse per
condurci al Creatore.
CAPITOLO UNDICESIMO IL DONO DELL'INTELLETTO
«Signore, dammi VwteWgenssa »
(Ps., 118, 144).
/ - Necessita del dono dell'Intelletto
II dono dell'Intelletto è ben differente dal dono della
Scienza. Questi due doni rispondono a due difficoltà diverse della nostra
fede.
La fede, che è una convinzione delle cose divine messa in
noi in modo soprannaturale, è radicata nella ragione che ha per oggetto
naturale le creature, e che può elevarsi sino a Dio, ma sempre per mezzo
delle creature. Così la ragione chiamerà Dio, Creatore, Provvido; le
creature sono alla base delle sue affermazioni, dovendo risalire dalle
cose visibili alle invisibili. Di qui la necessità di una grande
perfezione della fede che la allontani dalla seduzione delle creature e
l'aiuti a tro-
174 LO SPIRITO SANTO NELLA VITA CKISTIÀNA
vare in esse un cammino verso Dio. Il dono della Scienza
assicura questa perfezione.
E non è la sola difficoltà. Le cose divine sono
inesprimibili. Dio è ineffabile; l'Incarnazione, la Redenzione, superano
infinitamente la nostra cognizione, ed ancor più la supera il mistero
della Trinità. Non possiamo pensare al Cristo senza fremere, talmente
questo mistero del Verbo incarnato ci annienta. Tutto è difficoltà nella
fede: i disegni di Dio nella condotta del mondo e delle anime, nel
permesso del male, nella predestinazione degli eletti. E non abbiamo a
nostra disposizione per elevarci a questa conoscenza che il povero
linguaggio umano. Come si può esprimere l'ineffabile? Ne risulta
che Dio, pur rivelandosi, deve celarsi sotto un concetto umano come sotto
un velo. Quando concepiamo i termini nei quali è contenuta la fede,
restiamo alla superficie del mistero, soprattutto se l'uso ne ha
indebolito il senso, o se non essendoci familiare, gli diamo un senso
grossolano. Di qui la necessità di un altro dono che ci faccia penetrare
oltre la superficie della Rivelazione sin nel profondo. Ecco il dono
dell'Intelletto.
IL DONO DELL'INTELLETTO 175
II - Ciò che esso è
L'Intelletto è il senso del divino, scoperto non più
nelle creature, come fa la Scienza, ma nella Rivelazione e nella dottrina
della Chiesa che sono come lo splendore di Dio. Lo Spirito Santo, per il
quale niente è nascosto, « che scruta gli abissi di Dio », comunica a
coloro che fanno un solo spirito con Lui nell'amore, una partecipazione
della sua intelligenza delle cose divine, della sua potenza di
penetrazione, non con una nuova rivelazione, ma mostrando loro in una luce
veramente nuova ciò che è già stato rivelato.
Cento volte abbiamo letto una parola del Vangelo senza
approfondirne tutto il significato; questa per esempio: «Dio ha tanto
amato il mondo, da dargli il Suo unico Figlio» (Giov., 3, 16). La
crediamo assolutamente però, ma senza penetrarla. Poi, un giorno, è
stata l'oggetto della nostra meditazione e d'un tratto ci è apparsa sotto
una luce completamente nuova : « Dio... » e ci siamo fermati, penetrando
in una grandezza e in una bellezza infinita. Dio ama... Come ci sembrava
bella la parola amare riferita a Dio ! Chi ama ? Il mondo, questo mondo
così piccolo, così povero, così peccatore. E lo ama tanto, che gli ha
dato, sì, «dato», il Suo unico Figlio, nel quale il Padre
176 L0 SPIK1TO
SANTO NELLA VITA CRISTIANA
si è compiaciuto, e di cui ha detto: «Questo è il mio
Figlio diletto », Colui che il Padre ha generato da tutta l'eternità,
che vive nell'intimità di pensiero e d'amore col Padre e lo Spirito. Che
amore incomprensibile! Dio vive nell'amore. Egli ama infinitamente il
Figlio suo e Lo dona «sino alla morte di croce»,,a questo mondo...
Perché? Perché Egli ama questo mondo, e ritorniamo quindi al suo
misterioso e vivente amore... La frase è stata illuminata, ne sono
scaturite come da un frutto maturo che si apra, cose mai penetrate. Questa
è l'opera del dono dell'Intelletto. Esso « scruta nel profondo »,
supera la conoscenza della fede che cerca, che aderisce fermamente, ma si
arresta alla superfice, scoraggiata dalla grandezza delle cose. Si tratta
sempre di fede, ma illuminata dall'Intelletto dello Spirito Santo. Una
virtù segreta di questo divino Intelletto passa nella nostra fede
attraverso questo dono. . ,.
La manifestazione del dono dell'Intelletto non è un
semplice aumento di conoscenza ordinaria, è un'intelligenza cordiale che
sente più che veda, che viene dal cuore toccato dallo Spirito Santo;
noi esperimentiamo con gli occhi del cuore. E' proprio
sotto la forma di. un gusto: per le cose divine che penetriamo
ulteriormente nell'intelligenza dei misteri della fede. « Gustate e
guardate »
!"-/£ DONO DÈCL'INTELLETTO 177
(Ps., 33, 9). Gusto e sguardo sono un'unica cosa, uno
sguardo pieno d'amore. Noi gustiamo, assaporiamo cose che conoscevamo, ma
delle quali lo Spirito d'amore ce ne;dà con intelligenza l'intima
comprensione. Entriamo così nel cuore dei misteri. Questo dono era
necessario per rimediare alla freddezza, alla distrazione, alla
superficialità della nostra fede che viene in tal modo perfezionata
dall'irradiazione dello Spirito Santo.
Ili -
Manifestazione del donò dell'Intelletto
II dono dell'Intelletto è chiaramente visibile in alcuni
momenti della vita di Nostro Signore, allorché istruisce i suoi apostoli.
Nel Vangelo vediamo Gesù in continua lotta contro l'ottusità spirituale
dei suoi discepoli. Essi credevano, tuttavia, nel loro Maestro, avevano
lasciato tutto per Lui, provavano nei suoi confronti sentimenti di
devozione; ma come progredivano poco nella conoscenza dei divini
misteri!... Avevano fede in un Messia temporale e mantennero le loro
illusioni sino all'ultimo. La madre dei figli di Zebcdeo, altro non vede
nel regno di Gesù che due buone sistemazioni per i suoi figli, che la
pensano nello stesso modo. E il Salvatore risponde : « Non sapete quello
che chiedete » (Mat., 20, 20-27). Egli
^78 LO SP1K1T O SANTO NELLA VITA CRISTIANA
ha finito appena di mostrare loro, con una parabola, il
regno di Dio, e i discepoli Gli dicono:
«Spiegaci, Signore» - «Eccovi ancora una'volta senza
intelletto », replica il Maestro (Mat., 15, 16). Alla fine, dopo
l'istituzione dell'Eucaristia, domandano ancora: «Mostraci il Padre». E
Gesù risponde: «Come, Filippo, dal tempo che sono con tè, non hai
ancora compreso che chi vede Me vede anche il Padre mio! » (Giov., 14,
9). Più tardi però, i discepoli Gli dicono: «Questa volta parli
apertamente, non è più un proverbio per noi ». Essi avevano
indubbiamente ricevuto un lume del dono d'Intelletto. Così Pietro, che
alla domanda del Signore: «Tu pure tè ne andrai? » risponde : « A chi
andremo noi ? Tu solo hai parole di vita eterna, sappiamo che sei il
Cristo, Figlio del Dio vivente» (Giov., 6, 68-71). Ma, aggiunge il
Salvatore, non aveva detto questo da se stesso, il Padre lo aveva
ispirato, era ancora un lume dello Spirito Santo. Questo dono, però, ebbe
tutto il suo effetto nell'anima degli apostoli dopo la Pentecoste: furono
visti allora come ebbri dell'intelligenza delle Scritture e dei divini
misteri che predicavano con trasporto.
Noi pure, c.oms: gli apostoli, materializziamo la
divinità e il regno di Dio. Le povere parole con cui il Vangelo ce lo
rivela sono circondate da
IL DONODELL'INTELLETTO 179
simboli, e noi o rimaniamo alla superficie, o
cogliamo l'occasione per concepire idee singolari sul regno di Dio, sulla
vita cristiana, sulla vita perfetta. Quante anime rimangono alla
superficie, in una specie di penembra, non penetrano a fondo la loro vita
cristiana o religiosa!... Religiosi, forse non abbiamo compreso queste
parole, che non tutti sono obbligati di capire: «Colui che vuoi venire
dietro a Me, rinunci a se stesso... » - Che faremo, se ci sfugge
l'essenza delle verità più preziose?
Vi sono diversi gradi nell'intelligenza delle cose divine.
Cerchiamo di penetrare sotto l'involucro, sotto l'apparenza dei misteri,
dei segni e dei simboli che ci nascondono la presenza di Dio e la sua
onnipotenza, se vogliamo avere, assieme ad un'intelligenza più perfetta,
un amore più profondo. Poiché nella misura in cui si conosce si ama; la
volontà segue l'intelligenza. Se penetriamo questi misteri d'amore,
scopriremo Dio al di là dei veli che Lo nascondono. La carità guidata da
una fede che vede con il cuore, è più fervente, più costante.
Un'attenzione amorosa al senso divino delle Scritture» ci deve disporre
al dono dell'Intelletto.
Vediamo in che modo san Tomaso arrivava a questa
intelligenza con la preghiera. Meditiamo l'« Adoro tè », per
esempio. Come arrivare al cuore
IgQ LO SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
del mistero eucaristico? Questo mistero è velato, lo
sguardo fermato dalle apparenze, l'intelligenza stupefatta. Oh!, se
potessimo penetrare nell'intimo dell'Eucaristia, nelle nostre comunioni o
quando siamo davanti al tabernacolo! Cerchiamo di comprendere in che modo
san Tomaso passava dalla fede all'intelligenza. «Prostrato dinanzi a Tè,
Ti adoro, o Dio, veramente nascosto sotto quelle specie, il mio cuore si
sottomette interamente a Tè perché, contemplandoTi, vien meno».
(I" strofa dell'inno Adoro Tè devote, latens Deitas, Ufficio
del SS. Sacramento); II mio cuore vien meno, è lo stato del credente;
guardo il tabernacolo e dico: E' troppo forte, questa parola è dura!
« La vista, il tatto, il gusto non Ti intendono, l'udito
solo sostiene la mia fede : credo tutto quello che ha detto il Figlio di
Dio; niente è più vero della parola della Verità stessa» (Idem V'
strofa:
Visus, tactus...) Ecco le cause del mio venir meno:
la vista con la quale mi metto in rapporto con tutto, il
gusto, il tatto, mi ingannano. Ma Tu hai parlato; io credo, la tua parola
è vera. Tu hai detto: « Questo è il mio Corpo» E' il tuo Corpo! Non Lo
vedo, la Verità stessa lo afferma, credo. Poi il santo penetra oltre nel
mistero.
«Sulla croce, la divinità sola era nascosta: qui anche
l'umanità è celata, tuttavia credendo e con-
IL DÓNO DELL'INTELLETTO Igl
fessando l'una e l'altra, tì chiedo," o Signore,
ciò che Ti chiese il ladrone pentito » {In cruce latebat sola Deitas,
etc.). E' ancora la fede che si afferma contro le difficoltà.
«Non vedo le tue piaghe come Tomaso le ha viste; eppure
Ti riconosco per mio Dio, fa' che la mia fede s'accresca sempre più, che
io speri in Tè, che non ami che Tè» {Plagas sicut Thomas non
intueor, etc.). Fin qui è sempre il credente che parla: è solida
fede ma si manifesta come fede nuda.
D'un tratto san Tomaso si rivolge all'Ostia:
« O ricordo della morte del Signore, Pane vivo che dai la
vita all'uomo, dona all'anima mia di non vivere che di Tè e di trovare
sempre in Tè la sua gioia e le sue delizie » (O memoriale mortis
Domini, etc.). E' il colloquio diretto, non c'è più sforzo per
credere. Contemplando il ricordo della morte del Salvatore, egli è nel
cuore del sacramento, al centro del mistero. Egli, però, vede ancora
delle apparenze, il pane.
« O pellicano, pieno di tenerezza, che nutrì i tuoi
figli col Tuo sangue. Signore Gesù, purificami da tutte le mie iniquità
col Tuo sangue, di cui una sola goccia può cancellare tutti i peccati del
mondo» {Pie Pellicano, Jesu Domine, etc.). San Tomaso penetra
oltre, in profondità, vede
182 LO SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
Gesù che ha sparso il Suo sangue sulla croce, vede questo
sangue di cui una sola goccia può salvare il mondo intero. Non è più la
fede nuda, è fede che penetra nell'intimo del mistero, una fede rivestita
d'intelligenza.
« O Gesù, che vedo soltanto, ora, attraverso un velo,
colma l'ardente desiderio della mia anima:
che un giorno i miei occhi, passando il velo che Ti
nasconde, possano gioire svelatamente della vista della tua gloria » (]esu,
quem velatum nunc a-spicio, etc.). Ciò di cui ho sete, Signore, è di
veder Ti. Fra questo desiderio di vedere Gesù e la rivelazione del Suo
Volto, non c'è che un passo. Una fede così penetrante è molto vicina
alla porta del ciclo: basta che il velo si abbassi e Gesù apparirà (o si
mostrerà).
Con l'Intelletto, con la fede penetrante, con questo gusto
divino, con questo sguardo cordiale, arriviamo sino agli ultimi limiti
conoscibili del mistero; se fossero superati, saremmo nella visione.
Il dono dell'Intelletto si manifesta visibilmente anche
nella vita e nella spiritualità di santa Caterina da Siena. Quando Nostro
Signore le parla, lo fa come un maestro che propone ai suoi discepoli
verità brevi ma pienamente evidenti: « io sono Colui che è. Riconosci
il tuo Creatore. Cammina alla mia presenza». Parole brevi, senza ragiona-
VSC^DONQ DELL'INTELLETTO ^g3
menti, parole rivelatrici... Si comprendono per
intuizione, se ne coglie subito il senso, vi si entra come per un salto
dello spirito, perché è proprio la caratteristica del suo genio di
essere intuitivo. Vi sono in queste formule come degli assiomi di dottrina
spirituale analoghi a quelli della filosofia: il tutto è più grande
della parte; è necessario che ciò che è, sia... La loro differenza,
tuttavia con i primi principi della ragione, sta in ciò che l'intuizione
qui è velata. Non vediamo apertamente, ma esperimentiamo oscuramente;
siamo certi di queste divine e ineffabili cose per una specie di
intuizione che da la conoscenza, ma non lascia vedere; si aderisce più
per un gusto che per puro consenso della fede nuda.
IV - Gli
effetti del dono dell'Intelletto
Si può facilmente indovinare la pace che acquista la fede
con tale penetrazione. Quando lo Spirito Santo manda i suoi lumi che
apportano la certezza, il senso e il gusto del divino, si rimane appagati,
rassicurati, fermi, è la « dolce tranquillità dell'anima ». La fede
non è ancora stabilita nella visione beatifica, ma Dio invia un raggio
della sua
lg4 L0 SPIRITO SANTO: NELLA 'VITA CRISTIANA
luce, e non vi è niente come il dono dell'Intelletto, per
acquietare l'intelligenza.
Prima l'orazione era agitata; ora basta una lettura, una
parola, un'espressione a darci la calma, a dare stabilità al nostro
spirito per parecchi giorni. Si tratta di una certa parola del Vangelo che
d'un tratto diventa chiara : « Se tu conoscessi il dono di Dio », o di
quest'altra: « Bisogna che Egli cresca e che io diminuisca». Lo
sapevamo, ma eccocene penetrati e le nostre azioni ne risentono. Queste
profonde intuizioni possono venirci accordate a proposito di quasi tutte
le parole del Salvatore, dei suoi atteggiamenti, dei suoi atti, dei suoi
stati in riferimento ai sacramenti; si è commossi per la presenza di
Nostro Signore nell'Eucaristia, per il perdono nella Penitenza, o anche
nell'Estrema Unzione; vi si scopre la manna nascosta, la linfa, la forza
di cui si ha bisogno.
Quando si è abitualmente sotto l'impressione del dono
dell'Intelletto, si è giunti a ciò che i mistici chiamano orazione di
quiete, l'orazione dei gusti divini come dice santa Teresa. Calma,
tranquilla, l'anima gusta, penetra, sotto l'ispirazione dello Spirito
Santo, la Sacra Scrittura, l'insegnamento della Chiesa, il divino
beneficio dei sacramenti.
Questa conoscenza hai i suoi gradi già distinti
li DONO DELL'INTELLETTO ^g5
in precedenza: Dio illumina (irradia) nelle rivelazioni
che ci ha fatte, particolarmente nella Sacra Scrittura. Nelle creature
diciamo ch'Egli riflette come in uno specchio: non ne riceviamo che un
raggio riflesso, ed ecco perché diciamo che dalla creatura saliamo
verticalmente verso Dio. Nella rivelazione di Dio, il Figlio suo ci invia
come un divino raggio dello Spirito che viene ad incontrare direttamente
la nostra fede per vivificarla.
Ora gli oggetti della rivelazione non sono tutti sullo
stesso piano, ve ne sono alcuni che ci istruiscono maggiormente. Per
esempio, nel Vangelo, alcune parabole ci rappresentano Dio sotto una forma
più vicina alla nostra mentalità terrena, come un Padre di famiglia, e
il Suo regno come un festino. Non riusciamo, però, a vedervi chiaramente
Dio, i suoi attributi, il suo amore, come nel discorso della montagna nel
quale le perfezioni del Padre ci vengono direttamente manifestate. San
Giovanni ha delle parole, dei tratti nei quali Nostro Signore si rivela o
rivela chiaramente il Padre suo: «II Padre mio ed Io siamo uno » (Giov.,
10, 30). - « Chi vede Me vede il Padre » (Giov., 14, 9). Si tocca qui il
mistero della Divinità e della Trinità. Si mediti attentamente il
discorso dopo la Cena, che è una rivelazione della Trinità, la preghiera
sacerdotale nella sua
Igg LOSPIRITO
SANTO NEVLA VITA CRISTIANA
parte più sublime, e si vedrà che san Giovanni è, dei
quattro evangelisti, colui che ci ha meglio svelato il segreto del divino
mistero, colui che ci fa penetrare più profondamente nel « cuore »
della fede.
Dovremmo seguire questo luminoso sentiero ch'egli ci
traccia, cominciando con le espressioni che sono più alla nostra portata,
per risalire alle concezioni più alte che toccano i misteri della
divinità. Partendo dal piano delle parabole, ci eleveremmo per graduale
illuminazione, sino alla rivelazione suprema. Così san Dionigi descriveva
l'orazione a spirale che si applica per gradi successivi alle
manifestazioni divine, elevandosi sino alle superiori per arrivare più
vicino a Dio.
E' l'orazione secondo il dono dell'Intelletto, in san
Tomaso, come pure quella dei gusti divini, in santa Teresa: una via che
conduce ad una profondità sempre maggiore. Attacchiamoci a queste lezioni
del Maestro. Viviamone per mezzo della fede sotto l'impero di un cuore
soprannaturaliz-zato. Saremo così governati con più esattezza dallo
Spirito che ci comunicherà, in una forma sperimentale e cordiale, qualche
cosa di Se, e, se noi siamo docili, giungeremo sino alle profondita di
Dio.
IL DONO DELL'INTELLETTO 187
Serviamoci del dono dell'Intelletto per metterci sotto
l'ispirazione della Luce dei cuori; la nostra fede non sarà più in stato
di ricerca, agitata, sarà invece tranquilla, appagata, felice, pur
rimanendo nelle ombre del cammino, perché già filtrerà per essa un
piccolo raggio della gloria che ci attende.
•I
CAPITOLO DODICESIMO
LA BEATITUDINE DEI CUORI PURI
«Beati i puri di cuore perché vedranno Dio* (Mat.,
5, 8),
I maestri di cui seguiamo l'insegnamento, collegano la
beatitudine dei cuori puri col dono dell'Intelletto. Non si vede subito il
legame; per avvertirlo, bisogna comprendere il significato speciale che
riveste qui l'espressione: «Cuore puro».
I - II nostro cuore
L'espressione suddetta può essere intesa in due maniere.
Intanto, un cuore è puro, ossia ha la virtù della purezza, quando è
svincolato dagli affetti violenti, dalle passioni sregolate dell'amore e,
190 L0 SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
perciò stesso è preparato a ricevere meglio la verità
divina. « L'empio non ha voluto comprendere, per timore di essere
obbligato a ben fare », dice la Scrittura (Ps., 35, 4). E' certo che gli
affetti malsani hanno il loro contraccolpo sull'intelligenza. Si giudica
secondo le disposizioni del proprio cuore, e l'uomo carnale non amando le
cose divine, perché i suoi piaceri sono il suo Dio, non può giudicarle
rettamente. Questo primo significato è vero. Non è però esattamente il
dono dell'Intelletto che rimedia a questo difetto di purezza;
secondo san Tomaso, il compito spetta ai doni affettivi,
operanti nella parte appetitiva, principalmente al dono del Timore.
A quale purezza allora intendono riferirsi, qui,
sant'Agostino e san Tomaso? La parola cuore ha due significati. A volte
indica l'affetto, la inclinazione alle cose amabili. Altre volte indica
invece il fondo (l'essenza) del nostro essere, così come diciamo il
nocciolo di un frutto, il nocciolo della questione. E' in tal senso che
dobbiamo considerarlo nel nostro testo: il fondo dell'anima u-mana, la sua
mentalità profonda, la « mens », lo spirito, e particolarmente
la ragione illuminata che deve guidare tutto nell'uomo, anche la volontà.
Ciò è solo in apparenza un paradosso, ma in realtà l'intelligenza è il
cuore dell'uomo, ossia ciò che
LA BEATITUDINE DEI CUORI PURI \<)\
in lui vi è di più profondo. E' in essa quindi che
bisogna cercare questa beata purezza di cuore, purezza che d'altronde, per
conseguenza, purifica la volontà e gli affetti.
L'intelligenza umana può non essere pura; può essere
impacciata, impedita, sia dalle immagini provenienti: dai sensi, sia dall'errore.
Secondo i Dottori, lo Spirito d'Intelletto ci libera con la sua azione dai
« fantasmi immaginar! » che noi uniamo confusamente all'oggetto della
fede, di cui circondiamo la persona del nostro Dio, e dagli « errori »
che potrebbero, teoricamente e praticamente, allontanarci dalla vera
dottrina.
II -II lume
purificatore
Questo lavoro di purificazione lo si vede in alcune
circostanze del Vangelo. Gesù appare ai suoi discepoli sul lago di
Genezaret (Mat., 14, 22-23); essi Lo scambiano dapprima con un fantasma.
Gesù dice loro: « Sono Io », e Pietro col cuore commosso dice
timidamente : « Signore, se sei Tu ordina ch'io venga a Tè
caminando sulle acque ». Egli non è affermativo, ma la prima illusione
è già diminuita; vi è in questo grido più intelligenza che nella prima
esclamazione: «E' un fantasma». Qualche, tempo dopo (Giov., 21), Gesù
si mostrerà
192 LQ SPIKITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
sulle rive dello stesso lago, e subito Giovanni dirà:
«E' il Signore». Ecco l'opera del dono d'Intelletto. Ne
vediamo qui il progresso per gradi : « E' un fantasma... Se sei Tu...
E' un esempio ciò dell'azione dello Spirito Santo. Per mezzo suo, siamo
liberati dalle nostre idee vaghe, confuse, false, sulle cose divine; con
il cuore puro le vediamo come sono, tanto quanto esse possono essere
viste.
Vizio opposto all'Intelletto è la cecità dello spirito.
Era lo stato d'animo dei farisei: « Essi hanno una dura cervice», diceva
santo Stefano, il loro spirito è ottuso per la superbia, sono ciechi e
capi di ciechi, perché non vedono che se stessi, la loro eccellenza, la
loro tirannia sul popolo. Nostro Signore diffondeva la Sua dottrina,
operava miracoli, e più Egli si affermava, meno essi volevano vedere.
Cecità volontaria, senza rimedio che fa un dio del nostro io. Tali
cuori possono diventare puri? Abbiamo nella Scrittura esempi di simili
conversioni, f Dio, nella sua misericordia e onnipotenza, ha cambiato
totalmente questi stati d'animo. San Paolo, fariseo e figlio di farisei,
avido di persecuzione, improvvisamente griderà: « Signore, che cosa vuoi
che io faccia?». E' un miracolo che ci mostra, però, in tutto il suo
splendore la potenza del dono dell'Intelletto e quella beata purezza di
cuore che succede alla cecità.
LA BEATITUDINE DEI CUOS1 PURI
193
All'azione improvvisa della luce operante col miracolo, si
oppone la conversione progressiva della buona volontà che cerca
d'istruirsi e di uscire dalla sua cecità. Ne troviamo pure degli, esempi,
nel Vangelo.
Ecco, per esempio, la condotta così commovente di
quell'eccellente fariseo che era Nicodemo (Giov., 3, 1-22). Egli è stato
colpito dalla dottrina del Maestro, sino a volerla approfondire. Non è
molto coraggioso, va dal Maestro durante la notte. Il suo discorso
assomiglia un po', sulle prime, alle parole insidiose dei farisei:
«Maestro, sappiamo che sei un Dottore venuto da Dio, poiché nessuno
potrebbe fare i miracoli che Tu fai, se Dio non fosse con lui». Tuttavia,
egli cerca di uscire dalla
cecità della sua razza. Il Signore, allora, lo illumina,
purifica la sua mente dai pensieri grossolani che l'accecano: «Se tu non
nasci un'altra volta, non potrai veder il segno di Dio ». Nicodemo non
capisce questa espressione, non vede in essa che un significato
grossolano: «Come può rinascere un uomo già vecchio? Può forse
rientrare nel seno di sua madre e nascere di nuovo? ». Nostro Signore
comincia a rivelargli il mistero: «Se uno non; rinasce per l'acqua e per
lo Spirito,, non può entrare nel regno di Dio ». Egli spiega in che modo
si può nascere per lo Spirito: «Lo Spirito soffia
194' L0 SPIRITO
SANTO NELLA VITA CRISTIANA
dove vuole, si ode la sua voce, ma non sai ne donde venga
ne dove vada. Così sarà chiunque è nato dallo Spirito». Nicodemo
comprende sempre meno: « In che modo può avvenire ciò ? ». Nostro
Signore gli da altre spiegazioni e gli dice la grande verità : « Dio ha
così amato il mondo da dargli il suo unico Figlio, affinchè ogni
credente in Lui non perisca, ma abbia la vita eterna». Il Vangelo non
dice il risultato di questo colloquio, ma sappiamo che Nicodemo, con
Giuseppe d'Arimatea, non ha acconsentito alla morte del Salvatore e che la
Chiesa, nel martirologio, lo enumera fra i suoi santi...
Al capitolo seguente dello stesso Vangelo (Gio., 4),
abbiamo un esempio simile di inintelligenza, mista a una sfumatura di
malizia e di civetteria, nella Samaritana. Il Signore è là, seduto
sull'orlo del pozzo, e le dice semplicemente : « Dammi da bere». La
Samaritana Gli risponde: «Ma come! Tu che sei giudeo chiedi da bere a me
che sono samaritana?» Gesù insiste: «Se tu conoscessi il dono di Dio e
chi è colui che ti domanda da bere, tu stessa Gli avresti chiesto da
bere, ed Egli ti avrebbe data acqua viva ».
Ella non vuole capire: « Signore, non hai niente per
attingere, e il pozzo è profondo; donde a-vresti allora quest'acqua viva?
» E' la cecità della
LA BEATITUDINE DEI CUOEl PORI -[(^
mente che non comprende.e che, in un eerto senso,
non vuoi comprendere.
« Sei tu forse da più di Giacobbe, nostro padre, che ci
diede questo pozzo?» Gesù le risponde affermando la sua missione
pubblica, e le rivela il mistero della grazia: «Chi beve di quest'acqua
avrà ancora sete; ma chi berrà dell'acqua che Io gli darò non avrà
più sete, e l'acqua che gli darò diventerà in lui una sorgente d'acqua
zampillante sino alla vita eterna». Essa allora, scherzando
indubbiamente, Gli risponde : « Signore, dammi di quest'acqua, affinchè
non abbia più sete, ne venga sin qua per attingere» - «Ebbene! va', le
dice Gesù, chiama tuo marito e ritorna qui » - « Non ho marito». «Hai
risposto bene, riprende Gesù, tu hai avuto cinque mariti, e quello che
hai adesso non è tuo marito; in questo hai detto il vero» -« Signore,
riprese la donna, vedo che sei un profeta». E subito ella pone la
domanda: «Dimmi:
i nostri padri hanno adorato su questa montagna, e tu dici
che il luogo dove bisogna adorare è in Gerusalemme, che significa? » -
« Credimi, donna, risponde il Maestro, è venuto il tempo, che ne su
questo monte, ne in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che
non conoscete; noi a-doriamo quel che conosciamo, perché la salvezza
viene dai Giudei. Ma l'ora viene, anzi è questa,
Ì9g LO SPÌRITO SAMÒ NELLA
VITA CRISTIANA
in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e
verità. Che il Padre vuole tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che
l'adorano debbono adorarLo in spirito e verità », La donna comprende: «
So che viene il Messia, e quando sarà venuto ci an-nunzierà ogni cosa».
Ella non aspettava che la parola seguente: «Ìo che ti parlo son desso»,
e lascia l'anfora, e va a cercare i suoi amici : « Venite a vedere un
uomo il quale m'ha detto tutto quello che ho fatto, egli è il Messia ».
La sua intelligenza è finalmente purificata dall'errore, ma che
amnai-rabile pazienza ha avuto il Salvatore, per'condurre quel cuore in
piena luce!
L'adorabile storia continua anche ora. Non bisogna credere
che tali cose non succedano più; si ripetono per via della grazia nelle
anime cristiane che cercano di approfondire il divino mistero. Un continuo
lavoro di purificazione viene compiuto nella Chiesa, unito a una continua
ascesa verso la luce purissima.
I nostri spiriti rassomigliano a specchi deformanti. La
nostra intelligenza, pertanto, è fatta per la verità, ma porta in sé la
ferita dell'ignoranza; essa ha tendenza a deformare gli oggetti,
soprattutto quando esce dalla sfera che le è familiare per introdursi nel
mondo spirituale, e più ancora in quello soprannaturale. Noi vi traspor-
LA BEATITUDINE DEI CUORI PURI
197
riamo le, Bostre immaginazioni e la nostra maniera di
pensare, che sono il risultato di idee personali e di passioni grossolane.
Fatalmente, quindi, ne seguono delle deformazioni, e se vi aggiungiamo la
cattiva volontà, queste deformazioni possono essere considerevoli. La
storia della teologia le constata soprattutto negli eretici.
Ili -
L'opera di purificazione necessaria
Fra le eresie moderne, accenniamo a due che hanno per
oggetto la nostra stessa vita soprannaturale: il Giansenismo e il
Quietismo. Questi errori ci permettono di precisare ancora questo punto di
dottrina.
All'inizio, i Giansenisti potevano aver ragione di reagire
contro il rilassamento dei costumi, i disordini della corte, gir scandali
dei grandi. Essi, però, si sono fatti una idea terribile di Dio. Non
hanno visto in Lui che il Giudice, riducendo il più possibile la salvezza
che Egli aveva portato agli uomini. Tali eccessi corrispondevano al loro
temperamento; ma provenivano anche dal fatto che essi, volendo riformare i
costumi, vi si erano attaccati come a un compito personale, cercandovi la \oso
propria gloria. Così essi furo'no causa per la
198 LO .SPIRITO-SANTO NELLA
VITA CRISTIANA
Francia di rovine, durate sino alla metà del secolo
scorso, opprimendo, spaventando le coscienze e chiudendo il cielo. Vi fu
un errore palese nella loro mente: essi non ebbero l'intelligenza degli
insegnamenti della Chiesa. Questa eresia, per fortuna, è morta, ma ne è
rimasto, tuttavia, un riflesso in alcuni spiriti. Nella stessa vita
religiosa, vi sono anime portate ad una severità opprimente, scrupolosa.
Questo rigore eccessivo fa del male:
perché è contrario alla verità e alla carità. Altri si
ergono sempre a censori e giudici. Anche certi superiori, pur con
eccellenti intenzioni, ci mostrano continuamente un Dio severo, mentre è
soprattutto il Dio misericordioso. Oh! Se il loro Dio fosse mai vero...
Il Quietismo sta all'opposto. Qui, ci si perde nel puro
amore, dove non c'è più peccato. Amando Dio di un amore assolutamente
disinteressato, si rinunzia ad ogni speranza, perfino al ciclo, perché
ciò sarebbe impurità. Si è abbandonati, liquefatti : è il riposo
completo in Dio assicurato contro qualsiasi ritomo su di sé. Questi
eretici non vedono in Dio che la bontà, la dolcezza, la misericordia.
Essi non hanno imparato queste cose nella Sacra Scrittura. Nostro Signore
aveva certamente il cuore misericordioso, ma ha detto pure: «Vegliate,
non sapete l'ora, nella quale il Maestro
LA BEATITUDINE DEI CUORI PURI
^00
verrà» (Mat., 25, 13). E ci indica le vergini stolte
messe alla porta del paradiso.
Questi errori grossolani possono influenzarci
praticamente, senza che la nostra intelligenza vi aderisca nella dottrina.
Vi sono dei cristiani, ed anche dei religiosi e delle religiose, che, per
il loro spirito largo, sono tentati di riposarsi interamente nel Signore
per una falsa quiete. Nei novizi, per esempio, si può riscontrare questa
affettuosità che è come la trasposizione nella vita soprannaturale di
sentimenti che non si possono più provare nei confronti delle creature.
Essi si immergono in uno stato d'amore sentimentale e cercano
sensibilmente in Dio un amico del cuore;
vorrebbero provare in questa divina amicizia le
soddisfazioni che avrebbero trovato troppo umanamente nel mondo, e,
trasponendo il loro bisogno d'affetto, si riposano mollemente
nell'intimità di Gesù presente nel Tabernacolo, dimenticano l'austero
dovere di stato, non si preoccupano abbastanza delle esigenze della
Regola, degli obblighi precisi che impone l'amore autentico.
Ecco degli errori gravi, ecco ciò che si può intendere
per fantasmi dell'immaginazione, dai quali la nostra mente deve essere
purificata, poiché ci privano di quella conoscenza profonda, chiara
dell'insegnamento divino, che è la sola viva e. vera.
200 LO SPIRITO'SANTO NELLA VITA CRISTIANA
Una tale cecità sarebbe dannosa per la carità, poiché
la fede autentica non è disgiunta dalla carità autentica. Sarebbe
egualmente dannosa per i costumi, poiché conduce le anime a commettere
peccati che non esistono, a vivere nell'inquietudine o anche nella
disperazione o, per eccesso contrario, a commettere colpe che non si crede
; di fare, a trascurare il dovere reale.
Vi sono altri esempi. Alcuni protestanti hanno cercato di
spiritualizzare tutto; volendo svincolarsi da qualsiasi idolatria, non
hanno più niente che soddisfi il cuore. I loro templi, soprattutto quelli
antichi, sono disperanti per la loro freddezza; il loro Dio è duro, il
loro Vangelo arido, inculcano rigidamente nei loro figli dei principi
morali senza amore. Ma hanno cuore costoro? Non sono questi gli adoratori
in spirito e verità che il Padre desidera.
In un certo senso, però, non si va anche da noi
materializzando la religione ? Quanti Cristiani stagnano in devozioni che
non hanno niente di spirituale ! Conosciamo quelle devote che non possono
scoprire una confraternita, uno scapolare o un cordone, sentir parlare di
un pellegrinaggio, senza essere impazienti di desiderio. E' il loro modo
di intendere la religione. Certo, la S. Chiesa benedice le medaglie,
approva le confraternite, santifica que-
LA BEATITUDINE DEI CUORI PURI
201
ste cose che non sono quindi dei feticci, perché essa
conosce il cuore umano bisognoso di appoggiarsi sul concreto e di
materializzare tutto. Non ha forse Nostro Signore stesso, nelle parabole,
come materializzato la sua dottrina, e nei sacramenti, la grazia ? La
Chiesa approva, duncjue, questi aiuti esterni della pietà che non sono,
però, l'essenza della religione. Si debbono permettere alle persone
deboli, ai bambini, come un soccorso per condurli a un culto più intimo.
Ma bisogna vedere le preferenze della Chiesa, il posto che occupa per essa
la Trinità, col «Gloria» che termina ogni salmo, con le
venticinque domeniche che Le vengono consacrate; il posto che la Chiesa da
ai misteri dell'Incarnazione e della Redenzione; si tratta di misteri,
dell'essenza profonda dei misteri, benché essa consenta a costruire
presepi, calvari o statue, per soddisfare i bisogni della nostra natura
umana composta di corpo e di anima.
Se la nostra religione si esprimesse interamente e solo
nel materialismo dei segni e dei simboli, sarebbe manifestazione di
inintelligenza. Dobbiamo dunque servirci di queste devozioni soltanto
nella misura che ci è necessaria per trovare Dio, ma non facciamo della
religione una questióne di devozioni. Così anche in questo campo
lanostra
- 202 L0 SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
mente può essere ingombra di errori e fantasmi, dai quali
dobbiamo purificarci.
Vi sono altri errori. San Pietro non comprendeva il
mistero della Croce, e quando Nostro Signore parla della sua Passione,
cerca di allonta-narLo da essa. Il Salvatore è obbligato a dirgli:
« Allontanati da Me, Satana, perché non capisci niente
delle cose del Regno di Dio » (Mar., 8, 33). San Pietro ha degli
imitatori. Le parole della Scrittura ci rivelano la via dolorosa della
Croce. Vi sono anime che non intendono quelle parole e vogliono
sostituirle con altri precetti nei quali la natura trova la sua
soddisfazione. Si vedono anime religiose che hanno idee che non sono in
armonia col mistero della Passione. Questo errore proviene dalla nostra
repulsione per la sofferenza, che è un frutto dei pensieri e degli esempi
del mondo.
IV - II cuore puro
Per essere liberata dal suo errore, per veder chiaro,
l'anima deve essere docile allo spirito d'Intelletto che la spinge a
ritemprarsi nel santuario della carità vera, ad amare Dio al disopra di
ogni cosa, a ritornare al dono completo di sé per elevarsi in tal modo
all'intelligenza delle verità della fede. Uscendo da questo santuario
dell'amore, del-
LA BEATITUDINE DEI CV OSI PURI
203
l'unione a Dio, essa non camminerà sola, lo Spirito
d'Amore la seguirà e le darà un'intelligenza profonda, sperimentale
delle verità della fede. E-gli le mostrerà quanto il Signore è
misericordioso e giusto ; le darà l'attrazione della Croce, rendendo
luminosa l'espressione : « Bisogna rinunziare a se stessi, portare la
propria croce ». Egli le farà vedere un Salvatore che non è soltanto
umano, ma che possiede la maestà di Dio, perché se diciamo: « C or
Jesu bonitatis infinitae », diciamo pure: « C or ]esu majestatis
infinitae ».
L'anima, guidata da un'intelligenza profonda, andrà verso
la salvezza non più con timore, ma con fiducia ed amore. Quando lo
Spirito è presente, la carità ne è illuminata, l'uomo è perfetto.
Quando lo Spirito manca, l'anima è soggetta agli errori. Lo Spirito non
fa solo conoscere, guida anche nella pratica, perché si ama ciò che si'
conosce e in base alla profondità di tale conoscenza. L'anima che vede
mediante lo Spirito che ama, è liberata.
La fede, la fede certa e senza ombre è un fratto
dell'Intelletto. E non c'è niente di più prezioso di questa fede
liberata, per metterci all'altezza dei nostri doveri e delle difficoltà
che incontriamo nel loro compimento. L'anima così illuminata sul suo
dovere, racchiuso nella Scrittura, nel Vangelo, co-
204 LQ SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
me nella Regola, non può più arrestare il suo slancio.
Per raggiungere questa vetta, è necessario passare
attraverso le prove della notte dello spirito. Niente è duro come il
rinunciare a un'idea cara, a un'immagine amata e familiare, a una maniera
di vedere alla quale la nostra personalità e il nostro orgoglio si sono
attaccati. E' un effetto dell'Intelletto il rinunciare alle nostre idee
personali per penetrare la parola di Dio sotto tutte le sue forme,
com'essa è in realtà e non come ce l'immaginiamo noi, o come vorremmo
che fosse. Quando questa purificazione si produce in un'anima, sembra che
le venga tolta la sua intelligenza naturale, le sue abitudini mentali, la
sua profonda maniera d'essere, una parte della sua persona, ciò che forma
il fondo più misterioso dell'essere: il nostro pensiero. Quando lo
Spirito Santo opera tali purificazioni nella nostra intelligenza, ci fa
sentire che ciò che costituiva per noi l'occhio della mente non esiste
più;
Egli ci toglie perfino ciò che sembrava elevarci verso
Dio, le immagini, le idee imperfette che facevano un'unica cosa con la
nostra fede, simile, però, a una lega impura. E' questo stato che viene
ravvicinato alle notti dello spirito. La nostra mente, umiliata, immersa
nelle tenebre, deve rinufì-ziare alle sue idee preferite, alle occasioni
di errori,
LA BEATITUDINE t>Sl CUÒRI PURI _
205
all'inseguimento delle immagini, per aderire alla pura e
nuda verità. Lo Spirito Santo, per darci il suo puro insegnamento, ci
distacca dalle nostre idee personali sulla dottrina, sulla devozione,
sul-l'obbedienza, idee che spesso provengono da un fondo di amor proprio,
dal temperamento, dalle passioni. Ci sembra allora che ci venga tolta la
luce stessa degli occhi. Ma coloro che hanno il coraggio di fare questo
spogliamente, hanno il cuore puro, il loro spirito è libero dalle false
immaginazioni, dagli errori dell'amor proprio. Essi contemplano il vero
Dio, si elevano ai vertici della fede per mezzo di una vista più
penetrante; adorano il Signore in spirito sin da quaggiù, in
un'esperienza saporosa, e, gustandoLo, hanno di Lui una conoscenza più
profonda. E' il preludio della luce della gloria e della visione
beatifica. Il dono dell'Intelletto non sarà d'altra parte assente da tale
visione. Esso da all'anima del beato una comprensione più profonda, più
intima dei misteri di Dio contemplati nell'Essenza divina. Lo Spirito
Santo continuerà in ciclo a purificare quest'intelligenza beatificata,
non più dall'errore o dalle immagini, ma dall'ignoranza, «a
nescientia». Esso contribuisce a farla penetrare oltremodo
nell'Essenza divina, in quel Verbo che sarà la ricompensa e la gloria
degli eletti.
CAPITOLO TREDICESIMO IL DONO DELLA SAPIENZA
« O. immensità profonda delle ricchezze ili. Dio» (Kom.,
2, 33).
I - Punto di
partenza
Prima di penetrare nella suprema regione accessibile sulla
terra alla nostra intelligenza guidata, spinta dallo Spirito Santo, prima
di parlare del dono della Sapienza, per il quale entriamo definitivamente
nelle profondità di Dio, rimettiamoci nello stato di spirito nel quale ci
stabilisce l'ispirazione dei doni della Scienza e dell'Intelletto. E' lo
spirito di fede, « fides », ma non più la semplice virtù della
fede, bensì la fede «perfezionata» da un frutto speciale del
dono dell'Intelletto, che noi chiamiamo anche col nome di «fede».
L'esercizio abituale di questo dono di luce conduce la virtù
208 L0 SPIKITO SANTO NELLA VITA CRÌSTIANA
della fede alla sua perfezione ultima e felice, ed è un
frutto saporoso che da all'anima il godimento della divina certezza.
Questo frutto è dunque fede per eccellenza, fede sicura, ben illuminata,
che non ha più quel movimento ondeggiante dell'inizio, ma che va verso il
suo oggetto con chiaro assenso. L'oscurità della fede, sotto i'azione di
Dio, viene rischiarata da bagliori e, giunta a questo grado, la notte
brilla come il giorno, per le tante delizie che in essa regnano (Ps.,
138), e perché l'anima sperimenta Dio attraverso le creature e la
rivelazione donde Egli irradia. Questa fede è un mare di delizie per la
carità. Guidata da una fede che non cerca più, ma la cui notte è
rischiarata dalle illuminazioni dei doni di Scienza e di Intelletto, la
carità è paga. I santi nei quali si sviluppano questi doni, sono
nell'orazione di raccoglimento e di quiete. L'anima non è più tormentata
dalle creature; essa vede, grazie a tale scienza, la sua piccolezza e il
suo peccato, e se ne allontana. Attraverso se stessa, vede Dio e risale
sino a Lui. Con questa prima guida, la fede è diventata gioiosa, limpida;
si è liberata dal fardello delle creature. Col dono
dell'Intelletto, si slancia nel mondo delle rivelazioni divine, non
ostacolata dalle nubi dell'immaginazione che la .costringono, per fissare
Dio che, è spirito, liberata dagli. ;errori.dell'anaorpro-
IL DONO DELLA SAPIENZA 209
prio; ella penetra profondamente il senso dei misteri
religiosi, per mezzo di un sentimento del cuore che è luce, e gusto
divino nel quale passa la luce dello Spirito Santo: stato beato per la
fede che sperimenta tali cose.
L'illuminazione della notte della fede è associata, come
è già stato detto, a penosi distacchi (o strappi). Bisogna rinunziare ad
abitudini che ci sono care, al nostro modo di vedere, alla luce dei nostri
occhi. E' la notte dei sensi che sono condannati a rimanere silenziosi,
essi che sono così vivi! E' la notte dello spirito, condannato a non
ragionare più, esso così raziocinante! Nonostante queste mulilazioni, la
luce dello Spirito Santo cresce. Allo stesso modo il vento spazza le
nuvole e il sole appare. La luce divina si apre il cammino in mezzo alle
pene dell'anima, la quale è beata di sentirsi in contatto col suo vero
Dio; felice nella sua carità che poggia sulla grazia di Cristo e
illuminata dai doni della Scienza e dell'Intelletto, è portata a credere
fermamente, con perfetta certezza.
II - Necessita del dóno della Sapienza
Quanto detto sopra è il termine ultimo della nostra vita
contemplatiya, della vita d'amore sulla
210 LO SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
terra? No. Nonostante quei lumi, la carità sente ancora
un bisogno. San Paolo ce ne da la ragione:
« La carità non muore » (I Coi'., 13, 8). La fede e la
speranza spariranno al momento del nostro ingresso in ciclo. Come la
nostra anima che è immortale, la carità, che ha in essa la sua sede, non
sparirà. Bisogna che la fede cessi per la visione, la speranza per il
possesso; la carità è ugualmente vera nell'assensa dell'oggetto amato
che nel possesso. E' la stessa anima con lo stesso amore, la quale ama Dio
sulla terra e l'amerà in ciclo. Una sola cosa è cambiata: quaggiù la
carità è guidata dalla luce della fede; nel ciclo, dalla chiara visione.
Differenza considerevole dal punto di vista della conoscenza di Dio, ma è
la medesima carità: in ciclo, carità esaltata, consumata; qui, carità
in movimento, a causa della fede che la guida verso il suo ultimo termine.
Perché, allora, il cuore cristiano soffre sulla terra? La
ragione di questa sofferenza, di cui si parlava più sopra, è chiara. Sin
da ora, la carità è fatta per il ciclo, alla misura del ciclo, alla
misura di un Dio visto faccia a faccia, in tutta la sua stupenda bellezza.
Ella ha delle virtualità infinite che non può sviluppare quaggiù, pur
col soccorso dei doni -della Scienza e dell'Intelletto. Le idee con le
quali guardiamo Dio appartengono al crea-
IL DONÒ DELLA SAPIENZA '^1
to, al limitato, al finito. Ora la carità della terra
vorrebbe mirare Dio infinito, in quanto infinito, ed essa Lo conosce in
una maniera così imperfetta! « O grandezza, o profondità delle
ricchezze di Dio!».
La carità vuole dunque che Dio le venga mostrato faccia a
faccia. La fede, frutto del dono dell'Intelletto, per quanto stabile, non
può mostrar-glieLo così. In conseguenza di ciò, vi è nella carità
un'ampia capacità d'amore che non è soddisfatta.
E' a causa di ciò, d'altronde, che sulla terra la carità
è un amore di Dio al di sopra di tutto. Esaminando tutte le creature che
amiamo, vediamo che Dio le supera, che niente è paragonabile a Lui. Ciò
tuttavia è qualcosa di puramente negativo, non è ancora l'amore di un
infinito visibile, percepito nella profondità delle sue meraviglie. Per
conseguenza, la carità rimane inappagata, sinché segue la fede, pur
illuminata dai doni che la fortificano, togliendo gli ostacoli e mettendo
il suo oggetto in pieno valore. Che farà dunque la carità imprigionata
dalla fede? Colui che ama Dio, tormentato da questa sproporzione tra la
luce finita che lo guida e l'infinito istinto del suo amore, ritornerà
verso il proprio cuore per trovarvi un movimento d'amore che sfugga a
questa stretta della fede. Se fosse possibile trovare
212 LO SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
sulla terra una luce che ci facesse sentire il Divino, non
più in modo negativo ma positivamente!
Nella sua stessa carità, nella sua virtù della carità,
l'anima non potrà trovare questa luce; la carità è amore, non luce,
essa è fatta per seguire la fede. Ma al di là della carità, vi è il
suo Creatore. «L'amore di Dio è stato effuso nei nostri cuori dallo
Spirito Santo, che ci è stato dato con essa » (Rom., 5, 5). Lo Spirito
Santo inabita nell'intimo delle anime sante e la sfera su cui esercita il
suo influsso, è quella carità che è qualcosa di Lui stesso, e Lo
rappresenta nel cuore dell'uomo. Egli veglia su di essa, la circonda di
cure, la muove incessantemente, trova il mezzo di donare alla carità
della terra un lume che, in certo senso, supera quello della fede.
Lo Spirito Santo vede Dio faccia a faccia, profondamente.
Dio non ha per Lui quella inaces-sibile altezza, profondità, grandezza di
cui si inebriava S. Paolo. Egli è alla stessa altezza. Egli è Dio.
Nell'anima ove inabita, trasmetterà, mediante un impulso, un'ispirazione,
qualche cosa di questa visione faccia a faccia, che forma la sua
felicità;
noi abbiamo un dono per ricevere questo-impulso:
il dono della Sapienza;
IL DONO DELLA SAPIENZA 213
IH - Oggetto e
attività della Sapienza
L'ispirazione della Sapienza non è altro che una mozione
dello Spirito Santo, col quale Egli ci comunica, per là via del cuore,
come una esperienza della visione celeste.
Si rimane sempe nella sfera della fede: è la fede che
determina l'oggetto del nostro amore. Ma lo Spirito Santo infonde in
maniera cordiale, sperimentale, una conoscenza dell'oggetto della fede,
che ci fa penetrare, sentire non con gli occhi del corpo, ne con quelli
della mente, ma con gli «occhi illuminati del cuore», l'infinito di Dio,
quell'« al di sopra di tutto » che è la legge stessa della carità.
Questa è un'esperienza oscura dell'immensità divina. L'anima che è
sotto l'azione di tale ispirazione si inabissa, si immerge ih una
conoscenza intensa del « tutto » di Dio. Essa, in un certo senso,
sperimenta Dio. Essa è molto al di sopra di ciò che la fede, pur aiutata
dal dono dell'Intelletto, le rivela in termini precisi. Con questa
conoscenza, si prostra in attitudine di adorazione dinanzi all'immensità
divina. Pur continuando a credere, essa rinuncia ad usare le espressioni
della fede, a fissarsi nei suoi concetti, per perdersi in un sentimento
intenso d^lla trascendenza divina. Noi
214 L0 SPIRITO
SANTO. NELLA VITA CRISTIANA
non vediamo, ma questa conoscenza del cuore, questa
esperienza, equivale alla visione, perché è una partecipazione della
visione dello Spirito Santo, il quale testimonia in noi, che ciò che
sentiamo è la verità.
Quando, nell'orazione, abbiamo. fatto oggetto della nostra
fede una verità suprema, per esempio:
«Io sono Colui che è», oppure: «Dio è Carità», e il
dono dell'Intelletto ce ne svela il profondo significato, noi penetriamo
sempre più, ripetendo «Dio.è»; io, niente, un puro nulla. Lui, è: è
eternamente, infinitamente: è Colui che è... D'un tratto, superando
questo pensiero, proviamo il bisogno di prostrarci in un sentimento di
adorazione dinanzi a Colui la cui profondità ci è così rivelata. Il
pensiero della Scrittura sparisce dal primo piano della conoscenza, dove
è come alla portata della fede esplicita; scompaiono pure i concetti che
l'esprimono, e l'intelligenza, come da un trampolino, si slancia e si
prostra dinanza all'Essere di Dio;
non vi è più che una adorazione, un «amen», un moto
dell'anima che si perde in Dio. Essa rinuncia momentaneamente ad ogni
concezione definita, anche a quelle che l'hanno condotta allo stato
attuale. Ecco dunque l'atto del dono di Sapienza: lo Spirito divino ci fa
fare un atto di
IL DONO DELLA SAPIENZA . ^5
intelligenza verso Dio, degno dell'Essere di Dio, della
Sua trascendenza. Non è un atto della mente che pensa positivamente, ma
della mente che rinuncia a pensare, a concepire. In ciclo, penseremo e
vedremo nel lume di gloria; quaggiù siamo nella stretta della fede;
sfuggiamo ad essa umiliandoci nell'adorazione. E' il solo atteggiamento
dello spirito adeguato alla profondità divina. Non diciamo niente, non
pensiamo niente, ma il nostro atteggiamento intellettuale proclama: «O
profondità delle ricchezze divine!».
Ecco fin dove può condurci lo Spirito di Sapienza. Ciò
dura un istante; è un breve rapimento, un volo dello spirito, come un
rapido salto. Ricadiamo prestissimo sul terreno della fede. Poi
ricominciamo. Come dice San Francesco di Sales, prendiamo, terra sul suolo
della fede, ci rianimiamo con un buon pensiero, raccogliamo le forze per
risalire ancora.
E' un atto che non può durare perché appartiene allo
stato degli eletti; esso ci pone nell'atteggiamento proprio di coloro che
vedono, e sulla terra non si può a lungo sostenere simili stati, sono
stati angelici. Tuttavia, grazie a Dio, esistono. Abbiamo provato che
bisogna superare ogni creatura, ogni espressione creata di Dio, abbiamo
sentito questa specie di «uscita da tutto». Non è l'estasi,
216 LO SPIRITO SANTO
NELLA VITA CRISTIANA
stato straordinario, ma un'uscita totale dalle creature.
Non si vede niente, l'ora dell'incontro faccia a faccia non è ancora
suonata. Si còglie, tuttavia, l'idea che Dio supera assolutamente ogni
creatura, ci si sente piccolissimi di fronte a Lui, si è soggiogati dalla
grandezza dei suoi attributi, si ha la conoscenza intuitiva, sensibile,
intensa del suo Infinito, e ci si prostra in adorazione.
E' l'atto più sublime, più prossimo alla visione degli
eletti. Lo si ottiene rinunciando alle risorse proprie dell'intelligenza
umana, ai perfezionamenti che l'arricchiscono, con uno spogliamento
totale, per diventare un essere che si prostra nell'adorazione dinanzi
all'Essere divino.
Ma quanto dolore è necessario per acquistare simile luce
dallo Spirito Santo! Bisogna, infatti, che il nostro spirito si sloghi
intcriormente, che si dilati sino a distendersi, per avere un contatto con
l'Infinito così com'Egli è. Vi è allora un momento terribile, quello
chiamato dai mistici «la grande tenebra». Abbiamo perduto tutto ciò che
ha fatto la luce dei nostri occhi. Bisogna rinunziare ai procedimenti
naturali della nostra mente, all'evidenza; bisogna, in un certo senso,
annientare l'atto dello spirito che si compiace in ciò che vede. E'
doloroso, ma questa sofferenza genera una grande gioia. Questa totale
docilità che giunge sino al-
IL DONO DELLA SAPIENZA 217
l'estremo della rinunzia e delle forze dello spirito,
rende a Dio il solo omaggio degno della sua Maestà. '
IV - Effetti
sublimi del dono della Sapienza
Quando lo spirito è così prostrato (nell'adorazione),
l'anima è nel gaudio. Questo movimento è come infinito: non si sa fino a
quale profondità può giungere l'anima in tale adorazione: l'abisso è
senza fondo. E la carità si eleva così a gradi sempre più alti, senza
misura: essa è appagata, ha finalmente trovato la luce adeguata
all'altezza del suo intimo istinto. Lo spirito si è dilatato alle
dimensioni dell'infinito di Dio che tocca, di cui da testimonianza poiché
si umilia profondamente;
l'amore ha trovato in esso una misura alla sua altezza: è
l'amore più alto che si possa raggiungere sulla terra, benché non sia
consumato. Siamo allora adoratori « in spirito e verità ».
La carità, dico, ha raggiunto una conoscenza di Dio
all'altezza del suo istinto. Lo spirito del credente, animato dalla
Sapienza, parla al suo cuore del Diletto com'Egli è. La carità è
felice! Ciò che essa chiedeva invano alla fede esplicita, lo ha trovato
quando la Sapienza si è comunicata al-
218 LO SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
l'intelligenza. Essa può vivere quei minuti di gaudio che
la carità dei santi prova quando l'intelligenza, rapita in Dio, si
prostra dinanzi alla Maestà infinita. Sono questi gli istanti più
deliziosi che sia concesso all'amore di provare sulla terra.
Quando tale orazione si fa a proposito di Nostro Signore o
dell'Eucaristia, o di qualsiasi oggetto di questo genere, essa non può
astrarsi dal creato. Nostro Signore è uomo; tuttavia, essendo Dio, pur
tenendo conto della natura finita alla quale la sua Divinità è unita, la
Sapienza ci fa vedere in Lui una sublimità ineffabile mediante una
conoscenza sperimentale profondissima che prima non avevamo. Così dalle
parole del Gloria: «Tu so-lus Sanctus, Tu solus DonUnus, Tu solus
altissi-mus », ci sentiamo portati verso ciò che rende il Cristo
così santo e talmente il « Signore » e « l'Altissimo », che ci è
possibile, seguendo questo moto, di superarlo per così dire e restare
dinanzi al Salvatore nell'atteggiamento di adorazione della sua grandezza.
Questo è un genere di orazione nel quale la Sapienza ci istruisce
ineffabilmente sulla divinità di Gesù, non sulla sua umanità, che,
presa a parte, non costituisce l'oggetto diretto della Sapienza. Nessuno
può avere per Nostro Signore uh amore all'altezza della sua bontà, se
non si
IL DONO DELLA SAPIENZA 219
prostra dinanzi alla sua divinità adorando: «A-doro
Tè, latens Deitas: Divinità celata Ti adoro».
Vi è però un terreno di elezione, un oggetto
predestinato della Sapienza che è la Trinità. La Trinità è
dappertutto; ma essa è in un modo tutto particolare nell'anima santa.
Essa vi è come più attenta alla sua opera d'amore, più munifica nei
doni, sia di natura che di grazia. Vi è di più: l'anima la riceve in sé
come un'amica che ha in questo cuore la sua «intima dimora». E'
l'oggetto preferito delle meditazioni dei santi. La divina Trinità è
nell'interno della loro anima; essa vi inabita come nella sua propria
dimora, ricevuta dall'anima capace di attingerLa e di possederLa.
V •• L'orazione
di unione
I santi considerano Dio sostanzialmente presente in essi.
Rientriamo in noi stessi, mediante un pensiero di fede, illuminati dalla
fede e carità soprannaturali. La Scienza scarta gli ostacoli;
l'Intelletto, con una parola, ci rivela dall'interno ciò che Egli è; ma
è soprattutto con l'ispirazione della Sapienza che attingiamo Dio, che
arriviamo, per così dire, sino a toccarLo, La fede non può farlo;
220 LO SPIRITO SANTO: NELLA VITA CKiSTIAffA
fatalmente essa è rivestita dalle idee di cui si serve;
si manifesta a noi con parole, idee umane, immagini; se
l'essere delle cose fosse intelligibilmente all'interno della conoscenza,
non avremmo bisogno di idee. Quando andiamo a Dio mediante la fede,
supponiamo che Egli sia distante. Basta però, che si produca, per il
donò della Sapienza, un movimento d'anima senza idea precisa, perché
l'ostacolo sia tolto: noi ci prostriamo allora dinanzi a Dio che inabita
all'interno della nostra anima. Quando l'anima si umilia così, avviene un
contatto fra essa e il Dio che inabita in lei come in un tempio; non vi è
più idea o immagine che separi, non e'è, nell'indivisibilità
dell'anima, che un'anima in adorazione e il Dio infinito, sostanzialmente
presente, oggetto di esperienza immediata e di contatto. E' questa
l'ultima espressione dell'unione e dell'orazione d'unione. Santa Teresa
usciva da questa orazione con la certezza di essere andata in Dio,
presente in lei. Non c'è che la Sapienza che possa applicare così il
nostro spirito alla sostanza di Dio all'interno della nostra anima, ma
essa ci conduce sin là.
Si potrebbe credere che queste cose siano fatte per
qualche anima più elevata, una santa Caterina, una santa Teresa. Con lo
stato di grazia, in-
IL DONO DELLA SAplEN'ZA ^Q\
vece, abbiamo tutti i doni, ivi eonipresa^la Sapienza, e
la capacità di provare anche noi quelle cose, che sono fatte per noi,
perché appartengono alla potenza della grazia ordinaria, e sono destinate
a sviluppare le virtualità di questa grazia.
Gli stati d'orazione non sono una via straordinaria, come
invece l'estasi, il rapimento, il ratto, e le grazie «gratis datae»
(per esempio: il dono dei miracoli, il dono, di profezia, ecc.) Noi stessi
che cerchiamo la perfezione dell'amore di Dio, non ci saremmo forse
trovati, senza saperlo, in tale stato d'orazione d'unione ? Non abbiamo
forse provato, qualche volta una specie di annientamento dinanzi a Dio,
presente in noi, in occasione forse di una comunione?... In quel momento
la prossimità di Nostro Signore fu grandissima, ed essa mise la nostra
anima in movimento; ci siamo avvicinati maggiormente alla. divinità
presente in noi. Dio era là e, rinunziando a capire ci siamo prostrati in
una certezza intima della sua presenza immediata, e, con l'atteggiamento
del nostro spirito e la potenza della nostra carità, abbiamo preso
contatto con Dio. '
Queste cose succedono, ma difficilmente se ne percepisce
il valore, la dignità e l'esistenza normale nella nostra vita; non vi
diamo importanza.
222 LO SPIRITO SANTO NELLA VITA cristiana
Diciamo giustamente: E' una grazia, un avvenimento della
mia vita spirituale. Ma perché non augurarci di rinnovare
quell'esperienza? Diciamo ancora: bisogna che Dio ci metta in questo
stato. Egli lo farà, ma dobbiamo disporci a così grande favore.
Se la nostra vita si svolge nella pratica delle virtù
morali infuse, aiutate dai doni, si trova in tal modo pacificata. Se noi
siamo in presenza delle creature in modo distaccato, considerando solo
ciò che esse ci dicono di Dio; se, per l'Intelletto, siamo entrati nella
conoscenza delle cose divine, siamo sulla soglia dell'orazione unitiva,
non ci resta che oltrepassarla e, poiché per il dono della Sapienza
abbiamo la capacità di ricevere questa meravigliosa ispirazione, non è
troppo temerario sperare che essa qualche volta possa soffiare in noi.
L'errore sarebbe di cercarvi una golosità spirituale, di « attaccarsi ai
giochi di fisionomia di Dio» come dice sant'Agostino, più che a Dio
stesso, di farne una cosa dilettevole. Inoltre, sarebbe presunzione
pretendere queste cose elevate, se non si praticassero i comandamenti
ordinari di Dio e i Suoi consigli di perfezione. Se lo Spirito Santo,
però, ci ha direttamente purificati, elevati, aiutati a salire verso
quelle vette, perché non
IL DONO DELLA SAPIENZA ^23
renderemmo a Dio il supremo omaggio di prostrarci dinanzi
al Suo Essere col nostro spirito e col nostro cuore, dal momento che è lo
Spirito Santo medesimo che ce ne da il potere? Non temiamo di andare
incontro a questi favori; non si tratta ne di immaginazione, ne di
ambizione: la misericordia di Dio ce ne ha dati i mezzi; questi favori
fanno parte di una vita cristiana perfetta, normale.
a
CAPITOLO QUATTORDICESIMO
BEATITUDINE DEI PACIFICI
« Beati i pacifici, perché saraniio chiamati figli di
Dio» (Mat.,»5, 9).
I pacifici sono coloro che dapprima hanno la pace nel
cuore e poi la irradiano attorno ad essi. I nostri maestri ricollegano
questa beatitudine al dono della Sapienza. I sapienti, secondo lo Spirito
Santo, sono dei pacifici.
I - Legame fra questa beatitudine e il dono della Sapienza
II sapiente secondo lo Spirito Santo, ha il potere di
immergersi in adorazione profonda, senza parole e senza pensieri, dinanzi
alla grandezza divina. Non solamente egli adora, ma assapora,
sperimentandola, la realtà del « tutto » di Dio, e
226 L0 SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
il più vicino possibile, poiché questo Dio sovrano abita
all'interno del suo cuore. E' lo stato della sua anima. Quand'egli
contempla questo Dio così grande e così vicino, nel Quale è tutto il
bene, la sua carità raggiunge il massimo grado sulla terra, non nella
sensibilità che può sottostare a dolorose prove, ma nella volontà, per
uno slancio sublime dell'intenzione d'amore. Egli è felice, perché
possiede il Bene infinito, il bene perfetto, e sa di possederlo.
Indubbiamente questa e là contemplazione che Dionigi
chiamava «circolare». Nella contemplazione verticale, dal piano delle
creature, con un movimento vivo, l'anima si elevava a Dio, come molto al
disopra di noi. Nella contemplazione a spirale, mediante illuminazioni
successive, si saliva di luce in luce, di « fede in fede », de fide
in fidem. Ora, appare una sola cosa, la grandezza di Dio: non si
avanza più, si è in faccia al « Tutto » divino; tenendosi a portata di
Dio, senza a-vanzare ne indietreggiare, il pensiero gira come in un
cerchio, essendo giunto al suo centro eterno.
Ecco ciò che dona la Sapienza: questa esperienza, questo
senso della grandezza di Dio e della sua presenza, di cui si nutre la
carità. In ciclo, eccetto la piena vista e l'inammissibilità, non avremo
di più.
BEATITUDINE DEI PACIFICI ^
Ora, per noi, rimane la vita quotidiana con le
sue difficoltà. Come Nostro Signore e gli Apostoli
dovettero discendere dal Tabor, dopo la Trasfigurazione, pure noi
dobbiamo, dopo le più alte contemplazioni, ricadere nella vita ordinaria,
aver contatto col mondo. Cristo, ridisceso dal Tabor, trovò un povero
ossesso e lo liberò (Mar., 9). Troviamo qui due aspetti della vita.
Il dono della Sapienza viene incontro a questi due
aspetti. Non ha solo per effetto di elevare la nostra contemplazione a
quel grado sublime, è anche un dono pratico che deve servirci
sovranamente nella vita ordinaria. Secondo S. Agostino e S. Tomaso, la
Sapienza è ordinata non soltanto a contemplare Dio, ma anche a
consultarlo per ottenere da Lui direzioni pratiche. L'anima, avendo
esperimentato questo « tutto » di Dio, a che cosa anela? Il suo
desiderio è che « Dio sia tutto in ogni cosa» (I Cor., 15, 28). Ed ecco
la regola suprema che risulterà da questa unione. Quando l'anima ritorna
alia vita pratica, conserva della visione del «tutto» di Dio, l'impulso
dello Spirito Santo: «Che Dio sia tutto in tutte le cose». E allora, che
cosa farà? Comincerà ad ordinare tutte le cose, a metterle al loro
posto, dai pensieri agli affetti, agli atti della volontà, tutto
rapportando a questa visione.
^§ LÒ SPÌRITO SANTO WLLA VlfA CRISTIANA
Ella dunque giudicherà ogni cosa da questo nuovo punto di
vista, tutto ciò che i doni dell'Intelletto e della Scienza avevano già
chiarito; l'ordine sarà più assoluto, perché la luce sarà più grande.
Le creature che ostacolano la fede saranno al loro posto.
L'azione della Sapienza, poi, agirà nei nostri consigli:
la prudenza, così aiutata, sarà più perspicace e imperiosa. Così,
l'anima esce dall'unione divina con un bisogno di verità morale assoluta;
esige una precisione di vista perfetta, vuole ad ogni
costo che la prudenza le detti le sue decisioni, in completo accordo con
le esigenze del «tutto » di Dio.
Più in basso, la Sapienza eserciterà la sua azione nel
campo della giustizia e della mansuetudine, della religione e della
pietà, e nelle lotte della fortezza per sopportare e affrontare. Più in
basso ancora, essa aiuterà il Timore a combattere le tré concupiscenze.
L'anima che è penetrata del « tutto» di Dio, del suo diritto assoluto,
ha per ordinare questo mondo inferiore, una luce infinitamente più
perfetta e una forza infinitamente maggiore. Nei suoi rapporti col mondo,
rapporti di giustizia, di apostolato, sarà spinta da questo bisogno di
ordinare tutto in rapporto al « tutto » di Dio. Sarà estremamente
apostolica. Quando es-
BEAriWDINE. DEI PACIFICI 229
sa vede un'anima sfuggire ai diritti di Dio, raddoppia la
dedizione e l'oblio di sé; prodiga le sue cure materiali e le sue
testimonianze d'amore, trasfondendo in esse qualche cosa della conoscenza
intuitiva che essa ha del « tutto » di Dio, che deve regnare su
quell'anima.
La gloria di Dio è l'unico fine dell'anima che, salita
sulla montagna della Sapienza, si è trovata dinanzi alle profondità
delle perfezioni divine:
la gloria di Dio, l'amore di Dio diffuso dappertutto!
La conseguenza di ciò è che per l'anima tutto è
nell'ordine, tanto nel suo interno che attorno a sé. Ella vede tutte le
cose, i suoi sentimenti, i suoi affetti, le sue azioni e tutto ciò che la
circonda, nello stato di essere soggetti all'autorità del « tutto » di
Dio, il cui valore e prezzo è determinato dalla misura in cui riflettono
questo infinito. La tranquillità assoluta dell'ordine regna dunque in
essa.
L'ordine non può regnare dove le cose non sono al loro
posto. Se gli esseri sono mal disposti, si rivoltano per trovare il
proprio equilibrio e il loro centro. Quando tutto, invece, è ordinato
come in una casa dove ogni cosa risponde all'idea di un saggio architetto,
tutto è solido, ed in pace. Cosi è l'edificio della nostra vita, quando
essa è
230 L0 SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
regolata sull'esigenza del «tutto» di Dio. L'ordine è
stabile, niente stride, niente protesta, e se qualcosa ci facesse
soffrire, non avremmo che da contemplare il «tutto» di Dio per lenire la
tristezza.
L'ordine tranquillo è la pace; chi dunque h? tutto in
regola, tutto in ordine nella sua carità, nelle sue azioni, è nella
pace. Ma come un fuoco ardente manda calore, così l'anima intcriore, per
la quale Dio è tutto, che si è sforzata di regolare ogni cosa in questo
senso e ha trovato la pace per sé, la irradia, ed è per gli altri una
messaggera di pace. Vi sono di queste anime che irradiano la pace: sono
pacifiche.
II - II Rè pacifico
Vi è Uno che può essere considerato, l'incarnazione
della pace. E' « il Rè pacifico », Nostro Signore. Che pace nella sua
anima! Anche quando lo zelo lo divora, anche nei suoi incontri con i
farisei, non esce mai dalla calma intcriore. Nel complesso della sua vita,
nei suoi rapporti con la povera gente, tutto in Lui irradiava la pace,
perché il Padre stìo era sempre con Lui. Egli viveva in un rapporto
perfetto con Dio. Col suo essere
BEATITUDINE DEI PACIFICI 231
dapprima, nella sua divinità e nella sua umanità, a
causa della visione gloriosa e del dono della Sapienza ch'Egli possedeva
in grado eminente e per il quale sperimentava il « tutto » di Dio,
aveva nel cuore un solo desiderio: possedere questa pace e diffonderla.
Egli sedava i flutti in tempesta, calmava l'inquietudine dei discepoli.
Soltanto coloro che non volevano pacificarsi ignoravano la sua pace;
poiché Egli doveva morire, era necessario che vi fossero i malvagi per
crocifiggerLo.
Contempliamo questo modello. Egli è Dio, ma ha una natura
umana; è il nostro esempio. Egli ha perfezioni divine ed altre che
appartengono solo alla sua umanità. La sua Sapienza è la sapienza di un
Dio ed è pure la sapienza umana al grado supremo. E' l'incarnazione della
pace: la possiede e la diffonde. Che spettacolo di pace è il Vangelo! E'
questa l'impressione che ci da. Si desidera, seguendo il Maestro, andare
alla sorgente donde Egli attingeva quella pace: la Sapienza. Egli aveva
l'esperienza continua e immediata della presenza di Dio in Lui e del
«tutto» di Dio. Proprio per questa pace che emanava da Lui, più che per
i miracoli e le affermazioni. Egli testimoniava di essere il Figlio di
Dio. Dio è il grande Pacifico: « Egli fa brillare il sole sui buoni e
sui malvagi, piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mat.,
232 L0 SPIRITO
SANTO NELLA VITA CRISTIANA
5, 45). Egli è paziente, longanime (dolce) mansueto: il
Figlio di Dio riflette tali perfezioni:
è il Rè pacifico. Questo è il segno che Lo fa
riconoscere, più ancora che l'attributo della sua misericordia, già
caratteristica della sua divinità!
Se dunque le nostre anime sono entrate nello spirito della
Sapienza per trovare .Dio, se ne sono uscite con la certezza intuitiva che
Dio è tutto, e hanno ordinato ogni cosa a quel principio, esse saranno
salutate figlio di Dio. Non sono che fi-glie adottive, ma hanno in
comune col Figlio unico la particolarità di essere pacifiche. Non c'è
niente che faccia più pensare a Dio e al Figlio di Dio di un'anima
pacifica, placata dalla pace divina. Niente rassomiglia di più
all'interno di Gesù che l'interno di quell'anima; e ciò che è interno
si esteriorizza. Dei primi cristiani si diceva: Vedete come si amano;
delle anime pacifiche, si dirà: sono figlio di Dio.
Abbiamo contemplato i setti doni dello Spirito Santo e le
sette beatitudini '). Abbracciamo
) ) Vi è un'ottava
beatidudine, essa non corrisponde a un dono speciale, poiché essa non è
una beatidudine particolare, ma piuttosto una conferma delle altre.
BEATITUDINE DEI PACIFICI r 233
con uno sguardo la nostra salita. Lo Spirito Santo
« ha disposto nel mio cuore delle ascensioni », dice la
Scrittura (Ps., 83, 6). Siamo partiti da un grado infimo. Col Timore, già
sentivamo di essere ad un inizio, mentre, all'altro estremo, a questo
primo dono corrispondeva il dono della Sapienza; il Timore già ci guidava
verso questi splendori, perché, «il Timore filiale del-Signore è il
principio della Sapienza» (Ps., 110, 10).
Siamo saliti con la Fortezza che ci rende atti a compiere
i nostri doveri positivi sia attivi che passivi. Siamo giunti alla Pietà
con i suoi accenti sublimi di religione, e con la mansuetudine, che è un
inizio della pace, abbiamo raggiunto la base della vita pratica: il
Consiglio.
Ci siamo quindi elevati alla contemplazione.
La Scienza ci ha fatti entrare in Dio, allontanandoci
dalle creature mediante la vista della loro povertà, e, allo stesso
tempo, mostrandoci in esse la trasparenza divina.
L'Intelletto ci ha fatto penetrare lo splendore divino che
è nella Sacra Scrittura e nella dottrina della Chiesa, e ci ha condotti
sino al vero Dio.
A poco a poco, ci siamo avvicinati a Dio, come per cerchi
concentrici. Con la Sapienza, termina l'ascesa esiamo giunti al limite
estremo: essa è la base definitiva dell'ordine soprannaturale. Avendo
. 234 L0 ^S/TO SANTO NELLA VITA
CRISTIANA
raggiunto questa vetta mediante gli aiuti successivi dello
Spirito Santo, possediamo, con la Sapienza, Colui che è la spiegazione di
tutto, e allora possiamo effondere su tutti, i benefici di questa divina
unione, con l'ordine stabilito in noi e attorno a noi. .
Il grandeSapiente che è il Buon Dio ha ordinato tutto in
noi in modo meraviglioso: Egli ha disposto ammirabilmente gli organi della
nostra vita spirituale: la grazia, le virtù e i doni, affinchè possiamo
in questo modo risalire perfettamente verso di Lui e poi ritornarne
migliori. Se Dio ha creato meraviglie nella natura, ne ha fatte
soprattutto nell'ordine soprannaturale, i santi, in particolare, sono una
di queste meraviglie. Ritorniamo dunque verso di Lui per ringraziarLo e
prometterGli di fare il possibile per rimanere attenti a questo spettacolo
e tradurre nella pratica le direttive, i pensieri, i desideri, i lumi che
Egli avrà con tutti questi mezzi, deposto in noi.
CAPITOLO QUINDICESIMO IL PROGRESSO SPIRITUALE
« La vita dei Giusti è come una luce risplendente che
aumenta e cresce sino al meriggio pieno » (Prov., 4, 18).
I - La legge del
progresso
Abbiamo visto quale ammirabile organismo di doni e di
virtù lo Spirito Santo crea nell'anima del giusto/Ora, l'uomo intcriore;
:è incorporato al Cristo, suo capo. Da Cristo gli viene la luce, la vita,
il movimento. Capo vero del giusto, il Salvatore lo stimola
incessantemente con la sua grazia e i suoi sacramenti, che sono come
un'estensione del suo Corpo, questo strumento delle sue meraviglie,
durante la sua vita. Fra queste grazie, le prime sono l'insegnamento della
Chiesa, la liturgia, la dottrina e l'esempio dei santi. Tutta la vita
della Chiesa
236 L0 SPÌRITO
SANTO NELLA VITA CRISTIANA
e vivificante per coloro che sono nella Chiesa, e
tutte queste misteriose influenze cristiane vengono dal Cristo vivente in
Ciclo. Dal seno della sua gloria. Egli ci manda lo Spirito Santo, che ci
è dato come persona, e che è come il cuore della nostra vita
soprannaturale di cui Cristo è il principio. Noi siamo sotto l'azione
continua di queste due Persone divine, che operano in noi sinché
rimaniamo in stato di grazia. Siamo consapevoli di questo dinamismo
divino.
La grazia santificante è come uri innesto colmo di vita
divina, inserito nel pollone selvatico della nostra natura, per
perfezionare la linfa, divinizzarne l'energia e farle produrre magnifici
frutti. Cristo, nell'infondere la grazia nell'anima, l'ha provvista di
organi che sono le virtù teologali: la fede che ci mette in relazione col
vero Dio, la speranza iche ci fa cercare in Lui il nostro bene, la carità
che s'impossessa di tale bene, con l'affetto del cuore, e aspira a godere
della sua presenza nella perfetta unione. -
Sotto l'impero di queste virtù, la prudenza governa le
virtù particolari infuse nelle nostre facoltà per sottometterle a Dio:
la giustizia che da a ciascuno il dovuto, la fortezza e la temperanza che
governano Je passioni violente e le basse concupiscenze.
IL PROGRESSO SPIRITUALE
237
Un nuovo aiuto ci viene dallo Spirito Santo che interviene
con le sue iniziative personali; veglia sulle nostre debolezze, ci stimola
incessantemente, per farci tendere al più perfetto; opera questi effetti
con i suoi Doni che sono in noi allo stato potenziale di attesa, e che
Egli mette in attività con le sue ispirazioni personali, con le sue
iniziative singolari, se noi siamo attenti e fedeli a seguire il suo
impulso.
Niente è così bello, forte e grande, e potente come
l'uomo giusto! Niente gli manca per camminare verso la vita eterna, e già
la possiede in sostanza nell'oscurità della fede: fides, speranda-rum
substantia rerum...
Qual'è la legge di questa vita etèrna cominciata fin da
quaggiù con le energie messe a nostra disposizione sotto l'influenza dei
nostri due Maestri, ed anche del Padre che li manda ?
E' una legge di progresso. Dobbiamo tendere alla
perfezione. E' quella la nostra vita: la vita deve essere per noi come la
luce che inizia all'aurora, si fortifica, aumenta, crésce ancora e giunge
al pieno meriggio, alla luce piena che cresce senza posa! Ed anche strada
sulla quale avanziamo! «La via dei figli di Dio è come una luce che
sale».
2-38 LO SPIRITO SANTO -NELLA VITA CRISTIANA
II— Cónte si progredisce in grazia e carità?
In che consiste questo progresso? In che modo un'anima
sempre in esercizio avanza verso la vita eterna ?
Nell'ordine della natura, il progresso morale, come quello
in arte o qualsiasi altro, si ottiene con la ripetizione degli atti.
Compiuti con attenzione, gli atti, a poco a poco generano abitudini, come
se la loro forza creasse una molla per riprodurli. E' dunque mediante gli
atti ripetuti che progrediamo nelle nostre abitudini, che possiamo
arrivare a produrre facilmente, naturalmente, delle cose che, prima, ci
sembravano difficili, inaccessibili.
E' impossibile ottenere questo accrescimento nell'ordine
soprannaturale con la semplice ripetizione degli atti, con la sola
applicazione della nostra volontà. Il soprannaturale viene da Dio. Come,
pur volendo, non potremmo aggiungere un cubito alla nostra altezza, così
non possiamo con i nostri soli sforzi, accrescere la nostra vita
soprannaturale '). Tanto quando viene elargita, che nei
\ )
Ciò non significa che il progresso della grazia si faccia senza sforzi, e
che non si richieda la ripetizione degli stessi atti: ma la vera causa,
del progresso non sta in questa ripetizione, in questo esercizio e
in questi sforzi, essa è nel dono di Dio che, o ricompensa i nostri
sforzi, o ci porta ad atti migliori, come l'autore spiegherà più avanti.
(Nota dell'Editore francese).
IL PROGRESSO SPIRITO^LE ^30
suoi sviluppi ulteriori, la grazia è un dono; essa
partecipa della natura di Dio che è inafferrabile. Bisogna
dunque che Dio conceda la grazia e i suoi accrescimenti, uno a uno. Questo
dovrebbe renderci molto umili: se facciamo il bene dobbiamo dire con san
Paolo: « E' per la grazia di Dio che sono ciò che sono » (I Cor., 15,
10).
Non c'è niente da fare se non attendere, allora? C'è
modo, al contrario, di essere attivi. Se l'one-st'uomo, l'artista
progredisce con i suoi sforzi, il cristiano progredisce per i suoi meriti:
noi possiamo meritare. Meritare significa metter dinanzi a Dio un
certo diritto a ricevere questo aumento di vita soprannaturale. Non
possiamo dare impulso da soli, con le nostre proprie forze, al movimento
della perfezione, possiamo meritare questo accrescimento della vita
divina: a colui che ha fatto fruttificare i talenti, il Maestro da per
ricompensa una ricchézza più grande.
Vi sono due specie di meriti: il merito di convenienza (de
congrua} e il merito di stretta giustizia {de condigno).
Un uomo onesto che non conosce la legge di Dio, ma vive
ragionevolmente, merita per stretta giustizia un bene dell'ordine
soprannaturale? No. Egli non può pretendere da Dio un diritto stretto
alla grazia, non è egli sul.piano-(livello) della vita
940 LO'SPIRITO SANTO NELLA
VITA CRISTIANA
divina. E' conveniente però, che sia ricompensato.
Conviene, dico, se l'uomo fa ciò che può, che Dio faccia pure Lui
ciò che può. Quell'uomo non avendo la vita divina non può meritare in
stretta giustizia una divina mercede, ma merita le misericordie del
Signore. Di tale genere è il merito dei peccatori; esso ottiene infatti
mediante le opere buone. Queste opere non sono, in un certo senso, di
necessità assoluta nei confronti di Dio, ma esse Lo dispongono, se così
possiamo dire, a dare la Sua grazia misericordiosa. Non è il peccatore
che si dispone da sé alla salvezza, soltanto un intervento dall'alto può
introdurlo nella grazia; ma chi fa tutto ciò che può attira su di sé
infallibilmente la bontà infinita di Dio, sempre pronta a effondersi. E'
questo il merito di convenienza o benevolenza.
Per le anime, invece, che sono in grazia la cosa è
diversa. Esse hanno un fondo di divinità die è una partecipazione alla
natura divina. Il cristiano santificato dalla grazia è figlio di Dio;
quest'atto porta in lui una perfezione soprannaturale, un effetto della
vita stessa di Dio; egli è al giusto livello per ricevere una
partecipazione più alta della vita divina. E' il merito di stretta
giustizia, che rende degni di ricevere gli aumenti della ea-
IL PROGRÈSSO 'SPIRITUALE ^\
rità; merito di colui che, adendo ricevuto i talenti, li
ha fatti fruttificare ed ha diritto alla ricompensa.
Per ogni sforzo, per ogni atto, fatto in stato di grazia e
per arnor di Dio, c'è una ricompensa. In ciò sta il mezzo e il segreto
del progresso spirituale. Il porre atti divini, ci ottiene in tutta
giustizia, una ricompensa divina, che non può essere che un accrescimento
della vita eterna cominciata in noi.
Ciò che costituisce tale merito, non è l'atto preso in
se stesso, nella sua pura materialità, ne la difficoltà, ne il
sacrificio che costa; ma è quel fondo di grazia, quella elevazione,
quella predestinazione soprannaturale delle nostre opere alla ricompensa
divina: ecco ciò che rende degni della gloria di Dio, e non lo sforzo. Si
pensa a torto che^il sacrificio, la difficoltà, siano la causa di un
merito più grande. La ragione di un merito più grande è una carità
maggiore. Compiere un atto insignificante, come ve ne sono molti nella
vita cristiana, con grande amore, è più meritorio che intraprendere
un'opera difficile con poca carità 2). Ciò che fa il merito
dei nostri atti, dite sant'Agostino (E-narr. in Ps., XCIX, n. 15), è ciò
che Dio vi mette:
2) Lo sforzo e il sacrificio, tuttavia, sono
ordinariamente il segno di una maggior carità: ci vuole un
grandissimo amore per compiere cose difficili. (Nota dell'Editore
francese).
242 LÒ SPIRITO SANTO'NELLA VITA CRISTIANA
« Quando coroni i nostri meriti. Signore, Tu coroni i
tuoi doni» (Prefazio proprio della festa di tutti i Santi).
Ili - Oggetto del merito
In questo modo che cosa meritiamo in giustizia?
Per ogni nostro atto, in tale stato di santità, meritiamo
la vita eterna. Un solo atto di carità, con nessun altro motivo che la
durata di un sospiro d'amore verso Dio, merita la vita eterna. In
un'intera esistenza ciascuno degli atti fatti così merita la vita eterna.
E' questo il nostro primo progresso nella vita della
grazia; tutti questi atti compiuti nello stato di giustizia mediante le
virtù e i doni, si accumulano a poco a poco'; formano quel « tesoro che
non può venire roso dai vermi » (Mat., 6, 20'). Ci procuriamo, perciò,
delle borse colme di pietre preziose, ognuna delle quali può acquistare
il bene dell'immortalità.
Vi è dunque, con l'accumulo degli atti buoni, come un
peso sterminato di meriti per la vita eterna. San Paolo ha detto che la
tribolazione di un momento (sofferta per carità) ci appresta un
IL PROGRESS-0 -spirituale 243
peso eternò di gloria (II Cor., 4, 17). Chediremo allora
se questi pesi si accumulano?
Questo pensiero deve sollevarci nei confronti dei nostri
peccati veniali che vengono, così, ad essere compensati da tutti i nostri
atti d'amore.
Ma chi può fare il più, può fare anche il meno. Se
Dio da il ciclo per ognuno dei nostri atti meri-tori, a maggior
ragione concederà un aumento di vita eterna nel nostro stato presente.
Infatti, per ogni nostro atto buono, meritiamo un aumento
di grazia, un aumento di carità. San Paolo dice: «Vi mostro poi una via
anche più sublime... la carità » (Cor., 12, 31). La carità è come una
strada che avanza, che si sposta e ci fa camminare con sé.
IV - In che
modo cresce la carità?
In che modo la grazia e la carità possono crescere è,
con esse, la vita eterna ch'esse iniziano? Questo accrescimento non può
avvenire per via dell'oggetto: l'oggetto della carità non può, in noi,
divenire più grande: è Dio stesso. Un unico grado di grazia corrisponde
già alla vita eterna, e ci da diritto a possederla interamente, e non in
modo più o meno totale. In che modo allora si deve intendere tale
progresso ?
244 L0 SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
La grazia, la carità e le virtù che ne derivano sono
come innesti inseriti nella nostra natura; ma possono esserlo più o meno
profondamente, possono sottomettere più o meno le energie naturali
dell'anima ed accordarle più o meno all'ideale divino.
Nella natura, gli innesti prendono bene o male, e fra
questi due estremi, quanti gradi vi sono! Se l'innesto prende bene, attira
tutta la linfa del pollone selvatico, che d'ora in poi fruttificherà
perfettamente. Se prenda meno bene, la pianta selvatica mette dei virgulti
più o meno robusti; se robusti, assorbono tutta la linfa e l'innesto
muore, se deboli, non apportano vita all'albero innestato, però non lo
inaridiscono.
Questa immagine ci permete di seguire il lavoro della
grazia nella nostra anima. La grazia e la carità progrediscono
radicandosi nella nostra natura decaduta. Se la sottomettono interamente,
niente può sfuggir loro, tutti gli atti sono fatti in virtù della
grazia... e rivestono la sua qualità;
l'innesto, in questo caso, ha preso egregiamente. Ci sono
certo dei piccoli atti che sfuggono a questa forza divina, essi provengono
dall'amor proprio:
peccati veniali, imperfezioni, che non impediscono la
divina fioritura delle virtù. Ciò, tuttavia, non spegno l'amor di Dio.
Solo il peccato mortale, in-
IL PROGRESSO SPIRITUALE 245
vece, che tira a sé tutta la linfa a benefizio della
natura peccatrice, può arrestare questa vita della grazia e della
carità.
Sé le cose stanno così, ogni volta che facciamo un atto
di carità, con le virtù e i doni, meritiamo di radicarci sempre più
nella grazia; la nostra natura è maggiormente dominata, la linfa delle
nostre energie native passa più abbondante nella vita soprannaturale, e
con la continua produzione di tali atti, la natura è finalmente presa
tutta intera sotto l'influenza divina: non c'è più in noi nemmeno una
fibra, come dice san Francesco di Sales, che non vibri per Dio. L'innesto
divino attira così tutte le forze a sé, prima di lanciarle nella vita
dove esse fruttificheranno.
V— Compito degli atti ordinavi di Carità in questo
accrescimento. L'atto più wtenso
Talvolta, tuttavia, noi facciamo degli atti di carità
debolissimi, per abitudine; non abbiamo per Dio un interesse vivo e, per
torpore, il nostro amore non è forte. Questi atti, compiuti con
negligenza, sono senza vigore. Le virtù sono rispettate, sono però
contrariate nel loro slancio dagli stimoli della natura; i loro atd
potrebbero essere più perfetti,
246 L0 SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
più ferventi, data la presenza della grazia. Questi atti
buoni ma tiepidi, diminuiranno il nostro tesoro intcriore? No, niente è
perduto. I nostri atti non meritano sempre in virtù di un amore attuale
di Dio, ma nell'anima giusta, tutto è indirizzato all'amore di Dio,
eccetto il peccato. Non rinunciamo a quest'amore, abbiamo formulato
l'intenzione di fare ogni cosa in tale amore: dal momento che uno dei
nostri atti non è un peccato, ha un sapore di virtù, ha un merito
divino. Che cosa merita ? Quanto aumento di grazia e di carità spetta,, a
un atto così piccolo ? Esso non ci da un aumento sensibile, attuale, ma
ci dispone a riceverlo. Esso non produce un grado di carità in
più, ma una disposizione nuova, una preparazione all'accrescimento. Non
porta con sé una perdita, accresce al contrario quel misterioso
potenziale di vita che si accumula nel nostro cuore, e prepara una
manifestazione più perfetta, un sensibile aumento di amore ; questi atti
tesorizzano le loro forze nel fondo delle potenze dell'anima, e
l'organismo soprannaturale è in tal modo conservato, arricchito. Per
coloro che amano Dio in verità, niente è perduto, anche di ciò che è
compiuto con tiepidezza, se questo è un atto di virtù. Tutto ciò che
non è peccato, se si è in sfato di grazia, ci avvicina a Dio, oppure ci
dispone ad una più grande unione.
IL PROGRESSO SPIRITUALE 247
In conseguenza di questi piccoli atti buoni ripetuti
sovente succederà che, giunto il momento di provare a Dio un amore più
grande, perdonare un'ingiuria, curare un malato, compiere un dovere
diffìcile che esige tutto il nostro sforzo, saremo spontaneamente
all'altezza del nostro dovere: la nostra anima scatterà in un atto di
carità intensa che avremo da lungo tempo preparato, e saremo degni di
ricevere un grado superiore di grazia. Spesso; quest'accrescimento delta
carità si compierà nella comunione; l'Eucaristia non è forse il
sacramento che ci nutre della vita divina? Il cibo materiale fa crescere
il corpo, la comunione vivifica lo spirito. Forse questo avverrà in una
comunione nella quale ci saremo offerti interamente, lasciandoci veramente
mangiare da Colui che mangiamo, e a titolo definitivo, otterremo, in
virtù degli atti meritori precedenti, un grado d'amore nuovo che ci è
ottenuto per sempre, se non torniamo indietro.
VI - II
peccato 'veniale non diminuisce la carità
Non ci sono soltanto, però, gli atti deboli, vi è il
peccato. Abbiamo il terribile potere di impedire il misterioso passaggio
della linfa umana nell'innesto divino: possiamo così perdere questa vita
248 L0 SPIRITO SANTO NELLA VITA-CRISTIANA
soprannaturale col peccato mortale. Il peccato veniale, si
sa, non distrugge la grazia. Può diminuirla però? No! Nessun peccato
veniale ci fa perdere il grado di carità che abbiamo raggiunto con i
nostri meriti. Il peccato veniale ha per oggetto dei mezzi di perfezione
che non sono necessariamente legati con la carità. Esso concerne
una preghiera, un'osservanza, un atto di bontà, un insieme di cose che
non sono indispensabili per la vita soprannaturale, che, per conseguenza,
noi possiamo omettere senza perdere l'amore di Dio, o commettere senza
distruggerlo. Per una negligenza nella preghiera o un'impazienza non
perdiamo lo stato di grazia.
Questa dottrina è saggia. La carità concernc Dio nostro
fine; il peccato concerne il mezzo. Se il mezzo è essenzialmente legato
con la carità, in modo da formare l'oggetto di un comandamento, non si
può andare contro il mezzo senza andare anche contro il fine; non
possiamo dire di amare Dio se non compiamo la sua volontà. Se l'oggetto,
invece, delle piccole mancanze non è così legato con la carità, non è
assolutamente incompatibile col fine divino dell'amore.
Indubbiamente non possiamo dire che amiamo Dio col peccato veniale, ma non
cessiamo pertanto, anche allora, di amarLo abitualmente al disopra di
tutto. Non sarebbe giu-
IL PROGRESSO SPIRITUALE 249
sto che avendo commesso una colpa in cosa piccola, fossimo
puniti con la perdita del tesoro acquistato con una grande quantità di
atti, o forse con un atto eroico'; non ci sarebbe proporzione. I doni di
Dio sono senza pentimento. Se non Lo offendiamo mortalmente, conserviamo
la grazia o il grado di grazia al quale eravamo arrivati con i nostri
meriti e con la misericordia di Nostro Signore.
Il peccato veniale, tuttavia, non è inoffensivo. Esso
opera disposizioni non buone. Queste sono come piccoli virgulti
che, germogliati nella parte inferiore del pollone selvatico, diminuiscono
nella stessa proporzione il vigore dell'innesto. Se questi nuovi virgulti
si moltipllcano, inaridiscono l'albero; e se ne spunta uno più robusto,
la vita dell'innesto è interamente compromessa. Il peccato veniale dispone
al peccato mortale, diminuisce l'attività soprannaturale delle abitudini
virtuose, è un pericolo per la vita della grazia.
VII - Aumento
indefinito
Qual è il limite dell'accrescimento della vita divina
sulla terra? Questo accrescimento non ha limiti; non è infinito, ma
indefinito. Non c'è, intanto, limite nella carità stessa la quale è
un'e-
250 L0 SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
manazione dell'amore che Dio ha per Se stesso e per noi.
La nostra carità è un'immagine piccola, ma precisa dell'amore dello
Spirito Santo: le sue aspirazioni sono infinite; si volgono a Dio stesso
che è infinito. ,, .
Non ci sono neppure limiti nella capacità della nostra
anima. Il nostro cuore non è come un vaso dalle rigide pareti ; esso può
dilatarsi senza misura e la carità accresce incessantemente, con gli atti
che le sono propri, il suo potere d'amare. L'anima a-mante è posseduta
dal desiderio dell'infinito, cerca il bene perfetto, il Dio vivente : ogni
accrescimento di grazia, invece di colmare la capacità senza limiti della
nostra volontà, la dilata. Noi vediamo quindi, certi santi, come san
Domenico, santa Caterina, santa Teresa, crescere sempre più nell'amore ed
essere sempre più bramosi di amare. Più beviamo a questa sorgente e più
abbiamo sete. Il nutrimento spirituale, a differenza di quello terreno,
più lo si assorbe più lo si desidera, più si ha il potere di
assimilarlo.
Non vi .è limite neppure alla potenza che muove l'amore.
La carità, le virtù e i doni ci tengono costantemente sotto la mozione
dello Spirito la cui virtù è infinita; più Egli ci muove, e più Egli
ci può muovere. Anche da questo lato, l'accrescimento della nostra vita
divina e senza misura,
IL PROGRESSO SPIRITUALE 251
Questo accrescimento, abbiamo detto, è dovuto al merito.
Crescita perenne, simile ad «una luce che sale sino al suo pieno meriggio
». Siamo passati dall'oscurità alla luce, camminiamo verso questo
meriggio (o piena luce), che rapisce di felicità gli eletti nella gloria
del Dio vivente. .
Ecco la nostra vita. Non accontentiamoci di tracciare la
perfezione del nostro ideale. Tendiamo ad esso! Non dobbiamo mai fermarci;
Dio ci ha dato le risorse per arrivare a questa vetta! Divinamente dotati
per realizzare questo accrescimento, non abbiamo altra amorosa
preoccupazione che di raggiungere la pienezza del Cristo.
La vita non ha che un senso per noi: crescere nell'amore
di Dio, credere di più, sperare di più, per amare maggiormente. San
Tomaso diceva:
« Fate, mio Dio, che sempre più io creda in Voi, che
speri meglio in Voi, che vi ami più ardentemente». Questo è il senso
profondo, definitivo della vita. Felici noi che lo sappiamo. Dobbiamo ora
camminare su questa strada di Dio. Conosciamo i mezzi necessari a questo
progresso, possediamo le risorse che un tale cammino esige. Progrediamo,
avanziamo verso il Signore, oggetto del nostro amore. Che la nostra vita
cresca, come la luce che sale, « sino a raggiungere il nostro pieno
meriggio »,
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INDICE
Prefazione ........... pag. 5
Introduzione'. Lo Spirito Santo nella vita cristiana
............. •» 9
I - La vita cristiana ........ » 10
II - Compito dello Spirito Santo nella vita
cristiana .......... » 14
III - Alcune osservazióni importanti . . . » 18
I. - IL DONO DEL TIMOR DI DIO
,1 - II Timore, dono dello Spirito Santo . . » 23
II - Gli effetti del dono del Timore ... » 26
III - Gradi dello spirito di timore .... » 31
II. - BEATITUDINE DELLA POVERTÀ'
I - Dono del Timore e povertà ispirata
dallo Spirito . . . . . ... . » 36
II - II movimento essenziale del donò del
Timore .......... » 38
III - La povertà delle aspirazioni, ausilio del- ;
lo stato religioso ....... » 40
IV - Pratica ........... » 44
III. - IL DONO DELLA FORTEZZA
I - La virtù della Fortezza ...... » 52
II - II coraggio cristiano ...... » 54
III - Necessità del dono della Fortezza . . »
59
IV - Effetti del dono della Fortezza ... » 60
V - Caratteri del dono della Fortezza . . » 62
254 indice
IV. - LA FAME DI GIUSTIZIA
I - Correlazione tra il dono e la beatitudine ".
........... » 67
II - La fame e la sete di santità di Nostro
Signore . . . . . . . . . . » 68
III - La fame e la sete di Giustizia in noi » 71
IV - Pratica ........;..» 76
V. - IL DONO DELLA PIETÀ'
I - Definizione della Pietà ...... » 84
II - II dono della Pietà ....... » 86
III - L'opera del dono di P^età ..... » 90
IV - II suo irradiamento ........ » 94
VI. BEATITUDINE DELLA MITEZZA O MANSUETUDINE
I - Giustizia, Pietà e Mansuetudine ... » 99
II - La Mansuetudine, atto del dono di Pietà
. in Nostro Signore . . . . . . . » • 103
III - Pratica della Mansuetudine ..... » 106
VII. - IL DONO DEL CONSIGLIO
I - Posizione del Consiglio nell'organismo
spirituale .......... » 113
II - Gli interventi dello spirito di Consiglio » 115
III - Consiglio e coscienza ...... » 1:19
IV - Pratica ........... » 121
V - Mater Boni Consilii ....... » 125
INDICE 255
Vili. - BEAOnrUDINE DEI MISERICORDIOSI
I-In che senso la Misericordia g detta l'effetto proprio
del donoA'Consig(ó?j|l?' » 127
II - In che consiste la'Misericordia? . .e" .
» 128
III - Rapporto esistente fra la Misericordia e
il dono del Consiglio ...... » 131
IX. - IL DONO DELLA SCIENZA
I - Transizione dai doni pratici ai doni in^
tellettuali .... . . . . . . » 145
II - Natura della Fede ....... A 147
III - Necessità dei doni di Scienza e d'Intel-
letto ........... » 150
IV - II dono della Scienza . .., . • • » 152
V - I due aspetti del dono della Scienza . . .^ 154
VI - II dono della Scienza in Nostro Signore y 157
w'' X. - BEATITUDINE DELLE LACRIMÌ
I - Le lacrime che sono dette beate . . . ».,. 161
afl.^.J .,.-{«
II - Beatitudine delle lacrime etàe\
don<y-
della Scienza ......... » 163
III - II dono delle lacrime e l'esperienza cristiana
.......... .3- » 170
XI. - IL DONO DELL'INTELLETTÀ
r * <<»
I - Necessità del dono dell'Intelletto . •%^ ^»
173
II - Ciò che es^o è . . . . ... ^t » 175
III - Manifestazione del dono dell'Intelletto » 177
IV - Gli effetti"'del dono dell'Intelletto . . » 183
256 indice
XII. - LA BEATITUDINE DELJOTUORI
PURI
^
I - II nostro cuore . . —fé- h . .'V » 189
II - II lumei^urificata^E'. io.b F. . . . . » 191
III - L'opera di purificazione necessaria ... » 197
IV - II cuore puro ......... » 202
i "
XIII. - IL DONO DELLA SAPIENZA
I - Punto di partenza ....... » 207
II - Necessità del dono della Sapienza . . » 209
III - Oggetto e attività della Sapienza . . » 213
IV - jEffetti sublimi del dono della Sapienza » 217
V - l'orazione di unione ...... » 219
<M
,J|XIV - BEATITUDINE DEI PACIFICI
I -"ffcgame fra Questa beatitudine e il dono
della Sapienza. . . ...... » 225
II -1| Rè Pacifico ......... » 230
A" XV. - IL PROGRESSO SPIRITUALE
I - La legge del progresso . . . ... » 235
II - Come si progredisce in Grazie e in Carità? ...
.,.,., ... . . . . » 238
III - Oggetto del merito ... . . .' . . » 242
IV - In che modo cresce la Carità? ... » 243
V - Campito degli atti ordinai di carità it^ questo
accrescimento. L'aito più in-ien|ip. .^—t^ . . ^ . . . . » 245
VI - II peccato veniale non dimiBùisce^la
carità . . . . . . . .^'.issk . » 247
VII - Aumento indefinito . . . . '. * . » 249
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