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M. - M. PHILIPON O. P.

LA DOTTRINA SPIRITUALE

DI SUOR ELISABETTA DELLA TRINITÀ

« Tu puoi credere alla mia dottrina, perché non e mia » (Alla mamma - Giugno 1906)

M O R C E L L I A N A

Titolo originate:

La docirìne spiritnelìi' de Socur Elisabelh de ìa 'friniti'' © Desclée de Brouwer & e. Triìdm. di Eleiiii Ortaììi, Suora MarceU'fia

OTTAVA RISTAMPA

Con afiprova-Jn'ic eccìdi astii: a

DICHIARAZIONE

Autore ed editore dichiarano di sottomettersi pienamente ai decreti d'Urbano Vili del 13 marzo 1624 e 4 giugno 1651. e di non volere prevenire, in qualsiasi modo, il giudizio della Chiesa.

© Copyright by Morcetliana - Brescia 1968 Tipografia « La Nuova Cartoprafica ^ - Brcscia

ALLA JANUA COELI « PORTA DEL CIELO » PER LA QUALE . CONTINUA L'ASCESA DELLE ANIME VERSO LA TRINITÀ OMAGGIO FILIALE

L L

PREFAZIONE

« Questo mistero dell'abitazione della SS. Trinità nel più intimo del suo essere, fu la grande realtà della sua vita intcriore ».

R. garrigou-lagrange

Le verità più elementari della fede, come quelle espresse nel Pater, ci appaiono le più profonde, quando si sono meditate a lungo, con amore, quando si sono vissute portando la croce, per lunghi anni, così che sono divenute oggetto di una contemplazione quasi ininterrotta.

Basterebbe ad un'anima vivere profondamente una di queste verità della nostra fede, per essere condotta fino alle vette della santità.

Fra queste verità, bisogna mettere in prima linea quella della presenza particolare di Dio nell'anima dei giusti, secondo la parola di Gesù: « Se alcuno mi ama, osserverà i miei comandamenti; e il Padre mio l'amerà; e noi verremo in luì, e porremo in lui la nostra dimora » (Giov. 14, 23). Con queste parole, e promettendo di inviarci lo Spirito Santo, nostro Signore ci ha insegnato che la vocazione più fondamentale di ogni anima battezzata, è di vivere in società con le Persone stesse della Trinità santa. Allora realmente si può dire, secondo la espressione sovente ripetuta da san Tommaso, che la vita cristiana è, fin dalla terra, in un certo senso, la vita eterna incominciala: « Quaedam inchoatio vitae aeternae ».

La grazia del battesimo ci dona una vera partecipazione alla natura divina, quale sussiste in seno alla Trinità. Dio ci ha amati nel Figlio sun, fino a volerci partecipi del principio stesso della sua vita intima, del principio della visione immediata che Egli ha di Se stesso, e che comunica al Verbo e allo Spìrito

Santo. In tal modo, i giusti entrano nella famiglia di Dio e nel ciclo della vita trinitario.

La fede viva, illuminata dal dono della sapienza, li assimila alla luce del Verbo; la carità infusa li assimila allo Spirito Santo. Il Padre genera in essi il suo Verbo, in essi il Padre e il Figlio spirano l'Amore sostanziale che li unisce. In ciascuno dei giusti, la Trinità abita come in un tempio vivente; in un tempio oscuro quaggiù; in una luce senz'ombre e in un amore senza fine in ciclo.

La serva di Dio Elisabclta della Trinila fu una di queste anime luminose ed eroiche che sanno attaccarsi fortemente ad una delle grandi verità della fede, le più semplici e le pili vitali e, sotto le apparenze di una vita ordinarla, sanno trovarvi il segreto di una profonda unione con Dio.

Questo mistero dell'abitazione della Trinità santa nel più intimo del suo essere, fu la grande realtà della sua vita inferiore. Non diceva ella stessa: « La Trinità! ecco la nostra dimora, la nostra cara intimità, la casa paterna donde non bisogna uscire mai... Ho trovato il mio ciclo sulla terra, poiché il ciclo è Dio, e Dio è nell'anima mia. Il giorno in cui l'ho compreso, tutto si è illuminato in me... »?

Il perno di questa vita soprannaturale è cì.iiaro che si trova nell'esercizio delle virtù teologali. La fede è la luce soprannaturale che ci rende atti a ricevere la rivelazione del mondo divino. La speranza, appoggiandosi sull'onnipotenza soccorritrice di Dio, ci fa tendere con intima certezza verso l'eterna beatitudine. La carità ci stabilisce immutabilmente nell'amicizia e nella società delle divine Persone, secondo la dottrina dell'apostolo san Giovanni: « Dio è amore. Chi riroane nell'amore, rimane in Dio, e Dio in lui ». In fondo, è la s fessa vita soprannaturale che comincia sulla terra col battesimo, e fiorirà in ciclo, nella visione beatifica.

La fede è alla base di tutta questa attiviti'! nuova; è la « sostanza », il principio, il germe « delle cose che speriamo » e che contempleremo un giorno svelai amen tè. Il minimo raggio di fede è dunque infinitamente superiore alle intuizioni naturali dei più grandi geni e degli stessi Angeli, più sublimi; è del me-

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e/esimo ordine della visione beatìfica, ordine essenzialmente soprannaturale; perciò la fede viva, illuminata dai doni dell'intelletto e (iella sapienza, è la sola luce proporzionata a questa vita tì"i'/ifini ita con le Persone divine.

Così, suor Elisabetta della Trinità ci si manifesta innanzi tutto come un'anima di fede, in comunione sempre più intima col mondo invisibile, a misura che, sotto la mano di Dio, le purificazioni dei sensi e dello spirito si susseguono, attraverso gli avvenimenti delia sua esistenza. Da vera figlia di san Giovanni della Croce, si rendeva conto della parte importantissima che ha la fede fieli'ordine soprannaturale. « Per avvicinarsi a l~)in -- scriveva — bisogna credere ». « La fede è sostanza delle cose che dobbiamo sperare e convinzione di quelle che non. ci è dato vedere ». San Giovanni della Croce dice che « In fede è per noi il piede che ci porta a Dio; anzi, è il possesso di Dio nell'oscuri! ci. Soltanto la fede può darci lumi sicuri su Co!ui che amiamo; e l'anima nostra deve sceglierla come il mezzo per giungere all'unione beatifica ».

Senza trascurare la pratica delle virtù morali, si applicò con sempre maggior diligenza all'attività inferiore delle virtù teologali. « La mia sola occupazione è rientrare nell'intimo mio e perdermi in Coloro che vi abitano ».

Ma la fede, la speranza e la carità non possono raggiungere la loro pienezza senza una speciale assistenza di Dio; e la vita mistica è caratterizzata appunto dall'azione sempre crescente e predominante dei doni dello Spirito Santo. Le virtù teologali, infatti, quantunque superiori ai doni che le accompagnano, ricevono da questi una perfezione nuova, come l'albero è più perfetto coi suoi frutti che privo di essi. San Tommaso insegna che colui il quale non possiede ancora se non imperfettamente un principio di azione, non può agire come si conviene, senza essere aiutato da un agente superiore. Nella vita spirituale, il principitintc ha bisogno di avere vicino a sé un maestro esperio, proprio come lo studente in medicina o in chì-rurgiti hit l-iis'ìgiio di essere diretto dal maestro che lo forma. Ora l'am m n del giusto, pur possedendo le virtù teologali e m or fili, non possiede però ancora se non imperfettamente quel-

la vita divina della grazia che la introduce nella famiglia ({ella Trinità. Bisogna dunque che le divine Persone sfesse vengano ad aiutarla, secondo le parole di san Paolo ai Romani:

« Tutti quelli che sono conciotti dallo Spirilo di Dio, sono figli di Dio» (8, 14). Bisogna riverì' ncll'infiinjlà delle divine Persone, non alla maniera di creatura umana, ma alla maniera di Dio, per essere « perfetti come ii Padre celeste che è perfetto ». Come giudicare delle cose fu He, divine ed umane, nel modo in cui le giudica Dio stesso, senza una comunicazione speciale della scienza e della sapienza divina? Come, in mezzo alle situazioni, spesso inestricabili della vita quotidiana, prendere una decisione rapida che coincida col piano della Provvidenza, senza una speciale mozione del dono del consiglio? Come, infine, restare indissolubilmente uniti alla divina volontà, tra le difficoltà a volte tremende della vita, senza un'assistenza speciale della forza stessa di Dio, sola capace di. trionfare di tutte le potenze del male?

Quesii doni dello Spirito Santo, poi, si manifestano con infinita varietà nel mondo delle anime, secondo le circostanze in cui Dio le pone e secondo la. loro missione. In alcune -si notano maggiormente i doni intellettuali, in altre quelli del timore, della pietà, della forza; e la loro azione ha toni e sfumature infinite. Inoltre, uno stesso dono assume forme diverse secondo i santi. Negli uni, come in un sant'Agostino, la sapienza si manifesta prevalentemente in forma contemplativa; in altri, come in un san Vincenzo De' Paoli, in forma pratica, tutta orientata verso le opere di misericordia. Ai primi lo Spirito concede di penetrare nelle profondità di Dio gustandole ineffabilmente, e di luminosamente esprimerle; agli altri fa vedere, quasi, sotto una luce diffusa, le membra sof-fòrcnti di Cristo e ispira come dedicarsi efficacemente alla loro salvezza. Ncìla Serva dì Dio di cui si parla in queste pagine, colpisce il grado elevato dei doni dell'intelletto e della sapienza che le danno una cosi grande penetrazione del mistero della Trinità e glielo fanno così profondamente gustare, in maniera quasi continua.

Anche prima della sua entrata al Carmelo, era tutta com-12

presa della presenza delle divine Persone nel profondo dell'anima sua. Al termine della vita, nella festa dell'Ascensione, l'ultima che passò sulla terra, a tal punto sentì che la Trinità santa prendeva possesso dell'anima sua, che intravide le tré Persone divine tenere in lei il loro consiglio d'amore; e da quel giorno, quando le veniva raccomandata qualche particolare intenzione, rispondeva: « Ne parlo subito al mio onnipotente Consiglio ». La vigilia della sua morte, ella poteva scrivere in luffa veri/ci: « Credere che un Essere, che si chiama l'Amore, abita in noi tutti gl'istanti del giorno e della notte e ci chiede di vivere in società con Lui, è, ve lo confido ciò che ha fatto della mia vita un Paradiso anticipato ».

Restiamo pure ammirati nel vedere a quale grado ella ricevette il dono della forza. Si può constatarlo da ogni passo, nella fermezza con la quale la Serva di Dio accettava le più dure prove, particolarmente la sua malattia. Non potendo darsi alle mortificazioni straordinarie che l'ohbedienza alla sua supcriora le proibì, sempre, ella passò coraggiosamente, senza piegare mai, durante tutto il lungo e penoso anno di noviziato, attraverso alle dolorose e inevitabili purificazioni passive di una sensibilità ancora troppo viva. Percorse valorosamente il cammino della notte oscura, sempre più rifugiandosi nella nuda fede, non cessando di. elevarsi a Dio, al di sopra di tutte le sue grazie e di tutti i suoi doni.

Ma soprattutto nel corso dell'ultima malattia, si rivelò stupendamente in lei il dono della fortezza. Mentre tutto il suo essere andava consumandosi, l'anima rimaneva immutabile, sotto le purificazioni divine più crocifiggenti, immobile al di sopra della stessa sofferenza, per non pensare, in ogni gioia ed in ogni dolore, che al suo ufficio di « lode di gloria della Trinità ». lillà ricorda con quale divina maestà Cristo Rè coro fiato di spine ha salilo il Calvario: e proprio un riflesso di tale maestà si ritrova in questa coraggiosa sposa del Salvatore che ha lavoralo con Lui, in Lui, per Lui, con gli stessi mezzi usati da Lui.. per la salvezza delle anime. Dio ha veramente esaudito il suo supremo desiderio: « Morire, non solo pura come un angelo, ma trasformata in Gesù Crocifisso ».

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Finalmente, una dette note più caratteristiche della fisionomia spirituale di suor Elisabetta della Trinità è certamente il suo senso dottrinale, alimentato alle migliori sorgenti del pensiero cristiano, nei suoi due Maestri preferiti: san Paolo, l'apostolo del mistero di Cristo, e san Giovami! della Croce, il dottore mistico del Carmelo.

Senza essere teologo nel. senso formale della parola, essa, la'vera figlia di santa Teresa, aveva il gusto della soda dottrina; e sapeva farne l'alimento sostanziale della sua vita intcriore, assaporando, nel silenzio e nell'orazione, le grandi verità della fede, sotto la luce di vita che cresce in noi con l'amore di Dio e delle anime.

Occorreva dunque rilevare, alla luce dei principi direttivi della teologia mìstica, i movimenti essenziali di questa anima contemplativa, e discernere le verità fondamentali di cui ha vissuto la Serva di Dio, secondo la sua grazia personale, in una forma carmelitana. Dopo aver segnato le tappe principali della sua ascesa, era di sommo interesse mettere in risalto i punti della dottrina di cui la sua vita spirituale si era specialmente nutrita: l'ascesi del silenzio, I'inabi fazione della Trinità, la lode di gloria, la conformità al Cristo; come pure la sua devozione tutta personale alla V ergine della Incarnazione, l'azione dei doni dello Spirito Santo in lei, il senso profondo della sua preghiera divenuta celebre, e della sua missione.

Il Padre M^rie-Michel Philipon ha scritto queste pagine dopo aver a lungo meditato la vita e gli scritti di suor Elisa-betta della Trinità. Se ne è veramente compenetrato per molti anni, e ha cercato di spiegarli alla luce dei principi della teologia, quali sono formulati da san Tommaso e applicati alla dirczione delle anime contemplative da san Giovanni della Croce. Egli ha compiuto questo lavoro con una grande pietà e un senso dottrinale che gli hanno permesso dì mantenere lo slancio soprannaturale e insieme la giusta misura, l'equilìbrio, m questi problemi così delicati, specialmente dove la Serva di Dio ha dovuto praticare simultaneamente virtu in apparenza contrarie: la forza e la dolcezza, la prudenza e la semplicità, la compassione per gli erranti e i peccatori e insieme lo zelo ardente per la gloria di Dio.

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Sarà letto con grande profitto, questo studio illuminato e profondo, in cui la teologia « della grazia, delle virtù e dei doni » si manifesta in maniera concreta e vivente, svelando le ricchezze in essa contenute.

Possa la SS. Trinità ricevere da questo libro un nuovo raggio di gloria! E le anime che lo leggeranno vi attingano la vera umiltà così infimamente connessa con le virtù teologali che ci danno il senso delle alte cime.

Quanti poveri esseri umani, fatti per la vita immortale e per la società con le divine Persone, si trascinano nella agitazione sterile di un mondo disorientato!

Si degni, il Signore, far trovare a molti, in queste pagine, l'orientamento per dirigersi e riconquistare la via della verità che conduce all'intimità divina, alla « luce di vita » che mostrandoci « l'unico necessario » tutto illumina dall'alto.

fr. reginaldo garrigou-lagrange O. P.

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C

INTRODUZIONE

« Uno sguardo di teologo: sopra un'anima e una dottrina »

I Ricordi die contengono la narrazione della vita e numerosi scritti di suoi- Elisabetta della Trinità, appena pubblicati, si sono diffusi in Francia, pur senza chiassosa propaganda, con una rapidità straordinaria: più di novantamila copie in meno di trent'anni; senza contare una dozzina di traduzioni in lingue straniere. Se ne sta compiendo, ora, anche la versione in cinese.

Inoltre, innumerevoli testimonianze di riconoscenza sono giunte al Cannelo di Bigione, dopo la lettura dei Ricordi, da tutte le parti del mondo e dagli ambienti più diversi: da semplici cristiani, da anime religiose e contemplative, soprattutto da numerosi sacerdoti e seminaristi, da eminenti teologi, da mèmbri notevoli dell'Episcopato.

Sua Eminenza il Cardinale Mercier, nel suo viaggio di ritorno da Roma dopo la canonizzazione di santa Giovanna d'Arco, volle fermarsi in pellegrinaggio al Carmelo di Bigione. Quando gli fu mostrato, al capitolo, un ritratto dì suor Elisabetta della Trinità chiese:

— Quanto tempo trascorse al Carmelo?

— Cinque anni, Eminenza — rispose la Madre Priora. E il Cardinale, abbozzando un sorriso:

NO'r/1 - Kcco le date più importanti della sua vita: Nata a Bourges il 18 luglio 1880. Rìiltew.ata il 22 luglio 1880. Prima comunione: 19 aprile 1891. Prime prazie mistiche: ritiro del gennaio 1899. Entrata al Carmelo: 2 agosto 1901. Vestizione: 8 dicembre 190!. Professione per)T<"tua: F-pifiitm 1905. Entrata nella infcrmeria: marzo 1906.

— Si diventa sante in fretta, qui.

Entrando poi nella celletta della piovane carmelitana, trasformata in oratorio, lo stesso pensiero tornò sulle sue labbra:

— Ha fatto presto, lei, a divenire santa; mentre noi ci trasciniamo.

E i Ricordi furono, a più riprese, per l'illustre e santo Prelato, il suo libro preferito. In una riunione sacerdotale, raccomandandolo vivamente, espresse il desiderio clic esso si trovasse nella biblioteca di tutti i suoi sacerdoti.

A quali cause va attribuita una tale irradiazione?

Appartiene alla Chiesa — e ad essa sola — pronunciarsi intorno alla santità dei servi di Dio; e fin d'ora ci inchiniamo filialmente e senza riserva al suo giudizio. Quanto a noi, ci siamo posti in un altro punto di vista.

Esaminando, nel Carmelo di Bigione, la corrispondenza ivi ricevuta dopo la pubblicazione dei Ricordi, e moltiplicando nelle comunità religiose le indagini sulla natura dell'influenza esercitata da suor Elisabetta della Trinità, si e venuta delineando una conclusione che ci si impone come un'evidenza di fatto: ciò che maggiormente ha colpito negli scritti della santa carmelitana, è il loro carattere dottrinale. Il P. Sauvé aveva ragione e non faceva che esprimere un'impressione generale Iquando scriveva: « Forse per questo i Ricordi faranno il più gran bene ». E si potrebbero moltipllcare le testimonianze analoghe che confluiscono da scuole delle più diverse spiritualità 1; ma due, fra tante, ci sembrano specialmente rivelatrici.

Il R. P. Arintero O. P. scriveva al Carmelo di Digione, il 16 giugno 1927: « Questo libro (i Ricordi) mi incanta per la sua bella dottrina che è destinata a fare un bene immenso alle anime...

Ciò che ammiro soprattutto in questa Serva di Dio e il suo senso profondo dei grandi misteri della vita cristiana: della

1 I «Ricordi» citano: il R. P. Foch, S. T. — ^om Vandeur, O. S. B. — il Cb. Sauvé, S. S. — il R. P. Luigi della Trinitii, C. D. — II R. P. Vallèe, O. P. — alcuni Certosini, ecc.

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nostra incorporazione al Cristo del quale dobbiamo continuare la missione, dell'abitazione della Trinità nei nostri cuori... Questo senso dei grandi misteri, identico a quello dell'Apostolo, le ha dato di poter interpretare fedelmente i punti più belli delle grandi epistole di san Paolo. Quando suor Elisa-betta le spiega nelle sue lettere familiari — sia pure soltanto di passaggio — spande torrenti di viva luce, attirando innumerevoli anime alla vita inferiore... ».

S. E. Mons. Sagot, a sua volta, scriveva:

« Ciò clic mi sembra più notevole nella vita di suor Eli-sabetta è l'esatta conformità delle sue vedute, delle sue attrattive, della sua vita intcriore, delle sue -parole, coi principi più s'iniri della teologia mistica. Ella non sa sottilizzare; non si lascia trasportare dall'immaginazione al di là degli spazi dove risiede la sana ragione illuminata dalla fede e vivificata dall'amore. Le considerazioni sottili, vaghe o nebulose, 'le sono estranee; poiché, essendo il suo pensiero sempre preciso, così è precisa l'espressione che spontaneamente le scorre dalla penna. Come bene conosce e penetra il senso delle Sacre Scritture, e particolarmente delle Epistole del grande san Paolo, per il quale il suo cuore ardente nutre una predilezione che non ci sorprende! E come interessanti e giusti i commenti coi quali illumina gl'insegnamenti più sublimi di san Giovanni della Croce! Ma di chi sono queste dissertazioni condotte con tanta elevatezza e fermezza di spirito? Forse di un sacerdote abituato da lungo tempo allo studio della teologia e all'orazione mentale? Tn queste soluzioni semplici e luminose, ma insieme di una logica virile, si esiterebbe a riconoscere l'anima di una fanciulla, se il calore e la grazia di uno stile sempre delicato e puro, spesso gaio e vivace, non effondesse una soa-vit.ì incomparabile su tutti gli scritti di Elisabetta. Questa cara giovane amava anzitutto, ad esempio di santa Teresa, la vera, la forte, la bella dottrina » 2.

Questa « esatta conformità di vedute coi principi più sicuri della teologia mistica » è davvero la nota più caratteristica di tale spiritualità essenzialmente dottrinale. Ed è que-

2 Da « Ricordi ».

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sta l'impressione dominante che sempre ci accompagnava nell'esame dei testi e dei documenti lasciati da suor Elisabetta della Trinità, impressione che ci ha detcrminato a tentare di scoprire ed esplicare il significato profondo. Vorremmo poter definire così questo nostro lavoro: uno sguardo di teologo sopra un'anima e una dottrina.

Benché il nostro scopo principale non fosse di compiere un lavoro di storiografo, pure abbiamo cercato di mantenerci rigorosamente oggettivi nella interpretazionc dei fatti. Non si trattava di costruire a priori una tesi mistica e di farvi entrare per forza delle testimonianze e dei documenti; ma piuttosto di rintracciare, con le leggi del metodo storico, il loro senso autentico, secondo le circostanze di tempo, di luogo, di destinazione, di ambiente religioso e sociale, e determinarne quindi l'integro significato in relazione alle condizioni psicologiche, alle influenze ricevute, umane o divine.

Per garantire l'oggettività di questo sguardo, un lungo lavoro si imponeva, di documentazione e di ricerca positiva. Abbiamo confrontato tutti gli scritti sugli stessi autografi, eccettuata qualche rara lettera di cui, però, abbiamo potuto avere una copia che ci è stata accertata conforme all'originale. Abbiamo utilizzato nimìcì'osi testi che compaiono qui per la prima volta. Con penna alla mano, abbiamo interrogato il maggior numero possibile di testimoni, particolarmentc le tré amiche più intime di Elisabetta Catez prima della sua entrata in Convento; la sua stessa sorella, a lungo; alcune Religiose sue contemporanee al Carmelo, una delle quali, le era unita d;i profonda amicizia; il suo confessore che la difesse dai i 5 ai 21 anni; altre persone che la conobbero; un sacerdote della sua famiglia che la aveva avvicinata molte volte; finalmente e sopra tutti, il testimonio più autorevole della sua vita: la madre Germana di Gesù, che durante tutto il soggiorno di suor Elisabetta al Carmelo di Bigione, fu per lei Maestra delle novizie, prima, quindi Supcriora. Quest'ultimo testimonio è di così straordinario valore, che merita una speciale menzione.

Ora che una morte santa l'ha richiamata a Dio, sentiamo come un dovere di riconoscenza il bisogno di dire die nuHn

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poteva essere! di più prezioso, per l'elaborazione di quest'opera, delle confidenze ricevute e delle lunghe ore d'intimità con madre Germana intorno a colei che fu veramente « la sua figliola ». L'abbiamo consultata su tutti i punti con la mas-. sima cura; e più volte abbiamo avuto l'inapprezzabile consolazione di trovare in lei conferma piena alle conclusioni che ci sembrano scaturire dalla attenta analisi dei documenti. Tutti i punti essenziali di questo libro furono fissati perfettamente d'accordo con lei.

TcriTiin;il:o questo lavoro critico di discernimento, restava quello che ersi lo scopo primo, fondamentale dell'opera: rilevare, alla luce dei fatti e delle confidenze ricevute, il senso dottrinale della vita e degli scritti di suor Elisabetta della Trinità, Per rispettare anche qui una perfetta oggettività bisognava sorprendere la dottrina di suor Elisabetta della Trinità alla sua viva sorgente e seguirne lo svolgimento, il progresso. Bisognava cioè, secondo il buon metodo giungere a spiegare la dottrina attraverso la psicologia concreta di cui quella è frutto. La dottrina mistica di suor Elisabetta non è infatti l'esposizione astratta e didattica di un professore di teologia, ma e, prima di tutto, onda che zampilla da un'anima contemplativa. .11 compito di una carmelitana non è di insegnare dottrinalmente le vie spirituali, ma di vivere nel silenzio di una anima « tutta nascosta in Dio col Cristo » 3. Libero poi Lui, il Maestro, di far risplendere, quando gli piaccia, per l'utilità della sua Chiesa, le ricchezze dottrinali di una tale testimonianza, fì così che irradia viva luce il messaggio dottrinale di santa Teresa di Gesù Bambino e, quantunque in altra maniera, senza magnificenza, ma con profondità, come si addice ad un apostolo della vita intcriore, anche quello di suor Elisnbetta della Trinità. « Divisiones grafiarum, idem Spiri fu s » 4.

Ecco quindi la necessità di iniziare questo lavoro dottrinale, con un lungo capitolo preliminare che si presenti come lo schizzo di un'anima e ne segni le ascensioni, dai primi toc-

3 coìots., li 1-3. 1 I Cor., XH-4.

chi mistici all'età di 19 anni, fino alla consumazione dell'unione trasformante sulla croce. Esso mostra l'evolversi della sua dottrina mistica parallelamente al suo progresso.

Senza un tale sguardo in quest'anima, sarebbe impossibile comprendere bene come la dottrina del silenzio non assuma in lei un valore di ascesi universale che dopo In sua entrata nella solitudine del Carmelo e dopo le purificazioni passive del noviziato; ne si potrebbe capire come il mistero clcll'ina-bitazione divina divenga, con un crescendo continuo, il punto centrico che tutto illumina nella sua vita, al quale ella fa. risalire la sua vocazione suprema di « Inde eli '^oria alla Trinità » ma nell'intimo, « nei ciclo dell'anima sua ».

Dopo tutto questo, sempre rispettando con la massima cura gli aspetti storici dello svolgimento del suo pensiero, si rendeva possibile stabilire con certezza e precisione, su ogni punto di dottrina da analizzare, a quali principi della teologia mistica si riallacciassero i movimenti, di quest'anuria privilegiata, e quali aspetti del dogma avessero più profondamente alimentata la sua vita interiore ".

Elevata dalla grazia nel ciclo della vita trinitaria, suor Eli-sabetta della Trinità ha vissuto sino in fondo il suo battesimo, secondo la forma propria della sua vocazione carmelitana. Tra le umane influenze ricevute, don-lina quella di san Giovanni della Croce; aveva assimilato i principi, più elevati della sua teologia mistica nella lettura assidua del Cantico e della Viva fiamma. Giovinetta e novizia, si era appassionata per le for-

5 Lo stesso metodo teologico, misto, storico e dottrinale insieme, potrebbe essere applicato allo studio di tutte le vite dei Santi. Un lavoro di questo genere recherebbe, mi sembra, una sorgente di grandi tesori e una conferma preziosa alla teologia mistica.

Con lo stesso procedimento — ali/i ina', c'oe, princìtii direttivi (ìt'Ila teologia mistica — sarebbe facile rilevare i grandi pensieri dottrinali di cui viveva l'anima di una S. Teresa d'Avila, di una S. Teresa di Gesù Bambino, di una S. Bernardetta, ecc., ecc... I grandi mistici fornirebbero i casi di privilegio: una S. Caterina da Siena, una S. Margherita Maria, una Maria della Incarna/ione, Un caso più complesso, particolarmente ricco, sarebbe quello di un Santo mistico e teologo insieme: un S. Giovanni della Croce. P. tutto un morido da esplorare; profitto immenso per i! discernimento deilc diverse correnti di spiritualità nella vita della Chiesa e per la -storia della teologia mistica.

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mule spirituali, un po' oratorie, del Padre Vallèe; ma presto le sorpassò per stabilirsi in Dio, al di sopra di tutte le formule umane, nella nudità della fede.

Come in tutti i grandi artisti, si riscontra in lei una prima fase di imitazione un po' servile dei modelli; poi una seconda di una specie di incertezza die corrisponde ai primi tré anni, durante il Noviziato, e sfocia d'un tratto nel magnifico periodo di creazione personale che stupendamente si annunzia con la sua sublime preghiera alla Trinità, scritta tutta di getto e senza correzioni.

Ormai, io Spirito Santo possiede in lei uno strumento perfetto. Ella canta l'inabitazione divina e la lode di gloria in uno stile clic ha un'impronta inimitabile, definitiva, e la costituisce uno dei maestri spirituali della Francia. La meditazione delle Epistole di san Paolo e delle opere mistiche di san Giovanni della Croce, le lunghe ore di silenzio contemplativo, hanno compiuto questo miracolo. Ma, sopra tutto, il Verbo è diventato i1 Maestro intcriore della sua vita; lo dice ella stessa: « Ciò che mi insegna nell'intimo è ineffabile ». E nell'intimo, si ccìa la vera sorgente della sua dottrina e della sua vita.

Fu l'ora del trionfo supremo della grazia dell'anima sua, fu il pieno fiorire in lei delle ricchezze trinitarie della sua vocazione battesimale.

Il ritmo soave di questa vita «consumata nella unità»* si riduce ormai ad alcuni movimenti essenziali, sempre gli stessi, ma di un'estrema profondità. Ascesi del silenzio, inabitazione della Trinità e preoccupazione unica di lavorare « alla lode della Stia gloria », immedesimazione col Cristo e conformità alla sua morte, imitazione della vita silenziosa e adora-trice delia Vergine dell'Incarnazione: questi furono i grandi pensieri dottrinali che avviarono rapidamente questa vita semplicissima, ma fedele ai più alti gradi dell'unione divina. :

Sono le verità più fondamentali del Cristianesimo; e come è belio incontrare un'anima santa che si eleva fino a Dio

" San Giov.. XVIT-26,

senza miracoli, senza mortificazioni straordinarie ', ma neììa pura linea del battesimo e dell'obbedienxa perfetta alla volontà divina, attraverso la banalità degli avvenimenti quotidiani!

Un monaco di Solesmes scriveva all'amica più intima di suor Elisabetta della Trinità: « Mi piacerebbe, ai suoi scritti, il commento di un teologo ».

Ed è proprio l'intento di questo libro, scritto per la gloria della Trinità.

Fr, marie-mtchhl phiupon, O. P.

7 Questi p.irtico!ai-i nii sono stati riferiti d.-ìlln sua stes;,i supcrior.i.

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CAPITOLO PRIMO

ITINERARIO SPIRITUALE

Carmelitana:

Tutto, in lei, porta l'impronta di questa predestinazione.

Prima di penetrare nelle profondità di questa anima per anali/'zarla, uno sguardo d'insieme si impone. Elisabetta della Trinità non e divenuta santa che dopo undici anni di lotta e incessanti ritocchi di cesello.

Anche dopo aver trascorsi al Carmelo molti anni di silenzio e di fedeltà, dovrà subire dalla mano divina le supreme purificazioni con le quali Iddio introduce le anime eroiche nella pace immutabile dell'unione trasformante, al di sopra di. ogni gioia e di ogni dolore.

VITA INTCRIORE NEL MONDO

1. Capricci di bimba - 2. Conversione - 3. Feste mondane -4. Opere di apostolato - 5. Vacanze estive - 6. L'« agere con-tra» - 7. Prime grazie mistiche - 8. L'incontro col Padre Vallèe.

1. Figlia e nipotina di militari, Elisabetta Cate^ ponava neilc vene un sangue combattivo, pronto alla reazione. Aveva ereditato un'indole focosa. Un giorno — aveva appena tré o quattro anni — si chiuse da sé in stanza, e percuotendo la porta con tutta la forza dei suoi piedini, strepitava fino all'esasperazione,

'?'»

La sua prima infanzia, fino ai sette anni, fu attraversata da quésti grandi scoppi di collera, indomabili. Bisognava aspettare che l'uragano si quietasse da sé. Allora la mamma le faceva capire il suo torto, e le insegnava a vincersi per amore. « Questa bimba ha una volontà di ferro — diceva la sua istitu-trice. — Quando vuole una cosa, deve ottenerla, ad ogni costo ». La morte del babbo, quando era tanto piccola ancora, la lasciò sola con la mamma e con la sorella Margherita, creatura timida e soave, che le fu compagna indivisibile di tutte le ore, fino alla sua entrata al Carmelo.

Nessun altro grave incidente familiare venne a turbare il corso della sua vita che si svolgeva, sempre a Digione, in una atmosfera serena e cristiana.

2. La prima Confessione operò neìl'anima di Elisabetta ciò che lei chiamerà la sua conversione, quella scossa benefica che risvegliò in lei il senso del divino e ad esso la oriente'.

Da quel giorno, cominciò a lottare risolutamente contro i suoi difetti dominanti: la collera e la sensibilità; e persisterà in questo rude combattimento spirituale fino ai diciott'anni.

Il Sacerdote che la preparava alla Prima Comunione e la conosceva bene, diceva ad un'intima amica della mamma sua:

« Con un temperamento simile, Elisabetta Cote'/, diventerà una santa o un demonio ».

Il primo contatto con Gesù nascosto nell'ostia santa fu decisivo.

« Nelle profondità dell'anima, ella sentì la voce di Lui ». « II Maestro divino prese così bene possesso del suo cuore che da allora ella non aspirò che a donargli la sua vita » 2. Avvenne allora in lei un mutamento così rapido e prorondo, che sorprese quanti l'avvicinavano. Elisabetta progrediva a gran passi verso quel calmo dominio di sé che doveva ben presto emanare da tutta la sua persona.

1 « Ricordi ».

2 Poesie - «L'anniversario della mia Prima Comuniono », 7-9 aprile 1898.

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Un giorno dopo la S. Comunione le parve di udir pronunciare, in fondo all'anima, la parola: « Carmelo ». Fu una rivelazione. Un'altra volta, ancora nel suo quattordicesimo anno, sentì una chiamata intcriore del divino Maestro, durante il ringraziamento della Comunione; e senza indugio, per essere sua e unicamente sua, fece il voto di verginità. Morirà ad esso fedele pura come un giglio.

Le poesie che compose dai quattordici ai diciannove anni non risuonano che dei nomi di Gesù tanto amato, della sua Mamma celeste, del suo buon Angelo custode, dei santi, di Giovanna d'Arco, « la vergine che non può essere offuscata » 3. Ma l'attrattiva più irresistibile è il Carmelo; e i suoi versi cantano gli attributi della carmelitana; la veste di saio e il bianco velo, il rosario dai poveri grani di legno, il cilicio che martoria le carni, l'anello di sposa di Cristo ".

Abitando vicinissima al suo diletto Carmelo, spesso se ne va sulla terra;'za, e a lungo « triste e pensosa » 5 s'immerge con lo sguardo anelante nel Monastero. Tutto le parla al cuore:

la Cappella ove si cela il suo Signore, il suono dell'Angelus, i mesti rintocchi dell'agonia che si odono talvolta, e le celle dalle finesirine minuscole, dal mobilio poverissimo le celle clic accolgono il riposo delle vergini dopo una lunga giornata di preghiera redentrice. Lontana ancora dal sogno — ha soli diciasssctte anni — sente che la sua anima langue. Un sacerdote amico di famiglia si fa mediatore fra lei e la mamma; ed Elisahetta tenta di evadere da questo triste mondo seduttore. Ma non è che un istante. La mamma rimane inflessibile; non le resta che attendere l'ora di Dio nella preghiera e nella fidùcia. E l'attenderà.

3. Ricominciano, allora, le feste mondane e le riunioni più svariate che si moltipllcavano ininterrottamente. La signora Catez vi spingeva la figliola, ma con discrezione, pur senza volerla distogliere dalla sua vocazione, forse accarezzando segretamente la speranza che Dio non gliel'avrebbe presa. Eli-

'' Poesie - '' Giov.innn d'Arco », oitohre 1895.

* Poesie - «Agli attributi della Carmelitana», 15 ottobre 1887.

5 Poesie - « Ciò che vedo dal mio balcone », ottobre 1897.

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sabetta non si faceva pregare; le bastava che quella fosse l;i volontà della mamma, e prendeva parte a tutte le riunioni, con spigliatezza elegante e serena, « non mostrando affatto di annoiarsi », come ripetono concordemente i testimoni della sua vita. Nessuno avrebbe potuto supporre in Elisabetta Catez la futura carmelitana, la cui vita intcriore così intensa e tutta celata- nell'intimo del suo Cristo doveva dare alla Immutabile Trinità una testimonianza sì commovente di silenzio e di raccoglimento.

Elegante sempre, il suo vestire era semplice, ma irreprensibile. Ripetutamente fu chiesta in isposa. Per una delle sue sue ultime serate, non volendo lasciar supporre la sua partenza, comprerà dei guanti, nuovi. Così Elisabetta partecipava serenamente alla vita della società in cui viveva, non rifuggendo che da un'unica cosa: dal peccato.

4. A Bigione, nel corso dell'anno, Elisabctta si dedica alle opere parrocchiali: canto corale, catechismo ai bambini o a qualche piccola neocomunicanda un po' tarda d'ingegno, oggetto di canzonatura da parte delle compagne minori; ed altre opere di beneficenza die sollecitano il suo concorso. S'incarica persino del patronato per le povere bimbe della manifattura tabacchi; e quelle monellucce le si affezionano al punto che bisogna tener loro nascosto il suo indirizzo perché non le invadano la casa. Divenuta poi suor Elisabetta della Trinità, continuerà a seguirle nella vita e a proteggerle con la sua silenziosa preghiera di Carmelitana.

Con tatto squisito, Elisabetta si adatta a lutto ed a tutti. Ama l'infanzia per la sua purezza, e Dio le ha dato un'attrattiva meravigliosa per interessare i piccoli. In occasione di riunioni familiari, ne ha talvolta una quarantina intorno a se, e li diverte in tutti i modi. Le piacciono tanto i quadri viventi, specialmente di Gesù fra i dottori; compone lei stessa piccole rappresentazioni musicali ma soprattutto ha un'arte insuperabile nel combinare danze di bimbi. Ed eccola, intenta ad abbigliare tutto quel mondo che deve comparire sulla scena.

Poi, quando i nervi si sono calmati, si preparano le seg-

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C (

gioie in giardino, e si incomincia la lettura; tutti i visetti sono intenti ascoltando avidamente.

Qualche volta, i più piccoli l'assediano di inviti perché vada a giocare con loro; ed ella accondiscende, sorridendo. Durante il mese di Maria, la schiera piccina che Elisabetta trae seco alle sacre funzioni, la costringe negli ultimi banchi, il più vicino possibile all'uscita. « E appena il Tabernacolo viene rinchiuso — racconta un'amica d'infanzia — la tiravamo fuori, con noi, a passeggio; e allora, con una immaginazione vi-vissima ci raccontava storie fanfastiche. Elisabetta Catez era sempre pronta ad adattarsi a tutti ».

Rileviamo quest'ultimo particolare: nel Chiostro, come già nel mondo, suor Elisabetta rifuggirà da ogni singolarità. Insieme agli altri invitati, saprà apprezzare le squisite torte di Fmncina, la cuoca più brava di tutta Digione, e riderà di cuore degl'interminabili pranzi, così abbondanti da far invocare pietà, perché si faranno sentire almeno per tré giorni.

5. Le vacanze riconducono regolarmente la partenza da Digione e il periodo dei lunghi viaggi. Ed ecco come Elisabetta visitò la Svizzera, le Alpi, il Giura, i Vosgi, Ì Pirenei, e gran parte della Francia. Le sue lettere ce la mostrano, gaia e festeggiata, nel turbine delle visite di familiari ed amici, talvolta più strettamente unita a qualche anima eletta che le è dato incontrare, ma più spesso amica di tutte indistintamente le giovinette della sua età; con tutte, per sentimento di carità e finezza di educazione, ella conversa e ride gaiamente.

« II nostro soggiorno a Tarbes 8 non è stato che un suc-cedersi ininterrotto di divertimenti: concerti, danze, gite. Gli abitanti di Tarbes sono molto piacevoli: ho conosciuto parecchie signorine, tutte carissime, una più dell'altra. Con X..., squisita intenditrice di musica, non sapevamo distaccarci dal pianoforte, e i negozi di Tarbes non bastavano a fornirci nuova musica da leggere » 7.

" Alii Piretici. 7 Lettera alla signorina A. C. - Turbe';, 21 luglio 1898.

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« Oggi partiamo per Lourdes; e mi si stringe il cuore al pensiero di lasciare la mia Yvonne. Se sapessi quanto è cara;

e che carattere, veramente ideale! Quanto alla signorina X..., è guarita perfettamente, anzi è più giovane, più elegante che mai e, soprattutto, è sempre immensamente buona. Ieri l'altro ha festeggiato i miei diciott'anni regalandomi una grazio-sissima guarnizione per abito, color pervinca. Scrivimi presto. Ora devo lasciarti per chiudere le valigie; ma ti penserò tanto a Lourdes. Di là, faremo un giro nei Pirenei. Sono innamorata di queste montagne che contemplo mentre ti scrivo; mi sembra che non potrò più rinunciarvi » 8.

Luchon l'entusiasma più di ogni altra citta. « Essa merita davvero la sua definizione di regina dei Pirenei. La posizione è incantevole; vi abbiamo trascorso due giorni in un entusiasmo sempre crescente. Abbiamo potuto fare In escursione della valle del Lys, in un grande landò a qualli-o cavalli, con le cugine di R..., le Di-S..., che abbiamo ritrovate a Luchon. Le signore ci hanno affidato a persona di conoscenza che faceva anch'essa quella escursione fino all'Orrido. Eravamo a 1801 metri, affacciate a quell'abisso spaventoso; eppure Maddalena ed io lo trovavamo cosi bello che desideravamo quasi di lasciarci portare da quelle acque. Ma la nostra guida, per quanto entusiasta, non era dello stesso parere; e si mostrava molto più prudente di noi che camminavamo sull'orlo del precipizio senza menomamente soffrire di vertigini. Le signore che, durante la nostra escursione, erano state tutt'altro che tranquille, ebbero un sospiro di sollievo, vedendoci tornare » n.

EUsabetta passa, così, dagli uni agli altri amici, godendo « di una vita quanto mai piacevole, come a Lunéville, invitata a colazione dagli uni, a pranzo dagli altri, partecipando a numerose partite di tennis con delle signorine gentilissime » 10, ma senza che le rimanga per sé nemmeno un istante.

Il 14 luglio, al Campo di Marte, assiste alla rivi'ta cui l'hanno invitata le numerose amicizie di famiglia nell'ambiente

8 Lettera alla signorina A. C. • 21 luglio 1898. *' Lettera alla signorina D, - Agosto 1898. 10 Lettera alla signorina A. C. - Luglio 1897.

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militare. Figlia di ufficiali, si entusiasma per le esercitazioni della cavalleria... « Immaginatevi tutti quei caschi e quelle corazze scintillanti al sole... Questo abbagliante spettacolo si completa, a sera, nei boschetti del parco, con un'illuminazione fiabesca, un po' alla veneziana... ».

Ala in mezzo a queste feste mondane, il suo cuore serba la nostalgia del Carmelo. Partiti gl'invitati, Elisabetta, senza sforzo alcuno, si ritrova col suo Cristo che non ha lasciato mai. A Tarbes, per sottrarsi un istante alla rumorosa allegria mondana, si rifugia presso il Carmelo, e la suora commissionarla la trova dietro la grata del parlatorio, in ginocchio. Ella bacerebbe volentieri tutte le mura di quella Casa di Dio, Lourdes è vicinissima, e per tré giorni vi si raccoglie presso la Vergine della Grotta. Vacanze e mondanità si allontanano dal suo spirito senza alcuno sforzo; inabissata nella preghiera, immobile dinanzi alla Grotta, supplica a lungo l'Immacolata di custodirla pura come Lei, e si offre vittima per i peccatori ". Niente può distrarla dal suo Dio.

Più tardi, dal suo Carmelo di Digione, potrà scrivere alla mamma nel post-scriptum di una lettera: « Venerdì, quando sarai in treno, non dimenticarti di fare orazione; è molto vantaggioso, me ne ricordo » ". Parlerà così per esperienza.

Le ricchezze profane delle grandi città che attraversa la lasciano indifferente. Per lei, Marsiglia è Nostra Signora della Guardia '3, e Lione si riduce a Fourvières ". A Parigi, dove si reca con la mamma e la sorella per la celebre Esposizione Universale del 1900, due cose sole attirano la sua attenzione:

Montmartre e Nostra Signora delle Vittorie: « Siamo andate due volte all'Esposizione; è molto bella; ma io detesto tutto quel chiasso, quella folla. Margherita rideva di me e diceva che avevo l'aria di chi viene dal Congo » ls.

11 Poesie - «L'Immacolata Concezione», 8 dicembre 1898. " Lettera alla mamma - Luglio 1906. 13 Lettera a M. L. M... - 6 ottobre 1898. " Lettera ad A. C. - Estate 1898. 15 Lettera a M. L. M. - Estate 1900.

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6. L'agere contra fu la generosa parola d'ordine di questo primo periodo della sua vita. A diciannove anni, segna ancora nel suo diario: « Oggi, ho avuto 1a gioia di offrire al mio Gesù molte vittorie sul mio difetto dominante; ma quanto mi sono costate! E proprio in questo riconosco la mia debolezza... Quando ricevo un'osservazione che mi sembra ingiusta... sento il sangue ribollirmi nelle vene, tanto il mio essere si ribella... Ma Gesù era con me; sentivo la sua voce in fondo al cuore, e allora ero pronta a tutto sopportare per amor

suo » '8.

Ogni sera per constatare se veramente progredisce nella via della perfezione, segna in un quadernctto le vittorie e le sconfitte.

Cerca di digiunare all'insaputa della mamma; ma dopo tré giorni, la vigile signora Catez se ne accorge e la rimprovera severamente; e, ancora una volta, Elisabetta obbedisce. Dio non vuole condurla per il cammino delle grandi mortificazioni dei santi, ne ora ne durante tutto il suo soggiorno al Carmelo. La silente Trinità attenda da lei un'altra testimonianza.

« Dato che non posso iinpormi delle mortificazioni devo persuadermi che la sofferenza fisica non è che un mezzo — quantunque eccellente — per giungere alla mortificazione inferiore e al distacco completo da se stessi. O Gesù, mia vita, mio amore, mio sposo, aiutami! Bisogna che io giunga, a qualunque costo, a fare sempre, in tutto il contrario della mìa volontà » 1T.

7. Dio non poteva tardare a ricompensare con tocchi segreti della grazia i continui sforzi di Elisabctta per trionfare della sua natura. L'ascetica conduce alla mistica e ne costituisce la necessaria salvaguardia. Con l'abituale suo buon senso, santa Teresa diceva: «Orazione e mollezza, non vanno d'accordo » ls. Ed è naturale.

La Viva Fiamma d'amore suppone la dolorosa Salita del

19 Diario - 30 gennaio 1899.

17 Diario - 24 febbraio 1899.

18 Cammino di perfezione - Capitolo IV.

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I 1

Monte Carmelo con le sue notti oscure, con le sue purificazioni attive e passive, tali da far tremare i più risoluti. Ma troppo si dimenticano anche le lunghe estasi contemplative dell'autore degli Eserciti Spirituali nella sua cella di Roma, dove sant'Ignazio mormorava, rapito: « O beata Trinitas! ».

Non già che si debba negare in modo assoluto la diversità di tendente e di indirizzi nelle vie dello spirito; ma la verità evangelica riassume tutte queste sfumature, e i santi di tutte le scuole si ricongiungono, oltrepassandole. Giunti alla vetta, tutti sono trasformati nel Cristo, immedesimati nella sua beatitudine di Crocifisso.

Il combattimento spirituale contro i suoi difetti e 11 trionfo sulla natura condussero Elisabetta alle prime manifestazioni di quelle grazie mistiche che dovevano trasformare la sua vita, dapprima lentamente e con tocchi successivi, quasi passo per passo; poi, dopo la sua professione, con movimento calmo e ininterrotto; finalmente, nell'ultima fase dei sei mesi di infermerisi, a grandi voli verso le più alte cime dell'unione trasformante.

Ella stessa non si rese conto di queste prime mozioni divine, (ricevute nel corso di un Ritiro nel gennaio 1899), che parecchi mesi dopo, leggendo le opere di santa Teresa. Questa rivelazione del suo diario è di capitale importanza nella storia della sua vita spirituale; segna per lei, l'inizio della vita mistica, dopo un duro combattimento spirituale che durava da più di quindici anni e che, in realtà, non cesserà mai.

« Leggo, in questo momento, il Cammino di perfezione di santa Teresa; m'interessa immensamente e mi fa un gran bene. Santa Teresa dice cose sì belle sulla orazione e la mortificazione intcriore, quella mortificazione intcriore a cui voglio giungere ad ogni costo con l'aiuto di Dio. Se, per ora, non posso impormi grandi sofferenze corporali, posso almeno, ad ogni istante, immolare la mia volontà... L'orazione! Come mi piace il modo in cui la santa tratta questo argomento, là dove parla della contemplazione, quel grado di orazione in cui Dio fa tutto, e noi non facciamo nulla, in cui Egli unisce a sé l'anima nostra così intimamente, da non essere più noi che vi-

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viaino, ma Dio che vive in noi... Oh, io vi ho riconosciuto gli attimi di rapimento sublime a cui il Maestro divino si è degnato elevarmi così spesso durante questo Ritiro e anche dopo. Che cosa potrò dargli io, in cambio di tanti benefici? Dopo queste estasi, questi sublimi rapimenti nei quali l'anima dimentica tutto il resto e non vede che il suo Dio, come par dura e penosa l'orazione ordinaria, e quanta fatica ci vuole per raccogliere le proprie potenze! Come costa e come sembra difficile! » 1B.

Dio elevava già Eiisnhetta Cate/', ;ii frinii superiori di orazione; lo si vedeva sensibilmente nell'ora della preghiera. Entrava nella Chiesa parrocchiale; si dirigeva lentamente, per la navata di centro, fino al suo posto; s'inginocchiava e subito appariva invasa da un raccoglimento profondo; e restava a lungo così, immobile, tutta piena di Dio.

La sua amica più intima fu sempre colpita dal mutamento improvviso che si manifestava in Elisabetta, appena entrata in Chiesa e in preghiera: « Non era più lei ».

Inoltre, da qualche tempo, sperimentava in fondo all'anima dei fenomeni strani die non sapeva spiegarsi. Si sentiva inabitata.

« Quando vedrò il mio Confessore — diceva — gliene parlerò ».

8. In quest'epoca, incontrò, al monastero del Carmelo, un Religioso Domenicano che doveva dare alla sua vita inferiore un orientamento decisivo. La Madre Germana di Gesù, priora e maestra di noviziato di suor Elisabetta, autrice dei Ricordi, ha giustamente notato che « questo incontro provvidenziale » ricorda, per i suoi effetti soprannaturali quello che riferisce santa Teresa nel Capitolo XVIII della sua Vita e sulla quinta « mansione » del suo Castello dell' Anima (Cap. I). La santa scrive, infatti, che un grande teologo dell'Ordine di san Domenico (il celebre prof. Banez dell'Università di Sala-manca) nel confermarle, dal punto di vista dottrinale, la presenza di Dio da lei sperimentata nell'orazione, le dette, con la

19 Diario - 20 febbraio 1899.

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completa sicurezza che porta seco la verità, una grande consolazione.

Mentre Elisabetta timidamente interrogava l'eminente Religioso sulla natura dei movimenti della grazia che esperimen-tava da qualche tempo, e che le davano l'impressione dell'inabitazione divina, il Padre Vallee, con la potenza della parola ispirata die lo caratterizzava, le rispose: « Ma certamente, figliola mia; il Padre è in tè; il Figlio è in tè; lo Spirito Santo e in tc ». E le spiegò, da teologo contemplativo quale egli era, come, per la grazia del battesimo, noi diveniamo quel tempio spirituale di cui parla san Paolo; e come, insieme con lo Spìrito Santo, la Trinità tutta intera vi è presente con la sua virtù creatrice e santificatrice, facendo sua dimora in noi, venendo ad abitare nel segreto più intimo dell'anima nostra, per ricevervi, in una atmosfera di fede e di carità, il culto intcriore di adorazione e di preghiera che le dobbiamo.

Questa esposizione dogmatica la rapì. Ella poteva dunque, seguendo con tutta sicurezza l'impulso della grazia abbandonarsi alla sua attrattiva intcriore e abitare nel più profondo dell'anima sua. Durante questo colloquio, si sentì presa da un raccoglimento irresistibile. Il Padre parlava ancora, ma Elisabetta Cile/ non lo ascoltava più. « Ero ansiosa che tacesse », dira più tardi, alla Priora.

In questo particolare, c'è già suor Elisabetta della Trinità tutta intera: avida di silenzio sotto l'effusione della grazia.

Da parte sua, il Padre Vallee diceva di quest'ora decisiva:

« L'ho vista lanciarsi verso la mèta come una freccia ».

Elisabetta era una di quelle anime che, una volta incontrata la luce, non se ne allontanano più. Da quel giorno, tutto si trasforma e s'illumina; ella ha trovato la sua via.

D'ora innanzi, la Trinità sarà l'unica sua vita20.

2(1 Rircvmo il consenso definitivo della mamma alla sua vocazione religiosa (26 mnry.o 18991, Elisabetta aveva potuto riprendere le sue visite a! Car-mclo, interrotte per otto anni; e furono esse, il suo sostegno negli ultimi due anni passati nel mondo. Vi ritrovava, come priora, la Madre Maria di Gesù che, l;i sera della su;i Prima Comunione, le aveva dato in parlatorio un'immagine dove aveva scritlo questo pensiero per spiegarle il significato del suo nome: (Elisabetta, cioè «Casa di Dio»). « Nasconde, il Ino nome, un mistero

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II

CARMELITANA

1. Il suo ideale di Carmelitana - 2. Grazie sensibili del poslu-laridato - 3. Le purificazioni del noviziato - 4. Vi fa profonda.

Quando Elisabetta Catez fu accompagnata nella sua cel-letta di Carmelitana, la si udì mormorare: « La Trinità è qui ». •^ Fino dal primo atto comune, in refettorio, tutte poterono notare la pia fanciulla, appena terminato il suo pasto frugale, congiungere modestamente le mani sotto la mantellina e, chinati gli occhi, entrare in profonda orazione. La suora incaricata del servizio, osservandola, disse fra sé: « È cosa troppo bella perché duri ». Ma s'ingannava.

Il Carmelo di Digione possedeva una santa 2).

chi' si compie in questo dì snidine. — rifsliiihi, il tini cuore f. sulla li'rrii,

— la casa di Collii che e Dio d'amore ».

La Madre Maria di Gesù era un'anima irinitaria. L;> sua ardente divozione alla Trinità santa era scaturita improvvis.imcnte da una grazia ricevuta a 14 anni, durante una processione delle Rogazioni, Mentre si univa alle prime invocazioni al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, le fu rivelata interiormente questa misteriosa, ma reale presenza delle Tré Persone divine nell'anima.

« Da allora — dirà più tardi — ho cercato sempre di raccogliermi nel profondo in cui Esse dimorano ».

Fondatrice del Carmelo di Paray-lc-Monial, intitolò il suo bei monastero alla SS. Trinità a cui si accede attraverso il Cuore di Gesù. E fu la Madre Maria di Gesù colei che dette a Elisabetta Catez il nome di Suor Elisabotta della Trinità, quel nome di grazia divenuto tutto il' programma della sua vita religiosa. Elisabetta si recava regolarmente dalla Madre, come il piccolo gruppo delle postulanti extra-muros che si stringevano intorno alle grate del Carmelo. La Madre Maria di Gesù le formava allo spirito carmelitano e la futura novizia le rendeva conto della sua vita di orazione. Poi, anche quando potè essere un po' divezzata da una dirczione spirituale continuata e stabile, Elisabetta era pero felice di andare a chiedere alla Mndre consigli e lumi per il progresso della sua vita spirituale. Prima di stabilire i suoi propositi del santo Ritiro, la consultava; e le sembrava che le decisioni in Lei venissero da Dio stesso. Così quelle ore di parlatorio le facevano tanto bene.

21 Notizie intorno al Canneto di Digione. È noto come la venerabile Madre Anna di Gesù, compagna e collaboratrice di S. Teresa nell'opera di riforma del Cannelo in Spagna, venne in Francia ove potè fondare il primo monastero, a Parigi, nel sobborgo S. Giacomo, il t8 ottobre 1.604. Subito

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1. Il formuiario che suor Elisabetta della Trinità riempì, in forma ricreativa, otto giorni dopo la sua entrata al Carmelo, ci rivela il suo stato d'animo alle soglie della vita religiosa. I tratti più caratteristici della sua fisonomia spirituale vi appaiono già nettamente segnati: il suo ideale di santità: vivere d'amore per morire di amore — il suo culto appassionato per la divina volontà — la sua predilezione per il silenzio — la sua devozione all'anima di Cristo — la parola d'ordine della sua vita intcriore; seppellirsi nel più profondo deil'aniinn per trovarvi Dio. Nulla è dimenticato, neppure il suo difetto dominante: la sensibilità. Vi manca soltanto quel lavoro di spogliamente che sarà opera delle purificazioni passive del noviziato, e la grazia suprema che trasformerà la sua

nell'anno seguente, 1605, la stessa Madre Anna di Gesù fondava il Carmelo di Digionc, che ebbe la gloria di ricevere i primi voti offerti a Dio secondo la riforma Carmelitana stabilita anche in Francia. Fu animato sempre dallo spirito pili integro di S. Teresa, fino all'ora in cui le Carmelitane furonb espulse lontane d.ii loro monasteri, durante la grande rivoluzione.

Restaurato nel 1854 dalla Rev.ma Madre Maria della Trinità, il Carmelo di Digione riprese con lei lo spirito e le tradizioni dell'Ordine carmelitano in Francia, )c quali furono fedelmente mantenute dalle due Madri che seguirono: la Rev.d.1 Madre Maria del Cuore dì Gesù, e la Rev.da Madre Maria di Gesù, la futura fondatrice del Carnielo di Paray-le-Monial.

La Madre Germana di Gesù die le succedette, restò priora dal l90l al 1906, cioè durante tutto il soggiorno di F.Iisabclt.i della Trinità; quindi, per vent'anni, a intervalli regolari, il Carmelo di Digionc ebbe la grazia di averla ancora come Supcriora.

La Madre Germana di Gesù fu una grande figura di Carmelitana. Anima di pace e di orazione, di un grande zelo per l'esatta osservanza, ella fu veramente la priora provvidenziale che doveva offrire a suor Elisabetta della Trinità il pinno di vita regolare in cui l'anima sua di contemplativa avrebbe potuto liberamente fiorire, in un'atmosfera di silenzio e di raccoglimento. E, con tutta verità, la serva di Dio, ben consapevole e piena, di riconoscenza per quella influenza materna, poteva scrivere in un biglietto intimo trovato dopo la sua morte (e che portava sulla busta significativa parola: « Segreto per la nostra Rev.da Madre »): « Io porto la Vostra impronta ».

Fino dalla sua prima allocuzione in capitolo, presente tutta la Comunità — e anche suor Elisabetta — la nuova Madre priora così tracciava il programma spirituale del suo governo: « Custodire con ogni perfezione possibile, nello spirito tutto apostolico della nostra santa Madre, questa regola e queste Costituzioni che ella ci ha trasmesse dopo averle osservate con sì grande perfezione ».

Tale fu la cornice di perfetta vita religiosa in cui suor Eiisabetta potè realizzare tanto rapidamente il suo ideale di Carmelitana.

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vita dandole il senso della sua vocazione definitiva: essere una lode di gloria alla Trinità.

— Qual è, a vostro parere, l'ideale della santità?

— Vivere d'amore.

— Qual è il mezzo più rapido per giungervi?

— Farsi piccolissima e darsi totalmente, per sempre.

— Qual è 11 santo a voi più caro?

— Il discepolo prediletto che riposò sul cuore del divino Maestro,

— Quale il punto della Regola che preferite?

— Il silenzio.

— Qual è la nota dominante del vostro carattere?

— La sensibilità.

— E la vostra virtù prediletta?

— La purità. « Beati i cuori puri, perché vedranno Dio ».

— Il difetto che vi ispira più orrore?

— L'egoismo.

— Date una definizione dell'orazione.

— L'unione di chi non è con Colui che è.

— Qual è il vostro libro preferito?

— L'anima di Cristo: Essa mi svela tutti i segreti del Padre che è nei Gieli.

— Avete grandi desideri del Cielo?

— Ne ho talvolta la nostalgia; ma, tranne la visione di Dio, già lo possiedo nell'intimo delll'anima mia.

— Quali disposizioni vorreste avere nel momento della morte?

— Vorrei morire amando, e cadere così nelle hraccia di Colui che amo.

— C'è ufì genere di martirio che preferireste?

— Mi piacciono tutti, ma specialmente il martirio di amore.

— Quale nome vorreste avere in Ciclo?

— Volontà di Dio.

— Qual è il vostro motto?

— Dio in me e io in Lui.

Secondo la sua grazia personale, ella vive in profondità il

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suo ideale di Carmelitana. Va dritta all'essenziale: la solitudine, In vita di continua orazione, la consumazione nell'amore.

« La Carmelitana è un'anima che ha guardato il Crocifisso, che l'ha veduto offrirsi come vittima al Padre per le anime, e, raccogliendosi sotto la grande visione della carità di Cristo, hn compreso la passione d'amore dell'anima di Lui e, come Lui, vuole donare se stessa. Sulla montagna del Carmelo, nel silenzio, nella solitudine, in un'orazione non interrotta mai, perché continuata attraverso tutte le occupazioni, la Carmelitana vive pia come vivrà in Ciclo, « di Dio solo ». Colui che formerà un giorno la sua beatitudine e la sazierà nella gloria, già si dona a lei; non si allontana mai, dimora nell'anima sua; anzi, ancora di. più: tutti e due non sono che Uno. Perciò, essa è famelica di silenzio, per ascoltarlo sempre, per penetrare sempre di più nell'Essere Suo, infinito. È immedesimata in Colui che ama e da per tutto Lo trova, in tutto Lo vede risplendere » ". « Questa è la vita del Carmelo: vivere in Lui. Allora, le rinuncie, le immolazioni diventano, in certo modo divine. L'anima vede in tutto Colui che ama e tutto Io porrà a Lui. È un cuore a cuore continuo. L'orazione è l'essenza della vita al Carmelo » 23.

Il punto della Regola che preferisce è il silenzio; e, fino dai primi giorni, è entusiasta della massima familiare alle antiche Madri Carmelitane: Sola col Solo.

2. Come per lo più accade, le prime fasi della vita religiosa di suor Elisabetta della Trinità furono caratterizzate da un'onda di consolazioni sensibili. Il Signore avvia lentamente le anime verso le cime. Le conduce al Calvario attra-. verso il Tabor.

Suor Elisabetta, spesso, se ne andava alla sua supcriora a dirle: « Madre, .non posso reggere a questo peso immenso di grazie ».

Appena giunta in coro e inginocchiatasi, si sentiva compe-

'•" Tetterà ;i G. de G... - 7 agosto 1.902. 58 Lettera a G. <le G... - 14 settembre 1902.

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nettata da un raccoglimento profondo, irresistibile. L'anima sua pareva come immobilizzata in Dio.

Passava nei chiostri, silenziosa e raccolta, senza che nulla potesse distrarla dal suo Cristo. Lo trovava dovunque. Un giorno, mentre attendeva a riordinare la casa, una suora la vide talmente compresa della presenza di Dio, che non osò avvicinarsele. Fuorché nelle ore di ricreazione — in cui suor Elisabetta si mostrava gaia e spontanea, d'una grazia incantevole, parlando con ciascuna delle consorelle di ciò che sapeva far loro piacere — tutto il suo esteriore rivelava un'anima posseduta da Dio. Questo raccoglimento di tutte le sue potenze quasi assorbite in Dio le faceva commettere, anche nella recita dell'Ufficio, delle dimenticanze involontarie di cui si accusava con sincera umiltà. La grazia la portava.

Così trascorsero i mesi del postulandato. L'8 dicembre ebbe luogo la cerimonia della vestizione, presenziata dal Padre Vallèe. Tutta presa dalla gioia del dono totale al suo Signore, suor Elisabetta, quel giorno, non si accorse nemmeno di quanto accadeva intorno a lei, interamente posseduta da Colui che l'aveva rapita. La sera, quando si ritrovò nella sua cel-letta sola col suo Cristo, era esultante, e dal cuore le saliva a Dio il cantico della riconoscenza. Per tutta una vita d'amore, essa era finalmente « Sola col Solo ».

3. Fino a quell'ora, la grazia divina l'aveva portata. Ma le mancava di assaporare a lungo il suo nulla, di sentirsi miserabile e capace di ogni male, e divenire così, attraverso tale esperienza, più comprensiva della fragilità delle sue consorelle.

E il Signore, per un lungo anno, l'abbandonerà a se stessa, alle sue impotenze, ai suoi scoramenti, ai dubbi sull'avvenire, persino sulla sua vocazione. Sarà necessario che, la vigilia della sua professione, un sacerdote venga a rassicurarla, e a manifestare la volontà di Dio alla sua anima smarrita.

Disparve la soave facilità dell'orazione. Non più colpi d'ala; l'anima si trascinava penosamente; ed essa lo sentiva. La sua natura d'artista rimaneva inerte, la sua sensibilità moriva.

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Quante volte la povera novizia se ne ritornava dalla sua Madre maestra esponendole candidamente le impotenze, le lotte, le tentazioni, il martirio della sua sensibilità che stava attraverso le notti descritte da san Giovanni della Croce!

Per coadiuvare il lavoro di Dio, la Madre Germana di Gesù, che si era resa conto dell'eccessiva sensibilità di Elisa-betta fin dalla sua entrata al Carmelo, la conduceva con bontà, ma con fermezza. La giovane postulante godeva di passeggiare sulla terrazza, a tarda sera, durante il silenzio rigoroso; la vista del firmamento dava all'anima sua l'impressione del contatto con Dio. Una sera, mentre il monastero era immerso nel più profondo silenzio, passò di là Madre Germana. E la novizia, l'indomani, si sentì rivolgere queste parole: « Non si viene al Carmelo per sognare contemplando le stelle. Andate a Lui con la pura fede ».

In seguito, per provarla, non lasciava passare alcuna occasione di riprenderla anche delle imperfezioni minime, delle più lievi dimenticanze.

Suor Elisabetta baciava umilmente la terra, e se ne andava.

Sapientemente, la Madre Germana di Gesù disciplinava una tenerezza che avrebbe potuto facilmente divenire pericolosa; e la coraggiosa figliola lasciava fare, perché comprendeva più di ogni altro e per esperienza quanto aveva bisogno di vegliare continuamente sul suo cuore.

Quando era ancora giovinetta, si era attaccata, in modo un po' esagerato, ad un'amica che incontrava quasi tutti i giorni al Carmelo, e con la quale i colloqui intimi si prolungavano. Aveva bisogno di scriverle spesso, di leggere e rileggere le sue lettere, soprattutto le frasi in cui l'amica sua la assicurava che era lei la più cara.

Questo sguardo retrospettivo, a questo punto, sul suo passato di fanciulla, diffonde una luce singolare sulla sua psicologia religiosa.

« Sorellina mia — le scriveva — si, non siamo che una, non ci separiamo mai. Se credi, il sabato faremo la Santa Comunione ['una per l'altra; sarà il nostro contratto, sarà ì'«Uno»

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per sempre. D'ora innanzi, quando Egli guarderà Margherita, guarderà anche Elisabetta; quando darà all'una, darà anche all'altra, perché non vi sarà più che una sola vittima, una sola anima in due corpi. Forse sono troppo sensibile, Margherita, ma sono stata così felice quando mi hai detto che sono io la tua sorella più cara! Mi fa tanto bene rileggere quelle righe. Quanto a tè, lo sai che sei tu la mia sorella diletta fra tutte; c'è bisogno che tè lo dica? Quando eri malata sentivo che nulla, neppure la morte, avrebbe potuto separarci. Oh, io non so quale di noi due il Signore chiamerà a sé per la prima; ma neppure allora avrà termine la nostra unione, nev-vero? anzi, raggiungerà allora la sua consumazione.

Come farà bene parlare a Colui che amiamo della sorella che ci avrà precedute in Cielo, vicino a Lui! Chi sa? Forse ci chiederà di versare per Lui il nostro sangue. Che gioia, subire insieme il martirio! non posso pensarci; sarebbe troppo bello... Intanto, diamogli il sangue del nostro cuore, a goccia a

goccia »24.

Si sente, attraverso a queste righe, un po' di esaltazione sentimentale; e la testimonianza raccolta dalle labbra stesse di quell'amica ci obbliga a riconoscere in Elisabetta una eccessiva tenerezza di cuore. Ma chi potrebbe meravigliarsi di queste debolezze dei santi? Santa Margherita Maria non si lasciò arrestare anch'essa, un istante, da un affetto troppo umano per una delle sue consorelle, afletto che dal cuore purissimo di Gesù le veniva rimproverato?

San Tommaso, che fu un grande dottore e un grande santo insegna che nessuno, sulla terra, può interamente sottrarsi alle colpe di fragilità; ne sfuggono persino ai più perfetti.

Ci sarebbe da scrivere un bei libro — e quanto consolante per noi — sui difetti dei santi e sul lavoro compiuto da loro, e dalla grazia in loro, per correggersi.

Appena Elisabetta Catez si accorse che il suo cuore era schiavo, gli ridonò tutta la sua libertà, senza violenza, con delicatezza squisita, ma con fermezza eroica. « Margherita cara, ho qualche cosa da confidarti; ma non vorrei farti soffrire. Sai,

24 Lettera a M. G... - 1901.

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questa mattina, mentre ero vicina a tè in Cappella, sentivo che ciò era bello, ancor più bello delle nostre care conversazioni; e, se tu acconsenti, trascorreremo così, accanto a Lui, l'una vicina all'altra, il tempo che passavamo in giardino. Ti dò dispiacere con queste mie parole? Dimmi, sorellina mia, non l'hai sentito tu pure come me? Credo di sì. Oh, dimmelo semplicemente! Sai che alla tua Elisabetta puoi dire tutto»".

« Dopo questo atto di generoso distacco — ci diceva quest'amica intima — l'ho sentita allontanarsi ».

Nella fase delle purificazioni passive subite da suor Elisa-betta durante il noviziato, avvenne qualche cosa di analogo, ma di molto profondo. Tutti i suoi sensi dovettero passare attraverso questo assoluto distacco, il solo che rende liberi.

Ma intorno a lei, nessuno mai, fuorché la sua supcriora, suppose questa fase di angoscia purificatrice. Tutto quello che sembrava dovesse consolarla, la lasciava indifferente o la turbava. Un ritiro predicato dal Padre Vallèe, del quale ella seppe apprezzare come sempre la bella e profonda dottrina, non riuscì a liberarla da quest'agonia intima. Il Padre stesso non la capiva più e ripeteva con tristezza: « Che avete fatto della mia Eiisabetta? Me la avete cambiata... ».

Ma le creature non c'entravano. Quel mutamento, per lui incomprensibile, dipendeva da Dio.

Tn qu'el rude anno di prova, suor Elisabetta acquistò una fede più forte e un'esperienza del dolore che la renderà capace di comprendere e di consolare altre anime provate da Dio;

divenne più virile; definitivamente stabilita in una vita spirituale tutta basata sulla pura fede, vita che, d'ora innanzi, scorrerà calma sotto lo sguardo di Dio, al sicuro da ogni ridestarsi della sensibilità; questo, il risultato essenziale di tale periodo di purificazione.

Insieme al pieno equilibrio morale, anche le forze fisiche ritornarono- Ti Capitolo del monastero l'ammise alla professione; e la bella notizia le fu comunicata il giorno di Natale, Come in tutte le circostanze più importanti della sua vita, suor Elisabetta si rifugia nella preghiera onnipotente di Cri-

25 Lettera a M. G... - 1901.

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sto che s'immola sull'Altare; ma questa volta, con una particolare intensità; e tutta una novena di sante Messe implora dal sacerdote, amico venerato, che era stato il primo confidente delle sue aspirazioni alla vita religiosa quando, piccina piccina ancora, gli saltava sulle ginocchia.

Quindi, sotto il suo velo abbassato, suor Elisabetta disparve. La comunità la vedeva passare per i chiostri come un'ombra, col volto sempre velato, e l'avvolgeva nella sua fraterna preghiera.

Ma quel ritiro in preparazione alla professione, cominciato con una prospettiva tanto lieta, divenne ben presto penosissimo, ridestando il problema dell'avvenire e della vocazione. Bisognò ricorrere da un religioso di profonda esperienza, che la rassicurò; e suor Elisabetta credette alla parola dei sacerdote come alla voce di Cristo.

Al Carmelo, si usa trascorrere la notte clic precede la professione in una veglia santa di preparazione. Suor Elisabetta era in coro, tutta raccolta nel suo Dio, tutta protesa nel-PofFerta a Lui della propria vita, scongiurandolo di prenderla per la Sua gloria. E il Maestro divino le si fece sentire. « La notte che precede il gran giorno, mentre ero in coro in attesa dello Sposo, compresi che il mio ciclo cominciava sulla terra, il cielo nella fede, con la sofferenza e l'immolazione per Colui che amo »26.

Si iniziava una nuova fase di vita spirituale. Sofferenze di una sensibilità non ancor del tutto purificata, scrupoli e angosce per dei nonnulla, tutto questo è ormai passato; d'ora innanzi, ella procederà sulla via del suo Calvario con la confidenza serena e incontrollabile di una sposa che si sa tanto amata; avanzerà, tra le sofferenze più eroiche, con la maestà di una regina.

4. L'indomani della sua professione, suor Elisahcttn della Trinità si impegnò decisamente nella conquista della perfezione religiosa, senza esaltazione della sensibilità, ma con slancio nuovo, e con la forza calma ed eroica che la condurrà,

w Lettera al Canonico A... - 15 luglio 1903.

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r i

di sacrificio in sacrificio, fino alla immolazione del Calvario.

Tutto il suo programma di vita fu la realizzazione del suo nome: suor Elisabetta, cioè « Casa di Dio, abitata dalla Trinità ».

E veramente, questa presenza di Dio a cui l'anima tende attraverso a tutto, è proprio l'essenza della vita carmelitana vissuta nella più costante tradizione dell'Ordine. Nel suo Castello dell'anima santa Teresa vi ritorna continuamente:

« L'intimità con le Tré Persone divine » costituisce la verità centrale della sua dottrina mistica,

Suor Elisnbetta della Trinità, per una grazia speciale, vi trovò l'attrattiva più spiccata della sua vita intcriore. Le sue lettere, le conversazioni in parlatorio, le sue poesie, le risoluzioni dei suoi Ritiri, tutto converge in questa divina abitazione nell'intimo; che fu, lo dice ella stessa, « il bei sole irradiante tutta la sua vita... Dal giorno in cui compresi questa verità, tutto fu luminoso per me»". «Il mio continuo esercizio è rientrare in me stessa e perdermi in Coloro che vi abitano » 2a.

Man mano che gli anni della sua vita religiosa scorrevano, l'anima sua si seppelliva sempre più nella Trinità pacifica e pa-cificatrice che, ad ogni istante, le comunicava qualche cosa dei-In Sua eterna vita.

C'erano ancora talvolta, e vero, in fondo al suo essere, dei leggeri turbamenti; ma tutto in lei si andava acquetando, e rnccvn.

« Come si è felici quando si vive nell'intimità col Signore, quando la vita si trasforma in un cuore a cuore con Lui, in uno scambio di amore, quando si sa trovare iil Maestro divino nel profondo dell'anima! Allora non si è mai soli, e si ha bisogno di solitudine per godere della presenza di questo Ospite adorato. Tutto s'illumina e la vita è tanto bella » ".

« Mi chiedete quali sono le mie occupazioni al Carmeio;

-T Lettera .lila signora B... - 1906.

'-< Lettera ;> G. <le G... - l'ine ile! seltemhre 1903.

'-"' Lettera a F. de S... - 28 aprile 1903.

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potrei rispondervi che, per la carmelitana, non ce n'é che una: Amare: pregare»30.

« La vita della carmelitana è una comunione con Dio dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina. Se Egli non riempisse le nostre celle e i nostri, chiostri, coinè sarebbero vuoti! Ma noi Lo vediamo in tutto perché Lo portiamo in noi; e la nostra vita è un paradiso anticipato » ".

II ritmo soave di questa vita spirituale è semplicissimo e si svolge intorno ad alcuni motivi essenziali, sempre gli stessi; custodire il silenzio e credere nell'Amore die è lì, nel profondo dell'anima per salvarla.

Vi sono ancora molte notti oscure e molte impotenze; ma che cosa importano le fluttuazioni involontarie di una anima che vive alla presenza dell'Immutabile? A poco a poco, tutto si calma 'e si divinizza.

Così trascorreva la vita di suor Elisabetta della Trinità. In quel Carmelo fervoroso in cui tante anime grandi vivevano di Dio, per la Sua gloria, non immaginiamocela quasi un essere-'^straordinario, segnata a dito come santa. Nei monasteri, per lo più, non si canonizzano le anime se non quando si sono perdute.

A Digione, suor Elisabetta della Trinità era semplicemente la novizia sempre fedele che, come tante altre, da vera carmelitana, passava « tutta nascosta, con Cristo, in Dio » (I Coloss. Ili, 3).

Ili

VERSO L'UNIONE TRASFORMANTE

Quando, il 21 novembre 1904, suor Elisabetta della Trinità compose di getto, senza la minima correzione, la sua elevazione sublime alla Trinità non aveva ancora raggiunte le ultime vette dell'amore.

E non a caso, fino dalla seconda frase della sua preghiera, immediatamente dopo il primo atto di adorazione alla Trinità,

30 Lettera alla signora A... - 29 giugno 1903.

31 Lettera a F. de S... - 1904.

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suor Elisabetta, ricadendo su di sé, implora: « Aiutami a dimenticarmi interamente! ».

Dopo tré anni di vita religiosa, un ostacolo fin allora insormontabile ingombra la sua vita spirituale: il proprio io. Non è giunta ancora a quel distacco sovrano delle anime che, dimentiche di se stesse, non hanno più altra occupazione che amare. Ebbene, sarà questo l'impegno e il lavoro degli ultimi due anni: lavoro, dapprima, lento e faticoso, sostenuto per diciotto mesi dn fedeltà nascoste; poi rapido, quasi fulmineo, quando, dalla sera della domenica delle Palme, Dio, piombando su di lei come sulla sua preda, verrà a compiere Egli stesso nel corpo e nell'anima sua la divina opera di distruzione e di consumazione.

Giungerà allora all'unione trasformante, non sul Tabor, ma, come l'aveva desiderato, nella somiglianzà a Gesù Crocifisso e nella conformità alla Sua morte.

È la fase più sublime di questa vita, ed è quella che ci rimane da analizzare.

Da molli mesi, suor Elisabetta della Trinità soffriva di un malessere così penoso che, senza il soccorso di Dio, avrebbe dovuto soccombere. Addetta com'era all'ufficio di portinaia, doveva fare un vero sforzo per salire i primi gradini della scala, quando veniva chiamata; non si reggeva in piedi. « La mattina, dopo la recita delle Ore minori — confesserà poi alla sua Madre Priora — mi sentivo già spossata e mi domandavo come avrei potuto arrivare fino a sera. Dopo Compieta la mia viltà giungeva al colmo, tanto che ebbi a volte la tentazione di invidiare una mia consorella dispensata dal Mattutino. Il tempo del silenzio rigoroso lo passavo in una vera agonia; la univo a quella del mio Maestro, standomene vicina a Lui, presso la grata del coro. Era un'ora di puro patire che mi otteneva però la forza per il Mattutino che recitavo, riacquistando una certa facilità di applicarmi a Dio. Ma poi, mi ritrovavo nella mia impotenza; e, protetta dall'oscurità, risalivo alla meglio in cella, appoggiandomi al muro » a2.

Al principio della Quaresima del i 906, dopo la ricrea-

32 « Ricordi ».

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zione del mezzogiorno, suor Elisabetta, aprendo a caso come soleva fare, il suo caro san Paolo, incontrò questo versetto:

«fio che io bramo è conoscere Lui, è la partecipazione ai Suoi patimenti, la conformità alla Sìin morie » (Filipp. UT, 10).

Queste ultime parole la colpiscono: la conformità alla Sua morte. Sono forse l'annunzio della prossima liberazione?

In piena Quaresima, si manifestano i sintomi di una grave malattia di stomaco; e, dopo la festa di san Giuseppe, suor Elisabetta della Trinità era definitivamente in infcrmeria.

« Lo sapevo che san Giuseppe sarebbe venuto a prendermi quest'anno — diceva tutta lieta. Eccolo già che viene ».

Si organizzò una vera crociata di preghiere: ma invano, che il male progrediva. Suor Elisabetta esultava. Oltrepassando ogni considerazione sulle sue cause seconde, ella chiamava quella malattia misteriosa: la malattia dell'amore. « È Lui che mi lavora e mi consuma; io mi dono, mi abbandono all'opera sua, contenta fin d'ora di tutto ciò che farà ».

La domenica delle Palme, sopraggiunse una sincope ad aggravare improvvisamente il suo stato, tanto che fu chiamato, nella notte, un sacerdote. Suor Elisabetta, con lo sguardo luminoso, le mani giunte, stringendo al petto il bei Crocifisso della sua professione, ripeteva con invocazione ardente: « O Amore, Amore! ».

« Ho assistito molti malati — diceva il sacerdote che le aveva amministrato l'Estrema Unzione — non ho visto mai un simile spettacolo ».

Il venerdì santo pareva che dovesse spirare; ma la crisi fu superata; anzi, la mattina del sabato, le infermiere meravigliate la trovarono inginocchiata sul letto. Il ritorno alla vita fu quasi una delusione per lei,

« La sera della domenica delie Palme ho avuto una forte crisi e ho creduto che fosse giunta finalmente l'ora di prendere il volo verso le regioni infinite, per contemplare svelata-mente quella Trinità che è ora mia dimora, quaggiù. Nella calma silenziosa delta notte, ho ricevuto l'Estrema Unzione e la visita del mio Gesù. Credevo che Egli avrebbe scelto quel-

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l'istante per rompere i miei legami. Che giorni ineffabili ho passato, nell'attesa della grande visione! » ".

« A voi, che siete sempre stato il mio confidente, so di poter dire tutto. La prospettiva di andare a vedere presto, lìdia sua inciT.ibile bellezza, Colui che amo e di inabissarmi in quella Trinità c-he è già il mio Ciclo quaggiù, da all'anima mia una gioia immensa. Quanto mi costerebbe se dovessi ritornare sulla terra; la terra mi pare cosi brutta uscendo dal mio bei sogno! Soltanto in Dio tutto è puro, bello e santo » ".

Questa crisi violenta l'aveva avvicinata al mondo invisibile. Abituntn a vivere al disopra del'le cause seconde, suor Elisabetla comprese, fino dal primo istante, la ragione provvidenziale di quella malattia; vi scoprì la mano di Dio, il suo « troppo grande amore » che più intensamente la incalzava e, immediatamente, aderì al piano divino.

« Se Dio mi ha reso un po' di vita — disse a se stessa — non può essere che per la Sua gloria ».

Sì; Dio voleva sollevarla e stabilirla sulla più alta cima della montagna del Carmelo dove, secondo il celebre scritto di san Giovanni della Croce, « non c'è più che l'onore e la gloria di Dio ».

Nell'estate de! 1905, qualche mese prima di quella crisi, mentre si intratteneva intimamente con una consorella durante una licenza 3'', aveva trovato in san Paolo il suo definitivo nome di grazia: « Laudem gloriae » e, da allora, tutti gli sforzi della sua vita inferiore si volgevano in questo senso.

La cosa avrebbe potuto languire, col tempo. Dio tagliò corto.

Avviene spesso così. Egli lascia che le anime avanzino col loro passo nelle vie divine; poi, intervenendo all'improvviso, prende Lui personalmente la dirczione della loro vita nei minimi particolari; finalmente, nello slancio di una grazia irresistibile, la rapisce a sé. Si serve delle cause seconde; una gran-

" Lettera a G. de G... - Maggio 1906. ••" Lettera al Canonico A... . Maggio 19066.

3:1 Le « licen/'e » sono alcuni giorni nei quali le suore possono visitarsi nelle celle e intrattenersi insieme.

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de prova che schianta tutta una vita, una malattia che sembra condurre iilLi morie...! in renila, e l'or.'i ili\'in;i ilr! Qilv.'ìrio che tutto compie e perfeziona. ;

Così fu per suor Elisabetta della Trinità. La crisi fulminea della sera delle Palme e del venerdì santo fu il segnale della liberazione suprema, fu l'entrata definitiva nell'unione trasformante. Da quel momento, estranea a tutte le cose della terra, viveva quaggiù con l'anima già immersa nella eternità.

— Le consorelle" che entrarono maggiormente nella sua inti-mità confessano che fu per esse la rivelazione di una santa. « Sentivamo che stava per lasciarci ». — « Non potevamo più seguirla; era già una creatura dell'ai di là ». La si vedeva procedere nella via del dolore « con la dignità di una regina », secondo l'espressione usata da un testimonio, senza saper che era l'espressione stessa di suor Elisabetta.

Appariva con evidenza che, quanto più il suo essere fisico si andava disfacendo altrettanto l'anima, sempre più beata, oltrepassando se stessa, si obliava.

Da un unico pensiero era dominata, sempre: la lode di gloria alla Trinità; da un unico desiderio: consumare la sua vita a bene delle anime; da un unico sogno: morire trasformata in Gesù Crocifisso.

« Mi indebolisco di giorno in giorno, e sento che ormai il mio Signore non tarderà molto a venire a prendermi. Esperimento e gusto gioie ineffabili: le gioie del dolore... Sogno di essere trasformata prima di morire in Gesù Crocifisso » 36.

Gli ultimi mesi di quest'anima essenzialmente trinitaria furono tutti pervasi dal pensiero del Crocefisso; tanto è vero, come afferma santa Teresa, che anche negli stati mistici più elevati, il ricordo dell'Umanità di Cristo non deve indebolirsi mal. Colui che, come Dio, è il termine, come Uomo rimane sempre la via che a Dio conduce: il Calvario è il solo cammino per giungere alla Trinità.

Al pensiero costante della gloria della Trinità santa, pensiero che domiha^Tuminosamente tutta la vita inferiore di suor

38 Lettera a G. de G... - Fine di ottobre 1906. 50

Flisaberta, si unisce l'intima contemplazione del Crocefisso.

« C ^ìn/igi'ii'i!/ ns i/pori! c!i!\ »: ceco Piiltro pensiero clic non mi abbandona mai, che mi da forza nei patimenti. Se sapeste quale opera di distruzione sento in tutto l'essere mio! È la via del Calvario ormai aperta dinanzi a me; e io sono felice di camminarvi, come una sposa a lato del divino Crocefisso.

Il 18 di questo mese, avrò 26 anni; non so se questo nuo-vo anno delia mia vita si compirà nel tempo o nella eternità;

e vi chiedo, come una bimba al Padre suo, di volermi consacrare, durante la santa Messa, come un'ostia di lode alla gloria di Dio. Consacratemi così interamente, che io non sia più io, ma Lui; così che il Padre, guardandomi, possa riconoscere Lui in me. Clie io divenga « conforme alla sua morte », che io soflra in me ciò clic manca alla sua Passione per il suo Corpo Mistico: la Chiesa. E poi, bagnatemi nel Sangue di Cristo, pcrclie mi renda forte della sua stessa forza » ".

Così la vita spirituale di suor Elisabetta si riduceva sempre di più all'essenziale: la trasformazione in Cristo per amore, l'intimità filiale di quasi tutti gl'istanti con la Vergine santa, il senso trinitnrio del suo Battesimo. 11 movimento della sua vita intcriore rnpita nell'anima del Crocefisso, diviene ben pre-sl-o semplicissimo: la gloria della Trinità: e basta. Essa è giun-(;i, omini, ali;) supcriore unita dell'anima dei santi che hanno l'ilggiiiiìl.o ('.risto in pienc/./a. 'rutto il resto, o rientra in questa unicità, o scompare.

Nell'anima sua tutto si armonizza. Il « palazzo della beatitudine o del dolore » per lei, è tutt'uno; ma il desiderio della sofferenza non esclude quello del Cielo che, anzi, l'attrae sempre di più, da che il suo spirito ha preso contatto con gli ultimi capitoli dell'Apocalisse sulla Gerusalemme celeste, divenuta ora la lettura delle sue lunghe notti d'insonnia.

Mai la si vide così divina insieme e così umana.

La sua tenerezza si manifestava soprattutto verso le sue sorelle di religione.

« II cuore di Cristo non fu mai così espansivo come nell'ora suprema, in cui stava per abbandonare i suoi. Anch'io, sorelli-

37 Lettera al Canonico A... - Luglio 1906.

na 'mia38, non ho provato mai, come ora, un bisogno così grande di avvolgerti nella mia preghiera. Quando i miei dolori si fanno più acuti, mi sento talmente spinta a offrirli per tè, die non potrei non farlo. Chi sa perche! Ne hai forse bisogno in modo speciale? Sei afflitta da qualche pena? Le mie tè le dono tutte, perché tu ne disponga pienamente. Se tu sapessi come son felice al pensiero che il mio Maestro divino sta per venire a prendermi! Come è bella e ideale la morte per coloro che Dio ha custoditi, affinchè non cercassero le cose visibili che sono passeggere, ma le invisibili clic non hanno fine! In Ciclo, io sarò più che mai. il tuo angelo. So quanto la mia sorellina ha bisogno di essere custodita, in quella Parigi dove è. costretta a vivere. San Paolo dice che Dio ci ha eletti in Lui, prima della creazione del mondo, affinchè siamo santi e immacolati al suo cospetto, nell'amore (Efes. I, 4); ed io, con tutta l'anima, pregherò che questo grande decreto della sua volontà si compia in tè. Ascolta, quindi, il consiglio del medesimo Apostolo:

Camminate in Gesii Cristo, radicali in Lui; edificati Ì!ì Lui, f orrifica li nella fede, crescendo in Lui sempre di più (Coloss. Il, 7).

Mentre contemplerò la bellezza ideale nella su;) luce infinita, Le chiederò di imprimersi nell'anima dia perche fin d'ora, su questa terra in cui tutto è macchiato, tu sia bella della Sua bellezza, luminosa della Sua luce. A Dio. Ringrazialo per me, perché la mia gioia è immensa. Ti dò appuntamento nell'ert'-dità dei santi. Là, nel coro delle Vergini, generazione pura come la luce, noi canteremo lo stupendo cantico dell'Agnello e il Sanctus eterno, sotto l'irradiazione del Volto di Dio. Allora, dice san Paolo, saremo trasfigurati di luce in luce, assumendo la stessa figura di Lui (II Cor. 3-18).

Ti abbraccio con tutto l'affetto del mio -cuore, e sono il tuo angelo per l'eternità » ""'.

La sera del 2 agosto 1906, anniversario della sua entrata

38 Così scrive ad una postulante che una circostanza speciale aveva ricondotta in famiglia, e della quale, net Carmelo, era stata Vangelo, cioè, secondo gli usi dell'Ordine, la suora incaricata di ìniy.inre "na post'ilunie a!!c ;i!''it;i-dini della Comunità (N. d. T.).

39 Lettera a C... B... - Fine dell'estate 1906.

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«il Carmelo, suor Elisabetta, non riuscendo a prender sonno, si siede presso la finestra, e vi rimane quasi fino alia mezzanotte, in colloquio col suo Signore. Quella fu per lei una serata divina: « H ciclo era così calmo, così azzurro! Nel monastero regnava un silenzio profondo... Ed io rivivevo col ricordo questi cinque anni .pieni di tante grazie »40.

Sentendo avvicinarsi lo spogliamente supremo, ella chiede alla sua Madre Priora di poter entrare in ritiro la sera del 15 agosto, per prepararsi al suo passaggio alla eterna vita; ne da noti/'i.'i ad una consorella, annunziandole Ìn un biglietto che parte con ]anna coeli per alcuni giorni di preghiera e di raccoglimento; « Landcm donne entra questa sera nel noviziato del Ciclo per ricevervi la veste di gloria e ha bisogno di venire a raccomandarsi alla sua suor A... « Quelli che Dio ha conosciuti nella sua prescienza — dice san Paolo — li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo » (Rom. VII, 29). Ecco ciò che vado a farmi insegnare: la conformità al mio Maestro adorato, il Crocefisso per amore. Allora, potrò adempiere i1 mio ufficio di Lode di gloria e cantare già il Sdnctiis eterno, nell'attesa di intonarlo negli atri divini della casa del Padre»"'.

I''!! proprio in quelle scie e in quelle notti di silenzio con Dio, in cui sentiva che il Maestro divino la incamminava verso il suo Caivnrio, che, per desiderio della sua Madre Priora, compose « 1 aliiti mo ritiro di Laudem floride », per dirle come concepiva il suo ufficio di Inde di gloria. Fino all'ultima settimana, la si vide trascinarsi alle « Laudi notturne », e là tutta raggomitolata in un angolo della tribuna, estrarre fin l'ultima stilla dal suo essere esausto. Nella misura che le permetteva la debolezza estrema, restò fedele sino all'ultimo alle minime osservanze del suo Ordine. Spesso, durante insonnie interminabili, soffriva nel corpo e nell'anima un vero martirio; allora, con grande spirito di fede, si rifugiava presso la sua Madre Priora che ella chiamava suo sacerdote, incaricato da Dio di consumare il suo sacrificio supremo.

Lettera alla mamma - 3 nposm 1906. Biglietto nel una delle sue consorelle.

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« Ore 11. Dal palazzo del dolore e dell.' bealitudine, Madre mia, mio sacerdote, la vostra piccola « Lode di gloria » non può dormire; soffre. Ma nell'anima sua, per quanto vi passi l'angoscia, regna però tanta calma. Ed è stata la vostra visita che mi ha recato questa pace di ciclo. Aiutatemi a salire il mio Calvario! Sento così fortemente la potenza del vostro sacerdozio sull'anima mia, e ho tanto bisogno di voi.

Madre mia, sento che i miei « Tré » mi sono tanto vicini. Sono sopraffatta più dalla gioia che dal dolore. Il Signore mi ha ricordato che qui Egli vuole che io rimanga, e che non tocca a me scegliere le mie sofferenze; mi inabisso dunque insieme a Lui nel dolore immenso, con tutti i miei timori e le mie angosce » (ottobre 1906).

« Madre, amato mio sacerdote, la vostra piccola ostia soffre molto, molto; è una specie di agonia fisica; e si sente così vile! vile fino a gridare. Ma l'Essere che è Amore, pienezza d'Amore, viene a- trovarla, a tenerle compagnia, l'associa a sé, mentre le fa comprendere che, fin quando la lascierà sulla terra, le largirà sempre il dolore » (ottobre 1906).

Mai si potè sorprendere in lei la minima debolezza, anche fra le più acute sofferenze; il suo bei sorriso non l'abbandonò mai.

Nelle ultime settimane che furono un vero martirio, il dono della fortezza si manifestò in lei stupendamente. Le fu chiesto, un giorno, se soffriva molto; essa fece un gesto come per indicare che le venivano straziati i visceri... e il volto le si. contrasse; poi, riprese subito la sua amabile serenità.

Proprio in questo stato di. estrema spossatezza, la rivide il Padre Vallee, per l'ultima volta, il 15 ottobre. Fu colpito dall'opera di distruzione compiuta da Dio in quest'anima, rendendola così ineffabilmente, così devotamente bella; e la invitò ad elevarsi ancora di più, levarsi in un sforzo supremo fino all'amore che oltrepassa anche il dolore. Ed essa, consolata da questa ultima visita del suo Padre, ascese quelle vette che egli le aveva fatte intravedere. Questi stati superiori di unione trasformante, sul Calvario^ non hanno più iimla di paragonabile a quanto accade sulla terra,

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Il 29 ottobre, grazie ad un lieve miglioramento, potè scendere in parlatorio e rivedervi tutti i suoi cari. Le avevano condotto 'le sue nipotine, « due bei gigli tutti candore ». La rnam-'ina loro le fece inginocchiare presso la grata, e suor Eli-sabetta, sollevando il grande Crocefisso della sua professione, le benedisse.

Nel momento dell'addio, ebbe il coraggio di dire alla mamma: « Mamma, quando la nostra suora commissionaria verrà ad avvertirti die ho finito di soffrire, tu ti prostrerai in ginocchio esclamando: — Mio Dio, tu me l'avevi data, tu me l'hai presa; sia benedetto il tuo Santo Nome »42.

Il giorno seguente, suor Elisabetta della Trinità non poteva più lasciare l'infermeria. Alla sera, fu presa da un tremito tortissimo che tutta la scuoteva nel suo tettuccio; la notte, sembrò die il cielo le si aprisse nuovamente: bisognava far presto. E, fin dalla mattina del 31, le fu rinnovata la grazia degli ultimi Sacramenti. La Chiesa cantava i primi Vespri della festa di Ognissanti, e suor Elisabetta, non potendo ormai più scrivere, dettò un ultimo messaggio: « Ecco; io credo che sia giunto il gran giorno desiderato ardentemente del mio incontro con lo Sposo unicamente amato, adorato. Ho la speranza di potermi trovare, stassera, fra ' quella grande moltitudine ', contemplata da san Giovanni dinanzi al Trono dell'Agnello in atto di servirlo notte e giorno nel suo santo tempio. Vi dò appuntamento in questo bei capitolo dell'Apocalisse, e nell'ultimo che eleva così bene l'anima al di sopra della terra, nella visione in cui sto per immergermi... per sempre... ».

A mezzogiorno, tutte le campane della città suonarono {'Angelus. « Ah Madre! — esclamò — queste campane mi dilatano il cuore; suonano per la partenza di Laudem gloriae. Mi faranno morire di gioia, queste campane. Partiamo, dunque! », E tendeva le braccia al cielo.

42 Quando la signora Catez. avvertita (Lillà suora commissionaria, si recò nel parlatorio dove la salma della sua figliuola era esposta, ebbe un grido di dolore. Allora, un'amica che l'accompagnava le disse: « Ricordatevi ciò che vi lia detto Elisabetta ». La cornppios.i madre se ne ricordò; e, cadendo in ginocchio mormorò: « Mio Dio, tu me ('avevi data, tu me l'hai presa. Sia benedetto il tuo Santo Nome! ».

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Il I novembre, festa di tutti i santi verso, verso le '1.0 del mattino, sembrava giunta l'ora suprema, e la comunità si riunì in infcrmeria per recitare le preghiere degli agonizzanti. Suor Elisabetta, sollevandosi dalla sua prostrazione, assicuratasi che tutte le suore erano presenti, chiese loro perdono. Poi, per compiacere al desiderio che le esprimevano, mormorò, come in un sospiro, queste frasi:

« Tutto passa... Alla sera della vita, non rimane che l'amore... Bisogna fare tutto per amore... Bisogna dimenticarsi sempre... Il buon Dio gradisce tanto die ci si dimentichi. Ah, se l'avessi fatto sempre! ».

Cominciarono, da allora, nove giorni di penosa agonia. Distesa sul suo letto come sopra un altare, gli ocelli chiusi, la vita concentrata tutta nel profondo dell'anima, la santa vittima pregava. Quando si cercava di consolarla per la dolorosa privazione della santa Comunione che non poteva più ricevere:

« Lo trovo sulla croce — diceva; la, Egli mi dona la vita ».

Violentissimi dolori al capo fecero temere una meningite;

fu scongiurata con continue applicazioni di ghiaccio il quale si fondeva istantaneamente. Le pareva di avere il cervello in fiamme; la parola, che diveniva quasi inafferrabile, rivelava una divina unione consumata. Il suo volto, emaciato e irriconoscibile, assumeva talvolta in modo impressionante i lineamenti dolorosi del santo Volto. Sembrava un Cristo in croce.

Tré settimane prima, aveva conridato alla sua Madre Priora: « Se il mio Signore mi facesse scegliere fra la morte in una estasi o nell'abbandono del Calvario, sceglierei quest'ultima per assomigliare a Lui ».

E il Signore l'aveva pienamente esaudita: era In desolazione del Calvario, nell'intimo come al di fuori. Dopo una crisi violenta, la si era udita esclamare: « O Amore, Amore, consuma tutta la mia sostanza per la tua gloria! Che essa possa distillarsi goccia a goccia per la tua Chiesa ».

L'antivigilia della morte, il medico non le nascose la estrema debolezza del suo polso; ne esultò, e trovò 1a forza di dire:

.« Fl"a due giorni; sarò in seno ai miei ' Tré '. Sarà la Mridorii);i, questo essere tutto luce, che mi prenderà per mano per condur-mi al Ciclo ».

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I 3

II medico, incredulo si meravigliava di una tale gioia; e suor Elisabetta gli parlò allora dell'adozione divina, del grande mistero dell'Amore che si ch'ina su di noi...

Questi ultimi slanci l'avevano interamente esaurita; si potè però sentirla mormorare ancora, quasi in tono di canto: « Vado alia Luce, all'Amore, alla Vita! ».

Furono le ultime parole intelligibili.

II venerdì, 9 novembre, alle cinque e tré quarti del mattino, si piegò sul lato destro, col capo arrovesciato all'indietro. Il volto le si illuminò; i suoi begli occhi, da otto giorni chiusi e quasi spenti, si aprirono, fissandosi con espressione ineffabile in un punto un po' al di sopra della Madre Priora, inginocchiata presso il suo letto.

Era bella come un angelo.

Le suore che, intorno a lei, recitavano le preghiere degli agonizzanti, non potevano distaccarne lo sguardo. Poi, senza clic fosse dato loro di sorprenderne l'ultimo respiro, si accorsero che suor Elisabetta non era più.

Era l'alba della « Dedicazione », una delle feste a lei più care.

Mentre, in coro, alla presenza delle sue spoglie mortali, le suore cantavano le lodi della Casa di Dio: « Beata pacis visìo », suor Efisabetta, già nella immutabile visione di pace e negli splendori della celeste Gerusalemme, che era stato il pensiero più assiduo degli ultimi suoi. giorni, era unita alla moltitudine dei Beati che, con le palme in mano, ripetono incessantemente il cantico: « Santo, santo, santo, il Signore onnipotente che era, che e, che sarà, nei secoli dei secoli ».

Con essi, prostrandosi, adorando e gettando ai piedi del trono dell'Agnello la sua corona, ricompensa del suo martirio d'amore ella ripeteva senza posa: « Dignus es, Domine. Sì, Tu sei degno. Signore, di ricevere onore, potenza, sapienza, forza e divinità » ".

Alla presenza della Trinità Santa suor Elisabetta era divenni a T.nnp pi gloria per l'eternità.

CAI'ITOLO SECONDO

L'ASCESI DEL SILENZIO

« Qua! è il punto della Regola che preferite »?. « TI silenzio ».

1. Le santa ci ci silenzio - 2. Il silenzio esteriore - 3. Il silenzio inferiore - 4. Divinimi silentium.

Due sono pii elementi fondamentali che costituiscono la essenza di ogni santità: lo spogliamente di sé e l'unione con Dio;

e sempre, sotto le sfumature più varie, li troviamo nella vita dei santi. In una carmelitana, l'aspetto negativo riveste la forma di una separazione assoluta.

Il Carmclo è il deserto.

Dio solo.

Ma, tra le anime carmelitane stesse, ciascuna vive in maniera tutta propria questa dottrina del « nulla » della creatura e del « Tutto >•> di Dio, tanto cara a san Giovanni della Croce, il dottore mistico del Carmelo. Ogni stella differisce dall'altra, non solo per grandezza, ma per una sua luce tutta propria, per un suo particolare splendore.

Dio e multiforme nei suoi santi. E vano sarebbe voler fare entrare in un identico stampo due santi di una medesima famiglia religiosa: sotto i caratteri comuni essi nascondono differenze irriducibili. Ora, il compito del teologo che scruta le profondità di un'anima, soggetto del suo studio, è appunto quello di ben discernere tali differenze. Discernere equivale a vedere più chiaramente.

Sono state spesso acrostat'e, oppure contrapposte, santa Tc-rcs;i di Gesù B;iinbino e suor Elisabetta della Trinità. Le loro vie .''olio essenzialmente diverse. La carmelitana di Lisieux ef-

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fonde su tutto l'universo cattolico con gesto luminosamente stupendo i suoi petali di rose sfogliate per amore; ha insegnato al mondo moderno a ritornare fanciullo per avvicinarsi a Dio. La carmelitana di Digione compie la missione sua presso le anime i'nteriori; suor Elisabetta della Trinità fu la santa del silenzio e del raccoglimento.

1. A 15 anni, nelle sue poesie, Elisabetta Catez sognava la solitudine col suo Cristo:

« Vivere con Tè, solitària!... » '.

E, nel suo diario di fanciulla, a 19 anni, scrive:

« Presto sarò tutta tua; vivrò nella solitudine, sola con Tè, non occupandomi che di Tè, non vivendo che con Tè, non conversando che con Tè » ''. E d'estate, in campagna, la più grande gioia era ritirarsi nei boschi solitari ".

Entrata in convento, la solitudine carmelitana la rapisce:

« Sola col Solo », è, infatti, tutta la vita del Carmelo.

La carmelitana è essenzialmente una eremita contemplativa, che ha per patria il deserto di Carith e per rifugio la cavita della roccia.

Non già che essa dimentichi le anime che si perdono; — anzi, santa Teresa stabilì la sua riforma alla vista dei disastri causati dall'eresia di Luterò — ma la testimonianza che Ja carmelitana deve dare a Dio è quella del solitario, il cui sguardo permane fisso su di Lui solo, in un ardente oblìo di tutto il resto: attestazione silenziosa, ma qiuanto commovente, che la divina Bellezza, ed essa sola, merita tutta l'attenzione di un'anima elevata dalla grazia al consortium della vita trinitaria.

Dio solo basta.

L'opera sua di apostolato è quella della preghiera che tutto ottiene. Un'anima sola che si eleva fino all'unione trasformante è più utile alla Chiesa ed al mondo, di una moltitudine di altre anime che si agitano nell'azione.

Suor Elisabetta della Trinità fu il tipo della contemplativa

1 Poesie - Agosto 1896.

2 Diario - 27 marzo 1899.

3 Lettera alla signora A... - 29 settembre 1902.

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silenziosa la cui azione apostolica si espande, per sovrabbondanza, su tutto l'universo. Fin dal primo giorno, la si vide penetrare n iondo in quello spirito di silenzio e di morte che, al Carmelo, è condì/ione essenziale di ogni vita divina. Nutriva un culto particolare per il patriarca Elia, il primo fra gli uomini che condusse vita eremitica e a cui Dio aveva comandato di fuggire dai luoghi abitati e di nascondersi, lungi dalla folla, nel deserto: «Parli di /fui, e sia ritirato in Carìth » 4; Elia che aveva insegnato ai monaci eremiti della santa montagna del Car-melu n liberarsi da tutto ciò che non è Dio, per starsene alla sola presenzii de) Dio vivo, eliminandone ogni altra.

Vivere da eremita come Elia, l'uomo solitario e santo, abitare in povere celle, come i monaci del monte Carmelo vivevano nelle cavita della roccia presso la fontana del Profeta, fu il desiderio più caro al cuore di Teresa. « II genere di vita che noi bramiamo di condurre », scrive la santa nel Capo XIII del C.amm'ì'no di perfezione, non è soltanto quello dei religiosi, ma anche quello degli eremiti ». — « Ricordiamo i nostri santi Padri, gli eremiti di altri tempi, dei quali noi cerchiamo di imitare la vita. Quali sofferenze non hanno dovuto sopportare, e in quale isolamento! ».

Seguendo la valorosa Rtformatrice, le sue prime figlie si internavano nel deserto del Carmelo. « La solitudine era tutta hi loro gioia », ci dice santa Teresa. « Mi assicuravano che mai erano annoiate e stanche di rimanere sole. Una visita, fosse pure dei loro fratelli e sorelle, costituiva per esse un tormento. Quella poi clic aveva maggiore possibilità e agio di rimanere a lungo in eremitaggio, si riteneva la più felice ».

Silenzio e solitudine: ecco il più puro spirito del Carmelo. « Potrete avere dimore e case in luoghi solitari... Ciascuna avrà la sua cella separata... Rimanga, ognuna, nella propria cella o vicino ad essa, meditando giorno e notte la divina legge e vegliando in ora/.ione » (La santa Regola).

« Nel tempo in cui le suore non saranno in comunità, od occupate negli, uffici della comunità, ciascuna rimanga da sola

il] Rc. xvit-3.

nella sua cella o nel romitaggio che la Madre Priora le avrà permesso...

Se ne stiano nei luoghi del loro ritiro formandosi a quello spirito di solitudine per ottenere il quale la regola ordina che ciascuna stia appartata.

Vi sia un terreno in cui si possano costruire degli eremitaggi, affinchè esse vi si ritirino per fare orazione, come solevano i nostri santi Padri.

Non vi sia nessun luogo in cui si i-ii..misc;ino per lavorare insieme, per timore che ciò dia occasione a rompere il silenzio » (Costituzioni).

Suor Elisabetta della Trinità possedeva in un grado straordinario questa attrattiva del silenzio die fugge da tutto il creato per stare sempre alla presenza del Dio vivo, in fede.

Tutta la sua ascetica si accentra nel silenzio inteso nel senso universale e che costituisce, per lei, la condizione più fondamentale e necessaria, ad un'anima che vuole elevarsi fino alla unione divina.

Senza volere imporre al suo pensiero degli schemi troppo rigidi, incompatibili con le libere ispirazioni alle quali suor Elisabetta si abbandonava sotto la mozione dello Spirito, si possono ritrovare, nella linea del suo pensiero, tré silenzi: silenzio esteriore, silenzio inferiore, e infine un silenzio tutto divino, che è uno degli effetti più sublimi dei doni dello Spirito Santo, e in cui l'anima è puramente passiva. Mancandogli un nome tutto proprio che lo definisca, potremmo chiamarlo, ispirandoci ad uno dei suoi scritti: « silenzio sacro », « silenzio di Dio » analogo, al divinum silentiiim delle opere di san Giovanni della Croce.

2. Il silenzio esteriore non è il più necessario; anzi, in alcune circostanze, non è nemmeno possibile. Ma all'anima rimane, anche allora, una grande risorsa: rifugiarsi nell'intimo di se stessa, in quella inferiore solitudine senza della quale è impossibile possedere l'unione con Dio. E tuttavia il silenzio esteriore deve essere custodito il più possibile perdio favorisce quello inferiore e, in linea normale, a quello conduce. L'amore del silenzio conduce al silenzio dell'amore.

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Suor Elisabetta amava la clausura: i colloqui inutili, in parlatorio, erano un tormento, per lei. In molte circostanze, ricorderà ai suoi, con dolcezza ma insieme con fermezza, questo punto clcìla Regola, e con fedele osservanza, si asterrà dalla corrispondenza nel periodo dell'Avvento e della Quaresima, a meno che lo scrivere non le diventi un dovere, perché comandatele dall'obbcdicnza. Dobbiamo quindi, quanto più da vicino analizziamo le circostanze, riconoscere come una disposizione veramente provvidenziale l'averci ella potuto lasciare tante lettere, nonostante i! suo desiderio di restarsene silenziosa dietro le grate de) suo Carmclo.

Silenzio col di fuori; e silenzio pure dentro il monastero, nei rapporti con le sue consorelle. Più volte, si impegnò in gare di silenzio; e le due o tré mancanze di cui doveva accusarsi derivavano sempre da un motivo di carità.

A questo spirito di silenzio restò fedele sino all'ultimo giorno.

« Una volta — racconta una suora — avevo ottenuto il permesso di portarle qualche cosa in infcrmeria e di restare con lei fino al termine della ricreazione. Fui accolta con grande effusione di gioia. Ma, appena suonata la campana, essa con dolcezza e con un bei sorriso rientrò nel silenzio; e capii che quella conversazione non doveva prolungarsi. Nulla di rigido vi era in lei; ma la fedeltà prevaleva su tutto ».

Le sue preferenze erano sempre per il silenzio. Le suore giovani sapevano così bene che era quello il suo programma unico; ...e, in occasione di. qualche novena o alla vigilia dei ritiri spirituali, le insinuavano con malizia birichina: « Silenzio, nev-vero? Silenzio!... ». Ed ella annuiva sorridendo.

Quando, sapendola inalata, la Madre Priora le raccomandava di restare il più possibile all'aria aperta, suor Elisabetta sceglieva l'angolo più solitario. « Invece di lavorare in celletta, me ne sto, come una eremita, nell'angolo più deserto del nostro grande giardino; e vi trascorro ore deliziose. Sento la natura così piena di Dio! Il vento che scuote i grandi alberi, gli uccellini che cantano- il bei cido azzurro, tufo mi parla di Lui » ".

s Lettera alla mnnìtna - Aposto 1906.

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Ma il silenzio più caro era per lei quello della sua colletta che chiamava « il suo piccolo paradiso » e dove le era delizioso rifugiarsi.

«Un pagliericcio, una povera sedia, un leggìo sopra un'asse: ecco tutto il mobilio. Ma è pieno di Dio; e vi passo ore tanto belle, sola con lo Sposo divino! Taccio e Lo ascolto. Fa tanto bene imparare tutto da Lui! E poi... Lo amo » ".

Apprezzava, fra tutte, le ore del silenzio rigoroso della notte. Oh, come amava il suo Carmelo immerso in questo silenzio! « II Carmelo è un angolo di paradiso: si vive nel silenzio e nella solitudine, sole con Dio solo » '.

Due o tré volte all'anno, dove più e dove meno, secondo l'abitudine dei vari monasteri, vengono concesse alle Religiose le '^così dette « licenze », cioè il permesso di scambiarsi delle visite nelle celle, come facevano un tempo gli cremiti del deserto. Suor Elisabetta aderiva con garbo a questa usanza voluta da santa Teresa, perché le suore si infiammassero a vicenda nell'amore dello Sposo; anzi, proprio in tale circostanza, ricevette una delle grazie più grandi della sua vita: il suo nome di « lode di gloria ». Ma chi non vede come, per l'umana debolezza, questi incontri che dovrebbero essere colloqui di fiamma, possono degenerare in chiacchiere dissipanti? Pura perdita per l'unione divina, scopo unico del Carmelo. Quindi, suor Elisabetta ritornava con gioia al suo caro silenzio, amato sopra tutte le cose. E scriveva alla sorella: « In occasione delle elezioni, abbiamo avuto licenza, cioè potevamo, durante la giornata, farci scambievolmente delle brevi visite. Ma, sai, la vita della Carmelitana è il silenzio » 9.

3. Ma il vero silenzio della Carmelitana è il silenzio dell'anima, silenzio in cui essa trova il suo Dio.

Discepola fedele di santa Teresa e di san Giovanni della Croce, suor Elisabetta si esercita a far tacere le sue potenze, e ad isolarsi da tutto il creato. Con ardore inesorabile, immola tutto: lo sguardo, il pensiero, il cuore. « II Carmelo è come

s Lettera alla signora A... - 29 giugno 1903. 7 Lettera a M. L. M... - 26 ottobre 1902. » Lettena dia »tdW . Owatuw WQi,

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'il ciclo: bisogna separarsi da tutto, per possedere Colui che è tutto » ".

Questa separazione totale dalle creature attirava già appassionatamente il suo cuore di fanciulla: « Facciamo il vuoto, di stacchiamoci da tutto; non vi sia più che Lui, Lui solo » ". « Separiamoci dalla terra, solleviamoci da tutto il creato, da tutto il. sensibile » ".

Costretta a frequentare riunioni e feste mondane, l'anima sua, sottraendosi ai tumulto, si elevava fino a Dio, « Mi sembra che nulla ci possa distrarre da Lui, quando per Lui solo si agisce, stando sempre alla sua santa presenza, sempre sotto quel divino sguardo che penetra nelle intime profondità dell'anima. Anche in mezzo al tumulto del mondo, si può ascoltarlo, nel silenzio di un cuore che vuole essere unicamente suo » '''.

Suor P.lisabctta aveva una devozione particolare per santa Caterina da Siena, non solo per la prodigiosa azione apostolica svolta dalla santa al servizio della politica pontificia, ma anche per la dottrina della grande mistica domenicana sulla « colletta intcriore », costante rifugio della vergine senese in mezzo alle agitazioni umane.

Questo silenzio inferiore, tanto caro a suor Elisabetta doveva assumere rapidamente in lei la forma di una ascesi universale, e prendere un posto eminente nella sua vita mistica.

È puro Vangelo: chi vuole elevarsi a Dio con la orazione deve far tacere in sé le agitazioni vane del di fuori e il tumulto del di dentro, deve ritirarsi nel più profondo di se stesso e là, nel segreto, raccogliersi « a porte chiuse » " dinanzi al Volto del Padre. Così pregava Cristo nelle lunghe notti silenziose della Pniestin.i, quando se ne andava solitario, a sera, sulla montagna, per rimanervi fino al mattino « in orazione con Dio » ".

" Lctu-ra alla mamma - Agosto 1903.

i" Lettera a M. G... - 1901.

11 Lettera a M. G,.. - 1901.

"; Luin'ni ai Canonici» A.., - i dicembre i900.

lf1 Sftti Milltfc, VI.6,

'«'fcff im»; ¥H»/

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Anacoreti e Padri del deserto dei primi secoli della Chiesa dimostrano efficacemente, con la loro vita sottratta ad ogni inutile contatto, l'azione purificatrice del silenzio nella concezione primitiva dell'ascetica cristiana. Ti deserto li conduceva al silenzio dell'anima in cui abita Dio.

Suor Elisabetta ha compreso questa verità evangelica in un senso tutto carmelitano, secondo la sua grazia personale:

silenzio di tutte le potenze dell'anima vigilate e custodite. per Dio solo. Nessun tumulto nei sènsi esterni, nell'immaginazione, nella volontà. Non vedere nulla. Non ascoltare nulla. Non gustare nulla. In nulla arrestarsi, che possa distrarre il cuore o ritardare l'anima nella sua ascesa verso Dio.

E, prima di tutto, sorvegliare gli sguardi. Non diceva il divino Maestro: « Se il vostro occhio vi è ragione di scindalo, strappatelo; perché, se l'occhio è semplice, fu ito il corpo è puro e vive nella luce »?1''.

L'impurità e una folla di imperfezioni derivano da questo difetto di vigilanza sugli sguardi. Davide che ne aveva fatto la dolorosa esperienza, supplicava Iddio di « ritrarre i suoi occhi dalle vanita della terra » '" dove l'anima sua era venuta meno.

L'anima vergine non si permette un solo sguardo die non sia rivolto al Cristo.

Il silenzio dell'immaginazione e delle altre potenze dell'anima non è meno necessario; è tutto un mondo inferiore di sensazioni e di impressioni che portiamo dovunque con noi, e che ad ogni istante minaccia di sopraffarci. Anche in questo campo deve esercitarsi l'ascesi del silenzio.

L'anima che si trastulla ancora coi suoi ricordi, « che va dietro a un desiderio qualsiasi » 17 estraneo a Dio, non è un'anima di silenzio, quale voleva suor Elisabetta della Trinità. Rimangono in lei delle « dissonanze » "', delle sensibilità che fanno troppo rumore, e non lasciano salire a Dio il concerto armo-

1B San Matteo, VI-22.

16 Salmo CXVIII-37.

17 Ultimo ritiro - 2° giorno.

18 Ibidem.

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nioso che dalle potenze dell'anima dovrebbe elevarsi a Lui senza in temi/ione.

L'intelletto, a sua volta, deve far tacere in sé ogni umano rumore. « II miniino pensiero inutile » 1!) sarebbe una nota falsa che bisogna eliminare ad ogni costo. Un intellettualismo raffinato che lasci troppo libero giucco all'intelligenza è un ostacolo sottile al vero silenzio dell'anima, in cui essa trova Dio nella fede pura. E suor Elisabetta della Trinità, come il suo maestro san Giovanni della Croce, si mostra intransigente su questo punto. « Bisogna estinguere ogni altra luce »2" e giungere a Dio, non per mezzo di un sapiente edificio di bei pensieri, ma nella nudità dello spirito.

Silenzio, soprattutto, nella volontà. È la facoltà dell'amore:

in essa è in giucco la nostra santità. E con ragione san Giovanni delta Croce riferisce alla volontà le ultime purificazioni che preparano all'unione trasformante. Nienfe, niente, niente, niente, lungo la salita; e, sulla Montagna, niente'21. Suor Elisabetta ha voluto seguire il suo maestro spirituale fino a questo punto estremo del Carmelo. Invita l'anima che vuoi giungere all'unione divina, e fortemente la sollecita ad elevarsi al di sopra dei propri gusti, anche i più spirituali, fino a spogliarsi di ogni volontà personale: « Non sapere più nulla... non fare più differenza alcuna fra sentire e non sentire, godere e non godere » 2!>, mantenersi risoluta a tutto superare, per unirsi a Dio solo nell'oblio e nello spogliamente totale di se stessa.

Suor Elisabetta della Trinità aveva spinto fino a questo punto il suo ideale di silenzio e di solitudine assoluta, lungi da tutto il creato; e noi sappiamo che le ultime ore della sua vita ne furono la realizzazione vivente.

Bisogna dunque intenderla come lei, questa ascesi del silenzio, e intenderla nel suo senso profondo. « Non è una separazione materiiìle dalle cose esteriori, ma una solitudine dello • spirito, un distacco assoluto da tutto ciò che non è Dio » 23.

19 Ibidem.

20 Ultimo ritiro - 4" storno.

'" ^--/pc'ie ui s;-t!i Gi.t?v;utiii iu'!i;t ^4"OCC.

'-'2 TI paradiso sulla terra - 2-2.

"'' II paradiso sulla terra - 4" orazione.

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« L'anima silenziosa, di fronte a tutte le vicende della vita esteriore come nella sua vita intima, rimane ugualmente indifferente; le supera, le oltrepassa, per riposarsi, ni di sopra di tutto. nel seno stesso del suo Dio ».

È la notte descritta da san Giovanni della Croce; e la morte ad ogni attività naturale.

« L'anima clic aspira a vivere in contatto con Dio, nella fortezza inespugnabile del santo raccoglimento deve essere spogliata, distaccata, separata da tutte le cose, almeno in 'spirito » 21.

£ il silenzio assoluto, alla presenta di Dio solo.

Suor Elisabctta della Trinità ha consacrata tutt;'i una cleva-2Ìone dell'ultimo suo ritiro a cantare questa condizione beata dell'anima che il silenzio intcriore ha reso perfettamente libera.

« Vi è un altro canto di Cristo, che io vorrei ripetere incessantemente: «Per le custodirò la min forteti »'•'": E la mia regola mi dice « La fili! forza sarà liei sile!ì~:'n ». Dunque, serbare la propria forza per il Signore mi pare che significhi fare l'unità nel nostro essere per mezzo del silenzio inferiore;

raccogliere tutte le proprie potenze per applicarle al solo esercizio dell'amore; avere quell'occhio semplice che permette alla lue'"- di irradiarci » 2".

Un tale silenzio assorbe tutto.

« Un'anima che scende a patti col proprio io, che si occupa delle sue sensibilità, che va dietro a un pensiero inutile, a un desiderio qualsiasi, quest'anima disperde le proprie forze: non è concentrata in Dio. La sua lira non vibra all'unisono; e quando il divino Maestro la tocca non può trame armonie divine. Vi è ancora troppo di umano, e si produce una dissonanza. L'anima fhe si riserba ancora qualche cosa del suo regno interiore e le cui potenze non sono tutte « raccolte >•> in Dio, non può essere una perfetta lode di gloria; essa non è in grado di cantare senza interruzione il « cantictim vidgninn » di cui parla san Paolo, perché in lei non regna la unità. E invece di proseguire la sua

21 II paradiso sulla terra 5" orazione. 2> Salmo LVin-10 - Tsaia. XXX-15. 2" Ultime» ritiro - 2" giorno.

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lode attraverso tutte le cose, in semplicità, bisogna che si affanni continuamente a radunare le corde del suo strumento disperse un po' da per tutto » 2'.

4. Vi è un altro silenzio che l'anima non ha il potere di produrre con la propria attività, ma che Dio stesso opera in lei se riinane sempre fedele, e che costituisce uno dei frutti elevati dello Spirito Santo: ii divinimi siìentium degli scritti di san (iiov;iniìi (It'ìl.'i Croce. Le potente non errano più, disperse in caca ddk- «'se. J,'anima non sa più che Dio. È l'unità.

« Come è indispensabile questa bella unità intcriore all'anima clic vuoi vivere quaggiù la vita dei beati, cioè degli esseri semplici, degli spiriti! Mi sembra che proprio a questa unità mirava il Maestro quando parlava alla Maddalena dell'« unum ncrcsscirinm » "'\ E come l'aveva compreso bene la grande san-•ta! L'occhio dell'anima sua illuminato dalla fede aveva riconosciuto il suo Dio sotto il velo dell'umanità; e, nel silenzio, nell'unità delle potenze, ascoltava la parola ch'Egli le diceva. Poteva veramente cantare: « L'annua mia è sempre nelle mie ma-ìn » '""' e soggiungere la breve parola: « Nesciv!.' » 3". Nemmeno le ferite recate al suo onore erano capaci, più delle cose esteriori, di farla uscire dal suo sacro silenzio. Così è dell'anima entrata nelle fortezze del santo raccoglimento.

Con Rocchio aperto alle chiarezze della fede, scopre il suo Dio presente, vivente in lei; ed ella, a sua volta, si tiene così fedelmente presente a Lui nella sua bella semplicità, che egli la custodisce con cura gelosa. Possono sopraggiungere le agitazioni esterne, le interne tempeste; può venire intaccato il suo cuore: « Nc'xdi,'/! ». Dio può celarsi, può sottrarle la grazia sensibile: « Nesch'i.' ». E, con san Paolo, esclama: « Per suo amore, ho tutto perduto » •'" .

Allora, il Signore è libero, libero di effondersi, di donarsi a suo beneplacito; e l'anima, così semplificata e unificata, diviene

'-'7 Ultimo ritiro - 2" aiorno. ^ S:in Limi, X-12.

•-•" Sniniit <;XVIIÌ 109.

••1" c-iiiiic.i vr 12.

•'" Fiiippcsi, IH-S.

il trono dell'Immutabile, perché l'unità è il trono della Tri-nitsi Santa » ".

San Giovanni della Croce, in un passo celebre, fa allusione al silenzio della Trinità. « Dio Padre non ha che una parola: il suo .Verbo; e la pronuncia in eterno silenzio... >?. In questo silepzio della Trinità, suor Elisabetta ha trovato l'esemplare del suo:' « Si faccia, nell'anima, un profondo silenzio, eco di quello che è un canto nella Trinità » ".

L'unione trasformante fa entrare in questo silenzio di Dio. Nell'anima tutto si acquieta: più nulla della terra, più nessuna altra luce che la Luce del Verbo, nessun altro amore che l'eterno Amore. Ed essa, l'anima, riveste i « costumi divini ». La sua vita, superando e dominando da tanta altezza tutte le terrene agitazioni, partecipa alla vita immutabile « ...immobile e tranquilla — secondo l'espressione di suor Riisabetta — come se già fosse nell'eternità ». Per un tocco speciale dello Spirito Santo, uno dei tocchi più segreti, la sua vira è trasportata nell'immutabile e silenziosa Trinità.

Mediante la fede, quaggiù, ma per uno degli effetti più sublimi del dono della sapienza, l'anima vive di Dio alla maniera di Dio, tutta trasfusa in Lui. Essa più non ascolta che l'eterna Parola: la generazione del Verbo e la spirazione dell'Amore. L'universo tutto quanto è per lei come se non fosse.

Giunto a questo grado, il silenzio è il rifugio supremo dell'anima di fronte al mistero di Dio.

« Di questo silenzio ' pieno, profondo ', parlava Davide quando esclamava: « II silenzio è la tua lode » 3<. Sì; è la lode più bella, perché è quella che cantasi eternamente in seno alla tranquilla Trinità » 35.

I « divini costumi » sono l'esemplare delle virtù dell'anima giunta a tali vette. E fino ad esse suor Elisabetta della Trinità si era elevata negli ultimi giorni della sua vita, dimentica di sé, spoglia di tutto, per cercare il suo ideale di silenzio e di solitudine in seno a Dio.

32 Ultimo ritiro - 2° giorno.

33 Alla sorella.

34 Salmo LXV, 2.

35 Ultimo ritiro - 2° giorno.

70

« Siate perfetti come il vostro Padre Celeste è perfetto » 3e. E san Dionigi ci dice che « Dio è ' il grande solitario '. Il mio Maestro mi chiede di imitare questa perfezione, di rendergli omaggio con l'essere io pure solitària ».

L'Essere divino vive in un'eterna, in un'immensa solitudine; e, pur interessandosi ai bisogni delle sue creature, non ne esce mai, perché non esce mai da se stesso. E questa solitudine altro non è che la sua Divinità.

Perche nulla possa farmi uscire da questo bei silenzio intcriore, sono nccessarie le stesse condizioni, sempre: lo stesso isolamento, la stessa separazione, lo stesso spogliamente. Se i miei desideri, i miei timori, le mie gioie, i miei dolori, se tutti i movimenti provenienti da queste quattro passioni non saranno perfettamente regolati e orientali a Dio, io non sarò solitària;

vi sarà del tumulto in me. È dunque necessaria la calma, il sonno delle potenze, l'unità dell'essere. « Ascolta, figlia mia, porgi l'orecchio, dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre; e il Rè avicra la tua bellezza » ". Questa chiamata mi sembra che sia un invito al silenzio: « Ascolta, porgi l'orecchio... ». Ma, per udire, bisogna dimenticare la casa paterna, cioè tutto quello che ha relazione con la vita naturale, quella della quale vuoi parlare l'Apostolo quando dice: « Se vivrete secondo la carne, morrete » 3S.

« Dìnn'ulìcJ il Ino popolo »; è cosa più difficile, mi sembra, perché questo popolo è tutto quel mondo che fa parte di noi stessi: è la sensibilità, sono i ricordi, le impressioni, ecc...:

Vio, in una parola. Bisogna dimenticarlo, abbandonarlo. E quando l'anima ha fatto questo strappo, quando è libera da tutto ciò, allora il Rè s'innamora della sua bellezza, perché la bellezza, soprattutto quella di Dio, è unità »39.

« Ti Creatore, vedendo il silenzio bellissimo che regna nella sua creatura, considerandola tutta raccolta nella sua solitudine intcriore, si innamora della sua bellezza; e se la porta in quella

3fl San M-iiteo, V-48.

37 Salmo XLIV-ll.

33 Romani, VHI-1.3.

39 Ultimo ;itiro - 10" giorno.

7 i

solitudine immensa, infinita, in quel luogo spazioso cantato dal Profeta, che altro non è se non Lui stesso » "\

Questa solitudine suprema stabilisce l'anima nel silenzio stesso della Trinità.

E proprio qui si rifugia suor Elisabctta, nel volo sublime con cui termina la sua preghiera, per perdersi, fin da questa vita, nella tranquilla e immutabile Trinità.

« O mio Dio, Trinità che adoro, aiutami a dimenticarmi interamente, per fissarmi in Tè, immobile e quieta, c-omc scia mia anima già fosse nell'eternità. Che nulla possa turbar la mia pace ne farmi uscire da Tè, o mio Immutabile, ma che, ad ogni istante io penetri sempre più nelle profondità del Tuo Mistero...

...O mici « tré », mio Tutto, Beatitudine mia, Solitudine infinita, Immensità nella quale mi perdo, io mi abbandono a Voi come una preda; seppellitevi in me, perché io mi seppellisca in Voi, in attesa di venire a contemplare nclhi Vostra luce l'abisso delle Vostre arande%e ».

w Ultimo ritiro - 11° eiorno.

72

CAPITOLO TERZO

L'INABITAZIONE DELLA TRINITÀ

« Ln mia occupazione continua è rientrare " nell'intimo " e perdermi in Coloro che

sono qui ».

1. Lr7 semiti il eli ci divina mahi I azione - 2. La sua dottrina dell'i nabì I avolìc di l'ina - 3. il luogo di questa presenta: il centro pia profondo dell'anima - 4. Suoi atti essenziali: l'attività della fede; l'esercizio dell'amore - 5. Nella fede pura - 6. Primato dell'afrore - 7. I.a pratica: fare alti di raccoglimento - 8. Piccolo ca!cchisì;.'o della presenza dì Dio - 9. Progresso nella prese 1^1! cii Dio - IO. I (ine principali effetti di questa presenza:

l'ohì'io di se (' l'unione trasformante - 11. Ah! se potessi dire il I ni i e le ani'a e!...

}\ silen/'io non è che una condizione della vita vera.

Co! mistero dcll'in.-ihitazione della Trinità, ci troviamo al cciìl ro della dottrina e della vita di suor Elisabetta, che è veramente In santa dell'inahitazionc divina.

Ed anche in questo, ella fu carmelitana.

Se c'è una verità cara alla dottrina mistica del Carmelo, è proprio cpiesto mistero e questa certezza; che Dio è presente in noi e che, per trovarlo, bisogna rientrare « nell'intimo » in questo nostro regno intcriore. Tutta la vita spirituale si riassume qui.

Nel suo <•< Ciimmifio di perfezione », commentando il Pater, santa Teresa nota, con profonda osservazione, che Dio non è soltanto in ciclo, « ma nell'intimo dell'anima nostra » e lì biso-ima sapersi raccogliere per cercarlo e scoprirvelo- Nel « Castello intcriore », questa presen/'a della Trinità santa segna il punto ciihninantc delia sua mistica; le anime giunte all'unione trasfor-

mante vivono abitualmente in unione alle Persone divine, e trovano, in questa « Società Trinitario », le gioie più beatificanti della terra.

Anche san Giovanni della Croce ne fa il punto di convergenza di tutta la sua teologia mistica, specialmente degli stati spirituali più elevati. Egli diceva spesso per devozione la Messa votiva della santissima Trinità; e, durante la celebrazione del santo Sacrificio, l'anima sua, irresistibilmente rapita da questo mistero, con difficoltà si sottraeva all'estasi.

La tradizione del Carmelo è rimasta fedele all'insegnamento di. questi due grandi Maestri spirituali; e non è raro incontrare nei chiostri teresiani delle anime la cui vita di silenzio è tutta orientfita verso il mistero trinitario. La stessa santa Teresa di Gesù Bambino non si offrì vittima all'Amore proprio il giorno della festa della Trinità? E la sua offerta all'Amore misericordioso fa parte di una preghiera essenzialmente trinitaria:

« O mio Dio, Trinità beata, al fine di vivere in un atto di amore perfetto, mi offro al tuo Amore misericordioso come vittima di olocausto » '.

Bisogna però riconoscere che suor Elisabctra della Trinità ricevette una grazia tutta speciale per vivere di questo mistero. Dio, che la predestinava alla missione di ricondurre le anime nel profondo di se stesse per prendervi coscienza delle divine ricchezze del loro battesimo, fece di lei, veramente, la santa dell'inabitazione della Trinità.

1. Nella pagina del suo taccuino di fanciulla aveva trascritto in carattere diverso questo pensiero di santa Teresa:

« Bisogna che tu mi cerchi in tè » 2. Verso l'età di 19 anni, ella si sentiva « inabitata ». E spesso ripeteva ad una amica: « Mi sembra che Egli sia qui », e faceva il gesto di stringerlo fra le braccia, di premerlo sul suo cuore. « Quando vedrò il mio Confessore — diceva tra sé — gli domanderò che cos'è mai quello che accade in me ».

Già abbiamo vista come la Provvidenza le preparò Pincon-

' Storia di un'anima. 2 Santa Teresa a Monsignor Alvaro di Mendoza.

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u-o col Padre Vallee, e come questi, da teologo contemplativo qua! era, l'illuminò intorno al dogma cristiano dell'inabitazione divina. Per Elisnbetta Catez fu una luce magnifica, fu l'orientamento decisivo della sua vita.

Da allora, rassicurata sulla verità di questo mistero di fede, si seppellì scn/.a timore nelle profondità di se stessa, per cercarvi i suoi « Tré ».

Le testimonianze di questo periodo non ci lasciano alcun dubbio che Elisabetta, prima ancora della sua entrata in chiostro, non fosse già « presa » dal mistero della divina inabitazione, e in un grado non comune. Era il tema delle sue confidenze intime: « La Trinità era il suo Tutto » 3.

All'inizio di questa rivelazione subitanea che illuminò tutta la sua vi'a, ella non poteva tacerne, qualche mese più tardi, non ne parlava quasi più; ma piuttosto si sentiva che era « presa » dalla Trinità. Questa espressione di un testimonio dice molto bene la passività dell'anima sua sotto l'azione dello Spirito Santo, dopo le prime grazie mistiche del ritiro del 1899. « Perdiamoci in questa Trinità santa, in questo Dio tutto amore. Lasciamoci trasportare in quelle regioni superne in cui non c'è più che Lui, Lui solo! » '. « Dio in me, io in Lui, sia il nostro motto. Come è bella questa presenza di Dio in noi, nell'intimo santuario delle anime nostre! Qui noi Lo troviamo sempre, anche quando il sentimento non avverte più la Sua presenza. Ma Egli è qui lo stesso; e qui, mi piace tanto cercarlo. Oh, non lasciamolo mai solo! Sia, la nostra vita, un'orazione continua. Chi mai potrebbe rapircelo? Chi potrebbe anche solo distrarci da Colui che ci ha prese interamente, che ci fa tutte sue? » ".

Suor Elisabetta, dunque, ha già trovato la formula della sua vita; e otto giorni dopo la sua entrata in Convento, non farà che trascriverla, nel formulario che le si chiederà di riempire.

— Qual è il vostro motto?

— Dio in me; io in Lui. Al Carmelo, questa vita alla presenza di Dio è considerata

3 Testimonianza <ii un'amica. •' Lettera a M. G... - 1901. s Lettera a M. G... - 1901.

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come un'eredità sacra che si fa risalire al Patriarci) Elia:- « in sto sempre alla presenza ci i ]ahveh, il Dio viro » ". È l'essenza stessa del Carmelo. Tutti gli spogliamenti, tutti i silenti, tutte le .-purificazioni non hanno che uno scopo: serbare l'anima libera di applicare tutte le sue potenze a questa continua presenza di Dio.

Suor Elisabetta, dunque, trovò su questo punto tutta una dottrina spirituale divenuta familiarissima nell'ambiente in cui doveva vivere. E fu, per la sua vita intcriore, l'inizio di una fioritura stupenda. Fin allora, Elisabetta era stata una fanciulla tutta pura, molto pia, alla quale il Signore, in premio della sua fedeltà eroica, aveva elargito qualche tocco mistico; ma le mancava ancora una dottrina e una formazione spirituale. L'incontro col Padre Vallee aveva stabilito con tutta certezza l'anima sua nella luce intravista; la lettura assidua di san Giovanni della Croce le dette una dottrina; l'ambiente religioso fece il resto.

Ella stessa, studiando il suo nuovo maestro spirituale, ne segnava con cura i punti che trattano della natura e degli effetti di questa misteriosa ma reale e sostanziale prcsenxa della Trinità santa nell'anima. E, per una grazia tutta singolare, seppe trovare, in questa presenza delle tré divine Persone nel profondo dell'anima sua, « il suo ciclo in terra », il segreto della sua santità eroica.

E, anzitutto, il suo nome trinitario la rapiva.

« Non vi ho detto ancora il mio nome al Carmelo? Maria Elisabetta della Trinità. Sento che questo nome racchiude una vocazione particolare. Non è vero che e molto bello? Io amo tanto questo mistero della santissima Trinità; è un abisso nel quale mi perdo » 7.

« Io sono Elisabetta della Trinità, cioè Elisabetla che scompare, che si perde, che si lascia invadere dai ' Tré ' » s.

Fu la parola d'ordine della sua vita Carmelitnnn.

« La mia occupazione continua è rientrare nell'intimo e perdermi in Coloro che vi abitano... Lo sento così vivo ncl-

B III Rè, XVTT-1.

7 Lettera al Canonico A... - .14 giugno 1901.

8 Lettera a G. de G... - 20 agosto 1903.

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l'sinima mia, che basta io mi raccolga per trovarlo qui, dentro di me. Ed è tutta la mia felicità » ".

« Viviamo con Dio come con un amico. Rendiamo tutta viva In nostra fede, per unirci a Lui attraverso tutte le cose. È ciò che fa i santi. Noi portiamo il nostro cielo in noi; poiché Colui che sazia i beati nella luce dell'eterna visione, a noi si dona nella fede e ne! mistero. Ma è sempre Lui. Io ho trovato sulla terra il mio ciclo; perché il ciclo è Dio, e Dio è nell'anima mia. Il giorno in cui l'ho compreso, tutto per me si è illuminato; vorrei svelare questo segreto a tutti quelli che amo, perdio anch'essi aderiscano sempre a Dio, e si realizzi, così, la preghiera di Cristo: « Padre, che essi siano consumati nella unita » '".

Per quel fenomeno di accentramento familiare a tutte Fé ;inime dominate da una grande idea, suor Elisabetta riconduce tutto al pensiero che regna in lei, sovrano. Le feste liturgiche apparentemente meno collegate al mistero trinitario di cui essa vive nel profondo dell'anima, vi si riallacciano per una trasposizione che le viene naturalissima. Il Natale ce ne da un esempio caratteristico.

« II Natale al Carmelo!... È veramente singolare. La sera, mi sono messa in coro, e là ho trascorso la mia veglia, insieme alla Vergine santa, nell'attesa del piccolo Dio che questa volta sarebbe naro, non più nel presepio, ma nell'anima mia, nelle nostre anime, perché Egli è l'Emmanuele, il « Dio con noi » ". La sua ispirazione poetica trova in questa abitazione divina nel profondo dell'anima il suo motivo fondamentale:

O Beata Trinitas

La gr;i/:ia di Dio ti inondi e ti invada spandendosi in tè come un fiume di pace;

nell'ampie sue onde tranquille ti immerga! Che nulla d'estraneo ti sfiori mai più.

Nell'intima pace di questo mistero sarai visitata da Lui, dal tuo Dio;

" Lri!cr;i ;'' ( .liiniìko A... - 17 luglio 1903.

'" l.ellcr.i ;]|l:ì signorii De S... - 1902.

" Lettera alla zia R... - 30 dicein'ore 3903.

/ /

e là ti festeggio in silenzio, o mia Madre, la Trinità Santa adorando con tè,

Laudcìn Glorìae - Giugno 1906 ".

Nella ricorrenza del 29 giugno, festa delle suore converse, scrive;

« II giorno di santa Marta, abbiamo festeggiato le nostre buone sorelle dal velo bianco. In onore della loro santa Patrona, vengono dispensate per quel giorno da! loro ufficio, per potersi dedicare con Maddalena ai dolci riposi della contemplazione. E tocca alle novizie sostituirle nei lavori della cucina. Io mi trovo ancora in noviziato, perché vi restiamo per tré anni dopo la professione; ho passato quindi una bella giornata presso il fornello. Avendo — come si dice — il mestolo in mano, io non sono andata in estasi come la mia Madre santa Teresa, ma. ho creduto alla divina presema del Maestro che era in mezzo a noi, e l'anima mia adorava nel centro di se stessa Colui che Maddalena aveva saputo riconoscere sotto il velo della

umanità » ".

Le sue lettere sono piene di consigli sulla presenza di Dio:

« L'anima vostra sia il suo santuario, il suo riposo su questa terra, in cui Egli è tanto offeso » 14.

« Che Egli faccia dell'anima vostra un piccolo paradiso ove possa riposarsi deliziosamente; toglietene tutto quello che potrebbe ferire il suo sguardo divino. Vivete lì, insieme a Lui. Ovurique voi siate, qualsiasi cosa facciate, Egli non vi lascia mai; dunque rimanete voi pure con Lui, sempre. Entrate nel-l'iht-imo dell'anima vostra: sempre ve lo troverete, impaziente di farvi del bene. Io rivolgo a Dio, per voi, la preghiera che san Paolo faceva per i suoi quando chiedeva « che Gesù abitasse, con la fede, nei loro cuori, affinchè fossero radicati nell'amore'» 15. Queste parole sono così profonde, "così misteriose! Oh, sì! quel Dio che è tutto Amore sia la vostra perpetua

12 A una Madre del Carmelo di Bigione.

13 Lettera alla zia R... - Estate 1905. 114 Lettera alla signora De B... - 17 agosto 1905. 35 Efesini, III-17.

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dimora, la vostra cella e il vostro chiostro m mezzo al mondo. Ricordatevi sempre che Egli è lì, nel centro più intimo dell'anima vostra, come in un santuario dove vuole essere amato fino alla adorazione » ".

Sebbene adattato alle varie persone e circostanze, è però lo stesso pensiero fondamentale che ritorna sempre: la vera vita è nel profondo dell'anima, con Dio. Qui, essa ritrova coloro che ama, e qui sta il segreto della gioia che ha fatto della sua vita un paradiso anticipato.

Suor Elisabctta della Trinità fu veramente l'anima di una idea. Quando, ogni domenica, nell'Ufficio di « Prima », la Chiesa poneva sulle sue labbra il « Quicumque », essa, come già la Madre sua santa Teresa, si sentiva rapita verso questo mistero dei misteri dove l'anima sua viveva sempre. E ogni domenica era da lei consacrata all'onore della santissima Trinità. All'avvicinarsi poi della festa della Trinità santa, si sentiva pervasa da una grazia irresistibile; e, per molti giorni, la terra non esisteva più per lei.

« Questa festa dei « Tré » è proprio la mia festa; per me, non ve n'è un'altra che le somigli; ne io avevo mai capito così bene il mistero e tutta la vocazione che racchiude il mio nome. E in questo grande mistero ti do convegno, perché esso sia il nostro centro, la nostra dimora. Ti lascio con questo pensiero del Padre Vallee che formerà il soggetto della tua orazione: — Che Io Spirito Santo ti porti al Verbo, il Verbo ti conduca al Padre, e possa tu essere consumata nell'Unità, come il Cristo

e i nostri santi » ".

In tal modo, gli anni e le grazie della sua vita religiosa la seppellivano ogni giorno più nel profondo di se stessa con Colui che, ad ogni istante, col suo contatto, le comunicava la vita eterna. I minimi avvenimenti tradivano la presa di possesso, piena, di quest'anima da parte della Trinità.

Le viene comunicata la nascita di una nipotina, e subito esulta in uno slancio verso la Trinità: « Abbiamo fatto una vera ovazione alla piccola Bettina. Questa mattina, in ricreazione,

'" Lettera aiia signora De B... - Estate 1905. 17 Lettera alla sorella - Giugno 1902.

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la nostra reverenda Madre così buona, era tutta lieta di mostrarci la sua fotografia, e tu puoi pensare come batteva il cuore di zia Elisabetta. Margherita mia, come l'amo, questo piccolo angelo! L'amo, io credo, quanto la sua mammina. E non è dir poco. E poi, sai, mi sento tutta penetrata di rispetto dinanzi a questo piccolo tempio della Trinità santa. La sua anima mi appare come un cristallo che irradia la Divinila; se le fossi vicina, mi metterei in ginocchio per adorare Colui che dimora in lei. Vuoi abbracciarla per la sua zia Carmelitana e poi prendere 1a mia anima con la tua, per raccoglierti presso la tua creaturina? Si;

fossi ancora tra voi, come vorrei cullarla, veleggiarla! Ma il Signore mi. ha chiamata sul. monte santo perche io sia i! suo angelo e la circondi di preghiera. Di tuito il resto, ne faccio serenamente il sacrificio, per lei » 1S.

'Nelle sue conversazioni in parlatorio, nelle sue lettere, con la mamma, con la sorella, con le amiche, con tutti quelli che la avvicinano, ella si fa apostola di questa presenza divina nell'anima, con discreta ma instancabile perseveranza.

,-, « Pensa che tu sei in Lui, che Egli si fa tua dimora quaggiù. 'E poi, che Egli è in tè, che Lo possiedi nell'intimo del tuo essere, che in ogni ora del giorno e della notte, in ogni gioia, in ogni prova, tu puoi trovarlo lì, così vicino, così intimo! H il segreto della gioia; il segreto dei santi. Essi sapevano tanto bene di essere il tempio di Dio e che, unendosi a c]uesto Dio, si diviene « uno stesso spirito con Lui », come dice san Paolo. Quindi si muovevano sempre sotto la Sua irradiazione » '9.

Bisognerebbe moltipllcare le citazioni. A chi studia da vicino l'evolversi di quest'anima, appare più intensamente la verità dominatrice della sua vita, mentre tutto il resto dilegua e scompare.

Il 21 novembre, festa della Presentazione di Maria santissima al Tempio, tutte le Carmelitane rinnovano i voti della loro santa professione. Mentre suor Elisabetta pronunciava di. nuovo, con le compagne, la formula dei suoi santi voti, si sentì trasportata da un movimento irresistibile della grazia verso la Trinità

13 Lettera alla sorella - Marzo 1904 19 Lettera a M. L. M... - 24 agosto 190?.

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sani;!. Rientrata in cella, prese la penna e, sopra un semplice foglio eli quaderno, senza esitazione, senza la minima correzione, tutta eli getto, scrisse la sua celebre « Preghiera », come un grido che erompe dal cuore.

« O mio Dio, Trinità che adoro, aiutami a dimenticarmi interamente, per fissarmi in Tè, immobile e quieta come se la min anima già fosse nell'eternità. Nulla possa turbare la mia pace, ne farmi uscire da Tè, o mio Immutabile, ma che ad ogni istiinic, io ini immerga sempre più nelle profondità del tuo mistero.

Pacifici l'nnima mia; rendila tuo cielo, tua prediletta dimora e luogo del tuo riposo. Che, qui, io non ti lasci mai solo; ma tutta io sia, vigile e attiva nella mia fede, immersa nell'adorazione, pienamente abbandonata alla tua azione creatrice.

O amato mio Cristo, crocefisso per amore, vorrei essere una sposa per il tuo cuore, vorrei coprirti di gloria, vorrei iim.ìfti... fino a morirne!...

Ma sento tutta la mia impotenza; e Ti prego di rivestirmi di Tè, di identificare tutti i movimenti della mia anima a quelli dell'anima tua, di sommergermi, di invadermi, di sostituirti a me, affinchè la mia vita non sia che un riflesso della Tua vita. Vieni in me come Adoratore, come Riparatore e come Salvatore.

O Verbo eterno, Parola del mio Dio, voglio passar la mia vita ad ascoltarti, voglio rendermi docilissima ad ogni tuo insegnamento, per imparare tutto da Tè; e poi, nelle notti dello spirito, nel viioto, nell'impotenza, voglio fissarti sempre e starmene sotto il tuo grande splendore. O mio Astro adorato, affascinami, perché io non possa più sottrarmi alla tua irradiazione.

O Fuoco consumante, Spirito d'amore, discendi in me, perché si faccia nell'anima mia quasi una incarnazione de! Verbo! Che io Gli sia un prolungamento di umanità, in cui Egli possa rinnovare tutto il Suo mistero.

E Tu, o Padre, chinati verso la tua povera piccola creatura, coprila della tua ombra, non vedere in essa che il Diletto nel quale hai posto tutte le tue compiacenze.

O miei « Tré », mio Tutto, Beatitudine mia, Solitudine in-fiiiiln. Immensità nella quale mi perdo, io mi abbandono a Voi

81

come una preda. Seppellitevi in me, perché io mi seppellisca in Voi, in attesa di venire a contemplare nella Vostra Luce l'abisso delle Vostre grandezze ». ; ,

21 novembre 1904.

C'è voluta tutta una vita di santità per comporre una tale preghiera, una delle più belle del Cristianesimo, e'un carisma speciale per farla sgorgare dal cuore. Quante anime religiose ne vivono, da mesi ed anni, senza provarne mai stanchezza! Mentre, nel silenzio, mormorano questa preghiera, suor Elisa-betta, fedele alla sua missione, induce queste anime nel raccoglimento, le aiuta ad uscire da se stesse con un movimento semplicissimo e pieno di amore e, così pacificate, le porta e le abbandona alla Trinità.

Dopo il 1904, data in cui compose la sua « Elevazione alla santa Trinità » Dio la visitò col dolore; e ancora e sempre in questa presenza divina, ella attinse la forza del suo eroismo sorridente. E, nell'ora suprema, si rivolge alle sue amiche, ai suoi cari, con una tenerezza ancora più intensa, per lasciare loro in testamento la sua cara devozione ai « Tré ».

...Vi lascio la mia fede nella presenza di Dio, del Dio tutto amore che abita nelle anime nostre. Mi è caro confidarvi che questa intimità con Lui « dentro di me » è stato il bei sole che hs illuminato la mia vita, facendo di essa quasi un paradiso anticipato. Ed è la forza che mi sostiene oggi, nel dolore. Io non ho paura della mia debolezza, perché il Forte è in me, e la sua virtù è onnipotente. E opera, dice l'Apostolo, più di quanto possiamo sperare»20. :

Uguale testamento, e più commovente ancora, alla sorella:

« Sorellina mia, sono felice di andare lassù, per essere il tuo angelo. Come sarò gelosa della bellezza dell'anima tua, che ho già tanto amata, qui, sulla terra! Ti lascio la mia devozione ai « Tré ». Vivi con Essi nell'intimo, nel cielo dell'anima tua. Il Padre ti coprirà della sua ombra, ponendo come una nube fra tè e le cose della terra, per custodirti tutta sua; e ti comunicherà la sua potenza perché tu l'ami di un amore forte come la morte. Il Verbo imprimerà nell'anima tua, come un cristallo,

20 Lettera alla signora De B... - 1906.

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l'immagine della sua stessa bellezza, affinchè tu sia pura della sua purezza, luminosa della sua luce. Lo Spirito Santo ti trasformerà in un'arpa mistica dalla quale, al tocco divino, si sprigionerà un magnifico cantico dell'Amore. Allora, sarai tu la « lode di gloria » che io sognavo di essere sulla terra. Tu mi sostituirai. Io sarò « Laudem gloriae » dinanzi al trono dell'Agnello, e tu « Laudem gloriae » nel centro dell'anima tua » ".

La dimora di Dio nel centro più profondo della sua anima fu, per suor Elisabctta, il segreto della sua rapida santità. Si può ben credere alla testimonianza che ce ne ha lasciata lei stessa, solo pochi giorni prima della sua morte:

« Lassù, in seno all'Amore, penserò attivamente a voi; per voi chiederò — e sarà il segno della mia entrata in cielo — una grazia di unione intima col Maestro divino. È il segreto che ha trasformato la mia vita, ve lo confido, in un paradiso anticipato: credere, cioè, che un essere che si chiama l'Amore, abita in noi ad ogni istante del giorno e della notte e che Egli ci chiede di vivere ' in società ' con Lui » 22.

2. Cosa vana sarebbe voler chiedere a suor Elisabetta della Trinità una dottrina rigorosamente sistematica, da lei stessa compilata ordinandone gli elementi. Essa ha vissuto da contemplativa i più alti misteri della fede, e specialmente il dogma della inabitazione divina, senza mai pretender di fare l'ufficio di dottore o di teologo, anzi, senza nemmeno supporre il valore e la missione universale da Dio riservata ai suoi scritti.

Nelle sue note intime, essa stessa rimanda ad alcuni passi di san Giovanni della Croce che l'hanno partico'iarmente colpita, in cui il santo Dottore, nel suo Cantico spirituale, tratta della natura e degli effetti di questa misteriosa presenza divina. Vi si ritrova la classica dottrina della teologia cattolica vista in un'altissima luce contemplativa: Dio è sostanzialmente presente in tutti gli esseri con la sua potenza creatrice; a questa presenza comune, si aggiunge una presenza speciale, nelle anime dei giusti e negli spiriti beati, come oggetto di

21 Lettera alla sorella - 1906.

22 Lettera alla signora G. De B... - 1906.

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conoscenza e di amore nell'ordine soprannaturale. Suor Eli-sabetta della Trinità aveva meditato a lungo questi testi ed aveva attinto da san Giovanni della Croce gli elementi di una dottrina mistica su questa intima presenza di Dio nell'anima dei giusti, dottrina che costituisce una delle più tradizionali e più consolanti verità del Cristianesimo.

La Chiesa ne ha sempre riconosciuto la sorgente nell'insegnamento cosi chiaro di Gesù: « Se alcuno mi ama e custodisce la mia parola, il Padre mio lo amerà; e noi verremo ci lui e stabiliremo in lui la nostra dimora » '•".

Il testo è chiaro. Il Figlio e il Padre, come pure lo Spirito Santo, che è Uno con Essi, abitano nell'anima fedele, Tutto il mistero della generazione del Verbo e della spirazio-ne dell'Amore si compie silenziosamente nelle più intime profondità dell'anima. La nostra vita spirituale diviene una partecipazione continua alla vita della Trinità in noi. L'anima, divinizzata dalla grazia di adozione, viene elevata alla divina amicizia e introdotta nella famiglia della Trinila per vivervi come il Padre, come il Verbo, come l'Amore e insieme con Essi, della medesima luce e del medesimo amore, « consumata in Essi, nell'Unità » ".

Gesù, nella sua preghiera sacerdotale, ci ha lasciato la descrizione di questa vita deiforme delle anime perfette, ammesse al 'consortium della vita trinitaria: « Padre santo, custodisci nel nome tuo quelli che Tu mi hai dati, affinchè siano Uno con noi... Che tutti nano una cosa sola, e come Tu, o Padre, sei in Me ed Io in Tè, così anch'essi siano in noi... Siano Uno, come noi lo siamo: Io in loro e Tu in Me, affinchè siano consumati nella unità... e l'amore col quale mi hai amato sia in essi, ed Io in loro » w.

Dopo un discorso così esplicito del Maestro, che cosa vogliamo di più? Fra la Trinità santa e noi, non vi è, no, unità di natura — sarebbe panteismo —, ma unità per grazia, che ci associa, a titolo di figli adottivi, alla vita stessa del

23 San Giovanni, XIV-23.

24 San Giovanni, XVII-23.

25 San Giovanni. XVII-11... 26.

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nostro Padre dei Cieli ad immagine del Figlio, in un medesimo Spirito di amore.

Senza la Trinità, l'anima è deserta; ma non lo è più quando, possedendo in sé le Persone divine, essa viene ad entrare « in società » 2B intima col Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo mediante la fede e la carità. Le tré divine Persone sono lì, sostanzialmente presenti nell'anima del piccolo battezzato che, secondo l'espressione di san Paolo, è divenuto « tempio dello Spirito Santo ».

Tutta la nostra via spirituale, dal battesimo alla visione beatifica, si svolge come un'ascesa progressiva e sempre più rapida verso la Trinità; ma la visione beatifica e, più ancora, tutti gli stati mistici intermedi, anche quelli più elevati dell'unione trasformante, sono in germe nel battesimo. Non si riflette abbastanza sull'importanza primordiale di questa grazia del santo battesimo, alla quale siamo debitori di potere entrare, come figli adottivi, nella famiglia della Trinità.

Questa bella teologia dell'inabitazione divina è il substrato della dottrina spirituale e della vita mistica di suor Elisabetta, e ci permette di seguirla nelle più recondite pieghe dell'anima sua. Essa non ha bisogno, per comprenderla, di lunghe dissertazioni sul come sia possibile il mistero; per la via della sapienza infusa, in tutta semplicità ma con rara profondità di pensiero, suor Elisabetta aveva penetrato il senso della sua vocazione battesimale, e aveva compreso che, fin da questa vita, era chiamata a vivere — secondo la parola di san Giovanni a lei sì cara — « in società » con la Trinità santa.

Aveva anche composto per sua sorella, quasi come testamento, un intero ritiro per spiegarle come si può « trovare il paradiso sulla terra ». Quelle pagine, da lei scritte nelle ultime settimane di vita e consegnate a Margherita dopo la sua morte, costituiscono insieme all'intimo ritiro di Laudem glo-rìac, quasi una piccola « Somma » della sua dottrina spirituale nella fase più evoluta.

Ora, fin dalla sua prima orazione, suor Elisabetta, elevan-

'-'" I Giovanni, 1-3.

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dosi all'altissima luce contemplativa della Preg/.i/era sacerdotale di Cristo, considera il nostro soprannaturale destino secondo le parole stesse del suo Maestro che chiama le anime alla loro « consumazione nell'Unità » 2T della Trinità mediante la grazia,

« Padre io voglio che, dove sono io, anch'essi, quelli che Tu mi hai dati, sitino meco, affinchè contemplino la gloria che mi hai data, perché mi hai amato prima della creazione del mondo » M.

Questa è l'ultima volontà di Cristo, la sua preghiera suprema, prima di ritornare al. Padre. Egli vuole die là dov'è Lui, ci siamo noi pure, non solo nell'eternità, ma già nel tempo che è l'eternità incominciata e in continuo progresso. È importante quindi sapere dove noi dobbiamo vivere con Lui, per realizzare il suo dono divino. Il luogo in cui si cela il Figlio di Dio è il seno del Padre, ossia l'Essenza divina, invisibile ad ogni sguardo mortale, inaccessibile ad ogni intelligenza umana, il die fa dire nd Isaia: « Tu sci veramente un Dio ascoso » 2!'. E tuttavia, la sua volontà è che siamo fissati in Lui, che dimoriamo dove Egli dimora, in unità d'amore; che siamo, per così dire, la sua stessa ombra.

« Col battesimo — dice san Paolo — noi siamo stati innestati in Gesù Cristo » ''". E ancora: « Dio ci fece sedere nei deli in Cristo Gesù, per mostrare ai secoli futuri le magni-fiche ricchezze della sua grazia ». Poi soggiunse: « Voi non siete più pellegrini o stranieri; ma siete concittadini dei santi; siete della famiglia di Dio »31.

« La Trinità! ecco la nostra dimora, la nostra cara intimità, la casa paterna da cui non dobbiamo uscire mai » 32.

3. Il luogo di questo incontro dell'anima col suo Dio è nell'anima stessa, nel centro più profondo del suo essere.

27 San Giovanni, XVII-23.

'•" San Giovanni, XVII-24.

20 Isaia, XLV-15.

30 Romani, VI-5.

31 Efesini, II, 6, 7.

32 « II paradiso sulla terra » - I" orazione.

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I mistici chiamano mens o vertice dell'anima questo luogo recondito e segreto delle divine operazioni, dove Dio solo penetra e può agire; invece suor Elisabetta della Trinità, accostandosi di preferenza alla terminologia di santa Teresa e di san Giovanni della Croce, lo designa come « il centro dell'anima », il suo centro più profondo.

« Questo ciclo, questa casa del nostro Padre, è nel centro dell'anima nostra; quando ci troviamo nel centro più profondo di noi stessi, allora siamo in Dio » 3a'. « Per trovarlo, non abbiamo bisogno di uscirne, perché il regno di Dio è « dentro di noi » '". San Giovanni della Croce dice che proprio nella sostanza dell'anima, inaccessibile al demonio e al mondo, Dio le si dona; allora, tutti i moti dell'anima diventano divini, e quantunque siano di Dio, sono però anche suoi, perché in lei e con lei il Signore li produce. San Giovanni dice ancora che « Dio è il centro dell'anima »; dunque, quando essa conoscerà Dio perfettamente, secondo tutta la sua capacità, quando Lo amerà, e ne gioirà pienamente, allora sarà arrivata nel centro più profondo che possa raggiungere in Lui. È vero che l'anima, anche prima di essere giunta a questo punto già si trova in Dio che è suo centro; ma non è ancora nel suo centro « più intimo » potendosi inoltrare di piu. Poiché l'amore unisce l'anima a Dio, quanto più intenso è questo amore, tanto più profondamente essa penetra in Dio e in Lui si concentra. Possedendo anche un solo grado di amore, l'anima è già nel suo centro; ma quando questo amore avrà raggiunto la sua perfezione, essa sarà penetrata nel suo centro « più profondo »; e lì, sarà trasformata a tal punto, da divenire molto simile a Dio. A quest'anima che vive « interiormente » si possono rivolgere le parole del Padre Lacordaire a santa Maria Maddalena: « Non chiedere più il Maestro a nessuno, sulla terra, a nessuno nel cielo;

perché Egli è l'anima tua e l'anima tua è Lui »".

33 Alla Sorella - Agosto 1905.

34 San Luca, XVII-2L

35 " 11 parsidiso sulla terra » - 3" orazione.

S7

4. Questa divina presenza, misteriosa e reale, resta inaccessibile ai sensi: « Dio è spirito » e chi si avvicina a Lui, deve farlo « in {spirito e in verità » 3e.

Con cura particolare, suor Elisabetta insiste nel rilevare che la sensibilità, in tutto questo, non ha nulla a che fare. La brama di sentire Dio è proprio lo scoglio dei principianti, nella vita spirituale; ma anche le anime più progredite nella perfezione provano talvolta molta e penosa dilficoltà a 1ibcf;n-si da tale desiderio che persiste, celandosi sotto i pretesti piu sottili. Suor Elisabetta della Trinità aveva imparato, con la propria esperienza, a diffidare della sensibilità, e i1 ricordo delle dure purificazioni che, per tutto l'anno del noviziato, erano state quasi il suo pane quotidiano, serbava l'anima sua attenta a non cercare che la pace di Dio, la quale « supera o^ni scntì-

mento » '".

Dopo le prime inebrianti gioie sensibili della presenza divina di cui il Padre Vallee le aveva dato piena certezza, Elisa-betta dovette ben presto aggrapparsi alla sua fede per trovare Dio presente dentro di sé.

« Non più un velo soltanto, ma un grosso muro me Lo nasconde. È cosa dura, non ti pare, dopo averlo sentito così vicino? Ma sono pronta a rimanere in questo stato per tutto i] tempo che piacerà al mio Diletto lasciarmici, perché la fede mi dice che Egli è qui lo stesso; e allora, che cosa importano 1c dolcezze, le consolazioni? Esse non sono Lui; mentre Lui solo noi cerchiamo. Andiamo dunque a Lui nella fede pura » 3S.

5. Per progredire sicuramente in « questa via magnifica della presenza di Dio » 39, la fede è l'atto essenziale, il solo che ci consenta di accedere al Dio vivo, ma ascoso. « Per avvicinarsi a Dio, bisogna credere » i0, ci dice san Paolo; e soggiunge: « La fede è sostanza delle cose che dobbiamo sperare e con-

36 San Giovanni, IV-24.

37 Filippesi, IV-7.

38 Lettera a M. G... - 1901. w Ultimo ritiro - 9° giorno. 10 Ebrei, XI-6.

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l'unione di quelle che non vediamo » "\ Cioè, la fede ci rende talmente certi e presenti i beni futuri che, per essa, prendono quasi essenza nell'anima nostra e vi sussistono prima che ci sia dato fruirne. San Giovanni della Croce dice che la fede « è per noi il piede che ci porta a Dio », che è « il possesso nello stato di oscurità ».

Soltanto la fede può darci lumi sicuri su Colui che amiamo, può versare a notti nel nostro cuore tutti i beni spirituali; e noi dobbiamo eleggerla come il mezzo per raggiungere l'unione beatifica.

È la fede quella « sorgente d'acqua viva, zampillante fino alia vita eterna » che Gesù, parlando alla Samaritana, prometteva a tutti quelli che crederebbero in Lui. La fede, dunque, ci dona Iddio fino da questa vita; ce lo dona, è vero, celato nel velo di cui l'avvolge, ma pur sempre Lui, Lui realmente. « Quando verrà ciò che è perfetto » (ossia la chiara visione) « ciò che è imperfetto » (o, in altre parole, la conoscenza dataci dalla fede) « avrà fine » '".

« Sì, abbiamo conosciuto l'amore di Dio per noi, e vi abbiamo credulo » ". Questo è il grande atto de! la nostra fede, il modo di rendere al nostro Dio amore per amore; è il segreto di cui parla san Paolo, ascoso nel cuore del Padre, e che riusciamo finalmente a penetrare; e tutto l'essere nostro esulta. Quando l'anima s;i credere a questo « eccessivo amore » che su lei si posa, si può dire di lei, come già di Mosé, che « è incrollabile nella sua fede, come se avesse visto l'Invisibile » ". Non si arresta più al gusto, al sentimento; poco le importa sentire Dio o non sentirlo, avere da Lui la gioia o la sofferenza;

essa crede al suo amore e basta. Quanto più è provata, altrettanto cresce la sua fede, perché, forte di tutti gli ostacoli superati, va a riposarsi nel seno dell'Amore infinito, il quale non può compiere che opera d'amore. A quest'anima, tutta desta nella sua fede, 1a voce del Maestro può dire nell'intimo la paro-

41 Ebrei. XI-1.

'•-' i ('.orimi. XJII-10.

':] I (.iK'v.inni. IV 16.

" Ebrei. Xl-27.

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la che rivolgeva un giorno a Maria Maddalena: « Va' in pace;

la tua fede ti ha salvata » 45.

Suor Elisabetta fu fedele sino alla fine nell'andare a Dio con la fede pura. « Una Carmelitana — diceva — è un'anima di fede ». E, anche dopo la grazia straordinaria ricevuta nell'ultima festa dell'Ascensione che passò sulla terra, quando le tré divine Persone le si manifestarono, con irresistibile evidenza, presenti nell'anima sua ove tenevano notte e giorno « il loro onnipotente Consiglio » '"', anche allora suor Elis;ibctta, reclusa nella solitudine dell'infermeria, dovrà cercare il suo Dio mediante la fede. È la condizione assoluta di ogni vita divina sulla terra.

« Io sono la piccola reclusa del buon Dio; e quando rientro nella mia cara colletta per continuarvi il colloquio già iniziato, mi sento invasa da una gioia divina. Amo tanto la solitudine con Lui solo, e conduco una piccola vita di eremita, veramente deliziosa; eppure è ben lungi dall'essere esente da dolorose impotenze; ho tanto bisogno anch'io di cercare il mio Signore che sa nascondersi così bene! Ma allora, risveglio la mia fede, e sono più contenta di non gioire, io, della Sua presenza, perché gioisca Lui, invece, del mio amore » 47.

La sua vita religiosa fu la realizzazione delle parole sentite nell'intimo, mentre pregava in coro, la notte che precedette la sua professione: « ...il cielo nella fede, con la sofferenza e l'immolazione per Colui che amo » 4S.

6. L'esercizio della carità è ancora più necessario di quello della fede. Queste due grandi virtù teologali sono le due ali che ci elevano fino a Dio: credere non basta, bisogna amare... soprattutto amare!...

Suor Elisabetta della Trinità, come tutti i santi, ha sottolineato fortemente questo primato dell'amore, su cui lo stesso divino Maestro insisteva tanto, facendo risalire la legge, i Pro-

49 « II paradiso sulla terra » - 3" orazione.

46 Formula con la quale esprimeva alla sua priora la grazia dell'Ascensione del 1906.

47 Alla sorella - 15 luglio 1906.

48 Lettera al Canonico A... - Luglio 1903.

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feti e tutti i comandamenti di Dio, a questo primo precettò:

« Israele ascolta... tu amerai il tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze » 49.

Ci troviamo, qui, al punto culminante della dottrina cristiana; è bene fermarci un istante.

Niente ci commuove tanto come il constatare con quale fedeltà gli Apostoli, i Padri della Chiesa, i Dottori tutti hanno insistito, senza stancarsi mai, su questo precetto del Signore, il precetto che la Chiesa tramanda a tutti i secoli, senza ripetersi mai. San Giovanni, posando sul petto del Maestro, ne aveva compreso la divina profondità; e quivi si riassumeva, per lui, tutto l'insegnamento di Gesù. Divenuto un vegliardo venerando, il precetto dell'amore era sempre sulle sue labbra, e ai circostanti che, talvolta, se ne stupivano, egli dette una risposta degna del discepolo prediletto: « È il comandamento del Signore; e questo solo basta » s".

San Paolo insegnava la stessa dottrina quando scriveva:

« Camminate nell'amore » ". «La carità è la pienezza della legge » 52.

E noto il celebre motto di sant'Agostino: « Ama et fdc qnod vìs. Ama, e poi fa' ciò che vuoi »; e dopo di lui, san Bernardo, nel suo trattato: « De diligendo Deo » ripeteva che « la misura di amare Dio è di amarlo senza misura ». San Domenico, patriarca di una grande famiglia intellettuale, confessava:

« Ho studiato nel libro della carità più che in ogni altro libro:

l'amore insegna tutto »!". E san Tommaso, brevemente;

« L'amore e la vita dell'anima » ".

C'è bisogno di altre citazioni? Tutto il linguaggio dei santi non è che una parafrasi del comandamento dell'amore. Santa Teresa affermava che, per le anime giunte alla vetta della perfezione, « l'unico ufficio è quello di amare » ". San Giovanni

•*9 San Marco, XII, 29-30 - Deuteronomio, VI-4.

50 San Gerolamo; Calati, Libro III, cap. VI. P. L. XXVI-433.

51 Efesini, V-2.

52 Romani. XIII-10.

••'3 « Vitae fratrum », lib. II, cap. XXV.

54 San Tomrnaso, Stimma Theol. II-II, q, 23, a. 2, ad 2.

''•"' « Castello inicriore », VI e VII dimora. E san Giovanni della Croce:

«Cantico», strofa XXVIII.

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della Croce, il dottore dell'Amore più ancora che delle « Notti oscure », scriveva: « Al tramonto della vita, saremo giudicati sull'amore » ''''. E dopo venti secoli, facendo eco alla grande parola del suo Maestro: « D/liys '", vivi di amore», santa Teresa di Gesù Bambino ha lasciato al mondo moderno il suo bei cantico: « Vivere d'amore ».

Equivale a dire die esso è la quintessenza del Cristianesimo; e san Francesco di Sales, nella prefazione al « Truffato dell'amore di Dìo », suo capolavoro, dichiara: </ Nella santa Chiesa, lutto è dell'amore, nell'amore, pc;' l';ii)iore e dall'amore ».

La ragione è semplice: la carità ci stabilisce nello stato di amicizia con Dio. Tutte le ricchezze della Trinità divengono nostre per mezzo della grazia, e noi entriamo veramente in « società » col Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo; ci è dato così, il potere di « gioire » 5S delle Persone divine. Questo commercio fra Dio e l'anima si svolge secondo le leggi più pure dell'amicizia: Dio si dona e ci comunica la sua propria beatitudine; l'uomo, in ricambio, ama Dio come un Amico, infinitamente più di se stesso, e pone la sua suprema felicita in quella del suo Dio.

Suor Elisabetta aveva fatto « sua » la dottrina del Maestro;

e ritornava di preferenza alla frase di san Giovanni: « Noi siamo di quelli che hanno creduto all'amore ». Si può anzi affermare, senza timore di esagerazione, che essa aveva posto tutta la sua vita spirituale sotto la luce de11'« eccessivo amore » di cui parla san Paolo.

« Sento tanto peso di amore sull'anima mia! T7 come un oceano nel opale mi inabisso, mi perdo; e la mia visione della terra, in attesa del « faccia a faccia » nella luce. Egli è in me;

io sono in Lui; non ho che amarlo, lasciarmi amare; e questo sempre, in tutto e nonostante tutto: svegliarmi nell'amore, muovermi nell'amore, addormentarmi nell'amore, l'anima nell'anima sua, il mio cuore nel suo cuore, affinchè il suo con-

'•f Silvestre: «Obras» t. 3; p. 238.

••7 San Matieo. XXIT-37.

•'''' San Tommaso Sii'nma 7 hi'dì. I, (|. -H, ,irt. 3, nd

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tutto mi purifichi, mi liberi dalla mia miseria...»53. «Notte e giorno, nel cielo dell'anima sua, ella vuoi cantare l'amore del suo Dio » "". « Non ho più che un desiderio: amarlo, amarlo sema interruzione, zelare l'onore suo come una vera sposa, formare le sue delizie, renderlo contento, dandogli una dimora e un rifugio nell'anima mia, dove voglio fargli dimenticare, a forza d'amore, tutte le abominazioni dei cattivi » ".

« Egli mi ha amato, si è dato per me » 62. Questo, dunque, e il culmine dell'amore: donarsi, passare interamente in colui du- si ninn; l'ninoi-e fa uscire di se l'amante per trasportarlo, in un'estasi ineffabile, nel seno dell'amato. Oh, non è immensamente bello questo pensiero?

Sia esso come un motto luminoso per le anime nostre:

che esse si lascino in balìa dello Spirito d'amore e, alla luce della fede, intonino già coi beati l'inno dell'amore che eternamente si canta dinanzi al trono dell'Agnello. Sì, cominciamo il nostro ciclo nell'amore. Quest'amore è Lui; ce Io dice san Giovanni: « T)eus charìtas est ». Rimaniamo nel Suo amore e che il Suo amore sia in noi » ".

Come Teresa di Gesù Bambino e forse sotto la influenza ricevuta dalla lettura della « Storia di una anima », anche essa ha trovato la sua vocazione nell'amore: « ...Voglio essere santa, santa per farlo contento; chiedigli che io non viva più che di amore; è In mia vocazione » B1. « ...Credo che sia .proprio l'amore che non ci consente di rimanere a lungo quaggiù; e, del resto, san Giovanni della Croce Io dice chiaramente; ha un capitolo meraviglioso in cui descrive la morte delle anime vittime di amore, gli ultimi assalti che esso vibra loro, poi le onde fluenti dell'anima che va a perdersi nell'oceano del divino amore: onde che sembrano già dei mari, tanto sono immense. San Paolo dice che « il nostro Dio è un fuoco consumante » M.

'•" Lettera al Canonico A... - Agosto 1903.

Bl) Lettera al Canonico A... - Giugno 1906.

"1 Lettera alla signora A... - 15 Febbraio 1903.

p2 G;ilati II, 20.

B3 Letteni alla signora A... - 15 Febbraio 1904.

•'•! Lcticr;i a C. eie G... - 20 Agosto 1903.

'•s Ebrei, Xlt-29.

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Se noi ci teniamo sempre unite a Lui con uno sguardo di fede semplice e piena d'amore; se, come il nostro adorato Maestro, possiamo dire alla sera di ogni giornata: « Poiché amo il Padre, faccio sempre ciò che a Lui piace » '", Egli veramente ci consumerà, e noi andremo a perderci in quella immensa « fornace ardente » d'amore ove potremo bruciare a nostro agio per tutta quanta l'eternità » 6T.

Nel momento in cui tutto muore in lei, si manifesta più fulgido che mai questo primato dell'amore. Riceve il sacerdote che le reca l'Estrema Unzione, esclamando: « O Amore!... Amore!... Amore!... ».

Prima di volarsene al suo Dio, scrive ad una amica: « L'ora si avvicina, in cui sto per passare da questo mondo al Padre;

e, prima di partire, voglio mandarvi una parola del cuore, un testamento dell'anima mia. Il cuore del divino Maestro non fu mai così traboccante d'amore come nell'ora suprema in cui stava per lasciare i suoi; e qualche cosa di analogo mi pare avvenga nella sua piccola sposa in questa sera della sua vita;

sento quasi un fiume di tenerezza salire dal mio cuore per effondersi nel vostro cuore... Alla luce dell'eternità, l'anima vede le cose dal vero punto di vista; vede come tutto ciò che non è stato fatto per Dio e con Dio è nulla. Ponete su tutto, vi prego, il sigillo dell'amore: questo solo rimane»68.

E Io stesso consiglio rivolge alle sue consorelle che, riunite attorno a lei morente, recitano le preghiere degli agonizzanti:

« AI tramonto della vita, tutto passa; l'amore solo resta. Bisogna fare tutto per amore ».

Per suor Elisabetta della Trinità, dunque, tutta la dottrina pratica dell'inabitazione divina si riassume in un continuo scambio di amore: « C'è un Essere che si chiama l'Amore e che vuole farci vivere in società con Lui » f'9.

7. L'esercizio della presenza di Dio non è riservato alle sole anime contemplative; la grazia del battesimo mette la

66 San Giovanni, VIII-29.

67 A. C. B. - 1906.

68 Lettera alla signora De B... - 1906.

69 Lettera alla mamma - 20 Ottobre 1906.

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Trinità santa in ciascuna delle nostre anime. « Questa " parte migliore " che sembra essere un privilegio mio nella mia diletta solitudine del Carmelo, è offerta da Dio a ciascuna anima battezzata » 7".

Basta aderire a Lui con la fede, la carità, la pratica delle virtù cristiane. Alcuni credono che, per vivere alla presenza di Dio, si debbano tenere gli occhi chiusi e prendere un fare compassato. Niente di più ridicolo. Se è vero che la vita spirituale e, per conseguenza « il regno di Dio che è tutto inferiore, non consiste nel cibo e nella bevanda»'11, come ci fa notare l'apostolo san Paolo, tuttavia Egli stesso ci avverte che anche in questo noi possiamo lodare magnificamente il Signore. San Giovanni Bosco faceva le capriole insieme ai ragazzi, e suor Elisabetta della Trinità sapeva, nelle ore di ricreazione, assumere con grazia atteggiamenti varii e scherzosi; ne l'uno ne l'altra perdevano, per questo, la presenza di Dio. L'essenziale sta nell'intenzione che bisogna custodire rivolta sempre a Lui, quanto più attualmente è possibile. E proprio qui incomincia la differenza fra i santi e noi. I santi, in tutte le loro azioni, cercano la gloria di Dio « sia che mangino, sia che bevano » 72, mentre molte anime cristiane non sanno più trovare Dio neppure nell'orazione, perché complicano tutto, e si immaginano che la vita spirituale sia qualche cosa di inaccessibile, riservata a un piccolissimo numero di anime privilegiate, dette « anime mistiche ». La vera mistica è quella del santo battesimo, con lo sguardo alla Trinità e col sigillo del Crocifisso, cioè nella via ordinaria della croce quotidiana.

Suor Elisabetta sapeva insistere su questo punto con le anime che le erano spiritualmente unite, ma che il Signore tratteneva nel mondo: « Voi vorreste essere tutta sua, quantunque nel mondo; la cosa è semplicissima: Egli è sempre con voi; siate voi pure sempre con Lui. In tutte le vostre azioni, in tutte le vostre pene, quando il corpo è affranto, rimanete

70 Lettera alia signora De S... - 25 Luglio 1902.

71 Romani, XIV-17.

72 I Corinti, X-31.

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sotto la luce del Suo sguardo. Scorgetelo vivente nell'anima

vostra » ".

Nulla può impedirci di aderire a Lui con l'amore, ne le gioie ne le tristezze della terra, ne la salute ne la malattia, ne le lusinghe o la malizia degli uomini..., nulla; e « nemmeno i nostri peccati » 7'*, aggiunge suor Elisabetta della Trinità, facendo eco all'espressione ardita di sant'Agostino, nel suo commento all'epistola di san Paolo ai Romani: « Tutto concorre al bene di coloro che vogliono amare Dio »; si, tutto, « etiam peccata », anche il peccato; perché il perdono che lo assolve glorifica la divina misericordia, e perche la coscienza della propria debolezza che essa da all'anima, la pone e la mantiene nella umiltà.

Suor Elisabetta non complica le cose. Per vivere di questo grande mistero dell'inabitazione divina essa non da che un consiglio pratico: « Fare atti di raccoglimento alla sua presenza ». « Mammina mia, approfitta della tua solitudine per raccoglierti col buon Dio. Mentre il tuo corpo riposa, pensa che è Lui il riposo dell'anima tua; e, come il bimbo è felice tra le braccia della mamma, così tu trova il tuo sollievo tra le braccia di quel Dio che da ogni parte ti avvolge. Noi non possiamo uscire da Lui, ma ahimè, quante volte dimentichiamo la sua santa presenza e lo lasciamo solo, per occuparci di ciò clic non è Lui! Ed è invece così semplice questa intimità con Dio; non stanca, anzi riposa, come soave è il riposo del bimbo sotto lo sguardo della mamma. Offrigli tutte le tue pene; e sarà, questa, una maniera tanto bella di unirti a Lui, e una preghiera a Lui tanto cara » '5.

« Sai? c'è un'espressione, in san Paolo, che è come il riassunto della mia vita e che potrebbe applicarsi a ciascuno dei miei istanti: « Propter nimiam charitatem » T9. Sì; tutti questi torrenti di grazia hanno un solo perché: « Perché Egli mi ha troppo amata ».

« Oh, mamma, amiamolo, viviamo con Lui come con l'Essere amato da cui non è possibile separarsi! Mi dirai, nevvero?,

73 Lettera alla signora A... - 29 Settembre 1902.

71 Ultimo ritiro - 7° giorno.

T5 Alla mamma - 30 Luglio 1906.

76 Efesini, 11-4.

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se fai dei progressi nella via del raccoglimento alla presenza di Dio; perché tu sai ch'io sono la « mammina » dell'anima tua, quindi piena di sollecitudine per essa. Ricorda le parole del Vangelo: « II regno di Dio è in voi » ", ed. entra in questo piccolo regno per adorarvi il Sovrano che vi risiede come nella propria reggia » Ts.

Per segnare questi atti di raccoglimento, suor Elisabetta le aveva preparato un coroncino e, in una lettera, si informava se la mamma era fedele nell'usarlo: « Dimmi se i piccoli grani degli atti di presenza di Dio scorrono fedelmente ».

8. Due lettere sono particolarmente rivelatrici dei metodi che usava lei stessa e della sua psicologia dinanzi a questo mistero dell'inabitazione divina che fu il tutto della sua vita.

La prima è indirizzata ad una giovane amica, natura straordinariamente ricca, ma indole ancora capricciosa ed irrequieta che faceva soffrire chi le viveva accanto. Con tenerezza tutta materna, suor Elisabetta interviene: « Sì, prego per tè e ti porto nell'anima mia, vicina vicina al buon Dio, in questo piccolo santuario così intimo in cui Lo trovo ad ogni ora del giorno e della notte; vedi: io non sono mai sola; il mio Cristo è sempre qui che prega in me, ed io prego in Lui. Mi fai pena, mia piccola cara, perché sento che sei infelice; e lo sei per colpa tu;), credimi. Mettiti calma: io non ti credo affatto « nevrastenica », ma snervata e sovreccitata; e quando sei così, fai soffrire anche gli altri. Oh, se potessi insegnarti il segreto della felicità come il Signore l'ha insegnato a me! Tu dici che io non ho ne preoccupazioni, ne dolori; ed è vero che sono proprio felice; ma se tu sapessi come si può essere altrettanto felici, anche quando si è contrariati! Bisogna guardare sempre a Dio. Da principio •costa molto sforzo, quando si sente ribollire tutto, di dentro;

ma poi piano piano, a forza di pazienza e con l'aiuto della grazia vi si giunge. Provati a edificare, come ho fatto io, una cellet-ta nell'anima tua; e, pensando che lì c'è Dio, entraci di tanto in tanto; quando ti senti nervosa, triste, rifugiati subito là e

77 San lucr, XVII-21. ?s Lettera alla inanima - Giugno 1906.

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confida tutto a Gesù. Se tu lo conoscessi un poco, la preghiera non ti annoierebbe più; essa è un riposo, un sollievo, è un andare con tutta semplicità da Colui che amiamo, è uno starsene vicino a Lui come un bimbo nelle braccia della mamma, e lasciare effondere il proprio cuore. Ricordi?... Ti piaceva tanto sederti vicina a me e confidarmi il tuo cuore. Così devi fare con Lui; se tu sapessi come Egli ti comprende! Oh, se tu lo sapessi, non soffriresti più. Questo, vedi, è il segreto della vita Carmelitana, che è una incessante comunione con Dio. Se Egli non riempisse le nostre celle e i nostri chiostri, come tutto sarebbe vuoto! Ma noi Lo vediamo in ogni cosa, perché Lo portiamo in noi, e la nostra vita è un paradiso anticipato » 79.

La seconda lettera è indirizzata alla mamma. Suor Elisa-betta non soleva precipitare gli avvenimenti, ne forzare le persone; ma sapeva attendere, pur senza negligenza l'ora di Dio. Ci volle il dolore prodotto dalla crisi che aveva fatto temere di perderla, per consentirle di entrare profondamente nell'anima della mamma sua e prenderne possesso. In una conversazione che credevano l'ultima, il cuore della mamma e quello della figlia, a lungo si erano incontrati e compresi fino a quel grado di intimità in cui coloro che si amano sentono che tutto sta per finire. Suor Elisabetta ne approfittò per iniziare la mamma sua che amava tanto al segreto della sua vita interiore; e fu per le loro anime il punto di partenza di una forma di amicizia nuova, tutta divina, sotto lo sguardo di Dio. Il giorno dopo questo colloquio, le scrisse una lettera che si può considerare un vero, piccolo catechismo della presenza di Dio:

« Se alcuno mi ama, custodirà la mia parola, e il Padre mio l'amerà, e noi verremo a lui e porremo in lui la nostra dimora » 8t>.

« Mammina mia tanto cara, oggi comincio la mia lettera con una dichiarazione. Sai! ti amavo già tanto, ma dopo il nostro ultimo colloquio, il mio affetto per tè è cresciuto ancora, immensamente. Era così dolce espandere la propria anima in quella della mamma, e sentirle vibrare all'unisono! Mi pare

79 Lettera a F. de S... - 1904.

80 San Giovanni, XIV-23.

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che il mio amore per tè sia, non soltanto quello di una figliola per la più buona e la .più cara delle madri, ma anche quello di una mamma per la sua bimba. Io sono la mammina dell'anima tua; e tu me lo concedi, non è vero? Noi siamo in ritiro per prepararci alla festa di Pentecoste; ed io lo sono ancor più delle mie consorelle, qui, nel mio caro piccolo cenacolo, separata da tutte. Chiedo allo Spirito Santo di rivelarti quella presenza di Dio in tè, della quale ti ho parlato. Ho esaminato per tè dei libri che trattano questo argomento, ma preferisco rivederti, prima di darteli.

« Presta pur fede alla mia dottrina, perché essa non è mia ». « Se leggerai il Vangelo di san Giovanni, vedrai come spesso Gesù insiste su questo comando: « Rimanete in me, ed io in voi » s', e sul pensiero tanto bello che ho scritto al principio di questa mia lettera, nel quale Egli ci promette di « fare in noi la sua dimora ». Nelle sue epistole, san Giovanni ci esorta a vivere « in società con la Trinità Santa » 82. Questa parola è così semplice, e così soave! Basta credere, ci dice san Paolo. « Dio è spirito » s!> e noi ci avviciniamo a Lui mediante la fede. Pensa che l'anima tua è « il tempio di Dio »: s4 è ancora san Paolo che tè lo dice. Ad ogni istante del giorno e della notte, le tré Persone divine abitano in tè; e, se non possiedi di continuo l'Umanità santissima come allorché ti comunichi, porti sempre però nell'anima tua la Divinità, quell'Essenza ineffabile che i beati adorano in cielo. Quando si sa tutto questo, si stabilisce tra Dio e noi una intimità adorabile; non si è più soli, mai. Se .preferisci pensare che Dio è vicinissimo a tè, piuttosto che in tè, segui pure la tua attrattiva, purché tu viva con Lui. Non dimenticarti di usare il coroncino che ho fatto apposta per tè, con tanto amore; e poi, spero che farai quelle tré orazioni di cinque minuti, nel mio piccolo santuario. Pensa che tu sei con Lui; e comportati come con una persona che ti è molto cara; la

•" San Giovanni, XV-4.

82 San Giovanni, 1-3.

83 San Giovanni, IV-24.

s< Corinti. VI-16.

99

cosa è tanto semplice: non c'è bisogno di hei pensieri, basta l'effusione del cuore » ss.

: ' '^ 9. Ma non si pensa poi, come si dovrebbe, che questa

divina presenza recata all'anima cristiana dalla grazia del santo battesimo è in continuo progresso. Ogni nuovo grado di grazia santificante porta una nuova presenza della Trinità8". Non già che Dio cambi; ma l'anima, facendosi sempre più divina, entra in comunicazione sempre più intima con ciascuna Persona della Trinità Santa.

Il Padre è più intimamente presente, a misura che la grazia di adozione comunica all'anima una somiglianzà maggiore con la natura divina.

Il Verbo diviene più presente all'anima, a misura che questa, illuminata dai Suoi doni, non sa più vedere le cose divine ed umane se non in Colui che è la Sapienza increata, la Luce sostanziale, l'eterno Pensiero in cui Dio esprime tutto ciò che Egli vede: la Trinità e l'universo.

L'Amore è sempre più presente a misura che l'anima spogliandosi di se stessa e di ogni affetto terreno, non si lascia più guidare che dagli impulsi di questo Spirito il Quale compie in Dio il ciclo della via trinitaria.

La teologia non ha titubanze su questo punto nel suo insegnamento; ed afferma che la presenza della Trinità in un'anima cresce nella misura delle grazie ricevute, specialmente in certi periodi in cui Dio viene a visitarla con grazie straordinarie:

grazie della professione religiosa o del sacerdozio, grazie di purificazioni passive, grazie mistiche che elevano l'anima di grado in grado, fino all'unione trasformante.

Suor Elisabetta della Trinità non insiste su questa dottrina capitale e che regola tutto il progresso della nostra vita spirituale sulla terra; ma alla sua maniera, per un altro sentiero, la ritrova e le da particolare rilievo. Scrive infatti: «Egli vuole che là dove è Lui, siamo anche noi, non solo durante l'eternità

85 Lettera alla mamma - Giugno 1906. ta San Tommaso, Stimma Theo!. I, q. 43. ;i. Ci. ad. 2.

100

ma fin d'ora, nel tempo, che è l'eternità incominciata e in continuo progresso » K7.

10. Molteplici sono gli effetti di questa divina presenza nell'anima. Ogni cristiano battezzato può fruire come vuole delle Persone divine; e a tutto l'universo, ad alta voce, bisognerebbe proclamare che questa intimità dell'anima battezzata col Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo, è l'essenza stessa della nostra vita spirituale.

« II giorno in cui lo compresi — diceva suor Elisabetta — tutto in me s'illuminò » 8S.

Il primo effetto di questa presenza della Trinità nell'anima mediante la grazia, consiste nel renderla capace di gioire di Dio; la sua beatitudine ha inizio sulla terra poiché, eccetto la visione, già possiede in speranza e mediante l'amore Colui che ne è l'oggetto. E l'Amore infinito tutta l'avvolge e vuole fin d'ora associarla alla propria beatitudine. L'anima esperimenta, così, la Trinità vivente in lei, quella Trinità di cui godrà la visione nel cielo ss.

« Quando quest'anima ha compreso la sua ricchezza, allora tutte le gioie naturali o soprannaturali che possono venirle dalle creature o anche da Dio, non fanno che invitarla a rientrare in sé, per godere del Bene sostanziale che possiede, e che è Dio stesso; acquista così — dice san Giovanni della Croce — una certa somiglianzà con l'Essere divino » °°.

Voler emunerare tutti gli effetti della presenza di Dio nell'anima sarebbe come accingersi ad enumerare, fin nei minimi particolari, tutti i benefici suoi, nell'ordine naturale e soprannaturale.

Suor Elisabetta aveva preso l'abitudine di tuffarsi senza posa « nell'in limo suo », dove la fede le rivelava la presenza reale e sostanziale, quantunque invisibile, di Colui che è la sorgente stessa della grazia. « Egli abita in noi per salvarci, per purifi-

87 « II paradiso sulla terra », 1-1.

88 Lettera alla signora De S... - 1902. '"' Lettera a G. de G... - 20 Agosto 1903. '"' Uliinio ritiro - 11" giorno.

101

carci, per trasformarci in Sé » 91. Al suo Dio presente e vivente in lei, due cose soprattutto chiede: di amarlo fino all'oblìo totale di se stessa, e di essere trasformata in Lui.

« Che il regno dell'Amore si stabilisca in pieno nel vostro regno inferiore e la forza di questo amore vi porti fino all'oblìo totale di voi stessa... Beata l'anima che è giunta a questo assoluto distacco! » s2.

« Sì, io credo che il segreto della pace e della gioia consista nel dimenticarsi, nel disoccuparsi di sé. Ma questo non vuoi dire non sentire più le proprie miserie fisiche e morali; che anzi, gli stessi santi sono passati attraverso questi stati crocifiggenti;

essi però sapevano non fermavisi, ma, ad ogni istante, si risollevavano dalle loro miserie. E, quando se ne sentivano sopraffatti, non se ne meravigliavano, ben sapendo di « quale argilla siamo formati » "3, come canta il Salmista; come lui però soggiungevano: « Con l'aiuto del Signore sarò senza macchia e mi guarderò dalla mia iniquità ».9'.

« Poiché mi permettete di parlarvi come ad una sorella cara, vi dico che il Signore mi sembra chiedervi un abbandono e una fiducia illimitata in questa ora dolorosa in cui sentite l'angoscia di vuoti tremendi. Pensate che, intanto, Egli scava nell'anima vostra delle capacità più grandi per riceverlo, capacità in certo modo infinite, come Lui stesso; quindi cercate di mantenervi lieta, almeno con la volontà, sotto la mano che vi crocifigge. Anzi, dirò di più: considerate ogni sofferenza, ogni prova, « come una prova d'amore » che vi manda il buon Dio, direttamente, per unirvi a Sé. Dimenticarvi per ciò che riguarda la vostra salute, non vuoi dire rifiutare di curarvi; al contrario, questo è per voi un dovere, ed è la migliore penitenza; ma fatelo con grande abbandono, riconoscente sempre al Signore, qualunque cosa avvenga. E quando il peso del corpo si fa sentire e abbatte lo spirito, non vi scoraggiate, ma andate con tede

91 Lettera a G, de G... - Febbraio 1905.

92 Lettera alla signora A... - 1906.

93 Salmo CII-4. M Salmo XVII-24.

102

I

e amore da Colui che ha detto: « Venite a me, ed io vi solleverò » ".

Riguardo all'anima poi non lasciatevi mai sconfortare dalla esperienza delle nostre miserie, ricordando ciò che dice il grande san Paolo: « Dove ha abbondato il peccato, sovrabbonda la grazia » °". Io sento che l'anima, quanto più è debole, anzi, colpevole, tanto più ha ragione di sperare; e questo atto col quale dimentica se stessa e si getta nelle braccia di Dio, da a Lui tanta gloria e tanta gioia, più di tutti i ripiegamenti dell'anima sopra di sé e tutti gli esami di coscienza i quali non raggiungono altro scopo che di farla vivere con le proprie infermità; mentre possiede lì, nel centro del suo essere, un Salvatore che la purifica ad ogni istante.

Ricordate la bella pagina del Vangelo, in cui Gesù dice al Padre « che ha ricevuto da Lui ogni potere sopra ogni carne, perché a tutti comunichi la vita eterna? » ".

Ecco che cosa Egli vuoi fare in voi: vuole aiutarvi ad uscire continuamente da voi stessa, vuole che abbandoniate ogni preoccupazione, per ritirarvi in quella solitudine che Egli si è scelta nel vostro cuore; intima, cara solitudine, dove è sempre pre' sente anche quando voi non Lo sentite, dove sempre vi attende e vuole stabilire con voi quell'« admirabile commercium » 08 che noi cantiamo nella nostra bella liturgia, ineffabile intimità di Sposo a sposa. Le vostre infermità, le vostre colpe, tutto ciò che vi turba, Egli vuole portarvelo via, vuole guarirlo con questo contatto continuo, poiché « è venuto non per giudicare, ma per salvare » ".

Niente deve impedirvi di andare a Lui; non badate se siete nel fervore o nello scoraggiamento, perché è una triste legge dell'esilio quella di passare così da uno stato all'altro. Ma Lui, oh, Lui non cambia mai, e nella sua bontà, è chino sempre su di voi per sollevarvi in alto o stabilirvi in Sé. E se, malgrado tutto, vi sentite oppressa dalla tristezza, desolata e sola, unite

05 San Matteo, XI-28.

86 Romani, V-20.

87 San Giovanni, XVII-2.

B8 Antifona dei Primi Vespri della Circoncisione.

e9 San Giovanni, XII-47.

103

la vostra agonia a quella di Gesù nel giardino degli Ulivi, unite la vostra preghiera alla Sua preghiera: « Padre, se è possibile, allontana da me questo calice!... » 10:1.

Vi sembra forse troppo difficile dimenticarvi così? Oh, non vi spaventate! se sapeste come è semplice, invece! Vi confiderò il mio segreto: pensate a questo Dio che abita in voi e di cui voi siete tempio 101. È san Paolo che ce lo dice, e possiamo es-serne certi. Allora, a poco a poco, l'anima si abitua a vivere nell'ineffabile Sua compagnia, comprende che porta in sé quasi un piccolo ciclo in cui il Dio d'Amore ha stabilito la sua dimora, sente di respirare in un'atmosfera quasi divina, anzi non e più sulla ferra che col corpo, ma l'anima abita al di là delle nubi e dei veli in Colui che è l'Immutabile.

Non dite che tutto ciò non è per voi, perché siete troppo miserabile; questa, se mai, è una ragione di più per andare a Lui che vi salva; poiché non certo considerando la nostra miseria, ne saremo purificati, ma guardando Colui che è la stessa purezza e santità.

San Paolo dice che « Dio ci ha predestinati ad essere conformi all'immagine del Tiglio Suo » 102. Nelle ore più dolorose, pensate che l'Artista divino, per rendere più bella l'opera sua. usa il cesello; e rimanete in pace, sotto il lavoro della Sua mano sapiente. Il grande Apostolo di cui vi parlo, dopo essere stato rapito al terzo cielo, sentiva ancora la propria infermità, e se ne lamentava col suo Signore; ma Questi gli rispose;

« Ti basti la mia grazia, perché la virtù si perfeziona tra le infermità » 103. È consolante per noi, non è vero?...

Coraggio, dunque, signora e sorella mia carissima; vi affido, in modo tutto speciale, ad una piccola carmelitana morta a ventiquattro anni di odore di santità; si chiama Teresa di Gesù Bambino, ed ha promesso prima di morire, che il suo paradiso l'avrebbe trascorso facendo del bene sulla terra; ed ora la sua grazia è di dilatare le anime, di slanciarle sulle onde dell'amo-

w San Matteo, XXVI-39. •>01 I Corinti, III-16.

102 Romani, VIII-29.

103 II Corinti, XII-9.

104

1 I

rè, della confidenza, dell'abbandono; perché ci ha detto che ha trovato la felicità quando ha cominciato a dimenticare se stessa. Vogliamo invocarla insieme ogni giorno, perché vi ottenga questa scienza dell'oblìo di sé, che forma i santi e che dona all'anima tanta pace e tanta gioia? » 1("1. In questa lettera, suor Elisabetta ci svela e ci dona il suo segreto più intimo. Per molti anni, l'ultimo ostacolo alla pienezza della santità in lei, fu proprio questa mancanza dell'oblìo totale di sé; e lungamente, nella sua preghiera, si tenne supplichevole dinanzi alla Trinità Santa:

« Aiutami a dimenticarmi interamente!... ». Venne esaudita, alfine; e, libera ormai, si abbandonò, con tutte le sue potenze, al solo esercizio dell'amore. Fu, come abbiamo detto, il segno del trionfo dell'amore e del fiorire pieno della sua vita spirituale: grazia suprema di una spiritualità essenzialmente contemplativa, che attira le anime nel raccoglimento interiore, ma per farle uscire al proprio io e tenerle occupate soltanto a dar gloria al Signore.

L'effetto correlativo di questo dimenticare se stessi è la consumazione nell'unione trasformante, quell'unione in cui, soprattutto al termine della sua vita, suor Elisabetta si fissa con tanto amore. A mano a mano che Dio va compiendo in lei la sua opera di distruzione, si sente come quest'unione trasformante diviene sempre più il suo pensiero familiare, il termine sospirato a cui anela la piccola santa malata, per realizzare la sua brama di « divenire conforme al Crocefisso » e il suo « sogno di gloria ». Ella glorificherà Dio nella misura in cui sarà trasformata in Lui.

E lo scopo a cui tende, sempre con lo stesso metodo: tenersi alla divina presenza, lasciarsi purificare e salvare dal contatto continuo con Dio: « Egli è tanto contento di perdonarci, di risollevarci, poi di trasportarci in Sé, nella sua purezza, col suo contatto continuo, coi suoi tocchi divini. Egli ci vuole tanto pure! Sarà Lui stesso la nostra purezza: ma noi dobbiamo lasciarci trasformare, fino alla piena somiglianzà con Lui » 10!>.

lc"1 Lettera alla signora A... - 24 Novembre 1905. '^ Lettera a G. de G... - 20 Agosto 1903.

105

« Egli ha sete di associarci a tutto il Suo Essere, di trasformarci in Lui » 106.

Mentre componeva l'ultimo ritiro di « Laudem Gloriae » suor Elisabetta si tuffava e rituffava con delizia nei passi sublimi del « Cantico » e della « Viva fiamma » in cui san Giovanni della Croce descrive quella trasformazione dell'anima nella Trinità che è il culmine della sua teologia mistica; ma, non paga di inebriarsene, si applicava con fedeltà instancabile ad ottenere da Dio questa grazia suprema.

•« Deus nosier ignis cnnsumens » ''". « II nostro Dio, scriveva san Paolo, è un fuoco consumante, un fuoco di amore, cioè, che distrugge e trasforma in sé tutto ciò che tocca. Per le anime che, nel loro intimo, sono tutte abbandonate alla sua azione, la morte mistica di cui ci parla san Paolo diviene così semplice, così soave! Esse pensano molto meno nll'opera di spogliamente e di distruzione che rimane loro da compiere, che non ad immergersi nella fornace d'amore che arde in esse, e che non è se non Io Spirito Santo, quello stesso Amore che, nella Trinità, è il vincolo di unione fra il Padre il Suo Verbo. La fede ve le introduce; e là, semplici e quiete, vengono da Lui trasportate nella « tenebra sacra », al di sopra delle cose e dei gusti sensibili, e quindi trasformate nell'immagine divina. Esse vivono, secondo la espressione di san Giovanni, « in società » con le Tré Persone adorabili; la loro vita è in comune: questa è la vita contemplativa » 108.

« II grande mezzo per giungere a questa perfezione che il divino Maestro domanda da noi, è ancora e sempre la presenza di Dio secondo il comando di Dio stesso ad Abramo: « Cammina alla mia presenza e sii perfetto » 1("'. Senza mai deviare da questa via magnifica della presenza di Dio, l'anima procede « sola col Solo », sostenuta dalla forza della Sua destra, protetta all'ombra delle Sue ali senza temere le insidie della notte, ne la freccia lanciata in pieno giorno, ne il male che si insinua

106 Alla medesima - 14 Settembre 1903. i-"7 Ebrei, XII-29.

108 « TI paradiso sulla terra » - 6° orazione. "9 Genesi, XVII-1.

106

nelle tenebre, ne gli assalti del dèmone meridiano » "°.

È l'ora dell'unione trasformante; l'anima non aspira più che alla visione beatiSca.

« Come il cervo assetato anela le sorgenti dell'acqua viva, così l'anima mia sospira a Tè, mio Dio! L'anima mia ha sete del Dio vivo. Quando andrò, e comparirò dinanzi al suo Volto? ». E tuttavia, « come il passero che ha trovato un rifugio, come la tortorella che ha trovato un nido per deporvi i suoi piccoli », così l'sinima, giunta a queste cime, ha trovato il suo rifugio, la sua beatitudine, in attesa di passare nella santa Gerusalemme, la « Beata pacis visto »; ha trovato il suo cielo anticipato ove inizio la sua vita di eternità » u1.

Sa di essere inabitata dalla Trinità Santa, e questo basta alla sua felicità.

« Ecco il mistero che canta oggi la mia lira. Come a Zac-cheo, il Maestro ha detto a me: « Affrettati a discendere perché voglio alloggiare in casa tua »"2. Discendere!... Ma dove?... Nelle profondità della mia anima, dopo essermi separata, alienata da me stessa, dopo essermi spogliata di me stessa in una parola: senza di me. « Bisogna che io alloggi in casa tua ». È il Maestro che mi esprime questo desiderio, il mio Maestro che vuole abitare in me col Padre e col suo Spirito di amore perché, come si esprime il Discepolo prediletto, io abbia « società » con Essi. « Voi più non siete ospiti o stranieri, ma siete già della casa di Dio » '", dice san Paolo. Ed ecco come io intendo questo « essere della casa di Dio »: vivere in seno alla tranquilla Trinitiì, nel mio abisso intcriore, nella fortezza inespugnabile del sunto raccoglimento di cui parla san Giovanni della Croce.

Davide cantava: « Vien meno l'anima mia, entrando negli atri del Signore » "''. Mi sembra che questa debba essere l'attitudine di ogni anima che si ritira nei suoi atri interi ori per contemplarvi il suo Dio, per prendervi strettissimo contatto con

110 Ultimo ritiro IV. "i Ultimo ritiro XVI.

112 San Luca, XIX-5.

113 Efesini, 11-19. »" Salmo LXXXIII-2.

107

Lui. Essa vien meno, in una estasi divina, trovandosi dinanzi a questo Amore onnipossente, a questa Maestà infinita che abita in lei. Non è la vita che l'abbandona, ma è lei stessa che, disprezzando questa vita naturale, se ne ritrae, perché sente che non è degna del suo essere così grande, e vuoi farla morire, per immergersi nel suo Dio.

Come è bella questa creatura così libera, spoglia di sé! È ormai in grado di «disporre ascensioni nel suo cuore, per salire, dalla valle delle lacrime (cioè da tutto quello che è meno di Dio), al luogo che è la sua mèta » "'', quel luogo spazioso cantato dal Salmista, che è -— mi sembra — l'insondabile Trinità: Immensus Poter — Immensus Filius — Immensus Spiri fus Sanctus "6.

Sale, si innalza al di sopra dei sensi, della natura; supera se stessa, supera ogni gioia come ogni dolore, sorpassa tutte le cose, per non riposarsi più fino a die sia penetrata ncAVintìmo di Colui che ama, e che darà Egli stesso il riposo dell'immenso abisso. E tutto questo, senza che sia uscita dalla santa fortezza. Il Maestro le ha detto: « Affrettati a discendere ». E ancora senza uscirne, vivrà, a somiglianzà della Trinità immutabile, in un eterno presente, adorando Iddio per Se stesso e divenendo, mediante uno sguardo sempre più semplice, più unitivo, « lo splendore della Sua gloria » o, in altre parole, « l'incessante lode di gloria » delle Sue adorabili perfezioni !ÌT.

11. È proprio per farci giungere a questo abisso di gloria, nota san Giovanni della Croce, che Dio ci ha creati a Sua immagine e somiglianzà...

« Anime create per queste meraviglie e chiamate a vederle realizzate in voi, che cosa fate?

« In quali miserevoli nulla perdete il vostro tempo.

« Le ambizioni vostre non sono che bassezze; i vostri co-sidetti beni non sono che miserie. Come potete non compren-

115 Ibidem, 6.

"e Simbolo di sEint'Atiinusio, 9.

117 Ultimo ritiro XVI.

108

dere die, inseguendo le grandezze della gloria terrena, restate sepolte nella indigenza e nell'ignominia?

« Mentre questi tesori incalcolabili vi sono riserbati, voi li ignorate, ne altro sapete fare che rendervene indegne » I18.

Mossa da un medesimo sentimento di tristezza divina, suor Elisabctta della Trinità, la sera del 2 agosto 1906 — quinto anniversario della sua entrata nel Carmelo — ripensando a tutte le grazie attinte da questa ininterrotta presenza di Dio e sprecate da tante anime che, invece, avrebbero potuto viverne come lei, aveva esclamato:

« Oh, io vorrei poter dire a tutte le anime quale sorgente di forza, di pace e di gioia troverebbero, se acconsentissero a vivere in questa intimità. Ma non sanno attendere; se Dio non si dona ad esse in maniera sensibile, trascurano la Sua santa presenza; e quando Egli giunge ricco di tutti i suoi doni, non trova nessuno: l'anima è assente, dissipata fra le cose esteriori. Non sanno abitare nelle profondità di se stesse » "".

"•' Qintico spirituale - Strofa XXXIX. "" Lctter.i ;illa mamma - 3 Agosto 1906.

109

I !

CAPITOLO QUARTO

LA LODE DI GLORIA

« Nel ciclo dell'anima mia: la gloria dell'Eterno... niente altro che la gloria dell'Eterno ».

1. Il nome nuovo - 2. Una lode di gloria è un'anima di silenzio

- 3. La lode di tutti i suoi doni - 4. La vita eterna incominciata

- 5. La lode dell'anima crocifissa - 6. L'anima è un ciclo che canta Dio - 7. Ufficio di una lode di gloria.

Per un antropomorfismo quasi insuperabile, la maggior parte delie anime considerano tutte le cose e persino Dio in relazione a se stesse, mentre dovrebbero considerare tutte le cose e se stesse dal punto di vista di Dio. Così che la santità sembra, a molti, fine a se stessa; mentre, in realtà, la santità medesima è subordinata a un fine superiore, veramente fine ultimo:

la gloria della Trinità. Dio non ha creato l'universo e non ha mandato nel mondo il Figlio suo se non per la propria gloria;

se Egli agisse per altri all'infuori di Sé, non sarebbe più Dio.

Questa verità, di tutte la più elementare per quelli che hanno il senso della trascendenza divina, non appare domina-trice nella vita dei santi, che più tardi, quando la loro anima è già consumata nell'unità. Divenuti un solo spirito con Dio, i pensieri loro si uniformano alla Sapienza divina, e la loro volontà si umilia ai divini voleri. La Vergine e Cristo, Essi solo, hanno realizzato a perfezione, fino dal primo istante della loro esistenza, questo programma delia glorificazione divina, che è il termine in cui ogni santità raggiunge sulla terra la sua pienezza.

Vi è, infatti, un duplice movimento nel nostro amore per Dio: lo amiamo per noi stessi, e 'lo amiamo per Lui.

Ili

Amare Dio per noi è cosa legittima: è cercare in Lui il termine che appaghi tutte le nostre potenze; in questo senso cantava il Salmista: « Grande bene è per me lo stare unito a Dio »1, e suor Elisabetta non cessava di ripetere: « Ho trovato il mio cielo sulla terra, poiché il cielo è Dio, e Dio è nell'anima mia. È sempre il medesimo Dio posseduto da noi nella fede, dai beati nella visione » 2.

Sant'Agostino parla di un'altra maniera di amare Dio e di raggiungere l'unione divina: « Vivere di Dio per Dio ». E san Tommaso: « Non vivere per sé, ma per Dio » !>. Questo è il vertice dell'amore e la più alta definizione della vita spirituale: non purissimo amore disinteressato, che escluda il desiderio della beatitudine così atto a santificarci; ma amore che si rivolge innanzi tutto a Dio, come di dovere. In ogni cosa e soprattutto in amore, « Dio abbia il primo posto ».

I santi non si sono profondamente compenetrati di questa verità così evidente se non quando le pene e le croci della vita li hanno completamente liberati dal loro io; comincia allora in essi quella vita deiforme che li riveste dei « divinis morì-bus ». La loro fede luminosa e incrollabile fa loro vedere tutte le cose nella luce del Verbo; la speranza li stabilisce in anticipo nel possesso inalienabile delle ricchezze trini tarie; il loro amore sembra identificarsi a quel riposo beatificante ove Dio trova in se stesso compiacenze ineffabili; la giustizia loro è una volontà invincibile di dare onore e gloria a Dio ovun-que e sempre; la prudenza discopre loro la Provvidenza sovrana che dirige e governa l'universo, regolandone anche i minimi particolari; la loro forza, trionfatrice e dominatrice di tutte le umane agitazioni, li avvicina all'immutabilità di Dio. Sono puri; di quella purezza inaccessibile che isola l'Essenza divina da ogni contatto col creato.

Questa bella, luminosa sera della vita dei santi è come

' Saìmo LXXTT-28.

2 Lettera alla signota De S... - 1902.

3 San Tommaso, Stimma Theol. II-II, q. 17, a. 6, ad 3. « Charitas facit tendere in Deutn, uniendo affectum hominis Deo: ut scilicet homo non siili vivat, scd Dea ».

112

una visione anticipata e pacifica della eternità. L'anima, nello stato deiforme, la vive nella unità della Trinità.

È la fase suprema dell'unione trasformante, abituale nei beati del ciclo, ma non raggiunta che da poche, rare anime perfette, qui sulla terra.

1. Qualche cosa di analogo è accaduto nella sera cosi i-npida della vita di suor Elisabetta della Trinità. Per lungo tempo, ella soffrì di sentirsi come impigliata in se stessa, impotente ad uscirne. La liberò Dio stesso con un intervento diretto, dopo averla preparata a questa grazia suprema rivelandole il suo nome nuovo, quel nome che doveva dare alla sua vita spirituale il suo orientamento definitivo. E tale grazia le fu concessa durante il periodo delle licenze.

Si era recata a visitare una consorella più anziana 4 nella sua cella; e suor Elisabetta, la discepola, ascoltava. Si scambiavano, con semplicità, le loro idee e a vicenda si incitavano all'amore di Dio, proprio come i cattivi si comunicano le loro trame per compiere il male. Ad un tratto, la consorella dice a suor Eiisabetta: — Ho trovato in san Paolo un passo meraviglioso: « Dio ci ha creati per la lode della sua gloria ».

L'altra ne fu impressionata e rapita; rientrata nella sua celletta, prese il libro delle Epistole e si mise a ricercare il passo che tanto l'aveva colpita, desiderando conoscerlo nel testo latino; ma non lo trovava. Tornò, allora, dalla consorella — Vi prego, volete indicarmi l'epistola e il versetto in cui si trova? L'ho cercato, ma inutilmente. — E, raccontandoci l'episodio, la suora aggiunse: — Poi, non me ne parlò più. Solo più tardi, quando suor Elisabetta era già in infermeria, mi accorsi che la nostra suora Madre ed altre suore la chiamavano: « Laudem gloriae ». Io non avevo dato troppa importanza a questo passo di san Paolo che pure ammiravo; non ho avuto la stessa grazia di suor Elisabetta, che doveva farne il suo « nome nuovo ».

Infatti la grazia divina si servì di questa formula del suo caro san Paolo, per slanciarla verso le più alte cime.

4 Tutto questo racconto l'ho udito dalla viva voce della suora stessa.

113

Questo incontro era avvenuto nella primavera o nell'estate del 1905, La grazia lavorò, lentamente dapprima, determinando però un orientamento nuovo nella sua vita interiore;

fin dal 1° gennaio, scrive:

« Voglio confidarvi una cosa tutta intima: bramo di essere una « lode di gloria ». L'ho trovata in san Paolo, questa espressione; e lo Sposo mio mi ha fatto sentire che questa è la mia vocazione fin dall'esilio, nell'attesa di poter intonare il « Sanctus » eterno nella città dei santi. Ma tale vocazione richiede una grande fedeltà, perché, per essere « lode di gloria », bisogna morire a tutto ciò che non è Lui, affine di non vibrare più che al suo tocco divino. E invece, la povera Eli-sabetta fa ancora dei torti, talvolta, al suo Signore. Ma, come un tenero Padre, Egli la perdona sempre, la purifica sempre col suo divino sguardo; ed essa, come san Paolo, cerca « di dimenticare ciò che lascia indietro, per slanciarsi verso quello che le sta dinanzi » 5.

D'ora in poi, ogni volta che suor Elisabetta potrà scrivere con intimità ad un sacerdote, gli chiederà che voglia consacrarla, durante il santo Sacrificio, come « ostia di lode », o come « lode di gloria ». .

Quando, la sera della domenica delle Palme, il suo divino Maestro piombò su di lei come sulla preda, con una crisi fulminea, credette di essere giunta alla fine. E attese la morte, con gioia.

Seguì, invece, un lieve miglioramento che la sorprese; e quando il suo Signore le fece comprendere che gli uffici della terra non erano più per lei e che, d'ora innanzi, Egli la voleva tutta occupata della sola Sua gloria, suor Elisabetta prese meglio coscienza del suo nome, quel nome nuovo che sarebbe il suo, ormai, nel tempo e nell'eternità.

« Essere una lode di gloria alla Trinità », ecco che cosa le chiede ora il suo Dio, su quel letto di dolore, divenuto « l'altare della sua continua immolazione con Lui »B.

La sua vita interiore si semplifica: « Lasciarci crocifiggere

5 Lettera al Canonico A... - Gennaio 1906.

6 Lettera al Canonico A... - Luglio 1906.

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per essere lode di gloria », e basta. Ma vi è racchiuso tutto e, per prima cosa, l'oblìo di se stessa, intero, assoluto: lo raggiunge, lentamente dapprima, poi con grande rapidità; non mira più che alla lode incessante, sempre ed in tutto:... il resto non le sembra che vanità. H suo nome stesso di suor Elisabetta della Trinità non basta più ad esprimere interamente il suo programma unico; tanto che, con gl'intimi, non si firma Elisabetta, ma « Laudem gloriae ». Suor Elisabetta: significa l'anima celata nella profondità del proprio essere per gioirvi di Dio presente: « Laudem gloriae » segna un'altra tappa incomparabilmente superiore: la sola preoccupazione della gloria di Lui.

È il canto del cigno di questa vita che si spegne. Dalla sua grande anima d'artista non si sprigioneranno più che armonie divine, sotto i tocchi ineffabili dello Spirito. Non più sforzi violenti per radunare le potenze dell'anima; già le possiede nell'unità, sempre. E senza interruzione sale dall'anima sua il Canticum novinn, « il cantico del nome nuovo »: la lode di gloria ininterrotta.

I pensieri inutili o i desideri vani sono scomparsi; nella sua anima serena e crocifissa, regna l'unità in cui trionfa l'amore.

Tutte le corde della sua lira sono tese, pronte a vibrare al minimo soffio dello Spirito: le note gravi del suo doloroso Calvario vi sono unite agli accenti vibranti di giubilo divino che desta nell'anima sua il pregustamento della gioia beatifica, ormai vicina. Tutte si fondono in una armonia che sale a Dio come un inno di gloria che il Verbo si canta in questa anima tutta trasformata in Lui.

Questa sera tanto bella della vita di suor Elisabetta della Trinità è qualche cosa di divino. Il Padre Vallee, rievocando, a'ila notizia della sua morte, le ultime settimane di quella vita santa, scriverà alla signora Catez che furono ore « straordinariamente belle e divine ». Dio terminava di conformarla a Cristo, sulla croce; compiva quello che era stato il suo unico sogno: essere sempre più simile a Cristo Crocifisso per amore, a « Colui che fu la perfetta lode di gloria », ed « esprimerlo

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agli sguardi del Padre » T. « Vivo nel cielo della fede al centro idell'anima mia e procuro di dare gioia al mio Signore, essendo già sulla terra, la « lode della Sua gloria » s.

È questa la parola d'ordine che sempre ritorna spontanea, parlando con gl'intimi. Con la sua Madre Priora, poi, è il tema abituale e il più caro; dopo la malattia soprattutto; l'anima ideila sua figliola non ha più alcun segreto, per lei; essa è il sacerdote che deve offrire alla Trinità santa la piccola « ostia di lode ». Colloqui e feste intime ve la riconducono invariabilmente.

Per la festa di santa Germana, onomastico della Madre sua, e ultimo — lo sa bene — che festeggia sulla terra, suor

•Elisabetta prega un'amica di rappresentare simbolicamente la Trinità e porre nel quadro tré anime che tengono un'arpa per cantarne la gloria. « Una di queste anime — scrive — dovrebbe essere più bella, perché deve rappresentare la nostra Madre; l'altra, una sorellina dell'anima mia in questo Qmnelo;

da terza sono io » ". Su questa immagine, poi, vuole che si scriva: « Deus praedestinavit nos ut essemus ' Itniclem gì orine ' 'eius. Dio ci ha predestinati, perche siamo le lodi della Sua gloria ». Si trattava in fondo, di rappresentare simbolicamente la sua vocazione suprema di lode di gloria.

Così, nella sua cameretta dell'infermeria, potè festeggiare 'per l'ultima volta la sua Madre Priora così teneramente, così ifilialmente amata.

« La sera, nella nostra piccola cella, soltanto fra la Madre

•nostra e le sue due beniamine, si è svolta la semplice festa 'tutta intima. La mia cara sorellina, che è un vero serafino, vi 'ricompenserà nella preghiera della gioia che le avete procurata. Aveva preparato, sopra un tavolino, tutta una piccola esposizione: al posto d'onore, il vostro bei quadro con la 'immagine della SS. Trinità, per il quale devo dirvi un grazie vivissimo. Vi era pure la medaglia inviata dalla mammia mia e un piccolo dono di Margherita; inoltre, alcuni lavoretti e dei

7 Ultimo ritiro XIV.

a Lettera al Canonico A... - Maggio 1906.

9 Lettera alla signora H... - 3 Ghigno 1906.

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mazzolini mistici, fra i quali la vostra offerta per una santa Messa era il fiore più bello » 10.

Fra le consorelle, nella confidenza del suo « segreto » di grazia, non si chiamava più che « laudem gloriae »; e alla lettera d'addio indirizzata alla sorella Margherita, aggiunge come post-scriptum: « Sarà il mio nome, in cielo » ".

Questo nome nuovo ha un'importanza grandissima per lo psicologo o per il teologo che vuoi rendersi conto del grado ti i sviluppo che la grazia del battesimo ha raggiunto in suor Elisnbctta della Trinità. Questo « nome personale », il nome con cui il Pastore divino distingue e chiama ad una ad una le

•sue pecorelle, ci permette di cogliere il termine della predestinazione di un'anima. Questo nome, ne siamo convinti, è il tratto più caratteristico della missione di suor Elisabetta.

Il grande ostacolo della Carmelitana e di ogni anima contemplativa è il pericolo di vivere di fronte a se stessa invece che vivere di Dio in se. Ora, la grazia tutta propria di suor iElisabctt.1 della Trinità, divenuta « Laudem gloriae », è di raccogliere le anime nell'intimo di se stesse, ma per farle uscire

•di sé, mediante l'amore e la lode di gloria.

Non ci sarebbe dato di conoscere quasi nulla della sua vita spirituale giunta a questa altezza, se la Madre Germana, considerando già suor Elisabetta come una piccola santa, non avesse avuto la provvidenziale ispirazione di chiederle in iscritto il suo segreto.

« ...Quando entrò nel ritiro che doveva essere l'ultimo per lei, dal 15 al 31 agosto, le chiesi di scrivere alcuni pensieri per esprimere come intendeva e considerava la sua vocazione di lode di gloria. La santa malat'ina comprese, e accettò sorridendo » ".

Prese allora un quadernetto e, durante le sue lunghe e penose insonnie, dopo le undici e mezzanotte, quando era ormai sicura che la Madre Priora non sarebbe più andata a trovarla, si metteva a scrivere.

" Lettera alla signora H... - Luglio 1906

" Essate 1TO6.

1"'' Ho saputo questi particolari dalla Madre Germana stessa.

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Riempito il quadernino da cima a fondo, lo consegnò alla

•sua Priora senza occuparsene più. Quelle pagine che ben chia-'ramente si sentono dettate dallo Spirito Santo ad un'anima tutta inabissata nel dolore e nella beatitudine, sono un purissimo capolavoro di spiritualità, e pongono suor Elisabetta del-

•la Trinità fra i più grandi scrittori mistici.

Non si potrebbero davvero spiegare queste elevazioni sublimi, scaturite di primo getto e prive di qualsiasi correzione, 'senza un vero carisma di composizione clic fa ricordare istintivamente la rapidità con cui santa Caterina da Siena, sotto la mozione dello stesso Spirito, dettava ai discepoli che a stento riuscivano a starle alla pari, il suo meraviglioso Dialogo. Sono fatti, questi, che sorpassano ogni arte umana ed è impossibile 'non riconoscervi i tocchi, trascendenti qualsiasi tecnica, dello Spirito di Amore, che è pure Arte divina e suprema Bellezza.

Se si vuoi conoscere il pensiero più profondo di suor Eli-'sabetta della Trinità, bisogna cercarlo nell'ultimo suo ritiro. Esso costituisce, per così dire, la sua piccola « Somma » mistica, la quintessenza della sua dottrina spirituale, nel momento più elevato della sua esperienza mistica. È un vero e proprio trattato dell'unione trasformante, tale quale la concepiva nella linea della sua vocazione di lode di gloria, e quale la viveva, nell'intimo; è tutto un programma di vita da lei lasciato alle « Iodi di gloria » che vorranno più tardi seguire le sue tracce nella via di una santità interamente dimentica di sé e tutta orientata verso la gloria purissima della Trinità.

Nella sua maniera di concepire l'ufficio di « lode di gloria », si ritrovano le idee fondamentali della sua vita interiore e tutte le grandi linee maestre della sua spiritualità: silenzio, .spogliamente assoluto, amore della Trinità e culto del divino volere, conformità sempre più aderente con l'anima di Cristo Crocifisso; ma vi si ritrovano sotto un'altra luce che tutte 'le modifica: nella pura luce della gloria della Trinità. Tutto un mondo spirituale nuovo se ne sprigiona, come se, ad un

•tocco di bacchetta magica, apparissero in piena luce dei cari esseri familiari che si sentono vivere intorno, nel buio di una 'notte oscura.

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L'anima non sa più nulla, fuorché Cristo, il Crocifisso per amore del quale sogna di morire trasformata; la Trinità della quale volle essere l'incessante lode di gloria; e la Vergine, questa Madre di grazia, la cui missione è di formare nelle anime l'immagine vivente del Primogenito, il Figlio dell'Eterno, Colui che fu la perfetta lode di gloria del Padre. Sono questi i sentimenti più intimi di suor Elisabetta, nell'istante in cui entra nel raccoglimento dell'ultimo suo ritiro sulla terra la sera del 15 agosto, supplicando ]anua coeli di prepararla alla sua vita dell'eternità. Qui ancora, come sempre, la sua concreta psicologia spiega la sua dottrina,

2, Una Lode di gloria è, prima di tutto, un'anima di silenzio. « Non sapere più nulla »: è il programma di una lode di gloria, spogliata di tutto e di se stessa, libera di vibrare all'unico soffio dello Spirito. Ci troviamo ricongiunti, in tal modo, all'ascesi fondamentale di suor Elisabetta della Trinità.

« Nesci vi. Non seppi più nulla »: ecco ciò che canta la Sposa del Sacro Cantico, dopo essere santa introdotta nella cella intcriore; e questo, mi sembra, dovrebbe essere il ritornello di una « lode di gloria » in questo primo giorno di ritiro in cui il Maestro la fa penetrare sino in fondo all'abisso insondabile, per insegnarle a compiere quell'ufficio che sarà suo per l'eternità, e nel quale già deve esercitarsi nel tempo, che è l'eternità incominciata.

Nescivi: non so più nulla, non voglio più nulla, fuorché « conoscere Lui, essere partecipe dei suoi dolori, essere conforme alla sua morie » ". « Come è indispensabile, questa bella unità intcriore, all'anima che vuoi vivere quaggiù la vita dei beati, cioè degli esseri semplici, degli spiriti!... Possono sopraggiungere, allora, le agitazioni esterne, le interne tempeste; può venir intaccato il suo onore: « Nescivi ». Dio può nascondersi, può sottrarle la sua grazia sensibile: « Nesci-

13 Ultimo ritiro I.

14 Ultimo ritiro II.

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L'anima raccolta nelle profondità di se stessa, nel silenzio e nell'unità delle sue potenze, è tutta consacrata alla lode della divina gloria.

Suor Elisabctta della Trinità si ricongiunge, quindi, alla dottrina del « nescìre, non sapere nulla », che il suo grande

•maestro spirituale, san Giovanni della Croce, pone come base della propria teologia mistica.

3. Ma questo carattere negativo di spogliamcnto assoluto, carattere distintivo della dottrina spirituale di suor Eli-

•sabetta e dei grandi mistici, non è che una fase preliminare. Questo annientamento che l'anima si studia di raggiungere, questo « niente » è la condizione che prepara al possesso del

•« Tutto », possesso nel quale consiste positivamente la nostra vita spirituale: infatti, lo spirito del Vangelo si manifesta prima di tutto come una religione essenzialmente positiva. Si glorifica Dio nella misura dei Suoi doni: ecco perché la Vergine e Cristo Lo hanno più di tutti glorificato: perché più di tutti Essi hanno ricevuto. Questa dottrina è fondamentale,

•nella buona spiritualità. Si sente dire spesso: Purché io arrivi in Cielo, mi accontento dell'ultimo posto... Significa non aver capito niente del vero amore di Dio e della Sua gloria. Questo è un punto di massima importanza nella dottrina spirituale di suor Elisabetta della Trinità e nella concezione cristiana dell'universo.

Che cos'è la gloria di Dio? La manifestazione stupenda di ciò che Egli è, la rivelazione delle Sue perfezioni infinite. Vi è una duplice gloria di Dio: la sua gloria intima, dentro di Lui, e la sua gloria esterna, al di fuori, nell'universo da lui creato. Non si tratta qui, della sua gloria essenziale, quella che Dio trova in Se stesso, nel suo Verbo, Pensiero unico, eterno, che esprime adeguatamente tutto ciò che Egli è, nell'indivisibile Unità della sua Essenza e nella Trinità delle Persone. Il Verbo dice tutto: dice la inesauribile fecondità del seno del Padre, la bellezza del Figlio, l'Amore che li fonde nell'Unità, l'universo che è sgorgato dalla loro potenza crea-trice ed è nelle mani di Dio come un trastullo di bimbo.

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Così, il Padre manifesta al Figlio la sua propria gloria. Nel Verbo, immagine e splendore della sua gloria, il Padre risplende; il Verbo manifesta al Padre tutto ciò che è Egli stesso;

nel Verbo, il Padre e il Figlio conoscono l'Amore eterno che li unisce. Tale è la gloria essenziale di Dio, quella gloria intima, intratrinitiiria, che è il Verbo.

L'universo non aggiunge nulla a questa gloria infinita; e, dinanzi alla Trinità santa, l'anima stessa di Cristo deve confessare il suo niente. Nella Società trinitaria delle divine Persone e nell'invisibile Unità della loro Essenza, Dio basta a se stesso. Tutto quello che può venire dal di fuori, anche da parte di Cristo, non è che accidentale. E, tuttavia, Dio ci tiene, in modo assoluto; perché così esigono la gerarchla dei valori e l'ordine delle cose. Al Creatore: onore, sapienza, potenza e gloria.

Per un equilibrio ammirabile della divina Sapienza e degli altri attributi divini, Dio non trova questa gloria accidentale che nella nostra felicità e nella misura di questa felicità.

« La gloria del Padre esige che voi portiate copiosi frutti » ". insegnava Gesù. Chi è più santo Lo glorifica di più; e, in questo senso, il Verbo Incarnato è la più perfetta lode di gloria di tutti i Suoi doni, a causa delle incomprensibili ricchezze della sua umanità santa. Dopo di Lui, ad una distanza infinita, l'anima della Vergine, la creatura che ha ricevuto di più, dopo Cristo; e così, via via, tutti gli altri santi. Significa, dunque, avere un falso concetto della gloria divina, volersi accontentare di una santità mediocre.

Suor I''.lis;ilx;lt;i della 7'rinità, con una profondità di pensiero sorprendente in una fanciulla, si è elevata senza sforzo, sotto l'impulsò della grazia, a questa altissima luce di Sapienza, la più deiforme nella quale possa porsi uno sguardo creato per considerare l'universo alla luce di Dio. Essa ha perfettamente compreso che deve essere santa, prima di tutto per Dio; tanto santa quanto le è possibile, perché la gloria di Dio è strettamente legata alla sua santità.

15 San Giovanni, XV-8.

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Nel suo diario di fanciulla, scrive: « Voglio essere santa »;

segue una cancellatura, quindi: « Santa per Tè ». La fine della sua vita fu la magnifica realizzazione del desiderio concepito a 19 anni. Ha compreso che quanto più un'anima si innalza sulle vette dell'unione trasformante, tanto meglio compirà il suo ufficio di lode di gloria. Dio è glorificato nella misura in cui « la bellezza » delle sue perfezioni si ridette nelle anime. E i beati l'hanno raggiunta questa trasformazione suprema, essi che « contemplano Dio nella semplicità della Sua Essenza, essi che « Lo conoscono nel modo stesso che sono da Lui conosciuti », cioè per mezzo della visione intuitiva. Ecco perché « sono trasformati, di chiarezza in chiarezza, nella immagine dì Lui, dalla potenza del suo Spirito », divenendo così lode incessante di gloria all'Essere divino che in essi contempla il proprio splendore... « A sua immagine e somiglianzà »; tale fu l'ideale del Creatore: potersi contemplare nella creatura, vedere irradiate in essa tutte le sue perfezioni, tutta la sua bellezza, come attraverso un cristallo limpido e terso; non è questa, in certo modo, una estensione della sua propria gloria? L'anima che permette all'Essere divino di riflettersi in lei, questa anima è veramente la lode di gloria di tutti i suoi doni, e in ogni occupazione, anche nelle più ordinarie, canta il can-ticum magnum, il canticiim novum che fa esultare il cuore di Dio nelle sue profondità » 16.

Dare a Dio la testimonianza di tutte le proprie potenze, orientandole verso di Lui solo: ecco ciò che suor Elisabetta intende per lode di gloria di tutti i suoi doni. Secondo lei, una vera lode di gloria è avida di ricevere Dio al maximum, è un'anima che se ne sta come un'arpa sotto il tocco divino, e tutti i doni che Egli le ha elargiti sono corde armoniose che vibrano giorno e notte per cantare la lode della sua gloria.

Siamo ben lontani dalla visuale ristretta di tutte quelle concezioni meschine che, invece di liberare le anime e slanciarle in pieno verso Dio, le ripiegano su di sé, le deprimono, paralizzando in esse la libera espansione del perfetto amore.

18 Ultimo ritiro III.

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4. Attirata sempre verso le alte cime, suor Elisabetta della Trinità va a cercare i suoi modelli di « lode di gloria » fra i beati che stanno continuamente dinanzi al Trono dell'Agnello in preghiera e in adorazione.

Sotto l'influenza della sua lettura del Cantico e della Viva fiamma, la visione beatifica diviene il pensiero dominante degli ultimi suoi giorni, comunicando a tutti gli slanci dell'anima sua quasi un ritmo di eternità. Negli ultimi capitoli dell'Apocalisse (nell'ultimo soprattutto), che erano divenuti l'alimento più familiare dell'anima sua, essa attingeva quel senso di eternità che anima quasi tutte le pagine dell'ultimo suo ritiro. A chi le stava vicino in quei giorni ripeteva: « II mio Maestro non mi parla più che di eternità ».

Viene così a congiungersi, con un senso dottrinale sempre impeccabile, ad un'altra dottrina spirituale che è familiare alla teologia cattolica: che, cioè, la nostra vita divina sulla terra è già « la vita eterna incominciata ».

« Mi pare — scrive — che esercitarsi nel cielo della propria anima in questa occupazione dei beati, sarebbe dare una gioia immensa al cuore di Dio » ". « Ieri san Paolo, sollevando un poco il velo, mi permetteva di spingere lo sguardo nell'eredità dei santi, nella luce, perché io vedessi la loro occupazione e procurarsi, quanto è possibile, di conformare la mìa vita cillii loro, per adempiere il mio ufficio di « laudem gloriae ». Oggi san Giovanni, il discepolo che Gesù amava, mi schiude le porte dell'eternità perché l'anima mia possa riposarsi nella « santa Gerusalemme, dolce visione di pace ». E, prima di tutto, mi dice che non ha bisogno di lumi, la Città, perché lo splendore di Dio ila 'illumina e sua luce è l'Agnello. Ora, se voglio che la mia città intcriore abbia qualche tratto di conformità e di somiglianzà con quella del Rè dei secoli immortali e riceva la grande irradiazione di Dio, bisogna che io estingua ogni altro lume e che l'Agnello ne sia l'unica face » ".

17 Ultimo ritiro III. 1< Ultimo ritiro IV.

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La vita dei beati è una vita di luce e di amore. Su questo duplice movimento, suor Elisabetta traccia il programma della lode di gloria che vuole, nel cielo dell'anima sua, imitare l'occupazione dei beati. Alla visione beatifica, impossibile sulla terra, supplisce la virtù della fede.

« Ecco, ma appare la fede, la bella luce della fede; questa sola deve illuminarmi per andare incontro allo Sposo. Il salmista canta che « Egli si occulta nelle tenebre »; poi in un altro punto, sembra contraddirsi con queste parole: « La luce l'avvolge come una veste ». L'insegnamento che' per me risulta da questa contraddizione apparente è die io devo immergermi nella « sacra tenebra », facendo la notte e il vuoto in tutte le mie potenze. Allora incontrerò il mio Signore, e la luce che lo avvolge come una veste avvolgerà me pure, perché Egli vuole che la sposa sia luminosa della Sua luce, della sola Sua luce, ed abbia la chiarezza di Dio. Si dice di Mosè che « era incrollabile nella sua fede, come se aresse veduto l'Invisibile ». Mi sembra che tale debba essere la disposizione di una lode di gloria che vuoi proseguire, malgrado tutto, il suo inno di ringraziamento: « Incrollabile nella sua fede, come se avesse visto l'Invisibile », incrollabile nel credere al-l'« eccessivo amore »... « abbiamo conosciuta !a carità di Dio per noi, e vi abbiamo creduto » 19. « La fede e sostanzii delle cose che speriamo e convinzione di quelle che non rediamo » 20. Raccolta nella luce che accende in lei questa parola, che cosa importa ormai all'anima sentire o non sentire, essere nel buio o nella luce, godere o non godere? Ella si vergogna, quasi, di fare tali distinzioni... Mi sembra che a quest'anima che possiede una sì grande fede in Dio-Carita. si possono rivolgere le parole del Principe degli Apostoli: « Poiché credete, sarete ricolmi di un gaudio immutabile e sarete glorificati » 21.

Ma la « lode di gloria » che vuole imitare l'occupazione dei beati, deve essere animata da un altro sentimento: l'at-

19 I Giovanni, 1V-16.

" Ebrei, XI-1.

21 Ultimo ritiro IV.

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tività adoratrice dell'amore. Tutta la psicologia della « lode di gloria » deve modellarsi sullo stato d'animo dei beati.

« Essi non hanno riposo ne giorno ne notte, e ripetono:

Santo, santo, santo, è il Signore, Dio onnipotente che era, che è, che sarà nei secoli dei secoli... — Si prostrano, adorano e ci epongono le loro corone dinanzi al trono, dicendo: Degno Tu sci, o Signore, di ricevere la gloria e l'onore e la potenza... » -;. Come imitare nel cielo dell'anima mia questa occu-piìzionc incessante dei beati nel Ciclo della gloria?

« i.ss/ s/ {irosi l'ano, adorano e depongono le loro corone ».

Prima di tutto, l'anima deve prostrarsi, immergersi nell'abisso del proprio niente; penetrarvi così a fondo, da trovare — secondo l'ineffabile espressione di un mistico — la pace vera, invincibile e perfetta che nulla 'può turbare, perché si è precipitar;! così in basso, che nessuno andrà a cercarla, higgiù. Allora, potrà adorare...

L'adorazione ah, è una parola di cielo, mi sembra che possa definirsi: l'estasi dell'amore. È l'amore schiacciato dalla bellezza, dalla forza, dall'immensa grandezza dell'oggetto amato: « Adorate il Signore, perché Egli è santo », dice il Salmista; e ancora: « Sempre l'adoreremo a motivo di Lui stesso »23.

Così, questa psicologia dei beati nell'eternità diviene per lei l'esemplare vivente della santità sulla terra. « L'anima che si raccoglie in questi pensieri, che li penetra col « senso divino » di cui parla san Paolo, vive in un paradiso anticipato, al di sopra di tutto ciò che passa, al di sopra di se stessa. Sa clic Colui che ella adora possiede in sé ogni felicità ed ogni gloria, e gettando come i beati dinanzi a Lui la sua corona, si disprezza, si perde di vista e, in mezzo a qualunque sofferenza e dolore, trova la sua beatitudine in quella dell'Essere adorato, perché ha abbandonato se -stessa ed è passata in un altro. In questo atteggiamento di adorazione, l'anima non somiglia forse a quei pozzi di cui parla san Giovanni della Croce, in cui si radunano le acque che scendono dal Libano?

•-•2 Apoc., IV-.s... il.

•^ Ultimo ritiro V[TI.

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Vedendola, si può dire: « La città di Dio è rallegrata dal corso di impetuosa fiumana » 2\.

5. La vita spirituale di suor Elisabetta della Trinità, anima essenzialmente trinitaria, rimane però sempre, e con un crescendo continuo, incentrata in Cristo Gesù. Il sogno che « Laude-m gloriae » accarezza durante le lunghe penose insonnie, è di morire, « non solo pura come un angelo, ma trasformata in Gesù Crocifisso ». Questo modello divino è dinanzi al suo sguardo, sempre; unico suo ideale è contemplarlo per riprodurlo; vorrebbe potere esprimerlo agli occhi del Padre.

Ma, lo sa bene, la conformità suprema dell'immagine del Cristo conduce « alla conformità alla sua morte ». Nel corso dell'ultimo suo ritiro, questo pensiero non l'abbandonava un istante; e mentre scrive le sue riflessioni sulla inabitazione della Trinità e sulla lode di gloria, ripete spesso, cuore a cuore, alla sua Madre Priora, con voce languente di malata:

« Madre, sento che Egli mi conduce sul suo Calvario ». Ed è qui che si compie ogni santità.

Una lode di gloria è essenzialmente un'anima crocifissa:

ha contemplato, nel cielo, « la grande moltitudine che nessuno può enumerare », sa che « sono coloro che vengono dalla grande tribulazione, che hanno lavato e reso candide le loro stole nel sangue dell'Agnello; per questo, stanno dinanzi al trono di Dio e lo servono dì e notte nel suo tempio; e Colui che è assisa sul trono stenderà sovr'essi la sua tenda. Non avranno più fame ne sete, non li colpirà il sole ne ardore alcuno, perché l'Agnello sarà il loro pastore e li guiderà alle. fonti delle acque di vita; e Dio asciugherà ogni lacrima dei loro occhi ». « Tutti questi eletti che hanno in mano la palma e che sono bagnati dalla grande luce di Dio, hanno dovuto prima passare per la grande tribolazione, conoscere il dolore « immenso come il mare » cantato dal Profeta. Prima di contemplare svelatamente la gloria del Signore, essi hanno partecipato agli annientamenti del suo Cristo; prima di essere trasformati, di chiarezza in chiarezza nella immagine dell'Es-

24 Ibidem.

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sere divino, sono stati conformi all'immagine del Verbo incarnato, il Crocifisso per amore.

« L'anima che vuoi servire Dio notte e giorno nel suo tempio, cioè in quel santuario interiore del quale parla san Paolo quando dice: « II tempio di Dio è santo, e questo tempio siete voi », quest'anima deve essere risoluta di partecipare realmente alla passione del suo Signore. Essa è 'una riscattata che deve a sua volta riscattare le altre anime; e canterà perciò sulla sua lira: « Io mi glorio nella Croce di Gesù Cristo. Con Cristo sono confitta alla Croce... » ed ancora: « Do compimento, nella mia carne, a ciò che manca alla passione di Cristo, per il corpo di Lui, che è la Chiesa ».

« Alla sua destra sta la Regina »: tale è l'atteggiamento di quest'anima. Essa procede sulla via del Calvario, alla destra del suo Rè crocifisso, che, annientato, umiliato, eppure così forte, calmo e pieno di maestà, va alla sua passione per far risplendere « la gloria della sua grazia », secondo l'espressione così forte di san Paolo. Ed Egli vuole associare la sua sposa all'opera di redenzione; ma la via dolorosa in cui la fa camminare le sembra la via della beatitudine, non solo perché alla beatitudine conduce, ma ancora perché il Maestro santo le fa comprendere che deve superare quello che vi è di amaro nel dolore, per trovarvi, come Lui, il suo riposo.

Allora, può veramente servire Dio « notte e giorno nel suo tempio »; le prove interne ed esterne non possono farla uscire dalla santa fortezza in cui Egli l'ha rinchiusa; non ha più « ne fame, ne sete » perché, malgrado il suo struggente desiderio della beatitudine, si sente saziata dal nutrimento che fu quello del suo Maestro divino: la volontà del Padre; non sente più « il sole che su di lei dardeggia », cioè non soffre più; e l'Agnello può condurla, ora alle sorgenti della vita, dove Egli vuole, come gli pare, perché lei non guarda per quali sentieri passa, ma tiene lo sguardo fisso semplicemente, sul Pastore che la guida.

Dio, chinandosi su quest'anima, sua figlia adottiva, così conforme all'immagine del suo « Viglio primogenito fra tutte le creature », la riconosce per una di quelle da Lui « prede-

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stmate, chiamate, giustificate »; ed esulta nelle sue viscere di Padre, pensando di consumare l'opera sua, cioè di glorificarla, trasferendola nel suo regno, perché vi canti nei secoli senza fine la lode della sua gloria » ".

6. Fedele al pensiero dominante degli ultimi suoi giorni, adempiere cioè, fin da questa vita, la sua vocazione eterna di « Laudem gloriae » suor Elisabetta della Trinità vuoi cercare di compiere nel « cielo dell'anima sua » ciò che fanno i beati nel « cielo della gloria ». È lo sviluppo supremo della sua vocazione intcriore di « Casa di Dio ».

La sua grazia fondamentale fu di vivere raccolta interior-mente, nel più profondo dell'anima, con l'intimo Ospite;

aveva trovato, in questo, il suo cielo sulla terra. Per una evoluzione normale, ella vivrà pure interiormente la sua vocazione suprema di « lode di gloria »: « Poiché l'anima mia è un ciclo dove vivo nell'attesa della celeste Gerusalemme, bisogna che questo ciclo canti la gloria dcll'F.li.'rno, niente altro che la gloria dell'Eterno » 2".

In questo cielo intcriore, tutte le attività intime, tutto l'esercizio dell'amore e della pratica della virtù è una lode di gloria al Dio che vi abita, come le opere del Signore narrano al di fuori la gloria dell'Eterno. Questa glorificazione divina nel silenzio dell'anima è la lode più sublime che possa salire dalla creatura a Dio,

« Coeli enarrant gloriam De/ ». Ecco che cosa narrano i cieli: la gloria di Dio. « II giorno trasmette al giorno questo messaggio ». Tutti i lumi intcriori, tutte le comunicazioni di Dio all'anima mia, sono questo giorno che trasmette al giorno il messaggio della sua gloria.

« II precetto di Jahveh è puro », canta il Salmista, « ed illumina lo sguardo ». Per conseguenza, la mia fedeltà nel corrispondere ad ogni suo precetto, ad ogni suo interno comando, mi fa vivere nella luce sua; anch'essa è un messaggio che annunzia la sua gloria.

25 Ultimo ritiro V.

26 Ultimo ritiro VII.

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I 1

Ma, ecco la dolce meraviglia: « Jahveh, chi ti guarda, rispicnde » esclama il Profeta. L'anima che, con la profondità del suo sguardo interiore, nella semplicità che la distacca da ogni estranea cosa, contempla attraverso a tutto, il suo Dio, quest'anima è risplendente; essa è un giorno che annunzia al giorno il messaggio della sua gloria » ".

Nel ciclo intcriore, tutto canta la gloria dell'Eterno: gioie e consolazioni spirituali, come pure tutto ciò che crocifigge. « La notte l'annuncia alla notte »: ecco una cosa davvero consolante: le mie impotenze, i miei disgusti, le mie oscurità, persino le mie colpe, narrano la gloria dell'Eterno; e le mie sofferenze fisiche e morali celebrano anch'esse la gloria del mio Signore. David cantava: « Che cosa renderò al mio Signore per tutti i suoi benefici? — Prenderò il calice della salute ». Se io Io prendo, questo calice imporporato dal Sangue del mio Maestro, e se, nel mio ringraziamento pieno di gioia, unisco il sangue mio a quello della Vittima santa che lo rende in qualche modo partecipe del suo « infinito », esso può dare al Padre una magnifica lode; allora il mio dolore è un messaggio che annunzia la gloria dell'Eterno.

La, (nell'anima che narra la sua gloria), Egli ha posto una tenda per il sole ». Il sole è il Verbo, è lo Sposo. Se Egli trova l'anima mia vuota di tutto ciò che non rientra in queste due parole: il suo amore, la sua gloria, allora la sceglie per sua camera nuziale; « vi si slancia come un gigante che si precipita trionfatore nella corsa... ed io non posso softrarmi al suo calore ». Questo « fuoco consumante » opererà la felice trasformazione di cui parla san Giovanni della Croce: « Ciascuno — egli dice — sembra essere l'altro, e tutti e due non sono che uno», per essere lode di gloria al Padre»".

7. Curioso è il fatto che, mentre l'ultimo ritiro di « Lau-dem gloriae » termina con un movimento dell'anima verso la inabitazione della Trinità, invece il piccolo trattato composto •per la sorella, per insegnarle come trovare il paradiso sulla

27 Ultimo ritiro VII, '•"' L'ìtimo ritiro VII.

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terra, si chiude con un'elevazione che riassume tutto l'ufficio di una lode di gloria; variazione, questa, che trova però la sua spiegazione nell'unità concreta della psicologia religiosa di suor Elisabetta della Trinità negli ultimi giorni della sua vita.

Questa pagina meno nota della sua preghiera, merita tutta la nostra attenzione. Sotto l'azione irresistibile della grazia, suor Elisabetta ci scopre, nella ultima ora della sua vita, il suo ideale supremo di santità.

Riprendendo il testo di san Paolo agli Efesini da cui era stata così fortemente colpita e che si può considerare, infatti, come il punto classico della teologia sul senso ultimo della nostra predestinazione in Cristo, la sua squisita anima di artista canta su quel tema, con ritmo fortemente accentuato, il suo ufficio supremo, quaggiù. Nulla v'è da aggiungere al suo pensiero così denso e dottrinale, che si può considerare come il testamento del suo cuore, non solo alla sorella, ma anche a tutte le anime che vorranno realizzare, a suo esempio, l'ufficio di una lode di gloria.

« In Lui siamo stati predestinati, per decreto di Colui che tutto opera secondo il consiglio della sua volontà, ad essere la lode della sua gloria »M. È san Paolo che ce lo dice, san Paolo istruito da Dio stesso. Come attuare questo grande ideale del cuore del nostro Dio, questa sua volontà immutabile riguardo alle anime nostre? Come, in una parola, rispondere alla nostra vocazione e divenire lodi perfette di gloria alla santissima Trinità? In cielo, ogni anima è una lode di gloria al Padre, al Verbo ed allo Spirito Santo, perdio ognuna è stabilita nel puro amore e non vive più della vita propria, ma di quella di Dio. Allora, essa Lo conosce, dice san Paolo, come è conosciuta da Lui.

In altri termini:

Lode di gloria è un'anima che ha posto la sua dimora in Dio, che Lo ama con amore puro e disinteressato, senza cercare se stessa nella dolcezza di questo amore; un'anima che Lo ama al di sopra di tutti i suoi doni, anche se nulla avesse

CT Efesini, I, 11-12.

130

ricevuto da Lui, e che desidera il bene dell'oggetto a tal punto amato. Ma come si può desiderare e volere effettivamente del bene a Dio, se non compiendo la sua volontà? Poiché questa volontà dispone tutte le cose per la sua maggior gloria. Quest'anima deve dunque abbandonarvisi pienamente, perdutamente, fino a non poter volere altra cosa se non ciò che Dio vuole.

Lode dì gloria è un'anima di silenzio che se ne sta come un'fu'pa sotto il tocco misterioso dello Spirito Santo, perché Egli ne tragga ni-monic divine. Sa che il dolore è la corda che produce i suoni più belli; perciò è contenta che vi sia questa corda nel suo strumento, per commuovere più deliziosamente il cuore del suo Dio.

Lode di gloria è un'anima che contempla Dio nella fede e nella semplicità; è un riflesso di tutto ciò che Egli è; come un abisso senza fondo nel quale Egli può riversarsi ed espandersi; è come un cristallo attraverso il quale può irradiare e contemplare le proprie perfezioni e il proprio splendore. Un'anima che permette in tal guisa all'Essere divino di saziare in lei il bisogno che Egli ha di comunicare tutto ciò che è e tutto ciò die possiede, è veramente la lode di gloria in tutti i suoi doni.

Finalmente, una lode di gloria è un'anima immersa in un incessante ringraziamento; tutti i suoi atti, i suoi movimenti, i suoi pensieri, le sue aspirazioni, mentre la fissano più profondamente nell'amore, sono come una eco del Sanctus eterno. Nel cielo della gloria, i beati non hanno riposo ne giorno ne notte, ma sempre ripetono: — Santo, santo, santo, il Signore onnipotente... — e prostrandosi, adorano Colui che vive nei secoli dei secoli.

Nel ciclo dell'anima sua, la lode di gloria inizia già l'ufficio che sarà suo in eterno; il suo cantico è ininterrotto e, benché non ne abbia sempre coscienza perché la debolezza della natura non le consente di fissare il suo pensiero in Dio senza distrazioni, pure rimane sempre sotto l'azione dello Spirito Santo che opera tutto, in lei. Canta sempre, adora sem-

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pre, è, per così dire, interamente trasformata nella lode e'nell'amore, nella passione della gloria del suo Dio.

Nel cielo dell'anima nostra, procuriamo di essere lode di gloria della Trinità santa, lode d'amore della nostra Madre Immacolata. Un giorno il velo cadrà, e saremo introdotte negli atri eterni; ivi canteremo nel seno stesso dell'Amore infinito, e Dio, ci darà il nome nuovo promesso al vincitore. E quale sarà questo nome? » « Laudem gloriae » ".

33 « II paradiso sulla terra » - 13' orazione.

132

CAPITOLO QUINTO

LA CONFORMITÀ A CRISTO

« ...Che io gli sia quasi un prolungamento di umanità... ».

1. La nostra predestinazione in Cristo - 2. La presenza intima di Gesù - 3. Devozione all'anima di Cristo - 4. Identificare i movimenti dell'anima propria a quelli dell'anima di Cristo -5. Esprimere Cristo allo sguardo del Padre - 6. Essere per Lui quasi un prolungamento di umanità - 1. La conformità alla Sua morte.

Una nota comune a tutti ricongiunge i santi delle più varie scuole: l.i loro conformità a Cristo: « J predestinati —-ci elice san Paolo — devono essere conformi all'immagine del Figlio » '.

Secondo l'assioma tradizionale, il cristiano è un altro Cristo: Chrislianus alier Christiis.

Ma questa grazia della conformità a Cristo è essenzialmente multiforme; alcuni riproducono con particolare evidenza qualche aspetto della vita di Gesù: il suo silenzio di Naza-rcth, il fascino potente della sua parola sulle folle e il suo ascendente sulle anime; oppure, i lineamenti del Messia sofferente, come Geremia, le ignominie della passione e l'abbandono dei « suoi », come Giobbe; la sua umiltà, la sua pazienza, il suo disprezzo delle ricchezze, la sua vita adorante e riparatrice, il suo amore per il Padre; oppure, i suoi lumi sapienti di Dottore, la sua prudenza di capo supremo della Chiesa, la forza del suo martirio sulla Croce. I prediletti imitano il Maestro nel distacco assoluto: « Sono i vergini, e se-

' Romani, VITI-29.

133

guono l'Agnello ovunque Egli vada »2. La santità di Cristo è, in qualche modo, infinita; Gesù offre in se stesso un modello di tutte le virtù, e Dio potrebbe moltiplicare senza limite i santi, sulla terra, senza esaurire le ricchezze incomprensibili della grazia capitale di Cristo, esemplare della nostra.

Non deve quindi farci meraviglia il ritrovare in suor Elisa-betta questa viva rassomiglianza col suo Maestro. « Vivo enìm, ]am non ego; vivit vero in me Chrislus » '': ecco l'ideale della mia anima di Carmelitana ».

Questa trasformazione in Cristo, iniziatasi al battesimo, continua senza interruzione attraverso tutte le fasi della sua vita. Scriveva nel suo diario di fanciulla: « Vorrei farlo amare da tutta la terra...». «L'amo, fino a morirne»'. E le feste, anche le più mondane, non potevano strapparla all'invisibile presenza del suo Cristo. Divenuta Carmelitana, con quale appassionato ardore premeva sul cuore il bei Cristo della sua professione che recava il motto: « ]am non ego, vivit vero iti me Christus! ».

Cristo è al centro della sua preghiera sublime alla Trinità, nella quale esprime in uno slancio di amore tutto il respiro della sua vita inferiore: « O mio Cristo adorato, io vorrei essere una sposa per il tuo cuore... Vorrei amarti, fino a morirne ». Nel suo letto di dolore, non sogna che di « morire trasformata in Gesù Crocifisso ». La devozione al Cristo occupa un posto centrale nella sua dottrina come nella sua vita. A quale sorgente l'ha attinta?

Durante il ritiro conventuale predicato nell'ottobre 1902, il Padre Vallee aveva esposto energicamente e in un'altissima luce contemplativa i grandi principi della cristologia tomista;

aveva particolarmente insistito sulla natura del Verbo Incarnato e sul suo carattere essenziale di Salvatore, sulla grazia capitale, la scienza, l'amore, la preghiera di Cristo... ecc... Questo ritiro, privo di consolazioni interiori, aprì a suor Elisa-betta orizzonti sconfinati sul mistero di Cristo e queste luci

2 Apocalisse, XIV-4.

3 Lettera al sacerdote Don Ch. - 23 Novembre 1904.

4 Diario: 30 Gennaio - 1° Marzo 1899.

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nuove entrarono immediatamente nella sua vita. « Abbiamo avuto un ritiro così bello, così profondo, così divino! Il Padre Vallee ci ha spiegato sempre Gesù Cristo, e vi avrei voluta vicina a me, perché l'anima vostra esultasse insieme alla mia.

Noi siamo in comunione continua col Verbo Incarnato, con Gesù che dimora in noi e vuole dirci tutto il suo mistero. La vigilia della sua Passione, parlando dei « suoi. », diceva al Padre: « Io ho fatto conoscere ad essi le parole che mi hai comunicato; ho dato loro la luce che ho avuto in Tè, prima' che il mondo fosse » 5. Egli è sempre vivo, sempre operante nell'anima nostra: lasciamoci formare da Lui, e che Egli sia l'anima della nostra anima, la vita della nostra vita, aftinché possiamo dire con san Paolo: « Per me, vìvere è Cristo ». Egli non vuole che ci rattristiamo, considerando ciò che non abbiamo fatto interamente per Lui. È il Salvatore; la sua missione è perdonare. E il reverendo Padre, durante il ritiro, ci diceva: « Non vi è che un desiderio nel cuore di Cristo: cancellare il peccato e portare l'anima a Dio » °.

Soprattutto le Epistole di san Paolo furono sorgente di luce per l'anima sua: in esse, suor Elisabetta se ne andava a « bere Cristo », secondo la espressione di sant'Ambrogio. E non avrebbe potuto porsi ad una scuola migliore. Il Dottore delle genti aveva ricevuto da Dio la missione di manifestare al mondo le ricchezze di grazia, i tesori di scienza e di sapienza divina nascosti in Cristo. « Cor Pauli, cor Christi »:

Paolo aveva il cuore di Cristo. Le formule di fede che egli scriveva ai primi cristiani contengono in compendio tutto l'insegnamento della Chiesa sul mistero di Cristo.

Suor Elisabetta della Trinità, temperamento di artista, così libera nell'ispirazione, così nemica di ogni metodo troppo rigido, pure aveva organizzato tutto uno schedario per lo studio del suo caro san Paolo. Queste note, bene analizzate, con riferimenti precisi, rimandano, per la massima parte, ad uno degli aspetti del mistero di Cristo. Ricorreva sovente ai testi dell'Apostolo per appoggiarvi i movimenti della sua anima

5 San Giovanni, XVII, 8-22. c Lettera alla signora A... - 9 Novembre 1902.

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contemplativa; e più di una volta nelle sue lettere o nei suoi due ritiri, le capita di citarne dei lunghi passi per intiero, a tale punto il suo pensiero si era identificato con quello del santo.

La nostra predestinazione in Cristo, e la restaurazione di tutte le cose in Lui, la nostra incorporazione al Figlio di Dio, capo del corpo mistico costituito da tutti i redenti, la necessità che abbiamo di immedesimarci con tutti i sentimenti della sua anima divina, di esprimerlo agli sguardi del Padre, di essere per Lui, in certo modo, un prolungamento di umanità in cui Egli possa rinnovare tutto il suo mistero di Cristo adoratore e Salvatore... — tutti questi grandi orizzonti della teologia della redenzione divengono familiari, nel contatto con san Paolo, al pensiero contemplativo di suor Elisabetta della Trinità e le danno quelle ampiezze dottrinali che sono la ricchezza e la forza dei suoi scritti spirituali.

Enumerare quasi tutti i testi da lei utilizzati, importerebbe delle citazioni innumerevoli. Noi rileveremo soltanto le grandi linee della dottrina mistica che quei testi le hanno ispirata.

1. Il contatto con san Paolo conferisce alla dottrina di suor Elisabetta un carattere cristocentrico molto accentuato. Essa studia con speciale cura il testo fondamentale dell'Epistola ai Romani, in cui san Paolo sviluppa tutto il senso della nostra predestinazione in Cristo: « Quelli che Dio ha conosciuti nella sua prescienza, li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del figlio suo; e quelli che ha predestinati, li ha pure chiamati; quelli che ha chiamati li ha giustificati; e quelli che ha giustificati li ha anche glorificati » 7.

Tale si presenta, allo sguardo dell'Apostolo, il mistero della predestinazione della elezione divina.

« Quelli che Egli ha conosciuti ». Non siamo noi pure di questo numero? Non può forse, Iddio, dire a ciascuna delle anime nostre ciò che disse un giorno con la voce del Profeta: « Ti sono passato accanto, e ti ho guardala; e sopra

7 Romani, Vili, 29-30.

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di tè ho spiegato il mio manto; ti ho giurato fede, ho stretto con tè un patto, e tu sei divenuta mia »? 8.

Sì, noi siamo divenute sue col battesimo; questo appunto vuoi dire san Paolo con le parole: « Li ha chiamati », chiamati a ricevere il sigillo della Trinità santa; mentre ci dice san Pietro che « siamo stati fatti partecipi della natura divina »9, che abbiamo ricevuto quasi un « inizio del suo Essere ».

Poi, ci ha giustificati coi suoi Sacramenti, coi suoi tocchi, diretti nelle intime profondità dell'anima raccolta; ci ha giustificati anche « mediante la fede » e secondo la misura della nostra fede nella redenzione acquistataci da Gesù Cristo. Finalmente, vuole glorificarci; e perciò, dice san Paolo, « ci ha resi degni di aver parte alla eredità dei santi, nella luce » ";

ma noi saremo glorificati nella misura in cui saremo trovati « conformi alla immagine del suo dìvin Figlio ».

Contempliamo dunque questa immagine adorata; restiamo sempre nella luce che da essa irradia e facciamo che si imprima in noi; poi accostiamoci alle persone, alle cose, con le stesse disposizioni di animo con cui vi si recava il nostro Maestro santo; allora realizzeremo la grande « volontà per la quale Dio ha in sé prestabilito di instaurare tutte le cose in Cristo » ".

Invece di soffermarsi, come farebbe un teologo speculativo, sull'economia provvidenziale della nostra redenzione in Cristo, suor Elisabetta della Trinità, tralasciando ogni esposizione puramente teorica, ne fa immediatamente l'applicazione all'anima sua, cercandovi una « regola di vita ».

« Istaurare omnia in Christo ». È ancora san Paolo che mi istruisce; san Paolo che si è ora inabissato nel grande consiglio di Dio, e mi dice che « Egli ha stabilito di instaurare tutte le cose in Cristo ». E l'Apostolo viene ancora in mio aiuto; perché io possa realizzare personalmente questo piano divino, mi traccia egli stesso un regolamento di vita: « Cammi-

8 Ezedhicle, XVI-8.

9 II Pietro, 1-4.

••) Colossesi, 1-12.

" Efesini, I, 9-10 — «II paradiso sulla terra» - 9' orazione.

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nate in Gesù Cristo, radicati in Lui, corroborati nella fede... e crescendo sempre più in Lui con rendimento di grazie » ".

Ogni punto di questo programma le suggerirà una parafrasi mistica di ordine pratico. Non chiedetele un'esegesi obiettiva secondo le rigorose leggi del metodo storico; suor Elisa-betta legge san Paolo da contemplativa, cercando nella sacra Scrittura « la luce di vita » per l'anima sua. E intanto, in questo apparente commento delle formule paoline, essa ci svela il suo pensiero spirituale più intimo.

Da vera Carmelitana, insiste prima di tutto — e con molta forza — sul totale spogliamente, condizione preliminare dell'unione divina.

« Camminare in Gesù Cristo » è uscire da se stessi, è perdersi di vista, abbandonarsi, per entrare più profondamente in Lui, ad ogni istante; tanto profondamente, da radicarvisi e da poter lanciare ad ogni avvenimento, ad ogni creatura, questa bellissima sfida: « Chi mi separerà dalla carità di Cristo? » ". Quando l'anima è stabilita in Lui a tale profondità che le sue radici vi affondano, la linfa divina fluisce, si riversa in lei abbondante; e tutto ciò che è imperfetto, banale, naturale, viene distrutto. « Ciò che è mortale viene assorbito dalla vita » ".

Allora, così spogliata di se stessa e rivestita di Gesù Cristo, l'anima non ha da temere ne i contatti esterni ne le interne difficoltà, perché queste cose, anziché esserle di ostacolo, non fanno che radicarla più profondamente nell'amore del suo Maestro. Qualunque cosa avvenga, favorevole o contraria, anzi servendosi di tutto ciò « sempre lo adora per Lui stesso », perché è libera, affrancata da sé e da ogni cosa, e può cantare col Salmista: « Mi assedi un esercito, non teme il mio cuore; insorga contro di me la battaglia, io spero ugualmente, perché Jahveh mi nasconde nel segreto della sua tenda » ", e questa tenda è Lui.

" Colossesi, II, 6-7 - Ultimo ritiro, XIII.

13 Romani. Vili, 35.

14 Ai Corinti, XV, 54. » Salmo XXVI, 3, 5.

138

Tutto questo mi sembra che voglia dire san Paolo quando ci esorta ad essere « radicati » in Gesù Cristo.

E che cosa significa essere « edificati in Lui? ».

Il Proreta canta: « Mi ha innalzato sopra una rupe, ed ora la mia testa, sovrasta i nemici che mi circondano » 18.

Non è torse questa la figura dell'anima « edificata da Gesù Cristo? ». È Lui la "rupe sulla quale ella è stata elevata al di sopra di se stessa, dei sensi, della natura, al di sopra delle consolazioni e dei dolori, al di sopra di tutto ciò che non è unicamente Lui. E lì, nel pieno possesso di sé, è dominatrice del suo « io »; e, superando se stessa supera anche tutte le cose.

Ma san Paolo mi raccomanda ancora di essere « corroborata nella fede », in quella fede che non permette mai all'anima di sonnecchiare, ma che la tiene tutta vigilante sotto lo sguardo del Maestro, tutta raccolta sotto la sua parola crea-trice; in quella fede « nell'eccessivo amore » ", che permette a Dio, mi dice san Paolo, di colmare l'anima « secondo la sua pienezza » ls.

Infine, vuole che io « cresca in Gesù Cristo con l'azione di grazie », perché tutto deve compiersi nel ringraziamento. « Padre, io ti rendo grazie » 19, cantava l'anima del mio Maestro;

ed Egli vuoi sentire l'eco dell'anima mia » ".

2. Mentre, per la maggior parte dei cristiani. Cristo è un 'personaggio storico scomparso da ormai venti secoli dalla scena del mondo, oppure è un'entità astratta involatasi nelle profondità del cielo in un'eternità inaccessibile, per suor Eli-sabctta della Trinità, come per tutti i santi. Gesù è una realtà concreta, quotidiana, unita ai minimi particolari della loro esistenza; in una parola è la realtà suprema. La presenza, invisibile, ma così prossima, li segue ovunque; ad ogni istante, essi sentono lì, accanto a loro, Gesù questo Figlio di Dio e della

16 Salmo XXVI, 6,

17 Efesini, 11-4.

13 Efesini, IIT-19.

"' San Giovanni, XI-41.

20 Ultimo ritiro, XIII.

139

Vergine che li arricchisce con la sua grazia, li illumina, li sostiene, li rimprovera se è necessario, li salva, comunica loro l'eterna vita.

Per comprendere questa dottrina della presenza intima di Gesù nella vita dei santi, bisogna ricordare che Cristo, come Verbo, è presente dovunque, insieme al Padre ed allo Spirito Santo. La Trinità rimane indivisibile. Col Padre e con lo Spirito Santo, il Verbo riempie il tempo e lo spazio; ne vi è un atomo solo, nell'universo, che non sia compenctrato della sua divina presenza; se Egli si ritraesse, tutta la creazione ricadrebbe nel nulla.

Come Verbo Incarnato, Egli è presente in ciclo dove, splendente di gloria, sazia i beati e li inebria con la bellezza del suo volto; ed è presente nell'Ostia santa, con la sua Umanità velata. « Ma è sempre il medesimo che gli eletti contemplano nella visione e che le anime della terra possiedono nella fede » 21. Degli uni e degli altri, Egli è la vita, comunicando alle schiere dei predestinati la luce di gloria che li fa beati, e donandosi alla Chiesa militante per mezzo della fede e dei sacramenti. Da Lui, giorno e notte, « emana una virtù segreta » 22 che li santifica; e il suo contatto, ad ogni istante, divinizza l'anima dei santi. Tutto ci viene dall'Umanità di Cristo, « organo del Verbo » e strumento universale di tutte le grazie che discendono dalla Trinità sulle anime; da Cristo, grazia, luce, forza e carismi di ogni genere di cui la Chiesa ha bisogno per compiere la sua missione sulla terra; in Cristo, noi abbiamo l'essere, il movimento, la vita nell'ordine soprannaturale e, senza di Lui, non possiamo nulla: «Sine Me, nzhil»23.

La teologia cattolica ha dato un forte rilièvo a questo punto di vista, in una dottrina di massima importanza nell'economia della nostra vita spirituale: la grazia capitale di Cristo. La vita trinitaria del nostro battesimo non si sviluppa in noi che « in Cristo Gesù: in Christo Jesu » ".

21 Lettera alla zia R... - 1903.

22 San Luca, VI-19.

23 San Giovanni, XV, 5.

2i Efesini, J, 3 e spessissimo in san Paolo.

140

Questa dottrina era il punto centrale, il fulcro di tutti i moti dell'anima di suor Elisabetta della Trinità. Le era molto caro rifugiarsi ad ogni istante sotto la grazia di questo dolce Cristo vivente in lei, nell'intimo dell'anima sua! « Sento che Egli mi comunica la vita eterna »2S.

Aveva preso l'abitudine di andare a Lui per ogni cosa, supplicandolo di rivestirla della sua divina purezza, di custodirla vergine, di elevare l'anima sua al di sopra delle terrene agitazioni, di man tenerla calma e serena, come se già fosse nell'eternità.

« Stiamocene raccolte vicino a « Colui che È », vicino al-l'Immutnbile il cui amore ci avvolge sempre. Noi, ciascuna di noi, siamo colei che non è; andiamo a Lui che ci vuole tutte sue e talmente ci possiede che non viviamo più, noi, ma Egli vive in noi » ~". « È così ineffabile e soave la divina presenza del Maestro, e da all'anima tanta forza! Credere che Dio ci ama ;il punto di abitare in noi, di farsi il compagno del nostro esilio, il confidente, l'amico di tutti gli istanti, è l'intimità dolcissima del bimbo con la mamma, della sposa con lo sposo. Ecco la vita della Carmelitana: l'unione è il suo splendido sole, ed orizzonti sconfinati si spiegano dinanzi al suo sguardo » -7.

Questa intima unione con Cristo presente nell'anima sua, eia divenuta il punto di convergenza della sua fede, della sua carità, della sua vita di preghiera e di adorazione.

« Rininnetc in me » "'. È il Verbo di Dio che ci da questo comando, che esprime questa volontà. « Rimanete con me », non per qualche minuto, per qualche ora che passa, ma rimanete in modo permanente, abituale. Rimanete in me, pregate in me, adorate in me, amate in me, soffrite in me, lavorate, agite in me. Rimanete in me quando vi incontrate in qualslasi persona o cosa » "~9.

25 Alla Madre Priora.

Lr Lettera a M. G... - 1901.

2 Lettera a G. de G... - 1903.

2' San Giovanni, XV-4.

'-"' a II paradiso sulla terra » - Orazione 2'.

141

Uno dei suoi atteggiamenti preferiti consisteva. nel raccogliersi in contemplazione dell'« eccessivo amore » di Cristo, e lasciarsi tutta invadere e possedere da Lui. « San Paolo dice che « non siamo più pellegrini o stranieri, ma concittadini dei santi e della famiglia di Dio » ".

Là, in quel mondo soprannaturale e divino, già noi abitiamo mediante la fede. La mia visione, qui sulla terra, è il Suo amore, « il suo eccessivo amore », come si esprime il grande Apostolo. Mi pare che sia proprio questa la scienza dei santi. San Paolo, nelle sue magnifìche epistole, non predica che questo mistero della carità di Cristo.

« 11 Padre del Signore nostro Gesù Cristo vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere fortemente corroborati nell'uomo intcriore per mezzo del suo Spirito e faccia sì che Cristo abiti nei vostri cuori con la fede e voi, radicati e fortificati in amore, siate resi capaci dì comprendere, con tutti i santi, quale sia la larghezza e la lunghezza e l'altezza e la profondità, e di intendere l'amore di Cristo che sorpassa' ogni scienza, affinchè siate ripieni di tutta la pienezza di Dio»31.

Poiché Cristo abita nelle anime nostre, la sua preghiera ci appartiene, ed io vorrei esserne partecipe sempre, stando presso la fontana della vita come un piccolo vaso alla sorgente delle acque, e poterla quindi comunicare alle anime, lasciandone straripare le onde di carità infinita » ".

Le espressioni di suor Elisabetta sulla presenza di Gesù in noi sono di una tale vivezza che, prese troppo alla lettera, potrebbero indurre alla conclusione di una vera e propria abitazione di Gesù in noi. Ma lei stessa mette in guardia la mamma contro una simile esagerazione: « Non puoi possedere di continuo l'Umanità santa di Gesù, come allorché ricevi la santa Comunione; ma la Divinità, quell'Essenza che i beati adorano in cielo, è nell'anima tua » ".

Fatta questa riserva, si abbandona liberamente agli slanci

30 Efesini, II, 19.

31 Efesini, III, 14-19.

32 Lettera al sacerdote Don Ch... - Dicembre 1904.

33 Lettera alla mamma - Giugno 1906.

142

dell'anima sua che la riconducono sempre nell'intimo, per vi-vervi nell'unione più stretta col Maestro divino e lasciarsi salvare e santificare da Lui. « Egli è in noi per santificarci; chiediamogli dunque che sia Lui stesso la nostra santità. Quando Gesù era sulla terra, « una virtù segreta, dice il Vangelo, emanava da La;»31; e, al suo contatto, i malati guarivano, i morti risuscitavano alla vita. Egli è vivo sempre; vivo nel suo Sacramento adorabile, vivo nelle anime nostre; l'ha detto Lui stesso: « Se alcuno mi ama, custodirà la mia parola, e il Padre mio l'amera; e noi verremo a lui, porremo in lui la nostra dimora » ".

Poiché Egli è qui, teniamogli compagnia, come l'amico all'amico diletto. Questa unione divina e tutta intima è, si può dire, l'essenza della vita al Carmelo. « L'anima possiede, nel suo intimo centro, un Salvatore che la purifica ad ogni

istante » 3B.

« I! Divino Adorante è in noi, quindi la sua preghiera ci appartiene. Offriamola; partecipiamovi; preghiamo con la sua

stessa anima » 37.

3. La nota veramente caratteristica di suor Elisabetta è la sua devozione così personale all'anima di Cristo.

Altre anime si sentono portate ad onorarlo in questo o quell'altro dei suoi misteri, a venerare una od un'altra parte del suo Corpo santissimo; la devozione di suor Elisabetta va diritta all'anima di Cristo, capolavoro della Trinità.

Per ragione della sua personale unione al Verbo di Dio, tutto quanto il Cristo è adorabile: in se stesso e in ciascuno dei suoi misteri; ma l'anima di Gesù è quanto vi è di più nobile nel Verbo Incarnato, dopo la sua unione ipostatica. Tutta la sublime attività degli spiriti e dei santi non vale il minimo atto di virtù dell'anima di Cristo, rivestita di una pienezza di grazia in qualche modo infinita, che la rende degna

••••• San Luca, VI-19.

35 San Giovanni, XIV-23.

3n Lettera alla signora A... - 24 Novembre 1904 e nov. 1905.

37 Lettera a G. de G... - Fine Settembre 1903.

143

della Persona increata del Verbo Incarnato; l'anima di Cristo, nella quale la Trinità santa trova infinite compiacenze, nella quale vi sono abissi di luce, di amore, di divine bellezze, la cui contemplazione intuitiva sarà, dopo la visione di Dio, la gioia più grande dell'eternità.

Gesù non diceva infatti al Padre suo, presenti i discepoli:

« Contemplare svelatamente Tè e il tuo ('.risii): ecco la vidi eterna? » 38.

4. Suor Elisabetta della Trinità seppe comprendere fino a che punto il Cristo è nostro « Sento che tutti i tesori dell'anima di Cristo mi appartengono » 39. E nel formulario riempito otto giorni dopo la sua entrata al Carmelo, scriveva che « l'anima di Cristo era il suo libro preferito ». Fin dalla prima sera, la Madre Germana la trovò tutta silenziosa e raccolta presso il grande Cristo che domina il giardino. — Che cosa fai costì, figliola? — le chiese.

— Sono passata nell'anima del mio Cristo n — fu la risposta di suor Elisabetta.

E prende come parola d'ordine della sua vita religiosa:

« Rendere i movimenti della propria anima sempre più uguali a quelli dell'anima di Cristo »; risoluzione che diviene una commovente realtà, a mano a mano che la sua vita spirituale si svolge e progredisce; tutto Io studio della sua vita intcriore tende a « penetrare nel movimento dell'anima divina di Gesù » " ed a lasciarsi portare con Lui nel seno del Padre.

Nella sua preghiera, alla quale bisogna ritornare sempre per sorprendere il ritmo più segreto della sua vita spirituale, le note più essenziali di questa divozione all'anima di Cristo si manifestano con evidenza, e tutta riassumono la sua dottrina su questo punto: « O mio Cristo adorato, crocifisso per amore... ti chiedo di rivestirmi di Tè, di identificare i movimenti della mia anima a quelli della Tua anima, di sommer-

33 San Giovanni, XVII-3.

39 Lettera al Canonico A... - 11 settembre 1901.

'10 Questo particolare mi è stato comunicato direttamente dalla Madre Germana.

41 Lettera alla signora A... - 29 Settembre 1902,

144

germi, di pervadermi, di sostituirti a me, così che la mia vita sia un riflesso della Tua vita ».

5. Uno dei più mirabili effetti di questa divozione fu di immedesimare suor Elisabetta della Trinità con i sentimenti più intimi di Gesù verso il Padre suo.

Ben lo sanno i teologi: un duplice movimento spirituale faceva vibrare senza posa l'anima di Gesù Cristo: la redenzione del mondo e la gloria del Padre. Per questo, Egli si è incarnato: per salvare gli uomini e, dopo averli purificati dai loro peccati nel suo sangue, farne gli adoratori della Trinità. E nei minimi atti di Gesù, nei minimi suoi gesti, chiaramente si manifesta come ciò che più di tutto e prima di tutto gli sta a cuore sia la gloria del Padre. Per il Padre è il suo primo pensiero, entrando nel mondo: « Tu non hai più voluto gli olocausti ne i sacrifici degli uomini; eccomi, io vengo per immolarmi allii Tua gloria » 42.

Di tutto il mistero dell'infanzia e della vita nascosta di Gesù, un solo episodio ci è noto: il suo indugio nel Tempio ove fu ritrovato e la sua risposta alla Madre: « Non sapevate che io devo attendere a ciò che riguarda il Padre mio? »43. Quest'unica parola di Lui che affiora dal vasto silenzio di trenta anni, illumina come folgore tutto il mistero di Gesù.

Come Maria, bisogna che lo sappiamo noi pure che il Figlio è venuto prima di tutto per la gloria del Padre. Nella sua vita pubblica, Gesù lo dichiara in modo da non lasciarci alcuna incertezza in proposito.

« Uguale » al Padre come Dio, (« II Padre ed io, non siamo che Uno »}^ tuttavia, nella sua umanità, Gli tributa sottomissione e riverenza in tutti i suoi atti. « Taccio sempre — afferma — ciò che a Lui piace » 4&,

Analizziamo attentamente, per esempio, l'incontro con la Samaritana; e comprenderemo che il punto culminante di questo episodio che ha mutato la storia religiosa dell'umanità, con-

42 Salmo XXXIX-7,

43 San Luca, 11-49.

-1 San Giovanni, X-20.

-" San Giovanni, VIII-29.

145

siste e si rivela nel desiderio più segreto del Cuore di Gesù:

trovare « degli adoratori in spirito e verità, che tali sono appunto gli adoratori che il Padre domanda; Poter quaerìt » w.

Tutto il Vangelo di san Giovanni bisognerebbe citare, e particolarmente la preghiera sacerdotale di Cristo, confidenza suprema del suo cuore, dove la Chiesa troverà, sino alla fine dei secoli, l'alimento per la sua vita contemplativa. Il Maestro divino da uno sguardo alla propria vita, quindi la riassume in due sole parole: « Glorificavi Tè, Padre, sulla terra, io ti ho glorificato » ". E le sue ultime parole di Crocifisso, Gesù morente le rivolge tutte al Padrew. Appena risorto, parla ancora del « Padre suo che è Padre nostro, del Dio suo che è Dio nostro » '".

San Paolo ce lo mostra, nella sua vita di eternità, « sempre dinanzi al Volto del Padre, intercedendo in nostro favore »5:), in attesa del gesto supremo col quale, alla fine dei tempi, « consegnerà il regno al Padre suo. Allora, sarà la fine » ".

Suor Elisabetta della Trinità ebbe coscienza, in grado veramente raro, dell'assoluta preminenza che la gloria del Padre aveva su tutti i sentimenti più intimi dell'anima di Gesù, di Colui che fu « la più perfetta lode di gloria del Padre » e della Trinità. I testi che ci ha lasciato a questo riguardo sono poco numerosi ma espliciti, e si trovano inseriti nella linea del suo pensiero più maturo. « Nel sublime discorso dopo la Cena, che è come un ultimo canto di amore dell'anima di Gesù, Egli rivolge al Padre questa attestazione: « Ti ho glorificato, sulla terra; ho compiuto l'opera che Tu mi avevi affidala » '"'. Noi, consacrate a Lui, noi, spose, che dobbiamo quindi essergli perfettamente somiglianti, dovremmo potergli ripetere queste stesse parole, al tramonto di ogni nostra giornata.

4e San Giovanni, IV-23.

47 San Giovanni, XVII-4.

48 San Luca, XXIII-46.

49 San Giovanni, XX-17.

s0 Ebrei, VII-25.

" Corinti, X-24,

52 San Giovanni, XVII-4.

146

Mi domanderete:— Ma come Lo glorificheremo? — È semplicissimo; e Gesù stesso ce ne confida il segreto quando ci dice: « Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandalo » ".

E intanto una misteriosa trasformazione veniva operandosi nell'anima di suor Elisabetta della Trinità, che era tutta applicata a studiare e ricopiare in sé i movimenti dell'anima di Cristo. Il motto di san Paolo: « Mihi vivere Christus est » ''', realizzandosi in lei, le dettava una formula che traduce benissimo il carattere tutto proprio della sua devozione al Figlio di Dio: « Esprimere il Cristo allo sguardo del Padre », formula che racchiude il più alto ideale del cristiano.

« Stimo perdita tutte le cose, rispetto alla superiorità trascendente della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per amore di Lui, ho perduto tutto..., e tutte le cose stimo come immondizia, per conquistare Cristo, e per potere essere trovato in Lui non avente una giustizia mia, ma la giustizia che viene da Dìo, basata sulla fede. Ciò che io voglio, è conoscere Lui, è la partecipazione alle sue sofferenze, la conformità alla sua morte... Continuo la mia corsa studiandomi di arrivare là dove Cristo mi ha destinato chiamandomi. Mi preoccupo di una cosa sola: dimenticando tutto db che lascio indietro, e slanciandomi costantemente verso db che mi sta dinanzi, correre diritto alla mèta, al premio della superna vocazione alla quale Dio mi ha chiamato in Cristo Gesù » ".

Di tale vocazione, l'Apostolo ha spesso rivelato la grandezza. « Dio — egli dice — ci ha eletti in Lui prima della creazione, nell'amore » 5". « Siamo sta fi predestinati per decreto di Colui che tutto opera secondo il consiglio della Sua volontà, affinchè siamo la lode della Sua gloria»".

Ma come rispondere alla dignità di questa vocazione? Ecco il segreto: « Mi hi vivere Christus est... Vivo enim, jam non

53 Lettera alla signora A... - 1906.

54 Filippesi, 1-21.

" Filippesi, ITI; 8... 14.

!SB Efesini. [-4.

" LIcm..., 11, 12.

147

ego, vivit vero in me Christusss. Bisogna essere trasformati in Gesù Cristo, m'insegna san Paolo: « Coloro che Dio ha conosciuti nella sua prescienza, li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo » a9.

È necessario dunque che io studi questo divino Modello per imitarlo e divenire cosi conforme a Lui, da potere esprimerlo allo sguardo del Padre.

E, prima di tutto, che cosa dice Egli entrando nel mondo? « Eccomi, vengo, o mio Dio, per fare la tua volontà » ". Questa preghiera mi pare che dovrebbe essere il palpito del cuore della sposa.

Il Maestro divino fu così verace in questa prima oblazione! e tutto il resto della sua vita non ne fu, per così dire, che la conseguenza: « Mio cibo — sì compiaceva di ripetere — è fare la volontà di Colui che mi ha mandato » e1. E cibo dovrebbe essere anche per la sposa la volontà di Dio, pur essendo al tempo stesso spada che la immola.

« Padre, se è possibile, allontana da ine questo calice;

ma si faccia la tua volontà e non la mìa » "2. E in pace, con gioia, va incontro ad ogni immolazione insieme al suo Maestro, rallegrandosi di « essere stata conosciuta » dal Padre, dal momento che la crocifigge insieme al Figlio suo.

« Ho preso le tue leggi per mia eredità in eterno, perché esse sono la delizia del mio cuore » °3. Ecco il canto dell'anima del mio Maestro, canto che deve avere una larga eco in quella della sposa; con la sua fedeltà di ogni momento a queste leggi esterne ed interne, essa renderà testimonianza alla verità e potrà dire: « Colui che mi ha mandata non mi ha lasciata sola; Egli è sempre con me, perché io faccio sempre ciò che a Lui piace » 64.

Non lasciandolo mai, mettendosi intensamente a contatto

58 Calati, 11-20.

59 Romani, VIII-29. 63 Ebrei, X-9.

61 San Giovanni, IV, 36.

62 San Matteo, XXVI-39.

o Salmo CXVIII, 111.

84 San Giovanni, VIIT, 29.

148

con Lui ella potrà irradiare quella virtù segreta che salva e redime le anime. Spoglia, libera di se stessa e di tutte le cose, potrà seguire il Maestro sul monte, per elevare dalla sua anima, con Lui, un'orazione a Dio.

Poi, sempre per mezzo del divino Adorante, di Colui che fu la grande lode di gloria del Padre, « offrirà ininterrottamente a Dio un'ostia di lode, cioè il frutto delle labbra che rendono gloria ni Suo Nome. E lo loderà nelle espansione delia sua potenza, secondo l'immensità della sua grandezza » '".

Quando giungerà l'ora dell'umiliazione, dell'annientamento, ricorderà questa breve parola: « Jesus autem tacebat » 6S, e tacerà, serbando tutta la sua forza per il Signore, quella forza che si attinge dal silenzio.

Quando verrà l'abbandono, la desolazione, l'angoscia che strapparono a Cristo quel grande grido: «Perché mi hai abbandonato? » '7 si ricorderà di questa preghiera: « Siano essi ripieni del mio gaudio » 6S; e, bevendo fino in fondo il calice preparatele dal Padre, saprà trovare in quella stessa amarezza una soavità divina. E infine, dopo aver ripetuto tante volte:

« Ho sete », sete di possederti nella gloria, spirerà dicendo:

« Tuffo è con ninnato... Nelle Tue mani raccomando l'anima mìa ». E il Padre verrà a prenderla, per trasferirla nella sua eredità dove « nella luce, vedrà la Sua luce » 69. « Sappiate — cantava Davide — che Dio ha glorificato meravigliosamente il suo Santo » ". Sì, il Santo di Dio sarà stato glorificato m quest'anima, perché vi avrà distrutto ogni cosa per rivestirla di Sé, e perché essa avrà praticamente vissuto la parola del Precursore: « Bisogna che Egli cresca e che io diminuisca » T1.

« Io ripongo la gioia dell'anima mia (quanto alla volontà, e non alla sensibilità), in tutto quello che può immolarmi, umiliarmi, annientarmi, perché voglio far posto al mio divino Mae-

B3 Salmo CL, 1-2.

6(1 San Matteo, XXVI-63.

"7 Iilcm, XXVII-46.

"' San Giovanni, XVII-13.

"•' Snirno XXXV-10.

" Salmo IV-4.

71 Giovanni 11-30 - Ultimo ritiro, XIV.

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stro. « Non son più io che vivo; è Lui che vive in me ». Non voglio più vivere della mia propria vita, ma essere tr-asformata in Gesù Cristo, affinchè la mia vita sia più divina che umana, e il Padre, chinandosi su di me, possa riconoscere l'immagine del Figlio suo diletto, nel quale ha riposto tutte le sue compiacenze » ". « Siamo ' Lui ' e andiamo al Vadrc nel movimento della Sua anima divinn » ;3.

6. Un altro anelito faceva vibrare giorno e notte l'anima di Cristo: il desiderio della nostra redenzione.

Mentre passava, solitario e pensoso, per le vie"della Palestina, o mentre le folle di Gerusalemme lo premevano d'ogni parte. Gesù, sempre in solitudine col Padre suo, trattava l'affare della nostra salvezza. Ci guardava sempre. Neppure un istante si è distolto da ciascuno di noi quel suo sguardo divino che tutto abbracciava: il cielo, l'inferno, i destini della Chiesa e di ciascuna delle nostre anime, fino ai minimi particolari; la sua visione del mondo uguagliava, non per intensità di luce, ma in estensione, quella della Trinità.

Nulla gli rimane celato, del passato, del presente, dell'avvenire; e questa scienza di Gesù era rivolta tutta alla nostra salvezza. Uguale al Padre per la natura divina, Cristo-Uomo era pur nostro, intieramente nostro. « Uno » col Padre, « Uno » coi suoi fratelli: ecco tutto il mistero di Gesù. Cristo si compie in noi.

Il pensiero cristiano si è indugiato amorosamente ad analizzare questo aspetto di Cristo in noi, di cui parla san Paolo, il Dottore per eccellenza del Corpo mistico di Gesù.

Vi si manifesta una duplice corrente.

La speculazione dei Padri greci di Oriente si è compiaciuta nella contemplazione di questa misteriosa unità che lega i cristiani fra loro e con Cristo e trova il suo modello supremo nell'unità della Trinità.

Il pensiero occidentale, invece, ha rivolto la sua considerazione meno alla Trinità che alle membra sofferenti del Salvato-

72 « II paradiso sulla terra » - 5" orazione.

73 Lettera 29 settembre 1902.

1.50

rè. Sant'Agostino, eco di san Paolo, ce ne ha lasciato la esposizione in pagine rimaste classiche e inarrivabili. E appunto a questa ultima corrente di pensiero si ricollega la formula, ormai così celebre, con la quale suor Elisabetta della Trinità ha concepito in maniera tutta personale, ed ha espresso la parte che le è assegnata nel corpo mistico: « Essere per Cristo un prolungamento di umanità, una umanità superaddita 7< nella quale Egli possa rinnovare tutto il suo mistero ».

Due giorni dopo la composizione della preghiera donde è tolta questa formula, essa stessa spiegava il suo pensiero;

« Vivo, ianz non ego; vivit vero in me Christus »: è il mio ideale di Carmelitana e credo sia pure quello della vostra anima sacerdotale; e, soprattutto, quello di Cristo, ed io Lo prego di volerlo realizzare pienamente nelle anime nostre. Siamo per Lui, in qualche modo, un prolungamento di umanità, dove Egli possa rinnovare tutto il Suo mistero. Io Gli ho chiesto di stabilirsi in me come Adoratore, come Riparatore e come Salvatore. E non posso dirvi quale pace ineffabile dona all'anima mia il pensiero che Egli supplisce alle mie impotenze e che, se cado ad ogni istante, è lì sempre, per rialzarmi e farmi penetrare ancora più intimamente in Lui, nel fondo di quella divina Essenza che già abitiamo mediante la grazia; ma io vorrei seppel-lirmici, a profondità tali, che nulla possa farmene uscire » ".

Come lontano ci porta, suor Elisabetta, con questa dottrina del Corpo mistico di cui essa vive, dagli orizzonti ristretti e dai meschini punti di vista fra cui si trascinano talvolta le anime religiose nella loro piccola vita di comunità! I grandi orizzonti della vita della Chiesa divengono per lei familiari. « Come forte si sente il bisogno di sacrificarsi, di dimenticarsi, per essere interamente dedicati agli interessi della Chiesa! Povera Francia! Io la copro col sangue « del Giusto », di Colui che è vivo sempre, per intercedere e implorare misericordia. La missione della Carmelitana è veramente sublime: essa deve farsi mediatrice con Gesù Cristo, deve essere per Lui quasi una umanità sovra-

74 « Supcraddila » mi pare che renderebbe pienamente e con molta aderenza l'espressione di suor Elisal'ictta « humamté de siircroìt ». (N. d. T.).

75 Lettera al sacerdote Don Gii... - 23 novembre 1904.

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aggiunta, nella quale Egli possa perpetuare la Sua vita di riparazione, di sacrificio, di lode e di adorazione » ".

Chi non ammirerebbe la fecondità apostolica di un'anima che sa elevarsi così fino all'abituale visione del Cristo totale? « Chiunque vive nella carità — insegna san Tommaso — partecipa a tutto il bene che si fa nel mondo » 7'. E i veri contemplativi, lo comprendono. Santa Teresa di Gesù Bambino sognava di lavorare per il bene spirituale della Chiesa, sino alla fine del mondo, e suor Elisabetta della Trinità ambiva di « rivelare a tutte le anime»-il segreto di gioia e di santità che portano celato nell'intimo, mediante il mistero della divina inabitazione.

Una vera Carmelitana, dopo essersi data tutto il giorno alla salvezza delle anime con la preghiera e l'immolazione silenziosa, venuta l'ora del necessario riposo, si rifugia nell'onnipotente intercessione universale della Vergine Corredentrice, supplicandola di continuare per lei, mentre ella dorme, l'opera sua di mediazione in favore dei poveri peccatori, proseguendo così efficacemente l'azione distruggitrice del male nel mondo.

Così faceva suor Elisabetta della Trinità dimenticando i suoi dolori e superando se stessa, nell'unico desiderio di « consumarsi » in amore per Cristo, di « distillare il proprio sangue, goccia a goccia » per « il Corpo di Lui che è la Chiesa » Ts. Tutto questo voleva significare con l'espressione: « Essere per Cristo umanità sovra-aggiunta ».

7. Essere un altro Cristo, ma sulla croce: fu il sogno supremo di suor Elisabetta della Trinità. « Per lungo tempo, il Crocifisso accentrò tutta la sua orazione », scriveva il Padre Vallèe che la conosceva intimamente. In seguito, dopo le grandi grazie della inabitazione della Trinità, ritornò al Crocifisso, non più soltanto come contemplativa, ma come imitatrice della sua Morte. « Confi-gwatus morti eius » 79: ecco il pensiero che non mi abbandona mai, che mi da forza nel dolore. Se sapeste

7S Lettera al Canonico A... - Gennaio 1906.

77 In Symboliim Apostoloriiin: Sanctorum commtifiioneni.

78 Colossesi, 1-24. 70 Filippesi. III-10.

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quale azione demolitrice sento in tutto il mio essere! È la via del Calvario che si è aperta per me, e sono tanto contenta di camminarvi come una sposa a fianco del divino Crocifisso » ".

Alla mamma, il cui cuore è già straziato al pensiero di perderla, rivolge qualche parola di consolazione, ricordandole il valore della sua sofferenza redentrice. « È il Signore, sai, che si compiace di immolare la sua piccola ostia; ma questa Messa che Egli celebra con me, in cui il Sacerdote è l'Amore, può durare molto ancora. Eppure la piccola vittima non trova che sia lungo il tempo, nella mano di Colui che la sacrifica; e può assicurarti che, se passa per il sentiero del dolore, cammina molto più spesso nell'ampia via della gioia, della verità, di Colui che nulla potrebbe rapirle.

« Io gioisco — diceva san Paolo — perché do compimento nella mia carne a quello che manca alle sofferenze di Cristo per il Corpo di Lui che è la Chiesa » 81. Anche il tuo cuore, mamma, dovrebbe divinamente esultare pensando che il Maestro si è degnato scegliere la figliola tua, il frutto del tuo seno, per associarla alla grande opera della redenzione e per soffrire? in lei quasi un prolungamento della Sua passione. La sposa è tutta dello sposo. Lo sposo mio mi ha presa; vuole che io gli sia quasi un prolungamento di umanità dove Egli possa soffrire per la gloria del Padre, per i bisogni della Sua Chiesa » ii2.

« Come sarci felice se il mio Maestro mi chiedesse anche di versare il sangue per Lui! Ma ciò che bramo soprattutto è il martirio d'amore che ha consumato la mia Madre santa Teresa, colei che la Chiesa proclama « vittima di carità ». E poiché il Verbo di Verità ha detto che la più grande prova di amore è dare la vita per chi si ama, io Gli do la mia, perché ne faccia ciò che vuole; se non sono martire di sangue, voglio essere martire di amore » 83.

« Rallegrati pensando che, fin dall'eternità, noi siamo stati conosciuti dal Padre, come dice san Paolo, e che Egli vuoi ritro-

8'' Lettera al Canonico A... - Luglio 1906. " Colossesi, 1-24.

82 Lettera nlla mamma -10 settembre 1906.

83 Lettera alla mamma - Luglio 1906.

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vare in noi l'immagine del Figlio suo crocifisso. Se tu sapessi come è necessario il dolore, perché l'opera di Dio si compia nell'anima! Egli brama di arricchirci delle sue grazie; ma siamo noi che limitiamo il suo dono, che ne determiniamo la misura, in proporzione della generosità con cui ci lasciamo immolare da Lui; ma immolare nella gioia, nell'azione di grazie, come Gesù, dicendo con Lui: « Non berrò io, dunque, il calice preparatemi dal Padre mio? » s'*. Il Maestro chiamava l'ora della passione « la sua ora », quella per la quale Egli era venuto, quella che tutti i suoi desideri affrettavano. Quando una grande sofferenza, o anche un sacrificio piccolissimo ci si presenta, pensiamo subito che quella è « l'ora nostra », l'ora in cui possiamo dar prova del nostro amore a Colui che ci ha « troppo amati », secondo l'espressione di san Paolo » "".

Come tutti i santi, suor Elisabetta della Trinità capiva il valore della sofferenza e sapeva che l'unione con Dio non si compie e non si perfeziona che sulla croce; quindi la loda e la esalta, questa sofferenza santa, crocifiggente, clic imprime nell'anima sua e nel suo corpo l'effige del Crocefisso.

« II dolore è un dono così grande, così divino! Mi pare che, se i beati in cielo potessero invidiare qualche cosa, ci invidierebbero proprio questo tesoro. Ha un'influenza così potente sul cuore di Dio! E poi, non trovate voi pure che è tanto bello poter donare a chi si ama? La croce è l'eredità del Carmelo. Il grido della nostra Madre santa Teresa, era: « O soffrire o morire », e san Giovanni della Croce, quando nostro Signore gli apparve chiedendogli che cosa desiderasse in premio di tante pene sopportate per Lui, rispose: « Signore, soffrire ed essere disprezzato per Tuo amore » 81Ì.

Non crediamo però che il dolore la trovasse insensibile;

tutt'altro. Ma sapeva attingere la forza di soffrire nel ricordo del suo Maestro Crocifisso. Lei stessa ci confida il suo segreto:

« Vi dirò come faccio quando mi si presenta qualche cosa di penoso: guardo il Crocifisso e, vedendo fino a che punto Egli

M San Giovanni, XVIII-2.

8S Lettera alla mamma - Settembre 1906.

88 Lettera alla signora A... - Agosto 1904.

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si è dato per me, sento che non potrei fare di meno per Lui che donarmi, consumarmi, per rendergli un poco di tutto quello che mi ha dato. La mattina, durante la santa Messa, assimiliamoci il Suo spirito di sacrificio; siamo sue spose, dobbiamo dunque essergli simili. Se siamo fedeli a vivere della sua vita, se ci immedesimiamo con l'anima del Crocifisso in tutti i suoi movimenti, non dovremo più temere le nostre debolezze, perché sarà Lui la nostra forza; e da Lui, chi potrà separarci? » 8T.

Gli otto ultimi mesi della sua vita furono un vero martirio;

ma essa si immergeva con avidità nel dolore; e alle sue lettere o biglietti, apponeva la dicitura: « Dal palazzo del dolore e della beatitudine ». E scriveva: « Esperimento, gusto, gioie ineffabili: la gioia della sofferenza. Sogno di essere trasformata, prima di morire, in Gesii Crocifisso » ss.

Così, l'ultimo suo canto è un inno al dolore: un'anima crocifissa è una vera « lode di gloria ».

ST Lettera alla signora A... - Febbraio 1903. sa Lettera ,1 G. de G... Fine di ottobre 1906.

155

CAPITOLO SESTO

JANUA CGELI « Tutto, in Lei, si svolge di dentro ».

1. La Vergine del Carmelo - 2. La Vergine della Incarnazione -3. Janua coeli.

Era impossibile che suor Elisabetta della Trinità non riserbasse alla Madre di Dio un grande posto nella sua vita.

Condizione essenziale per essere salvi è la devozione alla Madre di Cristo; e tutti i santi, infatti, hanno amato Maria con passione, ciascuno nella linea della propria grazia personale. San Paolo, in conformità alla sua missione, mette in evidenza il Jposto che, nell'economia della Redenzione, occupa la Vergine santa in funzione del mistero di Cristo « nato da una donna » ', per essere il Salvatore della umanità decaduta. Nel cuore di Giovanni è scolpito, indelebile, il ricordo dell'ora suprema in cui Gesù morente ha lasciato Maria per Madre a lui e a tutti i predestinati; e, nella sua Apocalisse, ci rivela come questa dolce Madre non si disinteressa di noi, dopo la sua morte e la gloriosa assunzione; anzi, più vigile, più madre che mai, teneramente china su tutti i figli, si vale della sua presenza dinanzi al volto dell'Onnipotente, per meglio intercedere in nostro favore.

Sant'Agostino ce la mostra divenuta Madre del « Cristo totale » nel momento dell'Incarnazione, per la sua carità. I Padri greci hanno esaltato con grazia poetica e con magnificenza la « tutta santa », il tabernacolo vivente del Verbo Incarnato, il tempio purissimo della Trinità.

Da venti secoli, la Chiesa d'Oriente e d'Occidente, con sant'Efrem, san drillo, sant'Anselmo, san Bonaventura, san

' Gal.-ui, IV"1.

157

Tommaso — bisognerebbe citare tutti i dottori e tutti i santi — non fa che proclamare la parte unica ed universale di Maria nell'opera della nostra salvezza. Madre di Dio e degli uomini, Maria adempie il disegno divino con la sua bontà materna. Non un movimento si produce in tutto l'insieme della redenzione senza che, dopo Gesù e con Gesù, Maria non vi ubbia la sua parte: « Questa è la volontà immutabile di Colui il qu;i1e ha stabilito die tutto ci giunga per mezzo di Maria » 2.

Nella sua devozione mariana, ogni santo serba la propria nsonomia. Estatico dinanzi alle grandezze della Vcrgine-Madre, l'anima ardente di un san Bernardo, il citaredo di Maria, canta:

« De Maria, numquam satis ».

San Tommaso ferma il suo sguardo di teologo sulla divina maternità, chiave di volta di tutte le grandezze di Maria; e contempla la Madre del Verbo che, per questa maternità, tocca i confini della divinità, perché il Figlio dell'Eterno Padre è veramente Figlio della Vergine.

La devozione mai-Lina di suor Elisabettsi della Trinità non va ridotta ad una forma troppo determinata di « schiavitù », quale la concepiva, per esempio, il beato Grignon di Montfort. Non sappiamo nemmeno se ne avesse letto il « Trattato della vera devozione alla Vergine santa », capolavoro della nostra letteratura mariana.

Essa va alla Madonna con tutta la sua anima di contemplativa e trova in lei la perfetta realizzazione del suo ideale interiore. Si sente attirata soprattutto dalla Vergine dell'Incarnazione, adoratrice del Verbo nascosto nel suo seno, che passa calma e maestosa sulle montagne della Giudea, raccolta nell'intimo col Verbo che abita in lei, senza che nulla possa distrarla dalla sua visione interiore. La Vergine preferita da suor Elisabetta della Trinità è la Vergine del silenzio e del raccoglimento.

Ma non è stato sempre così. Per molto tempo, la sua pietà verso Maria somigliava a quella di molte fanciulle la cui fisono-mia spirituale non ha ancora delle note definite e personali. Andava alla Vergine santa come alla custode della sua purezza e in

2 San Bernardo: Senno de Niiliuilate B. V. M.

158

ognuna delle feste di Maria, rinnovava il suo voto di verginità. Ricorreva a lei in tutti i suoi bisogni, un po' come fanno i bimbi che, istintivamente, cercano prote2Ìone presso la mamma: e, nei momenti difficili la implorava fervorosamente per il suo avvenire e per la sua vocazione. La Vergine di Lourdes la vide, supplice ai suoi piedi per tré giorni, offrirsi nelle sue mani come vittima per i peccatori, sotto il suo sguardo materno, per sempre. Mai Elisabetta sarebbe uscita di casa per recarsi ad una festa mondana, senza essere andata prima dalla Mamma a chiederle la benedizione. E la Madonna esaudisce sempre la preghiera dei cuori puri; la grazia che emana da lei, Vergine, fa vergini le anime, le custodisce sante e immacolate nell'amore, sotto lo sguardo di Dio; e suor Elisabetta della Trinità deve alla sua speciale protezione la grazia di essere passata sulla terra pura come un giglio.

Il suo « diario » di fanciulla è pieno del pensiero di Maria. In ogni occasione, lieta o triste, ricorre a lei, invocandone l'intervento persino in certi particolari che ci farebbero quasi sorridere, ma i santi vedono le cose meglio di noi.

Un giorno, per timore di essere applaudita in un concerto, e di provarne vana compiacenza, prega la Vergine santa di impedirle, in qualche modo, di partecipare a quella festa; ebbene, la sera della vigilia viene assalita da un mal d'orecchi così forte che, l'indomani, deve rinunciare a presenziare al concerto. A quattordici anni, va in pellegrinaggio, insieme ad una piccola amica, al santuario di Nostra Signora d'Etang in Borgogna, per impetrare la grazia di morire giovane: e lascerà la terra a 26 anni. Non si contano poi le preghiere e le novene, ogni volta che c'è una grazia nuova da ottenere. Nella sua vita di fanciulla, la Vergine santa c'entra sempre, in tutto.

Citiamo a caso, il suo « Diario »:

« 2 febbraio 1899 - Purificazione. Ad ogni festa di Maria, rinnovo la mia consacrazione a questa cara Madre. Oggi, dunque, mi sono donata a lei, gettandomi di nuovo fra le sue braccia con la più assoluta confidenza. Le ho raccomandato il mio avvenire, la mia vocazione ».

« 12 marzo 1899. Maestro buono, se tu non mi dai questa

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anima, io ne morrò di dolore. Dammela, tè ne scongiuro, a costo di qualsiasi tormento. Maria, Vergine di Loùrdes, Nostra Signora del perpetuo soccorso, vieni in mio aiuto; tutto è perduto, se tu non fai un miracolo. E io conto su questo miracolo ».

« 24 marzo 1899. O Maria, tu che io prego ogni giorno per ottenere l'umiltà, soccorrimi; schiaccia il mio orgoglio, mandami molte umiliazioni. Madre buona ».

« 2 aprile 1899. Tutto è finito. Come è passata presto questa missione! Prima di lasciare la Chiesa, ho affidato il mio povero peccatore alla Vergine del perpetuo soccorso; le avevo promesso di invocarla ogni giorno per questa povera anima. Poi, mi sono nuovamente consacrata a Maria, abbandonandomi a Lei con fiducia piena; mi ha così bene esaudita riguardo alla mia vocazione, che io non potrò mai esprimerle, come vorrei, tutta la mia riconoscenza e il mio amore. Sono felice, ho il cuore traboccante di gaudio; pregusto fin d'ora la mia prossima gioia. O Madre del perpetuo soccorso, ogni giorno ti invocherò per questa doppia intenzione: perché tu continui a sostenere la mia mamma cara che ora mi comprende così bene, e poi perché tu sostenga anche me, in questa via della croce con Gesù, nella quale mi impegno con tanta gioia. Madre mia, fammi la grazia di perseverarvi, di divenire veramente perfetta;

custodisci puro il mio cuore! ».

1. La sua pietà di Carmelitana verso la Vergine santa diviene ben presto vita di intimità profonda. In virtù di un processo psicologico del tutto normale, eppure degno di nota, si riscontrano nella devozione mariana dei santi gli stessi lineamenti generici della loro fisonomia spirituale. Suor Elisabetta della Trinità che, fin dal suo primo giorno al Carmelo, era già « passata tutta quanta nell'anima di Cristo », in virtù dei medesimi rinessi psicologici fisserà il suo sguardo contemplativo sull'anima della Vergine. Soltanto pochi giorni dopo la sua entrata in Convento, scriveva alla mamma:

« Ho messo l'anima mia in quella della Madre dei dolori, e l'ho pregata di consolarti tanto. Abbiamo, in fondo al Chio-

160

stro. una statua di « water dolorosa » per la quale ho molta devozione; amo tanto queste lacrime della Vergine Madre! Tutte le sere, vado a parlarle di tè, mamma ».

Il Carmelo è, per eccellenza, un Ordine mariano. « Le anime chiamate da Dio a servirlo nel nostro Ordine sappiano che loro primo e principale obbligo, come Carmelitane, è di onorare con particolare cura la santissima Vergine Maria: primieramente nella sua dignità suprema di Madre di Dio, in tutti i privilegi e le grandezze che questa dignità racchiude e nella sovranità che le conferisce sul cielo e sulla terra; in secondo luogo, nella bontà eccessiva e nella umiltà che hanno indotto la Vergine santa a farsi la Madre e la Patrona di questo Ordine. Per soddisfare a tale obbligo, ciascuna avrà cura di comunicarsi, almeno una volta al mese, in onore della santissima Vergine:

e cioè, per if compimento dei suoi disegni sulla terra, per l'accrescimento, in tutte le anime, della devozione verso di lei, e per ottenere die i mèmbri di questo Ordine la amino, la onorino i,' servano e le appartengano, secondo tutta la estensione dei disegni di misericordia del suo divin Figlio e suoi » 3.

Notiamo la singolare elevatezza di questa devozione a Maria. L:i Carmelitana va diritta alla Madre di Dio per congratularsi con !ei di quella maternità divina che spiega tutto in Maria:

i privilegi e le grandezze e la sovranità sull'universo.

\~. l'ailci'giiimenio normale di una Carmelitana; prima di tuilc c sempre, Dio. Non c'è bisogno di aggiungere « Dio solo o; è sottinteso: l'anima della Carmelitana, dinanzi al mistero. si muove in una luce tutta divina, escludendo assolutamente ogni altra luce. La Vergine, come la Umanità santa del Cristo, ed ogni altra creatura, non sono considerate che in relazione a Dio. E soltanto in un secondo sguardo, discendendo dalla « suprema dignità di Madre di Dio », la Carmelitana penetra in quella Maternità di grazia « che, in un eccesso di bontà e di umiltà, ha indotto la Vergine santa a costituirsi Madre e Patrona del suo Ordine ». Ma non deve fermarsi qui; e, secondo la vocazione apostolica del suo Ordine, deve pregare e immolarsi « per il compimento dei disegni di Maria sulla terra »,

•'' Direttorio poifiito in Fmncia dalle Madri spagnole.

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perché i mèmbri dell'Ordine, in particolare, la amino, la onorino, la servano e le appartengano, secondo tutta l'immensità dei disegni di misericordia del suo divin Figlio.

Suor Elisabetta della Trinità seppe profittare in grado straordinario della devozione così equilibrata a cui i mèmbri dei grandi Ordini religiosi sono iniziati durante la loro formazione. Una lunga tradizione di santità, una parola udita nel commentare un punto della Regola o del Direttorio, la silente correzione quotidiana operata dal semplice gioco degli avvenimenti nella vita comune che ristabilisce le cose al vero posto, tutto questo fa sì che le anime fedeli, impregnandosi del più puro spirito del loro Ordine, avanzino rapidamente verso la perfezione. Ciò appare evidente, in modo particolare, in suor Elisabetta della Trinità, nello svolgersi della sua vita mariana.

Entrata nel Chiostro, la sua pietà verso Maria assume rapidamente un carattere carmelitano. Per comprendere questa forma di devozione mariana, bisogna rendersi conto che, al Car-melo, la solitudine e tutto,

E quale solitudine nell'anima della Vergine! In lei, più niente di umano. È l'essere puro, luminoso, trasparente, libero, che l'amore colpevole o soltanto troppo sensibile non sfiorò mai; è la tutta Vergine per eccellenza, separata da tutto. È Colei che passò nella vita « Sola col Solo », non volendo altri che Lui, nella gioia e nel dolore.

Solitudine del cuore della Vergine, che il sensibile non avvinse mai, che attraversò gli affetti di questo mondo effimero « santa ed immacolata nell'amore ».

Solitudine dell'anima della Vergine in conversazione con Dio solo, senza dubbio in attiva partecipazione alla vita degli uomini, ma per compiervi un'opera divina, anima di Corredentrice, sempre più immedesimata con l'anima di Cristo così solitario la sera, sulla montagna, o nell'orto del Gethsemani. Solitudine divina dell'anima della Vergine, elevata, col Verbo suo Figlio, sino al confine della Divinità, e là associata a tutti i disegni della Trinità a causa del suo posto universale nella salvezza del mondo; ma là, soprattutto, così infinitamente distante dal Dio suo Figlio. Sono abissi che fanno tremare.

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Giunti alle alte cime, i santi sono gli uomini più soli sulla terra. Che dire della Vergine e di Cristo? Chi pensa alla solitudine dell'anima del Verbo? In principio era il Verbo, e il Verbo in Dio, era nella propria dimora; e il Verbo si è fatto carne, è venuto ad abitare fra di noi, ma i suoi non l'hanno ricevuto. E noi l'abbiamo visto, quale un Dio solitario, aggirarsi in mezzo alla sua creazione. È vero; dentro di Lui c'era l'Unità col Padre e con l'Amore; ma chi avrebbe potuto sup-porlo, vedendolo?

Lo stesso, fatte le dovute proporzioni, era dell'anima di Alarla, così sola in mezzo agli uomini a Nazareth, a Bethlem, ai .piedi della croce; in realtà, tutta nascosta in Dio con Cristo del quale sempre, nel cuore, meditava il mistero.

2. Questa vergine del Carnnelo, estranea a tutto il creato e adoratrice del Verbo ascoso nel suo seno, è la Vergine dell'Incarnazione, la Vergine che suor Elisabetta della Trinità predilige, perche anche il suo ideale è vivere silenziosa e adoratrice del Dio celato nelle intime profondità dell'anima sua.

« Pensiamo che cosa doveva provare l'anima della Vergine, quando, dopo l'Incarnazione, possedeva in sé il Verbo Umana-to, il Dono di Dio! Con quale silenzio con quale raccolta adorazione doveva inabissarsi nel profondo dell'anima sua, per stringere a se quel Dio di cui era Mamma! » ''.

« Non devo fare nessuno sforzo per penetrare in questo mistero dell'inabitazione divina nella Vergine santa; mi sembra di trovarvi il movimento abituale dell'anima mia, che fu pure il suo: adorare in me il Dio nascosto » 5.

Leggendo san Giovanni della Croce, scopre in Maria il modello perfetto dell'unione trasformante, e sogna di passare sulla terra come la Vergine: silenziosa e adoratrice del Verbo, tutta perduta nella Trinità.

« Leggo in questo momento delle pagine così belle nel nostro Padre san Giovanni della Croce, sulla trasformazione dell'anima nelle Tré Divine Persone. A quali abissi di gloria siamo

'• Lettera all;i sorella - Novembre 1903. 5 Lettera alla sorella - Novembre 1903-

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chiamati! Ah! io comprendo i silenzi, il raccoglimento dei santi che non potevano più uscire dalla loro contemplazione. Perciò, Dio poteva condurli sulle divine altezze, dove l'« Uno » si compie e si perfeziona fra Lui e l'anima divenuta misticamente sua sposa. Il nostro beato Padre dice che, allora, lo Spirito Santo la eleva ad altezze così stupende, da renderla capace di produrre in Dio la stessa spirazione d'amore che il Padre produce col Figlio e il Figlio col Padre; spirazione che è lo stesso Spirito Santo. E dire che il Signore buono ci chiama, in nome della nostra vocazione, a vivere in queste luminosità sante. Che adorabile mistero di carità... Vorrei corrispondcrvi passando sulla terra, come la Vergine santa: « Custodendo tutte queste cose nel mìo cuore » ", seppellendomi, per dir così, nel rondo della mia anima, affine di perdermi nella Trinità che ivi dimora per trasformarmi in Se. Allora il mio nome, •' mio ideale luminoso », sarà realizzato: io sarò veramente Elis;;betta della Trinità » 7.

Nutriva particolare devozione per un'immagine che aveva ricevuta e che rappresentava la Vergine dell'Incarnazione, raccolta sotto l'azione della Trinità.

« Nella solitudine della mia cella che io chiamo « il mio piccolo paradiso », perché è tutta piena di Colui del quale si vive in cielo, guarderò spesso la preziosa immagine, e mi unirò all'anima della Vergine allorché il Padre la copriva della sua ombra, il Verbo si incarnava in Lei e sopra di Lei scendeva lo Spirito Santo per operare il grande mistero. La Trinità tutta è in azione, si offre, si dona. E la vita della Carmelitana non deve forse svolgersi in questi amplessi divini? » s.

La Vergine dell'Incarnazione, tutta raccolta sotto l'azione creatrice della Trinità « che opera in Lei grandi cose » è il più caro, il più intimo ideale della devozione mariana di suor Eli-sabetta, l'ideale a cui si sente attratta quasi per « connaturalità », diremo con la teologia. Da questa devozione lungamente vissuta doveva scaturire un giorno quell'elevazione così

6 San Luca, 11-51.

7 Lettera al sacerdote Don Ch... - 23 novembre 190?.

8 Lettera alla signora De S... - 1905.

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bella alla Vergine, scritta nel suo ritiro: « Come trovare il cielo sulla terra ».

« Si scires donitr,i Dei! Se fu conoscessi il dono di Dio! » B, diceva una sera Cristo alla Samaritana. Ma che è mai questo dono di Dio, se non Lui stesso? Il discepolo prediletto ci dice:

« ì^clf e vcin'io uella sua casa ma i suoi non l'hanno ricevuto » ". E san Giovanni Battista potrebbe ripetere ancora a molti quel suo rimprovero: « C'è in mezzo a voi — in voi — uno, che voi non conoscete » J1.

« Se tu conoscessi il dono di Dio ». Ma una creatura c'è, che ha conosciuto questo dono di Dio, che non ne ha lasciato disperdere la minima particella; una creatura così pura, così luminosa, da sembrare, lei, la stessa luce: Speculum ìusfifiae;

una crcntur;i la cui vita fu tanto semplice, tanto nascosta in Dio, che non se ne può dire quasi nulla. Virgo fidelis: è la Vergine fedele, colei che « custodiva tutte le cose nel suo cuore » 12. Se ne stava così piccola, così raccolta dinanzi a Dio nel segreto del Tempio, che attirò le compiacenze della Trinità santa. « Perché Ef,!i ha rivolto lo sguardo alla piccolezza della sua ancella, ormai tutte le generazioni mi chiameranno beata » ". Il Padre, chinandosi verso questa creatura così bella, così ignara della sua bellezza, volle che fosse, nel tempo, la Madre di Colui di cui Egli è Padre nell'eternità. Intervenne allora lo Spirito d'Amore che presiede a tutte le opere divine; la Vergine disse il suo « fiat »: « Ecco la serva del Signore; si faccia di me secondo la tua parola » 14, e il massimo dei miracoli si compì. Con la discesa del Verbo in Lei, Maria fu per sempre preda di Dio.

La condotta della Vergine nei mesi che passarono tra l'Annunciazione e la Natività mi pare debba essere di modello alle anime intcriori, a quelle anime che Dio ha elette a vivere raccolte «nel loro intimo », nel fondo dell'abisso senza fondo.

" San Giovanni, IV-10. 1:) San Giovanni, 1-11. n San Giovanni, 1-26. " San Luca, IT-5L 13 San Luca, 1-48. " San Luca, 1-38.

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Con quanta pace, in quale raccoglimento Maria agiva e si prestava ad ogni cosa! Anche le azioni più ordinarie erano da lei divinizzate perché, in tutto ciò che faceva, la Vergine restava pur sempre l'adoratrice del dono di Dio; ne questo le impediva di donarsi attivamente anche nella vita esteriore, quando c'era da esercitare la carità: il Vangelo ci dice che « Maria percorse con grande sollecitudine le montagne della Giudea, per recarsi dalla cugina Elisabetta » '". La visione incfTabile che contemplava dentro di sé non diminuì mai la sua carità esteriore, perché se la contemplazione si volge alla lode e all'eternità del suo Signore, ha in sé l'unità e non potrà perderla

3. Una tale elevatezza di pensiero non scaturisce d'un tratto e a caso; suppone una lunga vita di intimità con Maria;

e i documenti infatti la confermano. Bambina ancora, le sue prime poesie erano sbocciate per cantare la Vergine, « custode della sua purezza »; il suo diario di fanciulla era pieno del pensiero di lei: e quando divenne Carmelitana, la Madonna rimase sempre inseparabile dai minimi particolari della sua vita. Spesso, firmava le sue lettere: « Suor Maria Elisabetta della Trinità ».

Compose la sua celebre preghiera nelle festa della Presentazione, quella festa « tanto cara » in cui ritrovava il movimento più abituale del suo cuore: l'oblazione della Vergine alla Trinità, non più a Gerusalemme, ma nel tempio dell'anima sua.

«O mio Dio, Trinità che adoro!... Pacifica l'anima mia, rendila tuo cielo, tua amata dimora, luogo del tuo riposo. Che, in essa, non ti lasci mai solo, ma tutta io vi sia, ben desta nella mia fede, immersa nell'adorazione, pienamente abbandonata alla tua azione creatrice ».

Quando giunse la sera di questa vita breve, suor Elisabetta si volse con raddoppiata tenerezza alla Immacolata, la Madonnina della sua vestizione. « È stata lei, l'Immacolata, a darmi l'abito del Carmelo; oggi la prego di rivestirmi con quella

15 San Luca, 1-39.

16 « II paradiso sulla terra» - 12" orazione.

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tunica di finissimo lino della quale si adorna la sposa per recarsi al banchetto di nozze dell'Agnello » 1T.

Una notte — era in infcrmeria — mentre il suo sguardo si posava sopra un'immagine della Vergine addolorata Sssata alla parete, sentì interiormente uno di quegli avvertimenti che Dio suole rivolgere all'anima dei suoi santi. Ricordandosi, allora, di una Vergine di Lourdes dalla quale aveva ricevuto tante grazie quand'era bambina, la richiese alla mamma, affinchè Colei che l'aveva vegliata nel suo ingresso alla vita, « la custodisse ancora al suo uscirne ». Da allora, la chiamò « Janua coeli », e quella statua non la lasciò più. Estenuata di forze, suor Elisabetta si trascinava ancora nella piccola tribuna prospiciente il coro, portando penosamente nelle mani diafane quella statua alta più di trenta centimetri, quasi troppo pesante per le sue dita tremanti, prive di forza. Quando si vedeva Janua coeli, Laudem gloriae non era lontana.

Un giorno, suor Elisabetta mise nella cella della sua Madre Priora una piccola costruzione in cartone rappresentante una fortezza col ponte levatoio. Vicino alla porta chiusa, una Vergine di Lourdes in rilievo: era Janua coeli. Ad un angolo della torre merlata, sventolava una bandiera recante questa iscrizione: « Castello del dolore e del santo raccoglimento, abitazione di Laudem gloriae in attesa della Casa del Padre ». Janua coeli " era divenuta per lei la porta della Trinità.

Nelle ultime ore della sua agonia, si cercava di consolarla ricordandole la presenza della Vergine che amava tanto. « SI, è vero; Janua coeli lascierà passare Laudem gloriae ».

L'antivigilia della morte, fu udita ancora mormorare: « Fra due giorni, sarò in seno ai miei Tré. « Laetatus sum in his quae dieta sunt mihi » 19. È la Vergine, questo essere tutto luce, tutto purezza di Dio, che mi prenderà per mano per introdurmi in cielo, in quel cielo così splendente... ».

Volle porre sotto la protezione di Janua coeli l'ultimo suo

17 Lettera al Canonico A... - Fine luglio 1906.

18 Janua coeli è un'invocazione della Litanie della S. Vergine che significa « Porl-i del Ciclo ».

19 Salmo CXXI-I.

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ritiro sulla terra, e la sera del 15 agosto vi entrava come « nel noviziato del cielo, per prepararsi a ricevere la veste, della

gloria » ". ,

Fino dal primo giorno di questo suo ritiro, si rivolgeva alla Vergine, per chiederle la realizzazione del supremo desiderio dell'anima sua: « Essere conforme a Cristo, crocefissó per amore, e divenire, a somiglianzà di Lui, una perfetta lode di gloria della Trinità. « Nessuno ha veduto il Padre — ci dice san Giovanni —se non il Figlio e coloro ai quali è piaciuto al padre di rivelarlo » 21; e mi pare chi si possa soggiungere: Nessuno ha saputo comprendere il mistero di Cristo nella sua profondità, se non la Vergine santa. Giovanni e In Maddalena sono penetrati molto addentro in questo mistero; san Paolo parla spesso dell'« intelligenza » che gliene è stata data; eppure, come rimangono nell'ombra tutti i santi, quando si pensa alla chiarezza inferiore della Vergine!.. Essa è inenarrabile. Il segreto che « Muriti ciistruìivn e iiicàìfai'iì nel sfio cmn'i.' >•• nessuna lingua ha potuto mai esprimerlo, nessuna penna rivelarlo. Questa Madre di grazia formerà l'anima mia, farà sì che i.i sua fìgliolina divenga un'immagine vivente, « eloquente » del suo Primogenito, il Piglio dell'Eterno, Colui che fu la perfetta lode di gloria del Padre » 22.

Nell'ultimo giorno dello stesso ritiro, suor Elisnbctta compose di getto, come un canto sgorgato dal cuore, una bella elevazione alla Vergine, di una sicurezza dottrinale impeccabile e di una profondità sorprendente. È l'ora della sua più evoluta dottrina mariana.

Vi sono certe pagine dei santi, che bisognerebbe leggere in ginocchio:

« Dopo Gesù Cristo e, s'intende, a quella distanza che passa tra l'infinito e il finito, vi è una creatura che fu anch'essa la grande lode di gloria della santissima Trinità; ella corrispose pienamente all'elezione divina di cui parla l'Apostolo: fu sem-

21 15 agosto 1906. Biglietto ad una consorella.

21 San Giovanni, VI-46.

22 Ultimo ritiro, I.

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pre pura, immacolata, irreprensibile agli occhi del Dio tré volte santo.

La sua anima è così semplice, i movimenti ne sono così profondi, che non si possono scorgere. Sembra riprodurre sulla terra la vita dell'Essere divino, l'Essere semplicissimo; quindi, è così trasparente, così luminosa, che si potrebbe crederla la stessa luce; eppure, non è che « lo specchio del Sole di giustizia: speculimi insti tiae ».

« La Vergine custodiva queste cose nel suo cuore » :3: tutta la sua storia può essere compendiata in queste parole; visse nel proprio cuore e a tali profondita, che lo sguardo umano non può seguirla. Quando leggo nel Vangelo che « Maria percorse con tutta sollecitudine le montagne della Giudea » 2< per andare a compiere un'opera di carità presso la cugina Elisabetta, io la vedo passare, bella, calma, maestosa, intimamente raccolta col Verbo di Dio. La sua preghiera, come quella di Lui, fu sempre:

« Ecco: ercnnfi! ». — Chi? — L'ancella del Signore, l'ultima tra le sue creature. Lei, sua Madre!

Er;i così sincera nella sua umiltà! perché fu sempre dimentica, ignara, libera di se stessa, sicché poteva cantare: « L'On-ìnpotente ha fatto in ne grandi cose; tutte le generazioni mi chiameranno beata ».

Questa regina dei vergini e anche Regina dei martiri; ma la spada la trafigge nel cuore, perché tutto, in Lei, si svolge nell'intimo. La contemplo. Oh, come è bella nel suo lungo martirio, circonfusa da una specie di maestà da cui emana e forza e dolcezza! Perché ha imparato dal Verbo stesso come dovevano soffrire quelli die il Padre ha scelti come vittime, quelli che ha deciso di associare alla grande opera della redenzione, « che ha conosciuti e predestinati ad essere conformi al suo Cristo », crocifisso per amore. È lì, ai piedi della Croce, diritta e forte nel suo coraggio sublime; e Gesù mi dice: « Ecce Mater tua ». Me la da per Madre. Ed ora che è ritornata al Padre, che ha messo me al suo posto sulla croce, affinchè « io soffra in me quello che manca alla sua Passione per il suo mistico Corpo che è la

23 San Luca, IT-51. 2< San Lucn, 1-39.

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Chiesa », la Vergine è qui ancora, vicina a me, per insegnarmi a soffrire come Lui, per farmi sentire gli ultimi canti dell'anima di Gesù, che soltanto lei, sua Madre, ha potuto intendere.

E quando avrò pronunciato il mio « consiinimatum est », sarà ancora Lei, Janua coeli, che mi introdurrà negli atri divini dicendomi, piano, la misteriosa parola: « Laefatus sum in h's quae dieta sunt mibi: in domum Domini ibimus » '"'.

25 Salmo CXXI-1 — Ultimo ritiro, XV. 170

CAPITOLO SETTIMO

SUOR ELTSABETTA DELLA TRINITÀ E LE ANIME SACERDOTALI

« II sacerdote è un altro Cristo che lavora per la gloria del Padre ».

1. Amicizie sacerdotali - 2. Il sacerdote della Messa - 3. Associata all'apostolato del sacerdote - 4. Il sacerdote e la direziono delle anime.

Un'anima di contemplativa non si rinchiude negli stretti orizzonti delle mura del suo convento. La sua vita spirituale, slanciata nell'ampia corrente del pensiero della Chiesa si muove seguendo le direttive e le mire stesse della redenzione. La sua preghiera corredentrice, ad ogni istante, copre l'universo.

Così faceva la Vergine del Cenacolo. Mentre i primi Apostoli andavano all'azione ed al martirio. Maria li accompagnava, silenziosa orante, in tutti i loro combattimenti per Cristo. E chi oserebbe pensare che l'onnipotente intercessione della Madre di Dio non riuscisse più efficace, per l'estensione del regno di Cristo, delle stesse fatiche eroiche d'un san Pietro o di un san Paolo? La Chiesa di Gesù, in tutto il fluire dei secoli della sua storia militante, non dimenticherà mai di essere uscita dalla preghiera contemplativa del Cenacolo; e la sua influenza sulle anime serberà, come base costante, la preghiera dei suoi santi.

La maggior parte delle grandi famiglie religiose hanno fatto proprio, ed hanno attuato questo modo di concepire le cose, e gli Ordini più apostolici sostengono il ministero esteriore dei fratelli con la continua preghiera delle sorelle. San Domenico, prima ancora di fondare il suo Ordine, cominciò con lo stabilire le suore, contemplative ed apostoliche insieme, di Nostra Signora di Prouille, alle quali affidò la missione di sostenere, con

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la loro vita di preghiera e di sacrificio, le fatiche dei Predicatori. '

Riguardo a questo punto, suor Elisabetta della Trinità si trovò, al Carmelo, dinanzi ad una delle tradizioni più care al suo Ordine, e più feconde per il bene spirituale della Chiesa:

infatti, l'immolazione silenziosa delle figlie di santa 'Teresa è, prima di tutto, per i sacerdoti. Ed Elisabetta ebbe sempre una grande venerazione per il sacerdozio. Offrì per essi la suri vita? Non lo sappiamo con certezza; il suo parroco, che in per molto tempo suo confessore, ne aveva la persuasione '. Ad ogni modo. se nessun indizio positivo ci permette di afTerm.'irlo. abbiamo però numerosi documenti ad attcstarci quale e quanta parte dedicò ad essi, nelle sue preghiere di Carmelitana.

Quando un sacerdote le aveva raccomandato il proprio ministero, essa prendeva molto sul serio la siri promessa di preghiera. « Dopo il nostro ultimo colloquio, sono '.upta a voi in modo particolare e un'intensa corrente di preghiera porta l'anima mia verso la vostra anima, specialmente durante la recita dell'mEcio. Vi prometto che ogni giorno l'ora di Terza sarà per voi, per questa grande intenzione: che lo Spirilo d'Amore, Colui che suggella e consuma l'Unità della Trinità, vi doni una supereffusione di Se stesso; e, alla luce della fede, vi porti in alto, su quelle vette dove, già irradiati dal sole divino, non si vive che di pace, di amore e di unione » ".

1. Suor Elisabetta della Trinità non si accosta ad un'anima sacerdotale — anche se della sua famiglia — se non con infinito rispetto: l'uomo scompare dinanzi a Cristo.

In parlatorio, mai la minima ombra di sensibilità femminile. « Era un'anima, e basta », ci diceva il giovane sacerdote entrato a far parte della sua famiglia, al quale ella indirizzò il maggior numero di lettere di questo genere: non più di dodici in tutto. « Fin dall'inizio del colloquio, « Dio solo », e non si discendeva più da questa atmosfera tutta divina ». Suor Elisa-betta aveva un'idea alta e pura del sacerdozio!

' Ho avuto quesio particolare da Lui direttamente. 2 Lettera al sacerdote Don ]... - 11 febbraio 1902.

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Si possono seguire i minimi moti dell'anima sua nella corrispondenza con '-questo seminarista che essa accompagna al sacerdozio e che seguirà poi nel suo apostolato. Il primo incontro fu tutto soprannaturale. Lo scriveva a sua sorella: « ...Ho avuto un colloquio tutto divino col reverendo Don Ch... Credo che l'anima del sacerdote e quella della Carmelitana si siano fuse ».

Un'intimità di anime si iniziava, die continuerà sino alta morte.

« ...Prima di entrare nel silenzio rigoroso della Quaresima, voglio rispondere alla vostra buona lettera; la mia anima ha bisogno di dirvi clic è in comunione con la vostra, per lasciarvi prendere, rapire, invadere da Colui che ci avvolge nella Sua c.-ìi-ità e vuole consumarci nell'Ufo, con Lui. Pensavo a voi Legende queste parole del Padre Vallèe sulla contemplazione:

« [1 contcmplutivo è un essere che vive sotto l'irradiamento del volto di Cristo; che penetra nel mistero di Dio, seguendo non il raggio luminoso che sale dal pensiero umano, ma la luce che emann dalla parola del Verbo Incarnato ». Non la sentite in voi !a passione di ascoltarla, questa divina parola? Talvolta, il bisogno di tacere è così forte, che si vorrebbe non saper più fni'e altro che rimanere, come Maddalena, ai piedi del Maestro, avidi di ascoltare, di penetrare sempre più addentro in quel mi-sicro di amore che Egli è venuto a rivelarci. Non pare anche a va'! che. se l'anima non si discosta mai da questa sorgente, può rimanere sempre assorta, come Maddalena, nella sua contemplazione, anche allora che, in apparenza, compie l'ufficio di Marta? In questo modo io intendo l'apostolato, sia per la carmelitana che il sacerdote: l'uno e l'altra possono irradiare Dio, possono diìi'lo alle anime, se non si allontanano dalla sorgente divina. Mi sembra che dovremmo avvicinarci molto al Maestro, metterci in comunione con l'anima Sua, fare nostri tutti i suoi affetti; poi andare, come Lui, nella volontà del Padre » 3.

Tutte le sue lettere sono animate dallo stesso accento soprannaturale. Nessuna formula di banali complimenti; fin dalla

a Lettera .il sacerdote Don Ch... - 24 fehhraio 1903.

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prima frase, le anime si stabiliscono in Dio, e non ne ridiscendono più:

« Avendo amato i suoi che erano nel mondo, Egli li amò sino alla fine » '. Mi pare che nulla, meglio della Eucaristia, ci possa dire l'amore di Dio. L'Eucaristia è l'unione, la consumazione, è Lui in noi e noi in Lui; non è dunque il cielo sulla terra? Il cielo nella fede, in attesa della visione, del « faccia a faccia », tanto sospirato. « Saremo saziati (Jiuì)ido ci apparirà la Sua gloria, quando Lo vedremo nella ^iki luce' » 5. Che dolce riposo per l'anima, non è vero? Il pensiero di questo incontro con Colui che unicamente amiamo! Tutto il resto scompare, e ci sembra di entrare già nel mistero di Dio... È talmente « nostro » tutto questo mistero, come voi mi dite nella vostra lettera.

Pregate perché io viva pienamente la mia prerogativa di sposa. Pregate, perché sia sempre pronta a tutto, con la lampada della fede sempre viva, affinchè il Maestro possa disporre di me come vorrà. Io bramo di restarmene continuamente vicina a Colui che sa tutto il mistero, per imparare tutto da Lui. « II linguaggio del Verbo è l'infusione del dono ». È proprio vero;

Egli parla all'anima nel silenzio. Oh, questo caro silenzio!... per me, è la beatitudine. Dall'Ascensione alla Pentecoste, siamo state in ritiro nel Cenacolo, nell'attesa dello Spirito Santo;

ed era così bello! Durante tutta questa ottava, abbiamo la esposizione del santissimo Sacramento, nella nostra cappella, e passiamo ore divine in questo piccolo angolo di paradiso, dove possediamo la visione sostanziale sotto le umili specie dell'Ostia, Sì, Colui che i beati contemplano nella chiara visione, è il medesimo che noi adoriamo nella fede. Vi trascrivo un pensiero tanto bello che mi è stato inviato: « La fede è il « facie ad faciem » c nelle tenebre. Perché non sarebbe così anche per noi, dal momento che portiamo in noi Iddio, e che Egli altro non chiede che di possederci, come ha posseduto i santi? Ma i santi erano vigilanti sempre; « Essi tacciono — come dice il

4 San Giovanni, XIII-1.

5 Salmo XVI-15. " I Corinti, XJII-12.

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Padre Vallèe —- vivono raccolti, e non hanno altra attività che di rendersi sempre più capaci di ricevere ». Uniamoci, per essere la gioia di « Colui che ci ha troppo amati » r, come dice san Paolo; facciamogli nell'anima nostra una dimora in cui tutto sia in pace, in cui risuoni sempre il cantico dell'amore, del ringraziamento. E poi, silenzio!... il grande silenzio, eco di quello che è in Dio... Avviciniamoci, come mi dite, alla Vergine tutta pura, tutta luminosa, affinchè ci introduca in Colui nel quale Ella penetrò così profondamente. Sia, la nostra vita, una comunione continua, un movimento semplicissimo verso il Signore. Pregate per me la Regina del Carmelo, che io pure prego molto per voi, e vi assicuro che rimango a voi unita, nell'adorazione e nell'amore » ".

Nessuna traccia di sentimentalità o di esagerazione in queste righe di una purezza che non ha più nulla della terra.

L'ora del diaconato si avvicina per il seminarista; in nome del Carmelo di Digione, suor Elisabetta gli assicura che non sarà dimenticato:

« Mìsericordias Domini in aeternum cantabo ". La nostra reverenda Madre, non potendo scrivere lei stessa questa sera, mi incarica di venire a voi, affinchè possiate ricevere una parola dal Carmelo, che vi dica quanto vi siamo unite in questo gfan-de giorno. Quanto a me, io mi raccolgo e mi ritiro fino in fondo all'anima mia, dove abita lo Spirito Santo; e chiedo a questo Spirito d'Amore « che tutto scruta, anche le profondità di Dio » " di donarsi a voi sovrabbondantemente e di irradiare l'anima vostra perché, sotto la Sua grande luce, riceva « l'Unzione del Santo » di cui parla il discepolo dell'amore. Con voi, io canto l'inno del ringraziamento; ma con voi pure io taccio per adorare il mistero che vi avvolge. Il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo, la Trinità tutta si china su di Voi, per far risplendere la « gloria della sua grazia » ".

7 Efesini, 1:1-4.

s A Don Oh... - 14 giugno 1903.

9 Salino LXXXIU-2.

" Corinti, 11-1.0.

" A Don Ch... in Decisione de) suo diaconato - Aprile 1905.

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« San Paolo, nella sua epistola ai Romani, dice che « quelli che Dio ha conosciuti nella sua prescienza, li /•.' anche T'redc-stinati ad essere conjormi all'immagine (lei Figlio suo » 12. Mi sembra die parli proprio di voi. Non siete voi, infatti, questo predestinato che Dio ha eletto perdio sia suo sacerdote? Penso che, nella sua attività di amore, il Padre si rlìin:i sull'anima vostra e l;ì lavora con la sua sicssa divina in;in", col suo tocco delicato, perche la somiglianzà con l'ideale divino sia sempre più perfetta, fino al giorno in cui la Chiesa vi dirà: « T'i es sih cerdos in acterniim » ''\

Allora, tutto in voi sarà per così dire una copia di Gesù Cristo, il Pontefice supremo: e voi potrete -'icc'ssanleincnfc riprodiirlo dh'n/;-.' ,7 Padre sufi e din.ìi'"i alle "mine. Quale grandcCTa! La virtù " <ii)vrae;iììncfi1c » di Pin fini';'.; lici vostro essere (•ci" trasformarlo e divini/'/'arlo. ••', mera siihiin";- che richiede grande raccoglimento, grande, ;'m''rosa applicazione a Dio » 1 ''.

Giunta aliine l'ora clell'Ordinazionc s:icerdot:il.,', l'anim;i di suor Llisahctta, impotente ad esprimere i suoi sentimenti per l'imminenza del grande mistero, non trova rifugio che in una più intensa preghiera: « Avevo chiesto alla nosti-i reverenda Madre il permesso di scrivervi, per dirvi che l'anima mia e tutta con la vostra anima in questi ultimi "i'-rni '•hc precedono la sacra ordinazione; ma ecco che, avvicinandomi a voi, dinanzi al grande mistero che si prepara, non so più fare altro che tacere... e adorare l'eccesso d'amore del nostro Dio. Insieme alla Vergine, voi potete cantare il vostro « Magnificat », e trasalire in Dio, nostro Salvatore, perché l'Onnipotente 1-ia compiuto in voi grandi cose e la Sua misericordia è eterna. Poi, come Maria, conservate tutto ciò nel vostro cuore; mettetelo vicino al Suo, perché questa vergine sacerdotale è anche « Madre, della divina grazia •>•> e, nel suo grande amore, vuole prepararvi a divenire « quel sacerdote fedele, secondo il d/ore di Dio »,

12 Romani VIII-29.

13 Salmo CTX-4,

1< Lettera a Don Cl-i... - Primnvei-a del 1905. fPrim;i ilell;' Sncra Ordinazione).

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I

di cui parla la sacra Scrittura. Come questo « sacerdote del Dio altissimo, che non ha ne Padre, ne madre, ne genealogia, ne principio di giorni, ne termine di vita » 1B, immagine del Figlio di Dio, così voi pure, mediante la sacra unzione, divenite quell'essere che non appartiene più alla terra, quel mediatore fra Dio e le anime, chiamato a far risplendere « la gloria della Sua Grazia », con la partecipazione alla sovraeminente sua virtù ». Gesù, il Sacerdote eterno, diceva al Padre, entrando nel mondo: « Eccomi per fare la tua volontà » le. Mi pare che questa debba essere anche la preghiera vostra, nell'ora solenne in cui vi inoltrate nel sacerdozio; e mi è caro ripeterla con voi. Venerdì, all'altare, quando fra le vostre mani consacrate verrà ad incarnarsi nell'umile ostia, per la prima volta, Gesù, il Santo di Dio, non dimenlicnte colei die Egli ha condotta sul Carmelo perche sia la lode della Sua gloria. Chiedetegli di seppellirla nelle fiamme del Suo amore. Poi, offritela al Padre insieme al divino Agnello. A Dio! se sapeste quanto prego per voi! La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con voi » ".

2. Suor Elisabetta amava il sacerdote soprattutto all'altare, nel momento in cui il Verbo Incarnato si immola fra le sue mani, per la Chiesa. Sentiva, per il profondo intuito del mistero di Cristo scolpito nella sua anima dal battesimo, che in quell'ora specialmente il sacerdote compie nel mondo il suo grande ufficio di mediatore. Essa non baciava, come santa Caterina da Siena, le orme dei passi del sacerdote che le aveva dato il Cristo nella santa Comunione; ma supplicava, con un'insistenza che commuove, di essere ricordata durante il santo Sacrificio dai sacerdoti, che la conoscevano; supplicava che immergessero l'anima sua « nel sangue dell'Agnello ». « Lo so che ogni giorno, durante la santa Messa, voi pregate per me. Mettetemi nel calice, affinchè l'anima mia sia tutta impregnata del sangue del mio Cristo; ho sete di questo sangue, che mi renda tutta pura,

18 Ebrei, VII, 3.

10 Ebrei, X, 9.

" TI Colimi, XHI-U — A Don Ch... - 27 giugno 1905.

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tutta trasparente, in modo che la Trinità possa riflettersi in me .come in un cristallo » 18.

Ancora la medesima preghiera, quando entrava nei suoi ritiri particolari: « Parto, questa sera, per un grande viaggio. .Per dieci giorni, solitudine assoluta, molte ore di orazione supplementare, velo abbassato quando devo circolare nel monastero. La mia vita sarà più che mai quella di un eremita nel deserto. Ma, prima di internarmi nella min Tcbnide, ho proprio bisogno di venire ad implorare il soccorso delle vostre preghiere, soprattutto una larga intenzione durante il santo Sacrifìcio. Nel momento in cui Gesù, il solo Santo, si incarna nell'ostia che voi consacrate, vogliate, vi prego, consacrarmi con Lui come ostia di lode alla sua gloria, affinchè tutti i movimenti, tutti gli atti miei siano un omaggio reso alla sua santità.

« Siate santi, perché io sono santo » '9. Sotto questa parola mi raccolgo; camminerò, durante il mio viaggio divino, ai raggi di questa luce. San Paolo me la commenta, quando dice: « Dio ci ha eletti in Lui prima della creazione, affinchè siamo immacolati e santi al suo cospetto, nell'amore » "". Ecco, dunque, il segreto di una tale purezza verginale: rimanere nell'amore, cioè in Dio. « Dio è amore » 21.

Durante questi dieci giorni, pregate dunque molto per me;

ci faccio grande assegnamento. Anzi, vi dirò che mi pare una cosa semplicissima e naturale; il Signore non ha unito infatti le nostre anime affinchè si aiutino a vicenda? e non ha Egli detto:

« il fratello aiutato dal fratello è come una citta munita »? 22. Ecco, dunque, la missione che vi confido. E vi chiedo di voler ripetere per me la preghiera che saliva a Dio dal grande cuore ,di Paolo per i suoi cari figli di Efeso: « Vi conceda, il Padre, secondo la ricchezza della Sua gloria, di essere corroborati in virtù, mediante il suo Spirito, nell'anima vostra, così che Cristo prenda dimora nei vostri cuori per mezzo della fede; e voi, radi-

18 Lettera al canonico A... - Agosto 1902.

19 Levitico. XI-44. ^ Efesini, 1-4.

21 San Giovanni, IV7, 16.

22 Proverbi, XVIII, 19.

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cali e fondati in amore, possiate comprendere l'altezza e la profondità di questo mistero, e possiate conoscere l'amore di Cristo, che sorpassa ogni scienza, così che siate riempiti secondo la pienezza di Dio ". Santifichiamo Cristo nei nostri cuori, affine di realizzare ciò che cantava Davide, sotto la mozione dello Spirito Santo: « Su di lui fiorirà, splendida, la mia santità » 24.

E quando, nell'ultima fase della sua vita, suor Elisabetta ha trovato nella sacra Scrittura il suo nome nuovo, si rivolge ancora al sacerdote della Messa: « Aiutatemi, vi prego, ne ho tanto bisogno! quanto più cresce la luce, tanto più sento la mia impotenza. L'8 dicembre, durante la Messa solenne, fatemi il dono di offrirmi all'Amore onnipotente, perché io sia veramente .« laudem gloriae ». L'ho trovato in san Paolo, ed ho compreso che questa è la mia vocazione fin dall'esilio, in attesa del Sanclus eterno » ".

3. C'è, nello svolgersi del mistero della Messa, un duplice gesto del celebrante, gesto che rivela molto bene la missione del sacerdozio e contiene tutto il senso della sua mediazione ascendente e discendente: l'elevazione dell'Ostia santa verso la Trinità alla Consacrazione, e la distribuzione del Pane di vita ai fedeli, al momento della Comunione. Offrire Cristo alla Trinità, donare Cristo a1 mondo: ecco la duplice missione del sacerdote sulla terra. Missione divina: per compierla degnamente, ci vorrebbe l'anima di Cristo, ed ecco perché la Chiesa tutta quanta, ma particolarmente le vergini contemplative sono impegnate alla conquista di tali anime; ed innumerevoli sono le vite che si immolano silenziosamente a questo scopo; sono le vite più pure, le più crocifisse che passano nei chiostri.

Suor Elisabetta della Trinità intuiva profondamente i bisogni spirituali del sacerdozio, e sentiva quanto è necessario pregare, perché i ministri di Dio siano santi. È chiaro che non bisogna chiedere ad una Carmelitana tutta una teologia del sacerdozio;

suor Elisabetta non si addentra in una analisi particolareggiata

23 Efesini. Ili - 14... 19.

24 Salmo CXXXI-18. — A Don Ch... - 8 ottobre 1905.

25 A Don Ch... - Dicembre 1905.

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delle virtù sacerdotali: pietà, castità, distacco dalle ricchezze. scienza, obbedienza, zelo per la salvezza delle anime e per In gloria di Dio; non è questo il suo compito, ne sarebbe consono al suo temperamento spirituale. Fedele al suo metodo prende le virtù alla sorgente da cui scaturiscono: l'unione con Dio. Secondo un processo psicologico normale, per trasposizione, il suo sogno tutto personale di vita intcriore viene proiettato nell'anima del sacerdote, ed una formula di sublime concisione ne definisce l'ideale santo: il sacerdote è « un altro Cristo che lavora per la gloria del Padre ». Quanto avrebbe compreso ed amato la parola così bella di Pio XI che, nella sua enciclica .magistrale sul sacerdozio, dice: « il sacerdote viva come ini altro Cristo. Vivai ut al ter Chrisfus » 2".

Inoltre, secondo la sua grazia particolare, con atto delicatissimo e totale nascondimento di sé, senza neppure sfiorare il tono cattedratico, ma lasciando che con tutta semplicità l'ani-xna sua di Carmelitana si effonda in un'anima di sacerdote, suor Elisabetta sa ammonire che la vita intcriore e il segreto di ogni apostolato, e che, senza vita interiore, anche il sacerdote, pur sollevando forse molto rumore fa poco pochissimo bene; quando non faccia invece del male. e un male irreparabile. Conosceva bene il testo del suo Padre spirituale, san Giovanni della Croce, nel Cantico: « II minimo atto di amore puro ha piu valore agli occhi di Dio ed è più benefico per la Chiesa e per l'anima stessa, che non tutte le altre opere unite insieme »27. Tanto è vero che la più piccola scintilla di puro amore ha, per la Chiesa, la massima importanza.

Essere apostolo significa comunicare Gesù Cristo al mondo;

ma non si può donarlo che nella misura in cui lo si possiede. E lui stesso, il Maestro, ci ha insegnato le vere leggi dell'apostolato, nell'ultimo discorso ai discepoli, la vigilia della sua morte.

« Io sono la vite e voi i tralci. Colui che divi or a in me e nel quale io dimoro, porterà abbondanti erutti. Come il tralcio rion può portare frutto da se medesimo, se non rimane unito alla vite, cosi neppure voi, se non rimanete in me. Senza di

26 Ad culholici sficerdotii - 20 dicembre 1935.

27 Cantico spirituale, sit. XXIX.

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me, non potete far nulla. Ala se rimarrete in me (e nella misura in cui mi resterete uniti}, fonerete erutto, molto frutto. Tutto ciò che vorrete, chiedetelo e lo otterrete. Il Padre mio sarà glorificato, se produrrete frutti copiosi. Come il Padre ha amato me, così io vi ho amati. Perseverate nel mio amore » 2S.

Questo discorso di Gesù dopo l'ultima cena è il codice dell'apostolato cristiano.

Seguendo il suo Maestro, suor Elisabetta della Trinità, coltrice squisita della vita intcriore, non avrebbe potuto tacere questa particolare e assoluta necessità di intima unione con Gesù, per il sacerdote che vuole a sua volta comunicare Cristo alle anime. Nel pensiero di suor Elisabetta, l'apostolo è innanzi tutto un essere di preghiera e di immolazione silenziosa, ad imitazione del Crocifisso che ha salvato il mondo non con l'azione smagliante o con il fascino dei bei discorsi, ma col dolore e la morte. Ed essa, associando il suo apostolato all'azione del sacerdote, vuole restare nella linea di questa immolazione redentrice e nella imitazione di questa morte. Eccola, quindi, tutta intenta ,a « dare compimento nella sua carne a ciò die inanca alle sofferenze di Gesù per il suo Corpo che è la Chiesa » ed a colmare così quelle misteriose lacune della passione di Cristo, lasciate .da Dio perché possiamo apportare noi stessi la nostra goccia di sangue all'opera grandiosa della redenzione del mondo.

« Chiediamogli di renderci coerenti nel nostro amore, cioè di fare di noi degli esseri di sacrificio; mi sembra che il sacrificio -non sia che l'attuazione dell'amore: « Mi ha amato e si è dato per me ».

Mi piace tanto questo pensiero: « La vita del sacerdote — e della Carmelitana — è un Avvento che prepara VIncarna-yone delle anime ». Davide canta in un salmo: « II fuoco dinanzi a Lui precede » 2". Il fuoco non è forse l'amore? E la nostra missione non è quella di preparare le vie del Signore mediante l'unione nostra a Colui che l'Apostolo chiama « un fuoco consumante »? ". Al suo contatto, l'anima nostra diventerà fiamma

28 San Giovanni, XVI-1... 9. "" Salmo XCVI-3. " Ebrei, XII-29.

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,di amore diffusa per tutte le membra del Corpo di Cristo, che è la Chiesa; e consoleremo allora il Cuore del nostro Maestro .che potrà dire, mostrandoci al Padre: « /// essi. io sono già glorificato » 31.

L'anima apostolica di suor Elisabetta lia penetrato il senso profondo del dogma della comunione dei santi, che associa ogni membro al bene spirituale della Chiesa tutta quanta. Cosciente di questa verità, essa, nel giudicare la parte sua personale di contemplativa nell'insieme del corpo mistico, sapeva elevarsi senza falsa umiltà a quell'altissima luce dell'unità che unisce tutti i mèmbri della Chiesa militante e trionfante al « Cristo .totale » in cammino verso la Trinità. La sua grande anima di .contemplativa, lontana da vedute meschine e da piccole sensibilità, si muoveva a suo agio nei più ampi orizzonti del piano divino.

« Non lo sentite anche voi che per le anime non esistono distanze, ne separazioni, ma la realizzazione della preghiera del Cristo: « Padre, che essi siano consumati nella ìinità » ? Mi pare che le anime pellegrine sulla terra e i beati nella luce della visione siano così vicini gli uni agli altri! poiché sono tutti in comunione con uno stesso Dio, con un medesimo Padre che si dona agli uni nella fede e nel mistero, e che sazia gli altri nella sua luce divina. Ma è il medesimo, sempre; e lo portiamo dentro di noi. Egli sta chino sulle anime nostre con tutto il suo amore, sempre, giorno e notte, bramando di comunicarci, di infonderci la sua vita divina per trasformarci in esseri deificati che lo irradiano ovunque. Quale potenza esercita sulle anime l'apostolo che non si distacca mai dalla sorgente delle acque vive! Lasci pure che l'onda trabocchi e si sparga all'intorno; non c'è pericolo che la sua anima venga a trovarsi vuota, perché è in comunicazione con l'infinito. Io prego tanto per voi! prego che invada tutte le potenze dell'anima vostra, che vi faccia partecipare a tutto il mistero, che tutto in voi sia divino e porti il suo suggello affinchè siate un altro Cristo che lavora per la ,Sna gloria.

Voi, pure, nevvero, pregate per me? Anch'io voglio lavorare

31 San Giovanni, XVII-10 — A Don B... - 1902.

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tanto per la gloria di Dio; ma bisogna che sia tutta piena di Lui; sarò onnipotente allora, perché anche un solo sguardo, .un desiderio, diverranno una preghiera irresistibile, che può tutto ottenere dato che, per così dire, si offre Dio a Dio.

Le nostre anime non siano che una sola, in Lui. Mentre voi lo porterete alle anime, io resterò come Maddalena, silenziosa e adorante, vicino al Maestro, chiedendogli di rendere feconda nei cuori la vostra parola. Apostolo, Carmelitana, è tutt'uno. Doniamoci interamente a Lui, lasciamoci pervadere dalla Sua linfa divina; sia la vita della nostra vita, l'anima della nostra anima, e rimaniamo, vigili sempre, coscienti sempre, sotto la sua azione divina » 32.

Tutto è equilibrato in questa dottrina dell'apostolato del sacerdote nella Chiesa, associato a quello della Carmelitana. Mentre il sacerdote porta il Cristo nelle anime con la parola, coi Sacramenti e con le altre svariate forme del suo ministero, Ja Carmelitana se ne sta silenziosa come Maddalena ai piedi di Cristo, o meglio, come la Vergine corredentrice ai piedi della Croce, immedesimata nell'intimo con tutte le vibrazioni dell'anima del Crocifisso e morendo con Lui per gli stessi fini di redenzione.

4. Il posto che occupa il sacerdote nella vita cristiana è veramente della massima autorità ed importanza. Associato a Dio nella cura delle anime, egli è costituito, secondo la parola di san Paolo « collaboratore di Dio » 33. E suor Elisabetta della Trinità scriveva: « Voi siete il dispensatore dei doni di Dio; e l'Onnipotente, la cui immensità compenetra l'universo, sembra aver bisogno di voi per donarsi alle anime » 34.

Verità, questa, a cui si riflette troppo poco. Il mondo riceve il Cristo dalle mani del sacerdote. Al bimbo appena nato alla vita, egli da, col battesimo, un'altra vita: quella di Cristo; e in essa lo fa crescere, lo fortifica col sacramento della confermazione; lo nutre di Dio ogni mattina con le sue stesse

32 Lettera a Don B... - 22 giugno (senza data dell'anno).

" T Corinti. TII-9.

•'" Al Mcei'i.lotc Don B... (senM data).

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mani; caduto, lo risolleva e lo risuscita alla vita divina; quando giunge poi l'ora in cui, divenuto uomo, sceglie e fissa la propria vita, è ancora il sacerdote che viene a portare Cristo nel nuovo focolare; e finalmente, giunta la sera della vita, quan-,do tutto è ormai compiuto, un gesto supremo di benedizione .discende sul vegliardo che muore: «Parti, anima cristiana, ritorna al Cristo del tuo battesimo », e il sacerdote gli apre le porte del cielo. Dalla culla alla tomba, il sacerdote gii è vicino. sempre.

Ma questa influenza del sacerdote che accompagna l'uomo lungo tutta la sua esistenza, non si limita agli individui; si estende anche alle nazioni. Soltanto il sacerdote ha ricevuto da Cristo la missione di « istruire tutti i popoli fino alle estremità della terra » "; ed egli, con la dottrina e col ministero della parola, rende docili le intelligenze al « giogo soave di Cristo ».

Se si considerano le verità insegnate dal sacerdote — osserva il Sommo Pontefice Pio XI nella sua enciclica « Ad catholici Sacerdoti! » 3S— se si vuoi misurarne l'intima forxa, si comprende facilmente a qu;il punto l'innuen?a di ini sin benefica per l'elevazione morale e la tranquillità dei popoli, fì il sacerdote ,— e spesso soltanto lui — che ammonisce i grandi e i piccoli, ricordando loro la brevità fulminea di questa vita, la fugacità .dei beni terreni, i veri valori spirituali ed eterni, la tremenda .verità dei giudizi di Dio, l'incorruttibile santità di quello sguardo divino che scruta i cuori e da a ciascuno secondo le opere sue. Veramente, il sacerdote è il mediatore posto fra Dio e gli .uomini per far discendere sopra di essi i beni che da Lui derivano, ed a Lui fare ascendere la preghiera che placa il Signore adirato ».

Che dire poi dell'influenza esercitata dal sacerdote sulle anime che, nella Chiesa, vivono una vita più intensamente spirituale? Queste soprattutto hanno bisogno di una guida sapiente per non smarrirsi nel « sentiero stretto » e fiancheggiato da precipizi, che conduce all'unione divina. San Giovanni della Croce .ha pagine severe e avvertimenti gravi per i direttori spirituali

35 San Matteo, XXVIII-19. 3G 20 dicembre 1935.

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insufficienti che mancano di scienza e di virtù. È dono si raro e di così immenso valore, un saggio direttore! e san Francesco di Sales ammoniva di « cercarlo fra mille ». Santa Teresa, che ebbe un poco da soffrire a questo riguardo, serbò sempre un ricordo pieno di riconoscenza per quei sacerdoti pii e dotti nei .quali il Signore le aveva misericordiosamente fatto trovare un appoggio di cui non avrebbe potuto fare a meno, nelle ore .difficili dcll'.inima sua e delle sue fondazioni; anzi, poiché, ih tali circostante, aveva ricevuto benefizi singolari dai grandi teologi dell'Ordine di san Domenico, la santa amava chiamarsi « domenicana di cuore ».

Questo gusto della sana dottrina e della sapiente dirczione è rimasto tradizionale, al Carmelo; e su questo punto, come su tutti gii altri, suor Elisabetta si mostrò vera figlia di santa Teresa. Bambina e giovinetta, andava regolarmente a confessarsi dal suo parroco che era insieme il suo direttore; ma lo trovava fin « troppo buono », e pensò di chiedere a un padre Gesuita una dirczione più ferma.

Scriveva nel suo diario, il 6 febbraio 1899: «Venerdì, .sabato, domenica, avremo l'esposizione del santissimo Sacramento nella nostra parrocchia; e il mio antico confessore verrà a predicare l'adorazione perpetua. Sarò felice di rivederlo, di parlargli delta mia vocazione; quante volte ho rimpianto la sua direziono ferma e severa! Il signor curato è tanto tanto buono, .anzi troppo buono; mi guida troppo dolcemente, non sa essere .severo, mai. L'altro giorno ho parlato alla mamma del mio desiderio di lasciarlo e di andare invece dal Padre Chesnay, il predicatore degli esercizi spirituali, che sarei tanto contenta di poter avere come direttore; ma la mamma non è stata soddisfatta e d'ora innanzi non ne parlerò più.

Venerdì 10 febbraio: Sono andata a confessarmi, oggi, e sono rimasta veramente contenta; ho parlato al mio direttore del ritiro, gli ho confidato le mie risoluzioni e tutte le grazie di cui Dio mi ha colmato in questi giorni; ed egli mi ha consigliato di accusarmi, in ogni confessione, delle mancanze a questi miei propositi, assicurandomi che, in tal modo, farò un grande progresso ».

18?

A Digione, seguiva volentieri le conferenze spirituali e i ritiri tenuti dai Padri Gesuiti e talvolta li consultava per il bene dell'anima sua, fedele poi a metterne in pratica i consigli.

E quanto ammirava ed apprezzava la dottrina del Padre Vallèe « così profondo, così luminoso! » ". L'influenza di questo religioso eminente è manifestata in qualcuno dei caratteri più .essenziali della fisonomia spirituale di suor Elisabetta: per esempio: tacere, credere all'amore, vivere nel profondo dell'anima in società con Colui che vi è presente e vuole, ad ogni istante, purificarci e salvarci. Tré mesi prima di morire, essa chiedeva ancora al Padre di darle i suoi consigli, e lo pregava a volerle tracciare un programma pratico di conformità al Crocifisso, idea dominante degli ultimi suoi giorni: « ...Credo che fanno venturo vi festeggerò con san Domenico ncll'el'edit.ì dei santi, nella luce; ma, per quest'anno, mi raccolgo ancora nel cielo dell'ani-,ma mia per prepararvi una festa tutta intima; ed ho bisogno di dirvelo; ho bisogno anche. Padre mio, di chiedervi la vostra preghiera perché mi aiuti ad essere molto fedele, molto vigilante, e a salire il mio Calvario da vera sposa del Crocifisso:

Quelli che Dio ha conosciuti nella sud prescienza, li ha anche predestinati ad essere conformi alla immagine del suo Figlio .divino ». Questa parola del grande san Paolo riposa l'anima, ed io l'amo tanto. Penso che « nel suo eccessivo amore >•>, Efli fili ha conosciuta, chiamata, giustificata; ed ora nell'attesa di essere da Lui glorificala, voglio essere la lode incessante della sua gloria. Padre, chiedeteglielo per la vostra figliolina. Ricor-,date? proprio come oggi, cinque anni or sono, bussavo alla .porta del Carmelo, e voi eravate lì presente, per benedire i miei ,primi passi nella santa solitudine. Ora, busso alle porte dell'eternità, e vi chiedo di volervi chinare ancora una volta sull'anima mia per benedirla sulla soglia della « casa del Padre ». Quando .sarò inabissata nel fuoco immenso dell'Amore, in seno ai « Tré » .verso i quali avete orientata l'anima mia, oh! non dimenticherò .tutto quello che siete stato per me; e a mia volta, vorrei poter dare tanto al Padre da cui tanto ho ricevuto. Posso esprimervi un desiderio? Sarei felice di ricevere da voi due righe che mi

37 Alla signora A... - 29 settembre 1902.

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indicassero come realizzare il piano divino: essere conforme all'immagine del, Crocifisso.

A Dio, mio reverendo Padre! Vi prego di benedirmi in nome dei « Tré » e di consacrarmi ad Essi come una piccola ostia di lode ».

Non si vedeva suor Elisabetta, come tante anime inquiete, correre da un direttore all'altro; con semplicità e docilità, si accontentava dei confessori che la Provvidenza le inviava al Car-,melo; tuttavia, in una necessità, non esitava a ricorrere ad un ministero straordinario. Così la vigilia della professione, l'anima sua smarrita e sgomenta non potè ritrovare la pienezza della pace che con la parola autorevole di un religioso prudente e sapiente, venuto apposta per lei.

Per tutta la vita, serbò un affetto filiale e riconoscente al buon Canonico, amico di famiglia, che aveva ricevuto le sue prime confidenze.

« Se la santa Regola del Carmelo — gli scriveva — impone silenzio alla mia penna, però la mia anima e il mio cuore non .rinunciano, ve l'assicuro, a venire da voi; e valicano spesso la clausura; ma sono certa che il Signore me le perdona queste fughe, perché sono compiute con Lui e in Lui. Pregate tanto per la vostra piccola Carmelitana, perché sia più fedele, più .amante, in questo nuovo anno; vorrei consolare davvero il mio Maestro, restando unita a Lui, sempre. Voglio farvi una confidenza tutta intima, dirvi che sogno di essere « la lode della Sua gloria ». L'ho letto in san Paolo; e il mio Sposo divino ,mi ha fatto sentire che questa è la mia vocazione fin dall'esilio, nell'attesa di cantare il Sancius eterno nella città dei beati; ma questa vocazione di « lode di gloria » suppone una grande fedeltà; bisogna morire a tutto ciò che non è Lui, per non vibrare più che al suo tocco divino. E invece la povera Elisabetta fa ancora dei torti al suo Signore; ma, come un tenero Padre, Egli la perdona sempre, la purifica col suo divino sguardo; ed essa, .come san Paolo, cerca di dimenticare ciò che lascia indietro, per .slanciarsi sempre innanzi. Come si sente bisogno di santificarsi, di dimenticarsi, per essere interamente dedicata agl'interessi dclin Chiesa! Povera Francia! Io invoco per lei misericordia e

187

la copro col sangue del Giusto, di « Colui che e vivo sempre per intercedere in vostro favore »3S. E sento che la missione della .Carmelitana è sublime: la Carmelitana deve essere mediatrice insieme a Gesù Cristo, deve essere per Lui quasi un prolungamento di umanità in cui Egli possa continuare la sua vita di riparazione, di sacrificio, di lode e di adorazione. Chiedetegli che io possa essere all'altezza della mia vocazione, e non abusi mai delle grazie innumerevoli che Egli mi prodiga; perché se sapeste come un tale pensiero mi fa paura qualche volta! Ma allora mi rifugio in Colui che san Giovanni chiama « il Fedele, il Verace » e lo supplico di essere Lui stesso la mia fedeltà...

La domenica dell'Epifania si compie il terzo anniversario delle mie nozze con l'Agnello; durante il santo Sacrificio, consacrando l'Ostia in cui Gesù si incarna, vi prego, consacrate anche la vostra figliolina all'Amore onnipotente, perché Egli la trasformi in Lode di gloria » ''".

Ecco come la Carmelitana, fedele alla volontà del Maestro e alla sapienza della Chiesa, si rivolgeva al sacerdote per chiedergli di aiutarla nelle diverse fasi della sua vita spirituale, e di condurla fino all'unione divina. È tutto il senso del sacerdozio:

con la parola, con la preghiera e con i sacramenti, con la Messa soprattutto, « formare Cristo » nel mondo delle anime e « per Lui, con Lui, in Lui », consumarle « nell'imìta •» con Dio.

Ma poi — cosa che suor Elisabetta della Trinità non supponeva neppure — essa traeva seco in una atmosfera divina le anime sacerdotali che ebbero la fortuna di avvicinarla e clic, .tutte indistintamente serbarono di lei il ricordo di una ben alta santità4''. Caso non raro, nell'esercizio del sacro ministero:

per un ammirabile compenso della Sapienza divina, il sacerdote che si china sulle anime è santificato da esse. Chi ha molta esperienza, lo sa: se il sacerdote e inesso da Dio presso le anime per dirigerle e salvarle, vi sono pure, nel piano della Provvidenza, delle anime poste vicine al sacerdote per rivelargli o per ricordargli il cammino delle eccelse vette. Il Padre Maestro Banez,

38 Ebrei, VII-25.

39 Al Canonico A... - Gennaio 1906.

'!-) Testimonianza ricevuta. Il suo confessore lin per l;'i un vero culto.

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i r

celebre professore dell'università di Salamanca e fido appoggio di santa Teresa, era debitore alla grande riformatrice di alcuni fra i lumi piu sublimi che fecero di lui un sì alto teologo contemplativo. E san Giovanni della Croce aggiungeva al suo « Cantico » una strofa stupenda sulla divina bellezza, dopo aver ricevuto le confidenze spirituali di una Carmelitana di Beas.

Ma chi potrebbe dire le innumerevoli iniziative soprannaturali, nella vita della Chiesa attraverso i secoli, e le opere di apostolato che trovarono in questo stesso modo la loro ispirazione?

Quante anime sacerdotali hanno attinto dagli scritti di suor Elisabetta della Trinità quello sguardo definitivo verso le alte cime, che tutto trasforma e rinnova! Per la umile Carmelitana di Digione e una sua maniera delicata e riconoscente di rendere al sacerdozio un po' di tutto quello che ne ha ricevuto. Lassù, dal ciclo, essa continua la sua missione di Carmelitana associata all'apostolato del sacerdote, per affrettare « il giorno di Cristo » '" in cui « Dio Stira tutto in tutti » 42, per la « lode della ,stia gloria » ".

•" Filippesi. 1-10. ''" I Corinti, XV-28.

•" Efesini, 1-12.

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CAPITOLO OTTAVO

I DONI DELLO SPIRITO SANTO '

« Tutti gli atti dcll'nnini;i sono suoi e sono insieme di Dio ».

1. L'azione dei doni dello Spirito Santo - 2. Spirito di timore -3. Spirito di fortezza - 4. Spirito di pietà - 5. Spinto di consiglio - 6. Spirito di scienza - 1. Spirito d'intelletto - 8. Spìrito di sapienza.

1. Lo studio dei doni dello Spirito Santo tratta delle operazioni più sublimi della vita spirituale e tocca i punti culminanti della teologia mistica.

Questa attività alla maniera deiforme che riveste le anime ,dei « mores Irinìtatis » è il trionfo supremo della grazia e non si manifesta in tutta la sua magnificenza che nella luminosa sera della vita dei santi quando, essendo il loro proprio io per così dire scomparso, pare che Dio solo si riserbi le iniziative .tutte del loro agire. L'anima, introdotta in modo permanente nell'intimità delle divine Persone, partecipa alla vita trinitaria;

,e, secondo l'espressione di san Giovanni, vive « in società » 2 .col Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo « nell'unità » 3. È la grazia del battesimo nel suo pieno fiorire.

All'inizio, non è così. Il cristiano si muove « in Dio » un po' come un figlio adottivo che non ha preso ancora tutte le abitudini della sua nuova famiglia. Il battezzato non possiede che imperfettamente questa vita essenzialmente deiforme e non sa

' A causa della somma importanza die ha l'azione dei doni dello Spirito Santo nella vita spirituale, abbiamo dato una ampiezza maggiore alla esposizione teologica.

2 San Giovanni, 1-3.

3 San Giovanni, XVJI-21.

190

ancora come condursi per vivere « alla maniera di Dio ». Bisogna dunque che le Persone divine gli insegnino a vivere in seno alla famiglia trinitaria come Dio sfesso e, più specialmente « a modo del Verbo », poiché la conformità al Figlio segna il cul-Tnine supremo della nostra predestinazione nel Cristo.

Il passaggio da questa maniera umana delle virtù cristiane alla maniera divina costituisce propriamente l'oggetto dell'attività dei demi dello Spirito Sunto. Man mano che il battezzato procede nclln vita divina e si sviluppa in lui la grazia del suo battesimo, deve rendersi sempre più consapevole del mistero della sua filiazione divina che lo rende « estraneo » a tutto ciò che non è Dio; perché egli è divenuto veramente, secondo l'espressione di san Pietro, « partecipe della divina natura » " quale sussiste nella unità della Trinità. I predestinati dunque ricevono, .per grazia di partecipazione, proprio la natura divina comunicata dal Padre al Verbo e da entrambi allo Spirito Santo. Il cristiano è un altro Cristo la cui vita profonda è nascosta col Figlio unigenito nel seno del Padre per essere ivi « consumata nell'unità » di uno stesso Amore.

È di altissima, assoluta importanza essere profondamente compresi di questa verità fondamentale. La definizione della grazia contiene, per via di rigorosa conseguenza, tutto il senso sopi-annatiir.'ilc della allività delle virtù e dei doni dello Spirito Santo, che daila grazia stessa derivano, come dall'essere la proprietà. In che modo renderci conto che la fede ci fa « partecipi del Verbo » '"', se non si è compreso che, per la grazia della divina adozione, l'anima è divenuta, nella sua più intima essenza, conforme alla Trinità? Soltanto questa concezione della grazia, la più tradizionale e insieme la più profonda, spiega come sotto la mozione speciale delle divine Persone, si possa vivere già sulla terra « con un'anima di eternità », « alla maniera del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo », almeno quanto lo consentono le oscurità della fede e le difficoltà della presente vita, ostacolo, questo, insormontabile all'esercizio pieno e sem-

•* IT Pietro, 1-4. 5 S;ui Tomm.iso. Stimma ThcnI I, 3S a. 1.

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pre attuale della carità. La parola « parfecipiizione » " include e definisce tutte le sfumature che la vita deiforme può assumere nelle anime, dai primi passi di neobattczzsito, fino agli atti più divini dei « rari perfetti della terra » 7, stabiliti definitivamente sulle vette dell'unione trasformante, preludio normale della vita del Cielo. La grazia, infatti, essendo, per la sua legge più essenziale, ordinata alla maniera deiforme della gloria, avvia i predestinati con un progresso continuo, verso la vita perfetta ad immagine di Dio, vita della quale la Trinità beata costituisce, per ogni battezzato senza eccezione, il principio e il modello. ,« Siate perfetti come il Padre » s, diceva Gesù; cioè: vivete alla maniera di una Persona divina.

Tutto il progresso della vita spirituale consiste nello spogliarsi sempre più di questa maniera umana di vivere virtuosamente, al fine di avvicinarsi, per via di imitazione, al movi-Jnento più intimo, più segreto, più divino, della vita trinitaria. ,È giungere a non più vedere le cose alla maniera umana e neppure nella luce della fede, ma nel solo lume del Verbo, e « come Lui le vede »; è giungere ad amare divinamente senza potersi rivolgere ad un bene qualsiasi, creato o increato, se non per Dio innanzi tutto, per la sola sua gloria, un po' come le Persone divine si amano tra loro e amano l'universo in uno stesso movimento di amore.

Richiamare questi principi della più alta teologia mistica significa delineare l'azione dei doni dello Spirito Santo, il cui effetto proprio è di avviare le anime alla unione trasformante o di custodirle in essa, rivestite dei « mores Trinitatis ».

Lo Spirito agisce dapprima lentamente, in crescendo e con delle pause; poi, se l'anima corrisponde fedelmente, Esso procede con una frequenza che si fa via via più rapida e viene a costituire alfine uno stato permanente. È il regime predominante dei doni dello Spirito Santo che trionfa nell'anima dei santi. Il modello perfetto lo abbiamo in Cristo Gesù, che in ciascuna delle sue azioni si muoveva a suo piacimento, sotto la

" Partecipazione formale, analogica, inacleguata.

7 San Tommaso, Summa Tht'ol. ITI, (). 61, a. 5.

8 San Matteo, V-48.

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mozione e l'influenza dello Spirito. Dopo di Lui, la « Virgo fidelis » ne costituisce il tipo ideale più accessibile alla nostra debolezza, poiché Cristo è Dio e, per questa ragione, ci sorpasserà sempre all'infinito.

Questa vita mistica che è il normale sviluppo della grazia battesimale, diviene l'immediata preparazione alla vita deiforme dei beati. Anzi, la teologia osa definirla una « vita eterna incominciata ». L'anima, rivestita dai divinis moribus quanto può esserne capace una creatura sulla terra, se ne sta fin d'ora — come diceva suor Elisabetta — « immobile e in pace, come se già fosse nella eternità », vivendo « in società » col Padre, col suo Verbo, e con il loro reciproco Amore.

Nella luce deiforme che le viene comunicata, l'anima vede Dio e le cose tutte « alla maniera del Verbo », come Dio, in quella Luce unica in cui il Padre contempla il Figlio e il suo Spirito, in cui la creazione appare a ciascuna delle Persone della Trinità. Ama le Persone divine e il suo prossimo, come Dio ama Se stesso e tutto l'universo in un medesimo Spirito di Amore. Quindi, sotto l'attività deiforme delle virtù teologali, sotto la mozione dei doni, l'anima, secondo l'ardita espressione di san Tommnso, diviene « partecipe del Verbo e dell'Amore », « partkcps Verbi, parficeps Amoris » ". Si comporta veramente, fra le vicende della vita, « alla maniera di Dio » 10, come Cristo Gìesù, suo modello, che sempre, anche nei minimi atti, era diretto dal soffio dello Spirito.

Questa « maniera deiforme », è {'effetto proprio dei doni dello Spirito Santo. Per l'anima, è la vita con Dio nell'unione trasformante, « non facendo che un medesimo spirito con Luì » ", non avendo ne altra Luce, ne altro Amore. Ma in partecipazione, bene inteso, con tutte le distinzioni che comporta la nostra individualità irriducibile di fronte all'increato. Nella coscienza del suo nulla, in cui la tiene lo Spirito di Amore e di scienza, l'anima si riposa fidente nel soccorso onnipotente e salvatore che le custodisce sicura la sua eterna eredità.

" San Tommaso, Sminuii Theo!., I, q. 38, a. 1.

1:> San Tommaso, 3 Seni.. d. XXXIV, q. 1, a. 3 «ut j'am non humanitus, se<) quasi Pcw f.ìclus participatione operetur ». " ) Col-imi, VI-17.

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Le virtù cardinali, a loro volta, entrano/in questa fase di trasformazione divina nella misura in cui si può scoprire in Dio il loro prototipo ideale.

In Dio, la prudenza è quella provvidenza universale e tutelare che dirige il mondo, anche nei minimi avvenimenti, « con forza e con soavità » 12. La temperanza non può esservi in Dio, perché le passioni sensitive sono assenti dalhi divintà; vi è però .una beata concentrazione nell'unita, e una misteriosa circiin-iin-ccssioiic delle l'osonc divine die ripo,s;inn l'un.i lu'll'altra, il Padre nel Piglio, ed entrambi nel loro unico Amore, e gioiscono in comune della loro propria felicità. La forza di Dio è la tranquillità immutabile che mantiene la beata Trinità in una pace inalterabile, al di sopra delle nostre umane agitazioni. La giustizia poi, in Dio, consiste nell'osservanza benevola ma fedele delle leggi liberamente stabilite per la sua propria gloria e per il vero bene dei predestinati.

L'anima, indotta in questi « divini costumi », partecipa più .o meno a questa vita deiforme che la rende così cara alle Persone divine. « La Trinità si compiace tanto di ritrovare nelle sue creature la propria immagine! » ". E il Maestro, che lo sapeva, ammoniva: « Siate perfetti come il Padre Celeste ».

Tutte queste virtù « alla maniera deiforme » imprimono nell'anima la somiglianzà con la vita stessa di Dio. Mediante la grazia e le sue proprietà, l'anima entra veramente in partecipazione della Natura Increata e degli attributi divini.

La sua prudenza, disprezzando tutte le contingenze e le vanità di questo mondo si rifugia nella contemplazióne delle sole cose divine. La sua temperanza, nella misura in cui il corpo lo consente, lascia da parte tutte le gioie sensibili; anzi, non le conosce nemmeno più; è il « riescivi » " dell'anima che ha .trovato il suo Dio e il cui possesso la tiene in un ardente e felice .oblìo di tutto il resto. La sua forza ha una certa somiglianzà con l'immutabilità divina: più nulla ha il potere di distrarla o di agitarla, e tanto meno di allontanarla da Dio. La lotta non

12 Sapienza, VIIT-1.

13 Lettera al canonico A... - A.costo 1902.

14 Cfr. «Ultimo riliro», II.

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esiste più, per lei; è, nella sua vita, il trionfo pieno di Dio. Tutte le sue potenze sono tese verso di Lui, per servirlo e adorarlo; ed essa rende a Dio, in tutte le cose, onore e gloria, vivendo con Lui nella unità di un medesimo Spirito. L'anima, giunta a questa sommità; entra definitivamente nel ciclo della vita trini-taria e sembra vivere, come Dio, « in eterno presente » 15.

Suor Elisabetta della Trinità, lettrice assidua del « Cantico » e della « Vn'ii fnimvia » •si è fermata a descrivere soltanto questi ,st;iti siipci ini-i. Non già die essa ignori o disprezzi il duro sentiero della salita del Monte Carmelo; al contrario, un ascetismo implacabile accompagna sempre, in lei, la descrizione degli stali mistici più elevati: l'anima che non e morta a tutto, che « asseconda un pensiero inutile, un desiderio qual-siasi » le, si preclude da se stessa la via delle alte cime, alla unione trasformante non giungono che « le anime risolute a partecipare effcftivnmenle alla passione del loro Maestro e a rendersi conformi alla sua morte » ". Bisogna tuttavia riconoscere che la tendenza del suo spirito rimane prevalentemente mistica. La sua dottrina dell'unione trasformante è quanto mai personale; e ne abbiamo l'espressione più evoluta nelle ultime sue lettere e nei due ritiri, proprio quando la sua vita era do-Xninata da questa maniera deiforme dell'attività dei doni dello Spirito Santo. Questo carattere originale, assolutamente inconfondibile, della dottrina mistica di suor Elisabetta della Trinità non deve sorprenderci; lo Spirito è essenzialmente multiforme e vi sono numerose dimore nell'unione trasformante; si potrebbero dire, anzi, di una varietà infinita, la quale costituisce una .più stupenda manifestazione della gloria di Dio. Ne fanno prova le descrizioni così varie che ce ne hanno lasciate i Padri e i Dottori della Chiesa, i quali hanno trattato soggetti mistici in .modo diversissimo gli uni dagli altri, a seconda della propria indole, dei propri gusti, dell'educazione ricevuta, dell'ambiente. San Giovanni della Croce e santa Teresa ce ne hanno lasciato delle analisi in cui,, malgrado un accordo fondamentale, si ri-

15 Ultimo ritiro, X.

"'' Ultimo ritiro, II.

17 Ultimo ritiro. V.

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scontrano notevoli differenze. San Tommaso d'Aquino, seguendo la forma del proprio genio didattico per eccellenza, e utilizzando il pensiero di Piotino che era stato il più grande genio .mistico dell'antichità, ha saputo concentrare in un articolo interessantissimo tutto uno studio breve, ma profondo sulla somiglianzà « cum divini? moribus », somiglianzà che egli dice accessibile soltanto a « qualche raro perfetto della terra »; in tale

•articolo, quasi piccola somma mistica, troviamo espresso con .riassuntiva concisione il punto più elevato delta sua morale, la sua dottrina così personale dell'unione trasformnnte.

Anche in questo punto, anzi qui soprattutto, sarebbe puerile voler chiedere a suor Elisabetta della Trinità un insegnamento sistematico sull'esistenza, la necessità, la natura, la proprietà dei doni dello Spirito Santo, nella luce dell'unione trasformante. Compito della Carmelitana non è di insegnare in maniera dotta le vie dello spirito, ma di seguirle nel silenzio di una vita « tutta nascosta in Dio con Crfsfn » 1<ì. Al teologo. poi, discernere il valore dottrinale di questa testimoninn/.a e scoprirvi la realizzazione concreta dei principi della scienza mistica. In suor Elisabetta della Trinità si verifica, sopra un fondo di anima Carmelitana, l'incarnazione vivente della dottrina classica sui doni dello Spirito Santo.

Troppo spesso ci si immagina, e a torto, che le mozioni dello Spirito Santo non siano che per i soli atti eroici e accompagnate da grazie straordinarie: puri carismi concessi talora da Dio ai suoi servi per l'utilità della Chiesa, e che importa grandemente distinguere dall'attività dei doni. Per,, se, possono esserne disgiunti. La Madre di Dio, che è il tipo ideale, assolutamente .perfetto, dell'anima fedele, sempre docile allo Spirito Santo,

-non si legge che abbia avuto estasi, e probabilmente, durante la sua vita terrena, non compì alcun miracolo; passava, inavvertita, fra le donne di Nazareth; eppure, il più semplice gesto, il minimo sguardo della Madre di Dio aveva un valore, un'importanza corredentrice superiore a tutte le sofferenze dei martiri unite insieme, superiore anche a tutti i meriti della Chiesa militante, sino alla fine del mondo. Le operazioni della grazia santi-

" Colossesi, I II-?.

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ficante appartengono ad un ordine infinitamente superiore, essenzialmente trinitario. Quanto più deiforme è il principio dell'agire, tanto più meritoria è l'attività; ecco perché il minimo atto di Cristo, emanando dalla Persona di un Dio, possedeva un valore meritorio, impetrarono e soddisfattorio infinito. In un sorriso e come trastullandosi, Gesù avrebbe potuto riscattare migliala di mondi.

Questa dottrina è della massima importanza; ed è consolante vedere come i santi stessi vi insistano. Suor Elisabetta della Ti-init.ì, come già santa Teresa di Gesù Bambino, dichiara che la più elevata santità non consiste nelle rivelazioni e nei miracoli e nemmeno in una condotta straordinaria; ma nella pura fede, in una carità per quanto è possibile divina e insieme attuale, manifestata nella pratica costante e coraggiosa del dovere quotidiano. « Tutto consiste nell'intenzione; con essa, possiamo santificare le minime cose, trasformare le azioni più ordinarie dcììa vita in azioni divine ». Non sogniamo ne estasi ne martirio: « Un'anima che vive unita a Dio non può agire che soprannaturalmente e le azioni più ordinarie, invece di separarla da Lui, non fanno che avvicinarvela sempre più » ".

Parlando della Madonna, suor Elisabetta ci ha lasciato una frase profonda che mostra fino a qual punto abbia intuita questa verità: « Le cose più ordinarie — scrive — erano da Lei divinizzate » T". E, nell'atteggiamento della Vergine della Incarnazione, silenziosa e fedele, adoratrice del Verbo celato nel suo seno, ella sapeva riconoscere il vero modello delle anime intcriori che vogliono vivere in semplicità, docili sempre ai più lievi impulsi dello Spirito. Questo è, per lei, la santità autentica. Ma, « quale raccoglimento, quale sguardo amoroso e costante a Dio, reclama quest'opera sublime! San Giovanni della .Croce dice che l'anima deve starsene nel silenzio e in una solitudine assoluta, perché l'Altissimo possa realizzare i suoi disegni sopra di lei. Allora, Egli la porta, per così dire, fra le bràc-'j eia, come una madre porta la sua creaturina, e incaricandosi

19 Lettera -alla mamma - 10 settembre 1906. !:) « II paradiso sulla terra » - 12" orazione.

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JEgli sfesso della sua intima direziono, regna in lei inondandola di pace serena » 21.

« Tutti i suoi atti, pur derivando da lei, vengono nello stesso tempo da Dio » 22. Essa è insieme passiva e attiva: passiva sotto la mozione divina, attiva in virtù del suo libero arbitrio. Dio non sopprime la sua attività personale, ma la dirige, la so-prannaturalizza, in maniera tutta divina. Sono queste, evidentemente, le note caratteristiche del regime mistico dei doni.

« L'anima che penetra e dimora nelle profondità di Dio cantate dal Rè profeta, e che tutto compie in Lui, con Lui e per Lui, con quella limpidezza di sguardo che le conferisce una certa somiglianzà con l'Essere semplicissimo, quest'anima, con ciascuna delle sue azioni, per quanto ordinarie siano, si radica sempre più profondamente in Colui che ama. Tutto, in lei, rende omaggio al Dio tré volte santo; essa, è, per così dire, un Sanctus ininterrotto, un'incessante lode di gloria » 23. È la vita perfetta, nella docilità di tutti gli istanti al minimo soffio .dello Spirito.

Un'osservazione ancora, di carattere generico.

La grazia santificante reca nell'anima simultaneamente tutto l'organismo spirituale delle virtù e dei doni; ma la loro libera attività non prende Io stesso rilievo in tutti, in modo uniforme. .Alcune anime sono eminenti in questa o in quella virtù particolare, mentre le altre virtù, che tuttavia sono presenti in esse ed attive non appena Io esigano le circostanze, restano di solito in seconda linea.

Così, ad esempio, la forza si manifesta stupendamente nei martiri, la purità nelle vergini, la fede luminosa nella vita dei dottori, il puro amore di Dio nel silenzio contemplativo. Allo stesso modo, alcuni doni dello Spirito Santo predominano con particolare evidenza nella vita di alcuni santi: il dono del consiglio è più rilevante negli uomini di governo; il dono della scienza, accompagnato spesso dal dono delle lacrime, è più visibile negli Apostoli chiamati ad operare grandi conversioni

21 Lettera a Don Ch... - Primavera 1905.

22 « II paradiso sulla terra » - 3' orazione.

23 Ultimo ritiro. Vili.

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I I

e che si sentono profondamente commossi dallo spettacolo della miseria morale dei loro fratelli in Cristo; il dono della sapienza risplende nei grandi contemplativi i quali, elevandosi al di sopra di tutte le create cose, non vivono che per Dio solo, nella compagnia abituale delle Persone divine.

Non deve sorprenderci, dunque, se nella vita e nella dottrina spirituale di suor Elisabetta della Trinità, i sette doni dello Spirito Santo non si presentano tutti con uguale rilievo: il dono del timore, ad esempio, sembra come attenuato, altrettanto il dono del consiglio; al contrario, il dono della fortezza si manifesta luminosamente in mezzo alle sofferenze che resero gli ultimi suoi giorni terreni uno straziante calvario. Sono in lei palesi soprattutto i grandi doni contemplativi dell'intelletto e della sapienza, in virtù dei quali il movimento dell'anima sua è fortemente attratto verso gli abissi della vita trinitaria.

Questa analisi dei doni dello Spirito Santi ci introdurrà nelle più segrete operazioni d'amore che la Trinità svolge in questa anima così divinamente amata.

2. Nessuna colpa grave ha deturpato mai la sua anima verginale; è naturale, quindi, che non vi sia in lei nessuna traccia di quel timore colpevole che angustia le persone mondane. L'angoscia dell'inferno, che ha fatto tremare tante altre anime quantunque sante, sembra non averla nemmeno sfiorata. Nel peccato, una cosa sola essa considera; l'offesa infinita al Dio d'amore; ed è questa che la spaventa nella sorte dei peccatori e nella sua propria vita: timore filiale di un'anima che teme soltanto la pena causata a un Padre infinitamente buono, meritevole di tutta la fedeltà. « Io piango questi peccati che ti hanno fatto tanto male » 24.

Piuttosto la morte che il peccato. « Se dovessi, un giorno, offendere mortalmente lo Sposo che amo sopra tutte le cose, o morte, falciami presto, tè ne Scongiuro, prima che io abbia avuta un'infelicità così grande » ". « Mi sento disposta a morire piut-

24 Diario - 14 marzo 1899. " Ibidem - 10 marzo 1899.

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tosto che offenderti volontariamente, sia pure col pec'cato veniale »26.

Sotto l'influenza dello Spirito di timore, l'anima si sente tremare dinanzi all'infinita Maestà che abita in lei e che potrebbe annientarla in un attimo, come le sembra di meritare per i suoi peccati. Fino a che rimane ferma in questo sentimento di religioso timore, quasi di terrore sacro, le diviene impossibile qualsiasi ripiegamento di compiacenza sopra se stessa; ma, con tutte le forze, elimina quanto in lei potrebbe dispiacere al suo Dio. Questo Spirito di timore la mantiene nell'umiltà che è custode della carità perfetta. Sentimento necessario ad ogni creatura dinanzi alla Maestà di Dio; tanto che esso anima ancora ed in eterno i beati nel cielo, e raggiunge la sua espressione suprema nell'anima del Cristo di fronte alla potenza tremenda del Padre suo, infinitamente temibile ai peccatori.

Se non troviamo, in suor Elisabetta della Trinità dinanzi alla tremenda Maestà di Dio, quella forma di timore riverenziale così pungente nell'anima di certi santi e nell'Agonizzante del Gethscmani, possiamo riconosccrne però lìclln sua vita altri efletti caratteristici. Al dono del timore si ricollega quella beatitudine, la prima di tutte, dei « poveri in ispirilo », la quale ha una speciale affinità col primo dei sette doni; doni che rendono l'anima docilissima all'azione dello Spirito Santo. « Beali i poveri in ispirilo », i distaccati da tutto, quelli che non vogliono altra ricchezza che la Trinità e, di tutto il resto, niente, nada. Niente delle creature; niente nella memoria e nei sensi;

povertà, povertà, povertà. Niente nell'intelligenza, fuorché la luce del Verbo; niente nella volontà e nel più intimo dell'anima, se non la presenza della Trinità, la sola beatificante.

Sotto l'influenza dello Spirito di timore, l'anima, libera da ogni pensiero d'amore estraneo a Dio, si immerge nel proprio nulla, si vuota di se stessa, paventa la più lieve colpa, il minimo attacco, l'ombra stessa dell'imperfezione, la fiducia che si appoggia alla creatura; per realizzare questa povertà libera-trice che la renderà beata, vuole camminare assolutamente « sola col Solo ». Ora, in suor Elisabetta della Trinità, il dono

2" Diario - 11 marzo 1899.

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del timore assume proprio questa forma essenzialmente Carmelitana, stimolandola lo Spirito a distaccarsi da tutto per rifugiarsi in Dio solo, al, di sopra di ogni motivo umano, nel vuoto di tutto il creato.

3. Il dono della Fortezza è uno dei doni più caratteristici della fisonomia spirituale e della dottrina mistica di suor Elisa-betta della Trinità.

I suoi primi sgomenti di bimba scomparvero ben presto al contatto contemplativo dell'Anima del Crocifisso. Fu il segreto della trasformazione così rapida del suo atteggiamento dinanzi alla sofferenz;!. Il suo diario di giovinetta ce la mostra già vittoriosa di se stessa e della sensibilità puerile che l'aveva fatta tremare per dovere andare dal dentista. Il suo ideale si è fatto virile; adesso guarda in faccia il dolore, anzi lo desidera vivamente.

A diciannove anni scrive: « Voglio vivere e morire da crocifissa » ;7.

Tali desideri Dio li esaudisce; e fece bene, suor Elisa-betta, a prendere come parola d'ordine della sua vita religiosa:

rendere i movimenti della propria anima sempre più uguali a quelli dell'Anima del Crocifisso.

La vita religiosa è un vero martirio; e le sue anime sante vi trovano ampin messe di sacrifici crocifiggenti il cui merito può uguagliare e persino sorpassare quello del martirio di sangue. Dio sa determinare per ogni anima, nella cornice della propria vocazione, la via del Calvario che la condurrà diritta, senza indugi, alla conformità perfetta col Crocifisso, a condizione che non venga trascurata nessuna occasione di mortificare la natura e di abbandonarsi senza riserva alle esigenze dell'Amore.

Anche la sola pratica — assolutamente fedele — di una regola approvata dalla sapienza della Chiesa basterebbe per condurre le anime alle più alte vette della santità; tanto è vero che il sommo Pontefice Giovanni XXII diceva: — Datemi un Frate dell'Ordine dei Predicatori che osservi la sua regola e le sue costituzioni e, senza bisogno di altro miracolo. Io canonizzo.

" Dinrio - 31 marzo 1899.

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Altrettanto si potrebbe dire delle sante regole del Carmelo e di ogni altra forma di vita religiosa. Il compimento perfetto dell'oscuro dovere di ogni giorno esige l'esercizio quotidiano del dono della fortezza. Non sono le cose straordinarie, lo sappiamo, che formano i santi, ma la maniera divina nel fare le cose ordinarie.

Questo « eroismo di piccolezza » di cui santa Teresa di Gesù Bambino rimane nella Chiesa l'esempio forse più luminosamente noto, trovò nella Carmelitana di Bigione una attuazione nuova. Poiché le mortificazioni straordinarie non le erano permesse, essa vi supplì con una fedeltà eroica alle minime osservanze del suo ordine, sapendo trovare nella regola del Carmelo « la forma della sua santità » zs e il segreto di « dare il sangue a goccia a goccia per la Chiesa, fino a morirne » ^'.

La fortezza, infatti, questo dono dello Spirito Santo, consiste meno — contrariamente a quanto per lo più si crede — nel-l'intraprendere coraggiosamente grandi opere per il Signore, che nel sopportare con pazienza e col sorriso sul labbro tutto ciò che la vita ha di crocifiggente; essa poi si manifesta stupendamente nei santi all'ora del martirio e, nella vita di Gesù, al momento della sua morte sulla Croce. Giovanna d'Arco è più intrepida sul rogo che alla testa del suo esercito entrante vittorioso ad Orléans.

In Suor Elisabetta della Trinità, si trovano tutt'e due queste forme del dono della fortezza, la seconda specialmente. All'inizio della vita religiosa e nell'entusiasmo del suo primo fervore, una fame e una sete inesprimibile di santità la divorano: « Sono contenta di vivere in questa epoca di persecuzione. Come bisognerebbe essere santi!... Chiedetela per me questa santità di cui ho sete... Vorrei amare come amano i santi, i martiri » 3". In lei, non erano parole vaghe come se ne sentono da certe anime che sognano il martirio d'amore e poi sopportano a stento una puntura di spillo e i minimi urti della vita comune. Senza smarrirsi in lontani miraggi di santità chime-

28 Lettera al Canonico A... - Luglio 1903.

29 Alla sua Priora.

3:1 Lettera al Canonico A... - 11 settembre 1901.

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fica. ma col realismo pratico dei santi, suor Elisabetta, alla luce del suo Dio Crocifisso, ebbe la sapienza di scoprire nei minimi atti della vita ordinaria il mezzo migliore per provare a Dio quanto lo amava. « Non so se avrò la felicità di dare al mio Sposo divino la testimonianza del sangue; ma, se vivo pienamente la mia vita di Carmelitana, ho almeno la consolazione di consumarmi per Lui » 31. « Se mi chiedesse il segreto della felicita, risponderei: non far nessun conto di sé, rinnegare continuamente il proprio io » 32.

Negli ultimi mesi, andò incontro al dolore « con la maestà di una regina » 3'". Tutto il suo povero essere andava in rovina, straziato, consumato, ma in quell'anima di martire, fu l'ora trionfale del dono della fortezza. La valorosa « lode di gloria », immedesimata sempre di più con l'anima del Crocifisso, faceva pensare alla forza divina del Calvario; vedendola, la sua Madre Priora si volgeva istintivamente all'immagine del Crocifisso. Ed ella stessa si rendeva conto perfettamente del senso di questa consumazione della vita nel dolore; scriveva alla mamma: « Tu temi che io sia designata come vittima per il dolore. Oh, tè ne scongiuro, non ti rattristare; io temo, invece, di non esserne degna. Pensa, mamma, che sublime cosa partecipare alle sofferenze del mio Sposo Crocifisso e andare alla mia passione con Lui, per essere con Lui redentrice! » 34. « II dolore mi attira sempre di più; e il desiderio che ne provo supera per-sino quello del cielo, che è davvero grande. Il Signore non mi aveva fatto mai comprendere così bene che la sofferenza è la prova più grande di amore che Egli possa dare alla sua creatura; e allora, credi, ad ogni nuova pena, bacio la croce del mio Maestro e gli dico: — Grazie! — Ma non ne sono degna; penso che. la sofferenza fu la compagna della sua vita, ed io non merito di essere trattata come Lui dal Padre suo » 3S.

« II segno al quale possiamo riconoscere che Dio è in noi e che il suo amore ci possiede, è il ricevere non solo pazien-

•'" Lettera al Canonico A... - Luglio 1903. K Lettera a Fr. di S... - 11 settembre 1906. 33 Espressione di un testimonio. 31 Lettera alla mamma 18 luglio 1906. ss Alla mamma - Settembre 1906.

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temente ma con riconoscenza quello che ci ferisce e che ci fa soffrire. Per giungere a questo bisogna contemplare il nostro Dio Crocifisso per amore; e questa contemplazione, se è reale e sentita, conduce infallibilmente all'amore della sofferenza. Mamma cara, ricevi ogni prova, ogni contrarietà, ogni avvenimento sgradevole considerandoli alla luce che emana dalla croce; è così, sai, che si piace a Dio e che si progredisce nelle vie dell'amore. Oh, digli grazie per me! Io sono tanto, ma tanto felice; e vorrei poter comunicare un po' «.li questa felicita a coloro che amo... Ci ritroveremo all'ombra della croce; lì ti attendo per impararvi la scienza del dolore » 3".

Suor Elisabetta, « lieta per dominio di volontà, sotto la mano che la crocifiggeva », sentiva il bisogno di rifugiarsi nella devozione della Regina dei martiri inabissata nella vastita di un dolore « immenso come il mare » '1], ma « ritta e forte ai piedi della croce » ''", nella pienezza di un gaudio tutto divino — « piane gaudens » 39 — perché pensava, questa Madre addolorata, che l'oblazione del Figlio suo e lo spettacolo della redenzione placavano la Trinila santa.

Uno degli ultimi biglietti scritti alla mamma ci permette di sorprenderla in questo atteggiamento eroico del dono della fortezza.

« C'è un Essere, che è l'Amore, il quale vuole che viviamo in società con Lui. Egli è qui con me, mi tiene compagnia, mi aiuta a soffrire, mi insegna a passare al di là del dolore per riposarmi in Lui... Così, tutto si trasforma'... »''".

È chiaro che tutto ciò supera la misura umana e non può spiegarsi se non mediante lo stesso Spirito di fortezza che sosteneva Cristo in Croce.

4. Lo Spirito di Gesù riveste in noi aspetti multiformi:

è lo Spirito di timore, di fortezza, di pietà, di consiglio, di scienza, di intelletto, di sapienza.

36 Allii mamma - 25 settembre 1906.

37 Or. Thren. 11-13.

38 Stabat.

39 Enciclica « Ad diem illuni », 2 febbraio 1904. w Alla mamma - 20 ottobre 1906.

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Nel dono del timore e nella beatitudine dei poveri, sospinge l'anima al; distacco assoluto e le ispira come parola d'ordine:

« Nulla, nulla, nada » ". Non contare che su Dio il quale non ci viene mai meno. Diffidente di sé, l'anima si rifugia nell'Onnipotenza divina; e allora lo Spirito di fortezza si impadronisce di lei e le fa ripetere con fiducia: « Ho fame e sete di giustizia, di santità'12. Signore, spero in tè e la mia speranza non sarà delusa » ". Pronta a tutti i martiri per il suo Dio, potrebbe esclamare come Teresa di Gesù Bambino: « Un martirio solo non mi basta; li vorrei tuttti »'"; o come suor Elisahetta della Trinità: «Vorrei amare come amano i santi, i martiri... amare fino a morirne » '". Che dire delle meraviglie ineffabili che lo Spirito di Gesù può compiere silenziosamente in tali anime? Egli penetra nelle più intime profondità del loro essere e le fa sospirare a Dio con gemiti inenarrabili. Ed allora l'anima, figlia adottiva della Trinità, mormora con una tenerezza tutta filiale:

« Abba, Poter! » '"''; è lo Spirito medesimo del Figlio.

Suor Elisabetta, possedendo una chiara coscienza di questa paternità divina, si fermava spesso e con tanto diletto, alla luce del suo caro san Paolo, nella meditazione di quella grazia di adozione che vivificava il suo culto verso Dio. Non metodi rigidi, ne formule complicate che potrebbero paralizzare gli slanci del suo cuore fìlinle; corre a Dio come una bimba al padre- sue.

Tutto è semplificato: la Trinità è per lei la « cara dimora », la « casa paterna » donde non vuole uscir mai, l'atmosfera familiare dove l'anima sua di battezzata si sente pienamente a suo agio. Tutti i moti del suo spirito si volgono a Dio come ad un Padre teneramente amato; e la sua sublime preghiera alla Trinità non è che l'effusione del suo cuore di figlia; bisognerebbe analizzarla alla luce del dono della pietà per scoprirvi il segreto della sua vita di orazione. Come è lontana da quelle

'" San Giovanni dellsi Croce.

" S;in M;iltco, V-6.

•" S.ilmo XXX-2.

'" Storia di un'anima.

" Cfr. Diano e lettera .•il Can. A... - 11 settembre 1901.

'» Romani. VIII-15.

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preoccupazioni interessate che ingombrano tante vite di preghiera, le quali sembra che non si avvicinino a Dio se non per implorarne il soccorso. Qui, il primo posto è per l'orazione silenziosa e adoratrice, per la conformità all'anima di Cristo, per la contemplazione degli « abissi » della Trinità; e. senza sforzo alcuno, l'anima si eleva fino alle Persone divine con lo Spirito stesso del Figlio: « O mio Cristo, Padre, chinati verso la tua povera piccola creatura e non vedere in essa che il Figlio diletto in cui hai posto tutte le tue compincenze » ".

Anche la preghiera di domanda per i peccatori occupa intensamente, è vero, la sua anima di Carmelitana e di corredentrice; ma nella sua vita di adorazione, la preghiera che adora tiene — e di molto — il primo posto: è il più puro spirito di Gesù, il perfetto adoratore del Padre, venuto sulla terra prima di tutto per raccogliere intorno a sé i veri adoratori che « il Padre cerca » 4S e che la Trinità attende. Infatti, il carattere proprio del dono della pietà è di elevare l'anima religiosa, nelle sue relazioni con Dio, al di sopra di oi^ni considerazione interessata e di ogni motivo creato, sinno essi bisogni o benefici w.

Mentre la virtù infusa di religione rende a Dio il culto clic gli è dovuto nella sua qualità di sovrano Signore, principio e fine supremo di tutte le cose, autore dell'ordine dell'universo naturale e soprannaturale, invece il dono di pietà, prescindendo da tutto ciò che a Dio è dovuto per le sue liberalità, non guarda che l'eccellenza increata dell'eterno, e la misura della sua lode è la gloria stessa che Dio trova nel proprio seno, nel

47 Elevazione alla Trinità.

48 San Giovanni, IV-23.

49 Cfr. il teologo classico dei doni dello Spirito Santo, Giovanni di san Tommaso <q. 70, disp. XVIII, art. 6 Vivés 668): Tutto lo sforzo della sua analisi del dono di pietà ha per lesto fondamentale l'insesnamento di san Tommaso nelle sentenze III, d. 34, q. 3, a. 2, q. 1, ad 1: « Pietas quae est donum accipit in hoc aliqutd divinum prò mf.nsura, ut scilicet Deo honorem impendnt, non quia sit El cebitus. sed quia drus honore dignus est, PER quem modum etiam ipse deus sibi bollori est ». E, di qui, Giovanni di san Tommaso. p. 669: « At vero donum pietatis relicta hac mensura retri-nu'now.s et lar.aitionis hononiin, honorat et magnificat Dominimi rattone sui... SOUJM attendit ad magniti'tiinfm iìivinam IN .^F. ". ccc.

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Suo Verbo/cioè, e nelle Sue perfezioni infinite. La Vergine santa, nel suo Magnificat, ci lascia cogliere un movimento bellissimo dell'anima sua vibrante al soffio dello Spirito di pietà, quando glorifica Iddio, non solo per le di lui « infinite misericordie di generazione in generazione », e nemmeno per la grazia sublime della maternità divina per cui tutte le nazioni la chiameranno beata, ma soprattutto perché Egli è grande in Se medesimo, e le cose meravigliose operate da Lui nella sua povera serva non sono che il segno della « sua onnipotenza e della santità del suo Nome. Et. sanctum Nomen eius » 5t>. Di modo che la ragione per la quale glorifica Dio ed esulta in Lui, non è se non quella divina grandezza di cui tutte le opere esteriori non sono che debolissima manifestazione,

La virtù di religione considera Dio creatore e provvidenza:

« Degno sei fu, o Signore e Dio nostro, di ricevere l'onore e la gloria perché hai creato tutte le cose e le fai sussistere con la tua volontà » ''". Ma rende a Dio anche un culto di riconoscenza e di lode, perche Egli è l'autore della Redenzione e di tutto l'ordine soprannaturale: « Degno tu sei, o Signore, di ricevere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e col fun sangue hai riscattato a Dio uomini da ogni tribù e lingua e popolo e nazione; e li hai fatti popolo regale e sacerdoti, e regneranno sulla terra »i'2.

lì dono della pietà, elevandosi al di sopra di tutti questi motivi d; bontà di Dio verso di noi, non vuole considerare che Lui, Dio stesso, e il mistero insondabile delle infinite perfezioni di questa Essenza divina in seno alla Trinità. Quindi non fissa il suo sguardo soltanto sulla paternità di Dio per le anime mediante la grazia, ma come il Verbo, lo Spirito di pietà penetra negli intimi recessi della divinità, fino alle più segrete ricchezze di questa natura increata: paternità eternamente feconda, generazione di un Verbo consustanziale al Padre, sua Immagine, sua gloria e suo splendore, spirazione di un comune Amore consustanziale e coeterno che sempre li ha uniti e li

5:) San Luca, T-49.

51 Apocalisse. TV-11.

52 Ibidem, V, 9 e 10.

207

unirà, adesso e per i secoli senza fine; natura identica, comunicata dal Padre al Figlio, dal Padre e dal Figlio allo Spirito Santo, senza anteriorità di tempo, senza ineguaglianza di per^ fezione, senza dipendenza, ma con ordine e distinzione delle Persone in una indivisibile Unità.

Il motivo del dono della pietà è la Trinità stessa. L'anima non arrestandosi più alla stima dei benefici di Dio, vorrebbe glorificarlo tanto quanto Egli è a Se stesso la propria lode. Vorrebbe uguagliare la misura divina, e ciò imprime una maniera deiforme a tutto il suo culto di preghiera, di ringraziamento e soprattutto di adorazione. Secondo la formula così profonda, familiare a suor Elisabetta della Trinità, ella « adora Dio a causa di Lui sfesso » e perché è Dio. La Chiesa della terra è sotto questa mozione speciale de! dono di pietà quando, ogni giorno, al Gloria della Messa, canta: « Noi fi ringraziamo o Signore, per la tua gloria infinita. Grafiti'; aginms tibi, propier magnani gloriam tuam ». Questo culto di glorificazione della divina Maestà non si rivolge ;ul alcuno dei suoi bencHci. ma alla sola grandezza di Dio in Se stesso; il motivo quindi di questo movimento di pietà adoratrice è la Deità stessa nella sua eccellenza increata, infinitamente superiore a tutti i suoi doni. Un sentimento simile a questo faceva esultare l'anima religiosa di suor Elisabetta della Trinità, come una volta quella della Madre sua santa Teresa, quando la domenica, all'ufficio di « Prima », la liturgia metteva sulle sue labbra il « Quicum-que », facendo passare sotto lo sguardo contemplativo della Chiesa l'enumerazione delle perfezioni divine celate nel seno del mistero trinitario: Unità nella Trinità e Trinità nell'unità, senza confusione di Persone, senza separazione di sostanza;

una sola Divinità: Padre, Figlio e Santo Spirito; gloria identica, maestà coeterna, uguale potenza, uguale immensità, uguale eternità ".

Nelle ultime ore della sua vita, suor Elisabetta, tutta dominata dal pensiero dell'eternità, amava tanto i capitoli dell'Apocalisse che le descrivevano la vita adoratrice della liturgia del cielo, dove l'anima « vivendo al di sopra di tutto ciò che passa,

53 « Quicumque »; a Primn delia domenica.

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al di sopra di se medesima, adora sempre Dio per Se stesso, secondo la parola del Salmista: « Adorate il Signore, perché Egli è santo ».

« L'adorazione è veramente una parola di cielo; mi pare che si possa definirla: l'estasi dell'amore; è l'amore annientato dalla bellezza, dalla forza, dalla grandezza immensa dell'oggetto amato ». « I,'anima sa che Colui che essa adora possiede in sé ogni gloria ed ogni felicità e gettando la sua corona, come i beati, dinanzi a Lui, si disprezza, non bada più a sé, e trova la propria felicità in quella dell'Essere adorato » M.

Con la liturgia eterna, espansione suprema del dono della pietà, la Chiesa trionfante trasportata in Cristo e da Cristo nella lode del Verbo, realizza il sogno più caro dell'anima ado-ratrice di suor Elisabetta: l'incessante lode di gloria alla presenza della Trinità.

°>. Il dono del consiglio è per eccellenza un dono di governo. Ora, suor Elisabetta della Trinità non fu Priora ne in alcun modo incaricata delle anime; l'intera sua vita religiosa trascorse dal noviziato all'infermeria. E tuttavia possedette in sommo grado questo Spirito di Dio. Il dono del consiglio del resto, se è più manifesto in chi è investito di autorità, non è meno necessario a tutte le anime per il perfetto orientamento della loro vit.-i secondo i disegni di Dio... Nei superiori, assume la forma di una dirczione prudente e soprannaturale che, anche nella organizzazione delle cose materiali, cura innanzi tutto il bene spirituale delle anime e si preoccupa di dare a Dio la più grande gloria; negli inferiori, insinua una docilità vigilante nel sottomettersi a tutti i voleri del Signore manifestati dai suoi legittimi rappresentanti; perché, prescindendo dai loro pregi o dai loro difetti. Dio solo parla in essi, e in essi merita di essere ascoltato.

Il dono del consiglio si mostrò, in suor Elisabetta della Trinità, dapprima sotto questa forma di pronta docilità al suo direttore spirituale; giovinetta, lo consultava su tutto quello che concerneva il bene dell'anima sua, e si atteneva fedelmente a

'"> Ultimo ritiro. Vili.

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quanto egli aveva deciso; novizia, ricorreva in ogni occasione alla sua Priora, qualche volta anche per dei nonnulla, tanto bramava di essere interamente nella linea della divina volontà. Un testimonio afferma: « Bastava accennarle: — L'ha detto la reverenda Madre —; per farla andare in capo al mondo ». Lo Spirito di consiglio, infatti, non solo conduce le anime con ispirazioni individuali e segrete, ma le induce anche a lasciarsi dirigere e guidare.

Più tardi, questo stesso dono prese in lei un'altra forma, più elevata. Leggendo la sua corrispondenza, si" resta sorpresi e ammirati nel vedere con quale disinvolta agilità sapeva adattarsi alla varietà straordinaria delle sue relazioni: mèmbri della sua famiglia, bambine, giovinette, persone del mondo nelle situazioni più diverse, anime sacerdotali: alcune attendevano da lei la parola decisiva che le avrebbe orientale verso l'unione con Dio. Eppure, non vi è corrispondenza epistolare più spontanea e meno convenzionale di questa. Nulla di pedante e che sappia di predica o di lezione morale; ma sempre un grande spirito di discrezione, un tatto squisito, un senso perfetto delle situazioni. Sa aspettare degli anni, se è necessario, prima di insinuare delicatamente la parola di rimprovero che sconcerterà un'anima. « Addio! Quando sarò lassù, vorrai permettermi di aiutarti, di rimproverarati, anche, se vedrò che non darai tutto al Maestro divino; e questo, perché ti amo. Che Egli ti custodisca interamente sua, perfettamente fedele; in Lui, io sarò tua per sempre » s5.

I lumi più sublimi sulla « lode di gloria » o sul mistero della Trinità sono messi alla portata di tutte le anime, espressi in forma chiara e di una semplicità così luminosa e serena, che conferisce alla sua spiritualità una nota singolare di equilibrio e di precisione dottrinale. E quante anime, proprio per questo, hanno fatto degli scritti di suor Elisabetta della Trinità la loro lettura più intima e cara! Questa facilità di trasposizione e di adattamento dipende direttamente dal dono del consiglio, il quale inclina le anime, dopo aver consultato le ragioni supreme della Sapienza del Verbo, a discernere i mezzi pratici più sempli-

85 Ad un'amica.

210

ci e più rapidi per giungere alla sommità della unione divina attraverso le difficoltà innumerevoli della vita. E proprio questa è la forma caratteristica che prese in lei lo Spirito di consiglio. La sua missione non era di dirigere una comunità, ma di condurre una moltitudine di anime verso le profondità della vita trinitaria per il sentiero dello spogliamente assoluto e dell'oblìo di sé, « fino al grande silenzio interiore che permette a Dio di imprimersi in esse, di trasformarle in Sé » 5fi.

6. Con i doni della scienza, dell'intelletto, della sapienza, penetriamo nella psicologia più profonda dell'anima dei santi. L'azione di questi doni superiori ci consente di sorprendere il loro atteggiamento più intimo e segreto di fronte al « nulla » della creatura e al « Tutto » di Dio. Di qui, la loro primordiale importanza nello studio di un'anima contemplativa. In suor Elisabctta della Trinità, ci danno la chiave della sua vita spirituale e della sua dottrina mistica.

Lo spirito di scienza da l'esperienza delle creature alla luce della carità: da la capacità di giudicarle secondo le loro proprietà contingenti e temporali, e anche di elevarsi, per esse, fino a Dio.

Sotto i! suo impulso, un duplice movimento si determina nell'anima: da un Iato, l'esperienza del vuoto della creatura, del suo nu)l:i; dall'altro, la rivelazione, nel creato, dell'orma di Dio. Questo medesimo dono della scienza strappava lacrime a san Domenico quando considerava la sorte dei poveri peccatori, mentre ispirava a san Francesco di Assisi il suo magnifico « Cantico al sole », dinanzi allo spettacolo della natura. Entrambi questi sentimenti si trovano espressi in quel noto passo del « Cantico spirituale » di san Giovanni della Croce, in cui descrive il conforto e insieme il tormento dell'anima mistica dinanzi al creato, perché le cose tutte dell'universo le rivelano il passaggio del Diletto, mentre Lui si è involato e si cela, invisibile, fino a che l'anima, in Lui trasformata. Lo incontrerà nella visione beatifica.

Nei grandi convcrtiti — in sant'Agostino, per esempio, nelle

:>» Lettoni ;i suor Odilia - Ottobre 1906.

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sue Confessioni — questo dono riveste l'espressione di una dolorosa esperienza del peccato.

Ma l'anima verginale di suor Elisabetta della Trinità non provò mai in questa forma acuta e tragica gli effetti del dono della scienza. Secondo il ritmo soave della sua anima contemplativa, esso tendeva piuttosto a divenire in lei un potente stimolo allo spogliamente ed alla perfezione. Le creature sono fallaci ed oppongono ostacolo nlla piene;7/"! deità vita divina:

bisogna considerare tutte le cose della terra come rifiuti pn-posscdere Cristo; e in Lui bisogna tutto dimenticare. È il « nescivt » dell'ultimo « FJiiro ». L'anima sua vuote attraversare le creature senza vederle, per non fermarsi che nel Cristo. Tutta l'ascesi del silenzio si spiega e si comprende a questa luce: le cose create, tutte quante, valgono mai la pena di uno sguardo per chi, fosse pure una volta sola. ha sentito il Signore?

Il dono della scienza presenta un'altra forma positiva, nei santi: lo spettacolo delle creature, come un tempo nello stato di innocenza, le porta irresistibilmente a Dio. La voce possente del concerto della creazione esercitava a volte, in alcune anime contemplative, una tale forza di rimprovero, che si sentivano mormorare ai cieli e ai fiori: — Tacete, oh, tacete! Sotto la mozione dello Spirito di scienza, il salmista cantava: « Coeli enarrant gloriam Dei. I cieli narrano la 'fiori a di Dìo » ".

A questo secondo aspetto piuttosto che all'altro bisognerebbe ricollegare i movimenti della grazia che suor Elisabetta della Trinità provava abitualmente dinanzi alle bellezze del creato; come per tutti i santi, la natura era per lei il gran « libro di Dio ». Da fanciulla, aveva amato i vasti boschi soli-tari, la maestosità selvaggia dei Pirenei, l'immensità dell'Oceano; aveva amato soprattutto gli spazi sconfinati di una notte stellata; allora il senso dell'infinito la soggiogava e i! contatto della natura le dava intensamente il suo Dio.

A mano a mano che procederà nella vita, quésti due sentimenti del dono della scienza si confonderanno in lei un sentimento unico. La miseria della creatura e la coscienza del suo

57 Salmo XVIII-2.

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proprio nulla la risospingeranno in Dio solo. « Se guardo dal lato della terra, vedo la solitudine ed anche il vuoto, perché non posso dire che il mio cuore non abbia sofferto » M. « Come fa bene, allorché si sente la propria miseria, andare a farsi salvare da Lui' » ". « Quando si considera il mondo divino che ci avvolge fin d'ora, nell'esilio, quel mondo in cui possiamo vivere e agire, come svaniscono le cose quaggiù! Esse sono ciò che non è, sono meno che niente ». « I santi, quelli sì, avevano cipito I;i vera scicn/.'i, la scienza che ci separa da tutto e da noi stessi, per slanciarsi in Dio e non farci vivere che di Lui! » 6".

Così si manifestava all'anima sua quella conoscenza rivela-trice del « nulla » della creatura e del « Tutto » di Dio, che lo Spirito di Gesù comunica a coloro che Lo amano e che la sacra Scrittura chiama la « scienza dei santi » 61.

7. I grandi contemplativi, come le aquile, puntano i loro sguardi sulle eccelse vette. Essi sanno che il più debole lume intorno alla Trinità è infinitamente più delizioso della conoscenza dell'intero universo. Che cos'è infatti tutto il movimento degli atomi e delle creature uscite dalle mani di Dio, di fronte alla silente ed eterna generazione del Verbo che si cela nel Suo seno? Introdurci nelle profondità di questi abissi trinitari, è il compito dei doni contemplativi. A questa luce tutta deiforme, l'anima vede le cose con lo sguardo stesso di Dio; e pnn Giovanni della Croce osa dire che l'anima, giunta a questo grado di unione trasformante, partecipa al mistero delle processioni divine: della generazione del Verbo, della spirazione dell'Amore. Mediante la fede e la carità, irradiata da questa luce altissima dei doni, essa compie degli atti riservati a Dio e proprì delle divine Persone. È secondo la promessa di Gesù, « la consumazione nella unità » 62.

Il concetto di « partecipazione » indica, nello stesso tempo,

" Lettera ;il Cnnonico A... - 4 gennaio 1904.

^ Lettera alla signora A... - 24 novembre 1905-

G'' Lettera al'a signora A...- 24 novembre 1904.

111 Sapienza, X-10.

^ San Giovanni, VII-23.

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la distanza infinita — che rimane sempre fra Dio e la sua creatura — e una vera comunicazione, per grazia, della vita trini-taria. L'anima partecipa alla luce del Verbo e al movimento dell'Amore increato. « Parficeps Verbi, particeps Amoris » '", secondo l'audace formula di san Tommaso, così scrupoloso nell'esattezza dottrinale e sempre così misurato nei suoi termini.

L'efletto essenziale del dono dell'Intelletto è proprio quello di far penetrare, quanto più profondamente è possibile, nel-Vifìlimo delle verità soprannaturali alle quali la fede invece si accontenta di aderire su semplice testimonianza esteriore.

Questa penetrazione amante e saporosa delle piu atte verità divine, soprattutto del mistero trinitario che è l'oggetto delle sue predilezioni, non dipende dall'acutezza intellettuale del soggetto, ma dal suo grado di amore e dalla sua docilità perfetta al soffio dello Spirito. I tocchi più segreti di questo Spirito non potremo afferrarli mai, sulla terra; sempre essi sfuggiranno alle nostre indagini, come ciò che vi ha di più ineffabile e divino nella vita dei santi.

Le tracce che ne possiamo sorprendere in suor Elisabetta della Trinità ci dicono come l'attività dello Spirito d'intelletto non ebbe in lei tutto il suo ampio respiro se non dopo l'entrata al Carmelo, a contatto con la teologia mistica di san Giovanni della Croce e nella lettura di san Paolo, dopo le supreme purificazioni della sua vita di fede.

Si possono ridurre gli effetti del dono dell'intelletto a sei principali; una realtà divina, infatti, può celarsi: sotto gli accidenti, sotto le parole, sotto le figure o le analogie, sotto le cose sensibili, nelle sue cause, nei suoi effetti. È chiaro che questo Spirito si manifesta in maniera differentissima e secondo le circostanze, le indoli diverse dei santi e la loro missione; dona, ad alcuni, una intelligenza penetrante delle sacre Scritture, ad altri il discernimento del divino nelle anime, oppure una conoscenza particolare dell'anima di Cristo o del mistero di Maria, il senso della Redenzione, della Provvidenza, di questo o di quell'attributo divino, della Unità nella Trinità. Non si fini-

s3 San Tommaso, ^uinmii Thc'oì. I, 38, a. 1 (in corpoiv).

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rebbe più se sì volessero specificare i modi innumerevoli e vari in cui questo Spiritò d'intelletto essenzialmente multiforme può comunicarsi agli uomini ed agli Angeli, secondo che piace a Dio, per sua bontà, di rivelarci la sua gloria.

In suor Elisabetta della Trinità, i doni dello Spirito Santo, come gli aspetti della sua vita spirituale, presero normalmente una forma Carmelitana. Nei suoi scritti, nella sua vita luminosa, si possono raccogliere tante prove rivelatrici dell'azione dello Spirito di intelletto. Il suo sguardo contemplativo si fissava a lungo, adorante, nell'anima di Cristo nascosto nel tabernacolo sotto le apparenze eucaristiche. « Noi possediamo — diceva — la visione in sostanza, sotto il velo dell'ostia » *4.

Il dono dell'intelletto le apre il libro delle sacre Scritture e gliene svela i reconditi sensi; manifestazione, questa, singolarmente evidente della azione dello Spirito di Dio nell'anima sua. Il suo modo di procedere più abituale è la parafrasi mistica condotta con una rara penetrazione. Senza costringere o svisare il senso letterale, ne trae la sua ammirabile dottrina spirituale;

le frasi ispirate le servono come punto di partenza, come motivo per delle magnifiche elevazioni contemplative in cui la sua anima di Carmelitana trova diletto. Talvolta una sola parola della Scrittura le dona, per anni interi, « la luce di vita » '".

San Paolo le svela il « nome nuovo » che le indica, da parte di Dio, quale sarà il suo ufficio per l'eternità, l'ufficio che deve però già iniziare ne! tempo: « l'incessante lode di gloria alla Trinila ». Nell'ultima fase della sua vita, è ancora san Paolo che viene a definire, in una formula che la reca tanta grazia nell'anima, il suo programma supremo di trasformazione di Cristo:

« la conformità alla di Lui morte »w. Basta, a volte, un semplice accostamento di testi, perché ne scaturisca luce divina nell'anima sua. « Siamo sfati predestinati, per decreto di Colui che compie ogni cosa secondo il consiglio della sua volontà, affinchè siamo la lode della sua gloria... Dio ci ha eletti in sé prima della creazione, perché siamo immacolati e santi al suo cospetto,

"•' A Don (:h... - 14 giugno 1903.

15 San Giovanni, VIIT-12.

"" Uliimo ritiro. III.

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nella carità ». Se accosto fra loro queste due enunciazioni del piano di Dio « eternamente immutabile », posso concludere che, per compiere degnamente il mio ufficio di « laiiàem, gloriae », devo tenermi, in mezzo a tutto e nonostante tutto, « alla presenza di Dio »; anzi, l'Apostolo ci dice: « cariiate », cioè in Dio; « Deus caritas est»: e il contatto con l'essere divino mi renderà « immacolata e santa » ai suoi sguardi » 67.

Essere lode di gloria con l'esercizio continuo della presenza di Dio; ecco l'essenza della sua vocazione; e Din colta in san Paolo, con un solo sguardo.

Ma un secondo movimento del dono dell'intelletto possiamo discernere in suor Elisabetta, movimento familiare alle anime pure e contemplative per le quali le minime cose sono, simbolicamente o per analogia, un richiamo alla divina presenza.

« Quando vedo il sole penetrare e diffondersi nei nostri chiostri, penso che Dio invade così, come i raggi del sole trionfante, l'anima che non cerca che Lui » '"'.

Tutto l'universo visibile assume, nelle anime dei santi, un senso spirituale che le eleva a Dio; il loro sguardo si rivolge sempre al volto mistico delle cose. Una santa Caterina De-Ricci non poteva vedere una rosa senza pensare al sangue redentore; e suor Elisabetta apparteneva alla stirpe di quelle anime verginali che sembrano aver ritrovato lo stato di innocenza e leggono Dio nel libro del creato.

Fino dalla sua entrata al Carmelo, essa Lo scopre negli infimi particolari della sua vita: « Qui — scrive.— tutto parla di Lui » CB. « Al Carmelo, dappertutto c'è il Signore » T". « II Maestro è così presente, che si crederebbe sia lì lì per comparire nei lunghi viali solitari » 71. Appena le viene annunciata la nascita di una nipotina, si informa della data del battesimo, perché vuole essere presente in ispirilo nel momento in cui la Trinità santa scenderà in quell'anima, sotto i segni della rige-

67 Ultimo ritiro. III.

68 Lettera a G. de G... - 14 settembre 1902.

69 A. M, L. M... - 26 ottobre 1902. 7:1 Alla sorella. 1901. 71 AJla zia - Pasqua 1903.

216

nerazione cristiana. È il fiorire del simbolismo mistico: « Ogni cosa è un sacramento che le dona Dio » ".

Vi è un altro aspetto del dono dell'intelligenza, particolar-mente sensibile nei teologi contemplativi. Dopo le dure fatiche della scienza umana, d'un tratto sotto un forte impulso dello Spirito, tutto si illumina: ed ecco che un mondo nuovo appare in un principio o in una causa universale: quali ad esempio, Cristo-Sacerdote, unico mediatore fra il ciclo e la terra; oppure il mistero della Vergine Corredentrice che porta spiritualmente nel suo seno tutti i mèmbri del Corpo mistico;

o ancora il mistero dell'identificazione degli innumerevoli attributi di Dio nella sovrana semplicità e la conciliazione della Unita d'essenza con la Trinità delle Persone, in una Deità che oltrepassa all'infinito le indagini più acute e profonde di tutti gli sguardi creati.

Ecco altrettante verità che il dono dell'intelletto approfondisce senza sformo, saporosamente, nella gioia beatificante di una « vita eterna iniziata sulla terra », alla luce stessa di Dio.

Due princìpi soprattutto attirarono e fissarono lo sguardo contemplativo di suor Elisabetta: l'influenza universale della Trinità che dimora nell'intimo dell'anima per santificarla e custodirla « immobile e in pace », sotto la sua azione creatrice;

e l'attività rcdentrice di Cristo presente sempre in lei per purificarla e per divinizzarla: due punti cardinali della sua spiritualità.

In senso inverso, il dono dell'intelletto rivela Dio e la sua onnipotente causalità negli effetti, senza bisogno dei lunghi raggiri discorsivi del pensiero umano abbandonato alle proprie forze, ma con un semplice sguardo comparativo e per intuizione « alla maniera di Dio ». Negli indizi più impercettibili, nei minimi avvenimenti della sua vita, un'anima attenta allo Spirito Santo scopre d'un tratto tutto il piano della Provvidenza a suo riguardo. Senza ragionamento dialettico sulle cause, la semplice vista degli effetti della giustizia o della misericordia di Dio le fa intravedere tutto il mistero della predestinazione divina, del

72 Lettera .i!):i signorn A... - 1906.

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« troppo grande amore » " che insegue, instancabile le anime per unirle alla beatificante Trinità. Attraverso a tutto. Dio conduce a Dio.

Quando si pensa alla limitata cultura religiosa di suor Eli-sabetta della Trinità, si resta stupiti delle pagine così profonde e luminose che ci ha lasciate sul mistero della Vergine e di Cristo, sull'abitazione di Dio nelle anime dei giusti, sulla lode di gloria che deve elevarsi, incessante, verso la Trinità adorabile. Il teologo attento deve concludere che tale conoscenti sopratecnica non può spiegarsi in quest'anima se non con l'esperienza di quella sapienza incomunicabile che Dio riserba « ai cuori puri » r4.

8. Il dono della sapienza è il dono regale, quello che più di ogni altro mette le anime in possesso della maniera deiforme del sapere divino. È l'estremo culmine oltre il quale è impossibile innalzarsi, al di qua della visione di Dio intuitiva e beatificante, massimo grado di sapienza. E lo sguardo del « Verbo che spira l'Amore » partecipato ad un'anima, la quale giudica tutte le cose dalle cause più alte, più divine, dalle ragioni supreme, a quel modo che Dio le giudica e le conosce,

Introdotta, per mezzo della carità, nell'infinito abisso delle Persone divine e per così dire nella Trinità, l'anima divinizzata, sotto l'impulso dello Spirito d'Amore, tutto contempla da cote-sto punto centrale, indivisibile, dove le appaiono come allo stesso Iddio: i divini attributi, la creazione, la redenzione, la gloria, l'ordine ipostatico, i più piccoli avvenimenti del mondo. Per quanto è consentito ad una semplice creatura, il suo sguardo mentale tende a identificarsi alla pienezza e acutezza di visione che Dio ha in sé e dell'universo. È la contemplazione in modo deiforme al lume della esperienza spirituale della divinità, della quale l'anima esperimenta in sé l'ineffabile dolcezza: « per quanìdam experi enfiam dulcedinis » ".

Per bene comprendere questo, bisogna tener presente che

73 Efesini, 11-4.

74 S. Matteo, V-8.

75 San Tommaso, Stimma Theni. T-II, q. 112, a. 5.

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Dio non può vedere le cose se non in Se medesimo: nella Sua causalità. Le creature non le conosce direttamente in se stesse, nemmeno nel movimento delle cause contingenti e temporanee che regolano la loro attività. In maniera eterna, le contempla nel suo Verbo. Conosce ed apprezza tutti gli eventi delia Provvidenza alla luce della sua Essenza e della sua gloria.

In due modi l'anima può comunicare o partecipare alla Luce increata: in un modo immutabile secondo che più o meno partecipa dclt'clernit;ì, ed e la visione di gloria nel Verbo; e in un altro modo, al di fuori del Verbo, per via di esperienza mistica e conoscimento saporoso delle divine dolcezze: nell'irradiazione, quindi, della luce beatifica o, in mancanza di questa, e tuttavia in condizioni di una certa quale violenza, sotto l'azione della fede rischiarata dai doni. Non è mai soverchio insistere su questa verità: l'esperienza mistica è come in esilio sulla terra;

la vera patria dei doni è il cielo nel prolungarsi delle gioie beatificanti della visione « faccia a faccia »7S, ossia intuitiva della Trinità.

Che cosa accade, quaggiù, nell'anima che giudica tutto cosi, alla luce della Trinità presente in lei, presenza di cui esperi-ment.i nell'intimo gli effetti — quanto almeno glielo consente lo stato di unione?

Nelle potenze più elevate, più spirituali del suo essere reso deiforme dalla grazia santificante, sorge un'attività del medesi;

mo ordine che permette all'anima così divinizzata di vivere « in sodeta » con le Persone divine al livello di un'esperienza propriamente trinitaria. La fede le ha già aperto gli orizzonti soprannaturali e l'ha messa in contatto con tutto il paradiso; i doni della scienza e dell'intelletto le hanno permesso di assaporare. insieme al « niente » della creatura, il « Tutto » di Dio e di penetrare nelle insondabili ricchezze della vita trinitaria;

sopravviene allora il dono della sapienza, il più divino di tutti i doni, il quale farà sì che quest'anima partecipi, nel più alto grado possibile sulla terra, alla conoscenza sperimentale che Dio gusta nel proprio seno, cioè nel suo Verbo che spira l'Amore.

7B I :ii G.'inli, XHI-12.

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Oh, essa può ben « gioire di Dio » " ora che l'unione trasformante l'ha stabilita in permanenza nell'atmosfera delle Persone Increate e l'ha introdotta come figlia adottiva nella famiglia della Trinità! Partecipe della divina natura, essa giudica tutto: in Dio, nel mondo e in se stessa, con la sua esperienza della divinità.

Mentre il dono della scienza prende un movimento ascensionale per elevare l'anima delle creature lino a Dio, mentre il dono dell'intelletto penetra, con semplice sguardo d'amore, tutti i misteri di Dio, nell'intimo e al di fuori, il dono della sapienza non esce mai, per così dire, dal cuore stesso della Tri-' nità. Tutto è visto da questo centro indivisibile. E l'anima, resa in tal modo deiforme, non considera ormai le cose che nel loro perché, nei loro motivi più alti, più divini. Tutto il movimento dell'universo fino ai minimi atomi cade quindi sotto il suo sguardo alla luce purissima della Trinità e dei divini attributi, ma con ordine, secondo il ritmo con cui le cose procedono da Dio. Creazione, redenzione, ordine ipost.itico, tutto, anche il male, le appare ordinato alla maggior gloria della Trinila. Elevandosi infine, con uno sguardo supremo, al di sopra della Giustizia, della Misericordia, della Provvidenza e di tutti gli attributi divini, l'anima scopre d'improvviso tutte queste perfezioni increate nella loro Sorgente eterna: in quella Deità, Padre, Figlio e Santo Spirito, che supera all'infinito tutte le nostre umane concezioni le quali la rimpiccioliscono e la circoscrivono; e lascia invece Dio incomprensibile, ineffabile, anche allo sguardo dei beati, anche allo sguardo beatificato di Cristo... quel Dio che, nella sua Semplicità sovraeminente, è insieme Unità e Trinità, Essenza indivisibile e Società di Tré Persone viventi, realmente distinte secondo un ordine di processione che non infrange la loro Uguaglianza consustanziale. L'occhio umano non avrebbe potuto scoprire mai un tale mistero, ne l'orecchio percepire tali armonie, ne il cuore supporre una tale beatitudine, se la Divinità non si fosse inchinata, con la grazia, fino a noi in Cristo, per farci penetrare negli insondabili abissi di Dio, sotto la condotta stessa del suo Spirito.

77 S.nì Tonimaso. St:"!";iì Tf'f'i! I, q. 43 n. 3, nd

220

Dopo tutto questo, c'è forse ancora bisogno di insistere per far comprendere che un'anima la quale viva abitualmente sotto queste alte ispirazioni del dono della sapienza, risale in tutti i campi alla visione del Principio supremo, in Dio, e — come notava e praticava suor Elisabetta della Trinità — non si arresta a considerare le cause seconde?

E proprio in questa riflessione suor Elisabetta ci lascia carpire il suo intimo segreto. Dopo essere stati, per parecchi anni, a contatto dei suoi scritti, scrutando e studiando tutti i moti dell'anima sua, questa è la nostra convinzione più essenziale:

che il dono della sapienza è il dono pili caratteristica della sua dottrina e delia sua vita.

Istintivamente, possedeva il senso dell'eterno e del divino.

Avrebbe dovuto farsi violenza per discendere al livello delle meschinità fra cui si trascina una moltitudine di anime, anche religiose — così dette contemplative — e che non sanno elevarsi al di sopra delle loro miserie e dei loro cenci. Suor Elisa-bcttn ;ind;n'.i diritta ni (".risto ed a11;i Trinità, senza occuparsi troppo delle rare mancanze che sfuggivano alla sua fragilità. Crocifìssa al suo dovere, non si sovraccarica di una quantità di pratiche minuziose, ma attraverso alle innumerevoli piccolezze della monotona e spesso banale vita quotidiana, sapeva, come la Verrine dcH'Tnciimazionc, tenere fìsso lo sguardo nlle alte cime. Ad imiinziolìc del!;i sua grande sorella del Carmclo, santa Maria Maddalena De' Pazzi « imitatrice del Verbo » nella sua vita religiosa, suor Elisabetta della Trinità scopre nella sua vocazione di Carmelitana il mezzo per essere, insieme col Cristo, corredentrice del mondo e glorificatrice della Trinità.

« Come è sublime la vocazione di una Carmelitana! Essa deve essere mediatrice con Gesù Cristo, essere per Lui quasi un prolungamento di umanità dove Egli possa perpetuare la sua vita di riparazione, di sacrifìcio, di lode e di adorazione. Chiedetegli che io sia all'altezza della mia vocazione » 7S.

I santi hanno visuali sconfinate. Si ricordi il grido apostolico di santa Teresa di Gesù Bambino: « Voglio trascorrere il mio paradiso a far del bene sulla terra... No, non potrò pren-

•''' Lettcrn .il Cnnonico A... - Genn;lio

1906.

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dermi nessun riposo sino alla fine del mondo. Ma, quando l'Angelo avrà detto: — il tempo non è più —, allora mi riposerò, allora potrò gioire, perché il numero degli eletti sarà completo ». Suor Elisabetta della Trinità aveva le stesse ambizioni.

« Vorrei poter dire a tutte le anime quale sorgente di forza, di pace e anche di felicità esse troverebbero vivendo in intimità con le Persone divine » 7".

Da vera Carmelitana, desiderava ardentemente di « zelare la gloria del suo Dio ».

« Mi dono a Lui per la sua Chiesa e per tutti i suoi interessi. Ho bisogno dell'onore suo, come la mia santa Madre Teresa. Pregate perché questa sua figliola sia anche essa « vittima di amore: caritatis vidima »so. Vivendo in epoca di persecuzione, gemeva sulla sua patria: « Povera Francia! Ilo bisogno di coprirla col Sangue del Giusto » s1.

Nel suo intimo ideale di unione con Dio va dritta alla causa esemplare suprema: all'anima di Cristo; e sogna di « essere talmente trasformata in Gesù, che la sua vita sia più divina che umana e il Padre possa riconoscere in lei l'immagine del Figlio

suo » w.

Per esprimere questa sapienza cristiforme, trova delle formule di una robusta concisione: « Andiamo incontro ad ogni persona o cosa con le disposizioni d'animo con cui vi andava il nostro Maestro santo » s3; oppure racchiude il giudizio di più alta sapienza sull'essenza della vita cristiana in brevi frasi, come queste: « Esprimere Cristo agli sguardi del Padre » 84. « Che io non sia più io, ma Lui e il Padre, guardandomi, possa rico-noscerlo » s!i. « Quando sarò perfettamente conforme a questo divino Esemplare, tutta in Lui ed Egli in me, allora adempirò la mia vocazione eterna, quella per la quale Dio mi elesse « in

7B Lettera alla mamma - 2 agosto 1906.

50 Lettera al Canonico A... - Giugno 1906.

81 Al medesimo - Gennaio 1906.

s2 « II paradiso sulla terra » - 5" orazione.

83 Lettera, 1904.

s-' Ultimo ritiro, XIV,

85 Lettera al Canonico A... - Luglio 1906.

222

Lui » « in principio », quella che proseguirò « in aeternum » quando, inabissata nel seno della Trinità, sarò « la incessante lode della sua gloria: laudem gloriae eius » 8G.

Da questa luce, emana la risposta adeguata che risolve il problema del male e il mistero della sofferenza: « Configwatus morti eius », la conformità alla sua morte: ecco ciò che bramo raggiungere »87. « Voglio andare con Lui alla mia passione per essere redentrice con Lui » ss.

Espressioni simili sono rivelatrici di tutta un'esistenza.

Il medesimo atteggiamento di spirito essa prende di fronte a tutti i misteri divini.

Basa l'intera sua vita nella fede al « troppo grande amore ». È la sua visione, qui sulla terra s9; « ogni cosa è un sacramento il quale le dona Dio » 9". Considera la sofferenza, non in se stessa, ma come uno strumento che obbedisce all'Amorem, e sul suo letto di dolore, ripete: « II Dio nostro è un fuoco consumante; io subisco la sua azione » "2.

Così, nello svolgersi progressivo degli eventi, tutte le cose umane le apparivano in una luce sempre più divina. Nell'ora solenne in cui, per l'ultima volta, le sue sorelle del Carmelo si riunirono intorno a lei, la udirono pronunciare, sotto un impulso luminoso del dono della sapienza, quasi in un canto:

« Alla sera della vita, tutto passa. L'amore solo rimane ». Fa pensare a ciò che dice san Giovanni della Croce: « Alla sera della vita, saremo giudicati sull'amore » e si ricongiunge al comandamento supremo di Gesù: il primato della carità che tutto ordina e modera nella vita dei santi.

Ma l'oggetto delle predilezioni dello Spirito di sapienza è il mistero della Trinità. Per sviluppare questo punto, bisogna riprendere, qui, e rivedere a questa luce tutto il capitolo che

'ì6 Ultimo ritiro, I.

87 Lettera a! Canonico A... - Luglio 1906.

58 Lettera alla ninnima - 18 luglio 1906.

89 Lettera a Don Ch... - 25 dicembre 1904.

Bn Lettera alla signora A... - Gennaio 1906.

91 Lettera alla signora De S... - 25 luglio 1902.

"2 Alla priora.

223

abbiamo consacrato allo studio dell'inabitazione della Trinità ed alla parte di centrale importanza che ha questo mistero nella vita e nella dottrina di suor Elisabetta della Trinità; nulla rivela con altrettanta evidenza il predominio del dono della sapienza nella vita intima dell'anima sua. L'esercizio continuo della presenza di Dio diviene in lei rapidamente il segreto di tutte le fedeltà. Pochi giorni prima di morire, ce ne ha lasciato lei stessa la preziosa testimonianza: « Credere che un Essere che si chiama l'Amore abita in noi sempre, in. tutti gli istanti del giorno e della notte, che ci chiede di vivere in società con Lui, è ciò che ha trasformato la mia vita, ve lo confido, in un paradiso anticipato » '".

Tutta l'attività della vita spirituale, per lei, si riassume in questo: « La mia continua occupazione consiste nel rientrare dentro di me e perdermi in Coloro che sono qui » "'*.

Al tramonto della sua esistenza così breve, stabilita ormai nell'unione trasformante, ella giunge all'oblìo perfetto di sé: è la fase suprema della sua vita spirituale che abbiamo già a lungo analizzata '". Suor Elisabetta della Trinità è scomparsa dinanzi a Laudem gloriae. Lei stessa non firma più le sue lettere che con questo « nome nuovo », e non vuoi più chiamarsi che così; che ormai l'anima sua, elevandosi al di sopra delle dolcezze della divina presenza, al di sopra di se stessa, si oblia interamente, per non essere più che « l'incessante lode di gloria della Trinità ». È il trionfo del dono della sapienza: tutto è dominato da un unico pensiero: la gloria della Trinità; quindi, tutto ciò che non coopera alla glorificazione divina, o peggio, che minaccerebbe di ritardarla viene eliminato senza; pietà.

Però, essa non si ripiega egoisticamente in se stessa, per arrestarsi a « godere di Dio » nella gioia beatificante di questa presenza delle divine Persone in lei, che forma il suo ciclo anticipato. No; si tratta, innanzi tutto, della gloria di Dio; e, nel « cielo dell'anima sua » il suo ufficio essenziale è cantare giorno

a3 A'ia signora G. de B... - 1906, :

94 Lettera a G. de G... - Fine settembre 1903.

05 Cfr. cap'to!o I, paragrafo II « Carmelitana », e soprattutto il Capitolo IV <' 1..0(ìr di rlrir'a » che ci sembra il pìh i m por I ante per la comprensione intima della dottrina e della vita di suor Elisabetta della Trinità.

224

e notte, come i beati nel « cielo della gloria », la lode della Trinità; e sotto l'impulso del dono della sapienza, in corrispondenza all'esercizio e al progresso nella carità, tutta la sua vita prende il ritmo che conviene alla lode di gloria.

« Una lode di gloria è un'anima di silenzio che se ne sta come un'arpa sotto il tocco misterioso dello Spirito Santo, perché Egli ne tragga armonie divine. Sa che il dolore è la corda che produce i suoni più belli, perciò è contenta che questa corda non inanelli nel suo strumento, per commuovere più deliziosamente il cuore del suo Dio.

Una lode di gloria è un'anima che contempla Dio nella fede e nella semplicità, fì un riflesso di tutto ciò che Egli è, è come un cristallo attraverso il quale Egli può irradiare e contemplare tutte le proprie perfezioni e il proprio splendore. Un'anima che permette così all'Essere divino di saziare in lei il Suo bisogno di comunicare tutto ciò che Egli è e tutto ciò che ha, è veramente la lode di gloria di tutti i suoi doni.

Finalmente, una lode di gloria è un'anima immersa in un incessante ringraziamento; ciascuno dei suoi atti, dei suoi movimenti, dei suoi pensieri, delle sue aspirazioni, mentre la fissa più profondamente nell'amore, è come una eco del « Sanctus » eterno. Nel cielo della gloria, i beati non hanno riposo ne giorno ne notte, ma sempre ripetono: « — Santo, santo, santo, il Signore 011• a iiioicn'l'e — ...f, prostrandosi, adorano Colui che vive nei secoli dei secoli ».

Nel ciclo dell'anima sua, la lode di gloria inizia già 'lufficio che sarà suo in eterno; e, quantunque non ne abbia sempre coscienza, perché la debolezza della natura non le consente di fissarsi in Dio senza distrazioni, pure rimane sempre sotto fazione dello Spirito che opera tutto, in lei. Canta sempre, adora sempre, è, per così dire, interamente trasformata nella lode e nell'amore, nella passione della gloria del suo Dio »9B.

225

CAPITOLO NONO

ELEVAZIONE ALLA TRINITÀ (Commento)

« O miei Tré, mio Tutto, mia Beatitudine, Solitudine infinita, Immensità in cui mi perdo... ».

O mio Dio, Trinità che adoro...

Guardare un'anima che prega, è sorprenderla nel momento della sua maggiore intimità con Dio, come il sacerdote all'altare. L'orazione è la sintesi di un'anima: quale la preghiera, tale la vita. Tutto il genio dottrinale di un san Tommaso d'Aquino rifulge nel suo « Ufficio del santissimo Sacramento ». Lo stesso Verbo Incarnato non si sottrae a questa legge della nostra psicologia umana; e la sua « preghiera sacerdotale » è la suprema rivelazione del suo Cuore: Cuore di Cristo. Nulla manifesta meglio il suo amore per il Padre e la sua carità redentrice per i fratelli, quanto il movimento circolare di quest'Anima che parla al Padre della sua gloria e della consumazione di tutti nell'Unità: vi è tutto il suo mistero di « Cristo ».

Così è della preghiera dei santi.

Suor El isabella della Trinità non ha scritto, come la sua santa Madre Teresa, un trattato d'adorazione; ma la sua sublime preghiera: « O mio Dio, Trinità che adoro... », ci da la testimonianza più ricca sulla maniera tutta Carmelitana di concepire la vita di orazione: una comunione incessante con la Trinità. « La preghiera non consiste in una determinata quantità di orazioni vocali che ci si impone di recitare ogni giorno;

ma in un'elevazione dell'anima a Dio, attraverso tutte le cose, la quale ci stabilisce in una specie di comunione continua con la

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Trinità Santa, semplicemente facendo tutto , sotto il suo sguardo » 1.

Composta d'un sol getto, senza la minima correzione, in un giorno in cui tutto il Carmelo rinnovava i voti, questa preghiera è la sintesi della vita intcriore di suor Elisabetta. I ratti essenziali della sua anima vi si ritrovano perfettamente delineati:

la grande devozione della sua vita: la Trinità — la forma propria della sua vita di orazione: l'adorazione — la sua tenerezza appassionata per il Cristo « amato fino a morire, amato sulla croce » — infine lo slancio irresistibile verso i « Tré », « sua beatitudine, suo tutto, solitudine infinita in cui l'anima si smarrisce ». Non vi è nominata la Madonna, ma'Essa c'è, lo si sente dalla stessa data autografa: novembre 1904, festa della Presentazione.

Vi manca soltanto — e questo è da notare — l'eco dell'ascesa suprema: gli ampi orizzonti della sua vita di « lode di gloria » le sono ancora ignoti.

Di fronte ad una tale preghiera, una delle più belle del Cristianesimo, abbiamo esitato a lungo, prima di arrischiarci ad un commento, provando qualche cosa di simile all'imbarazzo che deve provare l'esegeta o il teologo in presenza della preghiera sacerdotale di Cristo. Tutti gli umani commenti esegetici o teologici, per quanto sublimi siano, dispereranno per sempre di poter giungere ad esprimere la semplicità tutta divina dell'ultima preghiera di Gesù per l'unità: « Ut unuin s'int... » 2. Ma abbiamo pensato alle tante anime contemplative per le quali questa elevazione alla Trinità è divenuta una delle preghiere più care, e costituisce tutto un programma di vita intcriore in cui trovano il segreto dell'oblìo di sé.

Una Carmelitana ci scriveva: « Ognuna di queste: parole mi introduce nell'orazione; è una preghiera che raccoglie la mia anima quanto i più sublimi trattati di mistica ».

Avendo studiato molto da vicino, e per degli anni, quest'anima privilegiata, forse il commento che intraprendiamo sarà di qualche utilità per farne penetrare il senso vero e così profondo.

' Lettera a G. de C... - Febbraio 190?. " San Giovanni, XVII-21.

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Senza volere" imporre al movimento di quest'anima essenzialmente contemplativa delle divisioni troppo rigide, mi sembra che si potrebbero distinguere in questa preghiera cinque aspetti principali:

1. Un primo slancio spontaneo dell'anima verso quella Trinità che è divenuta il tutto della sua vita: « O mio Dio, Trinità che adoro... ».

2. La descrizione del clima spirituale in cui si muove la sua vita contemplativa al centro dell'anima, in una atmosfera di pace immutabile: « Pacifica l'anima mia... ».

3. Un movimento di tenerezza appassionata verso il suo Cristo « amato fino a morirne ». Le parole si incalzano, esprimendo, nel ritmo accelerato, l'impeto dei sentimenti di un'anima il cui ideale ardentemente vagheggiato è di essere immedesimata con tutti i movimenti dell'anima di Cristo: « O mio Cristo adorato... ».

4. Poi l'invocazione subitanea e successiva a ciascuna delle Tré Persone divine verso le quali è protesa la sua vita: « O Verbo eterno... O Fuoco divorante... E tu, o Padre... ». Si indugia soprattutto nel Verbo, più accessibile per la Sua Incarnazione ai nostri occhi di carne, con l'anima affascinata da questo « Verbo eterno. Parola del suo Dio ». Lo « Spirito d'amore » pure e invocato, ma perche compia in lei quasi una incarnazione del Verbo, ed essa sia per Lui un prolungamento di umanità nella quale il Padre possa ritrovare il volto di Cristo « in cui ha posto tutte le sue compiacenze ». Cristo è veramente al centro di questa sua preghiera, come tutta la sua vita.

5. Un grido finale con cui si compie questa invocazione alla Trinità. Il tema dell'inizio: « O mio Dio, Trinità che adoro... » viene ripreso dalla sua anima di artista, ma ripreso con uno sviluppo ampio, con un largo movimento ritmico che trasporta definitivamente l'anima negli abissi della Trinità: « O. miei Tré..., io mi abbandono a Voi come una preda!... ». I

1. O mio Dio, Trinità che adoro. « O mìo Dio! ». L'anima sua va dritta, non alle perfezioni

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divine, ma all'essenza, sorgente di tutti gli attributi; a Dio stesso.

« Trinità! ». Non il Dio dei filosofi e dei sapienti, ma il Dio dei cristiani e dei mistici: Padre, Verbo, Amore.

Altre anime saranno più particolarmente attirate verso il Padre, come una santa Geltrude, una santa Margherita Maria;

oppure verso lo Spirito Santo; e la Chiesa le legittima tutte, queste forme di preghiera, poiché ai'ich'Lss;!, ncll;i sua liturgia, si rivolge ora al Padre, ora al Figlio, ora allo Spirito Santo. Il culto è indirizzato alle Persone che, nella Trinità, rimangono infinitamente distinte.

Un san Tommaso d'Aquino poi, da vero teologo, rivolgerà particolarmente la sua devozione alla « Trinità nell'unità », raccogliendo in una formula sintetica tutta l'essenza del mistero.

Suor Elisabetta della Trinità non è tanto colpita da questo aspetto intimo del mistero in se stesso, quanto invece occupata a scoprirvi il termine beato ed esplicito della sua vita di unione: « La Trinità: ecco la nostra dimora, 1a nostra cara intimità, la casa paterna donde non dobbiamo uscire mai »3. Bisognava sentire con quale accento di tenerezza, premendo le mani sul cuore come su di una presenza amata, ella parlava dei suoi « Tré! »: « Amo tanto questo mistero! È un abisso nel quale mi perdo ».

« Che adoro... ». L'adorazione è la forma propria di questa vita di adorazione. Essa ama l'atteggiamento dei beati nella Città eterna, descritto negli ultimi capitoli dell'Apocalisse: « Si prostrano e adorano, gettando palme dinanzi al trono dell'Agnello ».

Con questa forma principalmente adoratrice della vita di orazione, quanto siamo lontani da quella moltitudine di anime mendicanti che sembrano non accostarsi a Dio che con la mano tesa per ricevere! Da vera contemplativa che possiede n senso di Dio, essa prima di tutto gli rende omaggio in ragione delle perfezioni senza limite di Lui o, secondo la sua formula prediletta, « a causa di Lui stesso », La sua anima religiosa si espri-

3 « II paradiso sulla terra » - 1" orazione. 230

me con tutta naturalezza nell'atteggiamento che è il più fondamentale dinanzi a Dio: l'adorazione. La preghiera di supplica ' considera l'indigenza bisognosa di aiuto, il ringraziamento serba uno sguardo sui benefici ricevuti, l'espiazione è unita al ricordo dei peccati commessi; soltanto l'adorazione contempla Dio in se stesso, nell'eccellenza increata della sua Essenza e delle sue Persone. Dinanzi alla gloria del suo Dio, l'anima dimentica tutto: « L'adorazione è Pestasi dell'amore annientato dalla bellezza, dalla forza, dalla grandezza immensa dell'oggetto

amato » 4.

« Aiutami a dimenticarmi interamente ». Il grande ostacolo della Carmelitana e di ogni anima contemplativa in generale, è il proprio io. « L'amor proprio non muore che un quarto d'ora dopo di noi », diceva sorridendo san Francesco di Sales, e i santi hanno sferrato le loro più tremende battaglie contro se stessi per la distruzione di questo « io » così tenace. Del resto, non deve meravigliarci che persista così ostinatamente anche nelle grandi anime, anche in quelle da Dio predilette, fino al giorno in cui piaccia al Maestro, per una grazia tutta gratuita, di liberarle per sempre.

Suor El isabella della Trinità, che Dio aveva destinata per vocazione speciale ad essere modello e patrona delle anime intcriori, doveva imparare con la propria esperienza quale sia il grande scoglio di queste anime che Dio vuole profondamente raccolte in se stesse, per vivervi di Lui solo. La sua vita spirituale, per lungo tempo, fu ingombrata dal suo povero « io ».

Ne soffriva. Ma nulla riusciva a liberarla. Questa liberazione sovrana dell'anima non può essere che il trionfo della grazia e uno degli effetti supremi dei doni dello Spirito Santo. Non a caso, dunque, ma sotto l'impulso di un pensiero che sempre l'assilla nell'intimo, essa, fin dalla seconda frase di questa preghiera sublime, ricade sopra di sé, ultimo gemito di un « io » che non tarderà a morire: « Aiutatemi a dimenticarmi interamente ». Tré giorni dopo la composizione di questa preghiera, tornava sullo stesso pensiero: « I santi, quelli sì, avevano capito la vera scienza; la scienza che ci fa uscir da tutto e princi-

4 Ultimo ritiro - Vili giorno.

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palmente da noi medesimi, per slanciarci in Dio e non farci vivere che di Lui » ".

« Interamente... ». Comprendiamolo bene: « dimenticarsi interamente ». Non essere arrestati più da niente nello slancio verso Dio, ne dagli avvenimenti esteriori, ne dalle vicissitudini Ulteriori... Suor Elisabetta della Trinità mira alto: si tratta di giungere a quella trasformazione in Cristo, che san Paolo esprime con formula ardita: « Non vivo piu io. ina Cristo vive in me ». Quale oblìo di sé, richiede! Quale morte! T1 grande santo scriveva ai Colossesi: « Voi siete morti, e la vostra vi fa è nascosta con Gesù Cristo in Dio ». Ecco la condizione: bisogna essere morti. Altrimenti, si può essere nascosti in Dio ogni tanto, ma non si vive abitualmente in questo Essere divino; perché la sensibilità e tutto il resto vengono a ricondurci fuori. L'anima non è tutta intera in Dio »B.

E ancora: « Mi sono isolata, separata, spogliata di tutto e di me stessa, tanto nell'ordine naturale che nell'ordine soprannaturale, anche riguardo ai doni di Dio; perche un'anima che non sia morta a se stessa, libera del proprio io, sarà per forza, in certi momenti, banale e umana; e ciò non è degno di una figlia di Dio, di una sposa di Cristo, di un tempio dello Spirito Santo » T.

« Aiutami! ». Questa sovrana liberazione, nei santi, è il trionfo supremo della grazia sulla natura. E suor Elisabetta della Trinità implora umilmente: « Aiutami! ».

Noi sappiamo che Dio esaudì la preghiera della sua umile serva. Un anno dopo, poteva scrivere ad un'amica; « Vi pare che sia tanto difficile dimenticarsi? Se sapeste, invece, come è semplice! Ve ne confiderò il segreto, il mio segreto: pensate a quel Dio che abita in voi e di cui voi siete tempio. Ce lo dice san Paolo, possiamo dunque crederlo. A poco a poco, l'anima comprende che porta in sé un piccolo cielo dove il Dio d'amore ha stabilito il suo soggiorno, e si abitua a vivere nella sua dolce compagnia. Allora respira in un'atmosfera quasi divina; anzi,

Lettera alla signora A... - 24 Novembre 1904. Ultimo ritiro - VI giorno.

9 Ultimo ritiro - VI giorno. 7 Ultimo ritiro - X giorno.

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non e sulla terra che col corpo, e l'anima sua abita in Colui che è l'Immutabile. Ed eccone anche il metodo: non certo guardando e riguardando la nostra miseria, saremo purificate, ma guardando Colui che è la stessa purezza e santità » ".

« Per fissarmi m Tè... ». L'anima interamente sciolta da se stessa e giunta sulle purissime vette della montagna del Car-melo, entra definitivamente nel ciclo della vita Trinitaria: è stabilita in Dio. Questa intimità con Dio era divenuta così fami-' liare a suor Elisabetta della Trinità, che le sembrava Egli stesse per comparire, da un momento all'altro, nel giro degli ampi chiostri: « Dio in me e io in Lui, oh! è la mia vita ».

« Immobile e quieta, come se l'anima mìa già fosse nell'eternità ». £ uno dei frutti di questa spiritualità contemplativa;

rapire l'anima alle sue preoccupazioni meschine ed a se stessa per fissarla in un'atmosfera di eternità. Ogni anima cristiana non dovrebbe considerarsi in esilio sulla terra? poiché la grazia del battesimo ha deposto in lei il germe di quella esistenza immutabile, ed essa già vive per mezzo della fede, nella luce del Verbo.

C'è una parola, nel Credo, ineffabilmente profonda, che esprime bene l'atteggiamento fondamentale di ogni anima di fede di fronte a questo mondo che passa: « Exspecfo, attendo la vita eterna ». Questo presentimento di eternità diveniva sempre più dominante, nell'anima della serva di Dio, a mano a mano che gli anni passavano. L'anima sua abitava già tutta quanta nell'ai di là, invisibile, ma tanto vicino. Negli ultimi mesi, si udiva mormorare: «Egli non mi parla più che di eternila ».

« Immobile e in pace... ». La pace occupa un posto di capitale importanza in questa dottrina spirituale; suor Elisabetta vi ritorna per tré volte nella sua breve preghiera: « Immobile e in pace come se la mia anima già fosse nell'eternità ». —I « Che nulla pòssa turbare la mia pace ». — « Pacifica l'anima) mia ». Questa pace che supera ogni senso non viene dalla terra,' ma ha la sua origine in un attributo divino: « Nulla possa farmi uscire da Tè, o mìo Immutabile ». Sant'Agostino ce ne ha

Lettcr.i plln signora A... - 24 Novembre 1905.

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lasciato una definizione celebre: « Pax est tranquilli I as ordinis:

la tranquillità dell'ordine ». La pace spirituale è un'armonia delle potenze nell'unità, è la fusione dei loro sforzi verso un unico fine. Ha per principio Dio amato in tutto e al di sopra di tutto. I teologi sanno che la pace è uno degli efletti intcriori della carità; sanno che in un'anima tutta ordinata a Dio, regna la pace.

Suor Elisabetta della Trinità ce ne h;i dato delle spiegazioni conformi: « È fare l'unità in tutto il proprio essere per mezzo del silenzio intcriore; è raccogliere tutte le proprie potenze per occuparle nel solo esercizio dell'amore » 9.

« Se i miei desideri, i miei timori, le mie gioie o i miei dolori, se tutti i movimenti che derivano da queste quattro passioni non sono perfettamente ordinati a Dio, vi sarà del rumore in me e io non avrò la pace. Occorre dunque la quiete, il sonno delle potenze, l'unità dell'essere » ". Allora, l'anima non ha più da temere i contatti esterni ne le difficoltà intcriori » ", poiché « essendosi, la sua volontà, perduta nella volontà di Dio, le sue inclinazioni, le sue facoltà, non si muovon più che in questo amore e per questo amore » 12. « Le cose, lungi dall'esserle un ostacolo, non fanno che radicarla più profondamente nell'amore del suo Maestro » l3.

Nell'unità delle potenze tutte, per Cristo vigilate e custodite, regna la pace immutabile.

« Che ad ogni istante io mi immerga sempre più nelle profondità del tuo mistero ». Si rivela, in questa invocazione, l'anima ardente della santa Carmelitana, il suo desiderio di realizzare ogni giorno di più il perché fondamentale di ogni vita religiosa: tendere alla perfezione. Questa preoccupazione amorosa del più perfetto, che santa Teresa aveva fatto oggetto di un voto speciale, si ritrovava nella sua figliola ad un grado eminente. E — perché non confessarlo? — l'impressione dominante che risulta in noi dai molti anni di contatto con suor Eli-

9 Ultimo ritiro - II giorno.

10 Ultimo ritiro - X giorno.

" Ultimo ritiro - II. piorno.

12 « II parsidiso su!la terra » - 7' oni/'ione.

)3 Ultimo ritiro - Vili giorno.

234

sabetta della Trinità, è la rapidità, continuamente accelerata, del suo slancio verso Dio. Una Carmelitana di Digione che era con lei in grande intimità e della quale la serva di Dio diceva:

« Noi siamo come le parti di un'unica dimora », ci ha dichiarato che soprattutto la fine della sua vita durante gli ultimi otto mesi di infermità fu una ascesa ammirabile: « Non riuscivamo più a seguirla ». Ed ecco, allora, farsi per noi più luminosa qucstn (rase che esprime così bene la sua avidità di perfezione sovrana: « Che, ad ogni istante, io mi immerga sempre più nella /irò/'ondila del tuo mistero ». Era fermamente convinta che « ogni minuto ci è dato perché ci radichiamo sempre meglio in Dio, perche più viva sia la somiglianzà col nostro divino Modello, più intima l'unione ». E il suo pensiero non cambierà:

Nel ritiro che, come un testamento, compose per la sua sorella, riprenderà Io stesso pensiero, e con più ricca concisione, definendo la vita spirituale « una vita eterna incominciata, e in continuo progresso ».

2. Pacifica l'anima mia

Un aspetto nuovo di questa preghiera ci fa penetrare nella sua maniera tutta propria e personale di concepire la vita intcriore. Non già che essa abbia scoperto una dottrina inedita del Cristianesimo, ma perché ha saputo penetrare nel significato profondo della parola di Gesù: « II regno di Dio è dentro di voi ».

E suor Elisabetta ha proprio avuto da Dio la grazia di ricondurre le anime su questo punto, al puro Vangelo. Non si può forse dire di lei quello che essa scriveva della Vergine, modello della sua vita intcriore: « In lei, tutto si svolge di dentro »? Fu proprio la sua grazia particolare, quella di vivere nel fondo dell'anima sua le ricchezze trinitarie del suo battesimo e di invitare le anime a questo ritorno alle veraci sorgenti della vita divina.

« Rendila tuo ciclo ». L'anima stabilita nella pace e liberata dal suo « io » diviene il teatro delle meraviglie della grazia e, per il Signore, un vero cielo, una dimora cara, un luogo di ri-

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poso. Notiamo l'elevatezza di questa vita di intimità con le Persone divine. Qui, le mire ordinarie sono capovolte. La maggior parte delle anime aspirano all'unione con Dio per il desiderio, lodevole del resto, di divenire sante; ma pensano poi al perché supremo di ogni santità: la gioia di Dio e la sua maggior gloria? Esse tendono a Dio con tutte le loro brame, ma senza giungere però a dimenticarsi interamente.

Quanti pericoli latenti sotto questo metodo di spiritualità che si potrebbe chiamare: dell'« io » santific.ilo! Qui, ai contrario, risplende il primato di Dio.

L'anima è un tempio vivo in cui la Trinità santa riceve senza posa un culto di adorazione, di ringraziamento, di lode e di amore. Le Persone divine gioiscono l'Una dell'Altra nell'intimo di quest'anima in cui insieme abitano, in cui il Padre genera il Figlio, il Padre e il Figlio spirano uno stesso Amore. L'anima diviene un cielo per il suo Dio.

Più tardi, suor Elisabetta della Trinità. contemplando questa bontà divina che trova le sue delizie ad abitare tra i figli degli uomini, descriverà così l'ufficio di una lode di gloria:

« Un'anima che permette all'essere divino di saziare in lei il Suo bisogno di comunicare tutto ciò che Egli è, e tutto ciò che Egli ha ».

« Che io non ti lasci mai solo ». Ecco la collaborazione personale, necessaria: « Essere lì, interamente presente, pienamente abbandonata all'azione creatrice ».

Veramente, Dio non è mai solo: ne in Se. 'stesso, ne nelle anime; e questa società trinitaria gli basta. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo vivono insieme « adesso come "il principio e per i secoli dei secoli », trovando nel più intimo della loro Essenza, in una amicizia perfetta, luce e amore e gioia, in grado infinito. Dio non è dunque mai solo, e la teologia trinitaria nota giustamente che, a rigor di termine, è proibito e pericoloso definire Dio: solitario. Questa vita di Dio « dentro di Sé » è talmente la gioia del nostro Dio, che se — supponendo l'impossibile — questa pluralità delle Persone non esistesse in seno alla vita trinitaria, anche in mezzo ad una moltitudine infinita di uomini e di angeli chiamati a partecipare, per grazia, alla sua

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vita intima, Egli rimarrebbe sempre l'Eterno Solitario, un po' come una creatura dotata di intelligenza e di volontà, si aggirerebbe solitària in un giardino, malgrado la presenza di innumerevoli piante e animali » 14.

Per sovrabbondanza di pura bontà e per « eccesso di amore », Dio ha voluto trovare le sue delizie tra i figli degli uomini. Lo abbiamo visto, proprio Lui, in mezzo alla sua creazione: II Verbo si è fatto carne ed ha abitato fra noi. E noi siamo nel numero di quei privilegiati ai quali fu concesso di divenire i « figli di Dio », in comunione del « Verbo », predestinati a vivere « in intima unione con Lui ». « In società », in intima unione: questa parola di san Giovanni, così cara a suor Elisa-betta della Trinità, ci spiega il senso profondo della sua preghiera: « Che io non ti lasci mai solo ».

« Aia che tutta io vi sia.. ». La sua ascetica e la sua mistica consistevano appunto nel serbarsi libera e interamente distaccata da tutto, per vivere nel fondo dell'anima sua, « alla presenza del Dio vivo ».

« Vigile e attiva nella mia fede ». « Una Carmelitana è un'anima di fede ». La serva di Dio ritornava spesso, nella sua vita intima, a questa prima virtù teologale: « II programma del mio ritiro sarà di starmene, con fede e amore, sotto l'unzione di Dio ». « Essere desta e attiva nella fede » significa andare più in la delle formule che racchiudono le verità da credere:

significa abitare in Dio,

« 'l'ulta immersa nell'adorazione... ». È sempre lo stesso atteggiamento essenzialmente adorante di fronte a Dio.

« Tutta abbandonata alla tua azione creatrice... ». Suor Eli-sabetta della Trinità fu una di quelle anime che si danno senza riserva all'azione dello Spirito, convinte che la vita spirituale consiste meno nel moltipllcare gli sforzi personali, che nel lasciarsi prendere da Dio. La sua cura costante e sempre più); ; | :•_ intensa, fu di «credere all'Amore», di lasciarsi trasformateli^" dall'Amore. Ed è importantissimo, alla sua scuola, essere prò-;' .' :

'' Cfr. il tesso così profondo di s.m Tommaso. Stimma Thenl. I', q. 31, V ;i<l 1.

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fondamente convinti che ogni iniziativa di santità viene prima di tutto da Dio e rivela in prima linea una realizzazione della sua grazia, cioè del suo gratuito amore. Il carattere dell'amore di Dio verso di noi non è forse di essere Amore creatore? Ln sciarsi amare, dunque, è lasciare che Dio agisca nel nostro intimo, lasciare che crei in noi tutte le meraviglie di grazia e di gloria.

Suor Elisabetta della Trinità aveva compreso la risposta da dare a questo Amore che non chiede che di potere agire in noi:

« Abbandonarsi pienamente alla Sua azione creatrice ».

3. O amato mio Cristo

Ed ecco la via che conduce alla Trinità: il Cristo. Sembra apparire d'un tratto; in realtà, è al centro della preghiera di suor Elisabetta della Trinità come è al centro della sua vita.

« O amato mio Cristo! ». Quando si tratta di Lui, non c'è più che da amare, « amare fino a morirne ». Aveva già scritto nel suo diario di fanciulla: « Vorrei farlo conoscere, farlo amare in tutto il mondo ». Da allora, sono passati cinque anni, anni di intimità quotidiana, di vita di sposa del Cristo.

La sua devozione a Cristo va dritta all'essenziale: al « Crocifisso per amore », a Colui che, nella veglia della sua professione, le aveva detto di essersela scelta per tutta una vita di silenzio e di amore. Suor Elisabetta si era donata: « Vorrei essere una sposa per il tuo amore » e, « in quella mattina, la più bella della sua vita », era divenuta sposa del Cristo, fino alla morte. Ormai, Cristo sarà l'unica sua vita.

« Coprirti di gloria... ». « Mulier gloria viri » ''"'. Come una fedele sposa, si dedica, con sempre maggiore intensità, a « zelare il Suo onore ». Dio non le ha ancora rivelata la sua vocazione suprema di « Lode di gloria », ma già ve la incammina. Verrà poi un giorno in cui questo anelito accentrerà tutto, nell'anima sua, per la gloria della Trinità e per quella del suo Cristo.

« Ma io sento la mia impotenza... ». È incoraggiante il pensiero che i santi sentivano la loro debolezza, come noi, E Gesù

''' I Colimi, XI-7.

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stesso non ha voluto anch'Egli accettare il soccorso dell'angelo dell'agonia, e l'aiuto di un Cireneo? Di fronte ad un ideale sovrumano, i santi non indietreggiavano; sapevano chiamare in loro aiuto il Forte, Colui la cui virtù segreta è con noi sempre, pronta a purificarci, a salvarci, a divinizzarci, a trasformarci in Lui. « Egli è sempre attivo, sempre operante nell'anima nostra. Lasciamoci formare da Lui. Che egli sia l'anima della nostra anima, la vita della nostra vita, sì che possiamo dire con san Paolo: « Per me, vivere è Cristo » le. Le loro miserie, le loro infermità, invece di sorprenderli o di arrestarli, li gettano in Dio e in Gesù Cristo. Ascoltate questo crescendo sublime della confidenza dei santi: « Rivestimi di Tè, unificami a tutti i movimenti dell'anima tua ». Poi le parole si accumulano, premono, incalzano, per esprimere un sentimento che trabocca, incontenibile: « Ti prego... sommergimi, pervadimi, sostituisciti a me...; la mia vita non sia che un riflesso della tua vita. Vieni in me come Adoratore, come Riparatore e come Salvatore!... ».

La trasformazione in Cristo è completa, il motto scolpito sul « bei Crocifisso della sua professione » è realizzato: « Non sono più io che vivo; Cristo vive in me. ]am non ego, vivit vero in me Christns ».

4. O Verbo eterno!

Il volto di Cristo conduce agli splendori del Verbo. È uno dei temi familiari agli autori mistici; ogni vera devozione a Gesù Cristo si rivolge principalmente alla sua divinità:

l'umanità non è che la via.

Anche a questo punto, ci troviamo in piena linea tradizionale, perfettamente equilibrata. Dopo essersi soffermata nelle piaghe redentrici del « Crocifisso per amore », con un colpo d'ala, si slancia fino al Verbo: « O Verbo eterno. Parola del mio Dio, voglio passar la vita ad ascoltarti ». Che cosa importano all'anima che ha incontrato il Verbo, tutte le meraviglie della natura e della grazia? Queste creature non sono Lui ed

" Lettera .illn sisnora A... - 9 Novembre 1902. 239

« è Lui, Lui che noi cerchiamo ». I cieli che ci narrano la sua gloria, non lo celano però anch'essi ai nostri sguardi? « Verbo eterno, Parola del mio Dio, voglio passar la vita ad ascoltarti »;

Tu mi racconterai tutti i segreti racchiusi nel seno del Padre, il mistero dei Tré nell'Unità.

« Voglio rendermi docili ssim a, per imparare tutto da Tè ». La serva di Dio ci rivela ora quale sia la sorgente dei suoi lumi più sublimi: è la scuola di Dio. Raramente si trova un'anima che meno di lei sia stata desiderosa di libri: si è nutrita soltanto di qualche raro libro di spiritualità: il Cantico spirituale, la Viva fiamma del suo Padre san Giovanni della Croce « che penetrò così addentro nella divinità », e le Epistole di san Paolo. Lei stessa confidava sommessamente alla sua Priora: « Ciò che Egli mi insegna, è ineffabile ». E la Madre Germana, da parte sua, ne era perfettamente convinta: suor Elisabetta della Trinità fu soprattutto la discepola e l'ascoltatrice del Verbo.

« Poi, nelle notti dello spirito, nella dcsolii-nonc, nella impotenza... ». Si ritrova, qui, il sentiero del « nulla'» che conduce al vertice del monte Carmelo. L'anima contemplativa, l'anima Carmelitana in particolare, è chiamata a conoscere le lunghe e dolorose purificazioni delle « notti » oscure, prima di raggiungere l'unione divina: dopo aver lasciato tutto per Cristo, sentirlo scomparire... non per un giorno o per qualche mese, ma per lunghi anni, per tutta una vita forse..., e nonostante, rimanere fedele, senza mai indietreggiare, senza lamentarsi mai. Una grande esperienza vissuta si cela in queste 'brevi parole: le anime di orazione non cerchino Dio per il sentiero delle consolazioni, ma nella nudità della fede e nello spogliamente assoluto; e qui rimangano, fedeli « in tutte le notti, tutte le desolazioni, tutte le impotenze ». .

« Voglio fissarli sempre, e starmene sot-to il tuo grande splendore ». Suor Elisabetta della Trinità aveva gustato anche essa, nelle prime ore della sua ascesa per le vie mistiche, le gioie inebrianti della presenza di Dio. Ma ben presto, e a lungo, dovrà cercare il suo Dio nella pura fede. « Dopo queste estasi, questi sublimi rapimenti nei quali l'anima dimentica tutto il resto e non vede che il suo Dio, come par dura e penosa l'orazione

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ordinaria e quanta fatica ci vuole per raccogliere le proprie potenze! Come costa e come sembra difficile! ».

Eppure, non è davvero il momento di lasciare la vita di orazione. È l'ora .benedetta che conduce all'unione trasformante, nel silenzio della notte. Dunque, più che mai, « guardarlo fissamente, sempre », e « rimanere in pace sotto la grande luce della notte oscura e transluminosa. Lasciarsi sempre più passivamente attirare dal Verbo: « O mio Astro adorato, affascinami, perché io non possa più sottrarmi alla tua irradiazione ». Come la farfalla, che io sia abbagliata e vinta dal fulgore della tua luce.

« Spinto d'amore... ». Essere, nel seno della Trinità, l'Amore Personale del Padre e del Figlio: ecco tutto il mistero dello Spirito Santo, vero « Spirito d'Amore », nel quale Dio ama Sé ed ama tutto l'universo. La natura più intima di questa Persona divina, uguale al Padre e al Figlio da cui procede, è di essere il loro Amore sostanziale e coeterno in una stessa vita a Tré.

La serva di Dio, anche qui, non fa che appoggiarsi sopra un dato fondamentale del dogma Trinitario, il più profondo per l'anima contemplativa che vorrebbe vivere già sulla terra di questo mistero, il mistero di un Dio clic è personalmente l'Amore. Ma ciò a cui essa mira è di un ordine più pratico. La sua preghiera non è una elevazione sulla vita trinitaria, ma il movimento di un'anima contemplativa che trova, in questo mistero della Trinità, « il suo Tutto, la sua Beatitudine, la infinita Solitudine in cui si perde ». Lo Spirito d'Amore è invocato per la sua azione santificatrice nelle anime che cercano l'unione con Dio. « O Fuoco consumante, Spirito di Amore, discendi in me perché si faccia nell'anima mia quasi un'incarnazione del Verbo ». Ha già supplicato Cristo di immedesimarla con la Sua. Anima, di sostituirsi a lei affinchè la sua vita non sia che un'irra-fc diazione della vita di Lui; poi, nella sua invocazione al PadreJ e in quella allo Spirito Santo, ritorna sullo stesso pensiero, per-| che il desiderio della sua trasformazione in Cristo è veramente' il punto centrale di questa preghiera essenzialmente trinitaria.

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E nulla rivela con maggior evidenza a qual punto Gesù si era sostituito alla sua vita propria.

« Si faccia nell'anima mia quasi un'incarnazione del Verbo ». Epressione audace, che bisogna comprendere bene; « quasi » un'incarnazione. Non si tratta di un desiderio da prender troppo alla lettera e che sarebbe un assurdo; ma è il linguaggio di un'anima innamorata di Cristo che vagheggia di divenire un altro Lui stesso.

« Che io gli sia un prolungamento di invanita in cui Egli possa rinnovare il Suo mistero ». Formula luminosa che rischiara tutto. La spiega lei stessa tré giorni dopo, scrivendo ad un giovane sacerdote: « Che io sia per Lui un prolungamento di umanità, cioè che Egli possa perpetuare in me la sua vita di riparazione, di sacrificio, di lode e di adorazione... Gli ho chiesto di venire in me come Adoratore, come Riparatore e come Salvatore ».

« E Tu, o Padre! ». Ed ora, si rivolge al Padre, Principio della divinità. È Padre: ed è questo tutto il suo mistero, il suo carattere proprio, in seno ai Tré. È il Principio senza principio, da cui deriva, come da propria sorgente infinitamente feconda, tutta la vita trinitaria « al di dentro ». E sarà la suprema luce del « faccia a faccia », scoprire in Lui, come nella sua origine eterna, tutto il mistero dei Tré nell'Unità.

Ma non si tratta di questo direttamente, nell'ora dì grazia in cui suor Elisabetta ha composta la sua preghiera. Alla presenza di questa divina Paternità, ella vede soprattutto il suo niente. « O Padre, chinati verso la tua povera, piccola creatura! ». E, ricordando il mistero della Vergine della Incarnazione, la Vergine sua prediletta, soggiunge: « Coprila della tua ombra », cioè : proteggila. E infine l'anima sua, ritornando sempre a Cristo, al suo centro, implora: « Non vedere in essa che il Diletto in cui hai poste tutte le tue compiacenze ».

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5. O w/'ri Tré

La preghiera volge all'epilogo. Un ultimo slancio la solleva verso i « Tré » ai quali suor Elisabetta ha consacrata tutta la sua vita: « O miei Tré, mio Tutto, Beatitudine mia, Solitudine infinita, Immensità in cui mi perdo, io mi abbandono a Voi come una preda; seppellitevi in me perché io mi seppellisca in Voi, in attesa di venire a contemplare nella vostra luce, l'abisso delle vostre grandezze ».

La preghiera dell'inizio è esaudita: non ritrova più vestigio in sé.

L'anima è trasumanata in Dio.

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EPILOGO

LA SUA MISSIONE

1 ) « La mia missione sarà quella di mantenere le anime in questo grande silenzio intenore ».

2) « Vi lascio questa vocazione che fu la mia in seno alla Chiesa: Lode di gloria lìdia Trinila Saniti ».

1. Il grande silenzio inferiore - 1. Lode di gloria della 'Trinità.

I grandi servi di Dio, mentre stavano per lasciare la terra, sentivano che la loro attività apostolica al servizio della Chiesa, lungi dal cessare con la morte, avrebbe anzi potuto espandersi soprattutto quando l'anima loro fosse giunta in seno a Dio. Non avevano essi l'esempio e il ricordo della promessa del Maestro agli Apostoli: « È bene per voi che io me ne vada. Quando sarà rii orini In al Vadrc, vi manderò lo Spirito »?

San Paolo ci ha lasciato la descrizione dell'attività eterna di Cristo sempre vivo dinanzi al Volto del Padre, per adorarlo e glorificarlo, ma anche « per intercedere continuamente in nostro favore » '.

E chi oserebbe pensare che, dopo la sua gloriosa assunzione, la Madre degli uomini si sia disinteressata delle nostre terrene miserie e che nel suo mistero eterno, fra i gaudi della visione, la Madre di Dio non sia sempre occupata di questi altri suoi figli, intercedendo per loro? Che non sia sempre china su di essi tutti quanti, per « generarli al Cristo », più madre che mai?

Non è raro trovare sulle labbra dei grandi fondatori di Ordini parole simili a quelle di san Domenico ai suoi figli che

' Ebrei, VII, 25.

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piangevano intorno a lui morente: « Vi .sarò più utile di lassù ».

Il mondo intero ha udito il desiderio della « santa più grande dei tempi moderni » 2, Teresa di Gesù Bambino: « In cielo, io non starò inattiva. Voglio passare il mio cielo a fare del bene sulla terra ». E la sua umile sorella di Digione ha lasciato erompere dall'anima lo stesso grido apostolico: « Non dubitate: lassù nella sorgente dell'Amore, io penserò attivamente a voi; e chiederò per voi una grazia di unione, di intimità coi divino Maestro: è quella che ha resa la mia vita un paradiso anticipato ». Qualche giorno prima di morire, mossa dallo Spirito Santo, tracciò in matita, con mano tremante, questa frase celebre, indirizzata ad una povera sorella conversa: « Mi sembra che la mia missione, in cielo, sarà quella di attirare le anime nel raccoglimento intcriore, aiutandole a uscire da loro stesse per aderire a Dio, mediante un movimento semplicissimo e tutto di amore; e di mantenerle in quel grande silenzio inferiore che permette a Dio di imprimersi in esse e di trasformarle in Sé ».

Parole profetiche. E la propagazione rapida e mondiale dei « Ricordi » ce ne fa constatare la realizzazione.

1. In cielo, i santi hanno ciascuno la loro missione in armonia col piano della redenzione e in ricompensa dei meriti acquistati sulla terra. E sino alla fine del mondo, essi continuano a lavorare per la estensione del regno di Dio e per la formazione del « Cristo totale »; tutti: la Madre del Verbo Incarnato come Medianice universale di tutte quante le grazie, senza eccezione; gli altri santi, chi più chi meno, ciascuno nella propria linea, secondo il loro posto nell'economia provvidenziale. Così, i patriarchi degli ordini religiosi vegliano particolarmente sui mèmbri del loro istituto, una santa Giovanna d'Arco sulla sua patria, un vescovo sulla sua diocesi, un curato sulla sua parrocchia, un padre o una madre sui figli.

La missione affidata dalla Provvidenza a suor Elisabetta della Trinità non è di intervenire luminosamente nella dirczione del

2 Pio X, :icf un Vescovo ilìissionario.

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mondo, ma di attirare le anime nelle vie del silenzio e del raccoglimento, per la gloria della Trinità.

« Credo che la mia missione, in Ciclo, sarà quella di attirare le anime nel raccoglimento... » ... « aiutandole a uscire da loro stesse ». È la grazia delle grazie. Quante anime « labirinti » non riescono mai ad uscire da loro stesse, attraverso ai dedali innumerevoli del proprio « io! » Le più ferventi ne gemono e si desolano; ma invano cercano di liberarsi coi loro proprì sforzi; non vi riescono, perché è compito che supera le forze umane: ci vuole la grazia di Dio. È dunque grazia preziosissima quella che promette la cara serva di Dio a tutte le anime intcriori che sono imprigionate nel loro « io ». Dal Ciclo, il suo aiuto silente le conduce a quella liberazione totale che le getta « pienamente in Cristo ».

Ma l'anima non si distacca che per unirsi, « per aderire a Dio ». È l'aspetto positivo della missione di suor Elisabetta della Trinità. I suoi scritti spirituali hanno portato già tanti frutti negli ambienti cattolici più diversi, perché il suo invito al raccoglimento inferiore si rivolge a tutte le anime della Chiesa di Dio. Tuttavia — bisogna riconoscerlo — la silenziosa Carmelitana di Digione sembra aver ricevuto una missione tutta particolare da svolgere presso le anime contemplative, per strapparli- n loro stesse e quniclic volta ai loro poveri « cenci », e rapirle nella grande corrente della vita divina che conferisce loro potenza di redenzione sul Cuore di Dio.

Ma, pél un gran numero di queste anime intcriori, quante complicazioni nella pratica della loro vita spirituale! Alcune cercano Dio nelle mortificazioni eccessive, altre in una fedeltà minuziosa troppo attaccata alla lettera, troppo meccanica, troppo poco attenta al soffio dello Spirito. A tutte queste anime di buona volontà, quniche volta male illuminate, suor Elisa-betta ricorda che bisogna andare a Dio « con un movimento semplicissimo, tutto di amore ». Soltanto l'amore dona la semplicità. Un'anima che in ogni cosa non cerca che la gloria divina, con amore perfetto, è un'anima che va dritta a Dio.

« Deus ignis consumens •>•>: il nostro Dio è un fuoco consumante, cioè un fuoco d'amore che distrugge, che trasforma in

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Sé tutto ciò che tocca. Per le anime che, nel loro intimo, sono tutte abbandonate alla Sua azione, la morte mistica di cui parla san Paolo diviene tanto semplice, tanto soave! Esse pensano molto meno al lavoro di spogliamento e di distruzione che rimane loro da compiere, che non ad immergersi nel fuoco d'amore che arde in loro e che è lo Spirito Santo, quello stesso Amore che, nella Trinità, è il vincolo di unione fra il Padre e il suo Verbo. La fede ve le introduce: e là, semplici e quiete, sono da Lui stesso trasportate in alto, più in alto delle cose tutte, dei gusti sensibili, fino alla « tenebra sacra », e sono trasformate nell'immagine divina. Esse vivono, secondo l'espressione di san Giovanni: « in società » con le Tré adorabili Persone; la loro vita è in comune: è la vita contemplativa » 3.

Allora, l'anima è custodita « in quel grande silenzio intcriore » così caro a suor Elisabetta della Trinità e centro in cui converge tutta la sua dottrina spirituale. Dopo H capitolo consacrato sAVAscesi del silenzio, non c'è più bisogno di insistere su questo punto importantissimo.

Oggi, nel mondo, tutto è assorbito da un'attività dinamica; e non si pensa che all'azione esteriore. Le anime non sanno più tacere per ascoltare Dio. In questo mondo moderno che si agita rumorosamente c'è forse una missione più urgente di quella affidata dalla Provvidenza alla santa Carmelitana di Digio-ne? Ricondurre, cioè, le anime nella vita del raccoglimento e « custodirle in quel profondo silenzio interiofe che permette a Dio di imprimersi in loro, e di trasformarle in Se medesimo ». Lei stessa ci ha insegnato « che un'anima che si riserba ancora qualche cosa nel suo regno interiore, un'anima le cui potenze non sono tutte « raccolte » in Dio, non può essere una perfetta lode di gloria... Un'anima che scende a patti col proprio « io », che si occupa delle sue sensibilità, che va dietro ad un pensiero inutile, a un desiderio qualsiasi, quest'anima disperde le proprie forze, non è concentrata in Dio; la sua arpa non vibra all'unisono; e quando il Maestro divino la tocca, non può trame armonie divine. Vi è ancora troppo di umano »4.

3 « I! Parnc^so sulla terra » - 6" orbitine.

4 Ultimo ritiro - IT giorno.

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Tutto deve tacere in noi: i sensi esteriori alle cose della terra, le potenze interiori a tutti i rumori del di dentro: silenzio dello sguardo, silenzio della immaginazione e della memoria, silenzio della immaginazione e della memoria, silenzio del cuore soprattutto. « Perché nulla mi distolga da questo bei silenzio intcriore, sono necessarie sempre le stesse condizioni, lo stesso isolamento, lo stesso distacco, lo stesso spogliamente. Se i miei desideri, i miei timori, le mie gioie, i miei dolori, se tutti i movimenti che derivano da queste quattro passioni non sono perfettamente ordinati a Dio, io non sarò silenziosa, vi sarà del tumulto in me; occorre dunque la quiete, il sonno delle potenze, l'unità dell'essere » \

Anche le facoltà spirituali più elevate devono, a loro volta, entrare in questo « alto silenzio intcriore »: silenzio dell'intelligenza: nessun pensiero inutile; silenzio del giudizio, così radicalmente opposto allo spirito moderno, critico per eccellenza; silenzio della volontà soprattutto, che produce nell'anima il grande silenzio dell'amore.

Questo « alto silenzio inferiore » quando si sia profondamente affermato nelle anime, « permette a Dio di imprimersi in esse e di trasformarle in Se medesimo ». Si realizza, allora,

10 scopo supremo di ogni vita umana: l'unione trasformante. « Ormai il Signore è libero; libero di effondersi, di donarsi « a suo beneplacito », e l'anima così semplificata, unificata, diventa

11 trono .dell'Immutabile, poiché l'unità è il trono della santa Trinila »..''.

2. Un documento postumo, di straordinaria importanza, ci rivela un altro aspetto ancora più essenziale della missione provvidenziale della serva di Dio. Dopo la sua morte, fu trovata una piccola busta, accuratamente sigillata con ceralacca rossa, che recava questo indirizzo: « Segreto per la nostra Madre ». Confidenza suprema, nell'ora in cui i santi vedono tutte le cose alla luce dell'eternità. ;'

« Madre mia, quando leggerete queste righe, la vostra pic-

5 Ultimo ritiro - X giorno.

6 Ultimo ritiro - TI piorno.

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cola « Lode di gloria » non canterà più sulla terra, ma sarà inabissata in seno all'Amore... L'ora è così grave, così solenne! e non voglio indugiarmi a dirvi cose che mi sembrerebbe di diminuire volendo esprimerle con la parola... Ma la vostra figliola vuoi rivelarvi quello che sente o, per essere più esatta, quello che il suo Dio le ha fatto comprendere nelle ore di raccoglimento profondo, di contatto unificante... Madre venerata, Madre per me consacrata fin dell'ctcriìit.ì, il Voi, [laricndo, io lascio in eredità quella vocazione che fu la mia in seno alla Chiesa militante e che, d'ora innanzi, adempirò incessantemente nella Chiesa trionfante: « lode di gloria della Santa Trinità ».

La gloria della Trinità: ecco il testamento supremo della santa Carmelitana a tutte le anime che vorranno seguirla nel cammino della vita intcriore.

Questa « lode di gloria della Trinità » che fu la sua « vocazione fin dall'esilio », e rimane il « suo ufficio per la eternità » alla presenza della maestà di Dio, risponde al più sublime disegno divino riguardo a tutte le creature. Sì; tutto, nell'opera di Dio, è ordinato a questa gloria. « Universa propter se operatus est Domimis » 7. Se ha mandato nel mondo il Figlio suo, è stato prima di tutto per riparare questa gloria offesa dal peccato. Gesù stesso riassumeva in una parola la sua missione sulla terra: « Padre, non ho cercalo che la ina glorici: Giurificavi Tè, Pater » ".

Ormai possiamo abbracciare in tutta la sua ampiezza la dottrina mistica di suor Elisabetta della Trinità.

La Trinità adorabile è il Bene supremo al quale tendono tutte le anime e il mondo dei puri spiriti; e proprio per farci entrare « in società » con le Persone divine, il Padre ha creato l'universo ed ha « inviato il Figlio suo ». Tutto il mistero della Chiesa e della Madre di Dio, Mediatrice di grazia, è di condurre il « Cristo totale » alla contemplazione della Trinità. « La

7 Prov, XVI-4.

8 San Giovanni, XVII-4.

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visione della Trinità nell'Unità: questo è il sublime destino dell'uomo » ". Egli cammina penosamente sulla terra, in Cristo, il « Crocifisso per amore », ma per giungere a perpetuarsi in Dio. E attraverso tutte le croci, tutte le notti, tutte le morti della Chiesa militante, continua la silenziosa ascesa delle anime verso l'immutabile e beatificante Trinità.

Ma giungono alla visione divina che è « la consumazione ncll'unilà » quelli soltanto che, in questa ascesa, hanno il coraggio di abbandonare tutto ciò che è estraneo a Dio, per gioire di Lui, nel suo isolamento, nella sua semplicità, nella sua purezza;

di Lui, l'Essere da cui tutto dipende, a cui tutto mira, dal quale deriva l'essere, la vita, il pensiero. « C'è un Essere che e l'Amore, e die vuoi farci vivere in società con Lui » 10. « Questo Amore infinito che ci avvolge e ci penetra vuole associarci, fin da questa vila, alla sua beatitudine. Riposa in noi tutta la Trinità, questo mistero che sarà, in Cielo, la nostra visione » ".

Come sembra vano tutto il resto all'anima che ha intravisto, mediante la fede, questi splendori trinitarì. Essa è cosciente di possedere in sé un Bene, così grande, dinanzi al quale ogni altro bene illanguidisce e scompare. « Tutte le gioie che le sono concesse sono per lei come altrettanti inviti a gustare il Bene che possiede, preferendolo a tutto perché nessun altro bene può csscrgli paragonato » '2. E quale amore, quale desiderio di unirsi ;> Lui, nella anima fortunata che ha incontrato questo Bene! Lo ama di un amore « più forte della morte », lo vuole con brama nrdente, si disillude di ogni altro amore, trascura le altre hc'ìie^e che per un istante avevano potuto sedurla. La privazione di tutto il creato non è una sofferenza per chi possiede Dio; infelice è soltanto chi è privo della visione di questa suprema Bellezza. Bisogna, dunque, lasciare tutto per possedere questa ricchezza ineffabile, svincolarsi completamente dal fascino delle bellezze fugaci che potrebbero distogliere l'anima dal suo fine; bisogna non voler sapere più nulla della terra, fuggirsene

" Cfr. san Ton-imaso, I Sent. I, II, 1 Exposilio textiis: « Cog'iifio Tri-niliil"; in Uuiliilc fsf fruclus et finis tot'ws vitae nosirae ». '» Lettera ali.-i mamma - 20 Ottobre 1906. " Lettera ,1 G, ile G... - 20 Agosto 1903. '2 '-II p.ir;ir)iso sulla terra» - I[" orazione.

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«sola col Solo», estranea a tutto. La vera patria dell'anima è là, in seno alla Trinità beata, nel silenzio e nel raccoglimento. « La Trinità: ecco la nostra dimora, la nostra cara intimità, la casa paterna donde non dobbiamo uscire mai » '3.

Una fase superiore di vita spirituale si realizza nell'anima quando, trionfando del suo « io », e « dimenticandosi intiera-mente », essa non vive più che per Dio, come i beati in cielo, nell'« incessante lode di gloria ». « In ogni suo movimento, in ogni sua aspirazione, come in ogni azione per quanto ordinaria sia, cJuest'anima è, per così dire, un « Sanclus » perpetuo, una continua « lode di gloria » 14. Comincia nel tempo il suo « ufficio della eternità »; ma sempre raccolta nel fondo del suo essere, nell'intimo santuario dove si è ritirata col suo Dio.

« La più bella delle creature, anima che desideri ardentemente di conoscere il luogo dove si trova il tuo Diletto, per cercarlo e unirti a Lui, sei tu stessa il rifugio dove Egli si ritira, la dimora in cui si nasconde. Il tuo Diletto, il tuo tesoro, l'unica tua speranza, ti è così vicino, che anzi, abita in tè; e, senza di lui, tu non puoi nemmeno esistere » ". Si ricordi però. quest'anima, che Dio abita in lei non per lei soltanto, per la sola sua gioia, ma prima di tutto per la propria gloria. « La Trinità brama ritrovare nelle sue creature la propria immagine e somiglianzà ». Ecco quindi che la gloria della Trinità deve elevare alfine l'anima al di sopra di se stessa e della sua propria gioia. « Poiché l'anima mia è un cielo in cui vivo aspettando la celeste Gerusalemme, questo cielo deve cantare la gloria dell'Eterno, niente altro che la gloria dell'Eterno » 1". A questo, in ultima analisi, la dottrina spirituale di suor Elisabefta della Trinità vuole condurre le anime: « Vivere in un eterno presente ad immagine dell'immutabile Trinità, sempre adorandola per Lei stessa, e divenire, mediante uno sguardo sempre più semplice, più unitivo, lo splendore della sua gloria o, in altre parole, l'incessante lode di gloria delle sue adorabili perfezioni » 17.

13 « II paradiso sulla terra » - I' orazione.

'•' Ultimo ritiro - VITI giorno.

15 San Giovanni della Croce - « Cantico spirituale », strofa I".

^ TÌIum/^ t-tl-lt-f-i _ WÌT ni^fnfi

'" Ultimo ritiro - VII giorno 17 Ultimo ritiro - XVT giorno.

252

Mentre santa Teresa di Gesù Bambino ha suscitato schiere di anime che l'hanno seguita nella sua offerta di vittima all'Amore misericordioso, suor Elisabetta della Trinità sembra aver ricevuto la missione di suscitare nella Chiesa una moltitudine di « Lodi di gloria » alla Trinità:

Vi lascio ni eredità questa vocazione che fu la mia in seno aliti Chiesii militante e che adempirò d'ora innanzi incessantemente nella Chiesa trionfa» fé:

« lode DI GLORIA DELLA santissima trinità »

253

ULTIMI CONSIGLI DI VITA INTCRIORE '

« Voglio rispondere alle tue domande».

« Ecco che finalmente Elisabetta viene, con la matita, a porsi vicino alla sua Fr... cara; dico: con la matita, perché col cuore ti sono sempre vicina, e da tanto tempo ormai, non è vero? e sempre restiamo strettamente unite l'una all'altra. Come sono belli i nostri promessi incontri della sera! Sono come il preludio di quella comunione che si stabilirà fra le anime nostre dal cielo alla terra. Mi sembra di starmene reclinata su di tè come una mamma sulla sua figlioletta prediletta. Alzo gli occhi, guardo il Signore, poi li abbasso ancora su di tè, e ti espongo ai raggi del suo amore. Non gli dico nulla, ma Egli mi comprende anche meglio senza parole, e preferisce il mio silenzio.

Mia figliola cara, vorrei essere santa per poterti fin d'ora aiutare quaggiù, in attesa di farlo lassù, in cielo. Che cosa non vorrei soffrire per ottenerti quella forza, quelle grazie di cui hai bisogno!

Voglio rispondere, ora, alle tue domande.

Parliamo prima di tutto àe\['umiltà. Ho letto su questo argomento delle parole magnifiche. Un pio autore dice che « nulla può turbare l'umile; esso possiede la pace inalterabile, perche si è sprofondato in tale abisso, che nessuno andrà a cercarlo così in basso ». Dice ancora che « l'umile trova la più saporosa dolcezza della sua vita nel sentimento della propria impotenza di fronte a Dio ».

Ma l'orgoglio, sai, non è un nemico che si possa atterrare con un bc1 colpo di spada. Senza dubbio, certi atti di umiltà eroica come ne vediamo nella vita dei santi, Io colpiscono, se non mortalmente, in modo almeno da indebolirlo di molto; ma

' In questa risposta, scritta l'H settembre 1906 (qualche settimana prima di morire) ;id una amica d'infanzia traspare tutta la sua esperienza della vita intcriore, formulata alla maniera dei santi: con la semplicità del Vangelo.

255

bisogna farlo morire ogni giorno. « Quotidie inorior », diceva san Paolo, « io muoio ogni giorno » 2. Questa dottrina del « morire ogni giorno a se stessi » è divenuta legge per ogni anima cristiana, dal momento che Gesù ha detto: « Se qualcuno vuoi seguirmi, prenda la sua croce e rinneghi se stesso » 3 ;

sembra così austera, ed è di una soavità ineffabile, se si considera qua! è il termine di questa morte. È la vita; la vita di Dio che si sostituisce alla nostra vita di miserie e di peccati. E proprio questo voleva dire san Paolo quando scriveva: « Spogliatevi dell'uomo vecchio e rivestitevi del nuovo, secondo l'immagine di Colui che lo ha creato » '. Questa immagine è Dio stesso. E ricordi come Egli esprime formalmente questa Sua volontà nel giorno della creazione quando dice: « Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianzà »? ".

Oh, credimi; se pensassimo di più alla nostra origine, le cose della terra ci sembrerebbero così puerili, che non potremmo stimarle. San Pietro, poi, scrive in una delle sue epistole che « siamo fatti partecipi della natura divina » ". E san Paolo ci raccomanda di « conservare salda sino alla fine questa base » ', inizio del suo Essere, che Egli ci ha dato.

L'anima che ha coscienza della sua grandezza entra in quella santa libertà dei figli di Dio s, di cui parla l'Apostolo, cioè supera tutte le cose ed anche se stessa. Mi sembra che l'anima più libera sia quella che più si dimentica; e se mi si chiedesse il segreto della santità, direi: non fare nessun conto di sé, rinnegare il proprio io, sempre. Ecco un buon sistema per uccidere l'orgoglio: farlo morire di fame. L'orgoglio è amore di noi medesimi; ebbene: l'amore di Dio cresca tanto e sia così forte da estinguere ogni altro amore in noi.

Dice sant'Agostino che in noi abbiamo due città: quella di Dio e quella dell'« io »; in proporzione dell'affermarsi della

2 I Corinti, XV-31.

3 San Matteo, XVI-24.

4 Colossesi, III-20. 3 Genesi, 1-26.

6 II Pietro, 1-4.

7 Ehrei, TII-14.

8 Romani, VIII-21.

256

prima, sarà demolita la seconda. Un'anima che vivesse di fede sotto lo sguardo di Dio, che avesse quell'« occhio semplice » di cui parla Gesù nel Vangelo 9, cioè quella purezza d'intenzione che mira a Dio solo, una tale anima mi pare che vivrebbe anche nella umiltà; saprebbe riconoscere i doni ricevuti da Lui, perche l'umiltà è verità, ma non si approprierebbe nulla, riferendo tutto a Dio, come faceva la Vergine santa. I movimenti di orgoglio che senti in tè non divengono colpevoli se non quando la volontà se ne fa complico : altrimenti, potrai soffrire molto, ma non offenderai il Signore. Le colpe di questo genere che ti sfuggono come tu dici, senza neppure rifletterci, denotano certamente un fondo di amor proprio; ma questo, mia povera cara, fa parte in qualche modo del nostro essere. Quello che il Signore vuole da tè, è che non ti fermi mai volontariamente in un pensiero di orgoglio qualunque esso sia, e che tu non compia mai un atto ispirato da questo stesso orgoglio, perché faresti male; ma se anche tu dovessi poi riconoscere di aver agito così, non scoraggiarti, perché l'irritarsi è ancora segno di orgoglio; deponi invece la tua miseria ai piedi del Maestro come faceva la Maddalena, e chiedigli che tè ne guarisca; gli piace tanto vedere che l'anima riconosce la propria impotenza! Allora, come diceva una grande santa, « l'abisso dell'immensità di Dio stringe a sé questo nulla » '°.

Figliola mia, non è orgoglio pensare che tu non vuoi saperne di una vita facile; anch'io ritengo che il Signore vuole davvero che la tua vita si svolga in una sfera dove si respira aria divina. Credi; sento una compassione profonda per le anime che non vivono più in su della terra e delle sue volgarità; mi sembrano schiave, e vorrei dir loro: Scuotete il giogo che pesa su di voi; perché vi trascinate con cotesti lacci che vi incatenano a voi stesse ed a cose inferiori a voi? Io ritengo che i felici,. quaggiù, sono quelli che sanno tanto disprezzare e dimenticare ;

se stessi, da scegliersi in retaggio la croce; quando si sa trovare;

la gioia nel dolore, che pace deliziosa! ?'

« Io completo nella mia carne ciò che manca alla Passione

9 Sm Matten, VI-22. 1(1 Sant'Angela da F'oligno.

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di Gesù Cristo per il suo corpo che è la Chiesa » ' ' : ecco ciò che formava la felicità dell'Apostolo. Questo pensiero non mi abbandona mai; e ti confesso che provo una gioia intima e profonda nel vedere che Dio mi ha scelta per associarmi alla passione del suo Cristo. Questa via del Calvario che salgo ogni giorno mi sembra piuttosto la strada della beatitudine.

Hai visto mai quelle immagini rappresentanti la morte che miete con la falce?

È quanto accade in me; e la sento che si avvicina per stroncarmi. La natura ne freme di pena, talvolta; e ti assicuro che, se mi fermassi lì, non esperimenterei che la mia viltà nel dolore;

ma questo è lo sguardo umano, e subito « apro l'occhio dell'anima al lume della fede », questa fede mi dice che è l'amore che mi consuma lentamente, che mi distrugge; e allora provo una gioia immensa e mi abbandono a Lui come sua preda.

Per raggiungere la vita ideale dell'anima, io credo che sia necessario vivere nel soprannaturale, cioè non agire mai « naturalmente ». Bisogna sapere che Dio è in noi, nell'intimo del nostro essere, e agire sempre con Lui; allora non si diventa mai volgari, neppure compiendo le azioni ordinarie, perché non si vive in queste cose, ma si oltrepassano. Un'anima soprannaturale non discute mai con le cause seconde, ma si volge a Dio solo; e come è semplificata la sua vita, come si accosta a quella degli spiriti beati, come è sciolta da se stessa e da qualsiasi cosa! Tutto, per lei, si riduce all'unità, a quell'« unico necessario » 12 di cui il Maestro parlava alla Maddalena; ed allora è veramente grande, veramente libera, perché ha « racchiusa la sua volontà in quella di Dio ».

Come appaiono spregevoli le cose visibili, quando si contempla la nostra predestinazione eterna! Ascolta san Paolo:

« Quelli che Dio ha predestinati, li ha anche voluti conformi all'immagine del Figlio suo ». Ma questo non è ancora tutto;

ed egli ti dirà che tu sei anche nel numero dei predestinati:

" Colossesi, 1-24. " San Luca. X-42.

258

r 3

« Quelli che ha predestinati, li ha pure chiamati ». È il battesimo che ti ha resa figlia di adozione, che ti ha segnata col suggello della santissima Trinità. « E i chiamati li ha anche giustificati ». Quante volte sei stata giustificata anche tu dal sacramento della penitenza e da tutti quei tocchi di Dio nella tua anima, che ti hanno purificata senza che neppure tè ne accorgessi! « Coloro che ha giustificati, poi, li ha anche glorificati » ". È ciò che ti attende nella eternità; ma ricordati che il nostro grado di gloria corrisponderà al grado di grazia nel quale Dio ci troverà in punto di morte. Lasciargli dunque compiere in tè l'opera della tua predestinazione, e segui san Paolo che ti da un programma di vita: « Camminate in Gesti Cristo, radicati ed edificati in Lui, fortificati nella fede e crescendo in essa sempre più con rendimento di grave » 14.

Sì, figliolina dell'anima mia, cammina in Gesù Cristo; hai bisogno di questa via larga e spaziosa; non sei fatta, tu, per gli angusti sentieri della terra. Sii edificata in Lui, molto in alto, al di sopra di tutto ciò che passa, lassù dove tutto è puro, tutto è luminoso. Sii ben ferma nella fede, non agire che secondo la luce di Dio e mai secondo le tue impressioni o la tua fantasia; credi che Egli ti ama, che vuole aiutarti nelle tue lotte e difficoltà; oh sì, credi al suo amore, al suo « amore troppo grande » la, come dice san Paolo. Nutrì la tua anima dei grandi pensieri di fede che ci rivelano le nostre vere ricchezze e il fine per cui Dio ci ha creati. Se vivrai di queste verità, la tua pietà non sarà una esaltazione nervosa, come temi, ma sarà soda e vera; è così bella la verità, la verità dell'amore! « Egli mi ha amato e si è dato per me »le. Ecco, bambina mia che cosa vuoi dire essere veraci nell'amore. E poi, finalmente, cresci nell'azione di grazie; è l'ultima parola del programma e non ne è che la conseguenza. Se camminerai radicata in Gesù Cristo forte nella tua fede, vivrai nell'azione di grazie, nella dilezione dei figli di Dio.

13 Romani, Vili, 29-30.

14 Colossesi, II, 6-7. '•'' Efesini, TI-4. '" Ciliari, 11-20.

259

Mi domando come è mai possibile che non sia lieta sempre, in qualsiasi pena, in qualunque dolore, l'anima che ha sondato l'amore che c'è « per lei » nel cuore di Dio. Ricordati che « Egli fi ha eletta in Lui, prima della creazione, perché fu sia pura e immacolata al suo cospetto nell'amore » ": è ancora san Paolo che tè lo dice. Quindi non temere la lotta, la tentazione. « Quando sono debole — esclama l'Apostolo — allora sono forte perché la virtù di Gesù Cristo si trova in me » ".

Che cosa penserà la nostra reverenda Madre quando vedrà questa lunga lettera? Ella non mi permette quasi più di scrivere, perché sono di una debolezza estrema, e ad ogni momento mi sento mancare. Ma sarà forse l'ultima lettera della tua Elisa-betta; ci son voluti molti giorni per scriverla, e questo ti spiegherà la sua incoerenza; eppure, stasera, non so ancora decidermi a lasciarti. Sono le sette e mezzo; la comunità è in ricreazione. ed io sono qui, nella solitudine della mia celletta, e mi sembra di essere già un po' in paradiso; sono qui, sola con Lui solo, portando la croce con Lui, il mio Maestro diletto. La mia gioia cresce in proporzione delle mie sofferenze; se tu sapessi quale dolcezza si cela in fondo al calice preparato dal Padre dei Cieli!

A Dio, Fr... cara; non posso continuare; ma nei nostri silenziosi incontri, tu sentirai, tu comprenderai tutto quello che non potrò dirti.

Ti abbraccio, ti amo come una mamma ama la sua figliolina.

Addio, mio piccola cara. Che all'ombra delle sue ali Egli ti custodisca da ogni male ».

Suor Maria Elisabetta della Trinità « Laudem gloriae »

Questo sarà il mio nome nuovo in ciclo...

" Efesini, 1-4. 18 II Corinti, Xd-9.

260

IL PARADISO SULLA TERRA

« Ho trovato il mio cielo sulla terra, poiché il cielo è Dio, e Dio è nell'anima mia. « II giorno in cui l'ho compreso, tutto si è illuminato in me; ed io vorrei confidare questo segreto a tutti quelli che amo ».

Come si può trovare il Paradiso sulla terra '.

ORAZIONE PRIMA

Ltì Trinità: ecco la nostra dimora

« Padre, voglio che la dove sono io, siano anche coloro che tu mi hai dati, affinchè vedano la gloria che tu mi desti, avendomi amato prima che il mondo fosse » 2. Questa è l'ultima volontà di Cristo, la sua preghiera suprema prima di ritornare al Padre. Egli vuole che, là dove è Lui, siamo anche noi, non solo durante .l'eternit;!, ma anche ora, nel tempo, che è l'eternità incominciata e in continuo progresso. È necessario dunque sapere dove dobbiamo vivere con Lui, per realizzare il suo sogno divino.

« II luogo dove sta nascosto il Figlio di Dio è il seno del Padre, ossia l'Essenza divina, invisibile ad ogni occhio mortale, inaccessibile ad ogni intelligenza umana; il che faceva esclamare ad Isaia: « Tu sei veramente un Dio nascosto »'. Eppure,

1 Suor Elisabetta della Trinità compose questo ritiro nell'estate 1 qualche mese prima della sua morte, per rispondere al desiderio di iin'ar che le era tanto cara — sua sorella — e che l'aveva pregata di iniziarla segreto della sua vita intcriore. Qui, come nell'« Ultimo ritiro», i sottotitoli j sono nostri, 'i i s

2 San Giovanni, XVII-24. '. I •

3 Isaia, XLV-15. (Citazione di san Giovanni della Croce: «Cantico spf-rifuaic ». Commento alla prima strofa).

261

ci vuole stabili in Lui, vuole che dimoriamo dove Egli dimora, nell'unità dell'amore; vuole che siamo, per così dire, quasi la sua ombra.

« II Battesimo — dice san Paolo — ci ha innestati in Gesù Cristo » 4. E ancora: « Dio ci fece sedere nei deli con Cristo, per dimostrare ai secoli futuri le immense ricchezze della sua grazia » 5. E aggiunge poi: « Non siete adunque più ospiti e stranieri, ma siete concittadini dei santi, e appartenete alla famiglia di Dio » ". La Trinità, ecco la nostra dimora, la nostra cara intimità, la casa paterna dalla quale non dobbiamo uscire mai.

ORAZIONE SECONDA

« Rimanete in me »

« Rimanete in me » T. È il Verbo di Dio che ci da questo comando, che esprime questa volontà. « Rimanete in me », non per qualche minuto soltanto, per qualche ora che passa, ma « rimanete » in modo permanente, abituale. Rimanete in me, pregate in me, adorate in me, soffrite in me, lavorate, agite in me. Rimanete in me quando vi incontrate in qualsiasi persona o cosa; penetrate sempre più addentro in questa profondità, poiché essa è veramente « la solitudine in cui Dio vuole attirare l'anima per parlarle » s. Ma, per capire questa parola misteriosa, non bisogna fermarsi alla superficie; bisogna entrare sempre di più, col raccoglimento, nell'Essere divino.

«Continuo la mia corsa»9, esclamava san Paolo; così noi dobbiamo scendere ogni giorno nel sentiero dell'abisso che è Dio; lasciamoci scivolare su questa china con una fiducia piena d'amore. « Un abisso chiama un altro abisso » '". Lì appunto,

•* Romani, VI-5.

5 Efesini, II, 6-7.

6 Efesini, 11-19.

7 San Giovanni, XV-4.

8 Osea, 11-14.

9 Filippesi, III-12.

*•> Salmo XLI-8.

262

nella profondità inscrutabile, avverrà l'urto divino; l'abisso della nostra miseria, del nostro nulla, si troverà di fronte all'abisso della misericordia, dell'immensità, del tutto di Dio; lì troveremo la forza di morire a noi stessi, e perdendo la traccia del nostro io, saremo trasformati nell'amore. « Beati quelli che muoiono nel Signore » ".

ORAZIONE TERZA

« II regno di Dio è dentro di voi »

il regno di Dio è dentro di voi »

Poco fa, Dio ci invitava a rimanere in Lui, a vivere con l'anima nell'eredità della sua gloria, ed ora ci rivela che, per trovarlo, non è necessario uscire da noi stessi, perché « il regno di Dio e dentro di noi ». San Giovanni della Croce dice che Dio si da all'anima proprio nella sostanza stessa dell'anima, inacessibile al mondo e al demonio; allora tutti i suoi movimenti divengono divini, e quantunque siano di Dio, sono anche suoi, perché il Signore li produce in lei e con lei.

Lo stesso santo dice ancora che « Dio è il centro dell'anima »; quando, dunque, essa Lo conoscerà perfettamente, secondo tutta la sua capacità, quando Lo amerà e ne gioirà pienamente, allora sarà arrivata nel centro più profondo che in Lui possa raggiungere. È vero che l'anima, anche prima di essere giunta a questo punto, già si trova in Dio che è suo centro;

ma non è nel suo centro più profondo potendo inoltrarsi ancora di più. Poiché è l'amore che unisce l'anima a Dio, quanto più intenso è questo amore, tanto più profondamente essa entra in Dio e in Lui si concentra. Possedendo anche un sol grado di amore, è già nel suo centro; ma quando questo amore avrà raggiunto la perfezione, l'anima sarà penetrata nel suo centro più profondo, e lì sarà trasformata a tal punto, da diventare molto

" Apocalisse. XIV-13. 12 San Luca, XVII-2).

263

simile a Dio. A quest'anima che vive « interiormente » possono essere rivolte le parole del Padre Lacordaire a santa Maria Maddalena: «Non chiedere più il Maestro a nessuno sulla terra, a nessuno nel ciclo, poiché Egli è l'anima tua, e l'anima tua è Lui ».

ORAZIONE QUARTA

« Se qualcuno mi ama »

« Se alcuno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà, e noi verremo a Lui, e in Lui porremo la nostra dimora » ".

Ecco, il Maestro ci esprime ancora il suo desiderio di abitare « in noi »: « Se qualcuno mi ama.. ». L'amore!... È l'amore che attira, che abbassa Dio fino alla sua creatura; non un amore di sensibilità, ma quell'amore « forte come la morte... che le grandi acque non possono estinguere » '''.

« Perché amo il Padre, faccio sempre ciò che a Lui piace » ls: così parlava il Maestro divino, ed ogni anima che vuole vivere unita a Lui, deve vivere anche di questa massima, deve fare del beneplacito divino il suo cibo, il suo pane quotidiano, deve, ad esempio del suo Cristo adorato, lasciarsi immolare da tutte le volontà del Padre: ogni incidente, ogni evento, ogni pena come ogni gioia è un sacramento che le dona Dio; quindi, non fa più alcuna differenza fra l'una o l'altra di queste cose;

le oltrepassa, le supera, per riposarsi, al di sopra di tutte, nel suo Dio. E Lo eleva ben alto sulla montagna del suo, cuore; sì, più in alto dei Suoi doni e delle Sue consolazioni, più in alto della dolcezza che da Lui discende.

La caratteristica dell'amore è di non ricercare mai sé, di non riservarsi nulla, di donare tutto all'oggetto amato. Beata l'anima che ama in verità! Il Signore è divenuto suo prigioniero d'amore.

13 San Giovanni, XIV-23.

" Cantica Vili, 6-7.

» San Giovanni, VIII-29.

264

T

ORAZIONE QUINTA « Voi siete morti »

« Voi siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in

Dio » ".

Ecco che san Paolo viene a farci luce sul sentiero dell'abisso.

« Voi siete morti »: che cosa vuoi dire se non che l'anima la quale aspira a vivere unita a Dio nella fortezza inespugnabile del santo raccoglimento, deve essere distaccata, spogliata e separata da tutto almeno in ispirilo? « Quotiate morior » ". Quest'anima trova in se stessa un dolce pendìo di amore che va a Dio semplicemente; qualunque cosa facciano le creature, essa rimane invincibile; perché passa al di là di tutte le cose, mirando sempre a Dio solo. « Quotiate morior »: muoio ogni giorno; ogni giorno diminuisco, ogni giorno di più rinunzio a me stessa, affinchè Cristo cresca e venga esaltato in me. « Quofidie morior »: la gioia dell'anima mia, (quanto alla volontà e non alla sensibilità), la ripongo in tutto ciò che può immolarmi, umiliarmi, annientarmi, perché voglio far posto al mio divino Maestro. « New son più io che vivo; e Lui che vive in me » "': non voglio più vivere della mia vira, ma essere trasformata in Gesù Cristo, affinchè la mia vita sia più divina che umana e il Padre, chinandosi su di me, possa riconoscere l'immagine del « Figlio diletto nel quale ha posto tutte le sue compiacenze ».

ORAZIONE SESTA

« 11 nostro Dio è un fuoco consumante »

« Deus ignis consiimens » ". « II nostro Dio, scriveva sdh .| j i, in Paolo, è un fuoco consumante, cioè un fuoco d'amore che1'»! ti'jjj

-l'i i'iii-

16 Colossesi, IJI-3.

17 I Corinti, XV-31. " G.ilati, H-20. 19 Ebrei, XfT-29.

265

distrugge e trasforma in se stesso ciò che tocca ». Per le anime che, nel loro intimo, si sono pienamente abbandonate alla sua azione, la morte mistica di cui parla san Paolo diviene tanto semplice, tanto soave! Esse pensano molto meno al lavoro di spogliamento e di distruzione che rimane loro da compiere, che non ad immergersi nel fuoco d'amore che arde in loro, e che è lo Spirito Santo, quello stesso Amore che, nella Trinità, è il vincolo di unione fra il Padre e il suo Verbo. La fede ve le introduce; e là, semplici e quiete, sono da Lui stesso trasportate in alto, più in alto di tutte le cose, al di sopra dei gusti sensibili, fino alla « tenebra sacra », e trasformate nell'immagine divina. Esse vivono, secondo la espressione di san Giovanni, « in società » 20 con le Tré adorabili Persone; la loro vita è in comune: è la vita contemplativa.

ORAZIONE SETTIMA

« Sono venuto a portare fuoco sulla terra »

« Sono venuto a portare fuoco sulla terra, e che cosa desidero se non che si accenda? »21. Il Maestro stesso ci esprime il suo desiderio di veder bruciare il fuoco dell'amore. Infatti, le nostre opere tutte quante, le nostre fatiche sono un nulla al suo cospetto; niente poi possiamo dargli, e nemmeno appagare l'unico suo desiderio che è di accrescere la dignità dell'anima nostra. Vederla aumentare è ciò che più gli piace; ora, nulla può innalzarci tanto, quanto il divenire, in certo senso, uguali a Dio: ecco perché esige da noi il tributo del nostro amore, essendo proprio dell'amore uguagliare, nei limiti del possibile, l'amante all'amato. L'anima che possiede questo amore appare con Gesù Cristo allo stesso livello di uguaglianza, perché il loro reciproco affetto rende ciò che è dell'uno, comune anche all'altro.

« Vi ho chiamati amici, perché a voi ho manifestato tutto quello che ho udito dal Padre mio » ". Ma per giungere a

20 I Giovanni, T-3.

21 San Luca, XII-49.

22 San Giovanni, XV-15.

266

questo amore, l'anima deve prima essersi data interamente;

la sua volontà deve essersi dolcemente perduta nella volontà di Dio, così che le sue inclinazioni, le sue facoltà, non si muovano più che in questo amore e per questo amore. Faccio tutto con amore, soffro tutto per amore: tale è il senso di ciò che cantava Davide: « Per fé custodirò la mia forza » 23. L'amore, allora, la riempie, l'assorbe, la protegge così bene, che essa trova ovunque i! segreto per crescere nell'amore; anche tra le relazioni che deve avere col mondo, tra le preoccupazioni della vita, ha il diritto di dire: mia sola occupazione è amare.

ORAZIONE OTTAVA

« Per avvicinarsi a Dio, bisogna credere »

« Per avvicinarsi a Dio, bisogna credere » 24, ci dice san Paolo; e soggiunge: « La fede è sostanza delle cose che dobbiamo sperare e convinzione di quelle che non ci è dato vedere » ". Cioè, la fede ci rende talmente certi e presenti i beni futuri, che, per essa, prendono quasi essenza nell'anima nostra e vi sussistono prima che ci sia dato fruirne. San Giovanni della Croce dice che la fede « è per noi il piede che ci porta a Dio », die è « il possesso nello stato di oscurità », Soltanto la fede può darci lumi sicuri su Colui che amiamo, può versare a fiotti nel nostro cuore tutti i beni spirituali; e noi dobbiamo eleggerla come il mezzo sicuro per giungere all'unione beatifica. È la fede quella « sorgente d'acqua viva zampillante fino alla vita eterna » 2" che Gesù, parlando alla Samaritana, prometteva a tutti quelli che crederebbero in Lui. La fede, dunque, ci dona Iddio fino da questa vita; ce lo da ascoso nel velo di cui l'avvolge, ma è tuttavia Lui, Lui realmente. « Quando verrà ciò che è perfetto, (ossia la chiara visione) ciò che è imperfetto

2:1 Salmo LVIII-10.

^ Ebrei. XT 16.

••'5 Ebrei, X1-1.

::B S.in Giovanni, IV-l.

267

(ossia la conoscenza dataci dalla fede) avrà fine » ".

« Sì, abbiamo conosciuto l'amore di Dio per noi, e vi abbiamo creduto » 2S. Questo è il grande atto della nostra fede, il modo di rendere al nostro Dio amore per amore; è il « segreto nascosto » M nel cuore del Padre, che riusciamo finalmente a penetrare; e tutto l'essere nostro esulta. Quando l'anima sa credere a questo « eccessivo amore » che su lei si posa, si può dire di lei, come già di Mosc, clic essa /< <:'• incrnìlahilc nella sua fede, come se avesse visto l'Invisibile » '"'. Non si arresta più al gusto, al sentimento; poco le importa sentire Dio o non sentirlo, avere da Lui la gioia o la sofferenza: crede al suo amore, e basta, perché, forte di tutti gli ostacoli superati, va a riposarsi nel seno dell'Amore infinito il quale non può compiere che opera d'amore.

A quest'anima, tutta desta e attiva nella sua fede, la voce del Maestro può dire nell'intimo la parola che rivolgeva un giorno a Maria Maddalena: « Va' in pace; li; tua fede ti ha salvata » ".

ORAZIONE NONA

« Conformi all'immagine del Tiglio »

« Quelli che Dio ha conosciuti nella sua prescienza, li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del suo divin Figlio; e quelli che ha predestinati, li ha pure chiamati;

quelli che ha chiamati li ha giustificati; e quelli che ha giustificati, li ha anche glorificati. Che diremo noi, dopo tutto db? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?... Chi mi separerà dalla carità di Gesù Cristo? » 32. Tale si presenta allo sguardo dell'Apostolo il mistero della predestinazione, mistero della elezione divina.

" I Corinti, XIII-10. 28 I Giovanni, IV-16. w Colossesi, 1-26.

30 Ebrei, VI-27.

31 San Luca, VII-50.

32 Romani, Vili, 29.30.., 35.

268

« Quelli che Egli ha conosciuti ». Non siamo noi pure di questo numero? Non può forse Iddio dire all'anima nostra ciò che disse un giorno con la voce del Proreta: « Ti sono passato accanto, e ti ho guardata; ed ecco, era giunto per tè il tempo di essere amata; e sopra di tè, ho spiegato il mia manto; ti ho giurato fede, ho stretto con tè un patio, e tu sei divenuta mia » ". Sì, noi siamo divenuti suoi col Battesimo: questo appunto vuoi dire san Paolo con le parole « /;" ha chiamati », chiamati a ricevere il sigillo della Trinità santa; mentre ci dice san Pietro che « siamo sfati fatti partecipi della natura divina » ", che abbiamo ricevuto quasi un « inizio del suo Essere » ;15. Poi, « ci ha giustificati » coi suoi Sacramenti, coi suoi tocchi, diretti nelle intime profondità dell'anima raccolta; « ci ba giustificati anche mediante la fede » 36 e secondo la misura della nostra fede nella redenzione acquistataci da Gesù Cristo. Finalmente, vuole glorificarci; e perciò dice san Paolo, « ci ha resi degni di aver parte all'eredità dei santi, nella luce » 3T, ma noi saremo glorificati nella misura in cui saremo trovati conformi all'immagine del suo divin Figlio. Contempliamo dunque questa immagine adorata; restiamo sempre nella luce che da essa irradia, affinchè si imprima in noi; poi accostiamoci alle persone, alle cose tutte, con le stesse disposizioni di animo con cui vi si recava il nostro Maestro santo; allora realizzeremo la grande volontà per la quale Dio ha in sé prestabilito di « instaurare tutte le cose in Cristo » 3S.

ORAZIONE DECIMA

« II Cristo è la mia vita »

« Sfimo tutte le cose una perdita, rispetto alla eminente cognizione di Cristo Gesù, mio Signore; per amore suo mi

\ " Ezechiele, XVI-8. M II Pietro, 1-4. M Ebrei, m-14.

i" Romani, V-l. :'7 Colo.sscsi, 1-12.

••"' Efesini. 1-9.

269

sono spogliato di tutto, e tutto tengo ìli confo di immondizia per possedere Cristo... Ciò che io voglio, e conoscere Lui, voglio la partecipazione ai suoi patimenti, la conformità alla sua morte... lo proseguo la mia corsa, ccrciìuilo di giungere ti quella mèta alla quale Egli mi ha destinato, raggiungendomi quando lo fuggivo... Ad una sola cosa miro: di'ni.'liticando quello che ho dietro le spalle e protendendomi verso ciò che mi sfa davanti, corro diritto alla una meta, iill<i mìa rocazione alla quale Dio ini ha chiamato, in Cristo desii » '". L come dire:

io non voglio più nulla, se non essere immedesimalo con Lui. « Mihi vivere Christiis est » '": Cristo è la mia vita!... Da queste frasi, traspare tutta l'anima ardente di san Paolo. Durante questo ritiro — il cui scopo è di renderci più conformi al nostro adorato Maestro, anzi di fonderci talmente in Lui da poter dire:

« Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vìve in me, e la sua vita che ora vivo in questo corpo di morte la vìvo nella fede che ho nel Figlio di Dio il quale mi ha amato e ha dato se stesso alla morte per me » ", studiarne questo divino modello. La cognizione di Lui, ci dice l'Apostolo, « è così eminente ». Entrando nel mondo, Egli disse: « Gli olocausti non ti sono più graditi; allora ho preso un corpo; ed eccomi, o mio Dio, per fare la tua volontà » 'ì2. E durante i trentatré anni della sua vita, questa volontà fu così perfettamente il suo pane quotidiano, che nel momento di rendere l'anima sua nelle mani del Padre, poteva dirgli: « Consummatum est»43; sì la tua volontà, tutta la tua volontà, io l'ho adempiuta; per questo « ti ho glorificato sulla terra » '14.

Infatti, Gesù parlando ai suoi apostoli di questo nutrimento che essi non conoscevano, spiegava loro che « consìsteva nel far la volontà di Colui che l'are va inviato sulla terra » "li. E

39 Filippesi. III-S... 14.

40 Filippesi, 1-21.

41 Calati, 11-20.

12 Salmo XXXIX, 7-9 (ed Ebrei, X. 5).

•" San Giovanni, XIX-30.

4" San Giovanni, XVII-».

15 San Giovanni. TV-34.

270

poteva dire: « Io non sono mai solo » 4a. « Colui che mi ha mandato è sempre con me, perché io faccio sempre ciò che a Lui piace » ".

Mangiamo con amore questo pane della volontà di Dio; se talvolta la sua volontà sarà più crocifiggente, potremo dire anche noi col nostro adorato Maestro: « Padre, se è possibile, allontana da me questo calice »; ma aggiungeremo subito: « No» come foglia io, ma come vuoi tu » "; quindi, calme e forti, saliremo noi pure il nostro Calvario col divino Condannato, cantando nel profondo dell'anima, ed elevando al Padre un inno di ringraziamento, perché coloro che camminano in questa via dolorosa sono « gli delti e i predestinati ad essere conformi all'immagine del suo divino Figlio » '19, il Crocefisso per amore!

ORAZIONE UNDICESIMA

L'adozione dei figli di Dio

« Dio ci ha predestinati all'adozione di figli per mezzo di Gesti Cristo, ni unione con Lui, secondo il decreto della sua volontà, per far risplendere la gloria della sua grazia mediante la quale ci ha giustificati nel Piglio suo diletto, nel quale noi abbiamo la redenzione per il sangue di Lui, la remissione dei peccati secondo le ricchezze della grazia la quale ha sovrabbondato in noi, in ogni sapienza e prudenza » 50. L'anima divenuta realmente figlia di Dio, è secondo la parola dell'Apostolo, mossa dallo Spirito Santo stesso: « Tuffi quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio... ». « No? non abbiamo ricevuto lo spirito di servitù per guidarci ancora nel timore, ma lo spirito di adozione a figli, nel quale esclamiamo: — Abbai Padre! — infatti, lo Spirito sfesso rende testimonianza al nostro spirito che noi siamo figlioli di Dio; ma, se siamo figli,

'" San Giovanni, VIII-16. 17 San Giovanni, VTJI-29. ^ San Mnttco. XXVI-39. •'" Romani. VI) 1-29. 5" Efesini, 1-5... S.

271

siamo anche eredi; dico eredi di Dio e coeredi di Cristo, se però soffriamo con Lui per essere con Lui glorificati » ". E proprio per farci raggiungere questo abisso di gloria, Dio ci ha creati a sua immagine e somiglianzà.

« Osservate — dice san Giovanni — quale carità ci ha usata il Padre, concedendoci di essere chiamati ligli di Dio, e di esserlo realmente. Adesso, noi siamo figli di Dio; ma non si è ancora manifestato quel che saremo. Sappiamo che, quando si svelerà, noi saremo simili a Lui, perché lo vedremo quale Egli è; e chiunque ha questa speranza in Lui, si santifica, come Egli stesso è santo » ".

Ecco la misura della santità per i figli di Dio: essere santi come Dio, essere santi della santità di Dio, vivendo in contatto intimo con Lui, « di dentro », nel fondo dell'abisso senza fondo. L'anima sembra avere allora una certa somiglianzà con Dio il quale, pur trovando in ogni cosa le sue delizie, mai non ne trova quanto in se stesso, possedendo in sé un bene sovraemi-nente dinanzi al quale tutti gli altri beni scompaiono. Così, tutte le gioie che all'anima sono concesse, sono per lei altrettanti inviti a gustare il Bene che possiede, preferendolo a tutto, perché nessun altro bene può essergli paragonato.

« Padre nostro che sei nei deli » ~'3. Nel piccolo cielo che Egli si è fatto nel centro della nostra anima dobbiamo cercarlo e qui, soprattutto, dobbiamo dimorare. Cristo diceva un giorno alla Samaritana che « il Padre cerca veri adoratori in ispirilo e verità » 5<; ebbene, per dare gioia al suo cuore, siamo noi questi adoratori. Adoriamolo in ispirilo, cioè avendo il cuore e il pensiero fissi in Lui e lo spirito pieno della cognizione di Lui, mediante il lume della fede. Adoriamolo in verità cioè con le opere, perché con queste soprattutto mostriamo se siamo veraci e sinceri, facendo sempre ciò che piace al Padre di cui siamo figli. Adoriamolo in ispirilo e verità cioè per mezzo di Gesù Cristo e con Gesù Cristo, perché Lui solo è il vero ado-

5» Romani, VIII-14... 17, s2 I Giovanni, ITI-I... 3.

53 San Matteo, VI-9.

54 San Giovanni, IV-23.

272

ratore in ispirilo e verità. Allora saremo figli di Dio, ed esperimenteremo la verità di queste parole di Isaia: « Sarete portati sul seno, e sulle ginocchio sarete accarezzati » ". Infatti, sembra che Dio sia tutto e unicamente occupato nel colmare l'anima di carezze e di segni di affetto, come la mamma che alleva la sua creaturina e la mitre del suo latte. Oh, siamo attente alla voce misteriosa del Padre che ci dice: « Vigliala mia, dammi il Ino cuore » ''".

ORAZIONE DODICESIMA

La Vergine dell'Incarnazione

« Si scires domini Dei! Se tu conoscessi il dono di Dio » 5r, diceva una sera il Cristo alla Samaritana. Ma che è mai questo dono di Dio, se non Lui medesimo? Il discepolo prediletto ci dice: « Egli è venuto nella sua casa, ma i suoi non l'hanno ricevuto » '\ E san Giovanni Battista potrebbe ripetere ancora a molti quel suo rimprovero: « C'è in mezzo a voi — in voi — uno che voi non conoscete » 5".

« Se tu conoscessi il dono di Dio! ». Ma una creatura c'è, che ha conosciuto questo dono di Dio, che non ne ha lasciato disperdere la minima particella; una creatura così pura, così luminosa, da sembrare, lei, la stessa Luce: « Speculimi iusfi-tiae »; una creatura la cui vita fu tanto semplice, tanto nascosta in Dio, che quasi nulla se ne può dire.

Virgo fidclis: è la Vergine fedele, colei che « custodiva tulio nel suo cuore » "". Se ne stava così umile, così raccolta dinanzi a Dio nel segreto del Tempio, che attirò le compiacenze della Trinità santa.

« Perché Egli ha rivolto lo sguardo alla piccolezza della sua ancella ormai tutte le generazioni mi chiameranno bea-

5;i Isaia, XLVI-12.

56 Prov.. XXITI-26.

57 San Giovanni, IV-10. M San Giovanni, 1-11. ii" San Gioviinni. 1-26. ^ San Luca, 1F-51.

273

ta » 81. Il Padre, chinandosi verso questa creatura così bella, così ignara della sua bellezza, volle che fosse, nel tempo, la Madre di Colui di cui Egli è Padre nell'eternità. Intervenne allora lo Spirito d'Amore che presiede a tutte le opere divine; la Vergine disse il suo « fiat »: « Ecco l'ancella del Signore; si faccia di ine secondo la tua parola » 62, e il massimo dei misteri si compì. Con la discesa del Verbo in lei. Maria fu sempre la preda di Dio.

La condotta della Vergine nei mesi che passarono tra l'Annunciazione e la Natività mi pare debba essere di modello alle anime inferiori, e quelle anime che Dio ha elette a vivere raccolte « nel loro intimo », nel fondo dell'abisso senza fondo.

Con quanta pace, in quale raccoglimento, Maria agiva e si prestava ad ogni cosa! Anche le azioni più ordinarie erano da lei divinizzate perché, in tutto ciò che faceva, la Vergine restava pur sempre l'adoratrice del dono di Dio; ne questo le impediva di donarsi attivamente anche nella vita esteriore, quando c'era da esercitare la carità: il Vangelo ci dice che « Maria percorse con grande sollecitudine le montagne della Giudea, per recarsi dalla cugina Elisaheffa » *".

La visione ineffabile che contemplava dentro di sé non diminuì mai la sua attività esteriore, perché se la contemplazione si volge alla lode e all'eternità del suo Signore, ha in sé l'unità e non potrà perderla mai.

ORAZIONE TREDICESIMA

Una lode di gloria

« In Lui siamo sfati predestinati per decreto di Colui che tutto opera secondo il consiglio della sua volontà, ad essere la lode della sua gloria » 84: è san Paolo che ce lo dice, san Paolo istruito da Dio stesso. Come attuare questo grande ideale del

61 San Luca, 1-48.

62 San Luca, 1-38.

63 San Luca, 1-39.

e4 Efesini, I, 11-12.

274

cuore del nostro Dio, questa sua volontà immutabile riguardo alle anime nostre? Come, in una parola, rispondere alla nostra vocazione e divenire lodi perfette di gloria alla santissima Trinità? In cielo, ogni anima è una lode di gloria al Padre, al Verbo ed allo Spirito Santo, perché ognuna è stabilita nel puro amore e non vive più della propria vita, ma di quella di Dio. Allora essa Lo conosce, dice san Paolo, come è conosciuta da Lui. In altri termini:

Una lode di gloria: è un'anima che ha posto la sua dimora in Dio, che Lo ama con amore puro e disinteressato, senza cercare se stessa nella dolcezza di questo amore; un'anima che Lo ama al di sopra di tutti i Suoi doni, anche se non le avesse dato nulla, e che desidera il bene dell'oggetto a tal punto amato. Ora, come desiderare e volere effettivamente del bene a Dio, se non compiendo la Sua volontà? Poiché questa volontà dispone tutte le cose per la Sua maggior gloria. Quest'anima deve dunque abbandonarvisi pienamente, perdutamente, fino a non poter voler altra cosa se non ciò che Dio vuole.

Una lode di gloria: è un'anima di silenzio che se ne sta come un'arpa sotto il tocco misterioso dello Spirito Santo, perché Egli ne tragga armonie divine. Sa che il dolore è la corda che produce i suoni più belli; è contenta che vi sia questa corda nel suo strumento, per commuovere più deliziosamente il cuore del suo Dio.

Una lode di gloria: è un'anima che contempla Dio nella fede e nella semplicità; è un riflesso di tutto ciò che Egli è:

è come un abisso senza fondo nel quale Egli può riversarsi eH espandersi; è come un cristallo attraverso il quale può irradiare e contemplare le proprie perfezioni e il proprio splendore. Un'anima che permette in tal guisa all'Essere divino di saziare in lei il bisogno che Egli ha di comunicare tutto ciò che è, tutto ciò che possiede è veramente la lode di gloria di tutti i suoi doni.

Finalmente, una lode di gloria è un'anima immersa in un incessante ringraziamento; tutti i suoi atti, i suoi movimenti,

275

i suoi pensieri, le sue aspirazioni, mentre la fissano sempre più profondamente nell'amore, sono come una eco del Sanctas eterno.

Nel ciclo della gloria, i beati non hanno riposo ne giorno ne notte, ma sempre ripetono: « Santo, santo, santo il Signore onnipotente...; e, prostrandosi, adorano Colui che vìve nei secoli dei secoli » 6S.

Nel cielo della sua anima, la lode di gloria inizia pia l'ufficio che sarà suo in eterno; il suo cantico è ininterrotto e, benché non ne abbia sempre coscienza perché la debolezza della natura non le consente di fissarsi in Dio senza distrazioni, pure rimane sempre sotto l'azione dello Spirito Santo che tutto opera, in lei. Canta sempre, adora sempre, è, per così dire, interamente trasformata nella lode e nell'amore, nella passione della gloria del suo Dio.

Nel cielo dell'anima nostra, siamo lodi i'/ olo;':,' t'icU.i Trinità santa, lodi di amore della nostra Madre Immacolata. Un giorno, il velo cadrà, e saremo introdotte negli airi etc'rni; ivi canteremo nel seno stesso dell'amore infinito, e Dio ci dirà il nome nuovo promesso al vincitore. E quale sarà questo nome?: « Laii-dem gloriae ».

<" Apocalisse, IV-8.

276

ULTIMO RITIRO DI « LAUDEM GLORIAE » ]

« II mio sogno è di essere la lode della sua gloria ».

Giovedì, 16 agosto 1906

PRIMO GIORNO « Nescivi »

« Nescifi. N0/2 se fi f)! pili nulla » ': ecco ciò che canta la sposa elei sacri cantici dopo essere stata introdotta nella cella intcriore; e questo, mi sembra, dovrebbe essere il ritornello del canto di una « lode di gloria » in questo primo giorno di ritiro in cui il Maestro la fa penetrare sino in fondo all'abisso insondabile, per insegnarle a compiere quell'ufficio che sarà suo per l'eternità, e nel quale già deve esercitarsi nel tempo, che è l'eternità incominciata, ma in continuo progresso.

« Nescivi »: non so più nulla, non voglio sapere più nulla, fuorché « la cognizione di Lui, la partecipazione ai suoi dolori, la conformità alla sua morte » 3. « Quelli che Dio ha conosciuti nella sua prescienza, li ha anche predestinati ad. essere conformi all'immagine del suo divin Tiglio » ", il Crocifisso per amore.

1 Se si vuoi conoscere il pensiero pili profondo di suor Elisabetta della Trinità, bisogna ricorrere al suo « Ultimo ritiro ». Essa stessa lo intitolò:

« L'ultimo ritiro di laudali fJnrìae », ed è, per cosi dire, la sua piccola somma mistica, la quintessenza della sua dottrina spirituale nel momento più elevato della ?u;i esperienza mistica. È un vero trattato dell'unione trasfor- ;

mante, quale la concepiva nella linea della sua vocazione suprema di « lode ., , di gloria », e quale intcriormente la viveva. E, in esso, lascia un programma !- ! di vita a tutte le « lodi di gloria » che più tardi vorranno seguirla nella vtà ;'':5j di una santità interiormente dimentica di sé e tutta orientata verso la gloria '• ;,' purissima della Trinità. ;!!

2 Cantica VI-12. "

3 Filippesi, III-10. « Romani, V1II-29.

277

Quando sarò perfettamente conforme a questo divino Esemplare, quando sarò tutta in Lui ed Egli in me, allora adempirò la mia vocazione eterna, quella per la quale Dio in Lui mi elesse « in principio », quella che proseguirò « in aeterninn » quando, inabissata nel seno della Trinità, sarò l'incessante lode della sua gloria: « tandem gloriae eius » 5.

« Nessuno ha veduto il Padre, ci disse san Giovanni, se non il Figlio e coloro ai quali è piaciuto al Padre di rivelarlo » ";

e mi pare che si possa soggiungere: Nessuno ha saputo capire il mistero di Cristo nella sua profondità, se non la Vergine santa. Giovanni e la Maddalena sono penetrati molto addentro in questo mistero; san Paolo parla spesso dell'« intelligenza » 7 che gliene è stata data; eppure, come rimangono nell'ombra tutti i santi, quando si pensa alla chiarezza intcriore della Vergine!... Essa è inenarrabile.

Il segreto che « Maria custodiva e meditava nel suo cuore » s nessuna lingua ha potuto mai rivelarlo, nessuna penna esprimerlo. Questa Madre di grazia formerà l'anima mia, farà sì che la sua figliolina sia un'immagine vivente, « eloquente », del suo « Primogenito » ", il Figlio dell'Eterno, Colui che fu la perfetta lode di gloria del Padre suo.

SECONDO GIORNO

« Nel silenzio delle potenze »

« L'anima mia è sempre nelle mie mani » 1": è l'intimo canto dell'anima del mio Maestro; ed ecco perché, in mezzo a tutte le angoscie, Egli rimaneva sempre il Calmo, il Forte. « Porto sempre l'anima mia fra le mie mani »: che cosa signi-

s Efesini, 1-12.

6 San Giovanni, VI-46.

7 Efesini, III-4.

8 San Luca, 11-19.

9 San Matteo, 1-25.

10 Salmo CXVIII-109.

278

ficano queste parole, se non il pieno dominio di sé, in presenza del Pacifico?

Vi è un altro canto di Cristo, che vorrei incessantemente ripetere: « Per tè custodirò la mìa. fortezza » ". E la mia regola mi dice: « La tua fortezza sarà nel silenzio » ". Dunque, ser-' bare la propria fortezza per il Signore mi pare che significhi. fare l'unità del nostro essere per mezzo del silenzio interiore;

raccogliere tutte le proprie potenze per applicarle al solo esercizio dell'amore, avere quell'occhio semplice che permette alla luce di irradiarci.

Un'anima che scende a patti col proprio io, che si occupa delle sue sensibilità, che va dietro a un pensiero inutile, a un desiderio qualsiasi, quest'anima disperde le proprie forze: non è concentrata in Dio. La sua lira non vibra all'unisono; e quando il divin Maestro la tocca, non può trame armonie divine. Vi è ancora troppo di umano, e si produce una dissonanza.

L'anima die si riserba ancora qualche cosa nel suo regno intcriore, e le cui potenze non sono « tutte raccolte » in Dio, non può essere una perfetta lode di gloria; essa non è in grado di cantare ininterrottamente il « cantìciim magnimi » di cui parla san Paolo, perché in lei non regna l'unità. E, invece di proseguire la sua lode attraverso tutte le cose, in semplicità, bisogna che si nnanni continuamente a radunare le corde del suo strumento, disperse un po' da per tutto.

Come è indispensabile questa bella unità interiore all'anima che vuoi vivere quaggiù la vita dei beati, cioè degli esseri semplici, degli spiriti! Mi pare che proprio a questa unità mirava il Maestro divino quando parlava alla Maddalena del-l'« nmnn necessarium » ". E come lo aveva compreso bene la grande santa! L'occhio dell'anima sua illuminato dalla fede aveva riconosciuto il suo Dio sotto il velo dell'umanità e, nel silenzio, nell'unità delle potenze, ascoltava la parola ch'Egli le diceva. Poteva veramente cantare: « Porto sempre l'anima mìa nelle mie mani »; e soggiungere la breve parola: « Ne scivi ». Sì,

n Salmo LVIII-10. •2 Isaia, XXX-15. i3 San Luca. X-42.

279

ella non sapeva più niente altro che Lui. Potevano far rumore, potevano agitarsi intorno a lei: « Nescivi! ». Potevano accusarla: « Nescivi! ». Nemmeno le ferite recate al suo onore erano capaci, più delle cose esteriori, di farla uscire dal suo sacro silenzio.

Così è dell'anima entrata nella fortezza del santo raccoglimento. Con l'occhio aperto alle chiarezze della fede, scopre il suo Dio presente, vivente in lei; ed ella, a sua volta, si tiene così fedelmente presente a Lui nella sua bella semplicità, che Egli la custodisce con cura gelosa. Possono sapraggiungere le agitazioni esterne, le interne tempeste; può venire intaccato il suo onore: « Nescivi! ». Dio può celarsi, può sottrarle la Sua grazia sensibile: « Nescivi! ». E, con san Paolo, esclama: « Per suo amore, ho tutto perduto » ".

Allora il Signore è libero, libero di effondersi, di donarsi, « a suo beneplacito » "; e l'anima, così semplificata e unificata, diviene il trono dell'Immutabile, perché l'unità è il trono della Trinità santa.

TERZO GIORNO

Alla presenza di Dio

« Siamo stati predestinati, per disposizione di Colui che compie ogfrì cosa secondo il consiglio della sua volontà, affinchè siamo la lode della sua gloria » ln. San Paolo ci partecipa questa divina elezione, egli che tanto profondamente penetrò nel « segreto celato nel cuore di Dio dall'eternità » ''. Ed ora egli stesso ci illumina su questa vocazione alla quale siamo stati chiamati: « Dio — egli dice — ci ha eletti in Sé prima della creazione, affinchè siamo immacolati e santi al suo cospetto, nella carità » ls.

14 Filippesi, III-8.

15 Efesini, IV-7. 38 Efesini, 1-11,12. i7 Efesini, III-9, " Efesini, ì-4.

280

Se accosto fra loro queste due enunciazioni del piano divino, « eternamente immutabile », posso concludere che, per compiere degnamente il mio ufficio di « tandem gloriae », devo tenermi in mezzo a tutto e nonostante tutto, « alla presenza di Dio »; anzi, l'apostolo ci dice: « in cariiate », cioè in Dio;

« Deus caritas est » '": e il contatto con l'Essere divino mi renderà « immacolata e santa » ai suoi sguardi. Tutto questo,

10 riferisco nlln bella virtù della semplicità, della quale un pio autore ha scritto che « da all'anima il riposo dell'abisso », cioè

11 riposo in Dio, abisso insondabile, preludio ed eco di quel sabato eterno di cui parla san Paolo: « No? che abbiamo credulo saremo introdotti in questo riposo » 2".

I beati godono questo riposo dell'abisso, perché contemplano Dio nella semplicità della sua Essenza. « Essi lo conoscono come sono conosciuti » da Lui, cioè con lo sguardo semplice della visione intuitiva, ed ecco perché, continua il grande santo, « sono trasformati di luce in luce, dalla potenza del suo Spirito, nella immagine di Lui » 21, divenendo così incessante lode di gloria dell'Essere divino che contempla in essi il proprio splendore.

Mi pare die daremmo una gioia immensa al cuore di Dio, se ci esercitassimo, nel cielo dell'anima nostra, in questa occupazione dei beati, e a Lui aderissimo mediante quella contemplazione semplice che riavvicina la creatura a quello stato di innocenza nel quale Dio l'aveva creata.

« A sua immagine e somiglianzà » 22; tale fu il sogno del Creatore: potersi contemplare nella sua creatura, vedere irradiate in essa tutte le sue perfezioni, tutta la sua bellezza, come attraverso un cristallo limpido e terso; non è questa una specie di estensione della sua propria gloria? Per la semplicità dello sguardo col quale fissa il suo Oggetto divino, l'anima si trova separata da tutto quanto la circonda, separata anche e soprattutto da se stessa; allora essa risplende della « cognizione della

"' San Giovanni, JV-8.

2" Ebrei, IV-3.

" TI Corinli, III-18,

22 Genesi, 1-26.

281

chiarezza di Dio » ", perché permette all'Essere divino di riflettersi in lei, e tutti i Suoi attributi le sono comunicati. Questa anima è veramente la lode di gloria di tutti i suoi doni; e in ogni occupazione, anche le più ordinarie, canta il canticum ma-gm'.m, il cantìcum novum che fa trasalire il cuore di Dio fin nelle sue profondita. Possiamo ripetere con Tsaia: « La tua luce si leverà nelle tenebre, e le tenebre diverranno come il pieno giorno; il Signore ti farà godere lili perenne riposo, inonderà la tua anima dei suoi splendori, fortifichei't'i le tue ossa, e tu sarai come un giardino sempre irrigato, come una fontana le cui acque non si esauriscono mai... Ti eleverò al di sopra di quanto c'è di più elevato in questo mondo » 24.

QUARTO GIORNO

Ecco la fede

Ieri san Paolo, sollevando un poco il velo, mi permetteva di spingere la sguardo « nell'eternità dei santi, nella luce » 2r', perché io vedessi qual è la loro occupazione e procurassi, quanto è possibile, di conformare la mia vita alla loro, per adempiere il mio ufficio di « laudem gloriae ». Oggi san Giovann.i, il discepolo che Gesù amava, mi schiude le « porte dell'eternità » 2e perché l'anima mia possa riposarsi nella santa « Gerusalemme, dolce visione di pace... » 2T. E, prima di tutto, mi dice che « non ha bisogno di luci, la città, perché lo splendore di Dio la illumina e sua luce è l'Agnello » ".

Ora, se voglio che la mia città intcriore abbia qualche tratto di conformità e di somiglianzà con quella del Rè immortale dei secoli e riceva la grande irradiazione di Dio, bisogna che io estingua ogni altra luce e che l'Agnello ne sia l'unica face.

Ed ecco, mi appare la fede, la bella luce della fede; questa sola deve illuminarmi per andare incontro allo Sposo. Il Salmi-

23 II Corinti, IV-6.

24 Isaia, LVTIT-10... 14.

" Colossesi, 1-12.

2(1 Salmo XXIII-7.

27 Ufficio della Dedicazione.

M Apocalisse, XXI-23.

282

sta canta che « Egli si occulta nelle tenebre » m; poi, in un altro punto, sembra contraddirsi dicendo: « La luce lo avvolge come una veste » '''". L'insegnamento che per me risulta da questa contraddizione apparente è: che devo immergermi nella « sacra tenebra », facendo la notte e il vuoto in tutte le mie potenze. Allora incontrerò il mio Signore, e la luce che lo avvolge come una veste avvolgerà me pure, perché Egli vuole che la sposa sia luminosa della Sua luce, della sola Sua Luce, « ed abbia la chiarezza di Dio » x1.

Si dice di Mosé che « era incrollabile nella sua fede come se avesse veduto l'Invisibile » I2. Mi pare che tale debba essere la disposizione di una lode di gloria che vuoi proseguire, malgrado tutto, il suo inno di ringraziamento: « incrollabile nella sua fede, come se avesse visto l'Invisibile », incrollabile nel credere all'« eccessivo amore ». ...« Abbiamo conosciuto la cariili di Dio per noi, e vi abbiamo creduto » ".

« La fede, dice san Paolo, è sostanza delle cose che speriamo e convinzione dì quelle che non ci è dato vedere » 34. Raccolta nella luce che accende in lei questa parola, che cosa importa ormai all'anima sentire o non sentire, essere nella notte o nella luce, godere o non godere? Ella si vergogna, quasi di fare tali distinzioni; e quando sente di non saper rimanere nel-l'indiftcrenz.i, si disprezza profondamente per il suo poco amore, e rivolge subito lo sguardo al suo Maestro divino per farsi liberare da Lui.

« Essa lo esalta — secondo l'espressione di un grande mistico — sulla cima più elevata della montagna del suo cuore », al di sopra, cioè, delle dolcezze e delle consolazioni che da Lui emanano, perché è risoluta a tutto superare per unirsi a Colui che ama.

Mi sembra che a quest'anima che possiede una sì grande fede nel Dio-Amore, si possano rivolgere le parole del Principe

'•'' Salmo XVTt-12.

••"' Salmo CI 11-2,

••)1 Apocalisse, XXI-11. 32 Ebrei. XI-27. :" I Giovanni, IV-16. 3i Ebrei, XI-1.

283

degli Apostoli: « Voi, che credete, sarete ripieni di un gaudio immutabile e sarete glorificati » ".

QUINTO GIORNO

Sulla via del Caivc'i'io

« Vidi ima grande moltitudine che nessuno poteva enumerare ». Chi sono mai? « Sono coloro che vengami dalla grande tribolazione, che hanno lavato e reso candide le loro stole nel Sangue dell'Agnello; per questo, stanno dinanzi al trono di Dio e Lo servono dì e notte nel suo tempio; e Colui che è assisa sul trono abiterà in essi. Non avran più fame ne sete, non li colpirà il sole ne ardore alcuno, perché l'Agnello sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti dell'acqua viva; e Dio asciugherà ogni lacrima dei loro occhi » 3". Tutti questi eletti che hanno in mano la palma e che sono bagnati dalla grande luce di Dio, hanno dovuto passare prima per la grande tribulazione, conoscere il dolore « immenso come il mare » " cantato dal Profeta.

Prima di « contemplare svelatamenle la gloria del Signore » 3S, essi hanno partecipato agli annientamenti del suo Cristo;

prima « di essere trasformati di chiarezza in chiarezza nell'immagine dell'Essere divino » 39, sono stati conformi all'immagine del Verbo Incarnato, Crocifisso per amore.

L'anima che vuoi servir Dio notte e giorno nel suo tempio, cioè in quel santuario intcriore del quale parla san Paolo quando dice: « II tempio di Dio e santo, e questo tempio siete voi » 40, quest'anima deve essere risoluta di partecipare realmente alla passione del suo Signore. Essa è una riscattata che deve a sua volta riscattare altre anime; e canterà perciò sulla sua lira: « Io mi glorio della croce di Gesti Cristo " ...Con Cristo.

35 I Pietro. 1-8.

39 Apocalisse, VII-9... 17.

37 Treni, 11-13.

33 II Corinti, III-18.

39 Ibidem.

40 I Corinti, m-17. " Calati. VI-14.

284

sono confitta alla croce... » " ed ancora: « Do compimento, nella mìa carne, a ciò che manca alla passione di Cristo, per il corpo di Lui, che è la Chiesa » <3.

«Alla tua destra sta la Regina»4*: tale è l'atteggiamento di quest'anima.

Essa procede sulla via del Calvario alla destra del suo Rè crocifisso che, annientato, umiliato, eppure così forte, calmo e pieno di maestà, va alla sua passione, per far risplendere « la gloria de! I ci sua grazia » ls, secondo l'espressione così forte di san Paolo. Ed Egli vuole associare la sua sposa all'opera di redenzione; ma la via dolorosa in cui la fa camminare sembra alia sposa la via della beatitudine, non solo perché alla beatitudine conduce, ma ancora perché il Maestro santo le fa comprendere die deve superare quello che vi è di amaro nel dolore, per trovarvi, come Lui, il suo riposo.

Allora, può veramente servire Dio « notte e giorno nel Suo {empio », le prove interne ed esterne non possono farla uscire dalla santa fortezza in cui Egli l'ha rinchiusa; non ha più « ne fame ne sete » perché, malgrado il suo struggente desiderio che fu quello del suo Maestro divino: la volontà del Padre, non sente più «/7 sole che su lei dni'tìcggia», cioè non soffre più di soffrire; « e l'Agnello può concluda, ora, alle sorgenti della vita »', come Egli vuole, come gli pare, perché lei non guarda per quali sentieri passa, ma tiene fisso lo sguardo semplicemente sul Pastore che la guida.

Dio, chinandosi su quest'anima, sua figlia adottiva, così conforme all'immagine del suo « Figlio primogenito fra tutte le creature » '", la riconosce per una di quelle da Lui « predestinate, chiamate, giustificate »; ed esulta nelle sue viscere di Padre, pensando di consumare l'opera sua, cioè di glorificarla, trasferendola nel suo regno, perché vi canti, nei secoli senza fine, la « lode della sua gloria ».

t2 Galati, 11-19.

" Colos?esi, 1-24. " Salmo XLIV-19. " Efesini. I.6. '" Colo?scsi, 1-15.

285

SESTO GIORNO

Quelle anime sono vergini...

« E vidi: ecco l'Agnello eretto sulla nìonlti^na eli Sioii e con lui centoquarantaquattromila che avevano scritto in fronte il nome di Lui e il nome del Padre di Lui; e udii ima voce dal Ciclo come rumore di molte acque e conii: di parecchi suonatori di arpa, ed essi cantavano un nuovo cantico innanzi al trono... e nessuno poteva ripetere il cantico se non quei cenlo-quarantaquattì'ornila... perché sono vergini. Quelli seguono l'Agnello ovunque Ei vada » '".

Vi sono degli esseri che, fin dalla vita terrena, .fanno parte di questa generazione pura come la luce, e portano già sulle loro fronti il nome « dell' Agnello e quello del Padre »: il nome dell'Agnello, per la loro somiglianzà e conformità con Colui che san Giovanni chiama « // Fedele, il Verace » '". e ci mostra rivestito di una tunica tinta di sangue; anche questi esseri, infatti, sono i fedeli, i veraci, e la loro veste è tinta nel sangue della loro continua immolazione. Portano in fronte anche il nome del Padre perché Egli irradia in essi la bellezza delle sue perfezioni, riflettendovi i suoi divini attributi; e le anime loro sono come altrettante corde che vibrano e cantano il cantico nuovo.

Seguono l'Agnello ovunque Egli vada; e non solo nelle vie larghe e facili, ma nei sentieri spinosi, fra i rovi pungenti;

e tutto ciò perché queste anime sono vergini, cioè libere, distaccate, spoglie...: libere di tutto, meno che del loro amore; distaccate da tutto, specialmente da se stesse, spoglie di ogni cosa, tanto nell'ordine naturale che in quello soprannaturale. Ma tutto questo, quale separazione dal proprio io non suppone! Quale morte! Ripetiamo con san Paolo: « Quotidie morior! » 49.

II grande santo scriveva ai Colossesi: « Voi siete morti e la vostra vita è nascosta in Dio con Gesù Cristo » s0. Ecco la

•" Apocalisse, XIV-1... 4. 48 Apocalisse, III-14.

-' I Corinti, XV-31. M Colossesi, IJT-3.

286

condizione: bisogna essere morti; altrimenti, si potrà essere nascosti in Dio, ogni tanto, ma non si vivrà abitualmente nell'Essere divino, perché la sensibilità, le pretese delibo e tutto il resto, verranno a farcene uscire.

L'anima che fissa il suo Signore con quell'occhio semplice che rende luminoso tutto il corpo, è protetta dal « fondo di iniquità » che è in lei, e del quale si lamentava il Profeta; e il suo Dio la introduce in quel luogo spazioso " che è poi Lui stesso, ove tutto è puro, tutto e santo.

O morte in Dio, morte beata! O soave e gioconda perdita di sé nell'Essere amato, che permette alla creatura di esclamare: « Vivo, ma non pin io; il Cristo vive in me; per cui la vita che ho adesso in questo corpo di morte, la vivo nella fede che ho nel Figlio di Dio il quale mi ha amato e ha dato se slesso alla morte per me! >•>".

SETTIMO GIORNO diente altro che la gloria dell'Eterno

« C.aeli enarravi yloriam Dei » '"': ecco che cosa narrano i cicli: la gloria di Dio. Poiché la mia anima è un ciclo dove vivo nell'attesa della celeste Gerusalemme, bisogna che anche questo cielo canti la gloria dell'Eterno, niente altro che la gloria dell'Eterno.

« II giorno trasmette al giorno questo messaggio » 5S. Tutti i lumi inferiori, tutte le comunicazioni di Dio all'anima mia, sono questo giorno che trasmette al giorno il messaggio della' Sua gloria.

« II precetto di ]ahveh è puro », canta il Salmista « ed illumina lo sguardo » ''". Per conseguenza, la mia fedeltà nel

a1 Salmo XVJI-24.

••s Salmo XVII-20. 93 Gniati, II, 19-20. M Snimo XVJTI-1. " Salmo XVIII-2.

••" Snimo XVIH-9.

2R7

corrispondere ad ogni suo precetto, ad ogni suo interno comando, mi f;i vivere nella luce sua: anche essa o un messaggio che annunzia la sua gloria.

Ma, ecco la dolce meraviglia: « /(/Z'/'c/', (:/'/ // guarda, ri-splende » ", esclama il Profeta. L'anima che, con la profondita del suo sguardo inferiore, nella semplicità che la distacca da ogni altra cosa, contempla attraverso a tutto il suo Dio, questa anima è risplendente: essa è un giorno che anniin/ia al giorno il messaggio della sua gloria.

« Lei notte l'annuncia alla notte » '''': ecco una cosa davvero consolante: le mie impotenze, i miei disgusti, le mie oscurità, persino le mie colpe, narrano la gloria dell'Eterno; e le mie sofferenze fisiche e morali celebrano aneli'esse la gloria del mio Signore. Davide cantava: « Che cosci renderò a Dio per tutti i benefici che mi ha fatti? Prenderò il calice della salute » ". Se io lo prendo, questo calice imporporato dal sangue del mio Maestro e se, nel mio ringraziamento pieno di gioia unisco il sangue mio a quello della Vittima santa che lo rende partecipe in qualche modo del suo infinito, esso può dare al Padre una lode magnifica; allora il mio dolore è un messaggio che annunzia la gloria dell'Eterno.

« La, (nell'anima che narra la sua gloria). Egli ha posto una tenda per il sole ». Il sole è il Verbo, è lo Sposo. Se Egli trova l'anima mia vuota di tutto ciò che non rientra in queste due parole: « il suo amore, la sua gloria », allora la sceglie per sua camera nuziale; « vi si slancia come un.-gigante che si precipita trionfatore nella corsa... ed io non posso sotfrarmi al suo calore » 6(>. Questo « fuoco consumante » opererà la felice trasformazione di cui parla san Giovanni della Croce: « Ciascuno, egli dice, sembra essere l'altro, e tutti e due non sono che uno », per essere lode di gloria del Padre.

57 Salmo XXXITI-6. M Salino XVIIT-3.

59 CXV, 12-13.

60 Salmo XVIII, 6-7.

288

OTTAVO GIORNO

Si prostrano, adorano... de pongono le loro corone

« Essi finn hanno riposo ne giorno ne notte, e ripetono:

Santo, santo, santo è il Signore, Dio onnipotente che era, che è, che sarà nei secoli dei secoli... Si prostrano, adorano, depongono le loro corone dinanzi al trono, dicendo: Degno Tu sei, o Signore, di ricevere la gloria e l'onore e la potenza... » "'.

Come imitare nel cielo dell'anima mia questa occupazione incessante dei Beati nel cielo della gloria? Come attuare questa lode, questa adorazione ininterrotta? San Paolo mi illumina in proposito quando scrive ai suoi: « Che il Padre vi fortifichi in virtù, per mezzo del suo Spirito, nell'anima vostra; affinchè il Cristo abiti nei rostri cuori mediante la fede e voi siate radicali e fonduti nell'afrore » "''.

« Essere radicati e fondati nell'amore »: è questa mi sembra la condizione per assolvere degnamente il proprio compito di « laudem gloriae ». L'anima che penetra e dimora nella « profondità di Dio » "" e che fa tutto in Lui e per Lui, con quella limpidezza di sguardo che le conferisce una somiglianzà con l'Essere semplicissimo, questa anima con ogni suo movimento, ogni sua aspirazione, ogni suo atto — per quanto comune sia — si radica sempre più profondamente in Colui che ama. Tutto, in lei, rende omaggio al Dio tré volte santo; essa è, per così dire, un « Sanctus » perenne, una incessante lode di gloria.

« Si prosi l'ano, adorano, depongono le loro corone ». Prima di tutto, l'anima deve prostrarsi, immergersi nell'abisso del suo nulla, penetrarvi così a fondo, da trovare — secondo l'ineffabile espressione di un mistico — la pace vera e perfetta che nulla può turbare, perché si è sprofondata così in basso, che nessuno andrà a cercarla, laggiù. Allora potrà adorare.

L'adorazione! ah, è una parola di cielo; mi sembra che possa definirsi: l'estasi dell'amore. È l'amore annientato dalla bei

"' Apnc;ìlissc, IV, 8-11.

"2 Efesini, tir, 16-17.

63 [ Corinti. 11-10.

289

lezza, dalla forza, dall'immensa grandezza dell'oggetto amato;

l'amore che cade in una specie di deliquio, in un silenzio pieno, jprofondo, quel silenzio di cui parlava Davide quando esclamava: « II silenzio è la tua lode » ". Sì, ed è la lode più bella, perché è quella che cantasi eternamente nel seno dell'immutabile Trinità; ed è anche « l'ultimo sforzo dell'anima che trabocca e non può esprimersi più » (Lacordaire).

« Adorate il Signore, perché Egli è santo » r", dice il Salmista; ed ancora: « Sempre Lo adoreremo a molivo di Luì

stesso »ve.

L'anima che si raccoglie in questi pensieri, che li penetra con quel « senso di Dio » r" di cui parla san Paolo, vive in un cielo anticipato, al di sopra di tutto ciò che passa, al di sopra di se stessa. Sa che Colui che essa adora possiede in sé ogni gloria ed ogni felicità e, gettando la sua corona dinanzi a Lui come i beati, si disprezza, non bada più a sé e, in mezzo ;i qualunque sofferenza e dolore, trova la sua felicità in quella dell'Essere adorato, perché ha lasciato se stessa ed è passata in un altro. Mi sembra che, in questo atteggiamento di adorazione. l'anima assomigli a quei pozzi di cui parla san Giovanni della Croce, in cui si raccolgono le acque che scendono dal Libano;

vedendola, si può dire: « La città di Dio è rallegrata dal corso di impetuosa fiumana » es.

NONO GIORNO

« Siate santi, perché io sono santo »

« Siate santi, perché io sono santo » <"'. Chi mai può dare un simile comando? Egli stesso rivelò il suo nome, quel nome che gli è proprio, che Egli solo può avere. « Sono — egli dice

M Salmo LXIV-2. " Salmo XCVTII-9. 69 Salmo LXXI-15.

67 Romani, XI-34.

68 Salmo XLV-5. <"> Lev., XIX-2.

290

a Mosé — Cnlni che è » 7", il solo vivo, il principio di tutti gli esseri. « in Luì abbiamo l'essere, il moto, la vita » ".

« Siate santi, perché io sono santo »: mi sembra che questa sia la stessa volontà che venne espressa il giorno della creazione dalle parole divine: « Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianzà » '". E il desiderio del Creatore non muta: sempre Egli vuole unirsi alla sua creatura, renderla simile a Sé.

San Pieno dice che « siamo sfati fatti partecipi della natura divina ft " e san Paolo ci raccomanda di « conservare salda questa base, questo inizio del suo Essere » che Egli ci ha dato74;

il discepolo dell'umore poi ci dice: « Già fin d'ora siamo figli di Dio, ina non sì e ancora manifestato a noi quello che saremo. Sappiamo che. quando si mostrerà saremo simili a Lui, perché lo vedremo quale Egli è, e chiunque ha questa speranza in Lui, si santifica, come Egli pure è santo » ".

Essere santi come Dio è santo: questa, mi sembra, è la misura dei figli del suo amore; non ha detto, infatti, il Maestro:

« Siate perfetti come il vostro Padre celeste è perfetto? »78. Parlando ad Abramo, Dio gli diceva: « Cammina alla mia presenza e sii perfetto » ". Dunque, camminare alla sua presenza è il grande mezzo per raggiungere quella perfezione che il nostro Padre dei Cieli richiede da noi. San Paolo, dopo essersi immerso nei divini consigli, rivelava la stessa cosa alle anime nostre, quando scriveva: « Dio ci ha eletti in Lui prima della creazione, affinchè siamo immacolati e santi alla sua presenza, ne!!'amore » ''.

Ricorrerò ancora alla luce di questo santo, onde essere illuminata nel percorrere, senza deviarne mai, questa via magnifica della presenza di Dio dove l'anima procede « sola col Solo *,

70 Es., Ili-]-4.

71 Atti, XVIT-2.S.

72 Genesi. I 26.

" II Pieno, 1.4.

74 Ebrei. HI-14.

75 i Giovanni, III, 2-3.

7" San Matteo, V-48.

:7 Genesi. XVII-1.

;<; Efesini. I, 4-5.

29)

sostenuta dalla « forza della sua destra » '". protetta dalle sue ali, senza paventare le insidie della notte, « ne la freccia lanciata in pieno giorno; ne il male che s'inshìua nelle tenebre, ne gli assalti del demone meridiano » li".

« Spogliatevi dell'uomo vecchio secondo il quale siete vissuti nella vostra vi fa prima — mi dice — e r ire stj Ieri dell'uomo nuovo che è stato creato secondo Dio, nella giustizia e nella santità»31. Ecco tracciata la via: basta spogliarsi, per percorrerla secondo i desideri di Dio; e spogliarsi, morire a se stessi, perdersi di vista, credo che volesse intendere anche il Maestro quando diceva: « Chi vuoi seguirmi, rinunci a se stesso, e prenda la sua croce » 'i2.

« Se vivrete secondo la carne — dice ancora l'Apostolo — morrete; ma se, con lo spirito, darete morie alle opere della carne, vivrete » s;]. Questa è la morte che il Signore ci chiede e della quale è scritto: « La morte è stata assorbita dalla vittoria » s1. « O morie —— dice il Signore — io siirò la tua morte » '"'; è come se dicesse: O anima, mia figlia adottiva, guarda me e allora non baderai più a tè; dileguati interamente nell'Essere mio, vieni a morire in me, perché io viva in tè.

DECIMO GIORNO

In un eterno presente

« Siate perfetti come il vostro Padre celeste è perfetto » ^". Quando il mio Signore mi fa sentire queste parole nel profondo dell'anima, mi pare di capire che Egli mi chiede di vivere, come

T" Salmo XIX-7, ];" Salmo XC, 4-5-6. s1 Efesini, IV. 22-24. 82 San Matteo. XVI-24. ""- San Matteo. XVI-24. '•3 Romani, VIH-13. '" I Corinti, XV-54.

^ Osca, xni-i4.

''" San Matteo, V-48.

292

il Padre, in un eterno presente, senza prima, senza poi, ma tutta nell'unità del mio essere in questo adesso eterno.

E in che cosa consiste questo presente? Davide mi risponde: « Sarà adottilo sempre a causa di Se slesso » s'. Ecco l'eterno presente in cui « laudem gloriae » si deve stabilire. Ma perche essa sin verace nella sua adorazione, perché possa cantare:

« Io sveglio l'aurora » s<, bisogna che possa dire con san Paolo:

« Per fim l'mnrc. hn perduto tutto » s>>, cioè per Lui, per adorarlo scinpu-, mi sono isolata, separata, spogliata di me stessa i: di ogni ccs.i, si;i nell'ordine naturale che nell'ordine soprannaturale riguardo ai doni di Dio; perché un'anima che non sia così morta a se stessa e libera del proprio io, sarà per forza in certi momenti, banale e naturale, e ciò è indegno di una figlia di Dio. di una sposa del Cristo, di un tempio dello Spirito Santo. Per premunirsi contro questa vita naturale, bisogna che l'anima sia tutta desta nella sua fede, col limpido sguardo rivolto sempre al suo Maestro. Allora « camminerà — come cantava il Rc-profcta — neìì'innoccnza del cuore, nell'interno della sua casa » "", adorerà sempre il suo Dio per Lui stesso, e vivrà ad immagine sua nell'eterno presente in cui Egli vive.

« Siate l'crjelti come è per j etto il vostro Padre dei deli » 9'. E Dio, ci dice san Dionigi, è il « grande Solitario ». Il mio Maestro mi chiede di imitare questa perfezione, di rendergli omaggio essendo io pure una grande solitària. L'Essere divino vive in un'eterna, sconfinata solitudine, da cui non esce mai, pur interessandosi ai bisogni delle sue creature, perché non esce mai da Se stesso; e questa solitudine non è che la sua divinità.

Afìinchc nulla mi distolga da questo bei silenzio intcriore, devo porre le stesse condizioni, sempre: lo stesso isolamento, lo stesso distacco, lo stesso spogliamente. Se i miei desideri, i miei timori, i miei dolori, le mie gioie, se tutti i moti che derivano da queste quattro passioni, non saranno perfettamente

" Sa'mo 1XXT-15. '"' Salmo LVT-9. "" Filippcsi, ÌÌT R. "" Snimo C 2. '" San Manco, V.48.

293

ordinati a Dio, io non sarò solitària; vi sarà del tumulto in me;

occorre dunque la quiete, il sonno delle potenze, l'unità dell'essere.

« Ascolta, figliola mia, porgi l'orcrch/o, di m cui tea il tuo popolo e la casa di tuo padre, e il Rc si innamorerà della tua bellona » 'ì2: mi sembra clic sin un in vi I o al siicn/io: « Ascolta, tendi l'orecchio... ». Ma, per udire, bisogna dimenticare la casa paterna, cioè tutto quanto appartiene alla vita n.'.Himle, quella vita di cui intende parlare l'Apostolo quando dice: •'' Se vivrete secondo la carne, morrei e » '".

« Dimentica il tuo popolo >•>: è più difficile, perché questo popolo è tutto quel mondo che fa parte, per così dire, di noi stessi: la sensibilità, i ricordi, le impressioni, ecc..., l'/'o, in una parola. Bisogna dimenticarlo, abbandonarlo; e quando l'anima ha fatto questo strappo, quando è libera da tutto ciò, il Rè si innamora della sua bellezza, perché la bellezza, soprattutto quella di Dio, è unità.

UNDICESIMO GIORNO

Tutta la Trinità abita nell'ani m a

« II Signore mi ha fatto entrare in un luogo spazioso: mi ha salvato perché mi voleva bene » "*.

Il Creatore, vedendo il silenzio bellissimo che regna nella sua creatura, considerandola tutta raccolta nella sua solitudine interiore, si innamora della sua bellezza e se la porta in quella solitudine immensa, infinita, in quel luogo « 'spazioso » cantato dal Profeta, che altro non è se non Lui stesso. « Entrerò nella profondità delle potenze di Dio » '".

II Signore, per bocca del suo Profeta, ha detto: « La condurrò nella solitudine e le parlerò al cuore » "". ... Ed ecco

92 Snimo XLIV-11. 03 Romani, VIII-13. »" Salmo XVII-20. M Salmo LXX-16. 98 Osea, 11-14.

294

l'aniina entrata nella vasta solitudine in cui Dio le si farà sentire.

« La parola di Dio — dice san Paolo — è viva ed efficace, e pai penetrante di una spada a doppio taglio; essa giunge fino aliti divisione dell'annua e dello spirito, fino alle giunture e ili "minilo » "7. Essa, dunque, la parola di Dio direttamente, perfezionerà il lavoro di spogliamente nell'anima, perché ha questa caratteristica tutta propria e singolare: che opera e crea ciò che fn udire, purché l'anima acconsenta e si lasci alla sua azione.

Ma sentire questa parola non basta, bisogna custodirla;

custodendola, l'anima sarà santificata nella verità secondo il desiderio del Maestro divino: « Padre, santificati nella verità;

la f.ìiii parola è verità » 9S. E a chi custodisce la sua parola, Egli ha promesso: « II Padre mio lo amerà, e verremo a Lui e in Lui porremo la nostra dimora » ".

Tutta la Trinità, dunque, abita nell'anima che ama in verità, cioè che custodisce la divina parola; e quando quest'anima ha compreso In sua ricchezza, tutte le gioie naturali o soprannaturali che possono venirle dalle creature o anche da Dio, altro non fanno che invitarla a rientrare in se stessa per fruire del Bene sostanziale che possiede: il suo Dio. Così, dice san Giovanni della Croce, essa ha una certa somiglianzà con l'Essere divino.

« Sidfe perfetti come è perfetto il vostro Padre dei deli ». San Paolo mi dice che « Egli compie ogni cosa secondo il consiglio della sua volontà » 10'', e il mio Maestro vuole che io gli renda omaggio anche in questo: fare ogni cosa secondo il consiglio della mia volontà; non lasciarmi mai guidare dalle impressioni, dai moti primi della natura, mn possedermi per mezzo della volontà; e perché questa volontà sia libera, bisogna, secondo l'espressione di un pio autore, « chiuderla » in quella di Dio. Allora sarò mossa dal suo Spirito, come dice san Paolo, tutto ciò che farò sarà divino ed eterno, e fin d'ora vivrò, ad imitazione del mio Immutabile in un eterno presente.

vr Ebrei, TV-12. '"' San Giovanni, XVTT-17. ea San Giovanni. XIV-25. 10:) Efesini. T-ll.

295

DODICESIMO GIORNO

« Per Lui, io posso accostarmi al Padre »

« Verhum caro factum est, et hahitarit ni /W;/.v»'"'. Dio aveva detto: « Siate santi, perche in sono santo >»; ma rima-neva nascosto nella sua « luce inaccessibile ». e In creatura aveva bisogno che Egli scendesse fino a lei. die vivesse della sua vita, per potere, camminando sulle sue orme, risalire fino a Lui e farsi santa della Sua santità.

« Io mi santifico per essi, affinchè s;ano sanlijicati nella verità » '°'"'. Eccomi di fronte al « segreto nascosto ai secoli ed alle generazioni », di fronte al mistero di Cristo, di Lui che « è per noi — dice san Paolo — speranza eli gloria » ""i e soggiunge che « gli è stata data l'intelligenza di questo mistero » 1M. Andrò dunque dal grande Apostolo ad istruirmi, affine di possedere « quella scienza che — secondo l;ì sua espressione —supera ogni altra: la scie ma della Ctìnli'i di Cristo Gesù » w.

Prima di tutto, san Paolo mi dice die « Gesìi è la mia pace », che « per Luì, io posso accostarmi al Padre » ""', perché il Padre dei lumi ha voluto che fosse in Lui ogni pienezza, che per Lui fossero riconciliate tutte le cose, pacificandole tutte, sia in terra, sia in ciclo, nel sangue della croce di Lui » 107. « in Lui, avrete la pienezza — prosegue l'Apostolo —. Siete stati seppelliti con Lui nel 'Battesimo, e riuscitati con Lui mediante la fede nell'opera di Dio... ...Vi ha f'alto rivivere con

Lui, perdonandovi tutti i vostri peccati, cancellando ''il decreto di condanna che pesava su di voi; l'ha annullalo appendendolo alla croce; e, spogliando i principali e le potestà, li ha vittoriosamente condotti ili schiavitù, trionfando di essi

l'" San Giovanni, 1-14.

102 San Giovanni, XVII-19.

"a Colossesi, 1-26. 27.

104 Efesini, III-4.

"!i Efesini, 111-19.

108 Efesini, II, .14-18.

197 Colossesi, I, 19-20.

296

in si.' si esso » ìm ... « per rendervi san fi, puri, irreprensibili al suo cospetto » ""'. Ecco l'opera di Cristo in ogni anima di buona volontà: ecco il lavoro che il suo immenso amore, il suo « troppo grande amore » lo spinge a compiere in me. Egli vuole essere la mia pace, affinchè nulla possa più distrarmi o farmi uscire dalla fortezza inespugnabile del santo raccoglimento; la, Egli mi avvicinerà al Padre, e mi custodirà immobile e quieta alla sua presenza, come se la mia anima già fosse nell'eternità "". « Col sangue della croce », pacificherà tutto nel mio piccolo ciclo, perché esso sia veramente il riposo dei « Tré ». Mi riempirà di sé, mi seppellirà mi farà rivivere con sé nella sua vita: « Mihj vìvere Christìis est » '".

Se cado ;id ogni istante, mi farò rialzare da Lui con fede piena di fiducia; so che mi perdonerà, che cancellerà tutto con cura gelosa; più ancora, mi spoglierà, mi libererà dalle mie miserie, da tutto ciò che ostacola l'azione divina; trascinerà le mie potenze e le farà sue schiave, trionfando di esse in Se medesimo. Allora s;irò passata tutta in Lui; potrò dire: « Non vivo pii/ io; iì mio Signore vive in me » "2; e sarò « santa, pura irreprensibile » agli occhi del Padre.

TREDICESIMO GIORNO

Camminare in Gesù Cristo

« Insfai/rare omnia in Christo » "3. È ancora san Paolo che mi istruisce, san Paolo che si è inabissato nel grande consiglio di Dio e mi dice che « Efli ha stabilito di instaurare tutte le

l'"f Colosscsi, II-10-12-13-14-15 lm Colossei, 1-22.

110 Caso straordinario, qui suor Elisabetta ha corretto il suo pensiero;

ecco i! testo di primo getto: <' È questa l'opera di Cristo in ogni anima di Iiuon;! volontà, ed e ciò che E.eli vuoi fare in me: essere la mia pace, perche nulla mi faccia uscire dal seno del Padre, perché io vi dimori immobile e quieta, come se l'anima mia fosse già nell'eternità ».

111 Filippcsi, T-21.

112 Galati, Tl-20. "3 Efesini. 1-10.

297

cose in Cristo ». Perché io, personalmente, possa realizzare questo piano divino, l'Apostolo viene ancora in mio aiuto e mi traccia un regolamento di vita: « Camminate in Gesù Cristo — mi dice — radicati in Lui, edificati in Lui, corroborati nella fede... e crescendo sempre più in Lui con l'azione di grazie » n<.

« Camminare in Gesù Cristo », mi pare che significhi uscire da se stessi, perdersi di vista, abbandonarsi per entrare più profondamente, da radicarvisi e da poter sfidare ogni avvenimento, ogni creatura, con le parole bellissime dell'Apostolo:

« Chi potrà separarmi dalla carità di Gesù Cristo? » '".

Quando l'anima è fissata in Lui a tale profondità che le sue radici vi affondano, la linfa divina fluisce, si riversa in lei abbondante, e tutto ciò che è imperfetto, banale, naturale, viene distrutto; «ciò che è mortale viene assorbito dalla y/'/a»1'". Allora, così spogliata di se stessa e rivestita di Gesù Cristo, l'anima non ha più da temere ne i contatti esterni ne le intime difficoltà, perché queste cose, anziché esserle di ostacolo, non fanno che « radicarla più profondamente nell'amore » del suo Maestro. Qualunque cosa avvenga, favorevole o contraria, anzi servendosi di tutto, « sempre lo adora per Lui stesso », perché è libera, affrancata da sé e da ogni cosa, e può cantare col Salmista: « Alt assedi un esercito; non freme il mio cuore; insorga contro di me la battaglia, io spero ugualmente, perché ]abveh mi nasconde nel segreto della sua tenda » 11T e questa tenda è Lui.

Tutto ciò mi sembra voglia dire san Paolo quando ci esorta ad essere « radicati in Gesù Cristo ».

E che cosa significa essere « edificati in Lui? ».

Il Profeta canta: « Mi ha innalzato sopra una rupe e la mia testa si erge al disopra dei nemici che mi circondano » "". Non è forse questa la figura dell'anima « edificata su Gesù Cristo? ». È Lui la rupe sulla quale essa è stata elevata al di sopra di se

t»4 Colossesi, II, 6-7-8. 113 Romani, VIII-35.

116 Corinti, V-4.

117 Salmo XXVI, 3-5. 1)8 Salmo XXVI, 5-6.

stessa, dei sensi, della natura, al di sopra delle consolazioni e dei dolori, al di sopra di tutto ciò che non è unicamente Lui! E là, nel pieno possesso di sé, è dominatrice del suo « io » e, superando se stessa, supera anche tutte le cose.

Ma san Paolo mi raccomanda ancora di essere « fortificata nella fede », quella fede che non permette mai nell'anima di sonnecchiare, ma che la tiene tutta vigilante sotto Io sguardo del Maestro, tutta intenta alla sua parola creatrice; in quella fede nell'« eccessivo amore » che permette a Dio — mi dice san Paolo — di colmare l'anima « secondo la Sua pienezza » "9. Infine, vuole che io « cresca in Gcsz'i Cristo con V azione dì grave », perdio tutto deve compiersi nel ringraziamento. « Padre, io fi rendo grazie » 1:"" cantava l'anima del mio Maestro: ed Egli vuoi senlirne l'cco nell'anima mia.

Ma mi sembra che il « cantico nuovo » che più di ogni altro può attirare e conquidere il mio Dio, sia quello di un'anima spoglia, svincolata da se stessa, nella quale Egli possa rispecchiare tutto ciò che è, e possa compiere tutto ciò che gli pare. Quest'anima sta come un'arpa sotto il tocco divino, e tutti i suoi doni sono come altrettante corde che vibrano per cantare giorno e notte « la lode della sua gloria ».

QUATTORDICESIMO GIORNO

Conoscere Lui

« Stimo tutte le cose una perdita, di fronte alla superiorità trascendente della conoscenza di Gesù Cristo, mio Signore. Per amore di Lui, ho tutto perduto..., e le cose tutte stimo come immondizia per possedere Cristo, e per poter essere trovato in Lui non avente una giustizia mia, ma la giustìzia che viene da Dio, basata sulla fede. Ciò che io voglio, è conoscere Lui, aver parte alle sue sofferenze, essere conforme alla sua morte... Continuo la mia corsa, studiandomi di arrivare là dove Cristo mi ha destinato chiamandomi. Mi preoccupo di una cosa sola:

'"' Efesini, lir-19. '^ San Giovnnni. XI-41.

299

dimenticando tutto ciò che Inscio indietro e slanciandomi costantemente verso ciò che mi sta dinanzi, correre diritto aìla mela, al premio della suprema vocazione alla quale d'!o mi ha chiamalo in Cicsìi (.risto >•• '"''. Di t.ìk' voc.r^ioni.', l'Apostolo li.ì spesso rivelato la grandezza. « Dio — egli dice —- cv /'•.' <'/<'/// ni Lui prima della creazione, perché fossimo imn'tico'ii'ti e Striiti di suo cospetto, nell'amore » 122. « Siamo stati predestina!', per decreto di Colui che tutto opera secondo il consiylm (Irllii shj rolnn-tà, affinchè siamo la lode della sua gloria » ' ' '.

Ma come rispondere alla dignità di questa voca.'ionc? Ecco il segreto: « Mthi vivere est » 12'1. ...« Vivo e'iiìm, ]aìn non ego, vivit vero in me Christtis » '''''. Bisogna essere trasformati in Gesù Cristo, mi insegna san Paolo: « Coloro che Dio ha conosciuti nella sua prescienza, li ha anche predestini1'! ad essere' conformi all'immagine del Figlio suo ». È necessario dunque che io studi questo divino Modello per imitarlo e immedesimarmi tanto in Lui, da poter esprimerlo agli ordii del Padre. E, prima di tutto, che cosa dice Egli, entrando nel mondo? « Eccomi; vengo, o mio Dio, per fare la tua voìo'-'ta » ì'26. Mi pare che questa preghiera dovrebbe essere il palpito del cuore della sposa. Il Maestro divino fu sì verace in questa prima obla'/.io-ne! E tutto il resto della sua vita non ne fu per così dire, che la conseguenza. « Mio cibo —— si compiaceva di ripetere — e fare la volontà di Colui che mi ha mandato » ìv'. E cibo anche per la sposa dovrebbe essere la volontà di Dio, pur essendo al tempo stesso spada che la immola. « Padre, se è possibile, allon-tana da me questo calice; ma si faccia la tua volontà e non la mia » "\ E, insieme al suo Maestro, in pace, con gioia, va ad ogni immolazione, rallegrandosi di essere sfa/a conosciuta dal Padre, poiché la crocifigge insieme al Figlio suo.

121 Filippesi, III-8... 14.

122 Efesini. 1-4.

123 Efesini, 1-21. 1;"1 Fi'ippesi, 1-21.

125 Gniati, 11-20.

126 Ehrei, X-9.

127 Snn Giovanni, IV-34. v!s Snn Marco, XIV-36.

300

« Ho preso le tue leggi per mia eredità in eterno, perché esse sono la delizia del mio cuore » 12?'. Ecco il canto dell'anima del mio Maestro, canto che deve avere una larga eco in quella della sposa; con la sua fedeltà in ogni istante a queste leggi esterne ed interne, essa renderà testimonianza alla verità, potrà dire: « Col ni che mi ha mandato non mi ha lasciata sola; Egli e sempre con me, perche io faccio sempre ciò che a Lui piace » '". Non lasciandolo mai, mettendosi fortemente a contatto con I.ni, ella potrà irradiare quella virtù segreta che salva e redime le anime. Spoglia, libera di se stessa e di tutte le cose, potrà seguire il Maestro sul monte per elevare dalla sua anima, con Lui, « una orazione a Dio » '". Poi, sempre per mezzo del divino Adorante, di Colui che fu la grande lode di gloria del Padre, « offrirci ininterrottamente a Dio un'ostia di lode, cioè il frutto delle labbra che rendono gloria al suo Nome » '". « E Lo loderà nella espansione della Sua potenza, secondo l'immensità della Sua grandezza » "3.

Quando suonerà l'ora dell'umiliazione, dell'annientamento, ricorderà questa breve parola: « Jesus antein tacebat » 134, e tacerà custodendo tutta la sua forza al Signore, quella forza che si attinge dal silenzio.

Quando verrà l'abbandono, la desolazione, l'angoscia che strapparono a Cristo quel gran grido: « Perché mi hai abbandonato? » '"", si ricorderà di questa preghiera: « Siano essi ripieni del mio gaudio » ÌM; e, bevendo fino in fondo il calice preparatele dal Padre, saprà trovare in quella stessa amarezza una soavità divina. E infine, dopo aver ripetuto tante volte:

« Ho sete » '", sete di possederti nella gloria, spirerà dicendo:

« Tutto è consumato... "". Nelle tue mani raccomando l'anima

'-") Salmo CXVtII-m.

1:>'' San Giovanni, VIH-29.

I:" San Luca, VI-12.

"2 Ebrei. XITT-15.

'••" Salmo CXLFV-6.

'••" San Matlco, XXVI-63.

'M San Matteo XXVIT-46.

'"' San Giovanni, XVII-15.

'" San Giovanni, XIX-30.

'" S.in Ginvanni, XIX-ÌO.

301

mia » "''. E il Padre verrà a prenderla per portarla nella Sua eredità dove « nella luce, vedrà la Sua luce » :'0. « Sappiate — cantava Davide — che Dio ha glorificato meravigliosamente il suo Santo » "'. Sì, il Santo di Dio sarà stato glorificato in quest'anima, perché vi avrà tutto distrutto per rivestirla di Sé, e perché essa avrà praticamente vissuto la parola del Precursore:

« Bisogna che Egli cresca e che io diminuisciì » '''.

QUINDICESIMO GIORNO

Janiia Coeli

Dopo Gesù Cristo e, s'intende, a quella distanza che passa tra l'infinito e il finito, vi è una creatura che fu anch'essa la grande lode di gloria della Trinità santa; ella corrispose pienamente alla elezione divina di cui parla l'Apostolo: fu sempre pura, immacolata, irreprensibile agli occhi del Dio tré volte santo.

La sua anima è così semplice, i movimenti ne sono così profondi, che non si possono scorgere. Sembra riprodurre sulla terra la vita dell'Essere divino, l'Essere semplicissimo; quindi, è così trasparente, così luminosa, che si potrebbe crederla la stessa luce; eppure non è che lo « specchio del Sole di giustizia, Speculum justitiae ».

« La Vergine custodiva queste cose nel suo cuore » '":

tutta la sua storia può essere compendiata in queste parole;

visse nel proprio cuore e a tali profondità, che lo sguardo umano non può seguirla. Quando leggo nel Vangelo che « Maria percorse con tutta sollecitudine le montagne della Giudea », per andare a compiere un'opera di carità presso la cugina Eli-sabetta, io la vedo passare, bella, calma, maestosa, intimamente raccolta col Verbo di Dio. La sua preghiera, come quella

139 San Luca, XXIII-46. 143 Salmo XXXV-10. 141 Salmo IV-4. "f2 San Giovanni. III-30. 113 San J.nca, IT-51.

302

di Lui, fu sempre: « Ecce: eccomi! ». Chi? L'ancella del Signore ' ''", l'ultima tra le sue creature, Lei, sua Madre!

Era così sincera nella sua umiltà! perché fu sempre dimentica, ignara, libera di se stessa; sicché poteva cantare: « L'Onnipotente ha fatto in me grandi cose; tutte le generazioni mi chiameranno beata » "''''.

Questa Regina dei Vergini è anche Regina dei martiri; ma la spndii la t infigge nel cuore perché tutto, in lei, si svolge nell'intimo.

La contemplo. Oh, come è bella nel suo lungo martirio, circonfusa d;i una specie di maestà da cui emana e forza e dolcezza! Perche ha imparato dal Verbo stesso come devono soffrire quelli clic il Padre ha scelti come vittime, quelli che ha deciso di associare alla grande opera della redenzione, « quelli che ha conosciuti e predestinati ad essere conformi al suo Cristo » crocifisso per amore. È lì, ai piedi della Croce, dritta e forte ne! suo coraggio sublime; e Gesù mi dice: « Ecce Mater ma » ''"'. Ma la da per Madre.

Ed ora che è ritornato al Padre, che ha messo me al suo posto sulla croce affinchè « io soffra in me quello che manca alla sua passione per il suo mistico corpo che è la Chiesa », la Vergine è qui ancora, vicina a me, per insegnarmi a soffrire come Lui, per farmi sentire gli ultimi canti dell'anima di Gesù, quei canti che soltanto lei, sua Madre, ha potuto intendere.

E quando avrò pronunciato il mio « consummatum est » sarà ancora lei, Janua coeli, che mi introdurrà negli atri divini, sussurrandomi la misteriosa parola: « Laetatus sum in bis quae dieta sunf mihi: in domiim Domini ibimus » 147.

SEDICESIMO GIORNO 777 seno alla tranquilla Trinità

« Come il cervo assetato sospira la fonte di acqua viva, così l'anima mìa sospira a tè, mio Dio! L'anima mia ha sete del

'•" San Luca, 1-38. "'- San Luc;i. i, 48-49. '•'s San Giovanni, XIX-27. ")7 Snimo CXX1.1.

30.3

Dio vivente. Quando verrò e comparirò dinanzi al suo Volto? » '".

Eppure, « come il passero che ha trovato un rifugio, come la torforelìa che ha trovato un nido per deporvi i suoi pìccoli » "9, così Laudem gloriae, in attesa di essere trasferita nella santa Gerusalemme, « beata pacis visio » "", ha trovato il suo ritiro, la sua beatitudine, il suo cielo anticipato, ove inizia la sua vita di eternità.

« In Dio la mia anima è silenziosa; di' Lui aspetto la mia liberazione. Sì, Egli e la rocca dove trovo la salvezza; è la fortezza, e non sarò vinta » '''". Ecco il mistero che canta oggi la mia lira. Come a Zaccheo, il Maestro ha detto a me: « Affrettati a discendere, perché voglio alloggiare in casa tua » 1:*2.

Discendere?!... Ma dove?... Nelle profondità della mia anima, dopo essermi separata, alienata da me stessa, dopo essermi spogliata di me stessa; in una parola: senza di me. « Bisogna che io alloggi in casa tua ». È il Maestro che m' esprime questo desiderio, il mio Maestro che vuole abitare in me col Padre e col suo Spirito di amore perché, come si esprime il discepolo prediletto, io abbia « società » lsi:' con Essi. « Non siete più ospiti o sfra'nieri, ma siete già della casa di Dio » 151, dice san Paolo. E questo « essere della casa di Dio », io intendo vivere in seno alla tranquilla Trinità, nel mio abisso intcriore, nella fortezza inespugnabile del santo raccoglimento di cui parla san Giovanni della Croce.

Davide cantava: « L'anima mia vien meno, entrando negli atri del Signore » ì'". Mi sembra che tale debba essere l'attitudine di ogni anima che si ritira nei suoi atri intcriori, per contemplarvi il suo Dio, per prendervi con Lui strettissimo contatto. Essa vien meno, in un'estasi divina, trovandosi dinanzi a

'" S.-ilino XLI, 2-3. "•' Salmo LXXXIII-4. 15]) Inno alla Dedicazione. 1]" Salmo LXT. 2-3. 1M San Luca, X1X-5. 153 II Giovanni, 1-3. ÌM Efesini, 11-19. 155 Salmo LXXXIII-3.

304

questo amore Onnipossente, a questa Maestà infinita che abita in lei. Non è la vita che l'abbandona, ma è lei stessa che, disprezzando questa vita naturale, se ne ritrae perché sente che non è degna del suo essere così ricco: e vuoi farla morire, per dileguarsi nel suo Dio.

Come è bella questa creatura così libera, spoglia di sé! È ormai in grado di « disporre ascensioni nel suo cuore, per salire, dalla valle delle lacrime, (cioè da tutto quello che è meno di Dio), al li/oyi che e sua méta » '''"', quel « luogo spazioso » "T cantato dal Salmista, che è — mi sembra — l'insondabile Trinità: Immensus Pater, immensus Filius, immensus Spiritus Sanctus 15S.

Sale, si innalza al di sopra dei sensi, della natura; supera se stessa, supera ogni gioia come ogni dolore, sorpassa tutte le cose, per non più riposarsi fino a che sia penetrata nell'infimo di Colui che ama e che le darà Egli stesso « ;/ riposo dell'immenso abisso » cantato dal Salmista: l'insondabile Trinità. E tutto questo, senza che sia uscita dalla « santa fortezza ».

« II Maestro le ha detto: « Affrettati a discendere ».

E ancora senza uscirne, vivrà, a somiglianzà della Trinità immutabile, in un eterno presente, adorando Iddio per Lui stesso, e diventando, mediante uno sguardo sempre più semplice, più unitivo, « lo splendore della sua gloria » 159, o in altre parole, l'incessante lode di gloria delle sue perfezioni adorabili.

'•••' Snimo LXXXIII, 6-7, '" Salmo XXX-9. I"''1 Simbolo Atanasiano. 'M F.hrei, } ^.

305

ELEVAZIONE ALLA SS. TRINITÀ

Sintesi ilcllii vit.ì intcriore ili Slìor Riisabettn.

— O mio Dio, Trinità che adoro, aiutami a dimenticarmi interamente, per fissarmi in Tè, immobile e quieta come se la mia anima fosse già nell'eternità. Nulla possa turbare la mia pace ne farmi uscire da Tè, o mio Immutabile; ma che, ad ogni istante, io mi immerga sempre più nelle profondità del tuo mistero!

Pacifica l'anima mia; rendila tuo ciclo, tua prediletta dimora e luogo del tuo riposo. Che, qui, io non ti lasci mai solo; ma tutta io vi sia, vigile e attiva nella mia fede, immersa nella adorazione, pienamente abbandonata alla tua azione creatrice.

O amato mio Cristo, crocifisso per amore, vorrei essere una sposa per il tuo cuore, vorrei coprirti di gloria, vorrei amarti... fino a morirne!...

Ma sento tutta la mia impotenza; e Ti prego di rivestirmi di Tè, di identificare tutti i movimenti della mia anima a quelli dell'anima tua, di sommergermi, di invadermi, di sostituirti a me, affinchè la mia vita non sia che un rinesso della Tua Vita. Vieni in me come Adoratore, come Riparatore e come Salvatore.

O Verbo eterno, Parola del mio Dio, voglio passar la mia vita ad ascoltarti, voglio rendermi docilissima ad ogni tuo insegnamento, per imparare tutto da Tè; e poi, nelle notti dello spirito, nel vuoto, nell'impotenza, voglio fissarti sempre e starmene sotto il tuo grande splendore. O mio Astro adorato, affascinami, perché io non possa più sottrarmi alla tua irradiazione.

O fuoco consumante. Spirito d'amore, discendi in me, perché si faccia nell'anima mia quasi una incarnazione del Verbo! Che io Gli sia un prolungamento di umanità, in cui Egli possa rinnovare tutto il Suo mistero.

E Tu, o Padre, chinati verso la tua povera, piccola creatu-

306

ra, coprila della tua ombra, non vedere in essa che il Diletto nel quale hai posto la tua compiacenza.

O miei « Tré », mio Tutto, Beatitudine mia, Solitudine infinita, Immensità nella quale mi perdo, io mi abbandono a Voi come una preda. Seppellitevi in me perché io mi seppellisca in Voi, in attesa di venire a contemplare nella vostra Luce l'abisso delle vostre grandezze.

21 novembre 1904.

307

311

 

INDICE

Prefazione . Introduzione

9

17

Cap. I: itinerario spirituale ...... 25

I - vita INTT.KIORF. NEI. MONDO, 25

1. Capricci di bimba, 25 - 2. Conversione, 26 - 3. FeJtó mondane, 27 - 4. Opere di apostolato, 28 - 5. Vacanze estive, 29 - 6. L'« rti'crc cantra », 32 - 7. Prime grazie mistiche, 32 - 8. L'incontro col l',i,lrc V,i!lcr, 34. 11 - CAKMr.l.n'ANA, 36

). // .tw:i idrate ili C/irmelitaiia, 36 - 2. Grave sensibili ilei postulandolo, 39 - 3. Le purificazioni del noviziato, 40 - 4. V?7a yro-fonda, 44.

Ili - verso L'UNIONE TRASFORMANTE, 46

Cap. II: L'ASCESI DEL SILENZIO ...... 59

1. La .M»/a del silenzio, 60 - 2. Il silenzio esteriore, 62 - 3. J/ silenzio intcriore, 64 - 4. Divinimi silentium, 69.

Cap. Ili - L'INABITAZIONE DELLA trinità . ... 73

1. La santa della di vi uà inabit azione, 74 - 2. La sua dottrina del-l'inahitavnnc divina, 83 - 3. Il luogo di questa presenza: il centro più profondo deìl'aniina, 86 - 4. Suoi atti essenziali: l'attività della fede; l'esercizio dell'amore, 88 - 5. ideila fede pura, 88 - 6. Primato dell'amore. 90 - 7. La pratica: fare atti di raccoglimento, 94 -8. Piccolo catechismo della presenza di Dio, 97 - 9. Progresso nella presenza di Dio, 100 - 10. I due principali effetti di questa presenza: l'oblio di sé e l'unione trasformante, 101 - 11. Ah! se potessi dire' a tutte le anime!..., 108.

Cap. IV: la LODE DI GLORIA . . . . . . .111

1. Il nome nuovo, 113 - 2. Una lode di gloria è un'anima di silenzio, 119-3. La lode dì tutti i suoi doni, 120 - 4. La vita eterna incominciala, 123 - 5. La lode dell'anima crocifissa, 126 -6. L'anima i un ciclo che canta Dìo, 128-7. Ufficio di una lode di filaria, 129.

309

Cap. V: la conformità A cristo .... Pag. 133

1. La nostra predestinazione in Cristo, 136 - 2. La presenza intima di Gesù, 139 - 3. Devozione all'anima di Cristo, 143 - 4. Identificare i movimenti dell'anima propria a quelli dell'anima di Cristo, 144 - 5. Esprimere Cristo allo sguardo del Padre, 145 - 6. Essere per Lui quasi un prolungamento dì umanità, 150 - 7. La conformità alla sua morte, 152.

Cap. VI: janua coeli ........ 157

1. La Vergine del Carmelo, 160 - 2. La Vergine dell'incarnazione, 163 - 3. Janua co eli, 166.

Cap. VII: suor elisabetta DELLA trinità E LE

ANIME SACERDOTALI . . . . . . . .171

1. Amicizie sacerdotali, 172 - 2. I! sacerdote della Messa, 177 -3. Associata all'apostolato del sacerdote, 179 - 4. Il sacerdote e la dirczione delle anime, 183.

Cap. Vili: I DONI DELLO spirito SANTO . . . .190

1. L'azione dei doni dello Spìrito Santo, 190 - 2. Spìrito di timore, 199 - 3. Spirito di fortezza, 201 - 4. Spirito di pietà, 204 - 5. Spirito di consiglio, 209 - 6. Spirito di scienza, 211 - 7. Spirito di intelletto, 213 - 8. Spirito di sapienza, 218.

Cap. IX: elevazione alla trinità .... 227 Epilogo - la sua missione ....... 245

1. Il grande silenzio inferiore, 246 - 2. Lode di gloria della Trinità, 249.

TESTI SPIRITUALI

ultimi CONSIGLI DI VITA INTERIORE ..... 255

il PARADISO SULLA TERRA ....... 261

Orazione 1" La Trinità: ecco la nostra dimora, 261

Orazione 2' « Rimanete in me », 262

Orazione 3" « II regno di Dio è dentro di voi », 263

Orazione 4" « Se qualcuno mi ama », 264

Orazione 5" « Voi siete morti », 265

Orazione 6" « II nostro Dio è un fuoco consumante », 265

Orazione 7' « Sono venuto a portare fuoco sulla terra », 266

310

Orazione 8'

Orazione 9'

Orazione 10"

Orazione 11'

Orazione 12°

Orazione 13'

« Per avvicinarsi a Dio, bisogna credere », 267 « Conformi all'immagine del Figlio », 268 « TI Cristo è la mia vita », 269 L'adozione dei figli di Dio, 271 La Vergine dell'Incarnazione, 273 Una lode di gloria, 274

ultimo RITIRO DI « laudem GLORIAE ». . . . 277

1° giorno: « Mescivi », 277

2° giorno: « Nel silenzio delle potenze », 278

3" giorno: Alisi presenza di Dio. 280

4° giorno; Ecco la fede, 282

5" giorno: Sulla via del Calvario, 284

6" giorno: Quelle anime sono vergini, 286

7° giorno: Niente altro che la gloria dell'Eterno, 287

8° giorno: Si prostrano, adorano... depongono le loro corone, 289

9" giorno: «Siate santi, perché io sono santo», 290 10° giorno: In un eterno presente, 292 11" giorno: Tutta la Trinità abita nell'anima, 294 12° giorno: «Per Lui, io posso accostarmi al Padre», 296 13° giorno: Camminare in Gesù Cristo, 297 14° giorno: Conoscere Lui, 299 15" giorno: Janua coeli, 302 16" giorno: In seno alla tranquilla Trinità, 303

elevazione alla santissima trinità (Sintesi della • vita ulteriore di Suor Eissabetta) ..... 306

 

 

 

 

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