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M. - M. PHILIPON O. P.
LA DOTTRINA SPIRITUALE
DI SUOR ELISABETTA DELLA TRINITÀ
« Tu puoi credere alla mia dottrina, perché non e mia
» (Alla mamma - Giugno 1906)
M O R C E L L I A N A
Titolo originate:
La docirìne spiritnelìi' de Socur Elisabelh de ìa 'friniti''
© Desclée de Brouwer & e. Triìdm. di Eleiiii Ortaììi,
Suora MarceU'fia
OTTAVA RISTAMPA
Con afiprova-Jn'ic eccìdi astii: a
DICHIARAZIONE
Autore ed editore dichiarano di sottomettersi pienamente
ai decreti d'Urbano Vili del 13 marzo 1624 e 4 giugno 1651. e di non
volere prevenire, in qualsiasi modo, il giudizio della Chiesa.
© Copyright by Morcetliana - Brescia 1968 Tipografia «
La Nuova Cartoprafica ^ - Brcscia
ALLA JANUA COELI « PORTA DEL CIELO » PER LA QUALE .
CONTINUA L'ASCESA DELLE ANIME VERSO LA TRINITÀ OMAGGIO FILIALE
L L
PREFAZIONE
« Questo mistero dell'abitazione della SS. Trinità nel
più intimo del suo essere, fu la grande realtà della sua vita intcriore
».
R. garrigou-lagrange
Le verità più elementari della fede, come quelle
espresse nel Pater, ci
appaiono le più profonde, quando si sono meditate a lungo, con amore,
quando si sono vissute portando la croce, per lunghi anni, così che sono
divenute oggetto di una contemplazione quasi ininterrotta.
Basterebbe ad un'anima vivere profondamente una di queste
verità della nostra fede, per essere condotta fino alle vette della
santità.
Fra queste verità, bisogna mettere in prima linea quella
della presenza particolare di Dio nell'anima dei giusti, secondo la parola
di Gesù: « Se alcuno mi ama, osserverà i miei comandamenti; e il
Padre mio l'amerà; e noi verremo in luì, e porremo in lui la nostra
dimora » (Giov. 14, 23). Con queste parole, e promettendo di inviarci
lo Spirito Santo, nostro Signore ci ha insegnato che la vocazione più
fondamentale di ogni anima battezzata, è di vivere in società con le
Persone stesse della Trinità santa. Allora realmente si può dire,
secondo la espressione sovente ripetuta da san Tommaso, che la vita
cristiana è, fin dalla terra, in un certo senso, la vita eterna
incominciala: « Quaedam inchoatio vitae aeternae ».
La grazia del battesimo ci dona una vera partecipazione
alla natura divina, quale sussiste in seno alla Trinità. Dio ci ha amati
nel Figlio sun, fino a volerci partecipi del principio stesso della sua
vita intima, del principio della visione immediata che Egli ha di Se
stesso, e che comunica al Verbo e allo Spìrito
Santo. In tal modo, i giusti entrano nella famiglia di Dio
e nel ciclo della vita trinitario.
La fede viva, illuminata dal dono della sapienza, li
assimila alla luce del Verbo; la carità infusa li assimila allo Spirito
Santo. Il Padre genera in essi il suo Verbo, in essi il Padre e il Figlio
spirano l'Amore sostanziale che li unisce. In ciascuno dei giusti, la
Trinità abita come in un tempio vivente; in un tempio oscuro quaggiù; in
una luce senz'ombre e in un amore senza fine in ciclo.
La serva di Dio Elisabclta della Trinila fu una di queste
anime luminose ed eroiche che sanno attaccarsi fortemente ad una delle
grandi verità della fede, le più semplici e le pili vitali e, sotto le
apparenze di una vita ordinarla, sanno trovarvi il segreto di una profonda
unione con Dio.
Questo mistero dell'abitazione della Trinità santa nel
più intimo del suo essere, fu la grande realtà della sua vita inferiore.
Non diceva ella stessa: « La Trinità! ecco la nostra dimora, la nostra
cara intimità, la casa paterna donde non bisogna uscire mai... Ho trovato
il mio ciclo sulla terra, poiché il ciclo è Dio, e Dio è nell'anima
mia. Il giorno in cui l'ho compreso, tutto si è illuminato in me...
»?
Il perno di questa vita soprannaturale è cì.iiaro che si
trova nell'esercizio delle virtù teologali. La fede è la luce
soprannaturale che ci rende atti a ricevere la rivelazione del mondo
divino. La speranza, appoggiandosi sull'onnipotenza soccorritrice di Dio,
ci fa tendere con intima certezza verso l'eterna beatitudine. La carità
ci stabilisce immutabilmente nell'amicizia e nella società delle divine
Persone, secondo la dottrina dell'apostolo san Giovanni: « Dio è
amore. Chi riroane nell'amore, rimane in Dio, e Dio in lui ». In
fondo, è la s fessa vita soprannaturale che comincia sulla terra col
battesimo, e fiorirà in ciclo, nella visione beatifica.
La fede è alla base di tutta questa attiviti'! nuova; è
la « sostanza », il principio, il germe « delle cose che
speriamo » e che contempleremo un giorno svelai amen tè. Il minimo
raggio di fede è dunque infinitamente superiore alle intuizioni naturali
dei più grandi geni e degli stessi Angeli, più sublimi; è del me-
10
e/esimo ordine della visione beatìfica, ordine
essenzialmente soprannaturale; perciò la fede viva, illuminata dai doni
dell'intelletto e (iella sapienza, è la sola luce proporzionata a questa
vita tì"i'/ifini ita con le Persone divine.
Così, suor Elisabetta della Trinità ci si manifesta
innanzi tutto come un'anima di fede, in comunione sempre più intima col
mondo invisibile, a misura che, sotto la mano di Dio, le purificazioni dei
sensi e dello spirito si susseguono, attraverso gli avvenimenti delia sua
esistenza. Da vera figlia di san Giovanni della Croce, si rendeva conto
della parte importantissima che ha la fede fieli'ordine soprannaturale. «
Per avvicinarsi a l~)in -- scriveva — bisogna credere
». « La fede è sostanza delle cose che dobbiamo sperare e convinzione
di quelle che non. ci è dato vedere ». San Giovanni della Croce dice
che « In fede è per noi il piede che ci porta a Dio; anzi, è il
possesso di Dio nell'oscuri! ci. Soltanto la fede può darci lumi sicuri
su Co!ui che amiamo; e l'anima nostra deve sceglierla come il mezzo per
giungere all'unione beatifica ».
Senza trascurare la pratica delle virtù morali, si
applicò con sempre maggior diligenza all'attività inferiore delle virtù
teologali. « La mia sola occupazione è rientrare nell'intimo mio e
perdermi in Coloro che vi abitano ».
Ma la fede, la speranza e la carità non possono
raggiungere la loro pienezza senza una speciale assistenza di Dio; e la
vita mistica è caratterizzata appunto dall'azione sempre crescente e
predominante dei doni dello Spirito Santo. Le virtù teologali, infatti,
quantunque superiori ai doni che le accompagnano, ricevono da questi una
perfezione nuova, come l'albero è più perfetto coi suoi frutti che privo
di essi. San Tommaso insegna che colui il quale non possiede ancora se non
imperfettamente un principio di azione, non può agire come si
conviene, senza essere aiutato da un agente superiore. Nella vita
spirituale, il principitintc ha bisogno di avere vicino a sé un maestro
esperio, proprio come lo studente in medicina o in chì-rurgiti hit l-iis'ìgiio
di essere diretto dal maestro che lo forma. Ora l'am m n del giusto, pur
possedendo le virtù teologali e m or fili, non possiede però ancora se
non imperfettamente quel-
la vita divina della grazia che la introduce nella
famiglia ({ella Trinità. Bisogna dunque che le divine Persone sfesse
vengano ad aiutarla, secondo le parole di san Paolo ai Romani:
« Tutti quelli che sono conciotti dallo Spirilo di
Dio, sono figli di Dio» (8, 14). Bisogna riverì' ncll'infiinjlà
delle divine Persone, non alla maniera di creatura umana, ma alla
maniera di Dio, per essere « perfetti come ii Padre celeste che è
perfetto ». Come giudicare delle cose fu He, divine ed umane, nel
modo in cui le giudica Dio stesso, senza una comunicazione speciale
della scienza e della sapienza divina? Come, in mezzo alle situazioni,
spesso inestricabili della vita quotidiana, prendere una decisione rapida
che coincida col piano della Provvidenza, senza una speciale mozione del
dono del consiglio? Come, infine, restare indissolubilmente uniti alla
divina volontà, tra le difficoltà a volte tremende della vita, senza
un'assistenza speciale della forza stessa di Dio, sola capace di.
trionfare di tutte le potenze del male?
Quesii doni dello Spirito Santo, poi, si manifestano con
infinita varietà nel mondo delle anime, secondo le circostanze in cui Dio
le pone e secondo la. loro missione. In alcune -si notano maggiormente i
doni intellettuali, in altre quelli del timore, della pietà, della forza;
e la loro azione ha toni e sfumature infinite. Inoltre, uno stesso dono
assume forme diverse secondo i santi. Negli uni, come in un sant'Agostino,
la sapienza si manifesta prevalentemente in forma contemplativa; in altri,
come in un san Vincenzo De' Paoli, in forma pratica, tutta orientata verso
le opere di misericordia. Ai primi lo Spirito concede di penetrare nelle
profondità di Dio gustandole ineffabilmente, e di luminosamente
esprimerle; agli altri fa vedere, quasi, sotto una luce diffusa, le membra
sof-fòrcnti di Cristo e ispira come dedicarsi efficacemente alla loro
salvezza. Ncìla Serva dì Dio di cui si parla in queste pagine, colpisce
il grado elevato dei doni dell'intelletto e della sapienza che le danno
una cosi grande penetrazione del mistero della Trinità e glielo fanno
così profondamente gustare, in maniera quasi continua.
Anche prima della sua entrata al Carmelo, era tutta com-12
presa della presenza delle divine Persone nel profondo
dell'anima sua. Al termine della vita, nella festa dell'Ascensione,
l'ultima che passò sulla terra, a tal punto sentì che la Trinità santa
prendeva possesso dell'anima sua, che intravide le tré Persone
divine tenere in lei il loro consiglio d'amore; e da quel giorno, quando
le veniva raccomandata qualche particolare intenzione, rispondeva: « Ne
parlo subito al mio onnipotente Consiglio ». La vigilia della sua
morte, ella poteva scrivere in luffa veri/ci: « Credere che un Essere,
che si chiama l'Amore, abita in noi tutti gl'istanti del giorno e della
notte e ci chiede di vivere in società con Lui, è, ve lo confido ciò
che ha fatto della mia vita un Paradiso anticipato ».
Restiamo pure ammirati nel vedere a quale grado ella
ricevette il dono della forza. Si può constatarlo da ogni passo, nella
fermezza con la quale la Serva di Dio accettava le più dure prove,
particolarmente la sua malattia. Non potendo darsi alle mortificazioni
straordinarie che l'ohbedienza alla sua supcriora le proibì, sempre, ella
passò coraggiosamente, senza piegare mai, durante tutto il lungo e penoso
anno di noviziato, attraverso alle dolorose e inevitabili purificazioni
passive di una sensibilità ancora troppo viva. Percorse valorosamente il
cammino della notte oscura, sempre più rifugiandosi nella nuda fede, non
cessando di. elevarsi a Dio, al di sopra di tutte le sue grazie e
di tutti i suoi doni.
Ma soprattutto nel corso dell'ultima malattia, si rivelò
stupendamente in lei il dono della fortezza. Mentre tutto il suo essere
andava consumandosi, l'anima rimaneva immutabile, sotto le purificazioni
divine più crocifiggenti, immobile al di sopra della stessa
sofferenza, per non pensare, in ogni gioia ed in ogni dolore, che al suo
ufficio di « lode di gloria della Trinità ». lillà ricorda con
quale divina maestà Cristo Rè coro fiato di spine ha salilo il Calvario:
e proprio un riflesso di tale maestà si ritrova in questa coraggiosa
sposa del Salvatore che ha lavoralo con Lui, in Lui, per Lui, con gli
stessi mezzi usati da Lui.. per la salvezza delle anime. Dio ha veramente
esaudito il suo supremo desiderio: « Morire, non solo pura come un
angelo, ma trasformata in Gesù Crocifisso ».
13
Finalmente, una dette note più caratteristiche della
fisionomia spirituale di suor Elisabetta della Trinità è certamente il
suo senso dottrinale, alimentato alle migliori sorgenti del pensiero
cristiano, nei suoi due Maestri preferiti: san Paolo, l'apostolo del
mistero di Cristo, e san Giovami! della Croce, il dottore mistico del
Carmelo.
Senza essere teologo nel. senso formale della parola,
essa, la'vera figlia di santa Teresa, aveva il gusto della soda dottrina;
e sapeva farne l'alimento sostanziale della sua vita intcriore,
assaporando, nel silenzio e nell'orazione, le grandi verità della fede,
sotto la luce di vita che cresce in noi con l'amore di Dio e delle anime.
Occorreva dunque rilevare, alla luce dei principi
direttivi della teologia mìstica, i movimenti essenziali di questa anima
contemplativa, e discernere le verità fondamentali di cui ha vissuto la
Serva di Dio, secondo la sua grazia personale, in una forma carmelitana.
Dopo aver segnato le tappe principali della sua ascesa, era di sommo
interesse mettere in risalto i punti della dottrina di cui la sua vita
spirituale si era specialmente nutrita: l'ascesi del silenzio, I'inabi
fazione della Trinità, la lode di gloria, la conformità al Cristo; come
pure la sua devozione tutta personale alla V ergine della Incarnazione,
l'azione dei doni dello Spirito Santo in lei, il senso profondo della sua
preghiera divenuta celebre, e della sua missione.
Il Padre M^rie-Michel Philipon ha scritto queste pagine
dopo aver a lungo meditato la vita e gli scritti di suor Elisa-betta della
Trinità. Se ne è veramente compenetrato per molti anni, e ha cercato di
spiegarli alla luce dei principi della teologia, quali sono formulati da
san Tommaso e applicati alla dirczione delle anime contemplative da san
Giovanni della Croce. Egli ha compiuto questo lavoro con una grande pietà
e un senso dottrinale che gli hanno permesso dì mantenere lo slancio
soprannaturale e insieme la giusta misura, l'equilìbrio, m questi
problemi così delicati, specialmente dove la Serva di Dio ha dovuto
praticare simultaneamente virtu in apparenza contrarie: la forza e la
dolcezza, la prudenza e la semplicità, la compassione per gli erranti e i
peccatori e insieme lo zelo ardente per la gloria di Dio.
14
Sarà letto con grande profitto, questo studio illuminato
e profondo, in cui la teologia «
della grazia, delle virtù e dei doni » si manifesta in maniera
concreta e vivente, svelando le ricchezze in essa contenute.
Possa la SS. Trinità ricevere da questo libro un nuovo
raggio di gloria! E le anime che lo leggeranno vi attingano la vera
umiltà così infimamente connessa con le virtù teologali che ci danno il
senso delle alte cime.
Quanti poveri esseri umani, fatti per la vita immortale e
per la società con le divine Persone, si trascinano nella agitazione
sterile di un mondo disorientato!
Si degni, il Signore, far trovare a molti, in queste
pagine, l'orientamento per dirigersi e riconquistare la via della verità
che conduce all'intimità divina, alla « luce di vita » che
mostrandoci « l'unico necessario » tutto illumina dall'alto.
fr. reginaldo garrigou-lagrange O. P.
15
C
INTRODUZIONE
« Uno sguardo di teologo: sopra un'anima e una dottrina
»
I Ricordi die contengono la narrazione della vita e
numerosi scritti di suoi- Elisabetta della Trinità, appena pubblicati, si
sono diffusi in Francia, pur senza chiassosa propaganda, con una rapidità
straordinaria: più di novantamila copie in meno di trent'anni; senza
contare una dozzina di traduzioni in lingue straniere. Se ne sta
compiendo, ora, anche la versione in cinese.
Inoltre, innumerevoli testimonianze di riconoscenza sono
giunte al Cannelo di Bigione, dopo la lettura dei Ricordi, da tutte
le parti del mondo e dagli ambienti più diversi: da semplici cristiani,
da anime religiose e contemplative, soprattutto da numerosi sacerdoti e
seminaristi, da eminenti teologi, da mèmbri notevoli dell'Episcopato.
Sua Eminenza il Cardinale Mercier, nel suo viaggio di ritorno
da Roma dopo la canonizzazione di santa Giovanna d'Arco, volle fermarsi in
pellegrinaggio al Carmelo di Bigione. Quando gli fu mostrato, al
capitolo, un ritratto dì suor Elisabetta della Trinità chiese:
— Quanto tempo trascorse al Carmelo?
— Cinque anni, Eminenza — rispose la Madre Priora. E
il Cardinale, abbozzando un sorriso:
NO'r/1 - Kcco le date più importanti della sua vita: Nata
a Bourges il 18 luglio 1880. Rìiltew.ata il 22 luglio 1880. Prima
comunione: 19 aprile 1891. Prime prazie mistiche: ritiro del gennaio 1899.
Entrata al Carmelo: 2 agosto 1901. Vestizione: 8 dicembre 190!.
Professione per)T<"tua: F-pifiitm 1905. Entrata nella infcrmeria:
marzo 1906.
— Si diventa sante in fretta, qui.
Entrando poi nella celletta della piovane carmelitana,
trasformata in oratorio, lo stesso pensiero tornò sulle sue labbra:
— Ha fatto presto, lei, a divenire santa; mentre noi ci
trasciniamo.
E i Ricordi furono, a più riprese, per l'illustre
e santo Prelato, il suo libro preferito. In una riunione sacerdotale,
raccomandandolo vivamente, espresse il desiderio clic esso si trovasse
nella biblioteca di tutti i suoi sacerdoti.
A quali cause va attribuita una tale irradiazione?
Appartiene alla Chiesa — e ad essa sola — pronunciarsi
intorno alla santità dei servi di Dio; e fin d'ora ci inchiniamo
filialmente e senza riserva al suo giudizio. Quanto a noi, ci siamo posti
in un altro punto di vista.
Esaminando, nel Carmelo di Bigione, la corrispondenza ivi
ricevuta dopo la pubblicazione dei Ricordi, e moltiplicando nelle
comunità religiose le indagini sulla natura dell'influenza esercitata da
suor Elisabetta della Trinità, si e venuta delineando una conclusione che
ci si impone come un'evidenza di fatto: ciò che maggiormente ha colpito
negli scritti della santa carmelitana, è il loro carattere dottrinale.
Il P. Sauvé aveva ragione e non faceva che esprimere un'impressione
generale Iquando scriveva: « Forse per questo i Ricordi faranno il più
gran bene ». E si potrebbero moltipllcare le testimonianze analoghe che
confluiscono da scuole delle più diverse spiritualità 1; ma
due, fra tante, ci sembrano specialmente rivelatrici.
Il R. P. Arintero O. P. scriveva al Carmelo di Digione, il
16 giugno 1927: « Questo libro (i Ricordi) mi incanta per la sua
bella dottrina che è destinata a fare un bene immenso alle
anime...
Ciò che ammiro soprattutto in questa Serva di Dio e il suo
senso profondo dei grandi misteri della vita cristiana: della
1 I «Ricordi»
citano: il R. P. Foch, S. T. — ^om Vandeur, O. S. B. — il Cb. Sauvé,
S. S. — il R. P. Luigi della Trinitii, C. D. — II R. P. Vallèe, O. P.
— alcuni Certosini, ecc.
18
nostra incorporazione al Cristo del quale dobbiamo
continuare la missione, dell'abitazione della Trinità nei nostri cuori...
Questo senso dei grandi misteri, identico a quello dell'Apostolo, le ha
dato di poter interpretare fedelmente i punti più belli delle grandi
epistole di san Paolo. Quando suor Elisa-betta le spiega nelle sue lettere
familiari — sia pure soltanto di passaggio — spande torrenti di viva
luce, attirando innumerevoli anime alla vita inferiore... ».
S. E. Mons. Sagot, a sua volta, scriveva:
« Ciò clic mi sembra più notevole nella vita di suor
Eli-sabetta è l'esatta conformità delle sue vedute, delle sue
attrattive, della sua vita intcriore, delle sue -parole, coi principi più
s'iniri della teologia mistica. Ella non sa sottilizzare; non si
lascia trasportare dall'immaginazione al di là degli spazi dove risiede
la sana ragione illuminata dalla fede e vivificata dall'amore. Le
considerazioni sottili, vaghe o nebulose, 'le sono estranee; poiché,
essendo il suo pensiero sempre preciso, così è precisa l'espressione che
spontaneamente le scorre dalla penna. Come bene conosce e penetra il senso
delle Sacre Scritture, e particolarmente delle Epistole del grande san
Paolo, per il quale il suo cuore ardente nutre una predilezione che non ci
sorprende! E come interessanti e giusti i commenti coi quali illumina
gl'insegnamenti più sublimi di san Giovanni della Croce! Ma di chi sono
queste dissertazioni condotte con tanta elevatezza e fermezza di spirito?
Forse di un sacerdote abituato da lungo tempo allo studio della teologia e
all'orazione mentale? Tn queste soluzioni semplici e luminose, ma insieme
di una logica virile, si esiterebbe a riconoscere l'anima di una
fanciulla, se il calore e la grazia di uno stile sempre delicato e puro,
spesso gaio e vivace, non effondesse una soa-vit.ì incomparabile su tutti
gli scritti di Elisabetta. Questa cara giovane amava anzitutto, ad esempio
di santa Teresa, la vera, la forte, la bella dottrina » 2.
Questa « esatta conformità di vedute coi principi più
sicuri della teologia mistica » è davvero la nota più caratteristica di
tale spiritualità essenzialmente dottrinale. Ed è que-
2 Da «
Ricordi ».
15
sta l'impressione dominante che sempre ci accompagnava
nell'esame dei testi e dei documenti lasciati da suor Elisabetta della
Trinità, impressione che ci ha detcrminato a tentare di scoprire ed
esplicare il significato profondo. Vorremmo poter definire così questo
nostro lavoro: uno sguardo di teologo sopra un'anima e una dottrina.
Benché il nostro scopo principale non fosse di compiere
un lavoro di storiografo, pure abbiamo cercato di mantenerci rigorosamente
oggettivi nella interpretazionc dei fatti. Non si trattava di costruire a
priori una tesi mistica e di farvi entrare per forza delle testimonianze e
dei documenti; ma piuttosto di rintracciare, con le leggi del metodo
storico, il loro senso autentico, secondo le circostanze di tempo, di
luogo, di destinazione, di ambiente religioso e sociale, e determinarne
quindi l'integro significato in relazione alle condizioni psicologiche,
alle influenze ricevute, umane o divine.
Per garantire l'oggettività di questo sguardo, un lungo
lavoro si imponeva, di documentazione e di ricerca positiva. Abbiamo
confrontato tutti gli scritti sugli stessi autografi, eccettuata qualche
rara lettera di cui, però, abbiamo potuto avere una copia che ci è stata
accertata conforme all'originale. Abbiamo utilizzato nimìcì'osi testi
che compaiono qui per la prima volta. Con penna alla mano, abbiamo
interrogato il maggior numero possibile di testimoni, particolarmentc le
tré amiche più intime di Elisabetta Catez prima della sua entrata in
Convento; la sua stessa sorella, a lungo; alcune Religiose sue
contemporanee al Carmelo, una delle quali, le era unita d;i profonda
amicizia; il suo confessore che la difesse dai i 5 ai 21 anni; altre
persone che la conobbero; un sacerdote della sua famiglia che la aveva
avvicinata molte volte; finalmente e sopra tutti, il testimonio più
autorevole della sua vita: la madre Germana di Gesù, che durante tutto il
soggiorno di suor Elisabetta al Carmelo di Bigione, fu per lei Maestra
delle novizie, prima, quindi Supcriora. Quest'ultimo testimonio è di
così straordinario valore, che merita una speciale menzione.
Ora che una morte santa l'ha richiamata a Dio, sentiamo
come un dovere di riconoscenza il bisogno di dire die nuHn
20
poteva essere! di più prezioso, per l'elaborazione di
quest'opera, delle confidenze ricevute e delle lunghe ore d'intimità con
madre Germana intorno a colei che fu veramente « la sua figliola ».
L'abbiamo consultata su tutti i punti con la mas-. sima cura; e più volte
abbiamo avuto l'inapprezzabile consolazione di trovare in lei conferma
piena alle conclusioni che ci sembrano scaturire dalla attenta analisi
dei documenti. Tutti i punti essenziali di questo libro furono fissati
perfettamente d'accordo con lei.
TcriTiin;il:o questo lavoro critico di discernimento,
restava quello che ersi lo scopo primo, fondamentale dell'opera: rilevare,
alla luce dei fatti e delle confidenze ricevute, il senso dottrinale
della vita e degli scritti di suor Elisabetta della Trinità, Per
rispettare anche qui una perfetta oggettività bisognava sorprendere la
dottrina di suor Elisabetta della Trinità alla sua viva sorgente e
seguirne lo svolgimento, il progresso. Bisognava cioè, secondo il buon
metodo giungere a spiegare la dottrina attraverso la psicologia concreta
di cui quella è frutto. La dottrina mistica di suor Elisabetta non è
infatti l'esposizione astratta e didattica di un professore di teologia,
ma e, prima di tutto, onda che zampilla da un'anima contemplativa. .11
compito di una carmelitana non è di insegnare dottrinalmente le vie
spirituali, ma di vivere nel silenzio di una anima « tutta nascosta in
Dio col Cristo » 3. Libero poi Lui, il Maestro, di far
risplendere, quando gli piaccia, per l'utilità della sua Chiesa, le
ricchezze dottrinali di una tale testimonianza, fì così che irradia viva
luce il messaggio dottrinale di santa Teresa di Gesù Bambino e,
quantunque in altra maniera, senza magnificenza, ma con profondità, come
si addice ad un apostolo della vita intcriore, anche quello di suor
Elisnbetta della Trinità. « Divisiones grafiarum, idem Spiri fu s » 4.
Ecco quindi la necessità di iniziare questo lavoro
dottrinale, con un lungo capitolo preliminare che si presenti come lo
schizzo di un'anima e ne segni le ascensioni, dai primi toc-
3
coìots., li 1-3. 1 I Cor., XH-4.
chi mistici all'età di 19 anni, fino alla consumazione
dell'unione trasformante sulla croce. Esso mostra l'evolversi della sua
dottrina mistica parallelamente al suo progresso.
Senza un tale sguardo in quest'anima, sarebbe impossibile
comprendere bene come la dottrina del silenzio non assuma in lei un valore
di ascesi universale che dopo In sua entrata nella solitudine del Carmelo
e dopo le purificazioni passive del noviziato; ne si potrebbe capire come
il mistero clcll'ina-bitazione divina divenga, con un crescendo continuo,
il punto centrico che tutto illumina nella sua vita, al quale ella fa.
risalire la sua vocazione suprema di « Inde eli '^oria alla Trinità
» ma nell'intimo, « nei ciclo dell'anima sua ».
Dopo tutto questo, sempre rispettando con la massima cura
gli aspetti storici dello svolgimento del suo pensiero, si rendeva
possibile stabilire con certezza e precisione, su ogni punto di dottrina
da analizzare, a quali principi della teologia mistica si
riallacciassero i movimenti, di quest'anuria privilegiata, e quali
aspetti del dogma avessero più profondamente alimentata la sua vita
interiore ".
Elevata dalla grazia nel ciclo della vita trinitaria, suor
Eli-sabetta della Trinità ha vissuto sino in fondo il suo battesimo,
secondo la forma propria della sua vocazione carmelitana. Tra le umane
influenze ricevute, don-lina quella di san Giovanni della Croce; aveva
assimilato i principi, più elevati della sua teologia mistica nella
lettura assidua del Cantico e della Viva fiamma. Giovinetta
e novizia, si era appassionata per le for-
5 Lo
stesso metodo teologico, misto, storico e dottrinale insieme, potrebbe
essere applicato allo studio di tutte le vite dei Santi. Un lavoro di
questo genere recherebbe, mi sembra, una sorgente di grandi tesori e una
conferma preziosa alla teologia mistica.
Con lo stesso procedimento — ali/i ina', c'oe,
princìtii direttivi (ìt'Ila teologia mistica — sarebbe facile
rilevare i grandi pensieri dottrinali di cui viveva l'anima di una S.
Teresa d'Avila, di una S. Teresa di Gesù Bambino, di una S. Bernardetta,
ecc., ecc... I grandi mistici fornirebbero i casi di privilegio: una S.
Caterina da Siena, una S. Margherita Maria, una Maria della Incarna/ione,
Un caso più complesso, particolarmente ricco, sarebbe quello di un Santo
mistico e teologo insieme: un S. Giovanni della Croce. P. tutto un morido
da esplorare; profitto immenso per i! discernimento deilc diverse correnti
di spiritualità nella vita della Chiesa e per la -storia della teologia
mistica.
99
mule spirituali, un po' oratorie, del Padre Vallèe; ma
presto le sorpassò per stabilirsi in Dio, al di sopra di tutte le formule
umane, nella nudità della fede.
Come in tutti i grandi artisti, si riscontra in lei una
prima fase di imitazione un po' servile dei modelli; poi una seconda di
una specie di incertezza die corrisponde ai primi tré anni, durante il
Noviziato, e sfocia d'un tratto nel magnifico periodo di creazione
personale che stupendamente si annunzia con la sua sublime preghiera alla
Trinità, scritta tutta di getto e senza correzioni.
Ormai, io Spirito Santo possiede in lei uno strumento
perfetto. Ella canta l'inabitazione divina e la lode di gloria in uno
stile clic ha un'impronta inimitabile, definitiva, e la costituisce uno
dei maestri spirituali della Francia. La meditazione delle Epistole di san
Paolo e delle opere mistiche di san Giovanni della Croce, le lunghe ore di
silenzio contemplativo, hanno compiuto questo miracolo. Ma, sopra tutto,
il Verbo è diventato i1 Maestro intcriore della sua vita; lo dice ella
stessa: « Ciò che mi insegna nell'intimo è ineffabile ». E
nell'intimo, si ccìa la vera sorgente della sua dottrina e della sua
vita.
Fu l'ora del trionfo supremo della grazia dell'anima sua,
fu il pieno fiorire in lei delle ricchezze trinitarie della sua vocazione
battesimale.
Il ritmo soave di questa vita «consumata nella
unità»* si riduce ormai ad alcuni movimenti essenziali, sempre gli
stessi, ma di un'estrema profondità. Ascesi del silenzio, inabitazione
della Trinità e preoccupazione unica di lavorare « alla lode della
Stia gloria », immedesimazione col Cristo e conformità alla sua
morte, imitazione della vita silenziosa e adora-trice delia Vergine
dell'Incarnazione: questi furono i grandi pensieri dottrinali che
avviarono rapidamente questa vita semplicissima, ma fedele ai più alti
gradi dell'unione divina. :
Sono le verità più fondamentali del Cristianesimo; e
come è belio incontrare un'anima santa che si eleva fino a Dio
" San Giov.. XVIT-26,
senza miracoli, senza mortificazioni straordinarie ', ma
neììa pura linea del battesimo e dell'obbedienxa perfetta alla volontà
divina, attraverso la banalità degli avvenimenti quotidiani!
Un monaco di Solesmes scriveva all'amica più intima di
suor Elisabetta della Trinità: « Mi piacerebbe, ai suoi scritti, il
commento di un teologo ».
Ed è proprio l'intento di questo libro, scritto per la
gloria della Trinità.
Fr, marie-mtchhl phiupon, O. P.
7
Questi p.irtico!ai-i nii sono stati riferiti d.-ìlln sua stes;,i
supcrior.i.
24
CAPITOLO PRIMO
ITINERARIO SPIRITUALE
Carmelitana:
Tutto, in lei, porta l'impronta di questa predestinazione.
Prima di penetrare nelle profondità di questa anima per
anali/'zarla, uno sguardo d'insieme si impone. Elisabetta della Trinità
non e divenuta santa che dopo undici anni di lotta e incessanti ritocchi
di cesello.
Anche dopo aver trascorsi al Carmelo molti anni di
silenzio e di fedeltà, dovrà subire dalla mano divina le supreme
purificazioni con le quali Iddio introduce le anime eroiche nella pace
immutabile dell'unione trasformante, al di sopra di. ogni gioia e di ogni
dolore.
VITA INTCRIORE NEL MONDO
1. Capricci di bimba - 2. Conversione - 3. Feste
mondane -4. Opere di apostolato - 5. Vacanze estive - 6. L'« agere
con-tra» - 7. Prime grazie mistiche - 8. L'incontro col Padre
Vallèe.
1. Figlia e nipotina di militari, Elisabetta Cate^ ponava
neilc vene un sangue combattivo, pronto alla reazione. Aveva ereditato
un'indole focosa. Un giorno — aveva appena tré o quattro anni — si
chiuse da sé in stanza, e percuotendo la porta con tutta la forza dei
suoi piedini, strepitava fino all'esasperazione,
'?'»
La sua prima infanzia, fino ai sette anni, fu attraversata
da quésti grandi scoppi di collera, indomabili. Bisognava aspettare che
l'uragano si quietasse da sé. Allora la mamma le faceva capire il suo
torto, e le insegnava a vincersi per amore. « Questa bimba ha una
volontà di ferro — diceva la sua istitu-trice. — Quando vuole una
cosa, deve ottenerla, ad ogni costo ». La morte del babbo, quando era
tanto piccola ancora, la lasciò sola con la mamma e con la sorella
Margherita, creatura timida e soave, che le fu compagna indivisibile di
tutte le ore, fino alla sua entrata al Carmelo.
Nessun altro grave incidente familiare venne a turbare il
corso della sua vita che si svolgeva, sempre a Digione, in una atmosfera
serena e cristiana.
2. La prima Confessione operò neìl'anima di Elisabetta
ciò che lei chiamerà la sua conversione, quella scossa benefica
che risvegliò in lei il senso del divino e ad esso la oriente'.
Da quel giorno, cominciò a lottare risolutamente contro i
suoi difetti dominanti: la collera e la sensibilità; e persisterà in
questo rude combattimento spirituale fino ai diciott'anni.
Il Sacerdote che la preparava alla Prima Comunione e la
conosceva bene, diceva ad un'intima amica della mamma sua:
« Con un temperamento simile, Elisabetta Cote'/,
diventerà una santa o un demonio ».
Il primo contatto con Gesù nascosto nell'ostia santa fu
decisivo.
« Nelle profondità dell'anima, ella sentì la voce di
Lui ». « II Maestro divino prese così bene possesso del suo cuore che
da allora ella non aspirò che a donargli la sua vita » 2.
Avvenne allora in lei un mutamento così rapido e prorondo, che sorprese
quanti l'avvicinavano. Elisabetta progrediva a gran passi verso quel calmo
dominio di sé che doveva ben presto emanare da tutta la sua persona.
1 «
Ricordi ».
2 Poesie - «L'anniversario della mia Prima
Comuniono », 7-9 aprile 1898.
26
Un giorno dopo la S. Comunione le parve di udir
pronunciare, in fondo all'anima, la parola: « Carmelo ». Fu una
rivelazione. Un'altra volta, ancora nel suo quattordicesimo anno, sentì
una chiamata intcriore del divino Maestro, durante il ringraziamento della
Comunione; e senza indugio, per essere sua e unicamente sua, fece il voto
di verginità. Morirà ad esso fedele pura come un giglio.
Le poesie che compose dai quattordici ai diciannove anni
non risuonano che dei nomi di Gesù tanto amato, della sua Mamma celeste,
del suo buon Angelo custode, dei santi, di Giovanna d'Arco, « la vergine
che non può essere offuscata » 3. Ma l'attrattiva più
irresistibile è il Carmelo; e i suoi versi cantano gli attributi della
carmelitana; la veste di saio e il bianco velo, il rosario dai poveri
grani di legno, il cilicio che martoria le carni, l'anello di sposa di
Cristo ".
Abitando vicinissima al suo diletto Carmelo, spesso se ne
va sulla terra;'za, e a lungo « triste e pensosa » 5
s'immerge con lo sguardo anelante nel Monastero. Tutto le parla al cuore:
la Cappella ove si cela il suo Signore, il suono dell'Angelus,
i mesti rintocchi dell'agonia che si odono talvolta, e le celle dalle
finesirine minuscole, dal mobilio poverissimo le celle clic accolgono il
riposo delle vergini dopo una lunga giornata di preghiera redentrice.
Lontana ancora dal sogno — ha soli diciasssctte anni — sente che la
sua anima langue. Un sacerdote amico di famiglia si fa mediatore fra lei e
la mamma; ed Elisahetta tenta di evadere da questo triste mondo seduttore.
Ma non è che un istante. La mamma rimane inflessibile; non le resta che
attendere l'ora di Dio nella preghiera e nella fidùcia. E l'attenderà.
3. Ricominciano, allora, le feste mondane e le riunioni
più svariate che si moltipllcavano ininterrottamente. La signora Catez vi
spingeva la figliola, ma con discrezione, pur senza volerla distogliere
dalla sua vocazione, forse accarezzando segretamente la speranza che Dio
non gliel'avrebbe presa. Eli-
'' Poesie - '' Giov.innn d'Arco », oitohre 1895.
* Poesie - «Agli attributi della Carmelitana», 15
ottobre 1887.
5 Poesie - « Ciò che vedo dal mio balcone »,
ottobre 1897.
27
sabetta non si faceva pregare; le bastava che quella fosse
l;i volontà della mamma, e prendeva parte a tutte le riunioni, con
spigliatezza elegante e serena, « non mostrando affatto di annoiarsi »,
come ripetono concordemente i testimoni della sua vita. Nessuno avrebbe
potuto supporre in Elisabetta Catez la futura carmelitana, la cui vita
intcriore così intensa e tutta celata- nell'intimo del suo Cristo doveva
dare alla Immutabile Trinità una testimonianza sì commovente di silenzio
e di raccoglimento.
Elegante sempre, il suo vestire era semplice, ma
irreprensibile. Ripetutamente fu chiesta in isposa. Per una delle sue sue
ultime serate, non volendo lasciar supporre la sua partenza, comprerà dei
guanti, nuovi. Così Elisabetta partecipava serenamente alla vita della
società in cui viveva, non rifuggendo che da un'unica cosa: dal peccato.
4. A Bigione, nel corso dell'anno, Elisabctta si dedica
alle opere parrocchiali: canto corale, catechismo ai bambini o a qualche
piccola neocomunicanda un po' tarda d'ingegno, oggetto di canzonatura da
parte delle compagne minori; ed altre opere di beneficenza die sollecitano
il suo concorso. S'incarica persino del patronato per le povere bimbe
della manifattura tabacchi; e quelle monellucce le si affezionano al punto
che bisogna tener loro nascosto il suo indirizzo perché non le invadano
la casa. Divenuta poi suor Elisabetta della Trinità, continuerà a
seguirle nella vita e a proteggerle con la sua silenziosa preghiera di
Carmelitana.
Con tatto squisito, Elisabetta si adatta a lutto ed a
tutti. Ama l'infanzia per la sua purezza, e Dio le ha dato un'attrattiva
meravigliosa per interessare i piccoli. In occasione di riunioni
familiari, ne ha talvolta una quarantina intorno a se, e li diverte in
tutti i modi. Le piacciono tanto i quadri viventi, specialmente di Gesù
fra i dottori; compone lei stessa piccole rappresentazioni musicali ma
soprattutto ha un'arte insuperabile nel combinare danze di bimbi. Ed
eccola, intenta ad abbigliare tutto quel mondo che deve comparire sulla
scena.
Poi, quando i nervi si sono calmati, si preparano le seg-
28
C (
gioie in giardino, e si incomincia la lettura; tutti i
visetti sono intenti ascoltando avidamente.
Qualche volta, i più piccoli l'assediano di inviti
perché vada a giocare con loro; ed ella accondiscende, sorridendo.
Durante il mese di Maria, la schiera piccina che Elisabetta trae seco alle
sacre funzioni, la costringe negli ultimi banchi, il più vicino possibile
all'uscita. « E appena il Tabernacolo viene rinchiuso — racconta
un'amica d'infanzia — la tiravamo fuori, con noi, a passeggio; e allora,
con una immaginazione vi-vissima ci raccontava storie fanfastiche.
Elisabetta Catez era sempre pronta ad adattarsi a tutti ».
Rileviamo quest'ultimo particolare: nel Chiostro, come
già nel mondo, suor Elisabetta rifuggirà da ogni singolarità. Insieme
agli altri invitati, saprà apprezzare le squisite torte di Fmncina, la
cuoca più brava di tutta Digione, e riderà di cuore degl'interminabili
pranzi, così abbondanti da far invocare pietà, perché si faranno
sentire almeno per tré giorni.
5. Le vacanze riconducono regolarmente la partenza da
Digione e il periodo dei lunghi viaggi. Ed ecco come Elisabetta visitò la
Svizzera, le Alpi, il Giura, i Vosgi, Ì Pirenei, e gran parte della
Francia. Le sue lettere ce la mostrano, gaia e festeggiata, nel turbine
delle visite di familiari ed amici, talvolta più strettamente unita a
qualche anima eletta che le è dato incontrare, ma più spesso amica di
tutte indistintamente le giovinette della sua età; con tutte, per
sentimento di carità e finezza di educazione, ella conversa e ride
gaiamente.
« II nostro soggiorno a Tarbes 8 non è stato
che un suc-cedersi ininterrotto di divertimenti: concerti, danze, gite.
Gli abitanti di Tarbes sono molto piacevoli: ho conosciuto parecchie
signorine, tutte carissime, una più dell'altra. Con X..., squisita
intenditrice di musica, non sapevamo distaccarci dal pianoforte, e i
negozi di Tarbes non bastavano a fornirci nuova musica da leggere » 7.
" Alii Piretici. 7 Lettera alla signorina
A. C. - Turbe';, 21 luglio 1898.
29
« Oggi partiamo per Lourdes; e mi si stringe il cuore al
pensiero di lasciare la mia Yvonne. Se sapessi quanto è cara;
e che carattere, veramente ideale! Quanto alla signorina
X..., è guarita perfettamente, anzi è più giovane, più elegante che
mai e, soprattutto, è sempre immensamente buona. Ieri l'altro ha
festeggiato i miei diciott'anni regalandomi una grazio-sissima guarnizione
per abito, color pervinca. Scrivimi presto. Ora devo lasciarti per
chiudere le valigie; ma ti penserò tanto a Lourdes. Di là, faremo un
giro nei Pirenei. Sono innamorata di queste montagne che contemplo mentre
ti scrivo; mi sembra che non potrò più rinunciarvi » 8.
Luchon l'entusiasma più di ogni altra citta. « Essa
merita davvero la sua definizione di regina dei Pirenei. La posizione è
incantevole; vi abbiamo trascorso due giorni in un entusiasmo sempre
crescente. Abbiamo potuto fare In escursione della valle del Lys, in un
grande landò a qualli-o cavalli, con le cugine di R..., le Di-S..., che
abbiamo ritrovate a Luchon. Le signore ci hanno affidato a persona di
conoscenza che faceva anch'essa quella escursione fino all'Orrido. Eravamo
a 1801 metri, affacciate a quell'abisso spaventoso; eppure Maddalena ed io
lo trovavamo cosi bello che desideravamo quasi di lasciarci portare da
quelle acque. Ma la nostra guida, per quanto entusiasta, non era dello
stesso parere; e si mostrava molto più prudente di noi che camminavamo
sull'orlo del precipizio senza menomamente soffrire di vertigini. Le
signore che, durante la nostra escursione, erano state tutt'altro che
tranquille, ebbero un sospiro di sollievo, vedendoci tornare » n.
EUsabetta passa, così, dagli uni agli altri amici,
godendo « di una vita quanto mai piacevole, come a Lunéville, invitata a
colazione dagli uni, a pranzo dagli altri, partecipando a numerose partite
di tennis con delle signorine gentilissime » 10, ma senza che
le rimanga per sé nemmeno un istante.
Il 14 luglio, al Campo di Marte, assiste alla rivi'ta
cui l'hanno invitata le numerose amicizie di famiglia nell'ambiente
8
Lettera alla signorina A. C. • 21 luglio 1898. *' Lettera alla signorina
D, - Agosto 1898. 10 Lettera alla signorina A. C. - Luglio
1897.
30
militare. Figlia di ufficiali, si entusiasma per le
esercitazioni della cavalleria... « Immaginatevi tutti quei caschi e
quelle corazze scintillanti al sole... Questo abbagliante spettacolo si
completa, a sera, nei boschetti del parco, con un'illuminazione fiabesca,
un po' alla veneziana... ».
Ala in mezzo a queste feste mondane, il suo cuore serba
la nostalgia del Carmelo. Partiti gl'invitati, Elisabetta, senza
sforzo alcuno, si ritrova col suo Cristo che non ha lasciato mai. A Tarbes,
per sottrarsi un istante alla rumorosa allegria mondana, si rifugia presso
il Carmelo, e la suora commissionarla la trova dietro la grata del
parlatorio, in ginocchio. Ella bacerebbe volentieri tutte le mura di
quella Casa di Dio, Lourdes è vicinissima, e per tré giorni vi si
raccoglie presso la Vergine della Grotta. Vacanze e mondanità si
allontanano dal suo spirito senza alcuno sforzo; inabissata nella
preghiera, immobile dinanzi alla Grotta, supplica a lungo l'Immacolata di
custodirla pura come Lei, e si offre vittima per i peccatori ".
Niente può distrarla dal suo Dio.
Più tardi, dal suo Carmelo di Digione, potrà scrivere
alla mamma nel post-scriptum di una lettera: « Venerdì, quando sarai in
treno, non dimenticarti di fare orazione; è molto vantaggioso, me ne
ricordo » ". Parlerà così per esperienza.
Le ricchezze profane delle grandi città che attraversa la
lasciano indifferente. Per lei, Marsiglia è Nostra Signora della Guardia
'3, e Lione si riduce a Fourvières ". A Parigi, dove si
reca con la mamma e la sorella per la celebre Esposizione Universale del
1900, due cose sole attirano la sua attenzione:
Montmartre e Nostra Signora delle Vittorie: « Siamo
andate due volte all'Esposizione; è molto bella; ma io detesto tutto quel
chiasso, quella folla. Margherita rideva di me e diceva che avevo l'aria
di chi viene dal Congo » ls.
11
Poesie - «L'Immacolata Concezione», 8 dicembre 1898. " Lettera alla
mamma - Luglio 1906. 13 Lettera a M. L. M... - 6 ottobre 1898.
" Lettera ad A. C. - Estate 1898. 15 Lettera a M. L. M. -
Estate 1900.
31
6. L'agere contra fu la generosa parola d'ordine di
questo primo periodo della sua vita. A diciannove anni, segna ancora nel
suo diario: « Oggi, ho avuto 1a gioia di offrire al mio Gesù molte
vittorie sul mio difetto dominante; ma quanto mi sono costate! E
proprio in questo riconosco la mia debolezza... Quando ricevo
un'osservazione che mi sembra ingiusta... sento il sangue ribollirmi nelle
vene, tanto il mio essere si ribella... Ma Gesù era con me; sentivo la
sua voce in fondo al cuore, e allora ero pronta a tutto sopportare per
amor
suo » '8.
Ogni sera per constatare se veramente progredisce nella
via della perfezione, segna in un quadernctto le vittorie e le sconfitte.
Cerca di digiunare all'insaputa della mamma; ma dopo tré
giorni, la vigile signora Catez se ne accorge e la rimprovera severamente;
e, ancora una volta, Elisabetta obbedisce. Dio non vuole condurla per il
cammino delle grandi mortificazioni dei santi, ne ora ne durante tutto il
suo soggiorno al Carmelo. La silente Trinità attenda da lei un'altra
testimonianza.
« Dato che non posso iinpormi delle mortificazioni devo
persuadermi che la sofferenza fisica non è che un mezzo — quantunque
eccellente — per giungere alla mortificazione inferiore e al distacco
completo da se stessi. O Gesù, mia vita, mio amore, mio sposo, aiutami!
Bisogna che io giunga, a qualunque costo, a fare sempre, in tutto il
contrario della mìa volontà » 1T.
7. Dio non poteva tardare a ricompensare con tocchi
segreti della grazia i continui sforzi di Elisabctta per trionfare della
sua natura. L'ascetica conduce alla mistica e ne costituisce la necessaria
salvaguardia. Con l'abituale suo buon senso, santa Teresa diceva:
«Orazione e mollezza, non vanno d'accordo » ls. Ed è
naturale.
La Viva Fiamma d'amore suppone la dolorosa Salita
del
19
Diario - 30 gennaio 1899.
17 Diario - 24 febbraio 1899.
18 Cammino di perfezione - Capitolo IV.
32
I 1
Monte Carmelo
con le sue notti oscure, con le sue purificazioni attive e passive,
tali da far tremare i più risoluti. Ma troppo si dimenticano anche le
lunghe estasi contemplative dell'autore degli Eserciti Spirituali
nella sua cella di Roma, dove sant'Ignazio mormorava, rapito: « O beata
Trinitas! ».
Non già che si debba negare in modo assoluto la
diversità di tendente e di indirizzi nelle vie dello spirito; ma la
verità evangelica riassume tutte queste sfumature, e i santi di tutte le
scuole si ricongiungono, oltrepassandole. Giunti alla vetta, tutti sono
trasformati nel Cristo, immedesimati nella sua beatitudine di Crocifisso.
Il combattimento spirituale contro i suoi difetti e 11
trionfo sulla natura condussero Elisabetta alle prime manifestazioni di
quelle grazie mistiche che dovevano trasformare la sua vita, dapprima
lentamente e con tocchi successivi, quasi passo per passo; poi, dopo la
sua professione, con movimento calmo e ininterrotto; finalmente,
nell'ultima fase dei sei mesi di infermerisi, a grandi voli verso le più
alte cime dell'unione trasformante.
Ella stessa non si rese conto di queste prime mozioni
divine, (ricevute nel corso di un Ritiro nel gennaio 1899), che parecchi
mesi dopo, leggendo le opere di santa Teresa. Questa rivelazione del suo
diario è di capitale importanza nella storia della sua vita spirituale;
segna per lei, l'inizio della vita mistica, dopo un duro combattimento
spirituale che durava da più di quindici anni e che, in realtà, non
cesserà mai.
« Leggo, in questo momento, il Cammino di perfezione
di santa Teresa; m'interessa immensamente e mi fa un gran bene. Santa
Teresa dice cose sì belle sulla orazione e la mortificazione intcriore,
quella mortificazione intcriore a cui voglio giungere ad ogni costo con
l'aiuto di Dio. Se, per ora, non posso impormi grandi sofferenze
corporali, posso almeno, ad ogni istante, immolare la mia volontà...
L'orazione! Come mi piace il modo in cui la santa tratta questo argomento,
là dove parla della contemplazione, quel grado di orazione in cui Dio fa
tutto, e noi non facciamo nulla, in cui Egli unisce a sé l'anima nostra
così intimamente, da non essere più noi che vi-
33
viaino, ma Dio che vive in noi... Oh, io vi ho
riconosciuto gli attimi di rapimento sublime a cui il Maestro divino si è
degnato elevarmi così spesso durante questo Ritiro e anche dopo. Che
cosa potrò dargli io, in cambio di tanti benefici? Dopo queste estasi,
questi sublimi rapimenti nei quali l'anima dimentica tutto il resto e non
vede che il suo Dio, come par dura e penosa l'orazione ordinaria, e quanta
fatica ci vuole per raccogliere le proprie potenze! Come costa e come
sembra difficile! » 1B.
Dio elevava già Eiisnhetta Cate/', ;ii frinii superiori
di orazione; lo si vedeva sensibilmente nell'ora della preghiera. Entrava
nella Chiesa parrocchiale; si dirigeva lentamente, per la navata di
centro, fino al suo posto; s'inginocchiava e subito appariva invasa da un
raccoglimento profondo; e restava a lungo così, immobile, tutta piena di
Dio.
La sua amica più intima fu sempre colpita dal mutamento
improvviso che si manifestava in Elisabetta, appena entrata in Chiesa e in
preghiera: « Non era più lei ».
Inoltre, da qualche tempo, sperimentava in fondo all'anima
dei fenomeni strani die non sapeva spiegarsi. Si sentiva inabitata.
« Quando vedrò il mio Confessore — diceva — gliene
parlerò ».
8. In quest'epoca, incontrò, al monastero del Carmelo, un
Religioso Domenicano che doveva dare alla sua vita inferiore un
orientamento decisivo. La Madre Germana di Gesù, priora e maestra di
noviziato di suor Elisabetta, autrice dei Ricordi, ha giustamente
notato che « questo incontro provvidenziale » ricorda, per i suoi
effetti soprannaturali quello che riferisce santa Teresa nel Capitolo
XVIII della sua Vita e sulla quinta « mansione » del suo Castello
dell' Anima (Cap. I). La santa scrive, infatti, che un grande teologo
dell'Ordine di san Domenico (il celebre prof. Banez dell'Università di
Sala-manca) nel confermarle, dal punto di vista dottrinale, la presenza di
Dio da lei sperimentata nell'orazione, le dette, con la
19
Diario - 20 febbraio 1899.
34
completa sicurezza che porta seco la verità, una grande
consolazione.
Mentre Elisabetta timidamente interrogava l'eminente
Religioso sulla natura dei movimenti della grazia che esperimen-tava da
qualche tempo, e che le davano l'impressione dell'inabitazione divina, il
Padre Vallee, con la potenza della parola ispirata die lo caratterizzava,
le rispose: « Ma certamente, figliola mia; il Padre è in tè; il Figlio
è in tè; lo Spirito Santo e in tc ». E le spiegò, da teologo
contemplativo quale egli era, come, per la grazia del battesimo, noi
diveniamo quel tempio spirituale di cui parla san Paolo; e come, insieme
con lo Spìrito Santo, la Trinità tutta intera vi è presente con la sua
virtù creatrice e santificatrice, facendo sua dimora in noi, venendo ad
abitare nel segreto più intimo dell'anima nostra, per ricevervi, in una
atmosfera di fede e di carità, il culto intcriore di adorazione e di
preghiera che le dobbiamo.
Questa esposizione dogmatica la rapì. Ella poteva dunque,
seguendo con tutta sicurezza l'impulso della grazia abbandonarsi alla sua
attrattiva intcriore e abitare nel più profondo dell'anima sua. Durante
questo colloquio, si sentì presa da un raccoglimento irresistibile. Il
Padre parlava ancora, ma Elisabetta Cile/ non lo ascoltava più. « Ero
ansiosa che tacesse », dira più tardi, alla Priora.
In questo particolare, c'è già suor Elisabetta della
Trinità tutta intera: avida di silenzio sotto l'effusione della grazia.
Da parte sua, il Padre Vallee diceva di quest'ora
decisiva:
« L'ho vista lanciarsi verso la mèta come una freccia
».
Elisabetta era una di quelle anime che, una volta
incontrata la luce, non se ne allontanano più. Da quel giorno, tutto si
trasforma e s'illumina; ella ha trovato la sua via.
D'ora innanzi, la Trinità sarà l'unica sua vita20.
2(1
Rircvmo il consenso definitivo della mamma alla sua vocazione religiosa
(26 mnry.o 18991, Elisabetta aveva potuto riprendere le sue visite a!
Car-mclo, interrotte per otto anni; e furono esse, il suo sostegno negli
ultimi due anni passati nel mondo. Vi ritrovava, come priora, la Madre
Maria di Gesù che, l;i sera della su;i Prima Comunione, le aveva dato in
parlatorio un'immagine dove aveva scritlo questo pensiero per spiegarle il
significato del suo nome: (Elisabetta, cioè «Casa di Dio»). « Nasconde,
il Ino nome, un mistero
35
II
CARMELITANA
1. Il suo ideale di Carmelitana - 2. Grazie
sensibili del poslu-laridato - 3. Le purificazioni del noviziato -
4. Vi fa profonda.
Quando Elisabetta Catez fu accompagnata nella sua
cel-letta di Carmelitana, la si udì mormorare: « La Trinità è qui ».
•^ Fino dal primo atto comune, in refettorio, tutte poterono notare la
pia fanciulla, appena terminato il suo pasto frugale, congiungere
modestamente le mani sotto la mantellina e, chinati gli occhi, entrare in
profonda orazione. La suora incaricata del servizio, osservandola, disse
fra sé: « È cosa troppo bella perché duri ». Ma s'ingannava.
Il Carmelo di Digione possedeva una santa 2).
— chi' si compie in questo dì snidine. —
rifsliiihi, il tini cuore f. sulla li'rrii,
— la casa di Collii che e Dio d'amore ».
La Madre Maria di Gesù era un'anima irinitaria. L;>
sua ardente divozione alla Trinità santa era scaturita improvvis.imcnte
da una grazia ricevuta a 14 anni, durante una processione delle Rogazioni,
Mentre si univa alle prime invocazioni al Padre, al Figlio e allo Spirito
Santo, le fu rivelata interiormente questa misteriosa, ma reale presenza
delle Tré Persone divine nell'anima.
« Da allora — dirà più tardi — ho cercato sempre di
raccogliermi nel profondo in cui Esse dimorano ».
Fondatrice del Carmelo di Paray-lc-Monial, intitolò il
suo bei monastero alla SS. Trinità a cui si accede attraverso il Cuore di
Gesù. E fu la Madre Maria di Gesù colei che dette a Elisabetta Catez il
nome di Suor Elisabotta della Trinità, quel nome di grazia divenuto tutto
il' programma della sua vita religiosa. Elisabetta si recava regolarmente
dalla Madre, come il piccolo gruppo delle postulanti extra-muros
che si stringevano intorno alle grate del Carmelo. La Madre Maria di Gesù
le formava allo spirito carmelitano e la futura novizia le rendeva conto
della sua vita di orazione. Poi, anche quando potè essere un po'
divezzata da una dirczione spirituale continuata e stabile, Elisabetta era
pero felice di andare a chiedere alla Mndre consigli e lumi per il
progresso della sua vita spirituale. Prima di stabilire i suoi propositi
del santo Ritiro, la consultava; e le sembrava che le decisioni in Lei
venissero da Dio stesso. Così quelle ore di parlatorio le facevano tanto
bene.
21 Notizie intorno al Canneto di Digione. È
noto come la venerabile Madre Anna di Gesù, compagna e collaboratrice di
S. Teresa nell'opera di riforma del Cannelo in Spagna, venne in Francia
ove potè fondare il primo monastero, a Parigi, nel sobborgo S. Giacomo,
il t8 ottobre 1.604. Subito
36
1. Il formuiario che suor Elisabetta della Trinità
riempì, in forma ricreativa, otto giorni dopo la sua entrata al Carmelo,
ci rivela il suo stato d'animo alle soglie della vita religiosa. I tratti
più caratteristici della sua fisonomia spirituale vi appaiono già
nettamente segnati: il suo ideale di santità: vivere d'amore per morire
di amore — il suo culto appassionato per la divina volontà — la sua
predilezione per il silenzio — la sua devozione all'anima di Cristo —
la parola d'ordine della sua vita intcriore; seppellirsi nel più profondo
deil'aniinn per trovarvi Dio. Nulla è dimenticato, neppure il suo difetto
dominante: la sensibilità. Vi manca soltanto quel lavoro di spogliamente
che sarà opera delle purificazioni passive del noviziato, e la grazia
suprema che trasformerà la sua
nell'anno seguente, 1605, la stessa Madre Anna di Gesù
fondava il Carmelo di Digionc, che ebbe la gloria di ricevere i primi
voti offerti a Dio secondo la riforma Carmelitana stabilita anche
in Francia. Fu animato sempre dallo spirito pili integro di S.
Teresa, fino all'ora in cui le Carmelitane furonb espulse lontane
d.ii loro monasteri, durante la grande rivoluzione.
Restaurato nel 1854 dalla Rev.ma Madre Maria della
Trinità, il Carmelo di Digione riprese con lei lo spirito e le
tradizioni dell'Ordine carmelitano in Francia, )c quali furono fedelmente
mantenute dalle due Madri che seguirono: la Rev.d.1 Madre Maria del Cuore
dì Gesù, e la Rev.da Madre Maria di Gesù, la futura fondatrice del
Carnielo di Paray-le-Monial.
La Madre Germana di Gesù die le succedette, restò priora
dal l90l al 1906, cioè durante tutto il soggiorno di F.Iisabclt.i della
Trinità; quindi, per vent'anni, a intervalli regolari, il Carmelo di
Digionc ebbe la grazia di averla ancora come Supcriora.
La Madre Germana di Gesù fu una grande figura di
Carmelitana. Anima di pace e di orazione, di un grande zelo per l'esatta
osservanza, ella fu veramente la priora provvidenziale che doveva offrire
a suor Elisabetta della Trinità il pinno di vita regolare in cui l'anima
sua di contemplativa avrebbe potuto liberamente fiorire, in un'atmosfera
di silenzio e di raccoglimento. E, con tutta verità, la serva di Dio, ben
consapevole e piena, di riconoscenza per quella influenza materna, poteva
scrivere in un biglietto intimo trovato dopo la sua morte (e che portava
sulla busta significativa parola: « Segreto per la nostra Rev.da Madre
»): « Io porto la Vostra impronta ».
Fino dalla sua prima allocuzione in capitolo, presente
tutta la Comunità — e anche suor Elisabetta — la nuova Madre priora
così tracciava il programma spirituale del suo governo: « Custodire con
ogni perfezione possibile, nello spirito tutto apostolico della nostra
santa Madre, questa regola e queste Costituzioni che ella ci ha trasmesse
dopo averle osservate con sì grande perfezione ».
Tale fu la cornice di perfetta vita religiosa in cui suor
Eiisabetta potè realizzare tanto rapidamente il suo ideale di
Carmelitana.
37
vita dandole il senso della sua vocazione definitiva:
essere una lode di gloria alla Trinità.
— Qual è, a vostro parere, l'ideale della santità?
— Vivere d'amore.
— Qual è il mezzo più rapido per giungervi?
— Farsi piccolissima e darsi totalmente, per sempre.
— Qual è 11 santo a voi più caro?
— Il discepolo prediletto che riposò sul cuore del
divino Maestro,
— Quale il punto della Regola che preferite?
— Il silenzio.
— Qual è la nota dominante del vostro carattere?
— La sensibilità.
— E la vostra virtù prediletta?
— La purità. « Beati i cuori puri, perché vedranno
Dio ».
— Il difetto che vi ispira più orrore?
— L'egoismo.
— Date una definizione dell'orazione.
— L'unione di chi non è con Colui che è.
— Qual è il vostro libro preferito?
— L'anima di Cristo: Essa mi svela tutti i segreti del
Padre che è nei Gieli.
— Avete grandi desideri del Cielo?
— Ne ho talvolta la nostalgia; ma, tranne la visione di
Dio, già lo possiedo nell'intimo delll'anima mia.
— Quali disposizioni vorreste avere nel momento della
morte?
— Vorrei morire amando, e cadere così nelle hraccia di
Colui che amo.
— C'è ufì genere di martirio che preferireste?
— Mi piacciono tutti, ma specialmente il martirio di
amore.
— Quale nome vorreste avere in Ciclo?
— Volontà di Dio.
— Qual è il vostro motto?
— Dio in me e io in Lui.
Secondo la sua grazia personale, ella vive in profondità
il
38
suo ideale di Carmelitana. Va dritta all'essenziale: la
solitudine, In vita di continua orazione, la consumazione nell'amore.
« La Carmelitana è un'anima che ha guardato il
Crocifisso, che l'ha veduto offrirsi come vittima al Padre per le
anime, e, raccogliendosi sotto la grande visione della carità di Cristo,
hn compreso la passione d'amore dell'anima di Lui e, come Lui, vuole
donare se stessa. Sulla montagna del Carmelo, nel silenzio, nella
solitudine, in un'orazione non interrotta mai, perché continuata
attraverso tutte le occupazioni, la Carmelitana vive pia come vivrà in
Ciclo, « di Dio solo ». Colui che formerà un giorno la sua beatitudine
e la sazierà nella gloria, già si dona a lei; non si allontana mai,
dimora nell'anima sua; anzi, ancora di. più: tutti e due non sono che
Uno. Perciò, essa è famelica di silenzio, per ascoltarlo
sempre, per penetrare sempre di più nell'Essere Suo, infinito. È
immedesimata in Colui che ama e da per tutto Lo trova, in tutto Lo vede
risplendere » ". « Questa è la vita del Carmelo:
vivere in Lui. Allora, le rinuncie, le immolazioni diventano, in certo
modo divine. L'anima vede in tutto Colui che ama e tutto Io porrà a Lui.
È un cuore a cuore continuo. L'orazione è l'essenza della vita al
Carmelo » 23.
Il punto della Regola che preferisce è il silenzio; e,
fino dai primi giorni, è entusiasta della massima familiare alle antiche
Madri Carmelitane: Sola col Solo.
2. Come per lo più accade, le prime fasi della vita
religiosa di suor Elisabetta della Trinità furono caratterizzate da
un'onda di consolazioni sensibili. Il Signore avvia lentamente le anime
verso le cime. Le conduce al Calvario attra-. verso il Tabor.
Suor Elisabetta, spesso, se ne andava alla sua supcriora a
dirle: « Madre, .non posso reggere a questo peso immenso di grazie ».
Appena giunta in coro e inginocchiatasi, si sentiva compe-
'•" Tetterà ;i G. de G... - 7 agosto 1.902. 58
Lettera a G. <le G... - 14 settembre 1902.
39
nettata da un raccoglimento profondo, irresistibile.
L'anima sua pareva come immobilizzata in Dio.
Passava nei chiostri, silenziosa e raccolta, senza che
nulla potesse distrarla dal suo Cristo. Lo trovava dovunque. Un giorno,
mentre attendeva a riordinare la casa, una suora la vide talmente compresa
della presenza di Dio, che non osò avvicinarsele. Fuorché nelle ore di
ricreazione — in cui suor Elisabetta si mostrava gaia e spontanea, d'una
grazia incantevole, parlando con ciascuna delle consorelle di ciò che
sapeva far loro piacere — tutto il suo esteriore rivelava un'anima
posseduta da Dio. Questo raccoglimento di tutte le sue potenze quasi
assorbite in Dio le faceva commettere, anche nella recita dell'Ufficio,
delle dimenticanze involontarie di cui si accusava con sincera umiltà. La
grazia la portava.
Così trascorsero i mesi del postulandato. L'8 dicembre
ebbe luogo la cerimonia della vestizione, presenziata dal Padre Vallèe.
Tutta presa dalla gioia del dono totale al suo Signore, suor Elisabetta,
quel giorno, non si accorse nemmeno di quanto accadeva intorno a lei,
interamente posseduta da Colui che l'aveva rapita. La sera, quando si
ritrovò nella sua cel-letta sola col suo Cristo, era esultante, e dal
cuore le saliva a Dio il cantico della riconoscenza. Per tutta una
vita d'amore, essa era finalmente « Sola col Solo ».
3. Fino a quell'ora, la grazia divina l'aveva portata. Ma
le mancava di assaporare a lungo il suo nulla, di sentirsi miserabile e
capace di ogni male, e divenire così, attraverso tale esperienza, più
comprensiva della fragilità delle sue consorelle.
E il Signore, per un lungo anno, l'abbandonerà a se
stessa, alle sue impotenze, ai suoi scoramenti, ai dubbi sull'avvenire,
persino sulla sua vocazione. Sarà necessario che, la vigilia della sua
professione, un sacerdote venga a rassicurarla, e a manifestare la
volontà di Dio alla sua anima smarrita.
Disparve la soave facilità dell'orazione. Non più colpi
d'ala; l'anima si trascinava penosamente; ed essa lo sentiva. La sua
natura d'artista rimaneva inerte, la sua sensibilità moriva.
40
Quante volte la povera novizia se ne ritornava dalla sua
Madre maestra esponendole candidamente le impotenze, le lotte, le
tentazioni, il martirio della sua sensibilità che stava attraverso le
notti descritte da san Giovanni della Croce!
Per coadiuvare il lavoro di Dio, la Madre Germana di Gesù,
che si era resa conto dell'eccessiva sensibilità di Elisa-betta fin dalla
sua entrata al Carmelo, la conduceva con bontà, ma con fermezza. La
giovane postulante godeva di passeggiare sulla terrazza, a tarda sera,
durante il silenzio rigoroso; la vista del firmamento dava
all'anima sua l'impressione del contatto con Dio. Una sera, mentre il
monastero era immerso nel più profondo silenzio, passò di là Madre
Germana. E la novizia, l'indomani, si sentì rivolgere queste parole: «
Non si viene al Carmelo per sognare contemplando le stelle. Andate a Lui
con la pura fede ».
In seguito, per provarla, non lasciava passare alcuna
occasione di riprenderla anche delle imperfezioni minime, delle più
lievi dimenticanze.
Suor Elisabetta baciava umilmente la terra, e se ne
andava.
Sapientemente, la Madre Germana di Gesù disciplinava una
tenerezza che avrebbe potuto facilmente divenire pericolosa; e la
coraggiosa figliola lasciava fare, perché comprendeva più di ogni altro
e per esperienza quanto aveva bisogno di vegliare continuamente sul suo
cuore.
Quando era ancora giovinetta, si era attaccata, in modo un
po' esagerato, ad un'amica che incontrava quasi tutti i giorni al Carmelo,
e con la quale i colloqui intimi si prolungavano. Aveva bisogno di
scriverle spesso, di leggere e rileggere le sue lettere, soprattutto le
frasi in cui l'amica sua la assicurava che era lei la più cara.
Questo sguardo retrospettivo, a questo punto, sul suo
passato di fanciulla, diffonde una luce singolare sulla sua psicologia
religiosa.
« Sorellina mia — le scriveva — si, non siamo che una,
non ci separiamo mai. Se credi, il sabato faremo la Santa Comunione
['una per l'altra; sarà il nostro contratto, sarà ì'«Uno»
41
per sempre. D'ora innanzi, quando Egli guarderà
Margherita, guarderà anche Elisabetta; quando darà all'una, darà anche
all'altra, perché non vi sarà più che una sola vittima, una sola anima
in due corpi. Forse sono troppo sensibile, Margherita, ma sono stata
così felice quando mi hai detto che sono io la tua sorella più cara! Mi
fa tanto bene rileggere quelle righe. Quanto a tè, lo sai che sei tu
la mia sorella diletta fra tutte; c'è bisogno che tè lo dica? Quando eri
malata sentivo che nulla, neppure la morte, avrebbe potuto separarci. Oh,
io non so quale di noi due il Signore chiamerà a sé per la prima; ma
neppure allora avrà termine la nostra unione, nev-vero? anzi,
raggiungerà allora la sua consumazione.
Come farà bene parlare a Colui che amiamo della sorella
che ci avrà precedute in Cielo, vicino a Lui! Chi sa? Forse ci chiederà
di versare per Lui il nostro sangue. Che gioia, subire insieme il
martirio! non posso pensarci; sarebbe troppo bello... Intanto, diamogli il
sangue del nostro cuore, a goccia a
goccia »24.
Si sente, attraverso a queste righe, un po' di esaltazione
sentimentale; e la testimonianza raccolta dalle labbra stesse di
quell'amica ci obbliga a riconoscere in Elisabetta una eccessiva tenerezza
di cuore. Ma chi potrebbe meravigliarsi di queste debolezze dei santi?
Santa Margherita Maria non si lasciò arrestare anch'essa, un istante, da
un affetto troppo umano per una delle sue consorelle, afletto che dal
cuore purissimo di Gesù le veniva rimproverato?
San Tommaso, che fu un grande dottore e un grande santo
insegna che nessuno, sulla terra, può interamente sottrarsi alle colpe di
fragilità; ne sfuggono persino ai più perfetti.
Ci sarebbe da scrivere un bei libro — e quanto
consolante per noi — sui difetti dei santi e sul lavoro compiuto da
loro, e dalla grazia in loro, per correggersi.
Appena Elisabetta Catez si accorse che il suo cuore era
schiavo, gli ridonò tutta la sua libertà, senza violenza, con
delicatezza squisita, ma con fermezza eroica. « Margherita cara, ho
qualche cosa da confidarti; ma non vorrei farti soffrire. Sai,
24
Lettera a M. G... - 1901.
42
questa mattina, mentre ero vicina a tè in Cappella,
sentivo che ciò era bello, ancor più bello delle nostre care
conversazioni; e, se tu acconsenti, trascorreremo così, accanto a Lui,
l'una vicina all'altra, il tempo che passavamo in giardino. Ti dò
dispiacere con queste mie parole? Dimmi, sorellina mia, non l'hai sentito
tu pure come me? Credo di sì. Oh, dimmelo semplicemente! Sai che alla tua
Elisabetta puoi dire tutto»".
« Dopo questo atto di generoso distacco — ci diceva
quest'amica intima — l'ho sentita allontanarsi ».
Nella fase delle purificazioni passive subite da suor
Elisa-betta durante il noviziato, avvenne qualche cosa di analogo, ma di
molto profondo. Tutti i suoi sensi dovettero passare attraverso questo
assoluto distacco, il solo che rende liberi.
Ma intorno a lei, nessuno mai, fuorché la sua supcriora,
suppose questa fase di angoscia purificatrice. Tutto quello che sembrava
dovesse consolarla, la lasciava indifferente o la turbava. Un ritiro
predicato dal Padre Vallèe, del quale ella seppe apprezzare come sempre
la bella e profonda dottrina, non riuscì a liberarla da quest'agonia
intima. Il Padre stesso non la capiva più e ripeteva con tristezza: «
Che avete fatto della mia Eiisabetta? Me la avete cambiata... ».
Ma le creature non c'entravano. Quel mutamento, per lui
incomprensibile, dipendeva da Dio.
Tn qu'el rude anno di prova, suor Elisabetta acquistò una
fede più forte e un'esperienza del dolore che la renderà capace di
comprendere e di consolare altre anime provate da Dio;
divenne più virile; definitivamente stabilita in una vita
spirituale tutta basata sulla pura fede, vita che, d'ora innanzi,
scorrerà calma sotto lo sguardo di Dio, al sicuro da ogni ridestarsi
della sensibilità; questo, il risultato essenziale di tale periodo di
purificazione.
Insieme al pieno equilibrio morale, anche le forze fisiche
ritornarono- Ti Capitolo del monastero l'ammise alla professione; e la
bella notizia le fu comunicata il giorno di Natale, Come in tutte le
circostanze più importanti della sua vita, suor Elisabetta si rifugia
nella preghiera onnipotente di Cri-
25
Lettera a M. G... - 1901.
43
sto che s'immola sull'Altare; ma questa volta, con una
particolare intensità; e tutta una novena di sante Messe implora dal
sacerdote, amico venerato, che era stato il primo confidente delle sue
aspirazioni alla vita religiosa quando, piccina piccina ancora, gli
saltava sulle ginocchia.
Quindi, sotto il suo velo abbassato, suor Elisabetta
disparve. La comunità la vedeva passare per i chiostri come un'ombra, col
volto sempre velato, e l'avvolgeva nella sua fraterna preghiera.
Ma quel ritiro in preparazione alla professione,
cominciato con una prospettiva tanto lieta, divenne ben presto
penosissimo, ridestando il problema dell'avvenire e della vocazione.
Bisognò ricorrere da un religioso di profonda esperienza, che la
rassicurò; e suor Elisabetta credette alla parola dei sacerdote come alla
voce di Cristo.
Al Carmelo, si usa trascorrere la notte clic precede la
professione in una veglia santa di preparazione. Suor Elisabetta era in
coro, tutta raccolta nel suo Dio, tutta protesa nel-PofFerta a Lui della
propria vita, scongiurandolo di prenderla per la Sua gloria. E il Maestro
divino le si fece sentire. « La notte che precede il gran giorno, mentre
ero in coro in attesa dello Sposo, compresi che il mio ciclo cominciava
sulla terra, il cielo nella fede, con la sofferenza e l'immolazione per
Colui che amo »26.
Si iniziava una nuova fase di vita spirituale. Sofferenze
di una sensibilità non ancor del tutto purificata, scrupoli e angosce per
dei nonnulla, tutto questo è ormai passato; d'ora innanzi, ella
procederà sulla via del suo Calvario con la confidenza serena e
incontrollabile di una sposa che si sa tanto amata; avanzerà, tra le
sofferenze più eroiche, con la maestà di una regina.
4. L'indomani della sua professione, suor Elisahcttn della
Trinità si impegnò decisamente nella conquista della perfezione
religiosa, senza esaltazione della sensibilità, ma con slancio nuovo, e
con la forza calma ed eroica che la condurrà,
w
Lettera al Canonico A... - 15 luglio 1903.
44
r i
di sacrificio in sacrificio, fino alla immolazione del
Calvario.
Tutto il suo programma di vita fu la realizzazione del suo
nome: suor Elisabetta, cioè « Casa di Dio, abitata dalla Trinità ».
E veramente, questa presenza di Dio a cui l'anima tende
attraverso a tutto, è proprio l'essenza della vita carmelitana vissuta
nella più costante tradizione dell'Ordine. Nel suo Castello dell'anima
santa Teresa vi ritorna continuamente:
« L'intimità con le Tré Persone divine » costituisce
la verità centrale della sua dottrina mistica,
Suor Elisnbetta della Trinità, per una grazia speciale,
vi trovò l'attrattiva più spiccata della sua vita intcriore. Le sue
lettere, le conversazioni in parlatorio, le sue poesie, le risoluzioni dei
suoi Ritiri, tutto converge in questa divina abitazione nell'intimo; che
fu, lo dice ella stessa, « il bei sole irradiante tutta la sua vita...
Dal giorno in cui compresi questa verità, tutto fu luminoso per
me»". «Il mio continuo esercizio è rientrare in me stessa e
perdermi in Coloro che vi abitano » 2a.
Man mano che gli anni della sua vita religiosa scorrevano,
l'anima sua si seppelliva sempre più nella Trinità pacifica e
pa-cificatrice che, ad ogni istante, le comunicava qualche cosa dei-In Sua
eterna vita.
C'erano ancora talvolta, e vero, in fondo al suo essere,
dei leggeri turbamenti; ma tutto in lei si andava acquetando, e rnccvn.
« Come si è felici quando si vive nell'intimità col
Signore, quando la vita si trasforma in un cuore a cuore con Lui, in uno
scambio di amore, quando si sa trovare iil Maestro divino nel profondo
dell'anima! Allora non si è mai soli, e si ha bisogno di solitudine per
godere della presenza di questo Ospite adorato. Tutto s'illumina e la vita
è tanto bella » ".
« Mi chiedete quali sono le mie occupazioni al Carmeio;
-T Lettera .lila signora B... - 1906.
'-< Lettera ;> G. <le G... - l'ine ile!
seltemhre 1903.
'-"' Lettera a F. de S... - 28 aprile 1903.
45
potrei rispondervi che, per la carmelitana, non ce n'é
che una: Amare: pregare»30.
« La vita della carmelitana è una comunione con Dio
dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina. Se Egli non riempisse
le nostre celle e i nostri, chiostri, coinè sarebbero vuoti! Ma noi Lo
vediamo in tutto perché Lo portiamo in noi; e la nostra vita è un
paradiso anticipato » ".
II ritmo soave di questa vita spirituale è semplicissimo
e si svolge intorno ad alcuni motivi essenziali, sempre gli stessi;
custodire il silenzio e credere nell'Amore die è lì, nel profondo
dell'anima per salvarla.
Vi sono ancora molte notti oscure e molte impotenze; ma
che cosa importano le fluttuazioni involontarie di una anima che vive alla
presenza dell'Immutabile? A poco a poco, tutto si calma 'e si divinizza.
Così trascorreva la vita di suor Elisabetta della
Trinità. In quel Carmelo fervoroso in cui tante anime grandi vivevano di
Dio, per la Sua gloria, non immaginiamocela quasi un essere-'^straordinario,
segnata a dito come santa. Nei monasteri, per lo più, non si canonizzano
le anime se non quando si sono perdute.
A Digione, suor Elisabetta della Trinità era
semplicemente la novizia sempre fedele che, come tante altre, da vera
carmelitana, passava « tutta nascosta, con Cristo, in Dio » (I
Coloss. Ili, 3).
Ili
VERSO L'UNIONE TRASFORMANTE
Quando, il 21 novembre 1904, suor Elisabetta della
Trinità compose di getto, senza la minima correzione, la sua elevazione
sublime alla Trinità non aveva ancora raggiunte le ultime vette
dell'amore.
E non a caso, fino dalla seconda frase della sua
preghiera, immediatamente dopo il primo atto di adorazione alla Trinità,
30
Lettera alla signora A... - 29 giugno 1903.
31 Lettera a F. de S... - 1904.
46
suor Elisabetta, ricadendo su di sé, implora: « Aiutami
a dimenticarmi interamente! ».
Dopo tré anni di vita religiosa, un ostacolo fin allora
insormontabile ingombra la sua vita spirituale: il proprio io. Non è
giunta ancora a quel distacco sovrano delle anime che, dimentiche di se
stesse, non hanno più altra occupazione che amare. Ebbene, sarà questo
l'impegno e il lavoro degli ultimi due anni: lavoro, dapprima, lento e
faticoso, sostenuto per diciotto mesi dn fedeltà nascoste; poi rapido,
quasi fulmineo, quando, dalla sera della domenica delle Palme, Dio,
piombando su di lei come sulla sua preda, verrà a compiere Egli stesso
nel corpo e nell'anima sua la divina opera di distruzione e di
consumazione.
Giungerà allora all'unione trasformante, non sul Tabor,
ma, come l'aveva desiderato, nella somiglianzà a Gesù Crocifisso e nella
conformità alla Sua morte.
È la fase più sublime di questa vita, ed è quella che
ci rimane da analizzare.
Da molli mesi, suor Elisabetta della Trinità soffriva di
un malessere così penoso che, senza il soccorso di Dio, avrebbe dovuto
soccombere. Addetta com'era all'ufficio di portinaia, doveva fare un vero
sforzo per salire i primi gradini della scala, quando veniva chiamata; non
si reggeva in piedi. « La mattina, dopo la recita delle Ore minori —
confesserà poi alla sua Madre Priora — mi sentivo già spossata e mi
domandavo come avrei potuto arrivare fino a sera. Dopo Compieta la mia
viltà giungeva al colmo, tanto che ebbi a volte la tentazione di
invidiare una mia consorella dispensata dal Mattutino. Il tempo del
silenzio rigoroso lo passavo in una vera agonia; la univo a quella del mio
Maestro, standomene vicina a Lui, presso la grata del coro. Era un'ora di
puro patire che mi otteneva però la forza per il Mattutino che recitavo,
riacquistando una certa facilità di applicarmi a Dio. Ma poi, mi
ritrovavo nella mia impotenza; e, protetta dall'oscurità, risalivo alla
meglio in cella, appoggiandomi al muro » a2.
Al principio della Quaresima del i 906, dopo la ricrea-
32 «
Ricordi ».
47
zione del mezzogiorno, suor Elisabetta, aprendo a caso
come soleva fare, il suo caro san Paolo, incontrò questo versetto:
«fio che io bramo è conoscere Lui, è la partecipazione
ai Suoi patimenti, la conformità alla Sìin morie » (Filipp. UT,
10).
Queste ultime parole la colpiscono: la conformità alla
Sua morte. Sono forse l'annunzio della prossima liberazione?
In piena Quaresima, si manifestano i sintomi di una grave
malattia di stomaco; e, dopo la festa di san Giuseppe, suor Elisabetta
della Trinità era definitivamente in infcrmeria.
« Lo sapevo che san Giuseppe sarebbe venuto a prendermi
quest'anno — diceva tutta lieta. Eccolo già che viene ».
Si organizzò una vera crociata di preghiere: ma invano,
che il male progrediva. Suor Elisabetta esultava. Oltrepassando ogni
considerazione sulle sue cause seconde, ella chiamava quella malattia
misteriosa: la malattia dell'amore. « È Lui che mi lavora e mi consuma;
io mi dono, mi abbandono all'opera sua, contenta fin d'ora di tutto ciò
che farà ».
La domenica delle Palme, sopraggiunse una sincope ad
aggravare improvvisamente il suo stato, tanto che fu chiamato, nella
notte, un sacerdote. Suor Elisabetta, con lo sguardo luminoso, le mani
giunte, stringendo al petto il bei Crocifisso della sua professione,
ripeteva con invocazione ardente: « O Amore, Amore! ».
« Ho assistito molti malati — diceva il sacerdote che
le aveva amministrato l'Estrema Unzione — non ho visto mai un simile
spettacolo ».
Il venerdì santo pareva che dovesse spirare; ma la crisi
fu superata; anzi, la mattina del sabato, le infermiere meravigliate la
trovarono inginocchiata sul letto. Il ritorno alla vita fu quasi una
delusione per lei,
« La sera della domenica delie Palme ho avuto una forte
crisi e ho creduto che fosse giunta finalmente l'ora di prendere il volo
verso le regioni infinite, per contemplare svelata-mente quella Trinità
che è ora mia dimora, quaggiù. Nella calma silenziosa delta notte, ho
ricevuto l'Estrema Unzione e la visita del mio Gesù. Credevo che Egli
avrebbe scelto quel-
48
l'istante per rompere i miei legami. Che giorni ineffabili
ho passato, nell'attesa della grande visione! » ".
« A voi, che siete sempre stato il mio confidente, so di
poter dire tutto. La prospettiva di andare a vedere presto, lìdia sua
inciT.ibile bellezza, Colui che amo e di inabissarmi in quella Trinità
c-he è già il mio Ciclo quaggiù, da all'anima mia una gioia immensa.
Quanto mi costerebbe se dovessi ritornare sulla terra; la terra mi pare
cosi brutta uscendo dal mio bei sogno! Soltanto in Dio tutto è puro,
bello e santo » ".
Questa crisi violenta l'aveva avvicinata al mondo
invisibile. Abituntn a vivere al disopra del'le cause seconde, suor
Elisabetla comprese, fino dal primo istante, la ragione provvidenziale di
quella malattia; vi scoprì la mano di Dio, il suo « troppo grande
amore » che più intensamente la incalzava e, immediatamente,
aderì al piano divino.
« Se Dio mi ha reso un po' di vita — disse a se stessa
— non può essere che per la Sua gloria ».
Sì; Dio voleva sollevarla e stabilirla sulla più alta
cima della montagna del Carmelo dove, secondo il celebre scritto di san
Giovanni della Croce, « non c'è più che l'onore e la gloria di Dio ».
Nell'estate de! 1905, qualche mese prima di quella crisi,
mentre si intratteneva intimamente con una consorella durante una licenza 3'',
aveva trovato in san Paolo il suo definitivo nome di grazia: « Laudem
gloriae » e, da allora, tutti gli sforzi della sua vita inferiore si
volgevano in questo senso.
La cosa avrebbe potuto languire, col tempo. Dio tagliò
corto.
Avviene spesso così. Egli lascia che le anime avanzino
col loro passo nelle vie divine; poi, intervenendo all'improvviso, prende
Lui personalmente la dirczione della loro vita nei minimi particolari;
finalmente, nello slancio di una grazia irresistibile, la rapisce a sé.
Si serve delle cause seconde; una gran-
" Lettera a G. de G... - Maggio 1906. ••"
Lettera al Canonico A... . Maggio 19066.
3:1 Le « licen/'e » sono alcuni giorni nei
quali le suore possono visitarsi nelle celle e intrattenersi
insieme.
49
de prova che schianta tutta una vita, una malattia che
sembra condurre iilLi morie...! in renila, e l'or.'i ili\'in;i ilr! Qilv.'ìrio
che tutto compie e perfeziona. ;
Così fu per suor Elisabetta della Trinità. La crisi
fulminea della sera delle Palme e del venerdì santo fu il segnale della
liberazione suprema, fu l'entrata definitiva nell'unione trasformante. Da
quel momento, estranea a tutte le cose della terra, viveva quaggiù con
l'anima già immersa nella eternità.
— Le consorelle" che entrarono maggiormente nella
sua inti-mità confessano che fu per esse la rivelazione di una santa. «
Sentivamo che stava per lasciarci ». — « Non potevamo più seguirla;
era già una creatura dell'ai di là ». La si vedeva procedere nella via
del dolore « con la dignità di una regina », secondo l'espressione
usata da un testimonio, senza saper che era l'espressione stessa di suor
Elisabetta.
Appariva con evidenza che, quanto più il suo essere
fisico si andava disfacendo altrettanto l'anima, sempre più beata,
oltrepassando se stessa, si obliava.
Da un unico pensiero era dominata, sempre: la lode di
gloria alla Trinità; da un unico desiderio: consumare la sua vita a bene
delle anime; da un unico sogno: morire trasformata in Gesù Crocifisso.
« Mi indebolisco di giorno in giorno, e sento che ormai
il mio Signore non tarderà molto a venire a prendermi. Esperimento e
gusto gioie ineffabili: le gioie del dolore... Sogno di essere trasformata
prima di morire in Gesù Crocifisso » 36.
Gli ultimi mesi di quest'anima essenzialmente trinitaria
furono tutti pervasi dal pensiero del Crocefisso; tanto è vero, come
afferma santa Teresa, che anche negli stati mistici più elevati, il
ricordo dell'Umanità di Cristo non deve indebolirsi mal. Colui che, come
Dio, è il termine, come Uomo rimane sempre la via che a Dio conduce: il
Calvario è il solo cammino per giungere alla Trinità.
Al pensiero costante della gloria della Trinità santa,
pensiero che domiha^Tuminosamente tutta la vita inferiore di suor
38
Lettera a G. de G... - Fine di ottobre 1906. 50
Flisaberta, si unisce l'intima contemplazione del
Crocefisso.
« C ^ìn/igi'ii'i!/ ns i/pori! c!i!\ »: ceco
Piiltro pensiero clic non mi abbandona mai, che mi da forza nei patimenti.
Se sapeste quale opera di distruzione sento in tutto l'essere mio! È la
via del Calvario ormai aperta dinanzi a me; e io sono felice di
camminarvi, come una sposa a lato del divino Crocefisso.
Il 18 di questo mese, avrò 26 anni; non so se questo nuo-vo
anno delia mia vita si compirà nel tempo o nella eternità;
e vi chiedo, come una bimba al Padre suo, di volermi
consacrare, durante la santa Messa, come un'ostia di lode alla gloria di
Dio. Consacratemi così interamente, che io non sia più io, ma Lui;
così che il Padre, guardandomi, possa riconoscere Lui in me. Clie io
divenga « conforme alla sua morte », che io soflra in me ciò
clic manca alla sua Passione per il suo Corpo Mistico: la Chiesa. E poi,
bagnatemi nel Sangue di Cristo, pcrclie mi renda forte della sua stessa
forza » ".
Così la vita spirituale di suor Elisabetta si riduceva
sempre di più all'essenziale: la trasformazione in Cristo per amore,
l'intimità filiale di quasi tutti gl'istanti con la Vergine santa, il
senso trinitnrio del suo Battesimo. 11 movimento della sua vita intcriore
rnpita nell'anima del Crocefisso, diviene ben pre-sl-o semplicissimo: la
gloria della Trinità: e basta. Essa è giun-(;i, omini, ali;) supcriore
unita dell'anima dei santi che hanno l'ilggiiiiìl.o ('.risto in pienc/./a.
'rutto il resto, o rientra in questa unicità, o scompare.
Nell'anima sua tutto si armonizza. Il « palazzo della
beatitudine o del dolore » per lei, è tutt'uno; ma il desiderio della
sofferenza non esclude quello del Cielo che, anzi, l'attrae sempre di
più, da che il suo spirito ha preso contatto con gli ultimi capitoli
dell'Apocalisse sulla Gerusalemme celeste, divenuta ora la lettura delle
sue lunghe notti d'insonnia.
Mai la si vide così divina insieme e così umana.
La sua tenerezza si manifestava soprattutto verso le sue
sorelle di religione.
« II cuore di Cristo non fu mai così espansivo come
nell'ora suprema, in cui stava per abbandonare i suoi. Anch'io, sorelli-
37
Lettera al Canonico A... - Luglio 1906.
na 'mia38, non ho provato mai, come ora, un
bisogno così grande di avvolgerti nella mia preghiera. Quando i miei
dolori si fanno più acuti, mi sento talmente spinta a offrirli per tè,
die non potrei non farlo. Chi sa perche! Ne hai forse bisogno in modo
speciale? Sei afflitta da qualche pena? Le mie tè le dono tutte, perché
tu ne disponga pienamente. Se tu sapessi come son felice al pensiero che
il mio Maestro divino sta per venire a prendermi! Come è bella e ideale
la morte per coloro che Dio ha custoditi, affinchè non cercassero le cose
visibili che sono passeggere, ma le invisibili clic non hanno fine! In
Ciclo, io sarò più che mai. il tuo angelo. So quanto la mia sorellina ha
bisogno di essere custodita, in quella Parigi dove è. costretta a vivere.
San Paolo dice che Dio ci ha eletti in Lui, prima della creazione del
mondo, affinchè siamo santi e immacolati al suo cospetto, nell'amore
(Efes. I, 4); ed io, con tutta l'anima, pregherò che questo grande
decreto della sua volontà si compia in tè. Ascolta, quindi, il consiglio
del medesimo Apostolo:
Camminate in Gesii Cristo, radicali in Lui; edificati
Ì!ì Lui, f orrifica li nella fede, crescendo in Lui sempre di più (Coloss.
Il, 7).
Mentre contemplerò la bellezza ideale nella su;) luce
infinita, Le chiederò di imprimersi nell'anima dia perche fin d'ora, su
questa terra in cui tutto è macchiato, tu sia bella della Sua bellezza,
luminosa della Sua luce. A Dio. Ringrazialo per me, perché la mia gioia
è immensa. Ti dò appuntamento nell'ert'-dità dei santi. Là, nel
coro delle Vergini, generazione pura come la luce, noi canteremo lo
stupendo cantico dell'Agnello e il Sanctus eterno, sotto
l'irradiazione del Volto di Dio. Allora, dice san Paolo, saremo
trasfigurati di luce in luce, assumendo la stessa figura di Lui (II
Cor. 3-18).
Ti abbraccio con tutto l'affetto del mio -cuore, e sono il
tuo angelo per l'eternità » ""'.
La sera del 2 agosto 1906, anniversario della sua entrata
38
Così scrive ad una postulante che una circostanza speciale aveva
ricondotta in famiglia, e della quale, net Carmelo, era stata Vangelo,
cioè, secondo gli usi dell'Ordine, la suora incaricata di ìniy.inre
"na post'ilunie a!!c ;i!''it;i-dini della Comunità (N. d. T.).
39 Lettera a C... B... - Fine dell'estate 1906.
52
«il Carmelo, suor Elisabetta, non riuscendo a prender
sonno, si siede presso la finestra, e vi rimane quasi fino alia
mezzanotte, in colloquio col suo Signore. Quella fu per lei una serata
divina: « H ciclo era così calmo, così azzurro! Nel monastero regnava
un silenzio profondo... Ed io rivivevo col ricordo questi cinque anni
.pieni di tante grazie »40.
Sentendo avvicinarsi lo spogliamente supremo, ella chiede
alla sua Madre Priora di poter entrare in ritiro la sera del 15 agosto,
per prepararsi al suo passaggio alla eterna vita; ne da noti/'i.'i ad una
consorella, annunziandole Ìn un biglietto che parte con ]anna coeli
per alcuni giorni di preghiera e di raccoglimento; « Landcm donne
entra questa sera nel noviziato del Ciclo per ricevervi la veste di gloria
e ha bisogno di venire a raccomandarsi alla sua suor A... « Quelli che
Dio ha conosciuti nella sua prescienza — dice san Paolo — li ha
anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo »
(Rom. VII, 29). Ecco ciò che vado a farmi insegnare: la conformità al
mio Maestro adorato, il Crocefisso per amore. Allora, potrò adempiere i1
mio ufficio di Lode di gloria e cantare già il Sdnctiis
eterno, nell'attesa di intonarlo negli atri divini della casa del
Padre»"'.
I''!! proprio in quelle scie e in quelle notti di silenzio
con Dio, in cui sentiva che il Maestro divino la incamminava verso il suo
Caivnrio, che, per desiderio della sua Madre Priora, compose « 1
aliiti mo ritiro di Laudem floride », per dirle come concepiva il suo
ufficio di Inde di gloria. Fino all'ultima settimana, la si vide
trascinarsi alle « Laudi notturne », e là tutta raggomitolata in un
angolo della tribuna, estrarre fin l'ultima stilla dal suo essere esausto.
Nella misura che le permetteva la debolezza estrema, restò fedele sino
all'ultimo alle minime osservanze del suo Ordine. Spesso, durante insonnie
interminabili, soffriva nel corpo e nell'anima un vero martirio; allora,
con grande spirito di fede, si rifugiava presso la sua Madre Priora che
ella chiamava suo sacerdote, incaricato da Dio di consumare il suo
sacrificio supremo.
Lettera alla mamma - 3 nposm 1906. Biglietto nel una delle
sue consorelle.
53
« Ore 11. Dal palazzo del dolore e dell.' bealitudine,
Madre mia, mio sacerdote, la vostra piccola « Lode di gloria » non
può dormire; soffre. Ma nell'anima sua, per quanto vi passi l'angoscia,
regna però tanta calma. Ed è stata la vostra visita che mi ha recato
questa pace di ciclo. Aiutatemi a salire il mio Calvario! Sento così
fortemente la potenza del vostro sacerdozio sull'anima mia, e ho tanto
bisogno di voi.
Madre mia, sento che i miei « Tré » mi sono tanto
vicini. Sono sopraffatta più dalla gioia che dal dolore. Il Signore mi ha
ricordato che qui Egli vuole che io rimanga, e che non tocca a me
scegliere le mie sofferenze; mi inabisso dunque insieme a Lui nel dolore
immenso, con tutti i miei timori e le mie angosce » (ottobre 1906).
« Madre, amato mio sacerdote, la vostra piccola ostia
soffre molto, molto; è una specie di agonia fisica; e si sente così
vile! vile fino a gridare. Ma l'Essere che è Amore, pienezza d'Amore,
viene a- trovarla, a tenerle compagnia, l'associa a sé, mentre le fa
comprendere che, fin quando la lascierà sulla terra, le largirà sempre
il dolore » (ottobre 1906).
Mai si potè sorprendere in lei la minima debolezza, anche
fra le più acute sofferenze; il suo bei sorriso non l'abbandonò mai.
Nelle ultime settimane che furono un vero martirio, il
dono della fortezza si manifestò in lei stupendamente. Le fu chiesto, un
giorno, se soffriva molto; essa fece un gesto come per indicare che le
venivano straziati i visceri... e il volto le si. contrasse; poi, riprese
subito la sua amabile serenità.
Proprio in questo stato di. estrema spossatezza, la rivide
il Padre Vallee, per l'ultima volta, il 15 ottobre. Fu colpito dall'opera
di distruzione compiuta da Dio in quest'anima, rendendola così
ineffabilmente, così devotamente bella; e la invitò ad elevarsi ancora
di più, levarsi in un sforzo supremo fino all'amore che oltrepassa anche
il dolore. Ed essa, consolata da questa ultima visita del suo Padre,
ascese quelle vette che egli le aveva fatte intravedere. Questi stati
superiori di unione trasformante, sul Calvario^ non hanno più iimla di
paragonabile a quanto accade sulla terra,
54
Il 29 ottobre, grazie ad un lieve miglioramento, potè
scendere in parlatorio e rivedervi tutti i suoi cari. Le avevano condotto
'le sue nipotine, « due bei gigli tutti candore ». La rnam-'ina loro le
fece inginocchiare presso la grata, e suor Eli-sabetta, sollevando il
grande Crocefisso della sua professione, le benedisse.
Nel momento dell'addio, ebbe il coraggio di dire alla
mamma: « Mamma, quando la nostra suora commissionaria verrà ad
avvertirti die ho finito di soffrire, tu ti prostrerai in ginocchio
esclamando: — Mio Dio, tu me l'avevi data, tu me l'hai presa; sia
benedetto il tuo Santo Nome »42.
Il giorno seguente, suor Elisabetta della Trinità non
poteva più lasciare l'infermeria. Alla sera, fu presa da un tremito
tortissimo che tutta la scuoteva nel suo tettuccio; la notte, sembrò die
il cielo le si aprisse nuovamente: bisognava far presto. E, fin dalla
mattina del 31, le fu rinnovata la grazia degli ultimi Sacramenti. La
Chiesa cantava i primi Vespri della festa di Ognissanti, e suor
Elisabetta, non potendo ormai più scrivere, dettò un ultimo messaggio:
« Ecco; io credo che sia giunto il gran giorno desiderato ardentemente
del mio incontro con lo Sposo unicamente amato, adorato. Ho la speranza di
potermi trovare, stassera, fra ' quella grande moltitudine ',
contemplata da san Giovanni dinanzi al Trono dell'Agnello in atto di
servirlo notte e giorno nel suo santo tempio. Vi dò appuntamento in
questo bei capitolo dell'Apocalisse, e nell'ultimo che eleva così bene
l'anima al di sopra della terra, nella visione in cui sto per
immergermi... per sempre... ».
A mezzogiorno, tutte le campane della città suonarono {'Angelus.
« Ah Madre! — esclamò — queste campane mi dilatano il cuore;
suonano per la partenza di Laudem gloriae. Mi faranno morire di
gioia, queste campane. Partiamo, dunque! », E tendeva le braccia al
cielo.
42
Quando la signora Catez. avvertita (Lillà suora commissionaria, si recò
nel parlatorio dove la salma della sua figliuola era esposta, ebbe un
grido di dolore. Allora, un'amica che l'accompagnava le disse: «
Ricordatevi ciò che vi lia detto Elisabetta ». La cornppios.i madre se
ne ricordò; e, cadendo in ginocchio mormorò: « Mio Dio, tu me ('avevi
data, tu me l'hai presa. Sia benedetto il tuo Santo Nome! ».
55
Il I novembre, festa di tutti i santi verso, verso le '1.0
del mattino, sembrava giunta l'ora suprema, e la comunità si riunì in
infcrmeria per recitare le preghiere degli agonizzanti. Suor Elisabetta,
sollevandosi dalla sua prostrazione, assicuratasi che tutte le suore erano
presenti, chiese loro perdono. Poi, per compiacere al desiderio che le
esprimevano, mormorò, come in un sospiro, queste frasi:
« Tutto passa... Alla sera della vita, non rimane che
l'amore... Bisogna fare tutto per amore... Bisogna dimenticarsi sempre...
Il buon Dio gradisce tanto die ci si dimentichi. Ah, se l'avessi fatto
sempre! ».
Cominciarono, da allora, nove giorni di penosa agonia.
Distesa sul suo letto come sopra un altare, gli ocelli chiusi, la vita
concentrata tutta nel profondo dell'anima, la santa vittima pregava.
Quando si cercava di consolarla per la dolorosa privazione della santa
Comunione che non poteva più ricevere:
« Lo trovo sulla croce — diceva; la, Egli mi dona la
vita ».
Violentissimi dolori al capo fecero temere una meningite;
fu scongiurata con continue applicazioni di ghiaccio il
quale si fondeva istantaneamente. Le pareva di avere il cervello in
fiamme; la parola, che diveniva quasi inafferrabile, rivelava una divina
unione consumata. Il suo volto, emaciato e irriconoscibile, assumeva
talvolta in modo impressionante i lineamenti dolorosi del santo Volto.
Sembrava un Cristo in croce.
Tré settimane prima, aveva conridato alla sua Madre
Priora: « Se il mio Signore mi facesse scegliere fra la morte in una
estasi o nell'abbandono del Calvario, sceglierei quest'ultima per
assomigliare a Lui ».
E il Signore l'aveva pienamente esaudita: era In
desolazione del Calvario, nell'intimo come al di fuori. Dopo una crisi
violenta, la si era udita esclamare: « O Amore, Amore, consuma tutta la
mia sostanza per la tua gloria! Che essa possa distillarsi goccia a goccia
per la tua Chiesa ».
L'antivigilia della morte, il medico non le nascose la
estrema debolezza del suo polso; ne esultò, e trovò 1a forza di dire:
.« Fl"a due giorni; sarò in seno ai miei ' Tré '.
Sarà la Mridorii);i, questo essere tutto luce, che mi prenderà per mano
per condur-mi al Ciclo ».
56
I 3
II medico, incredulo si meravigliava di una tale gioia; e
suor Elisabetta gli parlò allora dell'adozione divina, del grande mistero
dell'Amore che si ch'ina su di noi...
Questi ultimi slanci l'avevano interamente esaurita; si
potè però sentirla mormorare ancora, quasi in tono di canto: « Vado
alia Luce, all'Amore, alla Vita! ».
Furono le ultime parole intelligibili.
II venerdì, 9 novembre, alle cinque e tré quarti del
mattino, si piegò sul lato destro, col capo arrovesciato all'indietro. Il
volto le si illuminò; i suoi begli occhi, da otto giorni chiusi e quasi
spenti, si aprirono, fissandosi con espressione ineffabile in un punto un
po' al di sopra della Madre Priora, inginocchiata presso il suo letto.
Era bella come un angelo.
Le suore che, intorno a lei, recitavano le preghiere degli
agonizzanti, non potevano distaccarne lo sguardo. Poi, senza clic fosse
dato loro di sorprenderne l'ultimo respiro, si accorsero che suor
Elisabetta non era più.
Era l'alba della « Dedicazione », una delle feste a lei
più care.
Mentre, in coro, alla presenza delle sue spoglie mortali,
le suore cantavano le lodi della Casa di Dio: « Beata pacis visìo
», suor Efisabetta, già nella immutabile visione di pace e negli
splendori della celeste Gerusalemme, che era stato il pensiero più
assiduo degli ultimi suoi. giorni, era unita alla moltitudine dei Beati
che, con le palme in mano, ripetono incessantemente il cantico: « Santo,
santo, santo, il Signore onnipotente che era, che e, che sarà, nei secoli
dei secoli ».
Con essi, prostrandosi, adorando e gettando ai piedi del
trono dell'Agnello la sua corona, ricompensa del suo martirio d'amore ella
ripeteva senza posa: « Dignus es, Domine. Sì, Tu sei degno. Signore,
di ricevere onore, potenza, sapienza, forza e divinità » ".
Alla presenza della Trinità Santa suor Elisabetta era
divenni a T.nnp pi gloria per l'eternità.
CAI'ITOLO SECONDO
L'ASCESI DEL SILENZIO
« Qua! è il punto della Regola che preferite »?. « TI
silenzio ».
1. Le santa ci ci silenzio - 2. Il silenzio esteriore -
3. Il silenzio inferiore - 4. Divinimi silentium.
Due sono pii elementi fondamentali che costituiscono la
essenza di ogni santità: lo spogliamente di sé e l'unione con Dio;
e sempre, sotto le sfumature più varie, li troviamo nella
vita dei santi. In una carmelitana, l'aspetto negativo riveste la forma di
una separazione assoluta.
Il Carmclo è il deserto.
Dio solo.
Ma, tra le anime carmelitane stesse, ciascuna vive in
maniera tutta propria questa dottrina del « nulla » della creatura e del
« Tutto >•> di Dio, tanto cara a san Giovanni della Croce,
il dottore mistico del Carmelo. Ogni stella differisce dall'altra, non
solo per grandezza, ma per una sua luce tutta propria, per un suo
particolare splendore.
Dio e multiforme nei suoi santi. E vano sarebbe voler fare
entrare in un identico stampo due santi di una medesima famiglia
religiosa: sotto i caratteri comuni essi nascondono differenze
irriducibili. Ora, il compito del teologo che scruta le profondità di
un'anima, soggetto del suo studio, è appunto quello di ben discernere
tali differenze. Discernere equivale a vedere più chiaramente.
Sono state spesso acrostat'e, oppure contrapposte, santa
Tc-rcs;i di Gesù B;iinbino e suor Elisabetta della Trinità. Le loro vie
.''olio essenzialmente diverse. La carmelitana di Lisieux ef-
•?<?
fonde su tutto l'universo cattolico con gesto
luminosamente stupendo i suoi petali di rose sfogliate per amore; ha
insegnato al mondo moderno a ritornare fanciullo per avvicinarsi a Dio. La
carmelitana di Digione compie la missione sua presso le anime i'nteriori;
suor Elisabetta della Trinità fu la santa del silenzio e del
raccoglimento.
1. A 15 anni, nelle sue poesie, Elisabetta Catez
sognava la solitudine col suo Cristo:
« Vivere con Tè, solitària!... » '.
E, nel suo diario di fanciulla, a 19 anni, scrive:
« Presto sarò tutta tua; vivrò nella solitudine, sola
con Tè, non occupandomi che di Tè, non vivendo che con Tè, non
conversando che con Tè » ''. E d'estate, in campagna, la più grande
gioia era ritirarsi nei boschi solitari ".
Entrata in convento, la solitudine carmelitana la rapisce:
« Sola col Solo », è, infatti, tutta la vita del
Carmelo.
La carmelitana è essenzialmente una eremita
contemplativa, che ha per patria il deserto di Carith e per rifugio la
cavita della roccia.
Non già che essa dimentichi le anime che si perdono; —
anzi, santa Teresa stabilì la sua riforma alla vista dei disastri causati
dall'eresia di Luterò — ma la testimonianza che Ja carmelitana deve
dare a Dio è quella del solitario, il cui sguardo permane fisso su di Lui
solo, in un ardente oblìo di tutto il resto: attestazione silenziosa, ma
qiuanto commovente, che la divina Bellezza, ed essa sola, merita tutta
l'attenzione di un'anima elevata dalla grazia al consortium della
vita trinitaria.
Dio solo basta.
L'opera sua di apostolato è quella della preghiera che
tutto ottiene. Un'anima sola che si eleva fino all'unione trasformante è
più utile alla Chiesa ed al mondo, di una moltitudine di altre anime che
si agitano nell'azione.
Suor Elisabetta della Trinità fu il tipo della
contemplativa
1
Poesie - Agosto 1896.
2 Diario - 27 marzo 1899.
3 Lettera alla signora A... - 29 settembre 1902.
60
silenziosa la cui azione apostolica si espande, per
sovrabbondanza, su tutto l'universo. Fin dal primo giorno, la si vide
penetrare n iondo in quello spirito di silenzio e di morte che, al
Carmelo, è condì/ione essenziale di ogni vita divina. Nutriva un culto
particolare per il patriarca Elia, il primo fra gli uomini che condusse
vita eremitica e a cui Dio aveva comandato di fuggire dai luoghi abitati e
di nascondersi, lungi dalla folla, nel deserto: «Parli di /fui, e sia
ritirato in Carìth » 4; Elia che aveva insegnato ai
monaci eremiti della santa montagna del Car-melu n liberarsi da tutto ciò
che non è Dio, per starsene alla sola presenzii de) Dio vivo,
eliminandone ogni altra.
Vivere da eremita come Elia, l'uomo solitario e santo,
abitare in povere celle, come i monaci del monte Carmelo vivevano nelle
cavita della roccia presso la fontana del Profeta, fu il desiderio più
caro al cuore di Teresa. « II genere di vita che noi bramiamo di condurre
», scrive la santa nel Capo XIII del C.amm'ì'no di perfezione,
non è soltanto quello dei religiosi, ma anche quello degli eremiti ».
— « Ricordiamo i nostri santi Padri, gli eremiti di altri tempi, dei
quali noi cerchiamo di imitare la vita. Quali sofferenze non hanno dovuto
sopportare, e in quale isolamento! ».
Seguendo la valorosa Rtformatrice, le sue prime figlie si
internavano nel deserto del Carmelo. « La solitudine era tutta hi loro
gioia », ci dice santa Teresa. « Mi assicuravano che mai erano annoiate
e stanche di rimanere sole. Una visita, fosse pure dei loro fratelli e
sorelle, costituiva per esse un tormento. Quella poi clic aveva maggiore
possibilità e agio di rimanere a lungo in eremitaggio, si riteneva la
più felice ».
Silenzio e solitudine: ecco il più puro spirito del
Carmelo. « Potrete avere dimore e case in luoghi solitari... Ciascuna
avrà la sua cella separata... Rimanga, ognuna, nella propria cella o
vicino ad essa, meditando giorno e notte la divina legge e vegliando in
ora/.ione » (La santa Regola).
« Nel tempo in cui le suore non saranno in comunità, od
occupate negli, uffici della comunità, ciascuna rimanga da sola
il] Rc. xvit-3.
nella sua cella o nel romitaggio che la Madre Priora le
avrà permesso...
Se ne stiano nei luoghi del loro ritiro formandosi a
quello spirito di solitudine per ottenere il quale la regola ordina che
ciascuna stia appartata.
Vi sia un terreno in cui si possano costruire degli
eremitaggi, affinchè esse vi si ritirino per fare orazione, come solevano
i nostri santi Padri.
Non vi sia nessun luogo in cui si i-ii..misc;ino per
lavorare insieme, per timore che ciò dia occasione a rompere il silenzio
» (Costituzioni).
Suor Elisabetta della Trinità possedeva in un grado
straordinario questa attrattiva del silenzio die fugge da tutto il creato
per stare sempre alla presenza del Dio vivo, in fede.
Tutta la sua ascetica si accentra nel silenzio inteso nel
senso universale e che costituisce, per lei, la condizione più
fondamentale e necessaria, ad un'anima che vuole elevarsi fino alla unione
divina.
Senza volere imporre al suo pensiero degli schemi troppo
rigidi, incompatibili con le libere ispirazioni alle quali suor Elisabetta
si abbandonava sotto la mozione dello Spirito, si possono ritrovare, nella
linea del suo pensiero, tré silenzi: silenzio esteriore, silenzio
inferiore, e infine un silenzio tutto divino, che è uno degli effetti
più sublimi dei doni dello Spirito Santo, e in cui l'anima è puramente
passiva. Mancandogli un nome tutto proprio che lo definisca, potremmo
chiamarlo, ispirandoci ad uno dei suoi scritti: « silenzio sacro », «
silenzio di Dio » analogo, al divinum silentiiim delle opere di
san Giovanni della Croce.
2. Il silenzio esteriore non è il più necessario; anzi,
in alcune circostanze, non è nemmeno possibile. Ma all'anima rimane,
anche allora, una grande risorsa: rifugiarsi nell'intimo di se stessa, in
quella inferiore solitudine senza della quale è impossibile possedere
l'unione con Dio. E tuttavia il silenzio esteriore deve essere custodito
il più possibile perdio favorisce quello inferiore e, in linea normale, a
quello conduce. L'amore del silenzio conduce al silenzio dell'amore.
62
Suor Elisabetta amava la clausura: i colloqui inutili, in
parlatorio, erano un tormento, per lei. In molte circostanze, ricorderà
ai suoi, con dolcezza ma insieme con fermezza, questo punto clcìla
Regola, e con fedele osservanza, si asterrà dalla corrispondenza nel
periodo dell'Avvento e della Quaresima, a meno che lo scrivere non le
diventi un dovere, perché comandatele dall'obbcdicnza. Dobbiamo quindi,
quanto più da vicino analizziamo le circostanze, riconoscere come una
disposizione veramente provvidenziale l'averci ella potuto lasciare tante
lettere, nonostante i! suo desiderio di restarsene silenziosa dietro le
grate de) suo Carmclo.
Silenzio col di fuori; e silenzio pure dentro il
monastero, nei rapporti con le sue consorelle. Più volte, si impegnò in
gare di silenzio; e le due o tré mancanze di cui doveva accusarsi
derivavano sempre da un motivo di carità.
A questo spirito di silenzio restò fedele sino all'ultimo
giorno.
« Una volta — racconta una suora — avevo ottenuto il
permesso di portarle qualche cosa in infcrmeria e di restare con lei fino
al termine della ricreazione. Fui accolta con grande effusione di gioia.
Ma, appena suonata la campana, essa con dolcezza e con un bei sorriso
rientrò nel silenzio; e capii che quella conversazione non doveva
prolungarsi. Nulla di rigido vi era in lei; ma la fedeltà prevaleva su
tutto ».
Le sue preferenze erano sempre per il silenzio. Le suore
giovani sapevano così bene che era quello il suo programma unico; ...e,
in occasione di. qualche novena o alla vigilia dei ritiri spirituali, le
insinuavano con malizia birichina: « Silenzio, nev-vero? Silenzio!... ».
Ed ella annuiva sorridendo.
Quando, sapendola inalata, la Madre Priora le raccomandava
di restare il più possibile all'aria aperta, suor Elisabetta sceglieva
l'angolo più solitario. « Invece di lavorare in celletta, me ne sto,
come una eremita, nell'angolo più deserto del nostro grande giardino; e
vi trascorro ore deliziose. Sento la natura così piena di Dio! Il vento
che scuote i grandi alberi, gli uccellini che cantano- il bei cido
azzurro, tufo mi parla di Lui » ".
s
Lettera alla mnnìtna - Aposto 1906.
63
Ma il silenzio più caro era per lei quello della sua
colletta che chiamava « il suo piccolo paradiso » e dove le era
delizioso rifugiarsi.
«Un pagliericcio, una povera sedia, un leggìo sopra
un'asse: ecco tutto il mobilio. Ma è pieno di Dio; e vi passo ore tanto
belle, sola con lo Sposo divino! Taccio e Lo ascolto. Fa tanto bene
imparare tutto da Lui! E poi... Lo amo » ".
Apprezzava, fra tutte, le ore del silenzio rigoroso della
notte. Oh, come amava il suo Carmelo immerso in questo silenzio! « II
Carmelo è un angolo di paradiso: si vive nel silenzio e nella solitudine,
sole con Dio solo » '.
Due o tré volte all'anno, dove più e dove meno, secondo
l'abitudine dei vari monasteri, vengono concesse alle Religiose le '^così
dette « licenze », cioè il permesso di scambiarsi delle visite nelle
celle, come facevano un tempo gli cremiti del deserto. Suor Elisabetta
aderiva con garbo a questa usanza voluta da santa Teresa, perché le suore
si infiammassero a vicenda nell'amore dello Sposo; anzi, proprio in tale
circostanza, ricevette una delle grazie più grandi della sua vita: il suo
nome di « lode di gloria ». Ma chi non vede come, per l'umana debolezza,
questi incontri che dovrebbero essere colloqui di fiamma, possono
degenerare in chiacchiere dissipanti? Pura perdita per l'unione divina,
scopo unico del Carmelo. Quindi, suor Elisabetta ritornava con gioia al
suo caro silenzio, amato sopra tutte le cose. E scriveva alla sorella: «
In occasione delle elezioni, abbiamo avuto licenza, cioè potevamo,
durante la giornata, farci scambievolmente delle brevi visite. Ma, sai, la
vita della Carmelitana è il silenzio » 9.
3. Ma il vero silenzio della Carmelitana è il silenzio
dell'anima, silenzio in cui essa trova il suo Dio.
Discepola fedele di santa Teresa e di san Giovanni della
Croce, suor Elisabetta si esercita a far tacere le sue potenze, e ad
isolarsi da tutto il creato. Con ardore inesorabile, immola tutto: lo
sguardo, il pensiero, il cuore. « II Carmelo è come
s
Lettera alla signora A... - 29 giugno 1903. 7 Lettera a M. L.
M... - 26 ottobre 1902. » Lettena dia »tdW . Owatuw WQi,
64
'il ciclo: bisogna separarsi da tutto, per possedere Colui
che è tutto » ".
Questa separazione totale dalle creature attirava già
appassionatamente il suo cuore di fanciulla: « Facciamo il vuoto, di
stacchiamoci da tutto; non vi sia più che Lui, Lui solo » ". «
Separiamoci dalla terra, solleviamoci da tutto il creato, da tutto il.
sensibile » ".
Costretta a frequentare riunioni e feste mondane, l'anima
sua, sottraendosi ai tumulto, si elevava fino a Dio, « Mi sembra che
nulla ci possa distrarre da Lui, quando per Lui solo si agisce, stando
sempre alla sua santa presenza, sempre sotto quel divino sguardo che
penetra nelle intime profondità dell'anima. Anche in mezzo al tumulto del
mondo, si può ascoltarlo, nel silenzio di un cuore che vuole essere
unicamente suo » '''.
Suor P.lisabctta aveva una devozione particolare per santa
Caterina da Siena, non solo per la prodigiosa azione apostolica svolta
dalla santa al servizio della politica pontificia, ma anche per la
dottrina della grande mistica domenicana sulla « colletta intcriore
», costante rifugio della vergine senese in mezzo alle agitazioni umane.
Questo silenzio inferiore, tanto caro a suor Elisabetta
doveva assumere rapidamente in lei la forma di una ascesi universale, e
prendere un posto eminente nella sua vita mistica.
È puro Vangelo: chi vuole elevarsi a Dio con la orazione
deve far tacere in sé le agitazioni vane del di fuori e il tumulto del di
dentro, deve ritirarsi nel più profondo di se stesso e là, nel segreto,
raccogliersi « a porte chiuse » " dinanzi al Volto del
Padre. Così pregava Cristo nelle lunghe notti silenziose della Pniestin.i,
quando se ne andava solitario, a sera, sulla montagna, per rimanervi fino
al mattino « in orazione con Dio » ".
" Lctu-ra alla mamma - Agosto 1903.
i" Lettera a M. G... - 1901.
11 Lettera a M. G,.. - 1901.
"; Luin'ni ai Canonici» A.., - i dicembre
i900.
lf1 Sftti Milltfc, VI.6,
'«'fcff im»; ¥H»/
M
Anacoreti e Padri del deserto dei primi secoli della
Chiesa dimostrano efficacemente, con la loro vita sottratta ad ogni
inutile contatto, l'azione purificatrice del silenzio nella concezione
primitiva dell'ascetica cristiana. Ti deserto li conduceva al silenzio
dell'anima in cui abita Dio.
Suor Elisabetta ha compreso questa verità evangelica in
un senso tutto carmelitano, secondo la sua grazia personale:
silenzio di tutte le potenze dell'anima vigilate e
custodite. per Dio solo. Nessun tumulto nei sènsi esterni,
nell'immaginazione, nella volontà. Non vedere nulla. Non ascoltare nulla.
Non gustare nulla. In nulla arrestarsi, che possa distrarre il cuore o
ritardare l'anima nella sua ascesa verso Dio.
E, prima di tutto, sorvegliare gli sguardi. Non diceva il
divino Maestro: « Se il vostro occhio vi è ragione di scindalo,
strappatelo; perché, se l'occhio è semplice, fu ito il corpo è puro e
vive nella luce »?1''.
L'impurità e una folla di imperfezioni derivano da questo
difetto di vigilanza sugli sguardi. Davide che ne aveva fatto la dolorosa
esperienza, supplicava Iddio di « ritrarre i suoi occhi dalle vanita
della terra » '" dove l'anima sua era venuta meno.
L'anima vergine non si permette un solo sguardo die non
sia rivolto al Cristo.
Il silenzio dell'immaginazione e delle altre potenze
dell'anima non è meno necessario; è tutto un mondo inferiore di
sensazioni e di impressioni che portiamo dovunque con noi, e che ad ogni
istante minaccia di sopraffarci. Anche in questo campo deve esercitarsi
l'ascesi del silenzio.
L'anima che si trastulla ancora coi suoi ricordi, « che
va dietro a un desiderio qualsiasi » 17 estraneo a Dio,
non è un'anima di silenzio, quale voleva suor Elisabetta della Trinità.
Rimangono in lei delle « dissonanze » "', delle sensibilità che
fanno troppo rumore, e non lasciano salire a Dio il concerto armo-
1B
San Matteo, VI-22.
16 Salmo CXVIII-37.
17 Ultimo ritiro - 2° giorno.
18 Ibidem.
66
nioso che dalle potenze dell'anima dovrebbe elevarsi a Lui
senza in temi/ione.
L'intelletto, a sua volta, deve far tacere in sé ogni
umano rumore. « II miniino pensiero inutile » 1!) sarebbe una
nota falsa che bisogna eliminare ad ogni costo. Un intellettualismo
raffinato che lasci troppo libero giucco all'intelligenza è un ostacolo
sottile al vero silenzio dell'anima, in cui essa trova Dio nella fede
pura. E suor Elisabetta della Trinità, come il suo maestro san Giovanni
della Croce, si mostra intransigente su questo punto. « Bisogna
estinguere ogni altra luce »2" e giungere a Dio, non per
mezzo di un sapiente edificio di bei pensieri, ma nella nudità dello
spirito.
Silenzio, soprattutto, nella volontà. È la facoltà
dell'amore:
in essa è in giucco la nostra santità. E con ragione san
Giovanni delta Croce riferisce alla volontà le ultime purificazioni che
preparano all'unione trasformante. Nienfe, niente, niente, niente,
lungo la salita; e, sulla Montagna, niente'21. Suor
Elisabetta ha voluto seguire il suo maestro spirituale fino a questo punto
estremo del Carmelo. Invita l'anima che vuoi giungere all'unione divina, e
fortemente la sollecita ad elevarsi al di sopra dei propri gusti, anche i
più spirituali, fino a spogliarsi di ogni volontà personale: « Non
sapere più nulla... non fare più differenza alcuna fra sentire e non
sentire, godere e non godere » 2!>, mantenersi risoluta a
tutto superare, per unirsi a Dio solo nell'oblio e nello spogliamente
totale di se stessa.
Suor Elisabetta della Trinità aveva spinto fino a questo
punto il suo ideale di silenzio e di solitudine assoluta, lungi da tutto
il creato; e noi sappiamo che le ultime ore della sua vita ne furono la
realizzazione vivente.
Bisogna dunque intenderla come lei, questa ascesi del
silenzio, e intenderla nel suo senso profondo. « Non è una separazione
materiiìle dalle cose esteriori, ma una solitudine dello • spirito, un
distacco assoluto da tutto ciò che non è Dio » 23.
19 Ibidem.
20
Ultimo ritiro - 4" storno.
'" ^--/pc'ie ui s;-t!i Gi.t?v;utiii iu'!i;t ^4"OCC.
'-'2 TI paradiso sulla terra - 2-2.
"'' II paradiso sulla terra - 4" orazione.
67
« L'anima silenziosa, di fronte a tutte le vicende della
vita esteriore come nella sua vita intima, rimane ugualmente indifferente;
le supera, le oltrepassa, per riposarsi, ni di sopra di tutto. nel seno
stesso del suo Dio ».
È la notte descritta da san Giovanni della Croce;
e la morte ad ogni attività naturale.
« L'anima clic aspira a vivere in contatto con Dio, nella
fortezza inespugnabile del santo raccoglimento deve essere spogliata,
distaccata, separata da tutte le cose, almeno in 'spirito » 21.
£ il silenzio assoluto, alla presenta di Dio solo.
Suor Elisabctta della Trinità ha consacrata tutt;'i una
cleva-2Ìone dell'ultimo suo ritiro a cantare questa condizione beata
dell'anima che il silenzio intcriore ha reso perfettamente libera.
« Vi è un altro canto di Cristo, che io vorrei ripetere
incessantemente: «Per le custodirò la min forteti »'•'":
E la mia regola mi dice « La fili! forza sarà liei sile!ì~:'n ».
Dunque, serbare la propria forza per il Signore mi pare che significhi
fare l'unità nel nostro essere per mezzo del silenzio inferiore;
raccogliere tutte le proprie potenze per applicarle al
solo esercizio dell'amore; avere quell'occhio semplice che permette alla
lue'"- di irradiarci » 2".
Un tale silenzio assorbe tutto.
« Un'anima che scende a patti col proprio io, che
si occupa delle sue sensibilità, che va dietro a un pensiero inutile, a
un desiderio qualsiasi, quest'anima disperde le proprie forze: non è
concentrata in Dio. La sua lira non vibra all'unisono; e quando il divino
Maestro la tocca non può trame armonie divine. Vi è ancora troppo di
umano, e si produce una dissonanza. L'anima fhe si riserba ancora qualche
cosa del suo regno interiore e le cui potenze non sono tutte « raccolte >•>
in Dio, non può essere una perfetta lode di gloria; essa non è in grado
di cantare senza interruzione il « cantictim vidgninn » di cui
parla san Paolo, perché in lei non regna la unità. E invece di
proseguire la sua
21 II
paradiso sulla terra 5" orazione. 2•>
Salmo LVin-10 - Tsaia. XXX-15. 2" Ultime» ritiro -
2" giorno.
68
lode attraverso tutte le cose, in semplicità, bisogna che
si affanni continuamente a radunare le corde del suo strumento disperse un
po' da per tutto » 2'.
4. Vi è un altro silenzio che l'anima non ha il potere di
produrre con la propria attività, ma che Dio stesso opera in lei se
riinane sempre fedele, e che costituisce uno dei frutti elevati dello
Spirito Santo: ii divinimi siìentium degli scritti di san (iiov;iniìi
(It'ìl.'i Croce. Le potente non errano più, disperse in caca ddk- «'se.
J,'anima non sa più che Dio. È l'unità.
« Come è indispensabile questa bella unità intcriore
all'anima clic vuoi vivere quaggiù la vita dei beati, cioè degli esseri
semplici, degli spiriti! Mi sembra che proprio a questa unità mirava il
Maestro quando parlava alla Maddalena dell'« unum ncrcsscirinm »
"'\ E come l'aveva compreso bene la grande san-•ta! L'occhio
dell'anima sua illuminato dalla fede aveva riconosciuto il suo Dio sotto
il velo dell'umanità; e, nel silenzio, nell'unità delle potenze,
ascoltava la parola ch'Egli le diceva. Poteva veramente cantare: « L'annua
mia è sempre nelle mie ma-ìn » '""' e soggiungere la
breve parola: « Nesciv!.' » 3". Nemmeno le ferite
recate al suo onore erano capaci, più delle cose esteriori, di farla
uscire dal suo sacro silenzio. Così è dell'anima entrata nelle fortezze
del santo raccoglimento.
Con Rocchio aperto alle chiarezze della fede, scopre il
suo Dio presente, vivente in lei; ed ella, a sua volta, si tiene così
fedelmente presente a Lui nella sua bella semplicità, che egli la
custodisce con cura gelosa. Possono sopraggiungere le agitazioni esterne,
le interne tempeste; può venire intaccato il suo cuore: « Nc'xdi,'/!
». Dio può celarsi, può sottrarle la grazia sensibile: « Nesch'i.'
». E, con san Paolo, esclama: « Per suo amore, ho tutto perduto
» •'" .
Allora, il Signore è libero, libero di effondersi, di
donarsi a suo beneplacito; e l'anima, così semplificata e
unificata, diviene
'-'7 Ultimo ritiro - 2" aiorno. ^
S:in Limi, X-12.
•-•" Sniniit <;XVIIÌ 109.
••1" c-iiiiic.i vr 12.
•'" Fiiippcsi, IH-S.
il trono dell'Immutabile, perché l'unità è il trono
della Tri-nitsi Santa » ".
San Giovanni della Croce, in un passo celebre, fa
allusione al silenzio della Trinità. « Dio Padre non ha che una parola:
il suo .Verbo; e la pronuncia in eterno silenzio... >?. In questo
silepzio della Trinità, suor Elisabetta ha trovato l'esemplare del suo:'
« Si faccia, nell'anima, un profondo silenzio, eco di quello che è un
canto nella Trinità » ".
L'unione trasformante fa entrare in questo silenzio di
Dio. Nell'anima tutto si acquieta: più nulla della terra, più nessuna
altra luce che la Luce del Verbo, nessun altro amore che l'eterno Amore.
Ed essa, l'anima, riveste i « costumi divini ». La sua vita, superando e
dominando da tanta altezza tutte le terrene agitazioni, partecipa alla
vita immutabile « ...immobile e tranquilla — secondo l'espressione di
suor Riisabetta — come se già fosse nell'eternità ». Per un tocco
speciale dello Spirito Santo, uno dei tocchi più segreti, la sua vira è
trasportata nell'immutabile e silenziosa Trinità.
Mediante la fede, quaggiù, ma per uno degli effetti più
sublimi del dono della sapienza, l'anima vive di Dio alla maniera di Dio,
tutta trasfusa in Lui. Essa più non ascolta che l'eterna Parola: la
generazione del Verbo e la spirazione dell'Amore. L'universo tutto quanto
è per lei come se non fosse.
Giunto a questo grado, il silenzio è il rifugio supremo
dell'anima di fronte al mistero di Dio.
« Di questo silenzio ' pieno, profondo ', parlava Davide
quando esclamava: « II silenzio è la tua lode » 3<.
Sì; è la lode più bella, perché è quella che cantasi eternamente in
seno alla tranquilla Trinità » 35.
I « divini costumi » sono l'esemplare delle
virtù dell'anima giunta a tali vette. E fino ad esse suor Elisabetta
della Trinità si era elevata negli ultimi giorni della sua vita,
dimentica di sé, spoglia di tutto, per cercare il suo ideale di silenzio
e di solitudine in seno a Dio.
32
Ultimo ritiro - 2° giorno.
33 Alla sorella.
34 Salmo LXV, 2.
35 Ultimo ritiro - 2° giorno.
70
« Siate perfetti come il vostro Padre Celeste è
perfetto » 3e. E san Dionigi ci dice che « Dio è ' il
grande solitario '. Il mio Maestro mi chiede di imitare questa perfezione,
di rendergli omaggio con l'essere io pure solitària ».
L'Essere divino vive in un'eterna, in un'immensa
solitudine; e, pur interessandosi ai bisogni delle sue creature, non ne
esce mai, perché non esce mai da se stesso. E questa solitudine altro non
è che la sua Divinità.
Perche nulla possa farmi uscire da questo bei silenzio
intcriore, sono nccessarie le stesse condizioni, sempre: lo stesso
isolamento, la stessa separazione, lo stesso spogliamente. Se i miei
desideri, i miei timori, le mie gioie, i miei dolori, se tutti i movimenti
provenienti da queste quattro passioni non saranno perfettamente regolati
e orientali a Dio, io non sarò solitària;
vi sarà del tumulto in me. È dunque necessaria la calma,
il sonno delle potenze, l'unità dell'essere. « Ascolta, figlia mia,
porgi l'orecchio, dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre; e il Rè
avicra la tua bellezza » ". Questa chiamata mi sembra che sia un
invito al silenzio: « Ascolta, porgi l'orecchio... ». Ma, per udire,
bisogna dimenticare la casa paterna, cioè tutto quello che ha relazione
con la vita naturale, quella della quale vuoi parlare l'Apostolo quando
dice: « Se vivrete secondo la carne, morrete » 3S.
« Dìnn'ulìcJ il Ino popolo »; è cosa più
difficile, mi sembra, perché questo popolo è tutto quel mondo che fa
parte di noi stessi: è la sensibilità, sono i ricordi, le impressioni,
ecc...:
Vio, in una parola. Bisogna dimenticarlo,
abbandonarlo. E quando l'anima ha fatto questo strappo, quando è libera
da tutto ciò, allora il Rè s'innamora della sua bellezza, perché la
bellezza, soprattutto quella di Dio, è unità »39.
« Ti Creatore, vedendo il silenzio bellissimo che regna
nella sua creatura, considerandola tutta raccolta nella sua solitudine
intcriore, si innamora della sua bellezza; e se la porta in quella
3fl San
M-iiteo, V-48.
37 Salmo XLIV-ll.
33 Romani, VHI-1.3.
39 Ultimo ;itiro - 10" giorno.
7 i
solitudine immensa, infinita, in quel luogo spazioso
cantato dal Profeta, che altro non è se non Lui stesso » "\
Questa solitudine suprema stabilisce l'anima nel silenzio
stesso della Trinità.
E proprio qui si rifugia suor Elisabctta, nel volo sublime
con cui termina la sua preghiera, per perdersi, fin da questa vita, nella
tranquilla e immutabile Trinità.
« O mio Dio, Trinità che adoro, aiutami a dimenticarmi
interamente, per fissarmi in Tè, immobile e quieta, c-omc scia mia anima
già fosse nell'eternità. Che nulla possa turbar la mia pace ne farmi
uscire da Tè, o mio Immutabile, ma che, ad ogni istante io penetri sempre
più nelle profondità del Tuo Mistero...
...O mici « tré », mio Tutto, Beatitudine mia, Solitudine
infinita, Immensità nella quale mi perdo, io mi abbandono a Voi come
una preda; seppellitevi in me, perché io mi seppellisca in Voi, in attesa
di venire a contemplare nclhi Vostra luce l'abisso delle Vostre arande%e
».
w
Ultimo ritiro - 11° eiorno.
72
CAPITOLO TERZO
L'INABITAZIONE DELLA TRINITÀ
« Ln mia occupazione continua è rientrare "
nell'intimo " e perdermi in Coloro che
sono qui ».
1. Lr7 semiti il eli ci divina mahi I azione - 2. La
sua dottrina dell'i nabì I avolìc di l'ina - 3. il luogo di
questa presenta: il centro pia profondo dell'anima - 4. Suoi atti
essenziali: l'attività della fede; l'esercizio dell'amore - 5. Nella
fede pura - 6. Primato dell'afrore - 7. I.a pratica: fare alti di
raccoglimento - 8. Piccolo ca!cchisì;.'o della presenza dì Dio -
9. Progresso nella prese 1^1! cii Dio - IO. I (ine principali
effetti di questa presenza:
l'ohì'io di se (' l'unione trasformante - 11. Ah!
se potessi dire il I ni i e le ani'a e!...
}\ silen/'io non è che una condizione della vita
vera.
Co! mistero dcll'in.-ihitazione della Trinità, ci
troviamo al cciìl ro della dottrina e della vita di suor Elisabetta, che
è veramente In santa dell'inahitazionc divina.
Ed anche in questo, ella fu carmelitana.
Se c'è una verità cara alla dottrina mistica del
Carmelo, è proprio cpiesto mistero e questa certezza; che Dio è presente
in noi e che, per trovarlo, bisogna rientrare « nell'intimo » in questo
nostro regno intcriore. Tutta la vita spirituale si riassume qui.
Nel suo <•< Ciimmifio di perfezione »,
commentando il Pater, santa Teresa nota, con profonda osservazione, che
Dio non è soltanto in ciclo, « ma nell'intimo dell'anima nostra » e lì
biso-ima sapersi raccogliere per cercarlo e scoprirvelo- Nel « Castello
intcriore », questa presen/'a della Trinità santa segna il punto
ciihninantc delia sua mistica; le anime giunte all'unione trasfor-
mante vivono abitualmente in unione alle Persone divine, e
trovano, in questa « Società Trinitario », le gioie più
beatificanti della terra.
Anche san Giovanni della Croce ne fa il punto di
convergenza di tutta la sua teologia mistica, specialmente degli stati
spirituali più elevati. Egli diceva spesso per devozione la Messa votiva
della santissima Trinità; e, durante la celebrazione del santo
Sacrificio, l'anima sua, irresistibilmente rapita da questo mistero, con
difficoltà si sottraeva all'estasi.
La tradizione del Carmelo è rimasta fedele
all'insegnamento di. questi due grandi Maestri spirituali; e non è raro
incontrare nei chiostri teresiani delle anime la cui vita di silenzio è
tutta orientfita verso il mistero trinitario. La stessa santa Teresa di
Gesù Bambino non si offrì vittima all'Amore proprio il giorno della
festa della Trinità? E la sua offerta all'Amore misericordioso fa parte
di una preghiera essenzialmente trinitaria:
« O mio Dio, Trinità beata, al fine di vivere in un atto
di amore perfetto, mi offro al tuo Amore misericordioso come vittima di
olocausto » '.
Bisogna però riconoscere che suor Elisabctra della
Trinità ricevette una grazia tutta speciale per vivere di questo mistero.
Dio, che la predestinava alla missione di ricondurre le anime nel profondo
di se stesse per prendervi coscienza delle divine ricchezze del loro
battesimo, fece di lei, veramente, la santa dell'inabitazione della
Trinità.
1. Nella pagina del suo taccuino di fanciulla aveva
trascritto in carattere diverso questo pensiero di santa Teresa:
« Bisogna che tu mi cerchi in tè » 2. Verso
l'età di 19 anni, ella si sentiva « inabitata ». E spesso
ripeteva ad una amica: « Mi sembra che Egli sia qui », e faceva il gesto
di stringerlo fra le braccia, di premerlo sul suo cuore. « Quando vedrò
il mio Confessore — diceva tra sé — gli domanderò che cos'è mai
quello che accade in me ».
Già abbiamo vista come la Provvidenza le preparò Pincon-
' Storia di un'anima. 2 Santa Teresa a
Monsignor Alvaro di Mendoza.
74
u-o col Padre Vallee, e come questi, da teologo
contemplativo qua! era, l'illuminò intorno al dogma cristiano dell'inabitazione
divina. Per Elisnbetta Catez fu una luce magnifica, fu l'orientamento
decisivo della sua vita.
Da allora, rassicurata sulla verità di questo mistero di
fede, si seppellì scn/.a timore nelle profondità di se stessa, per
cercarvi i suoi « Tré ».
Le testimonianze di questo periodo non ci lasciano alcun
dubbio che Elisabetta, prima ancora della sua entrata in chiostro, non
fosse già « presa » dal mistero della divina inabitazione, e in
un grado non comune. Era il tema delle sue confidenze intime: « La
Trinità era il suo Tutto » 3.
All'inizio di questa rivelazione subitanea che illuminò
tutta la sua vi'a, ella non poteva tacerne, qualche mese più tardi, non
ne parlava quasi più; ma piuttosto si sentiva che era « presa »
dalla Trinità. Questa espressione di un testimonio dice molto bene la passività
dell'anima sua sotto l'azione dello Spirito Santo, dopo le prime grazie
mistiche del ritiro del 1899. « Perdiamoci in questa Trinità santa, in
questo Dio tutto amore. Lasciamoci trasportare in quelle regioni superne
in cui non c'è più che Lui, Lui solo! » '. « Dio in me, io in Lui, sia
il nostro motto. Come è bella questa presenza di Dio in noi, nell'intimo
santuario delle anime nostre! Qui noi Lo troviamo sempre, anche quando il
sentimento non avverte più la Sua presenza. Ma Egli è qui lo stesso; e
qui, mi piace tanto cercarlo. Oh, non lasciamolo mai solo! Sia, la nostra
vita, un'orazione continua. Chi mai potrebbe rapircelo? Chi potrebbe anche
solo distrarci da Colui che ci ha prese interamente, che ci fa tutte sue?
» ".
Suor Elisabetta, dunque, ha già trovato la formula della
sua vita; e otto giorni dopo la sua entrata in Convento, non farà che
trascriverla, nel formulario che le si chiederà di riempire.
— Qual è il vostro motto?
— Dio in me; io in Lui. Al Carmelo, questa vita alla
presenza di Dio è considerata
3
Testimonianza <ii un'amica. •' Lettera a M. G... - 1901. s
Lettera a M. G... - 1901.
75
come un'eredità sacra che si fa risalire al Patriarci)
Elia:- « in sto sempre alla presenza ci i ]ahveh, il Dio viro »
". È l'essenza stessa del Carmelo. Tutti gli spogliamenti, tutti i
silenti, tutte le .-purificazioni non hanno che uno scopo: serbare l'anima
libera di applicare tutte le sue potenze a questa continua presenza di
Dio.
Suor Elisabetta, dunque, trovò su questo punto tutta una
dottrina spirituale divenuta familiarissima nell'ambiente in cui doveva
vivere. E fu, per la sua vita intcriore, l'inizio di una fioritura
stupenda. Fin allora, Elisabetta era stata una fanciulla tutta pura, molto
pia, alla quale il Signore, in premio della sua fedeltà eroica, aveva
elargito qualche tocco mistico; ma le mancava ancora una dottrina e una
formazione spirituale. L'incontro col Padre Vallee aveva stabilito con
tutta certezza l'anima sua nella luce intravista; la lettura assidua di
san Giovanni della Croce le dette una dottrina; l'ambiente religioso fece
il resto.
Ella stessa, studiando il suo nuovo maestro spirituale, ne
segnava con cura i punti che trattano della natura e degli effetti di
questa misteriosa ma reale e sostanziale prcsenxa della Trinità santa
nell'anima. E, per una grazia tutta singolare, seppe trovare, in questa
presenza delle tré divine Persone nel profondo dell'anima sua, « il suo
ciclo in terra », il segreto della sua santità eroica.
E, anzitutto, il suo nome trinitario la rapiva.
« Non vi ho detto ancora il mio nome al Carmelo? Maria
Elisabetta della Trinità. Sento che questo nome racchiude una vocazione
particolare. Non è vero che e molto bello? Io amo tanto questo mistero
della santissima Trinità; è un abisso nel quale mi perdo » 7.
« Io sono Elisabetta della Trinità, cioè Elisabetla che
scompare, che si perde, che si lascia invadere dai ' Tré ' » s.
Fu la parola d'ordine della sua vita Carmelitnnn.
« La mia occupazione continua è rientrare nell'intimo e
perdermi in Coloro che vi abitano... Lo sento così vivo ncl-
B III
Rè, XVTT-1.
7 Lettera al Canonico A... - .14 giugno 1901.
8 Lettera a G. de G... - 20 agosto 1903.
76
l'sinima mia, che basta io mi raccolga per trovarlo qui,
dentro di me. Ed è tutta la mia felicità » ".
« Viviamo con Dio come con un amico. Rendiamo tutta viva
In nostra fede, per unirci a Lui attraverso tutte le cose. È ciò che fa
i santi. Noi portiamo il nostro cielo in noi; poiché Colui che sazia i
beati nella luce dell'eterna visione, a noi si dona nella fede e ne!
mistero. Ma è sempre Lui. Io ho trovato sulla terra il mio ciclo;
perché il ciclo è Dio, e Dio è nell'anima mia. Il giorno in cui l'ho
compreso, tutto per me si è illuminato; vorrei svelare questo segreto a
tutti quelli che amo, perdio anch'essi aderiscano sempre a Dio, e si
realizzi, così, la preghiera di Cristo: « Padre, che essi siano
consumati nella unita » '".
Per quel fenomeno di accentramento familiare a tutte Fé ;inime
dominate da una grande idea, suor Elisabetta riconduce tutto al pensiero
che regna in lei, sovrano. Le feste liturgiche apparentemente meno
collegate al mistero trinitario di cui essa vive nel profondo dell'anima,
vi si riallacciano per una trasposizione che le viene naturalissima. Il
Natale ce ne da un esempio caratteristico.
« II Natale al Carmelo!... È veramente singolare. La
sera, mi sono messa in coro, e là ho trascorso la mia veglia, insieme
alla Vergine santa, nell'attesa del piccolo Dio che questa volta sarebbe
naro, non più nel presepio, ma nell'anima mia, nelle nostre anime,
perché Egli è l'Emmanuele, il « Dio con noi » ". La sua
ispirazione poetica trova in questa abitazione divina nel profondo
dell'anima il suo motivo fondamentale:
O Beata Trinitas
La gr;i/:ia di Dio ti inondi e ti invada spandendosi in
tè come un fiume di pace;
nell'ampie sue onde tranquille ti immerga! Che nulla
d'estraneo ti sfiori mai più.
Nell'intima pace di questo mistero sarai visitata da Lui,
dal tuo Dio;
" Lri!cr;i ;'' ( .liiniìko A... - 17 luglio 1903.
'" l.ellcr.i ;]|l:ì signorii De S... - 1902.
" Lettera alla zia R... - 30 dicein'ore 3903.
/ /
e là ti festeggio in silenzio, o mia Madre, la Trinità
Santa adorando con tè,
Laudcìn Glorìae -
Giugno 1906 ".
Nella ricorrenza del 29 giugno, festa delle suore
converse, scrive;
« II giorno di santa Marta, abbiamo festeggiato le nostre
buone sorelle dal velo bianco. In onore della loro santa Patrona, vengono
dispensate per quel giorno da! loro ufficio, per potersi dedicare con
Maddalena ai dolci riposi della contemplazione. E tocca alle novizie
sostituirle nei lavori della cucina. Io mi trovo ancora in noviziato,
perché vi restiamo per tré anni dopo la professione; ho passato quindi
una bella giornata presso il fornello. Avendo — come si dice — il
mestolo in mano, io non sono andata in estasi come la mia Madre santa
Teresa, ma. ho creduto alla divina presema del Maestro che era in
mezzo a noi, e l'anima mia adorava nel centro di se stessa Colui
che Maddalena aveva saputo riconoscere sotto il velo della
umanità » ".
Le sue lettere sono piene di consigli sulla presenza di
Dio:
« L'anima vostra sia il suo santuario, il suo riposo su
questa terra, in cui Egli è tanto offeso » 14.
« Che Egli faccia dell'anima vostra un piccolo paradiso
ove possa riposarsi deliziosamente; toglietene tutto quello che potrebbe
ferire il suo sguardo divino. Vivete lì, insieme a Lui. Ovurique voi
siate, qualsiasi cosa facciate, Egli non vi lascia mai; dunque rimanete
voi pure con Lui, sempre. Entrate nel-l'iht-imo dell'anima vostra: sempre
ve lo troverete, impaziente di farvi del bene. Io rivolgo a Dio, per voi,
la preghiera che san Paolo faceva per i suoi quando chiedeva « che
Gesù abitasse, con la fede, nei loro cuori, affinchè fossero radicati
nell'amore'» 15. Queste parole sono così profonde,
"così misteriose! Oh, sì! quel Dio che è tutto Amore sia la vostra
perpetua
12 A
una Madre del Carmelo di Bigione.
13 Lettera alla zia R... - Estate 1905. 114
Lettera alla signora De B... - 17 agosto 1905. 35 Efesini,
III-17.
78
dimora, la vostra cella e il vostro chiostro m mezzo al
mondo. Ricordatevi sempre che Egli è lì, nel centro più intimo
dell'anima vostra, come in un santuario dove vuole essere amato fino alla
adorazione » ".
Sebbene adattato alle varie persone e circostanze, è
però lo stesso pensiero fondamentale che ritorna sempre: la vera vita
è nel profondo dell'anima, con Dio. Qui, essa ritrova coloro che ama,
e qui sta il segreto della gioia che ha fatto della sua vita un paradiso
anticipato.
Suor Elisabctta della Trinità fu veramente l'anima di una
idea. Quando, ogni domenica, nell'Ufficio di « Prima », la Chiesa
poneva sulle sue labbra il « Quicumque », essa, come già la
Madre sua santa Teresa, si sentiva rapita verso questo mistero dei misteri
dove l'anima sua viveva sempre. E ogni domenica era da lei consacrata
all'onore della santissima Trinità. All'avvicinarsi poi della festa della
Trinità santa, si sentiva pervasa da una grazia irresistibile; e, per
molti giorni, la terra non esisteva più per lei.
« Questa festa dei « Tré » è proprio la mia
festa; per me, non ve n'è un'altra che le somigli; ne io avevo mai capito
così bene il mistero e tutta la vocazione che racchiude il mio nome. E in
questo grande mistero ti do convegno, perché esso sia il nostro centro,
la nostra dimora. Ti lascio con questo pensiero del Padre Vallee che
formerà il soggetto della tua orazione: — Che Io Spirito Santo ti porti
al Verbo, il Verbo ti conduca al Padre, e possa tu essere consumata
nell'Unità, come il Cristo
e i nostri santi » ".
In tal modo, gli anni e le grazie della sua vita religiosa
la seppellivano ogni giorno più nel profondo di se stessa con Colui che,
ad ogni istante, col suo contatto, le comunicava la vita eterna. I minimi
avvenimenti tradivano la presa di possesso, piena, di quest'anima da parte
della Trinità.
Le viene comunicata la nascita di una nipotina, e subito
esulta in uno slancio verso la Trinità: « Abbiamo fatto una vera
ovazione alla piccola Bettina. Questa mattina, in ricreazione,
'" Lettera aiia signora De B... - Estate 1905. 17
Lettera alla sorella - Giugno 1902.
79
la nostra reverenda Madre così buona, era tutta lieta di
mostrarci la sua fotografia, e tu puoi pensare come batteva il cuore di
zia Elisabetta. Margherita mia, come l'amo, questo piccolo angelo! L'amo,
io credo, quanto la sua mammina. E non è dir poco. E poi, sai, mi sento
tutta penetrata di rispetto dinanzi a questo piccolo tempio della Trinità
santa. La sua anima mi appare come un cristallo che irradia la Divinila;
se le fossi vicina, mi metterei in ginocchio per adorare Colui che dimora
in lei. Vuoi abbracciarla per la sua zia Carmelitana e poi prendere 1a mia
anima con la tua, per raccoglierti presso la tua creaturina? Si;
fossi ancora tra voi, come vorrei cullarla, veleggiarla!
Ma il Signore mi. ha chiamata sul. monte santo perche io sia i! suo angelo
e la circondi di preghiera. Di tuito il resto, ne faccio serenamente il
sacrificio, per lei » 1S.
'Nelle sue conversazioni in parlatorio, nelle sue lettere,
con la mamma, con la sorella, con le amiche, con tutti quelli che la
avvicinano, ella si fa apostola di questa presenza divina nell'anima, con
discreta ma instancabile perseveranza.
,-, « Pensa che tu sei in Lui, che Egli si fa tua dimora
quaggiù. 'E poi, che Egli è in tè, che Lo possiedi nell'intimo del tuo
essere, che in ogni ora del giorno e della notte, in ogni gioia, in ogni
prova, tu puoi trovarlo lì, così vicino, così intimo! H il segreto
della gioia; il segreto dei santi. Essi sapevano tanto bene di essere il
tempio di Dio e che, unendosi a c]uesto Dio, si diviene « uno stesso
spirito con Lui », come dice san Paolo. Quindi si muovevano sempre
sotto la Sua irradiazione » '9.
Bisognerebbe moltipllcare le citazioni. A chi studia da
vicino l'evolversi di quest'anima, appare più intensamente la verità
dominatrice della sua vita, mentre tutto il resto dilegua e scompare.
Il 21 novembre, festa della Presentazione di Maria
santissima al Tempio, tutte le Carmelitane rinnovano i voti della loro
santa professione. Mentre suor Elisabetta pronunciava di. nuovo, con le
compagne, la formula dei suoi santi voti, si sentì trasportata da un
movimento irresistibile della grazia verso la Trinità
13
Lettera alla sorella - Marzo 1904 19 Lettera a M. L. M... - 24
agosto 190?.
80
sani;!. Rientrata in cella, prese la penna e, sopra un
semplice foglio eli quaderno, senza esitazione, senza la minima
correzione, tutta eli getto, scrisse la sua celebre « Preghiera », come
un grido che erompe dal cuore.
« O mio Dio, Trinità che adoro, aiutami a dimenticarmi
interamente, per fissarmi in Tè, immobile e quieta come se la min anima
già fosse nell'eternità. Nulla possa turbare la mia pace, ne farmi
uscire da Tè, o mio Immutabile, ma che ad ogni istiinic, io ini immerga
sempre più nelle profondità del tuo mistero.
Pacifici l'nnima mia; rendila tuo cielo, tua prediletta
dimora e luogo del tuo riposo. Che, qui, io non ti lasci mai solo; ma
tutta io sia, vigile e attiva nella mia fede, immersa nell'adorazione,
pienamente abbandonata alla tua azione creatrice.
O amato mio Cristo, crocefisso per amore, vorrei essere
una sposa per il tuo cuore, vorrei coprirti di gloria, vorrei iim.ìfti...
fino a morirne!...
Ma sento tutta la mia impotenza; e Ti prego di rivestirmi
di Tè, di identificare tutti i movimenti della mia anima a quelli
dell'anima tua, di sommergermi, di invadermi, di sostituirti a me,
affinchè la mia vita non sia che un riflesso della Tua vita. Vieni in me
come Adoratore, come Riparatore e come Salvatore.
O Verbo eterno, Parola del mio Dio, voglio passar la mia
vita ad ascoltarti, voglio rendermi docilissima ad ogni tuo insegnamento,
per imparare tutto da Tè; e poi, nelle notti dello spirito, nel viioto,
nell'impotenza, voglio fissarti sempre e starmene sotto il tuo grande
splendore. O mio Astro adorato, affascinami, perché io non possa più
sottrarmi alla tua irradiazione.
O Fuoco consumante, Spirito d'amore, discendi in me,
perché si faccia nell'anima mia quasi una incarnazione de! Verbo! Che io
Gli sia un prolungamento di umanità, in cui Egli possa rinnovare tutto il
Suo mistero.
E Tu, o Padre, chinati verso la tua povera piccola
creatura, coprila della tua ombra, non vedere in essa che il Diletto nel
quale hai posto tutte le tue compiacenze.
O miei « Tré », mio Tutto, Beatitudine mia,
Solitudine in-fiiiiln. Immensità nella quale mi perdo, io mi
abbandono a Voi
81
come una preda. Seppellitevi in me, perché io mi
seppellisca in Voi, in attesa di venire a contemplare nella Vostra Luce
l'abisso delle Vostre grandezze ». ; ,
21 novembre 1904.
C'è voluta tutta una vita di santità per comporre una
tale preghiera, una delle più belle del Cristianesimo, e'un carisma
speciale per farla sgorgare dal cuore. Quante anime religiose ne vivono,
da mesi ed anni, senza provarne mai stanchezza! Mentre, nel silenzio,
mormorano questa preghiera, suor Elisa-betta, fedele alla sua missione,
induce queste anime nel raccoglimento, le aiuta ad uscire da se stesse con
un movimento semplicissimo e pieno di amore e, così pacificate, le porta
e le abbandona alla Trinità.
Dopo il 1904, data in cui compose la sua « Elevazione
alla santa Trinità » Dio la visitò col dolore; e ancora e sempre in
questa presenza divina, ella attinse la forza del suo eroismo sorridente.
E, nell'ora suprema, si rivolge alle sue amiche, ai suoi cari, con una
tenerezza ancora più intensa, per lasciare loro in testamento la sua
cara devozione ai « Tré ».
...Vi lascio la mia fede nella presenza di Dio, del Dio
tutto amore che abita nelle anime nostre. Mi è caro confidarvi che questa
intimità con Lui « dentro di me » è stato il bei sole che hs
illuminato la mia vita, facendo di essa quasi un paradiso anticipato. Ed
è la forza che mi sostiene oggi, nel dolore. Io non ho paura della mia
debolezza, perché il Forte è in me, e la sua virtù è onnipotente. E
opera, dice l'Apostolo, più di quanto possiamo sperare»20. :
Uguale testamento, e più commovente ancora, alla sorella:
« Sorellina mia, sono felice di andare lassù, per essere
il tuo angelo. Come sarò gelosa della bellezza dell'anima tua, che ho già
tanto amata, qui, sulla terra! Ti lascio la mia devozione ai « Tré
». Vivi con Essi nell'intimo, nel cielo dell'anima tua. Il Padre ti
coprirà della sua ombra, ponendo come una nube fra tè e le cose della
terra, per custodirti tutta sua; e ti comunicherà la sua potenza perché
tu l'ami di un amore forte come la morte. Il Verbo imprimerà nell'anima
tua, come un cristallo,
20
Lettera alla signora De B... - 1906.
82
l'immagine della sua stessa bellezza, affinchè tu sia
pura della sua purezza, luminosa della sua luce. Lo Spirito Santo ti
trasformerà in un'arpa mistica dalla quale, al tocco divino, si
sprigionerà un magnifico cantico dell'Amore. Allora, sarai tu la « lode
di gloria » che io sognavo di essere sulla terra. Tu mi sostituirai. Io
sarò « Laudem gloriae » dinanzi al trono dell'Agnello, e tu « Laudem
gloriae » nel centro dell'anima tua » ".
La dimora di Dio nel centro più profondo della sua anima
fu, per suor Elisabctta, il segreto della sua rapida santità. Si può ben
credere alla testimonianza che ce ne ha lasciata lei stessa, solo pochi
giorni prima della sua morte:
« Lassù, in seno all'Amore, penserò attivamente a voi;
per voi chiederò — e sarà il segno della mia entrata in cielo — una
grazia di unione intima col Maestro divino. È il segreto che ha
trasformato la mia vita, ve lo confido, in un paradiso anticipato: credere,
cioè, che un essere che si chiama l'Amore, abita in noi ad ogni istante
del giorno e della notte e che Egli ci chiede di vivere ' in società '
con Lui » 22.
2. Cosa vana sarebbe voler chiedere a suor Elisabetta
della Trinità una dottrina rigorosamente sistematica, da lei stessa
compilata ordinandone gli elementi. Essa ha vissuto da contemplativa i
più alti misteri della fede, e specialmente il dogma della inabitazione
divina, senza mai pretender di fare l'ufficio di dottore o di teologo,
anzi, senza nemmeno supporre il valore e la missione universale da Dio
riservata ai suoi scritti.
Nelle sue note intime, essa stessa rimanda ad alcuni passi
di san Giovanni della Croce che l'hanno partico'iarmente colpita, in cui
il santo Dottore, nel suo Cantico spirituale, tratta della natura e
degli effetti di questa misteriosa presenza divina. Vi si ritrova la
classica dottrina della teologia cattolica vista in un'altissima luce
contemplativa: Dio è sostanzialmente presente in tutti gli esseri con la
sua potenza creatrice; a questa presenza comune, si aggiunge una presenza
speciale, nelle anime dei giusti e negli spiriti beati, come oggetto di
21
Lettera alla sorella - 1906.
22 Lettera alla signora G. De B... - 1906.
83
conoscenza e di amore nell'ordine soprannaturale. Suor
Eli-sabetta della Trinità aveva meditato a lungo questi testi ed aveva
attinto da san Giovanni della Croce gli elementi di una dottrina mistica
su questa intima presenza di Dio nell'anima dei giusti, dottrina che
costituisce una delle più tradizionali e più consolanti verità del
Cristianesimo.
La Chiesa ne ha sempre riconosciuto la sorgente
nell'insegnamento cosi chiaro di Gesù: « Se alcuno mi ama e
custodisce la mia parola, il Padre mio lo amerà; e noi verremo ci lui e
stabiliremo in lui la nostra dimora » '•".
Il testo è chiaro. Il Figlio e il Padre, come pure lo
Spirito Santo, che è Uno con Essi, abitano nell'anima fedele, Tutto il
mistero della generazione del Verbo e della spirazio-ne dell'Amore si
compie silenziosamente nelle più intime profondità dell'anima. La nostra
vita spirituale diviene una partecipazione continua alla vita della
Trinità in noi. L'anima, divinizzata dalla grazia di adozione, viene
elevata alla divina amicizia e introdotta nella famiglia della Trinila per
vivervi come il Padre, come il Verbo, come l'Amore e insieme con Essi,
della medesima luce e del medesimo amore, « consumata in Essi,
nell'Unità » ".
Gesù, nella sua preghiera sacerdotale, ci ha lasciato la
descrizione di questa vita deiforme delle anime perfette, ammesse al 'consortium
della vita trinitaria: « Padre santo, custodisci nel nome tuo quelli
che Tu mi hai dati, affinchè siano Uno con noi... Che tutti nano una cosa
sola, e come Tu, o Padre, sei in Me ed Io in Tè, così anch'essi siano in
noi... Siano Uno, come noi lo siamo: Io in loro e Tu in Me, affinchè
siano consumati nella unità... e l'amore col quale mi hai amato sia in
essi, ed Io in loro » w.
Dopo un discorso così esplicito del Maestro, che cosa
vogliamo di più? Fra la Trinità santa e noi, non vi è, no, unità di
natura — sarebbe panteismo —, ma unità per grazia, che ci associa, a
titolo di figli adottivi, alla vita stessa del
23 San
Giovanni, XIV-23.
24 San Giovanni, XVII-23.
25 San Giovanni. XVII-11... 26.
84
nostro Padre dei Cieli ad immagine del Figlio, in un
medesimo Spirito di amore.
Senza la Trinità, l'anima è deserta; ma non lo è più
quando, possedendo in sé le Persone divine, essa viene ad entrare « in
società » 2B intima col Padre, col Figlio e con lo
Spirito Santo mediante la fede e la carità. Le tré divine Persone sono
lì, sostanzialmente presenti nell'anima del piccolo battezzato che,
secondo l'espressione di san Paolo, è divenuto « tempio dello Spirito
Santo ».
Tutta la nostra via spirituale, dal battesimo alla visione
beatifica, si svolge come un'ascesa progressiva e sempre più rapida verso
la Trinità; ma la visione beatifica e, più ancora, tutti gli stati
mistici intermedi, anche quelli più elevati dell'unione trasformante,
sono in germe nel battesimo. Non si riflette abbastanza sull'importanza
primordiale di questa grazia del santo battesimo, alla quale siamo
debitori di potere entrare, come figli adottivi, nella famiglia della
Trinità.
Questa bella teologia dell'inabitazione divina è il
substrato della dottrina spirituale e della vita mistica di suor
Elisabetta, e ci permette di seguirla nelle più recondite pieghe
dell'anima sua. Essa non ha bisogno, per comprenderla, di lunghe
dissertazioni sul come sia possibile il mistero; per la via della sapienza
infusa, in tutta semplicità ma con rara profondità di pensiero, suor
Elisabetta aveva penetrato il senso della sua vocazione battesimale, e
aveva compreso che, fin da questa vita, era chiamata a vivere — secondo
la parola di san Giovanni a lei sì cara — « in società » con
la Trinità santa.
Aveva anche composto per sua sorella, quasi come
testamento, un intero ritiro per spiegarle come si può « trovare il
paradiso sulla terra ». Quelle pagine, da lei scritte nelle ultime
settimane di vita e consegnate a Margherita dopo la sua morte,
costituiscono insieme all'intimo ritiro di Laudem glo-rìac, quasi
una piccola « Somma » della sua dottrina spirituale nella fase
più evoluta.
Ora, fin dalla sua prima orazione, suor Elisabetta,
elevan-
'-'" I Giovanni, 1-3.
85
dosi all'altissima luce contemplativa della Preg/.i/era
sacerdotale di Cristo, considera il nostro soprannaturale destino
secondo le parole stesse del suo Maestro che chiama le anime alla loro « consumazione
nell'Unità » 2T della Trinità mediante la grazia,
« Padre io voglio che, dove sono io, anch'essi, quelli
che Tu mi hai dati, sitino meco, affinchè contemplino la gloria che mi
hai data, perché mi hai amato prima della creazione del mondo » M.
Questa è l'ultima volontà di Cristo, la sua preghiera
suprema, prima di ritornare al. Padre. Egli vuole die là dov'è Lui, ci
siamo noi pure, non solo nell'eternità, ma già nel tempo che è
l'eternità incominciata e in continuo progresso. È importante quindi
sapere dove noi dobbiamo vivere con Lui, per realizzare il suo dono
divino. Il luogo in cui si cela il Figlio di Dio è il seno del Padre,
ossia l'Essenza divina, invisibile ad ogni sguardo mortale, inaccessibile
ad ogni intelligenza umana, il die fa dire nd Isaia: « Tu sci
veramente un Dio ascoso » 2!'. E tuttavia, la sua volontà
è che siamo fissati in Lui, che dimoriamo dove Egli dimora, in unità
d'amore; che siamo, per così dire, la sua stessa ombra.
« Col battesimo — dice san Paolo — noi
siamo stati innestati in Gesù Cristo » ''". E ancora: « Dio
ci fece sedere nei deli in Cristo Gesù, per mostrare ai secoli futuri le
magni-fiche ricchezze della sua grazia ». Poi soggiunse: « Voi
non siete più pellegrini o stranieri; ma siete concittadini dei santi;
siete della famiglia di Dio »31.
« La Trinità! ecco la nostra dimora, la nostra cara
intimità, la casa paterna da cui non dobbiamo uscire mai » 32.
3. Il luogo di questo incontro dell'anima col suo Dio è
nell'anima stessa, nel centro più profondo del suo essere.
27 San
Giovanni, XVII-23.
'•" San Giovanni, XVII-24.
20 Isaia, XLV-15.
30 Romani, VI-5.
31 Efesini, II, 6, 7.
32 « II paradiso sulla terra » - I" orazione.
86
I mistici chiamano mens o vertice dell'anima questo
luogo recondito e segreto delle divine operazioni, dove Dio solo penetra e
può agire; invece suor Elisabetta della Trinità, accostandosi di
preferenza alla terminologia di santa Teresa e di san Giovanni della
Croce, lo designa come « il centro dell'anima », il suo centro più
profondo.
« Questo ciclo, questa casa del nostro Padre, è nel
centro dell'anima nostra; quando ci troviamo nel centro più profondo di
noi stessi, allora siamo in Dio » 3a'. « Per trovarlo, non
abbiamo bisogno di uscirne, perché il regno di Dio è « dentro di noi
» '". San Giovanni della Croce dice che proprio nella sostanza
dell'anima, inaccessibile al demonio e al mondo, Dio le si dona; allora,
tutti i moti dell'anima diventano divini, e quantunque siano di Dio, sono
però anche suoi, perché in lei e con lei il Signore li produce. San
Giovanni dice ancora che « Dio è il centro dell'anima »; dunque, quando
essa conoscerà Dio perfettamente, secondo tutta la sua capacità, quando
Lo amerà, e ne gioirà pienamente, allora sarà arrivata nel centro più
profondo che possa raggiungere in Lui. È vero che l'anima, anche prima di
essere giunta a questo punto già si trova in Dio che è suo centro; ma
non è ancora nel suo centro « più intimo » potendosi inoltrare di piu.
Poiché l'amore unisce l'anima a Dio, quanto più intenso è questo amore,
tanto più profondamente essa penetra in Dio e in Lui si concentra.
Possedendo anche un solo grado di amore, l'anima è già nel suo centro;
ma quando questo amore avrà raggiunto la sua perfezione, essa sarà
penetrata nel suo centro « più profondo »; e lì, sarà trasformata a
tal punto, da divenire molto simile a Dio. A quest'anima che vive «
interiormente » si possono rivolgere le parole del Padre Lacordaire a
santa Maria Maddalena: « Non chiedere più il Maestro a nessuno, sulla
terra, a nessuno nel cielo;
perché Egli è l'anima tua e l'anima tua è Lui »".
33 Alla
Sorella - Agosto 1905.
34 San Luca, XVII-2L
35 " 11 parsidiso sulla terra » - 3"
orazione.
S7
4. Questa divina presenza, misteriosa e reale, resta
inaccessibile ai sensi: « Dio è spirito » e chi si avvicina a
Lui, deve farlo « in {spirito e in verità » 3e.
Con cura particolare, suor Elisabetta insiste nel rilevare
che la sensibilità, in tutto questo, non ha nulla a che fare. La brama di
sentire Dio è proprio lo scoglio dei principianti, nella vita spirituale;
ma anche le anime più progredite nella perfezione provano talvolta molta
e penosa dilficoltà a 1ibcf;n-si da tale desiderio che persiste,
celandosi sotto i pretesti piu sottili. Suor Elisabetta della Trinità
aveva imparato, con la propria esperienza, a diffidare della sensibilità,
e i1 ricordo delle dure purificazioni che, per tutto l'anno del noviziato,
erano state quasi il suo pane quotidiano, serbava l'anima sua attenta a
non cercare che la pace di Dio, la quale « supera o^ni scntì-
mento » '".
Dopo le prime inebrianti gioie sensibili della presenza
divina di cui il Padre Vallee le aveva dato piena certezza, Elisa-betta
dovette ben presto aggrapparsi alla sua fede per trovare Dio presente
dentro di sé.
« Non più un velo soltanto, ma un grosso muro me Lo
nasconde. È cosa dura, non ti pare, dopo averlo sentito così vicino? Ma
sono pronta a rimanere in questo stato per tutto i] tempo che piacerà al
mio Diletto lasciarmici, perché la fede mi dice che Egli è qui lo
stesso; e allora, che cosa importano 1c dolcezze, le consolazioni? Esse
non sono Lui; mentre Lui solo noi cerchiamo. Andiamo dunque a Lui nella
fede pura » 3S.
5. Per progredire sicuramente in « questa via
magnifica della presenza di Dio » 39, la fede è l'atto
essenziale, il solo che ci consenta di accedere al Dio vivo, ma ascoso. «
Per avvicinarsi a Dio, bisogna credere » i0, ci
dice san Paolo; e soggiunge: « La fede è sostanza delle cose che
dobbiamo sperare e con-
36 San
Giovanni, IV-24.
37 Filippesi, IV-7.
38 Lettera a M. G... - 1901. w
Ultimo ritiro - 9° giorno. 10 Ebrei, XI-6.
88
l'unione di quelle che non vediamo » "\
Cioè, la fede ci rende talmente certi e presenti i beni futuri che, per
essa, prendono quasi essenza nell'anima nostra e vi sussistono prima che
ci sia dato fruirne. San Giovanni della Croce dice che la fede « è per
noi il piede che ci porta a Dio », che è « il possesso nello stato di
oscurità ».
Soltanto la fede può darci lumi sicuri su Colui che
amiamo, può versare a notti nel nostro cuore tutti i beni spirituali; e
noi dobbiamo eleggerla come il mezzo per raggiungere l'unione beatifica.
È la fede quella « sorgente d'acqua viva, zampillante
fino alia vita eterna » che Gesù, parlando alla Samaritana,
prometteva a tutti quelli che crederebbero in Lui. La fede, dunque, ci
dona Iddio fino da questa vita; ce lo dona, è vero, celato nel
velo di cui l'avvolge, ma pur sempre Lui, Lui realmente. « Quando
verrà ciò che è perfetto » (ossia la chiara visione) « ciò
che è imperfetto » (o, in altre parole, la conoscenza dataci dalla
fede) « avrà fine » '".
« Sì, abbiamo conosciuto l'amore di Dio per noi, e vi
abbiamo credulo » ". Questo è il grande atto de! la nostra
fede, il modo di rendere al nostro Dio amore per amore; è il segreto
di cui parla san Paolo, ascoso nel cuore del Padre, e che
riusciamo finalmente a penetrare; e tutto l'essere nostro esulta. Quando
l'anima s;i credere a questo « eccessivo amore » che su lei si
posa, si può dire di lei, come già di Mosé, che « è incrollabile
nella sua fede, come se avesse visto l'Invisibile » ". Non si
arresta più al gusto, al sentimento; poco le importa sentire Dio o non
sentirlo, avere da Lui la gioia o la sofferenza;
essa crede al suo amore e basta. Quanto più è provata,
altrettanto cresce la sua fede, perché, forte di tutti gli ostacoli
superati, va a riposarsi nel seno dell'Amore infinito, il quale non può
compiere che opera d'amore. A quest'anima, tutta desta nella sua fede, 1a
voce del Maestro può dire nell'intimo la paro-
41
Ebrei. XI-1.
'•-' i ('.orimi. XJII-10.
':] I (.iK'v.inni. IV 16.
" Ebrei. Xl-27.
89
la che rivolgeva un giorno a Maria Maddalena: « Va' in
pace;
la tua fede ti ha salvata » 45.
Suor Elisabetta fu fedele sino alla fine nell'andare a Dio
con la fede pura. « Una Carmelitana — diceva — è un'anima di fede
». E, anche dopo la grazia straordinaria ricevuta nell'ultima festa
dell'Ascensione che passò sulla terra, quando le tré divine Persone le
si manifestarono, con irresistibile evidenza, presenti nell'anima sua ove
tenevano notte e giorno « il loro onnipotente Consiglio » '"',
anche allora suor Elis;ibctta, reclusa nella solitudine dell'infermeria,
dovrà cercare il suo Dio mediante la fede. È la condizione assoluta di
ogni vita divina sulla terra.
« Io sono la piccola reclusa del buon Dio; e quando
rientro nella mia cara colletta per continuarvi il colloquio già
iniziato, mi sento invasa da una gioia divina. Amo tanto la solitudine con
Lui solo, e conduco una piccola vita di eremita, veramente deliziosa;
eppure è ben lungi dall'essere esente da dolorose impotenze; ho tanto
bisogno anch'io di cercare il mio Signore che sa nascondersi così bene!
Ma allora, risveglio la mia fede, e sono più contenta di non gioire, io,
della Sua presenza, perché gioisca Lui, invece, del mio amore » 47.
La sua vita religiosa fu la realizzazione delle parole
sentite nell'intimo, mentre pregava in coro, la notte che precedette la
sua professione: « ...il cielo nella fede, con la sofferenza e
l'immolazione per Colui che amo » 4S.
6. L'esercizio della carità è ancora più necessario di
quello della fede. Queste due grandi virtù teologali sono le due ali che
ci elevano fino a Dio: credere non basta, bisogna amare... soprattutto
amare!...
Suor Elisabetta della Trinità, come tutti i santi, ha
sottolineato fortemente questo primato dell'amore, su cui lo stesso divino
Maestro insisteva tanto, facendo risalire la legge, i Pro-
49 «
II paradiso sulla terra » - 3" orazione.
46 Formula con la quale esprimeva alla sua priora la
grazia dell'Ascensione del 1906.
47 Alla sorella - 15 luglio 1906.
48 Lettera al Canonico A... - Luglio 1903.
90
feti e tutti i comandamenti di Dio, a questo primo
precettò:
« Israele ascolta... tu amerai il tuo Dio con tutto il
tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze » 49.
Ci troviamo, qui, al punto culminante della dottrina
cristiana; è bene fermarci un istante.
Niente ci commuove tanto come il constatare con quale
fedeltà gli Apostoli, i Padri della Chiesa, i Dottori tutti hanno
insistito, senza stancarsi mai, su questo precetto del Signore, il
precetto che la Chiesa tramanda a tutti i secoli, senza ripetersi mai. San
Giovanni, posando sul petto del Maestro, ne aveva compreso la divina
profondità; e quivi si riassumeva, per lui, tutto l'insegnamento di
Gesù. Divenuto un vegliardo venerando, il precetto dell'amore era sempre
sulle sue labbra, e ai circostanti che, talvolta, se ne stupivano, egli
dette una risposta degna del discepolo prediletto: « È il
comandamento del Signore; e questo solo basta » s".
San Paolo insegnava la stessa dottrina quando scriveva:
« Camminate nell'amore » ". «La carità
è la pienezza della legge » 52.
E noto il celebre motto di sant'Agostino: « Ama et fdc
qnod vìs. Ama, e poi fa' ciò che vuoi »; e dopo di lui, san
Bernardo, nel suo trattato: « De diligendo Deo » ripeteva che «
la misura di amare Dio è di amarlo senza misura ». San Domenico,
patriarca di una grande famiglia intellettuale, confessava:
« Ho studiato nel libro della carità più che in ogni
altro libro:
l'amore insegna tutto »!". E san
Tommaso, brevemente;
« L'amore e la vita dell'anima » ".
C'è bisogno di altre citazioni? Tutto il linguaggio dei
santi non è che una parafrasi del comandamento dell'amore. Santa Teresa
affermava che, per le anime giunte alla vetta della perfezione, « l'unico
ufficio è quello di amare » ". San Giovanni
•*9 San Marco, XII, 29-30 - Deuteronomio,
VI-4.
50 San Gerolamo; Calati, Libro III, cap. VI. P. L.
XXVI-433.
51 Efesini, V-2.
52 Romani. XIII-10.
••'3 « Vitae fratrum », lib. II, cap.
XXV.
54 San Tomrnaso, Stimma Theol. II-II, q, 23,
a. 2, ad 2.
''•"' « Castello inicriore », VI e VII dimora. E
san Giovanni della Croce:
«Cantico», strofa XXVIII.
91
della Croce, il dottore dell'Amore più ancora che delle
« Notti oscure », scriveva: « Al tramonto della vita, saremo giudicati
sull'amore » ''''. E dopo venti secoli, facendo eco alla grande parola
del suo Maestro: « D/liys '", vivi di amore», santa Teresa
di Gesù Bambino ha lasciato al mondo moderno il suo bei cantico: «
Vivere d'amore ».
Equivale a dire die esso è la quintessenza del
Cristianesimo; e san Francesco di Sales, nella prefazione al « Truffato
dell'amore di Dìo », suo capolavoro, dichiara: </ Nella santa
Chiesa, lutto è dell'amore, nell'amore, pc;' l';ii)iore e dall'amore ».
La ragione è semplice: la carità ci stabilisce nello
stato di amicizia con Dio. Tutte le ricchezze della Trinità divengono
nostre per mezzo della grazia, e noi entriamo veramente in « società
» col Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo; ci è dato così, il
potere di « gioire » 5S delle Persone divine. Questo
commercio fra Dio e l'anima si svolge secondo le leggi più pure
dell'amicizia: Dio si dona e ci comunica la sua propria beatitudine;
l'uomo, in ricambio, ama Dio come un Amico, infinitamente più di se
stesso, e pone la sua suprema felicita in quella del suo Dio.
Suor Elisabetta aveva fatto « sua » la dottrina del
Maestro;
e ritornava di preferenza alla frase di san Giovanni: « Noi
siamo di quelli che hanno creduto all'amore ». Si può anzi
affermare, senza timore di esagerazione, che essa aveva posto tutta la sua
vita spirituale sotto la luce de11'« eccessivo amore » di cui
parla san Paolo.
« Sento tanto peso di amore sull'anima mia! T7
come un oceano nel opale mi inabisso, mi perdo; e la mia visione della
terra, in attesa del « faccia a faccia » nella luce. Egli è in
me;
io sono in Lui; non ho che amarlo, lasciarmi amare; e
questo sempre, in tutto e nonostante tutto: svegliarmi nell'amore,
muovermi nell'amore, addormentarmi nell'amore, l'anima nell'anima sua, il
mio cuore nel suo cuore, affinchè il suo con-
'•f Silvestre: «Obras» t. 3; p. 238.
••7 San Matieo. XXIT-37.
•'''' San Tommaso Sii'nma 7 hi'dì. I, (|.
-H, ,irt. 3, nd
92
tutto mi purifichi, mi liberi dalla mia miseria...»53.
«Notte e giorno, nel cielo dell'anima sua, ella vuoi cantare l'amore del
suo Dio » "". « Non ho più che un desiderio: amarlo, amarlo sema
interruzione, zelare l'onore suo come una vera sposa, formare le sue
delizie, renderlo contento, dandogli una dimora e un rifugio nell'anima
mia, dove voglio fargli dimenticare, a forza d'amore, tutte le
abominazioni dei cattivi » ".
« Egli mi ha amato, si è dato per me » 62.
Questo, dunque, e il culmine dell'amore: donarsi, passare interamente in
colui du- si ninn; l'ninoi-e fa uscire di se l'amante per trasportarlo, in
un'estasi ineffabile, nel seno dell'amato. Oh, non è immensamente bello
questo pensiero?
Sia esso come un motto luminoso per le anime nostre:
che esse si lascino in balìa dello Spirito d'amore e,
alla luce della fede, intonino già coi beati l'inno dell'amore che
eternamente si canta dinanzi al trono dell'Agnello. Sì, cominciamo il
nostro ciclo nell'amore. Quest'amore è Lui; ce Io dice san Giovanni: « T)eus
charìtas est ». Rimaniamo nel Suo amore e che il Suo amore sia in
noi » ".
Come Teresa di Gesù Bambino e forse sotto la influenza
ricevuta dalla lettura della « Storia di una anima », anche essa
ha trovato la sua vocazione nell'amore: « ...Voglio essere santa, santa
per farlo contento; chiedigli che io non viva più che di amore; è In
mia vocazione » B1. « ...Credo che sia .proprio l'amore
che non ci consente di rimanere a lungo quaggiù; e, del resto, san
Giovanni della Croce Io dice chiaramente; ha un capitolo meraviglioso in
cui descrive la morte delle anime vittime di amore, gli ultimi assalti che
esso vibra loro, poi le onde fluenti dell'anima che va a perdersi
nell'oceano del divino amore: onde che sembrano già dei mari, tanto sono
immense. San Paolo dice che « il nostro Dio è un fuoco consumante
» M.
'•" Lettera al Canonico A... - Agosto 1903.
Bl) Lettera al Canonico A... - Giugno 1906.
"1 Lettera alla signora A... - 15 Febbraio
1903.
p2 G;ilati II, 20.
B3 Letteni alla signora A... - 15 Febbraio 1904.
•'•! Lcticr;i a C. eie G... - 20
Agosto 1903.
'•s Ebrei, Xlt-29.
93
Se noi ci teniamo sempre unite a Lui con uno sguardo di
fede semplice e piena d'amore; se, come il nostro adorato Maestro,
possiamo dire alla sera di ogni giornata: « Poiché amo il Padre,
faccio sempre ciò che a Lui piace » '", Egli veramente ci
consumerà, e noi andremo a perderci in quella immensa « fornace
ardente » d'amore ove potremo bruciare a nostro agio per tutta quanta
l'eternità » 6T.
Nel momento in cui tutto muore in lei, si manifesta più
fulgido che mai questo primato dell'amore. Riceve il sacerdote che le reca
l'Estrema Unzione, esclamando: « O Amore!... Amore!... Amore!... ».
Prima di volarsene al suo Dio, scrive ad una amica: «
L'ora si avvicina, in cui sto per passare da questo mondo al Padre;
e, prima di partire, voglio mandarvi una parola del cuore,
un testamento dell'anima mia. Il cuore del divino Maestro non fu mai così
traboccante d'amore come nell'ora suprema in cui stava per lasciare i
suoi; e qualche cosa di analogo mi pare avvenga nella sua piccola sposa in
questa sera della sua vita;
sento quasi un fiume di tenerezza salire dal mio cuore per
effondersi nel vostro cuore... Alla luce dell'eternità, l'anima vede le
cose dal vero punto di vista; vede come tutto ciò che non è stato fatto
per Dio e con Dio è nulla. Ponete su tutto, vi prego, il sigillo
dell'amore: questo solo rimane»68.
E Io stesso consiglio rivolge alle sue consorelle che,
riunite attorno a lei morente, recitano le preghiere degli agonizzanti:
« AI tramonto della vita, tutto passa; l'amore solo
resta. Bisogna fare tutto per amore ».
Per suor Elisabetta della Trinità, dunque, tutta la
dottrina pratica dell'inabitazione divina si riassume in un continuo
scambio di amore: « C'è un Essere che si chiama l'Amore e che vuole
farci vivere in società con Lui » f'9.
7. L'esercizio della presenza di Dio non è riservato alle
sole anime contemplative; la grazia del battesimo mette la
66 San
Giovanni, VIII-29.
67 A. C. B. - 1906.
68 Lettera alla signora De B... - 1906.
69 Lettera alla mamma - 20 Ottobre 1906.
94
Trinità santa in ciascuna delle nostre anime. « Questa
" parte migliore " che sembra essere un privilegio mio
nella mia diletta solitudine del Carmelo, è offerta da Dio a ciascuna
anima bat tezzata » 7".
Basta aderire a Lui con la fede, la carità, la pratica
delle virtù cristiane. Alcuni credono che, per vivere alla presenza di
Dio, si debbano tenere gli occhi chiusi e prendere un fare compassato.
Niente di più ridicolo. Se è vero che la vita spirituale e, per
conseguenza « il regno di Dio che è tutto inferiore, non consiste nel
cibo e nella bevanda»'11, come ci fa notare l'apostolo san
Paolo, tuttavia Egli stesso ci avverte che anche in questo noi possiamo
lodare magnificamente il Signore. San Giovanni Bosco faceva le capriole
insieme ai ragazzi, e suor Elisabetta della Trinità sapeva, nelle ore di
ricreazione, assumere con grazia atteggiamenti varii e scherzosi; ne l'uno
ne l'altra perdevano, per questo, la presenza di Dio. L'essenziale sta
nell'intenzione che bisogna custodire rivolta sempre a Lui, quanto più
attualmente è possibile. E proprio qui incomincia la differenza fra i
santi e noi. I santi, in tutte le loro azioni, cercano la gloria di Dio «
sia che mangino, sia che bevano » 72, mentre molte
anime cristiane non sanno più trovare Dio neppure nell'orazione, perché
complicano tutto, e si immaginano che la vita spirituale sia qualche cosa
di inaccessibile, riservata a un piccolissimo numero di anime
privilegiate, dette « anime mistiche ». La vera mistica è quella del
santo battesimo, con lo sguardo alla Trinità e col sigillo del
Crocifisso, cioè nella via ordinaria della croce quotidiana.
Suor Elisabetta sapeva insistere su questo punto con le
anime che le erano spiritualmente unite, ma che il Signore tratteneva nel
mondo: « Voi vorreste essere tutta sua, quantunque nel mondo; la cosa è
semplicissima: Egli è sempre con voi; siate voi pure sempre con Lui. In
tutte le vostre azioni, in tutte le vostre pene, quando il corpo è
affranto, rimanete
70
Lettera alia signora De S... - 25 Luglio 1902.
71 Romani, XIV-17.
72 I Corinti, X-31.
95
sotto la luce del Suo sguardo. Scorgetelo vivente
nell'anima
vostra » ".
Nulla può impedirci di aderire a Lui con l'amore, ne le
gioie ne le tristezze della terra, ne la salute ne la malattia, ne le
lusinghe o la malizia degli uomini..., nulla; e « nemmeno i nostri
peccati » 7'*, aggiunge suor Elisabetta della Trinità,
facendo eco all'espressione ardita di sant'Agostino, nel suo commento
all'epistola di san Paolo ai Romani: « Tutto concorre al bene di
coloro che vogliono amare Dio »; si, tutto, « etiam peccata
», anche il peccato; perché il perdono che lo assolve glorifica la
divina misericordia, e perche la coscienza della propria debolezza che
essa da all'anima, la pone e la mantiene nella umiltà.
Suor Elisabetta non complica le cose. Per vivere di questo
grande mistero dell'inabitazione divina essa non da che un consiglio
pratico: « Fare atti di raccoglimento alla sua presenza ». « Mammina
mia, approfitta della tua solitudine per raccoglierti col buon Dio. Mentre
il tuo corpo riposa, pensa che è Lui il riposo dell'anima tua; e, come il
bimbo è felice tra le braccia della mamma, così tu trova il tuo sollievo
tra le braccia di quel Dio che da ogni parte ti avvolge. Noi non possiamo
uscire da Lui, ma ahimè, quante volte dimentichiamo la sua santa presenza
e lo lasciamo solo, per occuparci di ciò clic non è Lui! Ed è invece
così semplice questa intimità con Dio; non stanca, anzi riposa, come
soave è il riposo del bimbo sotto lo sguardo della mamma. Offrigli tutte
le tue pene; e sarà, questa, una maniera tanto bella di unirti a Lui, e
una preghiera a Lui tanto cara » '5.
« Sai? c'è un'espressione, in san Paolo, che è come il
riassunto della mia vita e che potrebbe applicarsi a ciascuno dei miei
istanti: « Propter nimiam charitatem » T9. Sì; tutti
questi torrenti di grazia hanno un solo perché: « Perché Egli mi ha
troppo amata ».
« Oh, mamma, amiamolo, viviamo con Lui come con l'Essere
amato da cui non è possibile separarsi! Mi dirai, nevvero?,
73
Lettera alla signora A... - 29 Settembre 1902.
71 Ultimo ritiro - 7° giorno.
T5 Alla mamma - 30 Luglio 1906.
76 Efesini, 11-4.
96
se fai dei progressi nella via del raccoglimento alla
presenza di Dio; perché tu sai ch'io sono la « mammina »
dell'anima tua, quindi piena di sollecitudine per essa. Ricorda le parole
del Vangelo: « II regno di Dio è in voi » ", ed. entra in
questo piccolo regno per adorarvi il Sovrano che vi risiede come nella
propria reggia » Ts.
Per segnare questi atti di raccoglimento, suor Elisabetta
le aveva preparato un coroncino e, in una lettera, si informava se la
mamma era fedele nell'usarlo: « Dimmi se i piccoli grani degli atti di
presenza di Dio scorrono fedelmente ».
8. Due lettere sono particolarmente rivelatrici dei metodi
che usava lei stessa e della sua psicologia dinanzi a questo mistero dell'inabitazione
divina che fu il tutto della sua vita.
La prima è indirizzata ad una giovane amica, natura
straordinariamente ricca, ma indole ancora capricciosa ed irrequieta che
faceva soffrire chi le viveva accanto. Con tenerezza tutta materna, suor
Elisabetta interviene: « Sì, prego per tè e ti porto nell'anima mia,
vicina vicina al buon Dio, in questo piccolo santuario così intimo in cui
Lo trovo ad ogni ora del giorno e della notte; vedi: io non sono mai sola;
il mio Cristo è sempre qui che prega in me, ed io prego in Lui. Mi fai
pena, mia piccola cara, perché sento che sei infelice; e lo sei per colpa
tu;), credimi. Mettiti calma: io non ti credo affatto « nevrastenica »,
ma snervata e sovreccitata; e quando sei così, fai soffrire anche gli
altri. Oh, se potessi insegnarti il segreto della felicità come il
Signore l'ha insegnato a me! Tu dici che io non ho ne preoccupazioni, ne
dolori; ed è vero che sono proprio felice; ma se tu sapessi come si può
essere altrettanto felici, anche quando si è contrariati! Bisogna
guardare sempre a Dio. Da principio •costa molto sforzo, quando si sente
ribollire tutto, di dentro;
ma poi piano piano, a forza di pazienza e con l'aiuto
della grazia vi si giunge. Provati a edificare, come ho fatto io, una
cellet-ta nell'anima tua; e, pensando che lì c'è Dio, entraci di tanto
in tanto; quando ti senti nervosa, triste, rifugiati subito là e
77 San
lucr, XVII-21. ?s Lettera alla inanima - Giugno 1906.
97
confida tutto a Gesù. Se tu lo conoscessi un poco, la
preghiera non ti annoierebbe più; essa è un riposo, un sollievo, è un
andare con tutta semplicità da Colui che amiamo, è uno starsene vicino a
Lui come un bimbo nelle braccia della mamma, e lasciare effondere il
proprio cuore. Ricordi?... Ti piaceva tanto sederti vicina a me e
confidarmi il tuo cuore. Così devi fare con Lui; se tu sapessi come Egli
ti comprende! Oh, se tu lo sapessi, non soffriresti più. Questo, vedi, è
il segreto della vita Carmelitana, che è una incessante comunione con
Dio. Se Egli non riempisse le nostre celle e i nostri chiostri, come tutto
sarebbe vuoto! Ma noi Lo vediamo in ogni cosa, perché Lo portiamo in noi,
e la nostra vita è un paradiso anticipato » 79.
La seconda lettera è indirizzata alla mamma. Suor
Elisa-betta non soleva precipitare gli avvenimenti, ne forzare le persone;
ma sapeva attendere, pur senza negligenza l'ora di Dio. Ci volle il dolore
prodotto dalla crisi che aveva fatto temere di perderla, per consentirle
di entrare profondamente nell'anima della mamma sua e prenderne possesso.
In una conversazione che credevano l'ultima, il cuore della mamma e quello
della figlia, a lungo si erano incontrati e compresi fino a quel grado di
intimità in cui coloro che si amano sentono che tutto sta per finire.
Suor Elisabetta ne approfittò per iniziare la mamma sua che amava tanto
al segreto della sua vita interiore; e fu per le loro anime il punto di
partenza di una forma di amicizia nuova, tutta divina, sotto lo sguardo di
Dio. Il giorno dopo questo colloquio, le scrisse una lettera che si può
considerare un vero, piccolo catechismo della presenza di Dio:
« Se alcuno mi ama, custodirà la mia parola, e il
Padre mio l'amerà, e noi verremo a lui e porremo in lui la nostra dimora
» 8t>.
« Mammina mia tanto cara, oggi comincio la mia lettera
con una dichiarazione. Sai! ti amavo già tanto, ma dopo il nostro ultimo
colloquio, il mio affetto per tè è cresciuto ancora, immensamente. Era
così dolce espandere la propria anima in quella della mamma, e sentirle
vibrare all'unisono! Mi pare
79
Lettera a F. de S... - 1904.
80 San Giovanni, XIV-23.
98
che il mio amore per tè sia, non soltanto quello di una
figliola per la più buona e la .più cara delle madri, ma anche quello di
una mamma per la sua bimba. Io sono la mammina dell'anima tua; e tu me lo
concedi, non è vero? Noi siamo in ritiro per prepararci alla festa di
Pentecoste; ed io lo sono ancor più delle mie consorelle, qui, nel mio
caro piccolo cenacolo, separata da tutte. Chiedo allo Spirito Santo di
rivelarti quella presenza di Dio in tè, della quale ti ho parlato. Ho
esaminato per tè dei libri che trattano questo argomento, ma preferisco
rivederti, prima di darteli.
« Presta pur fede alla mia dottrina, perché essa non
è mia ». « Se leggerai il Vangelo di san Giovanni, vedrai come
spesso Gesù insiste su questo comando: « Rimanete in me, ed io in voi
» s', e sul pensiero tanto bello che ho scritto al principio
di questa mia lettera, nel quale Egli ci promette di « fare in noi la
sua dimora ». Nelle sue epistole, san Giovanni ci esorta a vivere « in
società con la Trinità Santa » 82. Questa parola è
così semplice, e così soave! Basta credere, ci dice san Paolo. « Dio
è spirito » s!> e noi ci avviciniamo a Lui mediante la
fede. Pensa che l'anima tua è « il tempio di Dio »: s4
è ancora san Paolo che tè lo dice. Ad ogni istante del giorno e della
notte, le tré Persone divine abitano in tè; e, se non possiedi di
continuo l'Umanità santissima come allorché ti comunichi, porti sempre
però nell'anima tua la Divinità, quell'Essenza ineffabile che i beati
adorano in cielo. Quando si sa tutto questo, si stabilisce tra Dio e noi
una intimità adorabile; non si è più soli, mai. Se .preferisci pensare
che Dio è vicinissimo a tè, piuttosto che in tè, segui pure la tua
attrattiva, purché tu viva con Lui. Non dimenticarti di usare il
coroncino che ho fatto apposta per tè, con tanto amore; e poi, spero che
farai quelle tré orazioni di cinque minuti, nel mio piccolo santuario.
Pensa che tu sei con Lui; e comportati come con una persona che ti è
molto cara; la
•" San Giovanni, XV-4.
82 San
Giovanni, 1-3.
83 San Giovanni, IV-24.
s< Corinti. VI-16.
99
cosa è tanto semplice: non c'è bisogno di hei pensieri,
basta l'effusione del cuore » ss.
• : ' '^ 9. Ma non si pensa poi,
come si dovrebbe, che questa
divina presenza recata all'anima cristiana dalla grazia
del santo battesimo è in continuo progresso. Ogni nuovo grado di grazia
santificante porta una nuova presenza della Trinità8".
Non già che Dio cambi; ma l'anima, facendosi sempre più divina, entra in
comunicazione sempre più intima con ciascuna Persona della Trinità
Santa.
Il Padre è più intimamente presente, a misura che la
grazia di adozione comunica all'anima una somiglianzà maggiore con la
natura divina.
Il Verbo diviene più presente all'anima, a misura che
questa, illuminata dai Suoi doni, non sa più vedere le cose divine ed
umane se non in Colui che è la Sapienza increata, la Luce sostanziale,
l'eterno Pensiero in cui Dio esprime tutto ciò che Egli vede: la Trinità
e l'universo.
L'Amore è sempre più presente a misura che l'anima
spogliandosi di se stessa e di ogni affetto terreno, non si lascia più
guidare che dagli impulsi di questo Spirito il Quale compie in Dio il
ciclo della via trinitaria.
La teologia non ha titubanze su questo punto nel suo
insegnamento; ed afferma che la presenza della Trinità in un'anima cresce
nella misura delle grazie ricevute, specialmente in certi periodi in cui
Dio viene a visitarla con grazie straordinarie:
grazie della professione religiosa o del sacerdozio,
grazie di purificazioni passive, grazie mistiche che elevano l'anima di
grado in grado, fino all'unione trasformante.
Suor Elisabetta della Trinità non insiste su questa
dottrina capitale e che regola tutto il progresso della nostra vita
spirituale sulla terra; ma alla sua maniera, per un altro sentiero, la
ritrova e le da particolare rilievo. Scrive infatti: «Egli vuole che là
dove è Lui, siamo anche noi, non solo durante l'eternità
85
Lettera alla mamma - Giugno 1906. ta San Tommaso, Stimma
Theo!. I, q. 43. ;i. Ci. ad. 2.
100
ma fin d'ora, nel tempo, che è l'eternità incominciata e
in continuo progresso » K7.
10. Molteplici sono gli effetti di questa divina presenza
nell'anima. Ogni cristiano battezzato può fruire come vuole delle Persone
divine; e a tutto l'universo, ad alta voce, bisognerebbe proclamare che
questa intimità dell'anima battezzata col Padre, col Figlio e con lo
Spirito Santo, è l'essenza stessa della nostra vita spirituale.
« II giorno in cui lo compresi — diceva suor Elisabetta
— tutto in me s'illuminò » 8S.
Il primo effetto di questa presenza della Trinità
nell'anima mediante la grazia, consiste nel renderla capace di gioire di
Dio; la sua beatitudine ha inizio sulla terra poiché, eccetto la visione,
già possiede in speranza e mediante l'amore Colui che ne è l'oggetto. E
l'Amore infinito tutta l'avvolge e vuole fin d'ora associarla alla propria
beatitudine. L'anima esperimenta, così, la Trinità vivente in lei,
quella Trinità di cui godrà la visione nel cielo ss.
« Quando quest'anima ha compreso la sua ricchezza,
allora tutte le gioie naturali o soprannaturali che possono venirle dalle
creature o anche da Dio, non fanno che invitarla a rientrare in sé, per
godere del Bene sostanziale che possiede, e che è Dio stesso; acquista
così — dice san Giovanni della Croce — una certa somiglianzà con
l'Essere divino » °°.
Voler emunerare tutti gli effetti della presenza di Dio
nell'anima sarebbe come accingersi ad enumerare, fin nei minimi
particolari, tutti i benefici suoi, nell'ordine naturale e soprannaturale.
Suor Elisabetta aveva preso l'abitudine di tuffarsi senza
posa « nell'in limo suo », dove la fede le rivelava la presenza reale e
sostanziale, quantunque invisibile, di Colui che è la sorgente stessa
della grazia. « Egli abita in noi per salvarci, per purifi-
87 «
II paradiso sulla terra », 1-1.
88 Lettera alla signora De S... - 1902. '"'
Lettera a G. de G... - 20 Agosto 1903. '"' Uliinio ritiro - 11"
giorno.
101
carci, per trasformarci in Sé » 91. Al suo
Dio presente e vivente in lei, due cose soprattutto chiede: di amarlo fino
all'oblìo totale di se stessa, e di essere trasformata in Lui.
« Che il regno dell'Amore si stabilisca in pieno nel
vostro regno inferiore e la forza di questo amore vi porti fino all'oblìo
totale di voi stessa... Beata l'anima che è giunta a questo assoluto
distacco! » s2.
« Sì, io credo che il segreto della pace e della gioia
consista nel dimenticarsi, nel disoccuparsi di sé. Ma questo non vuoi
dire non sentire più le proprie miserie fisiche e morali; che anzi, gli
stessi santi sono passati attraverso questi stati crocifiggenti;
essi però sapevano non fermavisi, ma, ad ogni istante, si
risollevavano dalle loro miserie. E, quando se ne sentivano sopraffatti,
non se ne meravigliavano, ben sapendo di « quale argilla siamo formati
» "3, come canta il Salmista; come lui però
soggiungevano: « Con l'aiuto del Signore sarò senza macchia e mi
guarderò dalla mia iniquità ».9'.
« Poiché mi permettete di parlarvi come ad una sorella
cara, vi dico che il Signore mi sembra chiedervi un abbandono e una
fiducia illimitata in questa ora dolorosa in cui sentite l'angoscia di
vuoti tremendi. Pensate che, intanto, Egli scava nell'anima vostra delle
capacità più grandi per riceverlo, capacità in certo modo infinite,
come Lui stesso; quindi cercate di mantenervi lieta, almeno con la
volontà, sotto la mano che vi crocifigge. Anzi, dirò di più:
considerate ogni sofferenza, ogni prova, « come una prova d'amore » che
vi manda il buon Dio, direttamente, per unirvi a Sé. Dimenticarvi per
ciò che riguarda la vostra salute, non vuoi dire rifiutare di curarvi; al
contrario, questo è per voi un dovere, ed è la migliore penitenza; ma
fatelo con grande abbandono, riconoscente sempre al Signore, qualunque
cosa avvenga. E quando il peso del corpo si fa sentire e abbatte lo
spirito, non vi scoraggiate, ma andate con tede
91
Lettera a G, de G... - Febbraio 1905.
92 Lettera alla signora A... - 1906.
93 Salmo CII-4. M Salmo XVII-24.
102
I
e amore da Colui che ha detto: « Venite a me, ed io vi
solleverò » ".
Riguardo all'anima poi non lasciatevi mai sconfortare
dalla esperienza delle nostre miserie, ricordando ciò che dice il grande
san Paolo: « Dove ha abbondato il peccato, sovrabbonda la grazia
» °". Io sento che l'anima, quanto più è debole, anzi, colpevole,
tanto più ha ragione di sperare; e questo atto col quale dimentica se
stessa e si getta nelle braccia di Dio, da a Lui tanta gloria e tanta
gioia, più di tutti i ripiegamenti dell'anima sopra di sé e tutti gli
esami di coscienza i quali non raggiungono altro scopo che di farla vivere
con le proprie infermità; mentre possiede lì, nel centro del suo essere,
un Salvatore che la purifica ad ogni istante.
Ricordate la bella pagina del Vangelo, in cui Gesù dice
al Padre « che ha ricevuto da Lui ogni potere sopra ogni carne,
perché a tutti comunichi la vita eterna? » ".
Ecco che cosa Egli vuoi fare in voi: vuole aiutarvi ad
uscire continuamente da voi stessa, vuole che abbandoniate ogni
preoccupazione, per ritirarvi in quella solitudine che Egli si è scelta
nel vostro cuore; intima, cara solitudine, dove è sempre pre' sente anche
quando voi non Lo sentite, dove sempre vi attende e vuole stabilire con
voi quell'« admirabile commercium » 08 che noi
cantiamo nella nostra bella liturgia, ineffabile intimità di Sposo a
sposa. Le vostre infermità, le vostre colpe, tutto ciò che vi turba,
Egli vuole portarvelo via, vuole guarirlo con questo contatto continuo,
poiché « è venuto non per giudicare, ma per salvare » ".
Niente deve impedirvi di andare a Lui; non badate se
siete nel fervore o nello scoraggiamento, perché è una triste legge
dell'esilio quella di passare così da uno stato all'altro. Ma Lui, oh,
Lui non cambia mai, e nella sua bontà, è chino sempre su di voi per
sollevarvi in alto o stabilirvi in Sé. E se, malgrado tutto, vi sentite
oppressa dalla tristezza, desolata e sola, unite
05
San Matteo, XI-28.
86 Romani, V-20.
87 San Giovanni, XVII-2.
B8 Antifona dei Primi Vespri della Circoncisione.
e9 San Giovanni, XII-47.
103
la vostra agonia a quella di Gesù nel giardino degli
Ulivi, unite la vostra preghiera alla Sua preghiera: « Padre, se è
possibile, allontana da me questo calice!... » 10:1.
Vi sembra forse troppo difficile dimenticarvi così? Oh,
non vi spaventate! se sapeste come è semplice, invece! Vi confiderò il
mio segreto: pensate a questo Dio che abita in voi e di cui voi siete
tempio 101. È san Paolo che ce lo dice, e possiamo
es-serne certi. Allora, a poco a poco, l'anima si abitua a vivere
nell'ineffabile Sua compagnia, comprende che porta in sé quasi un piccolo
ciclo in cui il Dio d'Amore ha stabilito la sua dimora, sente di respirare
in un'atmosfera quasi divina, anzi non e più sulla ferra che col corpo,
ma l'anima abita al di là delle nubi e dei veli in Colui che è
l'Immutabile.
Non dite che tutto ciò non è per voi, perché siete
troppo miserabile; questa, se mai, è una ragione di più per andare a Lui
che vi salva; poiché non certo considerando la nostra miseria, ne saremo
purificati, ma guardando Colui che è la stessa purezza e santità.
San Paolo dice che « Dio ci ha predestinati ad essere
conformi all'immagine del Tiglio Suo » 102. Nelle ore più
dolorose, pensate che l'Artista divino, per rendere più bella l'opera
sua. usa il cesello; e rimanete in pace, sotto il lavoro della Sua mano
sapiente. Il grande Apostolo di cui vi parlo, dopo essere stato rapito al
terzo cielo, sentiva ancora la propria infermità, e se ne lamentava col
suo Signore; ma Questi gli rispose;
« Ti basti la mia grazia, perché la virtù si
perfeziona tra le infermità » 103. È consolante per noi,
non è vero?...
Coraggio, dunque, signora e sorella mia carissima; vi
affido, in modo tutto speciale, ad una piccola carmelitana morta a
ventiquattro anni di odore di santità; si chiama Teresa di Gesù Bambino,
ed ha promesso prima di morire, che il suo paradiso l'avrebbe trascorso
facendo del bene sulla terra; ed ora la sua grazia è di dilatare le
anime, di slanciarle sulle onde dell'amo-
w
San Matteo, XXVI-39. •>01 I Corinti, III-16.
102 Romani, VIII-29.
103 II Corinti, XII-9.
104
1 I
rè, della confidenza, dell'abbandono; perché ci ha detto
che ha trovato la felicità quando ha cominciato a dimenticare se stessa.
Vogliamo invocarla insieme ogni giorno, perché vi ottenga questa scienza
dell'oblìo di sé, che forma i santi e che dona all'anima tanta pace e
tanta gioia? » 1("1. In questa lettera, suor
Elisabetta ci svela e ci dona il suo segreto più intimo. Per molti anni,
l'ultimo ostacolo alla pienezza della santità in lei, fu proprio questa
mancanza dell'oblìo totale di sé; e lungamente, nella sua preghiera, si
tenne supplichevole dinanzi alla Trinità Santa:
« Aiutami a dimenticarmi interamente!... ». Venne
esaudita, alfine; e, libera ormai, si abbandonò, con tutte le sue
potenze, al solo esercizio dell'amore. Fu, come abbiamo detto, il segno
del trionfo dell'amore e del fiorire pieno della sua vita spirituale:
grazia suprema di una spiritualità essenzialmente contemplativa, che
attira le anime nel raccoglimento interiore, ma per farle uscire al
proprio io e tenerle occupate soltanto a dar gloria al Signore.
L'effetto correlativo di questo dimenticare se stessi è
la consumazione nell'unione trasformante, quell'unione in cui, soprattutto
al termine della sua vita, suor Elisabetta si fissa con tanto amore. A
mano a mano che Dio va compiendo in lei la sua opera di distruzione, si
sente come quest'unione trasformante diviene sempre più il suo pensiero
familiare, il termine sospirato a cui anela la piccola santa malata, per
realizzare la sua brama di « divenire conforme al Crocefisso » e il suo
« sogno di gloria ». Ella glorificherà Dio nella misura in cui sarà
trasformata in Lui.
E lo scopo a cui tende, sempre con lo stesso metodo:
tenersi alla divina presenza, lasciarsi purificare e salvare dal contatto
continuo con Dio: « Egli è tanto contento di perdonarci, di
risollevarci, poi di trasportarci in Sé, nella sua purezza, col suo
contatto continuo, coi suoi tocchi divini. Egli ci vuole tanto pure! Sarà
Lui stesso la nostra purezza: ma noi dobbiamo lasciarci trasformare, fino
alla piena somiglianzà con Lui » 10!>.
lc "1
Lettera alla signora A... - 24 Novembre 1905. '^ Lettera a G. de G... - 20
Agosto 1903.
105
« Egli ha sete di associarci a tutto il Suo Essere, di
trasformarci in Lui » 106.
Mentre componeva l'ultimo ritiro di « Laudem Gloriae »
suor Elisabetta si tuffava e rituffava con delizia nei passi sublimi del
« Cantico » e della « Viva fiamma » in cui san Giovanni
della Croce descrive quella trasformazione dell'anima nella Trinità che
è il culmine della sua teologia mistica; ma, non paga di inebriarsene, si
applicava con fedeltà instancabile ad ottenere da Dio questa grazia
suprema.
•« Deus nosier ignis cnnsumens » ''". «
II nostro Dio, scriveva san Paolo, è un fuoco consumante, un fuoco di
amore, cioè, che distrugge e trasforma in sé tutto ciò che tocca. Per
le anime che, nel loro intimo, sono tutte abbandonate alla sua azione, la
morte mistica di cui ci parla san Paolo diviene così semplice, così
soave! Esse pensano molto meno nll'opera di spogliamente e di distruzione
che rimane loro da compiere, che non ad immergersi nella fornace d'amore
che arde in esse, e che non è se non Io Spirito Santo, quello stesso
Amore che, nella Trinità, è il vincolo di unione fra il Padre il Suo
Verbo. La fede ve le introduce; e là, semplici e quiete, vengono da Lui
trasportate nella « tenebra sacra », al di sopra delle cose e dei gusti
sensibili, e quindi trasformate nell'immagine divina. Esse vivono, secondo
la espressione di san Giovanni, « in società » con le Tré
Persone adorabili; la loro vita è in comune: questa è la vita
contemplativa » 108.
« II grande mezzo per giungere a questa perfezione che il
divino Maestro domanda da noi, è ancora e sempre la presenza di Dio
secondo il comando di Dio stesso ad Abramo: « Cammina alla mia
presenza e sii perfetto » 1("'. Senza mai deviare da
questa via magnifica della presenza di Dio, l'anima procede « sola col
Solo », sostenuta dalla forza della Sua destra, protetta all'ombra
delle Sue ali senza temere le insidie della notte, ne la freccia lanciata
in pieno giorno, ne il male che si insinua
106
Alla medesima - 14 Settembre 1903. i-"7 Ebrei, XII-29.
108 « TI paradiso sulla terra » - 6° orazione.
"9 Genesi, XVII-1.
106
nelle tenebre, ne gli assalti del dèmone meridiano »
"°.
È l'ora dell'unione trasformante; l'anima non aspira
più che alla visione beatiSca.
« Come il cervo assetato anela le sorgenti dell'acqua
viva, così l'anima mia sospira a Tè, mio Dio! L'anima mia ha sete del
Dio vivo. Quando andrò, e comparirò dinanzi al suo Volto? ». E
tuttavia, « come il passero che ha trovato un rifugio, come la
tortorella che ha trovato un nido per deporvi i suoi piccoli », così
l'sinima, giunta a queste cime, ha trovato il suo rifugio, la sua
beatitudine, in attesa di passare nella santa Gerusalemme, la « Beata
pacis visto »; ha trovato il suo cielo anticipato ove inizio la sua
vita di eternità » u1.
Sa di essere inabitata dalla Trinità Santa, e questo
basta alla sua felicità.
« Ecco il mistero che canta oggi la mia lira. Come a
Zac-cheo, il Maestro ha detto a me: « Affrettati a discendere perché
voglio alloggiare in casa tua »"2. Discendere!... Ma
dove?... Nelle profondità della mia anima, dopo essermi separata,
alienata da me stessa, dopo essermi spogliata di me stessa in una parola: senza
di me. « Bisogna che io alloggi in casa tua ». È il Maestro che mi
esprime questo desiderio, il mio Maestro che vuole abitare in me col Padre
e col suo Spirito di amore perché, come si esprime il Discepolo
prediletto, io abbia « società » con Essi. « Voi più non
siete ospiti o stranieri, ma siete già della casa di Dio » '",
dice san Paolo. Ed ecco come io intendo questo « essere della casa di
Dio »: vivere in seno alla tranquilla Trinitiì, nel mio abisso
intcriore, nella fortezza inespugnabile del sunto raccoglimento di cui
parla san Giovanni della Croce.
Davide cantava: « Vien meno l'anima mia, entrando
negli atri del Signore » "''. Mi sembra che questa debba essere
l'attitudine di ogni anima che si ritira nei suoi atri interi ori
per contemplarvi il suo Dio, per prendervi strettissimo contatto con
110
Ultimo ritiro IV. "i Ultimo ritiro XVI.
112 San Luca, XIX-5.
113 Efesini, 11-19. »" Salmo LXXXIII-2.
107
Lui. Essa vien meno, in una estasi divina, trovandosi
dinanzi a questo Amore onnipossente, a questa Maestà infinita che abita
in lei. Non è la vita che l'abbandona, ma è lei stessa che, disprezzando
questa vita naturale, se ne ritrae, perché sente che non è degna del suo
essere così grande, e vuoi farla morire, per immergersi nel suo Dio.
Come è bella questa creatura così libera, spoglia di
sé! È ormai in grado di «disporre ascensioni nel suo cuore, per
salire, dalla valle delle lacrime (cioè da tutto quello che è meno di
Dio), al luogo che è la sua mèta » "'', quel luogo spazioso
cantato dal Salmista, che è -— mi sembra — l'insondabile Trinità: Immensus
Poter — Immensus Filius — Immensus Spiri fus Sanctus "6.
Sale, si innalza al di sopra dei sensi, della natura;
supera se stessa, supera ogni gioia come ogni dolore, sorpassa tutte le
cose, per non riposarsi più fino a die sia penetrata ncAVintìmo di
Colui che ama, e che darà Egli stesso il riposo dell'immenso abisso. E
tutto questo, senza che sia uscita dalla santa fortezza. Il Maestro le ha
detto: « Affrettati a discendere ». E ancora senza uscirne,
vivrà, a somiglianzà della Trinità immutabile, in un eterno
presente, adorando Iddio per Se stesso e divenendo, mediante uno
sguardo sempre più semplice, più unitivo, « lo splendore della Sua
gloria » o, in altre parole, « l'incessante lode di gloria »
delle Sue adorabili perfezioni !ÌT.
11. È proprio per farci giungere a questo abisso di
gloria, nota san Giovanni della Croce, che Dio ci ha creati a Sua immagine
e somiglianzà...
« Anime create per queste meraviglie e chiamate a vederle
realizzate in voi, che cosa fate?
« In quali miserevoli nulla perdete il vostro tempo.
« Le ambizioni vostre non sono che bassezze; i vostri
co-sidetti beni non sono che miserie. Come potete non compren-
115
Ibidem, 6.
"e Simbolo di sEint'Atiinusio, 9.
117 Ultimo ritiro XVI.
108
dere die, inseguendo le grandezze della gloria terrena,
restate sepolte nella indigenza e nell'ignominia?
« Mentre questi tesori incalcolabili vi sono riserbati,
voi li ignorate, ne altro sapete fare che rendervene indegne » I18.
Mossa da un medesimo sentimento di tristezza divina, suor
Elisabctta della Trinità, la sera del 2 agosto 1906 — quinto
anniversario della sua entrata nel Carmelo — ripensando a tutte le
grazie attinte da questa ininterrotta presenza di Dio e sprecate da tante
anime che, invece, avrebbero potuto viverne come lei, aveva esclamato:
« Oh, io vorrei poter dire a tutte le anime quale
sorgente di forza, di pace e di gioia troverebbero, se acconsentissero a
vivere in questa intimità. Ma non sanno attendere; se Dio non si dona ad
esse in maniera sensibile, trascurano la Sua santa presenza; e quando Egli
giunge ricco di tutti i suoi doni, non trova nessuno: l'anima è assente,
dissipata fra le cose esteriori. Non sanno abitare nelle profondità di se
stesse » "".
"•' Qintico spirituale - Strofa XXXIX. ""
Lctter.i ;illa mamma - 3 Agosto 1906.
109
I !
CAPITOLO QUARTO
LA LODE DI GLORIA
« Nel ciclo dell'anima mia: la gloria dell'Eterno...
niente altro che la gloria dell'Eterno ».
1. Il nome nuovo - 2. Una lode di gloria è
un'anima di silenzio
- 3. La lode di tutti i suoi doni - 4. La vita
eterna incominciata
- 5. La lode dell'anima crocifissa - 6. L'anima è
un ciclo che canta Dio - 7. Ufficio di una lode di gloria.
Per un antropomorfismo quasi insuperabile, la maggior
parte delie anime considerano tutte le cose e persino Dio in relazione a
se stesse, mentre dovrebbero considerare tutte le cose e se stesse dal
punto di vista di Dio. Così che la santità sembra, a molti, fine a se
stessa; mentre, in realtà, la santità medesima è subordinata a un fine
superiore, veramente fine ultimo:
la gloria della Trinità. Dio non ha creato l'universo e
non ha mandato nel mondo il Figlio suo se non per la propria gloria;
se Egli agisse per altri all'infuori di Sé, non sarebbe
più Dio.
Questa verità, di tutte la più elementare per quelli che
hanno il senso della trascendenza divina, non appare domina-trice nella
vita dei santi, che più tardi, quando la loro anima è già consumata
nell'unità. Divenuti un solo spirito con Dio, i pensieri loro si
uniformano alla Sapienza divina, e la loro volontà si umilia ai divini
voleri. La Vergine e Cristo, Essi solo, hanno realizzato a perfezione,
fino dal primo istante della loro esistenza, questo programma delia
glorificazione divina, che è il termine in cui ogni santità raggiunge
sulla terra la sua pienezza.
Vi è, infatti, un duplice movimento nel nostro amore per
Dio: lo amiamo per noi stessi, e 'lo amiamo per Lui.
Ili
Amare Dio per noi è cosa legittima: è cercare in Lui il
termine che appaghi tutte le nostre potenze; in questo senso cantava il
Salmista: « Grande bene è per me lo stare unito a Dio »1,
e suor Elisabetta non cessava di ripetere: « Ho trovato il mio cielo
sulla terra, poiché il cielo è Dio, e Dio è nell'anima mia. È sempre
il medesimo Dio posseduto da noi nella fede, dai beati nella visione » 2.
Sant'Agostino parla di un'altra maniera di amare Dio e di
raggiungere l'unione divina: « Vivere di Dio per Dio ». E san Tommaso:
« Non vivere per sé, ma per Dio » !>. Questo è il
vertice dell'amore e la più alta definizione della vita spirituale: non
purissimo amore disinteressato, che escluda il desiderio della beatitudine
così atto a santificarci; ma amore che si rivolge innanzi tutto a Dio,
come di dovere. In ogni cosa e soprattutto in amore, « Dio abbia il primo
posto ».
I santi non si sono profondamente compenetrati di questa
verità così evidente se non quando le pene e le croci della vita li
hanno completamente liberati dal loro io; comincia allora in essi quella
vita deiforme che li riveste dei « divinis morì-bus ». La loro
fede luminosa e incrollabile fa loro vedere tutte le cose nella luce del
Verbo; la speranza li stabilisce in anticipo nel possesso inalienabile
delle ricchezze trini tarie; il loro amore sembra identificarsi a quel
riposo beatificante ove Dio trova in se stesso compiacenze ineffabili; la
giustizia loro è una volontà invincibile di dare onore e gloria a Dio
ovun-que e sempre; la prudenza discopre loro la Provvidenza sovrana che
dirige e governa l'universo, regolandone anche i minimi particolari; la
loro forza, trionfatrice e dominatrice di tutte le umane agitazioni, li
avvicina all'immutabilità di Dio. Sono puri; di quella purezza
inaccessibile che isola l'Essenza divina da ogni contatto col creato.
Questa bella, luminosa sera della vita dei santi è come
' Saìmo LXXTT-28.
2 Lettera alla signota De S... - 1902.
3 San Tommaso, Stimma Theol. II-II, q. 17, a.
6, ad 3. « Charitas facit tendere in Deutn, uniendo affectum hominis Deo:
ut scilicet homo non siili vivat, scd Dea ».
112
una visione anticipata e pacifica della eternità.
L'anima, nello stato deiforme, la vive nella unità della Trinità.
È la fase suprema dell'unione trasformante, abituale nei
beati del ciclo, ma non raggiunta che da poche, rare anime perfette, qui
sulla terra.
1. Qualche cosa di analogo è accaduto nella sera cosi
i-npida della vita di suor Elisabetta della Trinità. Per lungo tempo,
ella soffrì di sentirsi come impigliata in se stessa, impotente ad
uscirne. La liberò Dio stesso con un intervento diretto, dopo averla
preparata a questa grazia suprema rivelandole il suo nome nuovo, quel nome
che doveva dare alla sua vita spirituale il suo orientamento definitivo. E
tale grazia le fu concessa durante il periodo delle licenze.
Si era recata a visitare una consorella più anziana 4
nella sua cella; e suor Elisabetta, la discepola, ascoltava. Si
scambiavano, con semplicità, le loro idee e a vicenda si incitavano
all'amore di Dio, proprio come i cattivi si comunicano le loro trame per
compiere il male. Ad un tratto, la consorella dice a suor Eiisabetta: —
Ho trovato in san Paolo un passo meraviglioso: « Dio ci ha creati per
la lode della sua gloria ».
L'altra ne fu impressionata e rapita; rientrata nella sua
celletta, prese il libro delle Epistole e si mise a ricercare il passo che
tanto l'aveva colpita, desiderando conoscerlo nel testo latino; ma non lo
trovava. Tornò, allora, dalla consorella — Vi prego, volete indicarmi
l'epistola e il versetto in cui si trova? L'ho cercato, ma inutilmente.
— E, raccontandoci l'episodio, la suora aggiunse: — Poi, non me ne
parlò più. Solo più tardi, quando suor Elisabetta era già in
infermeria, mi accorsi che la nostra suora Madre ed altre suore la
chiamavano: « Laudem gloriae ». Io non avevo dato troppa
importanza a questo passo di san Paolo che pure ammiravo; non ho avuto la
stessa grazia di suor Elisabetta, che doveva farne il suo « nome nuovo
».
Infatti la grazia divina si servì di questa formula del
suo caro san Paolo, per slanciarla verso le più alte cime.
4 Tutto
questo racconto l'ho udito dalla viva voce della suora stessa.
113
Questo incontro era avvenuto nella primavera o nell'estate
del 1905, La grazia lavorò, lentamente dapprima, determinando però un
orientamento nuovo nella sua vita interiore;
fin dal 1° gennaio, scrive:
« Voglio confidarvi una cosa tutta intima: bramo di
essere una « lode di gloria ». L'ho trovata in san Paolo, questa
espressione; e lo Sposo mio mi ha fatto sentire che questa è la mia
vocazione fin dall'esilio, nell'attesa di poter intonare il « Sanctus »
eterno nella città dei santi. Ma tale vocazione richiede una grande
fedeltà, perché, per essere « lode di gloria », bisogna morire a tutto
ciò che non è Lui, affine di non vibrare più che al suo tocco divino. E
invece, la povera Eli-sabetta fa ancora dei torti, talvolta, al suo
Signore. Ma, come un tenero Padre, Egli la perdona sempre, la purifica
sempre col suo divino sguardo; ed essa, come san Paolo, cerca « di
dimenticare ciò che lascia indietro, per slanciarsi verso quello che le
sta dinanzi » 5.
D'ora in poi, ogni volta che suor Elisabetta potrà
scrivere con intimità ad un sacerdote, gli chiederà che voglia
consacrarla, durante il santo Sacrificio, come « ostia di lode », o come
« lode di gloria ». .
Quando, la sera della domenica delle Palme, il suo divino
Maestro piombò su di lei come sulla preda, con una crisi fulminea,
credette di essere giunta alla fine. E attese la morte, con gioia.
Seguì, invece, un lieve miglioramento che la sorprese; e
quando il suo Signore le fece comprendere che gli uffici della terra non
erano più per lei e che, d'ora innanzi, Egli la voleva tutta occupata
della sola Sua gloria, suor Elisabetta prese meglio coscienza del suo
nome, quel nome nuovo che sarebbe il suo, ormai, nel tempo e
nell'eternità.
« Essere una lode di gloria alla Trinità », ecco che
cosa le chiede ora il suo Dio, su quel letto di dolore, divenuto «
l'altare della sua continua immolazione con Lui »B.
La sua vita interiore si semplifica: « Lasciarci
crocifiggere
5
Lettera al Canonico A... - Gennaio 1906.
6 Lettera al Canonico A... - Luglio 1906.
114
per essere lode di gloria », e basta. Ma vi è racchiuso
tutto e, per prima cosa, l'oblìo di se stessa, intero, assoluto: lo
raggiunge, lentamente dapprima, poi con grande rapidità; non mira più
che alla lode incessante, sempre ed in tutto:... il resto non le sembra
che vanità. H suo nome stesso di suor Elisabetta della Trinità non basta
più ad esprimere interamente il suo programma unico; tanto che, con
gl'intimi, non si firma Elisabetta, ma « Laudem gloriae ». Suor
Elisabetta: significa l'anima celata nella profondità del proprio essere
per gioirvi di Dio presente: « Laudem gloriae » segna un'altra tappa
incomparabilmente superiore: la sola preoccupazione della gloria di Lui.
È il canto del cigno di questa vita che si spegne. Dalla
sua grande anima d'artista non si sprigioneranno più che armonie divine,
sotto i tocchi ineffabili dello Spirito. Non più sforzi violenti per
radunare le potenze dell'anima; già le possiede nell'unità, sempre. E
senza interruzione sale dall'anima sua il Canticum novinn, « il
cantico del nome nuovo »: la lode di gloria ininterrotta.
I pensieri inutili o i desideri vani sono scomparsi; nella
sua anima serena e crocifissa, regna l'unità in cui trionfa l'amore.
Tutte le corde della sua lira sono tese, pronte a vibrare
al minimo soffio dello Spirito: le note gravi del suo doloroso Calvario vi
sono unite agli accenti vibranti di giubilo divino che desta nell'anima
sua il pregustamento della gioia beatifica, ormai vicina. Tutte si fondono
in una armonia che sale a Dio come un inno di gloria che il Verbo si canta
in questa anima tutta trasformata in Lui.
Questa sera tanto bella della vita di suor Elisabetta
della Trinità è qualche cosa di divino. Il Padre Vallee, rievocando, a'ila
notizia della sua morte, le ultime settimane di quella vita santa,
scriverà alla signora Catez che furono ore « straordinariamente belle e
divine ». Dio terminava di conformarla a Cristo, sulla croce; compiva
quello che era stato il suo unico sogno: essere sempre più simile a
Cristo Crocifisso per amore, a « Colui che fu la perfetta lode di gloria
», ed « esprimerlo
115
agli sguardi del Padre » T. « Vivo nel cielo
della fede al centro idell'anima mia e procuro di dare gioia al mio
Signore, essendo già sulla terra, la « lode della Sua gloria » s.
È questa la parola d'ordine che sempre ritorna spontanea,
parlando con gl'intimi. Con la sua Madre Priora, poi, è il tema abituale
e il più caro; dopo la malattia soprattutto; l'anima ideila sua figliola
non ha più alcun segreto, per lei; essa è il sacerdote che deve offrire
alla Trinità santa la piccola « ostia di lode ». Colloqui e feste
intime ve la riconducono invariabilmente.
Per la festa di santa Germana, onomastico della Madre sua,
e ultimo — lo sa bene — che festeggia sulla terra, suor
•Elisabetta prega un'amica di rappresentare
simbolicamente la Trinità e porre nel quadro tré anime che tengono
un'arpa per cantarne la gloria. « Una di queste anime — scrive —
dovrebbe essere più bella, perché deve rappresentare la nostra Madre;
l'altra, una sorellina dell'anima mia in questo Qmnelo;
da terza sono io » ". Su questa immagine, poi, vuole
che si scriva: « Deus praedestinavit nos ut essemus ' Itniclem gì
orine ' 'eius. Dio ci ha predestinati, perche siamo le lodi della Sua
gloria ». Si trattava in fondo, di rappresentare simbolicamente la sua
vocazione suprema di lode di gloria.
Così, nella sua cameretta dell'infermeria, potè
festeggiare 'per l'ultima volta la sua Madre Priora così teneramente,
così ifilialmente amata.
« La sera, nella nostra piccola cella, soltanto fra la
Madre
•nostra e le sue due beniamine, si è svolta la semplice
festa 'tutta intima. La mia cara sorellina, che è un vero serafino, vi
'ricompenserà nella preghiera della gioia che le avete procurata. Aveva
preparato, sopra un tavolino, tutta una piccola esposizione: al posto
d'onore, il vostro bei quadro con la 'immagine della SS. Trinità, per il
quale devo dirvi un grazie vivissimo. Vi era pure la medaglia inviata
dalla mammia mia e un piccolo dono di Margherita; inoltre, alcuni
lavoretti e dei
7
Ultimo ritiro XIV.
a Lettera al Canonico A... - Maggio 1906.
9 Lettera alla signora H... - 3 Ghigno 1906.
116
mazzolini mistici, fra i quali la vostra offerta per una
santa Messa era il fiore più bello » 10.
Fra le consorelle, nella confidenza del suo « segreto
» di grazia, non si chiamava più che « laudem gloriae »; e alla
lettera d'addio indirizzata alla sorella Margherita, aggiunge come
post-scriptum: « Sarà il mio nome, in cielo » ".
Questo nome nuovo ha un'importanza grandissima per lo
psicologo o per il teologo che vuoi rendersi conto del grado ti i sviluppo
che la grazia del battesimo ha raggiunto in suor Elisnbctta della
Trinità. Questo « nome personale », il nome con cui il Pastore divino
distingue e chiama ad una ad una le
•sue pecorelle, ci permette di cogliere il termine della
predestinazione di un'anima. Questo nome, ne siamo convinti, è il tratto
più caratteristico della missione di suor Elisabetta.
Il grande ostacolo della Carmelitana e di ogni anima
contemplativa è il pericolo di vivere di fronte a se stessa invece che
vivere di Dio in se. Ora, la grazia tutta propria di suor iElisabctt.1
della Trinità, divenuta « Laudem gloriae », è di raccogliere le anime
nell'intimo di se stesse, ma per farle uscire
•di sé, mediante l'amore e la lode di gloria.
Non ci sarebbe dato di conoscere quasi nulla della sua
vita spirituale giunta a questa altezza, se la Madre Germana, considerando
già suor Elisabetta come una piccola santa, non avesse avuto la
provvidenziale ispirazione di chiederle in iscritto il suo segreto.
« ...Quando entrò nel ritiro che doveva essere l'ultimo
per lei, dal 15 al 31 agosto, le chiesi di scrivere alcuni pensieri per
esprimere come intendeva e considerava la sua vocazione di lode di gloria.
La santa malat'ina comprese, e accettò sorridendo » ".
Prese allora un quadernetto e, durante le sue lunghe e
penose insonnie, dopo le undici e mezzanotte, quando era ormai sicura che
la Madre Priora non sarebbe più andata a trovarla, si metteva a scrivere.
" Lettera alla signora H... - Luglio 1906
" Essate 1TO6.
1 "'' Ho saputo questi particolari dalla Madre
Germana stessa.
117
Riempito il quadernino da cima a fondo, lo consegnò alla
•sua Priora senza occuparsene più. Quelle pagine che
ben chia-'ramente si sentono dettate dallo Spirito Santo ad un'anima tutta
inabissata nel dolore e nella beatitudine, sono un purissimo capolavoro di
spiritualità, e pongono suor Elisabetta del-
•la Trinità fra i più grandi scrittori mistici.
Non si potrebbero davvero spiegare queste elevazioni
sublimi, scaturite di primo getto e prive di qualsiasi correzione, 'senza
un vero carisma di composizione clic fa ricordare istintivamente la
rapidità con cui santa Caterina da Siena, sotto la mozione dello stesso
Spirito, dettava ai discepoli che a stento riuscivano a starle alla pari,
il suo meraviglioso Dialogo. Sono fatti, questi, che sorpassano
ogni arte umana ed è impossibile 'non riconoscervi i tocchi, trascendenti
qualsiasi tecnica, dello Spirito di Amore, che è pure Arte divina e
suprema Bellezza.
Se si vuoi conoscere il pensiero più profondo di suor
Eli-'sabetta della Trinità, bisogna cercarlo nell'ultimo suo ritiro. Esso
costituisce, per così dire, la sua piccola « Somma » mistica, la
quintessenza della sua dottrina spirituale, nel momento più elevato della
sua esperienza mistica. È un vero e proprio trattato dell'unione
trasformante, tale quale la concepiva nella linea della sua vocazione di
lode di gloria, e quale la viveva, nell'intimo; è tutto un programma di
vita da lei lasciato alle « Iodi di gloria » che vorranno più tardi
seguire le sue tracce nella via di una santità interamente dimentica di
sé e tutta orientata verso la gloria purissima della Trinità.
Nella sua maniera di concepire l'ufficio di « lode di
gloria », si ritrovano le idee fondamentali della sua vita interiore e
tutte le grandi linee maestre della sua spiritualità: silenzio,
.spogliamente assoluto, amore della Trinità e culto del divino volere,
conformità sempre più aderente con l'anima di Cristo Crocifisso; ma vi
si ritrovano sotto un'altra luce che tutte 'le modifica: nella pura luce
della gloria della Trinità. Tutto un mondo spirituale nuovo se ne
sprigiona, come se, ad un
•tocco di bacchetta magica, apparissero in piena luce
dei cari esseri familiari che si sentono vivere intorno, nel buio di una
'notte oscura.
118
L'anima non sa più nulla, fuorché Cristo, il Crocifisso
per amore del quale sogna di morire trasformata; la Trinità della quale
volle essere l'incessante lode di gloria; e la Vergine, questa Madre di
grazia, la cui missione è di formare nelle anime l'immagine vivente del
Primogenito, il Figlio dell'Eterno, Colui che fu la perfetta lode di
gloria del Padre. Sono questi i sentimenti più intimi di suor Elisabetta,
nell'istante in cui entra nel raccoglimento dell'ultimo suo ritiro sulla
terra la sera del 15 agosto, supplicando ]anua coeli di prepararla
alla sua vita dell'eternità. Qui ancora, come sempre, la sua concreta
psicologia spiega la sua dottrina,
2, Una Lode di gloria è, prima di tutto, un'anima di
silenzio. « Non sapere più nulla »: è il programma di una lode di
gloria, spogliata di tutto e di se stessa, libera di vibrare all'unico
soffio dello Spirito. Ci troviamo ricongiunti, in tal modo, all'ascesi
fondamentale di suor Elisabetta della Trinità.
« Nesci vi. Non seppi più nulla »: ecco ciò che
canta la Sposa del Sacro Cantico, dopo essere santa introdotta nella cella
intcriore; e questo, mi sembra, dovrebbe essere il ritornello di una «
lode di gloria » in questo primo giorno di ritiro in cui il Maestro la fa
penetrare sino in fondo all'abisso insondabile, per insegnarle a compiere
quell'ufficio che sarà suo per l'eternità, e nel quale già deve
esercitarsi nel tempo, che è l'eternità incominciata.
Nescivi: non so più nulla, non voglio più nulla,
fuorché « conoscere Lui, essere partecipe dei suoi dolori, essere
conforme alla sua morie » ". « Come è indispensabile, questa
bella unità intcriore, all'anima che vuoi vivere quaggiù la vita dei
beati, cioè degli esseri semplici, degli spiriti!... Possono
sopraggiungere, allora, le agitazioni esterne, le interne tempeste; può
venir intaccato il suo onore: « Nescivi ». Dio può nascondersi,
può sottrarle la sua grazia sensibile: « Nesci-
13
Ultimo ritiro I.
14 Ultimo ritiro II.
119
L'anima raccolta nelle profondità di se stessa, nel
silenzio e nell'unità delle sue potenze, è tutta consacrata alla lode
della divina gloria.
Suor Elisabctta della Trinità si ricongiunge, quindi,
alla dottrina del « nescìre, non sapere nulla », che il suo
grande
•maestro spirituale, san Giovanni della Croce, pone come
base della propria teologia mistica.
3. Ma questo carattere negativo di spogliamcnto assoluto,
carattere distintivo della dottrina spirituale di suor Eli-
•sabetta e dei grandi mistici, non è che una fase
preliminare. Questo annientamento che l'anima si studia di raggiungere,
questo « niente » è la condizione che prepara al possesso del
•« Tutto », possesso nel quale consiste positivamente
la nostra vita spirituale: infatti, lo spirito del Vangelo si manifesta
prima di tutto come una religione essenzialmente positiva. Si glorifica
Dio nella misura dei Suoi doni: ecco perché la Vergine e Cristo Lo hanno
più di tutti glorificato: perché più di tutti Essi hanno ricevuto.
Questa dottrina è fondamentale,
•nella buona spiritualità. Si sente dire spesso:
Purché io arrivi in Cielo, mi accontento dell'ultimo posto... Significa
non aver capito niente del vero amore di Dio e della Sua gloria. Questo è
un punto di massima importanza nella dottrina spirituale di suor
Elisabetta della Trinità e nella concezione cristiana dell'universo.
Che cos'è la gloria di Dio? La manifestazione stupenda di
ciò che Egli è, la rivelazione delle Sue perfezioni infinite. Vi è una
duplice gloria di Dio: la sua gloria intima, dentro di Lui, e la sua
gloria esterna, al di fuori, nell'universo da lui creato. Non si tratta
qui, della sua gloria essenziale, quella che Dio trova in Se stesso, nel
suo Verbo, Pensiero unico, eterno, che esprime adeguatamente tutto ciò
che Egli è, nell'indivisibile Unità della sua Essenza e nella Trinità
delle Persone. Il Verbo dice tutto: dice la inesauribile fecondità del
seno del Padre, la bellezza del Figlio, l'Amore che li fonde nell'Unità,
l'universo che è sgorgato dalla loro potenza crea-trice ed è nelle mani
di Dio come un trastullo di bimbo.
120
Così, il Padre manifesta al Figlio la sua propria gloria.
Nel Verbo, immagine e splendore della sua gloria, il Padre risplende; il
Verbo manifesta al Padre tutto ciò che è Egli stesso;
nel Verbo, il Padre e il Figlio conoscono l'Amore eterno
che li unisce. Tale è la gloria essenziale di Dio, quella gloria
intima, intratrinitiiria, che è il Verbo.
L'universo non aggiunge nulla a questa gloria infinita; e,
dinanzi alla Trinità santa, l'anima stessa di Cristo deve confessare il
suo niente. Nella Società trinitaria delle divine Persone e
nell'invisibile Unità della loro Essenza, Dio basta a se stesso. Tutto
quello che può venire dal di fuori, anche da parte di Cristo, non è che
accidentale. E, tuttavia, Dio ci tiene, in modo assoluto; perché così
esigono la gerarchla dei valori e l'ordine delle cose. Al Creatore: onore,
sapienza, potenza e gloria.
Per un equilibrio ammirabile della divina Sapienza e degli
altri attributi divini, Dio non trova questa gloria accidentale che nella
nostra felicità e nella misura di questa felicità.
« La gloria del Padre esige che voi portiate copiosi
frutti » ". insegnava Gesù. Chi è più santo Lo glorifica di
più; e, in questo senso, il Verbo Incarnato è la più perfetta lode di
gloria di tutti i Suoi doni, a causa delle incomprensibili ricchezze della
sua umanità santa. Dopo di Lui, ad una distanza infinita, l'anima della
Vergine, la creatura che ha ricevuto di più, dopo Cristo; e così, via
via, tutti gli altri santi. Significa, dunque, avere un falso concetto
della gloria divina, volersi accontentare di una santità mediocre.
Suor I''.lis;ilx;lt;i della 7'rinità, con una profondità
di pensiero sorprendente in una fanciulla, si è elevata senza sforzo,
sotto l'impulsò della grazia, a questa altissima luce di Sapienza, la
più deiforme nella quale possa porsi uno sguardo creato per considerare
l'universo alla luce di Dio. Essa ha perfettamente compreso che deve
essere santa, prima di tutto per Dio; tanto santa quanto le è possibile,
perché la gloria di Dio è strettamente legata alla sua santità.
15 San Giovanni,
XV-8.
121
Nel suo diario di fanciulla, scrive: « Voglio essere
santa »;
segue una cancellatura, quindi: « Santa per Tè ». La
fine della sua vita fu la magnifica realizzazione del desiderio concepito
a 19 anni. Ha compreso che quanto più un'anima si innalza sulle vette
dell'unione trasformante, tanto meglio compirà il suo ufficio di lode di
gloria. Dio è glorificato nella misura in cui « la bellezza » delle sue
perfezioni si ridette nelle anime. E i beati l'hanno raggiunta questa
trasformazione suprema, essi che « contemplano Dio nella semplicità
della Sua Essenza, essi che « Lo conoscono nel modo stesso che sono da
Lui conosciuti », cioè per mezzo della visione intuitiva. Ecco
perché « sono trasformati, di chiarezza in chiarezza, nella immagine
dì Lui, dalla potenza del suo Spirito », divenendo così lode
incessante di gloria all'Essere divino che in essi contempla il proprio
splendore... « A sua immagine e somiglianzà »; tale fu l'ideale
del Creatore: potersi contemplare nella creatura, vedere irradiate in essa
tutte le sue perfezioni, tutta la sua bellezza, come attraverso un
cristallo limpido e terso; non è questa, in certo modo, una estensione
della sua propria gloria? L'anima che permette all'Essere divino di
riflettersi in lei, questa anima è veramente la lode di gloria di tutti i
suoi doni, e in ogni occupazione, anche nelle più ordinarie, canta il can-ticum
magnum, il canticiim novum che fa esultare il cuore di Dio
nelle sue profondità » 16.
Dare a Dio la testimonianza di tutte le proprie potenze,
orientandole verso di Lui solo: ecco ciò che suor Elisabetta intende per
lode di gloria di tutti i suoi doni. Secondo lei, una vera lode di gloria
è avida di ricevere Dio al maximum, è un'anima che se ne sta come
un'arpa sotto il tocco divino, e tutti i doni che Egli le ha elargiti sono
corde armoniose che vibrano giorno e notte per cantare la lode della sua
gloria.
Siamo ben lontani dalla visuale ristretta di tutte quelle
concezioni meschine che, invece di liberare le anime e slanciarle in pieno
verso Dio, le ripiegano su di sé, le deprimono, paralizzando in esse la
libera espansione del perfetto amore.
18
Ultimo ritiro III.
122
4. Attirata sempre verso le alte cime, suor Elisabetta
della Trinità va a cercare i suoi modelli di « lode di gloria » fra i
beati che stanno continuamente dinanzi al Trono dell'Agnello in preghiera
e in adorazione.
Sotto l'influenza della sua lettura del Cantico e
della Viva fiamma, la visione beatifica diviene il pensiero
dominante degli ultimi suoi giorni, comunicando a tutti gli slanci
dell'anima sua quasi un ritmo di eternità. Negli ultimi capitoli
dell'Apocalisse (nell'ultimo soprattutto), che erano divenuti l'alimento
più familiare dell'anima sua, essa attingeva quel senso di eternità che
anima quasi tutte le pagine dell'ultimo suo ritiro. A chi le stava vicino
in quei giorni ripeteva: « II mio Maestro non mi parla più che di
eternità ».
Viene così a congiungersi, con un senso dottrinale sempre
impeccabile, ad un'altra dottrina spirituale che è familiare alla
teologia cattolica: che, cioè, la nostra vita divina sulla terra è già
« la vita eterna incominciata ».
« Mi pare — scrive — che esercitarsi nel cielo della
propria anima in questa occupazione dei beati, sarebbe dare una gioia
immensa al cuore di Dio » ". « Ieri san Paolo, sollevando un poco
il velo, mi permetteva di spingere lo sguardo nell'eredità dei santi,
nella luce, perché io vedessi la loro occupazione e procurarsi, quanto è
possibile, di conformare la mìa vita cillii loro, per adempiere il
mio ufficio di « laudem gloriae ». Oggi san Giovanni, il discepolo che
Gesù amava, mi schiude le porte dell'eternità perché l'anima mia possa
riposarsi nella « santa Gerusalemme, dolce visione di pace ». E,
prima di tutto, mi dice che non ha bisogno di lumi, la Città, perché lo
splendore di Dio ila 'illumina e sua luce è l'Agnello. Ora, se voglio che
la mia città intcriore abbia qualche tratto di conformità e di
somiglianzà con quella del Rè dei secoli immortali e riceva la grande
irradiazione di Dio, bisogna che io estingua ogni altro lume e che
l'Agnello ne sia l'unica face » ".
17
Ultimo ritiro III. 1< Ultimo ritiro IV.
123
La vita dei beati è una vita di luce e di amore. Su
questo duplice movimento, suor Elisabetta traccia il programma della lode
di gloria che vuole, nel cielo dell'anima sua, imitare l'occupazione dei
beati. Alla visione beatifica, impossibile sulla terra, supplisce la
virtù della fede.
« Ecco, ma appare la fede, la bella luce della fede;
questa sola deve illuminarmi per andare incontro allo Sposo. Il salmista
canta che « Egli si occulta nelle tenebre »; poi in un altro
punto, sembra contraddirsi con queste parole: « La luce l'avvolge come
una veste ». L'insegnamento che' per me risulta da questa
contraddizione apparente è die io devo immergermi nella « sacra tenebra
», facendo la notte e il vuoto in tutte le mie potenze. Allora
incontrerò il mio Signore, e la luce che lo avvolge come una veste
avvolgerà me pure, perché Egli vuole che la sposa sia luminosa della Sua
luce, della sola Sua luce, ed abbia la chiarezza di Dio. Si dice di Mosè
che « era incrollabile nella sua fede, come se aresse veduto
l'Invisibile ». Mi sembra che tale debba essere la disposizione di
una lode di gloria che vuoi proseguire, malgrado tutto, il suo inno di
ringraziamento: « Incrollabile nella sua fede, come se avesse visto
l'Invisibile », incrollabile nel credere al-l'« eccessivo amore
»... « abbiamo conosciuta !a carità di Dio per noi, e vi abbiamo
creduto » 19. « La fede e sostanzii delle cose che
speriamo e convinzione di quelle che non rediamo » 20.
Raccolta nella luce che accende in lei questa parola, che cosa importa
ormai all'anima sentire o non sentire, essere nel buio o nella luce,
godere o non godere? Ella si vergogna, quasi, di fare tali distinzioni...
Mi sembra che a quest'anima che possiede una sì grande fede in Dio-Carita.
si possono rivolgere le parole del Principe degli Apostoli: « Poiché
credete, sarete ricolmi di un gaudio immutabile e sarete glorificati »
21.
Ma la « lode di gloria » che vuole imitare l'occupazione
dei beati, deve essere animata da un altro sentimento: l'at-
19 I
Giovanni, 1V-16.
" Ebrei, XI-1.
21 Ultimo ritiro IV.
124
tività adoratrice dell'amore. Tutta la psicologia della
« lode di gloria » deve modellarsi sullo stato d'animo dei beati.
« Essi non hanno riposo ne giorno ne notte, e
ripetono:
Santo, santo, santo, è il Signore, Dio onnipotente che
era, che è, che sarà nei secoli dei secoli... — Si prostrano, adorano
e ci epongono le loro corone dinanzi al trono, dicendo: Degno Tu sci, o
Signore, di ricevere la gloria e l'onore e la potenza... » -;.
Come imitare nel cielo dell'anima mia questa occu-piìzionc incessante dei
beati nel Ciclo della gloria?
« i.ss/ s/ {irosi l'ano, adorano e depongono le loro
corone ».
Prima di tutto, l'anima deve prostrarsi, immergersi
nell'abisso del proprio niente; penetrarvi così a fondo, da trovare —
secondo l'ineffabile espressione di un mistico — la pace vera,
invincibile e perfetta che nulla 'può turbare, perché si è precipitar;!
così in basso, che nessuno andrà a cercarla, higgiù. Allora, potrà adorare...
L'adorazione ah, è una parola di cielo, mi sembra che
possa definirsi: l'estasi dell'amore. È l'amore schiacciato dalla
bellezza, dalla forza, dall'immensa grandezza dell'oggetto amato: « Adorate
il Signore, perché Egli è santo », dice il Salmista; e ancora: « Sempre
l'adoreremo a motivo di Lui stesso »23.
Così, questa psicologia dei beati nell'eternità diviene
per lei l'esemplare vivente della santità sulla terra. « L'anima che si
raccoglie in questi pensieri, che li penetra col « senso divino »
di cui parla san Paolo, vive in un paradiso anticipato, al di sopra di
tutto ciò che passa, al di sopra di se stessa. Sa clic Colui che ella
adora possiede in sé ogni felicità ed ogni gloria, e gettando come i
beati dinanzi a Lui la sua corona, si disprezza, si perde di vista e, in
mezzo a qualunque sofferenza e dolore, trova la sua beatitudine in quella
dell'Essere adorato, perché ha abbandonato se -stessa ed è passata in un
altro. In questo atteggiamento di adorazione, l'anima non somiglia forse a
quei pozzi di cui parla san Giovanni della Croce, in cui si radunano le
acque che scendono dal Libano?
•-•2 Apoc., IV-.s... il.
•^
Ultimo ritiro V[TI.
125
Vedendola, si può dire: « La città di Dio è
rallegrata dal corso di impetuosa fiumana » 2\.
5. La vita spirituale di suor Elisabetta della
Trinità, anima essenzialmente trinitaria, rimane però sempre, e con un
crescendo continuo, incentrata in Cristo Gesù. Il sogno che « Laude-m
gloriae » accarezza durante le lunghe penose insonnie, è di morire, «
non solo pura come un angelo, ma trasformata in Gesù Crocifisso ».
Questo modello divino è dinanzi al suo sguardo, sempre; unico suo ideale
è contemplarlo per riprodurlo; vorrebbe potere esprimerlo agli occhi del
Padre.
Ma, lo sa bene, la conformità suprema dell'immagine del
Cristo conduce « alla conformità alla sua morte ». Nel corso
dell'ultimo suo ritiro, questo pensiero non l'abbandonava un istante; e
mentre scrive le sue riflessioni sulla inabitazione della Trinità e sulla
lode di gloria, ripete spesso, cuore a cuore, alla sua Madre Priora, con
voce languente di malata:
« Madre, sento che Egli mi conduce sul suo Calvario ».
Ed è qui che si compie ogni santità.
Una lode di gloria è essenzialmente un'anima crocifissa:
ha contemplato, nel cielo, « la grande moltitudine che
nessuno può enumerare », sa che « sono coloro che vengono dalla
grande tribulazione, che hanno lavato e reso candide le loro stole nel
sangue dell'Agnello; per questo, stanno dinanzi al trono di Dio e lo
servono dì e notte nel suo tempio; e Colui che è assisa sul trono
stenderà sovr'essi la sua tenda. Non avranno più fame ne sete, non li
colpirà il sole ne ardore alcuno, perché l'Agnello sarà il loro pastore
e li guiderà alle. fonti delle acque di vita; e Dio asciugherà ogni
lacrima dei loro occhi ». « Tutti questi eletti che hanno in mano la
palma e che sono bagnati dalla grande luce di Dio, hanno dovuto prima
passare per la grande tribolazione, conoscere il dolore « immenso come
il mare » cantato dal Profeta. Prima di contemplare svelatamente la
gloria del Signore, essi hanno partecipato agli annientamenti del suo
Cristo; prima di essere trasformati, di chiarezza in chiarezza nella
immagine dell'Es-
24
Ibidem.
126
sere divino, sono stati conformi all'immagine del Verbo
incarnato, il Crocifisso per amore.
« L'anima che vuoi servire Dio notte e giorno nel suo
tempio, cioè in quel santuario interiore del quale parla san Paolo quando
dice: « II tempio di Dio è santo, e questo tempio siete voi »,
quest'anima deve essere risoluta di partecipare realmente alla passione
del suo Signore. Essa è 'una riscattata che deve a sua volta riscattare
le altre anime; e canterà perciò sulla sua lira: « Io mi glorio
nella Croce di Gesù Cristo. Con Cristo sono confitta alla Croce... »
ed ancora: « Do compimento, nella mia carne, a ciò che manca alla
passione di Cristo, per il corpo di Lui, che è la Chiesa ».
« Alla sua destra sta la Regina »: tale è
l'atteggiamento di quest'anima. Essa procede sulla via del Calvario, alla
destra del suo Rè crocifisso, che, annientato, umiliato, eppure così
forte, calmo e pieno di maestà, va alla sua passione per far risplendere
« la gloria della sua grazia », secondo l'espressione così forte
di san Paolo. Ed Egli vuole associare la sua sposa all'opera di
redenzione; ma la via dolorosa in cui la fa camminare le sembra la via
della beatitudine, non solo perché alla beatitudine conduce, ma ancora
perché il Maestro santo le fa comprendere che deve superare quello che vi
è di amaro nel dolore, per trovarvi, come Lui, il suo riposo.
Allora, può veramente servire Dio « notte e giorno
nel suo tempio »; le prove interne ed esterne non possono farla
uscire dalla santa fortezza in cui Egli l'ha rinchiusa; non ha più « ne
fame, ne sete » perché, malgrado il suo struggente desiderio della
beatitudine, si sente saziata dal nutrimento che fu quello del suo Maestro
divino: la volontà del Padre; non sente più « il sole che su di lei
dardeggia », cioè non soffre più; e l'Agnello può condurla, ora
alle sorgenti della vita, dove Egli vuole, come gli pare, perché lei non
guarda per quali sentieri passa, ma tiene lo sguardo fisso semplicemente,
sul Pastore che la guida.
Dio, chinandosi su quest'anima, sua figlia adottiva, così
conforme all'immagine del suo « Viglio primogenito fra tutte le
creature », la riconosce per una di quelle da Lui « prede-
127
stmate, chiamate, giustificate
»; ed esulta nelle sue viscere di Padre, pensando di consumare l'opera
sua, cioè di glorificarla, trasferendola nel suo regno, perché vi canti
nei secoli senza fine la lode della sua gloria » ".
6. Fedele al pensiero dominante degli ultimi suoi giorni,
adempiere cioè, fin da questa vita, la sua vocazione eterna di « Laudem
gloriae » suor Elisabetta della Trinità vuoi cercare di compiere nel «
cielo dell'anima sua » ciò che fanno i beati nel « cielo della
gloria ». È lo sviluppo supremo della sua vocazione intcriore di « Casa
di Dio ».
La sua grazia fondamentale fu di vivere raccolta
interior-mente, nel più profondo dell'anima, con l'intimo Ospite;
aveva trovato, in questo, il suo cielo sulla terra. Per
una evoluzione normale, ella vivrà pure interiormente la sua vocazione
suprema di « lode di gloria »: « Poiché l'anima mia è un ciclo dove
vivo nell'attesa della celeste Gerusalemme, bisogna che questo ciclo canti
la gloria dcll'F.li.'rno, niente altro che la gloria dell'Eterno » 2".
In questo cielo intcriore, tutte le attività intime,
tutto l'esercizio dell'amore e della pratica della virtù è una lode di
gloria al Dio che vi abita, come le opere del Signore narrano al di fuori
la gloria dell'Eterno. Questa glorificazione divina nel silenzio
dell'anima è la lode più sublime che possa salire dalla creatura a Dio,
« Coeli enarrant gloriam De/ ». Ecco che cosa
narrano i cieli: la gloria di Dio. « II giorno trasmette al giorno
questo messaggio ». Tutti i lumi intcriori, tutte le comunicazioni di
Dio all'anima mia, sono questo giorno che trasmette al giorno il messaggio
della sua gloria.
« II precetto di Jahveh è puro », canta il
Salmista, « ed illumina lo sguardo ». Per conseguenza, la mia
fedeltà nel corrispondere ad ogni suo precetto, ad ogni suo interno
comando, mi fa vivere nella luce sua; anch'essa è un messaggio che
annunzia la sua gloria.
25
Ultimo ritiro V.
26 Ultimo ritiro VII.
128
I 1
Ma, ecco la dolce meraviglia: « Jahveh, chi ti guarda,
rispicnde » esclama il Profeta. L'anima che, con la profondità del
suo sguardo interiore, nella semplicità che la distacca da ogni estranea
cosa, contempla attraverso a tutto, il suo Dio, quest'anima è
risplendente; essa è un giorno che annunzia al giorno il messaggio della
sua gloria » ".
Nel ciclo intcriore, tutto canta la gloria dell'Eterno:
gioie e consolazioni spirituali, come pure tutto ciò che crocifigge.
« La notte l'annuncia alla notte »: ecco una cosa davvero
consolante: le mie impotenze, i miei disgusti, le mie oscurità, persino
le mie colpe, narrano la gloria dell'Eterno; e le mie sofferenze
fisiche e morali celebrano anch'esse la gloria del mio Signore.
David cantava: « Che cosa renderò al mio Signore per tutti i suoi
benefici? — Prenderò il calice della salute ». Se io Io prendo,
questo calice imporporato dal Sangue del mio Maestro, e se, nel mio
ringraziamento pieno di gioia, unisco il sangue mio a quello della
Vittima santa che lo rende in qualche modo partecipe del suo «
infinito », esso può dare al Padre una magnifica lode; allora il
mio dolore è un messaggio che annunzia la gloria dell'Eterno.
La, (nell'anima che narra la sua gloria), Egli ha
posto una tenda per il sole ». Il sole è il Verbo, è lo Sposo. Se
Egli trova l'anima mia vuota di tutto ciò che non rientra in queste due
parole: il suo amore, la sua gloria, allora la sceglie per sua camera
nuziale; « vi si slancia come un gigante che si precipita trionfatore
nella corsa... ed io non posso softrarmi al suo calore ». Questo « fuoco
consumante » opererà la felice trasformazione di cui parla san
Giovanni della Croce: « Ciascuno — egli dice — sembra essere l'altro,
e tutti e due non sono che uno», per essere lode di gloria al
Padre»".
7. Curioso è il fatto che, mentre l'ultimo ritiro di «
Lau-dem gloriae » termina con un movimento dell'anima verso la
inabitazione della Trinità, invece il piccolo trattato composto •per la
sorella, per insegnarle come trovare il paradiso sulla
27
Ultimo ritiro VII, '•"' L'ìtimo ritiro VII.
129
terra, si chiude con un'elevazione che riassume tutto
l'ufficio di una lode di gloria; variazione, questa, che trova però la
sua spiegazione nell'unità concreta della psicologia religiosa di suor
Elisabetta della Trinità negli ultimi giorni della sua vita.
Questa pagina meno nota della sua preghiera, merita tutta
la nostra attenzione. Sotto l'azione irresistibile della grazia, suor
Elisabetta ci scopre, nella ultima ora della sua vita, il suo ideale
supremo di santità.
Riprendendo il testo di san Paolo agli Efesini da cui era
stata così fortemente colpita e che si può considerare, infatti, come il
punto classico della teologia sul senso ultimo della nostra
predestinazione in Cristo, la sua squisita anima di artista canta su quel
tema, con ritmo fortemente accentuato, il suo ufficio supremo, quaggiù.
Nulla v'è da aggiungere al suo pensiero così denso e dottrinale, che si
può considerare come il testamento del suo cuore, non solo alla sorella,
ma anche a tutte le anime che vorranno realizzare, a suo esempio,
l'ufficio di una lode di gloria.
« In Lui siamo stati predestinati, per decreto di
Colui che tutto opera secondo il consiglio della sua volontà, ad essere
la lode della sua gloria »M. È san Paolo che ce lo dice,
san Paolo istruito da Dio stesso. Come attuare questo grande ideale del
cuore del nostro Dio, questa sua volontà immutabile riguardo alle anime
nostre? Come, in una parola, rispondere alla nostra vocazione e divenire
lodi perfette di gloria alla santissima Trinità? In cielo, ogni anima è
una lode di gloria al Padre, al Verbo ed allo Spirito Santo, perdio ognuna
è stabilita nel puro amore e non vive più della vita propria, ma di
quella di Dio. Allora, essa Lo conosce, dice san Paolo, come è conosciuta
da Lui.
In altri termini:
Lode di gloria è un'anima che ha posto la sua dimora
in Dio, che Lo ama con amore puro e disinteressato, senza cercare se
stessa nella dolcezza di questo amore; un'anima che Lo ama al di
sopra di tutti i suoi doni, anche se nulla avesse
CT
Efesini, I, 11-12.
130
ricevuto da Lui, e che desidera il bene dell'oggetto a tal
punto amato. Ma come si può desiderare e volere effettivamente del
bene a Dio, se non compiendo la sua volontà? Poiché questa volontà
dispone tutte le cose per la sua maggior gloria. Quest'anima deve dunque
abbandonarvisi pienamente, perdutamente, fino a non poter volere altra
cosa se non ciò che Dio vuole.
Lode dì gloria è un'anima di silenzio che se ne sta
come un'fu'pa sotto il tocco misterioso dello Spirito Santo, perché Egli
ne tragga ni-monic divine. Sa che il dolore è la corda che produce i
suoni più belli; perciò è contenta che vi sia questa corda nel suo
strumento, per commuovere più deliziosamente il cuore del suo Dio.
Lode di gloria è un'anima che contempla Dio nella
fede e nella semplicità; è un riflesso di tutto ciò che Egli è; come
un abisso senza fondo nel quale Egli può riversarsi ed espandersi; è
come un cristallo attraverso il quale può irradiare e contemplare le
proprie perfezioni e il proprio splendore. Un'anima che permette in tal
guisa all'Essere divino di saziare in lei il bisogno che Egli ha di
comunicare tutto ciò che è e tutto ciò die possiede, è veramente la
lode di gloria in tutti i suoi doni.
Finalmente, una lode di gloria è un'anima immersa
in un incessante ringraziamento; tutti i suoi atti, i suoi movimenti, i
suoi pensieri, le sue aspirazioni, mentre la fissano più profondamente
nell'amore, sono come una eco del Sanctus eterno. Nel cielo
della gloria, i beati non hanno riposo ne giorno ne notte, ma sempre
ripetono: — Santo, santo, santo, il Signore onnipotente... — e
prostrandosi, adorano Colui che vive nei secoli dei secoli.
Nel ciclo dell'anima sua, la lode di gloria inizia
già l'ufficio che sarà suo in eterno; il suo cantico è ininterrotto e,
benché non ne abbia sempre coscienza perché la debolezza della natura
non le consente di fissare il suo pensiero in Dio senza distrazioni, pure
rimane sempre sotto l'azione dello Spirito Santo che opera tutto, in lei.
Canta sempre, adora sem-
131
pre, è, per così dire, interamente trasformata nella
lode e'nell'amore, nella passione della gloria del suo Dio.
Nel cielo dell'anima nostra, procuriamo di essere lode
di gloria della Trinità santa, lode d'amore della nostra Madre
Immacolata. Un giorno il velo cadrà, e saremo introdotte negli atri
eterni; ivi canteremo nel seno stesso dell'Amore infinito, e Dio, ci darà
il nome nuovo promesso al vincitore. E quale sarà questo nome? » « Laudem
gloriae » ".
33 «
II paradiso sulla terra » - 13' orazione.
132
CAPITOLO QUINTO
LA CONFORMITÀ A CRISTO
« ...Che io gli sia quasi un prolungamento di umanità...
».
1. La nostra predestinazione in Cristo - 2. La presenza
intima di Gesù - 3. Devozione all'anima di Cristo - 4.
Identificare i movimenti dell'anima propria a quelli dell'anima di Cristo
-5. Esprimere Cristo allo sguardo del Padre - 6. Essere per
Lui quasi un prolungamento di umanità - 1. La conformità alla Sua
morte.
Una nota comune a tutti ricongiunge i santi delle più
varie scuole: l.i loro conformità a Cristo: « J predestinati —-ci
elice san Paolo — devono essere conformi all'immagine del Figlio »
'.
Secondo l'assioma tradizionale, il cristiano è un altro
Cristo: Chrislianus alier Christiis.
Ma questa grazia della conformità a Cristo è
essenzialmente multiforme; alcuni riproducono con particolare evidenza
qualche aspetto della vita di Gesù: il suo silenzio di Naza-rcth, il
fascino potente della sua parola sulle folle e il suo ascendente sulle
anime; oppure, i lineamenti del Messia sofferente, come Geremia, le
ignominie della passione e l'abbandono dei « suoi », come Giobbe; la sua
umiltà, la sua pazienza, il suo disprezzo delle ricchezze, la sua vita
adorante e riparatrice, il suo amore per il Padre; oppure, i suoi lumi
sapienti di Dottore, la sua prudenza di capo supremo della Chiesa, la
forza del suo martirio sulla Croce. I prediletti imitano il Maestro nel
distacco assoluto: « Sono i vergini, e se-
' Romani,
VITI-29.
133
guono l'Agnello ovunque Egli vada »2.
La santità di Cristo è, in qualche modo, infinita; Gesù offre in se
stesso un modello di tutte le virtù, e Dio potrebbe moltiplicare senza
limite i santi, sulla terra, senza esaurire le ricchezze incomprensibili
della grazia capitale di Cristo, esemplare della nostra.
Non deve quindi farci meraviglia il ritrovare in suor
Elisa-betta questa viva rassomiglianza col suo Maestro. « Vivo enìm,
]am non ego; vivit vero in me Chrislus » '': ecco l'ideale della mia
anima di Carmelitana ».
Questa trasformazione in Cristo, iniziatasi al battesimo,
continua senza interruzione attraverso tutte le fasi della sua vita.
Scriveva nel suo diario di fanciulla: « Vorrei farlo amare da tutta la
terra...». «L'amo, fino a morirne»'. E le feste, anche le più mondane,
non potevano strapparla all'invisibile presenza del suo Cristo. Divenuta
Carmelitana, con quale appassionato ardore premeva sul cuore il bei Cristo
della sua professione che recava il motto: « ]am non ego, vivit vero
iti me Christus! ».
Cristo è al centro della sua preghiera sublime alla
Trinità, nella quale esprime in uno slancio di amore tutto il respiro
della sua vita inferiore: « O mio Cristo adorato, io vorrei essere una
sposa per il tuo cuore... Vorrei amarti, fino a morirne ». Nel suo letto
di dolore, non sogna che di « morire trasformata in Gesù Crocifisso ».
La devozione al Cristo occupa un posto centrale nella sua dottrina come
nella sua vita. A quale sorgente l'ha attinta?
Durante il ritiro conventuale predicato nell'ottobre 1902,
il Padre Vallee aveva esposto energicamente e in un'altissima luce
contemplativa i grandi principi della cristologia tomista;
aveva particolarmente insistito sulla natura del Verbo
Incarnato e sul suo carattere essenziale di Salvatore, sulla grazia
capitale, la scienza, l'amore, la preghiera di Cristo... ecc... Questo
ritiro, privo di consolazioni interiori, aprì a suor Elisa-betta
orizzonti sconfinati sul mistero di Cristo e queste luci
2
Apocalisse, XIV-4.
3 Lettera al sacerdote Don Ch. - 23 Novembre 1904.
4 Diario: 30 Gennaio - 1° Marzo 1899.
134
nuove entrarono immediatamente nella sua vita. « Abbiamo
avuto un ritiro così bello, così profondo, così divino! Il Padre Vallee
ci ha spiegato sempre Gesù Cristo, e vi avrei voluta vicina a me, perché
l'anima vostra esultasse insieme alla mia.
Noi siamo in comunione continua col Verbo Incarnato, con
Gesù che dimora in noi e vuole dirci tutto il suo mistero. La vigilia
della sua Passione, parlando dei « suoi. », diceva al Padre: « Io
ho fatto conoscere ad essi le parole che mi hai comunicato; ho dato loro
la luce che ho avuto in Tè, prima' che il mondo fosse » 5.
Egli è sempre vivo, sempre operante nell'anima nostra: lasciamoci formare
da Lui, e che Egli sia l'anima della nostra anima, la vita della nostra
vita, aftinché possiamo dire con san Paolo: « Per me, vìvere è
Cristo ». Egli non vuole che ci rattristiamo, considerando ciò che
non abbiamo fatto interamente per Lui. È il Salvatore; la sua missione è
perdonare. E il reverendo Padre, durante il ritiro, ci diceva: « Non vi
è che un desiderio nel cuore di Cristo: cancellare il peccato e portare
l'anima a Dio » °.
Soprattutto le Epistole di san Paolo furono sorgente di
luce per l'anima sua: in esse, suor Elisabetta se ne andava a « bere
Cristo », secondo la espressione di sant'Ambrogio. E non avrebbe potuto
porsi ad una scuola migliore. Il Dottore delle genti aveva ricevuto da Dio
la missione di manifestare al mondo le ricchezze di grazia, i tesori di
scienza e di sapienza divina nascosti in Cristo. « Cor Pauli, cor Christi
»:
Paolo aveva il cuore di Cristo. Le formule di fede che
egli scriveva ai primi cristiani contengono in compendio tutto
l'insegnamento della Chiesa sul mistero di Cristo.
Suor Elisabetta della Trinità, temperamento di artista,
così libera nell'ispirazione, così nemica di ogni metodo troppo rigido,
pure aveva organizzato tutto uno schedario per lo studio del suo caro san
Paolo. Queste note, bene analizzate, con riferimenti precisi, rimandano,
per la massima parte, ad uno degli aspetti del mistero di Cristo.
Ricorreva sovente ai testi dell'Apostolo per appoggiarvi i movimenti della
sua anima
5 San
Giovanni, XVII, 8-22. c Lettera alla signora A... - 9 Novembre
1902.
135
contemplativa; e più di una volta nelle sue lettere o nei
suoi due ritiri, le capita di citarne dei lunghi passi per intiero, a tale
punto il suo pensiero si era identificato con quello del santo.
La nostra predestinazione in Cristo, e la restaurazione
di tutte le cose in Lui, la nostra incorporazione al Figlio di
Dio, capo del corpo mistico costituito da tutti i redenti, la necessità
che abbiamo di immedesimarci con tutti i sentimenti della sua anima
divina, di esprimerlo agli sguardi del Padre, di essere per Lui, in certo
modo, un prolungamento di umanità in cui Egli possa rinnovare tutto il
suo mistero di Cristo adoratore e Salvatore... — tutti questi grandi
orizzonti della teologia della redenzione divengono familiari, nel
contatto con san Paolo, al pensiero contemplativo di suor Elisabetta della
Trinità e le danno quelle ampiezze dottrinali che sono la ricchezza e
la forza dei suoi scritti spirituali.
Enumerare quasi tutti i testi da lei utilizzati,
importerebbe delle citazioni innumerevoli. Noi rileveremo soltanto le
grandi linee della dottrina mistica che quei testi le hanno ispirata.
1. Il contatto con san Paolo conferisce alla dottrina di
suor Elisabetta un carattere cristocentrico molto accentuato. Essa studia
con speciale cura il testo fondamentale dell'Epistola ai Romani, in cui
san Paolo sviluppa tutto il senso della nostra predestinazione in Cristo:
« Quelli che Dio ha conosciuti nella sua prescienza, li ha anche
predestinati ad essere conformi all'immagine del figlio suo; e quelli che
ha predestinati, li ha pure chiamati; quelli che ha chiamati li ha
giustificati; e quelli che ha giustificati li ha anche glorificati » 7.
Tale si presenta, allo sguardo dell'Apostolo, il mistero
della predestinazione della elezione divina.
« Quelli che Egli ha conosciuti ». Non siamo noi
pure di questo numero? Non può forse, Iddio, dire a ciascuna delle anime
nostre ciò che disse un giorno con la voce del Profeta: « Ti sono
passato accanto, e ti ho guardala; e sopra
7
Romani, Vili, 29-30.
136
di tè ho spiegato il mio manto; ti ho giurato fede, ho
stretto con tè un patto, e tu sei divenuta mia
»? 8.
Sì, noi siamo divenute sue col battesimo; questo appunto
vuoi dire san Paolo con le parole: « Li ha chiamati », chiamati a
ricevere il sigillo della Trinità santa; mentre ci dice san Pietro che «
siamo stati fatti partecipi della natura divina »9, che
abbiamo ricevuto quasi un « inizio del suo Essere ».
Poi, ci ha giustificati coi suoi Sacramenti, coi
suoi tocchi, diretti nelle intime profondità dell'anima raccolta; ci ha
giustificati anche « mediante la fede » e secondo la misura della
nostra fede nella redenzione acquistataci da Gesù Cristo. Finalmente,
vuole glorificarci; e perciò, dice san Paolo, « ci ha resi
degni di aver parte alla eredità dei santi, nella luce » ";
ma noi saremo glorificati nella misura in cui saremo
trovati « conformi alla immagine del suo dìvin Figlio ».
Contempliamo dunque questa immagine adorata; restiamo
sempre nella luce che da essa irradia e facciamo che si imprima in noi;
poi accostiamoci alle persone, alle cose, con le stesse disposizioni di
animo con cui vi si recava il nostro Maestro santo; allora realizzeremo la
grande « volontà per la quale Dio ha in sé prestabilito di
instaurare tutte le cose in Cristo » ".
Invece di soffermarsi, come farebbe un teologo
speculativo, sull'economia provvidenziale della nostra redenzione in
Cristo, suor Elisabetta della Trinità, tralasciando ogni esposizione
puramente teorica, ne fa immediatamente l'applicazione all'anima sua,
cercandovi una « regola di vita ».
« Istaurare omnia in Christo ». È ancora san
Paolo che mi istruisce; san Paolo che si è ora inabissato nel grande
consiglio di Dio, e mi dice che « Egli ha stabilito di instaurare
tutte le cose in Cristo ». E l'Apostolo viene ancora in mio aiuto;
perché io possa realizzare personalmente questo piano divino, mi traccia
egli stesso un regolamento di vita: « Cammi-
8
Ezedhicle, XVI-8.
9 II Pietro, 1-4.
••) Colossesi, 1-12.
" Efesini, I, 9-10 — «II paradiso sulla terra» -
9' orazione.
137
nate in Gesù Cristo, radicati in Lui, corroborati nella
fede... e crescendo sempre più in Lui con rendimento di grazie
» ".
Ogni punto di questo programma le suggerirà una parafrasi
mistica di ordine pratico. Non chiedetele un'esegesi obiettiva secondo le
rigorose leggi del metodo storico; suor Elisa-betta legge san Paolo da
contemplativa, cercando nella sacra Scrittura « la luce di vita »
per l'anima sua. E intanto, in questo apparente commento delle formule
paoline, essa ci svela il suo pensiero spirituale più intimo.
Da vera Carmelitana, insiste prima di tutto — e con
molta forza — sul totale spogliamente, condizione preliminare
dell'unione divina.
« Camminare in Gesù Cristo » è uscire da se
stessi, è perdersi di vista, abbandonarsi, per entrare più profondamente
in Lui, ad ogni istante; tanto profondamente, da radicarvisi e da poter
lanciare ad ogni avvenimento, ad ogni creatura, questa bellissima sfida:
« Chi mi separerà dalla carità di Cristo? » ". Quando
l'anima è stabilita in Lui a tale profondità che le sue radici vi
affondano, la linfa divina fluisce, si riversa in lei abbondante; e tutto
ciò che è imperfetto, banale, naturale, viene distrutto. « Ciò che
è mortale viene assorbito dalla vita » ".
Allora, così spogliata di se stessa e rivestita di Gesù
Cristo, l'anima non ha da temere ne i contatti esterni ne le interne
difficoltà, perché queste cose, anziché esserle di ostacolo, non fanno
che radicarla più profondamente nell'amore del suo Maestro.
Qualunque cosa avvenga, favorevole o contraria, anzi servendosi di tutto
ciò « sempre lo adora per Lui stesso », perché è libera,
affrancata da sé e da ogni cosa, e può cantare col Salmista: « Mi
assedi un esercito, non teme il mio cuore; insorga contro di me la
battaglia, io spero ugualmente, perché Jahveh mi nasconde nel segreto
della sua tenda » ", e questa tenda è Lui.
" Colossesi, II, 6-7 - Ultimo ritiro, XIII.
13 Romani. Vili, 35.
14 Ai Corinti, XV, 54. » Salmo XXVI, 3, 5.
138
Tutto questo mi sembra che voglia dire san Paolo quando ci
esorta ad essere « radicati » in Gesù Cristo.
E che cosa significa essere « edificati in Lui?
».
Il Proreta canta: « Mi ha innalzato sopra una rupe, ed
ora la mia testa, sovrasta i nemici che mi circondano » 18.
Non è torse questa la figura dell'anima « edificata
da Gesù Cristo? ». È Lui la "rupe sulla quale ella è stata
elevata al di sopra di se stessa, dei sensi, della natura, al di sopra
delle consolazioni e dei dolori, al di sopra di tutto ciò che non è
unicamente Lui. E lì, nel pieno possesso di sé, è dominatrice
del suo « io »; e, superando se stessa supera anche tutte le cose.
Ma san Paolo mi raccomanda ancora di essere « corroborata
nella fede », in quella fede che non permette mai all'anima di
sonnecchiare, ma che la tiene tutta vigilante sotto lo sguardo del
Maestro, tutta raccolta sotto la sua parola crea-trice; in quella fede « nell'eccessivo
amore » ", che permette a Dio, mi dice san Paolo, di colmare
l'anima « secondo la sua pienezza » ls.
Infine, vuole che io « cresca in Gesù Cristo con
l'azione di grazie », perché tutto deve compiersi nel
ringraziamento. « Padre, io ti rendo grazie » 19,
cantava l'anima del mio Maestro;
ed Egli vuoi sentire l'eco dell'anima mia » ".
2. Mentre, per la maggior parte dei cristiani. Cristo è
un 'personaggio storico scomparso da ormai venti secoli dalla scena del
mondo, oppure è un'entità astratta involatasi nelle profondità del
cielo in un'eternità inaccessibile, per suor Eli-sabctta della Trinità,
come per tutti i santi. Gesù è una realtà concreta, quotidiana, unita
ai minimi particolari della loro esistenza; in una parola è la realtà
suprema. La presenza, invisibile, ma così prossima, li segue ovunque; ad
ogni istante, essi sentono lì, accanto a loro, Gesù questo Figlio di Dio
e della
16
Salmo XXVI, 6,
17 Efesini, 11-4.
13 Efesini, IIT-19.
"' San Giovanni, XI-41.
20 Ultimo ritiro, XIII.
139
Vergine che li arricchisce con la sua grazia, li illumina,
li sostiene, li rimprovera se è necessario, li salva, comunica loro
l'eterna vita.
Per comprendere questa dottrina della presenza intima di
Gesù nella vita dei santi, bisogna ricordare che Cristo, come Verbo, è
presente dovunque, insieme al Padre ed allo Spirito Santo. La Trinità
rimane indivisibile. Col Padre e con lo Spirito Santo, il Verbo riempie il
tempo e lo spazio; ne vi è un atomo solo, nell'universo, che non sia
compenctrato della sua divina presenza; se Egli si ritraesse, tutta la
creazione ricadrebbe nel nulla.
Come Verbo Incarnato, Egli è presente in ciclo dove,
splendente di gloria, sazia i beati e li inebria con la bellezza del suo
volto; ed è presente nell'Ostia santa, con la sua Umanità velata. « Ma
è sempre il medesimo che gli eletti contemplano nella visione e che le
anime della terra possiedono nella fede » 21. Degli uni e
degli altri, Egli è la vita, comunicando alle schiere dei predestinati la
luce di gloria che li fa beati, e donandosi alla Chiesa militante per
mezzo della fede e dei sacramenti. Da Lui, giorno e notte, « emana una
virtù segreta » 22 che li santifica; e il suo contatto, ad
ogni istante, divinizza l'anima dei santi. Tutto ci viene dall'Umanità di
Cristo, « organo del Verbo » e strumento universale di tutte le grazie
che discendono dalla Trinità sulle anime; da Cristo, grazia, luce, forza
e carismi di ogni genere di cui la Chiesa ha bisogno per compiere la sua
missione sulla terra; in Cristo, noi abbiamo l'essere, il movimento, la
vita nell'ordine soprannaturale e, senza di Lui, non possiamo nulla: «Sine
Me, nzhil»23.
La teologia cattolica ha dato un forte rilièvo a questo
punto di vista, in una dottrina di massima importanza nell'economia della
nostra vita spirituale: la grazia capitale di Cristo. La vita trinitaria
del nostro battesimo non si sviluppa in noi che « in Cristo Gesù: in
Christo Jesu » ".
21
Lettera alla zia R... - 1903.
22 San Luca, VI-19.
23 San Giovanni, XV, 5.
2i Efesini, J, 3 e spessissimo in san Paolo.
140
Questa dottrina era il punto centrale, il fulcro di tutti
i moti dell'anima di suor Elisabetta della Trinità. Le era molto caro
rifugiarsi ad ogni istante sotto la grazia di questo dolce Cristo vivente
in lei, nell'intimo dell'anima sua! « Sento che Egli mi comunica la vita
eterna »2S.
Aveva preso l'abitudine di andare a Lui per ogni cosa,
supplicandolo di rivestirla della sua divina purezza, di custodirla
vergine, di elevare l'anima sua al di sopra delle terrene agitazioni, di
man tenerla calma e serena, come se già fosse nell'eternità.
« Stiamocene raccolte vicino a « Colui che È »,
vicino al-l'Immutnbile il cui amore ci avvolge sempre. Noi, ciascuna di
noi, siamo colei che non è; andiamo a Lui che ci vuole tutte sue e
talmente ci possiede che non viviamo più, noi, ma Egli vive in noi »
~". « È così ineffabile e soave la divina presenza del Maestro, e
da all'anima tanta forza! Credere che Dio ci ama ;il punto di abitare in
noi, di farsi il compagno del nostro esilio, il confidente, l'amico di
tutti gli istanti, è l'intimità dolcissima del bimbo con la mamma, della
sposa con lo sposo. Ecco la vita della Carmelitana: l'unione è il suo
splendido sole, ed orizzonti sconfinati si spiegano dinanzi al suo sguardo
» -7.
Questa intima unione con Cristo presente nell'anima sua,
eia divenuta il punto di convergenza della sua fede, della sua carità,
della sua vita di preghiera e di adorazione.
« Rininnetc in me » "'. È il Verbo di Dio
che ci da questo comando, che esprime questa volontà. « Rimanete con
me », non per qualche minuto, per qualche ora che passa, ma rimanete
in modo permanente, abituale. Rimanete in me, pregate in me, adorate in
me, amate in me, soffrite in me, lavorate, agite in me. Rimanete in me
quando vi incontrate in qualslasi persona o cosa » "~9.
25 Alla
Madre Priora.
Lr Lettera a M. G... - 1901.
2 Lettera a G. de G... - 1903.
2 ' San Giovanni, XV-4.
'-"' a II paradiso sulla terra » - Orazione
2'.
141
Uno dei suoi atteggiamenti preferiti consisteva. nel
raccogliersi in contemplazione dell'« eccessivo amore » di
Cristo, e lasciarsi tutta invadere e possedere da Lui. « San Paolo dice
che « non siamo più pellegrini o stranieri, ma concittadini dei santi
e della famiglia di Dio » ".
Là, in quel mondo soprannaturale e divino, già noi
abitiamo mediante la fede. La mia visione, qui sulla terra, è il Suo
amore, « il suo eccessivo amore », come si esprime il grande
Apostolo. Mi pare che sia proprio questa la scienza dei santi. San Paolo,
nelle sue magnifìche epistole, non predica che questo mistero della
carità di Cristo.
« 11 Padre del Signore nostro Gesù Cristo vi conceda,
secondo la ricchezza della sua gloria, di essere fortemente corroborati
nell'uomo intcriore per mezzo del suo Spirito e faccia sì che Cristo
abiti nei vostri cuori con la fede e voi, radicati e fortificati in amore,
siate resi capaci dì comprendere, con tutti i santi, quale sia la
larghezza e la lunghezza e l'altezza e la profondità, e di intendere
l'amore di Cristo che sorpassa' ogni scienza, affinchè siate ripieni di
tutta la pienezza di Dio»31.
Poiché Cristo abita nelle anime nostre, la sua preghiera
ci appartiene, ed io vorrei esserne partecipe sempre, stando presso la
fontana della vita come un piccolo vaso alla sorgente delle acque, e
poterla quindi comunicare alle anime, lasciandone straripare le onde di
carità infinita » ".
Le espressioni di suor Elisabetta sulla presenza di Gesù
in noi sono di una tale vivezza che, prese troppo alla lettera, potrebbero
indurre alla conclusione di una vera e propria abitazione di Gesù in noi.
Ma lei stessa mette in guardia la mamma contro una simile esagerazione: «
Non puoi possedere di continuo l'Umanità santa di Gesù, come allorché
ricevi la santa Comunione; ma la Divinità, quell'Essenza che i beati
adorano in cielo, è nell'anima tua » ".
Fatta questa riserva, si abbandona liberamente agli slanci
30
Efesini, II, 19.
31 Efesini, III, 14-19.
32 Lettera al sacerdote Don Ch... - Dicembre 1904.
33 Lettera alla mamma - Giugno 1906.
142
dell'anima sua che la riconducono sempre nell'intimo, per
vi-vervi nell'unione più stretta col Maestro divino e lasciarsi salvare e
santificare da Lui. « Egli è in noi per santificarci; chiediamogli
dunque che sia Lui stesso la nostra santità. Quando Gesù era sulla
terra, « una virtù segreta, dice il Vangelo, emanava da
La;»31; e, al suo contatto, i malati guarivano, i morti
risuscitavano alla vita. Egli è vivo sempre; vivo nel suo Sacramento
adorabile, vivo nelle anime nostre; l'ha detto Lui stesso: « Se alcuno
mi ama, custodirà la mia parola, e il Padre mio l'amera; e noi verremo a
lui, porremo in lui la nostra dimora » ".
Poiché Egli è qui, teniamogli compagnia, come l'amico
all'amico diletto. Questa unione divina e tutta intima è, si può dire,
l'essenza della vita al Carmelo. « L'anima possiede, nel suo intimo
centro, un Salvatore che la purifica ad ogni
istante » 3B.
« I! Divino Adorante è in noi, quindi la sua preghiera
ci appartiene. Offriamola; partecipiamovi; preghiamo con la sua
stessa anima » 37.
3. La nota veramente caratteristica di suor Elisabetta è
la sua devozione così personale all'anima di Cristo.
Altre anime si sentono portate ad onorarlo in questo o
quell'altro dei suoi misteri, a venerare una od un'altra parte del suo
Corpo santissimo; la devozione di suor Elisabetta va diritta all'anima di
Cristo, capolavoro della Trinità.
Per ragione della sua personale unione al Verbo di Dio,
tutto quanto il Cristo è adorabile: in se stesso e in ciascuno dei suoi
misteri; ma l'anima di Gesù è quanto vi è di più nobile nel Verbo
Incarnato, dopo la sua unione ipostatica. Tutta la sublime attività degli
spiriti e dei santi non vale il minimo atto di virtù dell'anima di
Cristo, rivestita di una pienezza di grazia in qualche modo infinita, che
la rende degna
••••• San Luca, VI-19.
35 San Giovanni, XIV-23.
3n Lettera alla signora A... - 24 Novembre 1904
e nov. 1905.
37 Lettera a G. de G... - Fine Settembre 1903.
143
della Persona increata del Verbo Incarnato; l'anima di
Cristo, nella quale la Trinità santa trova infinite compiacenze, nella
quale vi sono abissi di luce, di amore, di divine bellezze, la cui
contemplazione intuitiva sarà, dopo la visione di Dio, la gioia più
grande dell'eternità.
Gesù non diceva infatti al Padre suo, presenti i
discepoli:
« Contemplare svelatamente Tè e il tuo ('.risii):
ecco la vidi eterna? » 38.
4. Suor Elisabetta della Trinità seppe comprendere fino a
che punto il Cristo è nostro « Sento che tutti i tesori dell'anima di
Cristo mi appartengono » 39. E nel formulario riempito otto
giorni dopo la sua entrata al Carmelo, scriveva che « l'anima di Cristo
era il suo libro preferito ». Fin dalla prima sera, la Madre Germana la
trovò tutta silenziosa e raccolta presso il grande Cristo che domina il
giardino. — Che cosa fai costì, figliola? — le chiese.
— Sono passata nell'anima del mio Cristo n
— fu la risposta di suor Elisabetta.
E prende come parola d'ordine della sua vita religiosa:
« Rendere i movimenti della propria anima sempre più
uguali a quelli dell'anima di Cristo »; risoluzione che diviene una
commovente realtà, a mano a mano che la sua vita spirituale si svolge e
progredisce; tutto Io studio della sua vita intcriore tende a « penetrare
nel movimento dell'anima divina di Gesù » " ed a lasciarsi portare
con Lui nel seno del Padre.
Nella sua preghiera, alla quale bisogna ritornare sempre
per sorprendere il ritmo più segreto della sua vita spirituale, le note
più essenziali di questa divozione all'anima di Cristo si manifestano con
evidenza, e tutta riassumono la sua dottrina su questo punto: « O mio
Cristo adorato, crocifisso per amore... ti chiedo di rivestirmi di Tè, di
identificare i movimenti della mia anima a quelli della Tua anima, di
sommer-
33 San
Giovanni, XVII-3.
39 Lettera al Canonico A... - 11 settembre 1901.
'10 Questo particolare mi è stato comunicato
direttamente dalla Madre Germana.
41 Lettera alla signora A... - 29 Settembre 1902,
144
germi, di pervadermi, di sostituirti a me, così che la
mia vita sia un riflesso della Tua vita ».
5. Uno dei più mirabili effetti di questa divozione
fu di immedesimare suor Elisabetta della Trinità con i sentimenti più
intimi di Gesù verso il Padre suo.
Ben lo sanno i teologi: un duplice movimento spirituale
faceva vibrare senza posa l'anima di Gesù Cristo: la redenzione del mondo
e la gloria del Padre. Per questo, Egli si è incarnato: per salvare gli
uomini e, dopo averli purificati dai loro peccati nel suo sangue, farne
gli adoratori della Trinità. E nei minimi atti di Gesù, nei minimi suoi
gesti, chiaramente si manifesta come ciò che più di tutto e prima di
tutto gli sta a cuore sia la gloria del Padre. Per il Padre è il suo
primo pensiero, entrando nel mondo: « Tu non hai più voluto gli
olocausti ne i sacrifici degli uomini; eccomi, io vengo per immolarmi
allii Tua gloria » 42.
Di tutto il mistero dell'infanzia e della vita nascosta di
Gesù, un solo episodio ci è noto: il suo indugio nel Tempio ove fu
ritrovato e la sua risposta alla Madre: « Non sapevate che io devo
attendere a ciò che riguarda il Padre mio? »43.
Quest'unica parola di Lui che affiora dal vasto silenzio di trenta anni,
illumina come folgore tutto il mistero di Gesù.
Come Maria, bisogna che lo sappiamo noi pure che il Figlio
è venuto prima di tutto per la gloria del Padre. Nella sua vita pubblica,
Gesù lo dichiara in modo da non lasciarci alcuna incertezza in proposito.
« Uguale » al Padre come Dio, (« II Padre ed io, non
siamo che Uno »}^ tuttavia, nella sua umanità, Gli tributa
sottomissione e riverenza in tutti i suoi atti. « Taccio sempre — afferma
— ciò che a Lui piace » 4&,
Analizziamo attentamente, per esempio, l'incontro con
la Samaritana; e comprenderemo che il punto culminante di questo
episodio che ha mutato la storia religiosa dell'umanità, con-
42
Salmo XXXIX-7,
43 San Luca, 11-49.
-1 San Giovanni, X-20.
-" San Giovanni, VIII-29.
145
siste e si rivela nel desiderio più segreto del Cuore di
Gesù:
trovare « degli adoratori in spirito e verità, che
tali sono appunto gli adoratori che il Padre domanda; Poter quaerìt » w.
Tutto il Vangelo di san Giovanni bisognerebbe citare, e
particolarmente la preghiera sacerdotale di Cristo, confidenza suprema del
suo cuore, dove la Chiesa troverà, sino alla fine dei secoli, l'alimento
per la sua vita contemplativa. Il Maestro divino da uno sguardo alla
propria vita, quindi la riassume in due sole parole: « Glorificavi
Tè, Padre, sulla terra, io ti ho glorificato » ". E le
sue ultime parole di Crocifisso, Gesù morente le rivolge tutte al Padrew.
Appena risorto, parla ancora del « Padre suo che è Padre nostro, del
Dio suo che è Dio nostro » '".
San Paolo ce lo mostra, nella sua vita di eternità, « sempre
dinanzi al Volto del Padre, intercedendo in nostro favore »5:),
in attesa del gesto supremo col quale, alla fine dei tempi, « consegnerà
il regno al Padre suo. Allora, sarà la fine » ".
Suor Elisabetta della Trinità ebbe coscienza, in grado
veramente raro, dell'assoluta preminenza che la gloria del Padre aveva su
tutti i sentimenti più intimi dell'anima di Gesù, di Colui che fu « la
più perfetta lode di gloria del Padre » e della Trinità. I testi che ci
ha lasciato a questo riguardo sono poco numerosi ma espliciti, e si
trovano inseriti nella linea del suo pensiero più maturo. « Nel sublime
discorso dopo la Cena, che è come un ultimo canto di amore dell'anima di
Gesù, Egli rivolge al Padre questa attestazione: « Ti ho glorificato,
sulla terra; ho compiuto l'opera che Tu mi avevi affidala » '"'.
Noi, consacrate a Lui, noi, spose, che dobbiamo quindi essergli
perfettamente somiglianti, dovremmo potergli ripetere queste stesse
parole, al tramonto di ogni nostra giornata.
4e
San Giovanni, IV-23.
47 San Giovanni, XVII-4.
48 San Luca, XXIII-46.
49 San Giovanni, XX-17.
s0 Ebrei, VII-25.
" Corinti, X-24,
52 San Giovanni, XVII-4.
146
Mi domanderete:— Ma come Lo glorificheremo? — È
semplicissimo; e Gesù stesso ce ne confida il segreto quando ci dice: « Mio
cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandalo » ".
E intanto una misteriosa trasformazione veniva operandosi
nell'anima di suor Elisabetta della Trinità, che era tutta applicata a
studiare e ricopiare in sé i movimenti dell'anima di Cristo. Il motto di
san Paolo: « Mihi vivere Christus est » ''', realizzandosi in
lei, le dettava una formula che traduce benissimo il carattere tutto
proprio della sua devozione al Figlio di Dio: « Esprimere il Cristo
allo sguardo del Padre », formula che racchiude il più alto ideale
del cristiano.
« Stimo perdita tutte le cose, rispetto alla
superiorità trascendente della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore.
Per amore di Lui, ho perduto tutto..., e tutte le cose stimo come
immondizia, per conquistare Cristo, e per potere essere trovato in Lui non
avente una giustizia mia, ma la giustizia che viene da Dìo, basata sulla
fede. Ciò che io voglio, è conoscere Lui, è la partecipazione alle sue
sofferenze, la conformità alla sua morte... Continuo la mia corsa
studiandomi di arrivare là dove Cristo mi ha destinato chiamandomi. Mi
preoccupo di una cosa sola: dimenticando tutto db che lascio indietro, e
slanciandomi costantemente verso db che mi sta dinanzi, correre diritto
alla mèta, al premio della superna vocazione alla quale Dio mi ha
chiamato in Cristo Gesù » ".
Di tale vocazione, l'Apostolo ha spesso rivelato la
grandezza. « Dio — egli dice — ci ha eletti in Lui prima
della creazione, nell'amore » 5". « Siamo sta fi
predestinati per decreto di Colui che tutto opera secondo il consiglio
della Sua volontà, affinchè siamo la lode della Sua gloria»".
Ma come rispondere alla dignità di questa vocazione? Ecco
il segreto: « Mi hi vivere Christus est... Vivo enim, jam non
53
Lettera alla signora A... - 1906.
54 Filippesi, 1-21.
" Filippesi, ITI; 8... 14.
!SB Efesini. [-4.
" LIcm..., 11, 12.
147
ego, vivit vero in me Christusss. Bisogna
essere trasformati in Gesù Cristo, m'insegna san Paolo: « Coloro che
Dio ha conosciuti nella sua prescienza, li ha anche predestinati ad essere
conformi all'immagine del Figlio suo » a9.
È necessario dunque che io studi questo divino Modello per
imitarlo e divenire cosi conforme a Lui, da potere esprimerlo allo sguardo
del Padre.
E, prima di tutto, che cosa dice Egli entrando nel mondo?
« Eccomi, vengo, o mio Dio, per fare la tua volontà » ".
Questa preghiera mi pare che dovrebbe essere il palpito del cuore della
sposa.
Il Maestro divino fu così verace in questa prima
oblazione! e tutto il resto della sua vita non ne fu, per così dire, che
la conseguenza: « Mio cibo — sì compiaceva di ripetere — è
fare la volontà di Colui che mi ha mandato » e1. E cibo
dovrebbe essere anche per la sposa la volontà di Dio, pur essendo al
tempo stesso spada che la immola.
« Padre, se è possibile, allontana da ine questo
calice;
ma si faccia la tua volontà e non la mìa » "2.
E in pace, con gioia, va incontro ad ogni immolazione insieme al suo
Maestro, rallegrandosi di « essere stata conosciuta » dal Padre,
dal momento che la crocifigge insieme al Figlio suo.
« Ho preso le tue leggi per mia eredità in eterno,
perché esse sono la delizia del mio cuore » °3. Ecco il
canto dell'anima del mio Maestro, canto che deve avere una larga eco in
quella della sposa; con la sua fedeltà di ogni momento a queste leggi
esterne ed interne, essa renderà testimonianza alla verità e potrà
dire: « Colui che mi ha mandata non mi ha lasciata sola; Egli è
sempre con me, perché io faccio sempre ciò che a Lui piace » 64.
Non lasciandolo mai, mettendosi intensamente a contatto
58
Calati, 11-20.
59 Romani, VIII-29. 63 Ebrei, X-9.
61 San Giovanni, IV, 36.
62 San Matteo, XXVI-39.
o Salmo CXVIII, 111.
84 San Giovanni, VIIT, 29.
148
con Lui ella potrà irradiare quella virtù segreta che
salva e redime le anime. Spoglia, libera di se stessa e di tutte le cose,
potrà seguire il Maestro sul monte, per elevare dalla sua anima, con Lui,
un'orazione a Dio.
Poi, sempre per mezzo del divino Adorante, di Colui che fu
la grande lode di gloria del Padre, « offrirà ininterrottamente a Dio
un'ostia di lode, cioè il frutto delle labbra che rendono gloria ni Suo
Nome. E lo loderà nelle espansione delia sua potenza, secondo
l'immensità della sua grandezza » '".
Quando giungerà l'ora dell'umiliazione,
dell'annientamento, ricorderà questa breve parola: « Jesus autem
tacebat » 6S, e tacerà, serbando tutta la sua forza per
il Signore, quella forza che si attinge dal silenzio.
Quando verrà l'abbandono, la desolazione, l'angoscia che
strapparono a Cristo quel grande grido: «Perché mi hai abbandonato?
» '7 si ricorderà di questa preghiera: « Siano essi ripieni
del mio gaudio » 6S; e, bevendo fino in fondo il calice
preparatele dal Padre, saprà trovare in quella stessa amarezza una
soavità divina. E infine, dopo aver ripetuto tante volte:
« Ho sete », sete di possederti nella gloria,
spirerà dicendo:
« Tuffo è con ninnato... Nelle Tue mani raccomando
l'anima mìa ». E il Padre verrà a prenderla, per trasferirla nella
sua eredità dove « nella luce, vedrà la Sua luce » 69.
« Sappiate — cantava Davide — che Dio ha glorificato
meravigliosamente il suo Santo » ". Sì, il Santo di Dio sarà
stato glorificato m quest'anima, perché vi avrà distrutto ogni cosa per
rivestirla di Sé, e perché essa avrà praticamente vissuto la parola del
Precursore: « Bisogna che Egli cresca e che io diminuisca » T1.
« Io ripongo la gioia dell'anima mia (quanto alla
volontà, e non alla sensibilità), in tutto quello che può immolarmi,
umiliarmi, annientarmi, perché voglio far posto al mio divino Mae-
B3
Salmo CL, 1-2.
6(1 San Matteo, XXVI-63.
"7 Iilcm, XXVII-46.
"' San Giovanni, XVII-13.
"•' Snirno XXXV-10.
" Salmo IV-4.
71 Giovanni 11-30 - Ultimo ritiro, XIV.
149
stro. « Non son più io che vivo; è Lui che vive in
me ». Non voglio più vivere della mia propria vita, ma essere
tr-asformata in Gesù Cristo, affinchè la mia vita sia più divina che
umana, e il Padre, chinandosi su di me, possa riconoscere l'immagine del
Figlio suo diletto, nel quale ha riposto tutte le sue compiacenze »
". « Siamo ' Lui ' e andiamo al Vadrc nel movimento della Sua
anima divinn » ;3.
6. Un altro anelito faceva vibrare giorno e notte l'anima
di Cristo: il desiderio della nostra redenzione.
Mentre passava, solitario e pensoso, per le vie"della
Palestina, o mentre le folle di Gerusalemme lo premevano d'ogni parte.
Gesù, sempre in solitudine col Padre suo, trattava l'affare della nostra
salvezza. Ci guardava sempre. Neppure un istante si è distolto da
ciascuno di noi quel suo sguardo divino che tutto abbracciava: il cielo,
l'inferno, i destini della Chiesa e di ciascuna delle nostre anime, fino
ai minimi particolari; la sua visione del mondo uguagliava, non per
intensità di luce, ma in estensione, quella della Trinità.
Nulla gli rimane celato, del passato, del presente,
dell'avvenire; e questa scienza di Gesù era rivolta tutta alla nostra
salvezza. Uguale al Padre per la natura divina, Cristo-Uomo era pur
nostro, intieramente nostro. « Uno » col Padre, « Uno » coi suoi
fratelli: ecco tutto il mistero di Gesù. Cristo si compie in noi.
Il pensiero cristiano si è indugiato amorosamente ad
analizzare questo aspetto di Cristo in noi, di cui parla san Paolo,
il Dottore per eccellenza del Corpo mistico di Gesù.
Vi si manifesta una duplice corrente.
La speculazione dei Padri greci di Oriente si è
compiaciuta nella contemplazione di questa misteriosa unità che lega i
cristiani fra loro e con Cristo e trova il suo modello supremo nell'unità
della Trinità.
Il pensiero occidentale, invece, ha rivolto la sua
considerazione meno alla Trinità che alle membra sofferenti del Salvato-
72 «
II paradiso sulla terra » - 5" orazione.
73 Lettera 29 settembre 1902.
1.50
rè. Sant'Agostino, eco di san Paolo, ce ne ha lasciato la
esposizione in pagine rimaste classiche e inarrivabili. E appunto a questa
ultima corrente di pensiero si ricollega la formula, ormai così celebre,
con la quale suor Elisabetta della Trinità ha concepito in maniera tutta
personale, ed ha espresso la parte che le è assegnata nel corpo mistico:
« Essere per Cristo un prolungamento di umanità, una umanità superaddita
7< nella quale Egli possa rinnovare tutto il suo mistero ».
Due giorni dopo la composizione della preghiera donde è
tolta questa formula, essa stessa spiegava il suo pensiero;
« Vivo, ianz non ego; vivit vero in me Christus
»: è il mio ideale di Carmelitana e credo sia pure quello della vostra
anima sacerdotale; e, soprattutto, quello di Cristo, ed io Lo prego di
volerlo realizzare pienamente nelle anime nostre. Siamo per Lui, in
qualche modo, un prolungamento di umanità, dove Egli possa rinnovare
tutto il Suo mistero. Io Gli ho chiesto di stabilirsi in me come
Adoratore, come Riparatore e come Salvatore. E non posso dirvi quale pace
ineffabile dona all'anima mia il pensiero che Egli supplisce alle mie
impotenze e che, se cado ad ogni istante, è lì sempre, per rialzarmi e
farmi penetrare ancora più intimamente in Lui, nel fondo di quella divina
Essenza che già abitiamo mediante la grazia; ma io vorrei seppel-lirmici,
a profondità tali, che nulla possa farmene uscire » ".
Come lontano ci porta, suor Elisabetta, con questa
dottrina del Corpo mistico di cui essa vive, dagli orizzonti ristretti e
dai meschini punti di vista fra cui si trascinano talvolta le anime
religiose nella loro piccola vita di comunità! I grandi orizzonti della
vita della Chiesa divengono per lei familiari. « Come forte si sente il
bisogno di sacrificarsi, di dimenticarsi, per essere interamente dedicati
agli interessi della Chiesa! Povera Francia! Io la copro col sangue « del
Giusto », di Colui che è vivo sempre, per intercedere e implorare
misericordia. La missione della Carmelitana è veramente sublime: essa
deve farsi mediatrice con Gesù Cristo, deve essere per Lui quasi una
umanità sovra-
74 « Supcraddila
» mi pare che renderebbe pienamente e con molta aderenza
l'espressione di suor Elisal'ictta « humamté de siircroìt ».
(N. d. T.).
75 Lettera al sacerdote Don Gii... - 23 novembre
1904.
151
aggiunta, nella quale Egli possa perpetuare la Sua vita di
riparazione, di sacrificio, di lode e di adorazione » ".
Chi non ammirerebbe la fecondità apostolica di un'anima
che sa elevarsi così fino all'abituale visione del Cristo totale? «
Chiunque vive nella carità — insegna san Tommaso — partecipa a tutto
il bene che si fa nel mondo » 7'. E i veri contemplativi, lo
comprendono. Santa Teresa di Gesù Bambino sognava di lavorare per il bene
spirituale della Chiesa, sino alla fine del mondo, e suor Elisabetta della
Trinità ambiva di « rivelare a tutte le anime»-il segreto di gioia e di
santità che portano celato nell'intimo, mediante il mistero della divina
inabitazione.
Una vera Carmelitana, dopo essersi data tutto il giorno
alla salvezza delle anime con la preghiera e l'immolazione silenziosa,
venuta l'ora del necessario riposo, si rifugia nell'onnipotente
intercessione universale della Vergine Corredentrice, supplicandola di
continuare per lei, mentre ella dorme, l'opera sua di mediazione in favore
dei poveri peccatori, proseguendo così efficacemente l'azione
distruggitrice del male nel mondo.
Così faceva suor Elisabetta della Trinità dimenticando i
suoi dolori e superando se stessa, nell'unico desiderio di « consumarsi
» in amore per Cristo, di « distillare il proprio sangue, goccia a
goccia » per « il Corpo di Lui che è la Chiesa » Ts.
Tutto questo voleva significare con l'espressione: « Essere per Cristo
umanità sovra-aggiunta ».
7. Essere un altro Cristo, ma sulla croce: fu il sogno
supremo di suor Elisabetta della Trinità. « Per lungo tempo, il
Crocifisso accentrò tutta la sua orazione », scriveva il Padre Vallèe
che la conosceva intimamente. In seguito, dopo le grandi grazie della
inabitazione della Trinità, ritornò al Crocifisso, non più soltanto
come contemplativa, ma come imitatrice della sua Morte. « Confi-gwatus
morti eius » 79: ecco il pensiero che non mi abbandona
mai, che mi da forza nel dolore. Se sapeste
7S
Lettera al Canonico A... - Gennaio 1906.
77 In Symboliim Apostoloriiin: Sanctorum
commtifiioneni.
78 Colossesi, 1-24. 70 Filippesi. III-10.
152
quale azione demolitrice sento in tutto il mio essere! È
la via del Calvario che si è aperta per me, e sono tanto contenta di
camminarvi come una sposa a fianco del divino Crocifisso » ".
Alla mamma, il cui cuore è già straziato al pensiero di
perderla, rivolge qualche parola di consolazione, ricordandole il valore
della sua sofferenza redentrice. « È il Signore, sai, che si compiace di
immolare la sua piccola ostia; ma questa Messa che Egli celebra con me, in
cui il Sacerdote è l'Amore, può durare molto ancora. Eppure la piccola
vittima non trova che sia lungo il tempo, nella mano di Colui che la
sacrifica; e può assicurarti che, se passa per il sentiero del dolore,
cammina molto più spesso nell'ampia via della gioia, della verità, di
Colui che nulla potrebbe rapirle.
« Io gioisco — diceva san Paolo — perché do
compimento nella mia carne a quello che manca alle sofferenze di Cristo
per il Corpo di Lui che è la Chiesa » 81. Anche il tuo cuore,
mamma, dovrebbe divinamente esultare pensando che il Maestro si è degnato
scegliere la figliola tua, il frutto del tuo seno, per associarla alla
grande opera della redenzione e per soffrire? in lei quasi un
prolungamento della Sua passione. La sposa è tutta dello sposo. Lo sposo
mio mi ha presa; vuole che io gli sia quasi un prolungamento di umanità
dove Egli possa soffrire per la gloria del Padre, per i bisogni della Sua
Chiesa » ii2.
« Come sarci felice se il mio Maestro mi chiedesse anche
di versare il sangue per Lui! Ma ciò che bramo soprattutto è il martirio
d'amore che ha consumato la mia Madre santa Teresa, colei che la Chiesa
proclama « vittima di carità ». E poiché il Verbo di Verità ha detto
che la più grande prova di amore è dare la vita per chi si ama, io Gli
do la mia, perché ne faccia ciò che vuole; se non sono martire di
sangue, voglio essere martire di amore » 83.
« Rallegrati pensando che, fin dall'eternità, noi siamo
stati conosciuti dal Padre, come dice san Paolo, e che Egli vuoi ritro-
8 ''
Lettera al Canonico A... - Luglio 1906. " Colossesi, 1-24.
82 Lettera nlla mamma -10 settembre 1906.
83 Lettera alla mamma - Luglio 1906.
153
vare in noi l'immagine del Figlio suo crocifisso. Se tu
sapessi come è necessario il dolore, perché l'opera di Dio si compia
nell'anima! Egli brama di arricchirci delle sue grazie; ma siamo noi che
limitiamo il suo dono, che ne determiniamo la misura, in proporzione della
generosità con cui ci lasciamo immolare da Lui; ma immolare nella gioia,
nell'azione di grazie, come Gesù, dicendo con Lui: « Non berrò io,
dunque, il calice preparatemi dal Padre mio? » s'*. Il
Maestro chiamava l'ora della passione « la sua ora », quella per
la quale Egli era venuto, quella che tutti i suoi desideri affrettavano.
Quando una grande sofferenza, o anche un sacrificio piccolissimo ci si
presenta, pensiamo subito che quella è « l'ora nostra », l'ora in cui
possiamo dar prova del nostro amore a Colui che ci ha « troppo amati
», secondo l'espressione di san Paolo » "".
Come tutti i santi, suor Elisabetta della Trinità capiva
il valore della sofferenza e sapeva che l'unione con Dio non si compie e
non si perfeziona che sulla croce; quindi la loda e la esalta, questa
sofferenza santa, crocifiggente, clic imprime nell'anima sua e nel suo
corpo l'effige del Crocefisso.
« II dolore è un dono così grande, così divino! Mi
pare che, se i beati in cielo potessero invidiare qualche cosa, ci
invidierebbero proprio questo tesoro. Ha un'influenza così potente sul
cuore di Dio! E poi, non trovate voi pure che è tanto bello poter donare
a chi si ama? La croce è l'eredità del Carmelo. Il grido della nostra
Madre santa Teresa, era: « O soffrire o morire », e san Giovanni della
Croce, quando nostro Signore gli apparve chiedendogli che cosa desiderasse
in premio di tante pene sopportate per Lui, rispose: « Signore, soffrire
ed essere disprezzato per Tuo amore » 81Ì.
Non crediamo però che il dolore la trovasse insensibile;
tutt'altro. Ma sapeva attingere la forza di soffrire nel
ricordo del suo Maestro Crocifisso. Lei stessa ci confida il suo segreto:
« Vi dirò come faccio quando mi si presenta qualche cosa
di penoso: guardo il Crocifisso e, vedendo fino a che punto Egli
M San
Giovanni, XVIII-2.
8S Lettera alla mamma - Settembre 1906.
88 Lettera alla signora A... - Agosto 1904.
154
si è dato per me, sento che non potrei fare di meno per
Lui che donarmi, consumarmi, per rendergli un poco di tutto quello che mi
ha dato. La mattina, durante la santa Messa, assimiliamoci il Suo spirito
di sacrificio; siamo sue spose, dobbiamo dunque essergli simili. Se siamo
fedeli a vivere della sua vita, se ci immedesimiamo con l'anima del
Crocifisso in tutti i suoi movimenti, non dovremo più temere le nostre
debolezze, perché sarà Lui la nostra forza; e da Lui, chi potrà
separarci? » 8T.
Gli otto ultimi mesi della sua vita furono un vero
martirio;
ma essa si immergeva con avidità nel dolore; e alle sue
lettere o biglietti, apponeva la dicitura: « Dal palazzo del dolore e
della beatitudine ». E scriveva: « Esperimento, gusto, gioie ineffabili:
la gioia della sofferenza. Sogno di essere trasformata, prima di
morire, in Gesii Crocifisso » ss.
Così, l'ultimo suo canto è un inno al dolore: un'anima
crocifissa è una vera « lode di gloria ».
ST
Lettera alla signora A... - Febbraio 1903. sa Lettera ,1 G. de
G... Fine di ottobre 1906.
155
CAPITOLO SESTO
JANUA CGELI « Tutto, in Lei, si svolge di dentro ».
1. La Vergine del Carmelo - 2. La Vergine della
Incarnazione -3. Janua coeli.
Era impossibile che suor Elisabetta della Trinità non
riserbasse alla Madre di Dio un grande posto nella sua vita.
Condizione essenziale per essere salvi è la devozione
alla Madre di Cristo; e tutti i santi, infatti, hanno amato Maria con
passione, ciascuno nella linea della propria grazia personale. San Paolo,
in conformità alla sua missione, mette in evidenza il Jposto che,
nell'economia della Redenzione, occupa la Vergine santa in funzione del
mistero di Cristo « nato da una donna » ', per essere il
Salvatore della umanità decaduta. Nel cuore di Giovanni è scolpito,
indelebile, il ricordo dell'ora suprema in cui Gesù morente ha lasciato
Maria per Madre a lui e a tutti i predestinati; e, nella sua Apocalisse,
ci rivela come questa dolce Madre non si disinteressa di noi, dopo la sua
morte e la gloriosa assunzione; anzi, più vigile, più madre che mai,
teneramente china su tutti i figli, si vale della sua presenza dinanzi al
volto dell'Onnipotente, per meglio intercedere in nostro favore.
Sant'Agostino ce la mostra divenuta Madre del « Cristo
totale » nel momento dell'Incarnazione, per la sua carità. I Padri greci
hanno esaltato con grazia poetica e con magnificenza la « tutta santa »,
il tabernacolo vivente del Verbo Incarnato, il tempio purissimo della
Trinità.
Da venti secoli, la Chiesa d'Oriente e d'Occidente, con
sant'Efrem, san drillo, sant'Anselmo, san Bonaventura, san
' Gal.-ui, IV"1.
157
Tommaso — bisognerebbe citare tutti i dottori e tutti i
santi — non fa che proclamare la parte unica ed universale di Maria
nell'opera della nostra salvezza. Madre di Dio e degli uomini, Maria
adempie il disegno divino con la sua bontà materna. Non un movimento si
produce in tutto l'insieme della redenzione senza che, dopo Gesù e con
Gesù, Maria non vi ubbia la sua parte: « Questa è la volontà
immutabile di Colui il qu;i1e ha stabilito die tutto ci giunga per mezzo
di Maria » 2.
Nella sua devozione mariana, ogni santo serba la propria
nsonomia. Estatico dinanzi alle grandezze della Vcrgine-Madre, l'anima
ardente di un san Bernardo, il citaredo di Maria, canta:
« De Maria, numquam satis ».
San Tommaso ferma il suo sguardo di teologo sulla divina
maternità, chiave di volta di tutte le grandezze di Maria; e contempla la
Madre del Verbo che, per questa maternità, tocca i confini della
divinità, perché il Figlio dell'Eterno Padre è veramente Figlio della
Vergine.
La devozione mai-Lina di suor Elisabettsi della Trinità
non va ridotta ad una forma troppo determinata di « schiavitù », quale
la concepiva, per esempio, il beato Grignon di Montfort. Non sappiamo
nemmeno se ne avesse letto il « Trattato della vera devozione alla
Vergine santa », capolavoro della nostra letteratura mariana.
Essa va alla Madonna con tutta la sua anima di
contemplativa e trova in lei la perfetta realizzazione del suo ideale
interiore. Si sente attirata soprattutto dalla Vergine dell'Incarnazione,
adoratrice del Verbo nascosto nel suo seno, che passa calma e maestosa
sulle montagne della Giudea, raccolta nell'intimo col Verbo che abita in
lei, senza che nulla possa distrarla dalla sua visione interiore. La
Vergine preferita da suor Elisabetta della Trinità è la Vergine del
silenzio e del raccoglimento.
Ma non è stato sempre così. Per molto tempo, la sua
pietà verso Maria somigliava a quella di molte fanciulle la cui
fisono-mia spirituale non ha ancora delle note definite e personali.
Andava alla Vergine santa come alla custode della sua purezza e in
2 San
Bernardo: Senno de Niiliuilate B. V. M.
158
ognuna delle feste di Maria, rinnovava il suo voto di
verginità. Ricorreva a lei in tutti i suoi bisogni, un po' come fanno i
bimbi che, istintivamente, cercano prote2Ìone presso la mamma: e, nei
momenti difficili la implorava fervorosamente per il suo avvenire e per la
sua vocazione. La Vergine di Lourdes la vide, supplice ai suoi piedi per
tré giorni, offrirsi nelle sue mani come vittima per i peccatori, sotto
il suo sguardo materno, per sempre. Mai Elisabetta sarebbe uscita di casa
per recarsi ad una festa mondana, senza essere andata prima dalla Mamma a
chiederle la benedizione. E la Madonna esaudisce sempre la preghiera dei
cuori puri; la grazia che emana da lei, Vergine, fa vergini le anime, le
custodisce sante e immacolate nell'amore, sotto lo sguardo di Dio; e suor
Elisabetta della Trinità deve alla sua speciale protezione la grazia di
essere passata sulla terra pura come un giglio.
Il suo « diario » di fanciulla è pieno del pensiero di
Maria. In ogni occasione, lieta o triste, ricorre a lei, invocandone
l'intervento persino in certi particolari che ci farebbero quasi
sorridere, ma i santi vedono le cose meglio di noi.
Un giorno, per timore di essere applaudita in un concerto,
e di provarne vana compiacenza, prega la Vergine santa di impedirle, in
qualche modo, di partecipare a quella festa; ebbene, la sera della vigilia
viene assalita da un mal d'orecchi così forte che, l'indomani, deve
rinunciare a presenziare al concerto. A quattordici anni, va in
pellegrinaggio, insieme ad una piccola amica, al santuario di Nostra
Signora d'Etang in Borgogna, per impetrare la grazia di morire giovane: e
lascerà la terra a 26 anni. Non si contano poi le preghiere e le novene,
ogni volta che c'è una grazia nuova da ottenere. Nella sua vita di
fanciulla, la Vergine santa c'entra sempre, in tutto.
Citiamo a caso, il suo « Diario »:
« 2 febbraio 1899 - Purificazione. Ad ogni festa di Maria,
rinnovo la mia consacrazione a questa cara Madre. Oggi, dunque, mi sono
donata a lei, gettandomi di nuovo fra le sue braccia con la più assoluta
confidenza. Le ho raccomandato il mio avvenire, la mia vocazione ».
« 12 marzo 1899. Maestro buono, se tu non mi dai questa
159
anima, io ne morrò di dolore. Dammela, tè ne scongiuro,
a costo di qualsiasi tormento. Maria, Vergine di Loùrdes, Nostra Signora
del perpetuo soccorso, vieni in mio aiuto; tutto è perduto, se tu non fai
un miracolo. E io conto su questo miracolo ».
« 24 marzo 1899. O Maria, tu che io prego ogni giorno per
ottenere l'umiltà, soccorrimi; schiaccia il mio orgoglio, mandami molte
umiliazioni. Madre buona ».
« 2 aprile 1899. Tutto è finito. Come è passata presto
questa missione! Prima di lasciare la Chiesa, ho affidato il mio povero
peccatore alla Vergine del perpetuo soccorso; le avevo promesso di
invocarla ogni giorno per questa povera anima. Poi, mi sono nuovamente
consacrata a Maria, abbandonandomi a Lei con fiducia piena; mi ha così
bene esaudita riguardo alla mia vocazione, che io non potrò mai
esprimerle, come vorrei, tutta la mia riconoscenza e il mio amore. Sono
felice, ho il cuore traboccante di gaudio; pregusto fin d'ora la mia
prossima gioia. O Madre del perpetuo soccorso, ogni giorno ti invocherò
per questa doppia intenzione: perché tu continui a sostenere la mia mamma
cara che ora mi comprende così bene, e poi perché tu sostenga anche me,
in questa via della croce con Gesù, nella quale mi impegno con tanta
gioia. Madre mia, fammi la grazia di perseverarvi, di divenire veramente
perfetta;
custodisci puro il mio cuore! ».
1. La sua pietà di Carmelitana verso la Vergine santa
diviene ben presto vita di intimità profonda. In virtù di un processo
psicologico del tutto normale, eppure degno di nota, si riscontrano nella
devozione mariana dei santi gli stessi lineamenti generici della loro
fisonomia spirituale. Suor Elisabetta della Trinità che, fin dal suo
primo giorno al Carmelo, era già « passata tutta quanta nell'anima di
Cristo », in virtù dei medesimi rinessi psicologici fisserà il suo
sguardo contemplativo sull'anima della Vergine. Soltanto pochi giorni dopo
la sua entrata in Convento, scriveva alla mamma:
« Ho messo l'anima mia in quella della Madre dei dolori,
e l'ho pregata di consolarti tanto. Abbiamo, in fondo al Chio-
160
stro. una statua di « water dolorosa » per la
quale ho molta devozione; amo tanto queste lacrime della Vergine Madre!
Tutte le sere, vado a parlarle di tè, mamma ».
Il Carmelo è, per eccellenza, un Ordine mariano. « Le
anime chiamate da Dio a servirlo nel nostro Ordine sappiano che loro primo
e principale obbligo, come Carmelitane, è di onorare con particolare cura
la santissima Vergine Maria: primieramente nella sua dignità suprema di
Madre di Dio, in tutti i privilegi e le grandezze che questa dignità
racchiude e nella sovranità che le conferisce sul cielo e sulla terra; in
secondo luogo, nella bontà eccessiva e nella umiltà che hanno indotto la
Vergine santa a farsi la Madre e la Patrona di questo Ordine. Per
soddisfare a tale obbligo, ciascuna avrà cura di comunicarsi, almeno una
volta al mese, in onore della santissima Vergine:
e cioè, per if compimento dei suoi disegni sulla terra,
per l'accrescimento, in tutte le anime, della devozione verso di lei, e
per ottenere die i mèmbri di questo Ordine la amino, la onorino i,'
servano e le appartengano, secondo tutta la estensione dei disegni di
misericordia del suo divin Figlio e suoi » 3.
Notiamo la singolare elevatezza di questa devozione a
Maria. L:i Carmelitana va diritta alla Madre di Dio per congratularsi con
!ei di quella maternità divina che spiega tutto in Maria:
i privilegi e le grandezze e la sovranità sull'universo.
\~. l'ailci'giiimenio normale di una Carmelitana;
prima di tuilc c sempre, Dio. Non c'è bisogno di aggiungere « Dio solo o;
è sottinteso: l'anima della Carmelitana, dinanzi al mistero. si muove in
una luce tutta divina, escludendo assolutamente ogni altra luce. La
Vergine, come la Umanità santa del Cristo, ed ogni altra creatura, non
sono considerate che in relazione a Dio. E soltanto in un secondo sguardo,
discendendo dalla « suprema dignità di Madre di Dio », la Carmelitana
penetra in quella Maternità di grazia « che, in un eccesso di bontà e
di umiltà, ha indotto la Vergine santa a costituirsi Madre e Patrona del
suo Ordine ». Ma non deve fermarsi qui; e, secondo la vocazione
apostolica del suo Ordine, deve pregare e immolarsi « per il compimento
dei disegni di Maria sulla terra »,
•'' Direttorio poifiito in Fmncia dalle Madri spagnole.
161
perché i mèmbri dell'Ordine, in particolare, la amino,
la onorino, la servano e le appartengano, secondo tutta l'immensità dei
disegni di misericordia del suo divin Figlio.
Suor Elisabetta della Trinità seppe profittare in grado
straordinario della devozione così equilibrata a cui i mèmbri dei grandi
Ordini religiosi sono iniziati durante la loro formazione. Una lunga
tradizione di santità, una parola udita nel commentare un punto della
Regola o del Direttorio, la silente correzione quotidiana operata dal
semplice gioco degli avvenimenti nella vita comune che ristabilisce le
cose al vero posto, tutto questo fa sì che le anime fedeli, impregnandosi
del più puro spirito del loro Ordine, avanzino rapidamente verso la
perfezione. Ciò appare evidente, in modo particolare, in suor Elisabetta
della Trinità, nello svolgersi della sua vita mariana.
Entrata nel Chiostro, la sua pietà verso Maria assume
rapidamente un carattere carmelitano. Per comprendere questa forma di
devozione mariana, bisogna rendersi conto che, al Car-melo, la solitudine
e tutto,
E quale solitudine nell'anima della Vergine! In lei, più
niente di umano. È l'essere puro, luminoso, trasparente, libero, che
l'amore colpevole o soltanto troppo sensibile non sfiorò mai; è la tutta
Vergine per eccellenza, separata da tutto. È Colei che passò nella vita
« Sola col Solo », non volendo altri che Lui, nella gioia e nel dolore.
Solitudine del cuore della Vergine, che il sensibile non
avvinse mai, che attraversò gli affetti di questo mondo effimero « santa
ed immacolata nell'amore ».
Solitudine dell'anima della Vergine in conversazione con
Dio solo, senza dubbio in attiva partecipazione alla vita degli uomini, ma
per compiervi un'opera divina, anima di Corredentrice, sempre più
immedesimata con l'anima di Cristo così solitario la sera, sulla
montagna, o nell'orto del Gethsemani. Solitudine divina dell'anima della
Vergine, elevata, col Verbo suo Figlio, sino al confine della Divinità, e
là associata a tutti i disegni della Trinità a causa del suo posto
universale nella salvezza del mondo; ma là, soprattutto, così
infinitamente distante dal Dio suo Figlio. Sono abissi che fanno tremare.
162
Giunti alle alte cime, i santi sono gli uomini più soli
sulla terra. Che dire della Vergine e di Cristo? Chi pensa alla solitudine
dell'anima del Verbo? In principio era il Verbo, e il Verbo in Dio, era
nella propria dimora; e il Verbo si è fatto carne, è venuto ad abitare
fra di noi, ma i suoi non l'hanno ricevuto. E noi l'abbiamo visto, quale
un Dio solitario, aggirarsi in mezzo alla sua creazione. È vero;
dentro di Lui c'era l'Unità col Padre e con l'Amore; ma chi avrebbe
potuto sup-porlo, vedendolo?
Lo stesso, fatte le dovute proporzioni, era dell'anima di
Alarla, così sola in mezzo agli uomini a Nazareth, a Bethlem, ai .piedi
della croce; in realtà, tutta nascosta in Dio con Cristo del quale
sempre, nel cuore, meditava il mistero.
2. Questa vergine del Carnnelo, estranea a tutto il creato
e adoratrice del Verbo ascoso nel suo seno, è la Vergine
dell'Incarnazione, la Vergine che suor Elisabetta della Trinità
predilige, perche anche il suo ideale è vivere silenziosa e adoratrice
del Dio celato nelle intime profondità dell'anima sua.
« Pensiamo che cosa doveva provare l'anima della Vergine,
quando, dopo l'Incarnazione, possedeva in sé il Verbo Umana-to, il Dono
di Dio! Con quale silenzio con quale raccolta adorazione doveva
inabissarsi nel profondo dell'anima sua, per stringere a se quel Dio di
cui era Mamma! » ''.
« Non devo fare nessuno sforzo per penetrare in questo
mistero dell'inabitazione divina nella Vergine santa; mi sembra di
trovarvi il movimento abituale dell'anima mia, che fu pure il suo: adorare
in me il Dio nascosto » 5.
Leggendo san Giovanni della Croce, scopre in Maria il
modello perfetto dell'unione trasformante, e sogna di passare sulla terra
come la Vergine: silenziosa e adoratrice del Verbo, tutta perduta nella
Trinità.
« Leggo in questo momento delle pagine così belle nel
nostro Padre san Giovanni della Croce, sulla trasformazione dell'anima
nelle Tré Divine Persone. A quali abissi di gloria siamo
'• Lettera all;i sorella - Novembre 1903. 5
Lettera alla sorella - Novembre 1903-
163
chiamati! Ah! io comprendo i silenzi, il raccoglimento dei
santi che non potevano più uscire dalla loro contemplazione. Perciò, Dio
poteva condurli sulle divine altezze, dove l'« Uno » si compie e
si perfeziona fra Lui e l'anima divenuta misticamente sua sposa. Il nostro
beato Padre dice che, allora, lo Spirito Santo la eleva ad altezze così
stupende, da renderla capace di produrre in Dio la stessa spirazione
d'amore che il Padre produce col Figlio e il Figlio col Padre; spirazione
che è lo stesso Spirito Santo. E dire che il Signore buono ci chiama, in
nome della nostra vocazione, a vivere in queste luminosità sante. Che
adorabile mistero di carità... Vorrei corrispondcrvi passando sulla
terra, come la Vergine santa: « Custodendo tutte queste cose nel mìo
cuore » ", seppellendomi, per dir così, nel rondo della mia
anima, affine di perdermi nella Trinità che ivi dimora per trasformarmi
in Se. Allora il mio nome, •' mio ideale luminoso », sarà realizzato:
io sarò veramente Elis;;betta della Trinità » 7.
Nutriva particolare devozione per un'immagine che aveva
ricevuta e che rappresentava la Vergine dell'Incarnazione, raccolta sotto
l'azione della Trinità.
« Nella solitudine della mia cella che io chiamo « il
mio piccolo paradiso », perché è tutta piena di Colui del quale si vive
in cielo, guarderò spesso la preziosa immagine, e mi unirò all'anima
della Vergine allorché il Padre la copriva della sua ombra, il Verbo si
incarnava in Lei e sopra di Lei scendeva lo Spirito Santo per operare il
grande mistero. La Trinità tutta è in azione, si offre, si dona. E la
vita della Carmelitana non deve forse svolgersi in questi amplessi divini?
» s.
La Vergine dell'Incarnazione, tutta raccolta sotto
l'azione creatrice della Trinità « che opera in Lei grandi cose
» è il più caro, il più intimo ideale della devozione mariana di suor
Eli-sabetta, l'ideale a cui si sente attratta quasi per « connaturalità
», diremo con la teologia. Da questa devozione lungamente vissuta doveva
scaturire un giorno quell'elevazione così
6 San
Luca, 11-51.
7 Lettera al sacerdote Don Ch... - 23 novembre 190?.
8 Lettera alla signora De S... - 1905.
164
bella alla Vergine, scritta nel suo ritiro: « Come
trovare il cielo sulla terra ».
« Si scires donitr,i Dei! Se fu conoscessi il dono di
Dio! » B, diceva una sera Cristo alla Samaritana. Ma che
è mai questo dono di Dio, se non Lui stesso? Il discepolo prediletto ci
dice:
« ì^clf e vcin'io uella sua casa ma i suoi non
l'hanno ricevuto » ". E san Giovanni Battista potrebbe ripetere
ancora a molti quel suo rimprovero: « C'è in mezzo a voi — in voi
— uno, che voi non conoscete » J1.
« Se tu conoscessi il dono di Dio ». Ma una
creatura c'è, che ha conosciuto questo dono di Dio, che non ne ha
lasciato disperdere la minima particella; una creatura così pura, così
luminosa, da sembrare, lei, la stessa luce: Speculum ìusfifiae;
una crcntur;i la cui vita fu tanto semplice, tanto
nascosta in Dio, che non se ne può dire quasi nulla. Virgo fidelis:
è la Vergine fedele, colei che « custodiva tutte le cose nel suo
cuore » 12. Se ne stava così piccola, così raccolta
dinanzi a Dio nel segreto del Tempio, che attirò le compiacenze della
Trinità santa. « Perché Ef,!i ha rivolto lo sguardo alla piccolezza
della sua ancella, ormai tutte le generazioni mi chiameranno beata »
". Il Padre, chinandosi verso questa creatura così bella, così
ignara della sua bellezza, volle che fosse, nel tempo, la Madre di Colui
di cui Egli è Padre nell'eternità. Intervenne allora lo Spirito d'Amore
che presiede a tutte le opere divine; la Vergine disse il suo « fiat »:
« Ecco la serva del Signore; si faccia di me secondo la tua parola
» 14, e il massimo dei miracoli si compì. Con la discesa del
Verbo in Lei, Maria fu per sempre preda di Dio.
La condotta della Vergine nei mesi che passarono tra
l'Annunciazione e la Natività mi pare debba essere di modello alle anime
intcriori, a quelle anime che Dio ha elette a vivere raccolte «nel loro
intimo », nel fondo dell'abisso senza fondo.
" San Giovanni, IV-10. 1:) San Giovanni,
1-11. n San Giovanni, 1-26. " San Luca, IT-5L 13
San Luca, 1-48. " San Luca, 1-38.
165
Con quanta pace, in quale raccoglimento Maria agiva e si
prestava ad ogni cosa! Anche le azioni più ordinarie erano da lei
divinizzate perché, in tutto ciò che faceva, la Vergine restava pur
sempre l'adoratrice del dono di Dio; ne questo le impediva di donarsi
attivamente anche nella vita esteriore, quando c'era da esercitare la
carità: il Vangelo ci dice che « Maria percorse con grande
sollecitudine le montagne della Giudea, per recarsi dalla cugina
Elisabetta » '". La visione incfTabile che contemplava dentro di
sé non diminuì mai la sua carità esteriore, perché se la
contemplazione si volge alla lode e all'eternità del suo Signore, ha in
sé l'unità e non potrà perderla
3. Una tale elevatezza di pensiero non scaturisce d'un
tratto e a caso; suppone una lunga vita di intimità con Maria;
e i documenti infatti la confermano. Bambina ancora, le
sue prime poesie erano sbocciate per cantare la Vergine, « custode della
sua purezza »; il suo diario di fanciulla era pieno del pensiero di lei:
e quando divenne Carmelitana, la Madonna rimase sempre inseparabile dai
minimi particolari della sua vita. Spesso, firmava le sue lettere: « Suor
Maria Elisabetta della Trinità ».
Compose la sua celebre preghiera nelle festa della
Presentazione, quella festa « tanto cara » in cui ritrovava il movimento
più abituale del suo cuore: l'oblazione della Vergine alla Trinità, non
più a Gerusalemme, ma nel tempio dell'anima sua.
«O mio Dio, Trinità che adoro!... Pacifica l'anima mia,
rendila tuo cielo, tua amata dimora, luogo del tuo riposo. Che, in essa,
non ti lasci mai solo, ma tutta io vi sia, ben desta nella mia fede,
immersa nell'adorazione, pienamente abbandonata alla tua azione creatrice
».
Quando giunse la sera di questa vita breve, suor
Elisabetta si volse con raddoppiata tenerezza alla Immacolata, la
Madonnina della sua vestizione. « È stata lei, l'Immacolata, a darmi
l'abito del Carmelo; oggi la prego di rivestirmi con quella
15 San
Luca, 1-39.
16 « II paradiso sulla terra» - 12" orazione.
166
tunica di finissimo lino della quale si adorna la sposa
per recarsi al banchetto di nozze dell'Agnello » 1T.
Una notte — era in infcrmeria — mentre il suo sguardo
si posava sopra un'immagine della Vergine addolorata Sssata alla parete,
sentì interiormente uno di quegli avvertimenti che Dio suole rivolgere
all'anima dei suoi santi. Ricordandosi, allora, di una Vergine di Lourdes
dalla quale aveva ricevuto tante grazie quand'era bambina, la richiese
alla mamma, affinchè Colei che l'aveva vegliata nel suo ingresso alla
vita, « la custodisse ancora al suo uscirne ». Da allora, la
chiamò « Janua coeli », e quella statua non la lasciò più. Estenuata
di forze, suor Elisabetta si trascinava ancora nella piccola tribuna
prospiciente il coro, portando penosamente nelle mani diafane quella
statua alta più di trenta centimetri, quasi troppo pesante per le sue
dita tremanti, prive di forza. Quando si vedeva Janua coeli, Laudem
gloriae non era lontana.
Un giorno, suor Elisabetta mise nella cella della sua
Madre Priora una piccola costruzione in cartone rappresentante una
fortezza col ponte levatoio. Vicino alla porta chiusa, una Vergine di
Lourdes in rilievo: era Janua coeli. Ad un angolo della torre merlata,
sventolava una bandiera recante questa iscrizione: « Castello del dolore
e del santo raccoglimento, abitazione di Laudem gloriae in attesa della
Casa del Padre ». Janua coeli " era divenuta per lei la porta
della Trinità.
Nelle ultime ore della sua agonia, si cercava di
consolarla ricordandole la presenza della Vergine che amava tanto.
« SI, è vero; Janua coeli lascierà passare Laudem gloriae ».
L'antivigilia della morte, fu udita ancora mormorare: «
Fra due giorni, sarò in seno ai miei Tré. « Laetatus sum in his quae
dieta sunt mihi » 19. È la Vergine, questo essere tutto
luce, tutto purezza di Dio, che mi prenderà per mano per introdurmi in
cielo, in quel cielo così splendente... ».
Volle porre sotto la protezione di Janua coeli
l'ultimo suo
17
Lettera al Canonico A... - Fine luglio 1906.
18 Janua coeli è un'invocazione della
Litanie della S. Vergine che significa « Porl-i del Ciclo ».
19 Salmo CXXI-I.
167
ritiro sulla terra, e la sera del 15 agosto vi entrava
come « nel noviziato del cielo, per prepararsi a ricevere la veste, della
gloria » ". ,
Fino dal primo giorno di questo suo ritiro, si rivolgeva
alla Vergine, per chiederle la realizzazione del supremo desiderio
dell'anima sua: « Essere conforme a Cristo, crocefissó per amore, e
divenire, a somiglianzà di Lui, una perfetta lode di gloria della
Trinità. « Nessuno ha veduto il Padre — ci dice san Giovanni
—se non il Figlio e coloro ai quali è piaciuto al padre di rivelarlo
» 21; e mi pare chi si possa soggiungere: Nessuno ha saputo
comprendere il mistero di Cristo nella sua profondità, se non la Vergine
santa. Giovanni e In Maddalena sono penetrati molto addentro in questo
mistero; san Paolo parla spesso dell'« intelligenza » che gliene
è stata data; eppure, come rimangono nell'ombra tutti i santi, quando si
pensa alla chiarezza inferiore della Vergine!.. Essa è inenarrabile. Il
segreto che « Muriti ciistruìivn e iiicàìfai'iì nel sfio cmn'i.'
>•• nessuna lingua ha potuto mai esprimerlo, nessuna penna
rivelarlo. Questa Madre di grazia formerà l'anima mia, farà sì che i.i
sua fìgliolina divenga un'immagine vivente, « eloquente » del suo
Primogenito, il Piglio dell'Eterno, Colui che fu la perfetta lode di
gloria del Padre » 22.
Nell'ultimo giorno dello stesso ritiro, suor Elisnbctta
compose di getto, come un canto sgorgato dal cuore, una bella elevazione
alla Vergine, di una sicurezza dottrinale impeccabile e di una profondità
sorprendente. È l'ora della sua più evoluta dottrina mariana.
Vi sono certe pagine dei santi, che bisognerebbe leggere
in ginocchio:
« Dopo Gesù Cristo e, s'intende, a quella distanza che
passa tra l'infinito e il finito, vi è una creatura che fu anch'essa la
grande lode di gloria della santissima Trinità; ella corrispose
pienamente all'elezione divina di cui parla l'Apostolo: fu sem-
21 15
agosto 1906. Biglietto ad una consorella.
21 San Giovanni, VI-46.
22 Ultimo ritiro, I.
168
pre pura, immacolata, irreprensibile agli occhi del Dio
tré volte santo.
La sua anima è così semplice, i movimenti ne sono così
profondi, che non si possono scorgere. Sembra riprodurre sulla terra la
vita dell'Essere divino, l'Essere semplicissimo; quindi, è così
trasparente, così luminosa, che si potrebbe crederla la stessa luce;
eppure, non è che « lo specchio del Sole di giustizia: speculimi
insti tiae ».
« La Vergine custodiva queste cose nel suo cuore
» :3: tutta la sua storia può essere
compendiata in queste parole; visse nel proprio cuore e a tali profondita,
che lo sguardo umano non può seguirla. Quando leggo nel Vangelo che « Maria
percorse con tutta sollecitudine le montagne della Giudea » 2<
per andare a compiere un'opera di carità presso la cugina Elisabetta, io
la vedo passare, bella, calma, maestosa, intimamente raccolta col Verbo di
Dio. La sua preghiera, come quella di Lui, fu sempre:
« Ecco: ercnnfi! ». — Chi? — L'ancella del
Signore, l'ultima tra le sue creature. Lei, sua Madre!
Er;i così sincera nella sua umiltà! perché fu sempre
dimentica, ignara, libera di se stessa, sicché poteva cantare: « L'On-ìnpotente
ha fatto in ne grandi cose; tutte le generazioni mi chiameranno beata
».
Questa regina dei vergini e anche Regina dei martiri; ma
la spada la trafigge nel cuore, perché tutto, in Lei, si svolge
nell'intimo. La contemplo. Oh, come è bella nel suo lungo martirio,
circonfusa da una specie di maestà da cui emana e forza e dolcezza!
Perché ha imparato dal Verbo stesso come dovevano soffrire quelli die il
Padre ha scelti come vittime, quelli che ha deciso di associare alla
grande opera della redenzione, « che ha conosciuti e predestinati ad
essere conformi al suo Cristo », crocifisso per amore. È lì, ai
piedi della Croce, diritta e forte nel suo coraggio sublime; e Gesù mi
dice: « Ecce Mater tua ». Me la da per Madre. Ed ora che è
ritornata al Padre, che ha messo me al suo posto sulla croce, affinchè «
io soffra in me quello che manca alla sua Passione per il suo mistico
Corpo che è la
23 San
Luca, IT-51. 2< San Lucn, 1-39.
169
Chiesa », la Vergine è qui ancora, vicina a me, per
insegnarmi a soffrire come Lui, per farmi sentire gli ultimi canti
dell'anima di Gesù, che soltanto lei, sua Madre, ha potuto intendere.
E quando avrò pronunciato il mio « consiinimatum est
», sarà ancora Lei, Janua coeli, che mi introdurrà negli atri
divini dicendomi, piano, la misteriosa parola: « Laefatus sum in h's
quae dieta sunt mibi: in domum Domini ibimus » '"'.
25
Salmo CXXI-1 — Ultimo ritiro, XV. 170
CAPITOLO SETTIMO
SUOR ELTSABETTA DELLA TRINITÀ E LE ANIME SACERDOTALI
« II sacerdote è un altro Cristo che lavora per la
gloria del Padre ».
1. Amicizie sacerdotali - 2. Il sacerdote della Messa -
3. Associata all'apostolato del sacerdote - 4. Il sacerdote e la
direziono delle anime.
Un'anima di contemplativa non si rinchiude negli stretti
orizzonti delle mura del suo convento. La sua vita spirituale, slanciata
nell'ampia corrente del pensiero della Chiesa si muove seguendo le
direttive e le mire stesse della redenzione. La sua preghiera
corredentrice, ad ogni istante, copre l'universo.
Così faceva la Vergine del Cenacolo. Mentre i primi
Apostoli andavano all'azione ed al martirio. Maria li accompagnava,
silenziosa orante, in tutti i loro combattimenti per Cristo. E chi
oserebbe pensare che l'onnipotente intercessione della Madre di Dio non
riuscisse più efficace, per l'estensione del regno di Cristo, delle
stesse fatiche eroiche d'un san Pietro o di un san Paolo? La Chiesa di
Gesù, in tutto il fluire dei secoli della sua storia militante, non
dimenticherà mai di essere uscita dalla preghiera contemplativa del
Cenacolo; e la sua influenza sulle anime serberà, come base costante, la
preghiera dei suoi santi.
La maggior parte delle grandi famiglie religiose hanno
fatto proprio, ed hanno attuato questo modo di concepire le cose, e gli
Ordini più apostolici sostengono il ministero esteriore dei fratelli con
la continua preghiera delle sorelle. San Domenico, prima ancora di fondare
il suo Ordine, cominciò con lo stabilire le suore, contemplative ed
apostoliche insieme, di Nostra Signora di Prouille, alle quali affidò la
missione di sostenere, con
171
la loro vita di preghiera e di sacrificio, le fatiche dei
Predicatori. '
Riguardo a questo punto, suor Elisabetta della Trinità si
trovò, al Carmelo, dinanzi ad una delle tradizioni più care al suo
Ordine, e più feconde per il bene spirituale della Chiesa:
infatti, l'immolazione silenziosa delle figlie di santa
'Teresa è, prima di tutto, per i sacerdoti. Ed Elisabetta ebbe sempre una
grande venerazione per il sacerdozio. Offrì per essi la suri vita? Non lo
sappiamo con certezza; il suo parroco, che in per molto tempo suo
confessore, ne aveva la persuasione '. Ad ogni modo. se nessun indizio
positivo ci permette di afTerm.'irlo. abbiamo però numerosi documenti ad
attcstarci quale e quanta parte dedicò ad essi, nelle sue preghiere di
Carmelitana.
Quando un sacerdote le aveva raccomandato il proprio
ministero, essa prendeva molto sul serio la siri promessa di preghiera. «
Dopo il nostro ultimo colloquio, sono '.upta a voi in modo particolare e
un'intensa corrente di preghiera porta l'anima mia verso la vostra anima,
specialmente durante la recita dell'mEcio. Vi prometto che ogni giorno
l'ora di Terza sarà per voi, per questa grande intenzione: che lo Spirilo
d'Amore, Colui che suggella e consuma l'Unità della Trinità, vi doni una
supereffusione di Se stesso; e, alla luce della fede, vi porti in alto, su
quelle vette dove, già irradiati dal sole divino, non si vive che di
pace, di amore e di unione » ".
1. Suor Elisabetta della Trinità non si accosta ad
un'anima sacerdotale — anche se della sua famiglia — se non con
infinito rispetto: l'uomo scompare dinanzi a Cristo.
In parlatorio, mai la minima ombra di sensibilità
femminile. « Era un'anima, e basta », ci diceva il giovane sacerdote
entrato a far parte della sua famiglia, al quale ella indirizzò il
maggior numero di lettere di questo genere: non più di dodici in tutto.
« Fin dall'inizio del colloquio, « Dio solo », e non si discendeva più
da questa atmosfera tutta divina ». Suor Elisa-betta aveva un'idea alta e
pura del sacerdozio!
' Ho avuto quesio particolare da Lui direttamente. 2
Lettera al sacerdote Don ]... - 11 febbraio 1902.
172
Si possono seguire i minimi moti dell'anima sua nella
corrispondenza con '-questo seminarista che essa accompagna al sacerdozio
e che seguirà poi nel suo apostolato. Il primo incontro fu tutto
soprannaturale. Lo scriveva a sua sorella: « ...Ho avuto un colloquio
tutto divino col reverendo Don Ch... Credo che l'anima del sacerdote e
quella della Carmelitana si siano fuse ».
Un'intimità di anime si iniziava, die continuerà sino
alta morte.
« ...Prima di entrare nel silenzio rigoroso della
Quaresima, voglio rispondere alla vostra buona lettera; la mia anima ha
bisogno di dirvi clic è in comunione con la vostra, per lasciarvi
prendere, rapire, invadere da Colui che ci avvolge nella Sua c.-ìi-ità e
vuole consumarci nell'Ufo, con Lui. Pensavo a voi Legende queste parole
del Padre Vallèe sulla contemplazione:
« [1 contcmplutivo è un essere che vive sotto
l'irradiamento del volto di Cristo; che penetra nel mistero di Dio,
seguendo non il raggio luminoso che sale dal pensiero umano, ma la luce
che emann dalla parola del Verbo Incarnato ». Non la sentite in voi !a
passione di ascoltarla, questa divina parola? Talvolta, il bisogno di
tacere è così forte, che si vorrebbe non saper più fni'e altro che
rimanere, come Maddalena, ai piedi del Maestro, avidi di ascoltare, di
penetrare sempre più addentro in quel mi-sicro di amore che Egli è
venuto a rivelarci. Non pare anche a va'! che. se l'anima non si
discosta mai da questa sorgente, può rimanere sempre assorta, come
Maddalena, nella sua contemplazione, anche allora che, in apparenza,
compie l'ufficio di Marta? In questo modo io intendo l'apostolato, sia per
la carmelitana che il sacerdote: l'uno e l'altra possono irradiare Dio,
possono diìi'lo alle anime, se non si allontanano dalla sorgente divina.
Mi sembra che dovremmo avvicinarci molto al Maestro, metterci in comunione
con l'anima Sua, fare nostri tutti i suoi affetti; poi andare, come Lui,
nella volontà del Padre » 3.
Tutte le sue lettere sono animate dallo stesso accento
soprannaturale. Nessuna formula di banali complimenti; fin dalla
a
Lettera .il sacerdote Don Ch... - 24 fehhraio 1903.
173
prima frase, le anime si stabiliscono in Dio, e non ne
ridiscendono più:
« Avendo amato i suoi che erano nel mondo, Egli li
amò sino alla fine » '. Mi pare che nulla, meglio della Eucaristia,
ci possa dire l'amore di Dio. L'Eucaristia è l'unione, la consumazione,
è Lui in noi e noi in Lui; non è dunque il cielo sulla terra? Il cielo
nella fede, in attesa della visione, del « faccia a faccia »,
tanto sospirato. « Saremo saziati (Jiuì)ido ci apparirà la Sua
gloria, quando Lo vedremo nella ^iki luce' » 5. Che dolce
riposo per l'anima, non è vero? Il pensiero di questo incontro con Colui
che unicamente amiamo! Tutto il resto scompare, e ci sembra di entrare
già nel mistero di Dio... È talmente « nostro » tutto questo mistero,
come voi mi dite nella vostra lettera.
Pregate perché io viva pienamente la mia prerogativa di
sposa. Pregate, perché sia sempre pronta a tutto, con la lampada della
fede sempre viva, affinchè il Maestro possa disporre di me come vorrà.
Io bramo di restarmene continuamente vicina a Colui che sa tutto il
mistero, per imparare tutto da Lui. « II linguaggio del Verbo è
l'infusione del dono ». È proprio vero;
Egli parla all'anima nel silenzio. Oh, questo caro
silenzio!... per me, è la beatitudine. Dall'Ascensione alla Pentecoste,
siamo state in ritiro nel Cenacolo, nell'attesa dello Spirito Santo;
ed era così bello! Durante tutta questa ottava, abbiamo
la esposizione del santissimo Sacramento, nella nostra cappella, e
passiamo ore divine in questo piccolo angolo di paradiso, dove possediamo
la visione sostanziale sotto le umili specie dell'Ostia, Sì, Colui che i
beati contemplano nella chiara visione, è il medesimo che noi adoriamo
nella fede. Vi trascrivo un pensiero tanto bello che mi è stato inviato:
« La fede è il « facie ad faciem » c nelle tenebre.
Perché non sarebbe così anche per noi, dal momento che portiamo in noi
Iddio, e che Egli altro non chiede che di possederci, come ha posseduto i
santi? Ma i santi erano vigilanti sempre; « Essi tacciono — come dice
il
4 San
Giovanni, XIII-1.
5 Salmo XVI-15. " I Corinti, XJII-12.
174
Padre Vallèe —- vivono raccolti, e non hanno altra
attività che di rendersi sempre più capaci di ricevere ». Uniamoci, per
essere la gioia di « Colui che ci ha troppo amati » r,
come dice san Paolo; facciamogli nell'anima nostra una dimora in cui tutto
sia in pace, in cui risuoni sempre il cantico dell'amore, del
ringraziamento. E poi, silenzio!... il grande silenzio, eco di quello che
è in Dio... Avviciniamoci, come mi dite, alla Vergine tutta pura, tutta
luminosa, affinchè ci introduca in Colui nel quale Ella penetrò così
profondamente. Sia, la nostra vita, una comunione continua, un movimento
semplicissimo verso il Signore. Pregate per me la Regina del Carmelo, che
io pure prego molto per voi, e vi assicuro che rimango a voi unita,
nell'adorazione e nell'amore » ".
Nessuna traccia di sentimentalità o di esagerazione in
queste righe di una purezza che non ha più nulla della terra.
L'ora del diaconato si avvicina per il seminarista; in
nome del Carmelo di Digione, suor Elisabetta gli assicura che non sarà
dimenticato:
« Mìsericordias Domini in aeternum cantabo
". La nostra reverenda Madre, non potendo scrivere lei stessa questa
sera, mi incarica di venire a voi, affinchè possiate ricevere una parola
dal Carmelo, che vi dica quanto vi siamo unite in questo gfan-de giorno.
Quanto a me, io mi raccolgo e mi ritiro fino in fondo all'anima mia, dove
abita lo Spirito Santo; e chiedo a questo Spirito d'Amore « che tutto
scruta, anche le profondità di Dio » " di donarsi a voi
sovrabbondantemente e di irradiare l'anima vostra perché, sotto la Sua
grande luce, riceva « l'Unzione del Santo » di cui parla il
discepolo dell'amore. Con voi, io canto l'inno del ringraziamento; ma con
voi pure io taccio per adorare il mistero che vi avvolge. Il Padre, il
Verbo e lo Spirito Santo, la Trinità tutta si china su di Voi, per far
risplendere la « gloria della sua grazia » ".
7
Efesini, 1:1-4.
s A Don Oh... - 14 giugno 1903.
9 Salino LXXXIU-2.
" Corinti, 11-1.0.
" A Don Ch... in Decisione de) suo diaconato - Aprile
1905.
175
« San Paolo, nella sua epistola ai Romani, dice che « quelli
che Dio ha conosciuti nella sua prescienza, li /•.' anche T'redc-stinati
ad essere conjormi all'immagine (lei Figlio suo » 12. Mi
sembra die parli proprio di voi. Non siete voi, infatti, questo
predestinato che Dio ha eletto perdio sia suo sacerdote? Penso che, nella
sua attività di amore, il Padre si rlìin:i sull'anima vostra e l;ì
lavora con la sua sicssa divina in;in", col suo tocco delicato,
perche la somiglianzà con l'ideale divino sia sempre più perfetta, fino
al giorno in cui la Chiesa vi dirà: « T'i es sih cerdos in acterniim
» ''\
Allora, tutto in voi sarà per così dire una copia di
Gesù Cristo, il Pontefice supremo: e voi potrete -'icc'ssanleincnfc
riprodiirlo dh'n/;-.' ,7 Padre sufi e din.ìi'"i
alle "mine. Quale grandcCTa! La virtù " <ii)vrae;iììncfi1c
» di Pin fini';'.; lici vostro essere (•ci" trasformarlo e
divini/'/'arlo. ••', mera siihiin";- che richiede grande
raccoglimento, grande, ;'m''rosa applicazione a Dio » 1 ''.
Giunta aliine l'ora clell'Ordinazionc s:icerdot:il.,', l'anim;i
di suor Llisahctta, impotente ad esprimere i suoi sentimenti per
l'imminenza del grande mistero, non trova rifugio che in una più intensa
preghiera: « Avevo chiesto alla nosti-i reverenda Madre il permesso di
scrivervi, per dirvi che l'anima mia e tutta con la vostra anima in questi
ultimi "i'-rni '•hc precedono la sacra ordinazione; ma ecco che,
avvicinandomi a voi, dinanzi al grande mistero che si prepara, non so più
fare altro che tacere... e adorare l'eccesso d'amore del nostro Dio.
Insieme alla Vergine, voi potete cantare il vostro « Magnificat », e
trasalire in Dio, nostro Salvatore, perché l'Onnipotente 1-ia compiuto in
voi grandi cose e la Sua misericordia è eterna. Poi, come Maria,
conservate tutto ciò nel vostro cuore; mettetelo vicino al Suo, perché
questa vergine sacerdotale è anche « Madre, della divina grazia •>•>
e, nel suo grande amore, vuole prepararvi a divenire « quel sacerdote
fedele, secondo il d/ore di Dio »,
12
Romani VIII-29.
13 Salmo CTX-4,
1< Lettera a Don Cl-i... - Primnvei-a del 1905.
fPrim;i ilell;' Sncra Ordinazione).
176
I
di cui parla la sacra Scrittura. Come questo « sacerdote
del Dio altissimo, che non ha ne Padre, ne madre, ne genealogia, ne
principio di giorni, ne termine di vita » 1B, immagine del
Figlio di Dio, così voi pure, mediante la sacra unzione, divenite
quell'essere che non appartiene più alla terra, quel mediatore fra Dio e
le anime, chiamato a far risplendere « la gloria della Sua Grazia
», con la partecipazione alla sovraeminente sua virtù ». Gesù,
il Sacerdote eterno, diceva al Padre, entrando nel mondo: « Eccomi per
fare la tua volontà » le. Mi pare che questa debba essere
anche la preghiera vostra, nell'ora solenne in cui vi inoltrate nel
sacerdozio; e mi è caro ripeterla con voi. Venerdì, all'altare, quando
fra le vostre mani consacrate verrà ad incarnarsi nell'umile ostia, per
la prima volta, Gesù, il Santo di Dio, non dimenlicnte colei die Egli ha
condotta sul Carmelo perche sia la lode della Sua gloria. Chiedetegli di
seppellirla nelle fiamme del Suo amore. Poi, offritela al Padre insieme al
divino Agnello. A Dio! se sapeste quanto prego per voi! La grazia del
Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo
siano con voi » ".
2. Suor Elisabetta amava il sacerdote soprattutto
all'altare, nel momento in cui il Verbo Incarnato si immola fra le sue
mani, per la Chiesa. Sentiva, per il profondo intuito del mistero di
Cristo scolpito nella sua anima dal battesimo, che in quell'ora
specialmente il sacerdote compie nel mondo il suo grande ufficio di
mediatore. Essa non baciava, come santa Caterina da Siena, le orme dei
passi del sacerdote che le aveva dato il Cristo nella santa Comunione; ma
supplicava, con un'insistenza che commuove, di essere ricordata durante il
santo Sacrificio dai sacerdoti, che la conoscevano; supplicava che
immergessero l'anima sua « nel sangue dell'Agnello ». « Lo so che ogni
giorno, durante la santa Messa, voi pregate per me. Mettetemi nel calice,
affinchè l'anima mia sia tutta impregnata del sangue del mio Cristo; ho
sete di questo sangue, che mi renda tutta pura,
18
Ebrei, VII, 3.
10 Ebrei, X, 9.
" TI Colimi, XHI-U — A Don Ch... - 27 giugno 1905.
177
tutta trasparente, in modo che la Trinità possa
riflettersi in me .come in un cristallo » 18.
Ancora la medesima preghiera, quando entrava nei suoi
ritiri particolari: « Parto, questa sera, per un grande viaggio. .Per
dieci giorni, solitudine assoluta, molte ore di orazione supplementare,
velo abbassato quando devo circolare nel monastero. La mia vita sarà più
che mai quella di un eremita nel deserto. Ma, prima di internarmi nella
min Tcbnide, ho proprio bisogno di venire ad implorare il soccorso delle
vostre preghiere, soprattutto una larga intenzione durante il santo
Sacrifìcio. Nel momento in cui Gesù, il solo Santo, si incarna
nell'ostia che voi consacrate, vogliate, vi prego, consacrarmi con Lui
come ostia di lode alla sua gloria, affinchè tutti i movimenti, tutti gli
atti miei siano un omaggio reso alla sua santità.
« Siate santi, perché io sono santo » '9.
Sotto questa parola mi raccolgo; camminerò, durante il mio viaggio
divino, ai raggi di questa luce. San Paolo me la commenta, quando dice: «
Dio ci ha eletti in Lui prima della creazione, affinchè siamo
immacolati e santi al suo cospetto, nell'amore » "".
Ecco, dunque, il segreto di una tale purezza verginale: rimanere
nell'amore, cioè in Dio. « Dio è amore » 21.
Durante questi dieci giorni, pregate dunque molto per me;
ci faccio grande assegnamento. Anzi, vi dirò che mi pare
una cosa semplicissima e naturale; il Signore non ha unito infatti le
nostre anime affinchè si aiutino a vicenda? e non ha Egli detto:
« il fratello aiutato dal fratello è come una citta
munita »? 22. Ecco, dunque, la missione che vi confido. E
vi chiedo di voler ripetere per me la preghiera che saliva a Dio dal
grande cuore ,di Paolo per i suoi cari figli di Efeso: « Vi conceda,
il Padre, secondo la ricchezza della Sua gloria, di essere corroborati in
virtù, mediante il suo Spirito, nell'anima vostra, così che Cristo
prenda dimora nei vostri cuori per mezzo della fede; e voi, radi-
18
Lettera al canonico A... - Agosto 1902.
19 Levitico. XI-44. ^ Efesini, 1-4.
21 San Giovanni, IV7, 16.
22 Proverbi, XVIII, 19.
178
cali e fondati in amore, possiate comprendere l'altezza e
la profondità di questo mistero, e possiate conoscere l'amore di Cristo,
che sorpassa ogni scienza, così che siate riempiti secondo la pienezza di
Dio ". Santifichiamo
Cristo nei nostri cuori, affine di realizzare ciò che cantava Davide,
sotto la mozione dello Spirito Santo: « Su di lui fiorirà,
splendida, la mia santità » 24.
E quando, nell'ultima fase della sua vita, suor Elisabetta
ha trovato nella sacra Scrittura il suo nome nuovo, si rivolge ancora al
sacerdote della Messa: « Aiutatemi, vi prego, ne ho tanto bisogno! quanto
più cresce la luce, tanto più sento la mia impotenza. L'8 dicembre,
durante la Messa solenne, fatemi il dono di offrirmi all'Amore
onnipotente, perché io sia veramente .« laudem gloriae ». L'ho
trovato in san Paolo, ed ho compreso che questa è la mia vocazione fin
dall'esilio, in attesa del Sanclus eterno » ".
3. C'è, nello svolgersi del mistero della Messa, un
duplice gesto del celebrante, gesto che rivela molto bene la missione del
sacerdozio e contiene tutto il senso della sua mediazione ascendente e
discendente: l'elevazione dell'Ostia santa verso la Trinità alla
Consacrazione, e la distribuzione del Pane di vita ai fedeli, al momento
della Comunione. Offrire Cristo alla Trinità, donare Cristo a1 mondo:
ecco la duplice missione del sacerdote sulla terra. Missione divina: per
compierla degnamente, ci vorrebbe l'anima di Cristo, ed ecco perché la
Chiesa tutta quanta, ma particolarmente le vergini contemplative sono
impegnate alla conquista di tali anime; ed innumerevoli sono le vite che
si immolano silenziosamente a questo scopo; sono le vite più pure, le
più crocifisse che passano nei chiostri.
Suor Elisabetta della Trinità intuiva profondamente i
bisogni spirituali del sacerdozio, e sentiva quanto è necessario pregare,
perché i ministri di Dio siano santi. È chiaro che non bisogna chiedere
ad una Carmelitana tutta una teologia del sacerdozio;
suor Elisabetta non si addentra in una analisi
particolareggiata
23
Efesini. Ili - 14... 19.
24 Salmo CXXXI-18. — A Don Ch... - 8 ottobre
1905.
25 A Don Ch... - Dicembre 1905.
179
delle virtù sacerdotali: pietà, castità, distacco dalle
ricchezze. scienza, obbedienza, zelo per la salvezza delle anime e per In
gloria di Dio; non è questo il suo compito, ne sarebbe consono al suo
temperamento spirituale. Fedele al suo metodo prende le virtù alla
sorgente da cui scaturiscono: l'unione con Dio. Secondo un processo
psicologico normale, per trasposizione, il suo sogno tutto personale di
vita intcriore viene proiettato nell'anima del sacerdote, ed una formula
di sublime concisione ne definisce l'ideale santo: il sacerdote è « un
altro Cristo che lavora per la gloria del Padre ». Quanto avrebbe
compreso ed amato la parola così bella di Pio XI che, nella sua enciclica
.magistrale sul sacerdozio, dice: « il sacerdote viva come ini altro
Cristo. Vivai ut al ter Chrisfus » 2".
Inoltre, secondo la sua grazia particolare, con atto
delicatissimo e totale nascondimento di sé, senza neppure sfiorare il
tono cattedratico, ma lasciando che con tutta semplicità l'ani-xna sua di
Carmelitana si effonda in un'anima di sacerdote, suor Elisabetta sa
ammonire che la vita intcriore e il segreto di ogni apostolato, e che,
senza vita interiore, anche il sacerdote, pur sollevando forse molto
rumore fa poco pochissimo bene; quando non faccia invece del male. e un
male irreparabile. Conosceva bene il testo del suo Padre spirituale, san
Giovanni della Croce, nel Cantico: « II minimo atto di amore puro
ha piu valore agli occhi di Dio ed è più benefico per la Chiesa e per
l'anima stessa, che non tutte le altre opere unite insieme »27.
Tanto è vero che la più piccola scintilla di puro amore ha, per la
Chiesa, la massima importanza.
Essere apostolo significa comunicare Gesù Cristo al
mondo;
ma non si può donarlo che nella misura in cui lo si
possiede. E lui stesso, il Maestro, ci ha insegnato le vere leggi
dell'apostolato, nell'ultimo discorso ai discepoli, la vigilia della sua
morte.
« Io sono la vite e voi i tralci. Colui che divi or a
in me e nel quale io dimoro, porterà abbondanti erutti. Come il tralcio
rion può portare frutto da se medesimo, se non rimane unito alla vite,
cosi neppure voi, se non rimanete in me. Senza di
26 Ad
culholici sficerdotii - 20 dicembre 1935.
27 Cantico spirituale, sit. XXIX.
180
me, non potete far nulla. Ala se rimarrete in me (e nella
misura in cui mi resterete uniti}, fonerete erutto, molto frutto. Tutto
ciò che vorrete, chiedetelo e lo otterrete. Il Padre mio sarà
glorificato, se produrrete frutti copiosi. Come il Padre ha amato me,
così io vi ho amati. Perseverate nel mio amore
» 2S.
Questo discorso di Gesù dopo l'ultima cena è il codice
dell'apostolato cristiano.
Seguendo il suo Maestro, suor Elisabetta della Trinità,
coltrice squisita della vita intcriore, non avrebbe potuto tacere questa
particolare e assoluta necessità di intima unione con Gesù, per il
sacerdote che vuole a sua volta comunicare Cristo alle anime. Nel pensiero
di suor Elisabetta, l'apostolo è innanzi tutto un essere di preghiera e
di immolazione silenziosa, ad imitazione del Crocifisso che ha salvato il
mondo non con l'azione smagliante o con il fascino dei bei discorsi, ma
col dolore e la morte. Ed essa, associando il suo apostolato all'azione
del sacerdote, vuole restare nella linea di questa immolazione redentrice
e nella imitazione di questa morte. Eccola, quindi, tutta intenta ,a « dare
compimento nella sua carne a ciò die inanca alle sofferenze di Gesù per
il suo Corpo che è la Chiesa » ed a colmare così quelle misteriose
lacune della passione di Cristo, lasciate .da Dio perché possiamo
apportare noi stessi la nostra goccia di sangue all'opera grandiosa della
redenzione del mondo.
« Chiediamogli di renderci coerenti nel nostro amore,
cioè di fare di noi degli esseri di sacrificio; mi sembra che il
sacrificio -non sia che l'attuazione dell'amore: « Mi ha amato e si è
dato per me ».
Mi piace tanto questo pensiero: « La vita del sacerdote
— e della Carmelitana — è un Avvento che prepara VIncarna-yone
delle anime ». Davide canta in un salmo: « II fuoco dinanzi a Lui
precede » 2". Il fuoco non è forse l'amore? E la
nostra missione non è quella di preparare le vie del Signore mediante
l'unione nostra a Colui che l'Apostolo chiama « un fuoco consumante »?
". Al suo contatto, l'anima nostra diventerà fiamma
28 San
Giovanni, XVI-1... 9. "" Salmo XCVI-3. " Ebrei, XII-29.
.181
,di amore diffusa per tutte le membra del Corpo di Cristo,
che è la Chiesa; e consoleremo allora il Cuore del nostro Maestro .che
potrà dire, mostrandoci al Padre: « /// essi. io sono già
glorificato » 31.
L'anima apostolica di suor Elisabetta lia penetrato il
senso profondo del dogma della comunione dei santi, che associa ogni
membro al bene spirituale della Chiesa tutta quanta. Cosciente di questa
verità, essa, nel giudicare la parte sua personale di contemplativa
nell'insieme del corpo mistico, sapeva elevarsi senza falsa umiltà a
quell'altissima luce dell'unità che unisce tutti i mèmbri della Chiesa
militante e trionfante al « Cristo .totale » in cammino verso la
Trinità. La sua grande anima di .contemplativa, lontana da vedute
meschine e da piccole sensibilità, si muoveva a suo agio nei più ampi
orizzonti del piano divino.
« Non lo sentite anche voi che per le anime non esistono
distanze, ne separazioni, ma la realizzazione della preghiera del Cristo:
« Padre, che essi siano consumati nella ìinità » ? Mi pare che
le anime pellegrine sulla terra e i beati nella luce della visione siano
così vicini gli uni agli altri! poiché sono tutti in comunione con uno
stesso Dio, con un medesimo Padre che si dona agli uni nella fede e nel
mistero, e che sazia gli altri nella sua luce divina. Ma è il medesimo,
sempre; e lo portiamo dentro di noi. Egli sta chino sulle anime nostre con
tutto il suo amore, sempre, giorno e notte, bramando di comunicarci, di
infonderci la sua vita divina per trasformarci in esseri deificati che lo
irradiano ovunque. Quale potenza esercita sulle anime l'apostolo che non
si distacca mai dalla sorgente delle acque vive! Lasci pure che l'onda
trabocchi e si sparga all'intorno; non c'è pericolo che la sua anima
venga a trovarsi vuota, perché è in comunicazione con l'infinito. Io
prego tanto per voi! prego che invada tutte le potenze dell'anima vostra,
che vi faccia partecipare a tutto il mistero, che tutto in voi sia divino
e porti il suo suggello affinchè siate un altro Cristo che lavora per
la ,Sna gloria.
Voi, pure, nevvero, pregate per me? Anch'io voglio
lavorare
31 San
Giovanni, XVII-10 — A Don B... - 1902.
182
tanto per la gloria di Dio; ma bisogna che sia tutta piena
di Lui; sarò onnipotente allora, perché anche un solo sguardo, .un
desiderio, diverranno una preghiera irresistibile, che può tutto ottenere
dato che, per così dire, si offre Dio a Dio.
Le nostre anime non siano che una sola, in Lui. Mentre voi
lo porterete alle anime, io resterò come Maddalena, silenziosa e
adorante, vicino al Maestro, chiedendogli di rendere feconda nei cuori la
vostra parola. Apostolo, Carmelitana, è tutt'uno. Doniamoci interamente a
Lui, lasciamoci pervadere dalla Sua linfa divina; sia la vita della nostra
vita, l'anima della nostra anima, e rimaniamo, vigili sempre, coscienti
sempre, sotto la sua azione divina » 32.
Tutto è equilibrato in questa dottrina dell'apostolato
del sacerdote nella Chiesa, associato a quello della Carmelitana. Mentre
il sacerdote porta il Cristo nelle anime con la parola, coi Sacramenti e
con le altre svariate forme del suo ministero, Ja Carmelitana se ne sta
silenziosa come Maddalena ai piedi di Cristo, o meglio, come la Vergine
corredentrice ai piedi della Croce, immedesimata nell'intimo con tutte le
vibrazioni dell'anima del Crocifisso e morendo con Lui per gli stessi fini
di redenzione.
4. Il posto che occupa il sacerdote nella vita cristiana
è veramente della massima autorità ed importanza. Associato a Dio nella
cura delle anime, egli è costituito, secondo la parola di san Paolo « collaboratore
di Dio » 33. E suor Elisabetta della Trinità scriveva: «
Voi siete il dispensatore dei doni di Dio; e l'Onnipotente, la cui
immensità compenetra l'universo, sembra aver bisogno di voi per donarsi
alle anime » 34.
Verità, questa, a cui si riflette troppo poco. Il mondo
riceve il Cristo dalle mani del sacerdote. Al bimbo appena nato alla vita,
egli da, col battesimo, un'altra vita: quella di Cristo; e in essa lo fa
crescere, lo fortifica col sacramento della confermazione; lo nutre di Dio
ogni mattina con le sue stesse
32
Lettera a Don B... - 22 giugno (senza data dell'anno).
" T Corinti. TII-9.
•'" Al Mcei'i.lotc Don B... (senM data).
183
mani; caduto, lo risolleva e lo risuscita alla vita
divina; quando giunge poi l'ora in cui, divenuto uomo, sceglie e fissa la
propria vita, è ancora il sacerdote che viene a portare Cristo nel
nuovo focolare; e finalmente, giunta la sera della vita, quan-,do tutto è
ormai compiuto, un gesto supremo di benedizione .discende sul vegliardo
che muore: «Parti, anima cristiana, ritorna al Cristo del tuo battesimo
», e il sacerdote gli apre le porte del cielo. Dalla culla alla tomba, il
sacerdote gii è vicino. sempre.
Ma questa influenza del sacerdote che accompagna l'uomo
lungo tutta la sua esistenza, non si limita agli individui; si estende
anche alle nazioni. Soltanto il sacerdote ha ricevuto da Cristo la
missione di « istruire tutti i popoli fino alle estremità della terra
» "; ed egli, con la dottrina e col ministero della parola,
rende docili le intelligenze al « giogo soave di Cristo ».
Se si considerano le verità insegnate dal sacerdote —
osserva il Sommo Pontefice Pio XI nella sua enciclica « Ad catholici
Sacerdoti! » 3S— se si vuoi misurarne l'intima forxa, si
comprende facilmente a qu;il punto l'innuen?a di ini sin benefica per
l'elevazione morale e la tranquillità dei popoli, fì il sacerdote ,— e
spesso soltanto lui — che ammonisce i grandi e i piccoli, ricordando
loro la brevità fulminea di questa vita, la fugacità .dei beni terreni,
i veri valori spirituali ed eterni, la tremenda .verità dei giudizi di
Dio, l'incorruttibile santità di quello sguardo divino che scruta i cuori
e da a ciascuno secondo le opere sue. Veramente, il sacerdote è il
mediatore posto fra Dio e gli .uomini per far discendere sopra di essi i
beni che da Lui derivano, ed a Lui fare ascendere la preghiera che placa
il Signore adirato ».
Che dire poi dell'influenza esercitata dal sacerdote sulle
anime che, nella Chiesa, vivono una vita più intensamente spirituale?
Queste soprattutto hanno bisogno di una guida sapiente per non smarrirsi
nel « sentiero stretto » e fiancheggiato da precipizi, che conduce
all'unione divina. San Giovanni della Croce .ha pagine severe e
avvertimenti gravi per i direttori spirituali
35 San
Matteo, XXVIII-19. 3G 20 dicembre 1935.
184
insufficienti che mancano di scienza e di virtù. È dono
si raro e di così immenso valore, un saggio direttore! e san Francesco di
Sales ammoniva di « cercarlo fra mille ». Santa Teresa, che ebbe un poco
da soffrire a questo riguardo, serbò sempre un ricordo pieno di
riconoscenza per quei sacerdoti pii e dotti nei .quali il Signore le aveva
misericordiosamente fatto trovare un appoggio di cui non avrebbe potuto
fare a meno, nelle ore .difficili dcll'.inima sua e delle sue fondazioni;
anzi, poiché, ih tali circostante, aveva ricevuto benefizi singolari dai
grandi teologi dell'Ordine di san Domenico, la santa amava chiamarsi «
domenicana di cuore ».
Questo gusto della sana dottrina e della sapiente
dirczione è rimasto tradizionale, al Carmelo; e su questo punto, come su
tutti gii altri, suor Elisabetta si mostrò vera figlia di santa Teresa.
Bambina e giovinetta, andava regolarmente a confessarsi dal suo parroco
che era insieme il suo direttore; ma lo trovava fin « troppo buono », e
pensò di chiedere a un padre Gesuita una dirczione più ferma.
Scriveva nel suo diario, il 6 febbraio 1899: «Venerdì,
.sabato, domenica, avremo l'esposizione del santissimo Sacramento nella
nostra parrocchia; e il mio antico confessore verrà a predicare
l'adorazione perpetua. Sarò felice di rivederlo, di parlargli delta mia
vocazione; quante volte ho rimpianto la sua direziono ferma e severa! Il
signor curato è tanto tanto buono, .anzi troppo buono; mi guida troppo
dolcemente, non sa essere .severo, mai. L'altro giorno ho parlato alla
mamma del mio desiderio di lasciarlo e di andare invece dal Padre Chesnay,
il predicatore degli esercizi spirituali, che sarei tanto contenta di
poter avere come direttore; ma la mamma non è stata soddisfatta e d'ora
innanzi non ne parlerò più.
Venerdì 10 febbraio: Sono andata a confessarmi, oggi, e
sono rimasta veramente contenta; ho parlato al mio direttore del ritiro,
gli ho confidato le mie risoluzioni e tutte le grazie di cui Dio mi ha
colmato in questi giorni; ed egli mi ha consigliato di accusarmi, in ogni
confessione, delle mancanze a questi miei propositi, assicurandomi che, in
tal modo, farò un grande progresso ».
18?
A Digione, seguiva volentieri le conferenze spirituali e i
ritiri tenuti dai Padri Gesuiti e talvolta li consultava per il bene
dell'anima sua, fedele poi a metterne in pratica i consigli.
E quanto ammirava ed apprezzava la dottrina del Padre
Vallèe « così profondo, così luminoso! » ". L'influenza di
questo religioso eminente è manifestata in qualcuno dei caratteri più
.essenziali della fisonomia spirituale di suor Elisabetta: per esempio:
tacere, credere all'amore, vivere nel profondo dell'anima in società con
Colui che vi è presente e vuole, ad ogni istante, purificarci e salvarci.
Tré mesi prima di morire, essa chiedeva ancora al Padre di darle i suoi
consigli, e lo pregava a volerle tracciare un programma pratico di
conformità al Crocifisso, idea dominante degli ultimi suoi giorni: «
...Credo che fanno venturo vi festeggerò con san Domenico ncll'el'edit.ì
dei santi, nella luce; ma, per quest'anno, mi raccolgo ancora nel cielo
dell'ani-,ma mia per prepararvi una festa tutta intima; ed ho bisogno di
dirvelo; ho bisogno anche. Padre mio, di chiedervi la vostra preghiera
perché mi aiuti ad essere molto fedele, molto vigilante, e a salire il
mio Calvario da vera sposa del Crocifisso:
.« Quelli che Dio ha conosciuti nella sud prescienza,
li ha anche predestinati ad essere conformi alla immagine del suo Figlio
.divino ». Questa parola del grande san Paolo riposa l'anima, ed io
l'amo tanto. Penso che « nel suo eccessivo amore >•>, Efli
fili ha conosciuta, chiamata, giustificata; ed ora nell'attesa di
essere da Lui glorificala, voglio essere la lode incessante
della sua gloria. Padre, chiedeteglielo per la vostra figliolina.
Ricor-,date? proprio come oggi, cinque anni or sono, bussavo alla .porta
del Carmelo, e voi eravate lì presente, per benedire i miei ,primi passi
nella santa solitudine. Ora, busso alle porte dell'eternità, e vi chiedo
di volervi chinare ancora una volta sull'anima mia per benedirla sulla
soglia della « casa del Padre ». Quando .sarò inabissata nel
fuoco immenso dell'Amore, in seno ai « Tré » .verso i quali
avete orientata l'anima mia, oh! non dimenticherò .tutto quello che siete
stato per me; e a mia volta, vorrei poter dare tanto al Padre da cui tanto
ho ricevuto. Posso esprimervi un desiderio? Sarei felice di ricevere da
voi due righe che mi
37 Alla
signora A... - 29 settembre 1902.
186
indicassero come realizzare il piano divino: essere
conforme all'immagine del, Crocifisso.
A Dio, mio reverendo Padre! Vi prego di benedirmi in nome
dei « Tré » e di consacrarmi ad Essi come una piccola ostia di lode ».
Non si vedeva suor Elisabetta, come tante anime inquiete,
correre da un direttore all'altro; con semplicità e docilità, si
accontentava dei confessori che la Provvidenza le inviava al Car-,melo;
tuttavia, in una necessità, non esitava a ricorrere ad un ministero
straordinario. Così la vigilia della professione, l'anima sua smarrita e
sgomenta non potè ritrovare la pienezza della pace che con la parola
autorevole di un religioso prudente e sapiente, venuto apposta per lei.
Per tutta la vita, serbò un affetto filiale e
riconoscente al buon Canonico, amico di famiglia, che aveva ricevuto le
sue prime confidenze.
« Se la santa Regola del Carmelo — gli scriveva —
impone silenzio alla mia penna, però la mia anima e il mio cuore non
.rinunciano, ve l'assicuro, a venire da voi; e valicano spesso la
clausura; ma sono certa che il Signore me le perdona queste fughe, perché
sono compiute con Lui e in Lui. Pregate tanto per la vostra piccola
Carmelitana, perché sia più fedele, più .amante, in questo nuovo anno;
vorrei consolare davvero il mio Maestro, restando unita a Lui, sempre.
Voglio farvi una confidenza tutta intima, dirvi che sogno di essere « la
lode della Sua gloria ». L'ho letto in san Paolo; e il mio Sposo divino
,mi ha fatto sentire che questa è la mia vocazione fin dall'esilio,
nell'attesa di cantare il Sancius eterno nella città dei beati; ma
questa vocazione di « lode di gloria » suppone una grande fedeltà;
bisogna morire a tutto ciò che non è Lui, per non vibrare più che al
suo tocco divino. E invece la povera Elisabetta fa ancora dei torti al suo
Signore; ma, come un tenero Padre, Egli la perdona sempre, la
purifica col suo divino sguardo; ed essa, .come san Paolo, cerca di
dimenticare ciò che lascia indietro, per .slanciarsi sempre innanzi. Come
si sente bisogno di santificarsi, di dimenticarsi, per essere interamente
dedicata agl'interessi dclin Chiesa! Povera Francia! Io invoco per lei
misericordia e
187
la copro col sangue del Giusto, di « Colui che e vivo
sempre per intercedere in vostro favore »3S. E sento che
la missione della .Carmelitana è sublime: la Carmelitana deve essere
mediatrice insieme a Gesù Cristo, deve essere per Lui quasi un
prolungamento di umanità in cui Egli possa continuare la sua vita di
riparazione, di sacrificio, di lode e di adorazione. Chiedetegli che io
possa essere all'altezza della mia vocazione, e non abusi mai delle grazie
innumerevoli che Egli mi prodiga; perché se sapeste come un tale pensiero
mi fa paura qualche volta! Ma allora mi rifugio in Colui che san Giovanni
chiama « il Fedele, il Verace » e lo supplico di essere Lui
stesso la mia fedeltà...
La domenica dell'Epifania si compie il terzo anniversario
delle mie nozze con l'Agnello; durante il santo Sacrificio, consacrando
l'Ostia in cui Gesù si incarna, vi prego, consacrate anche la vostra
figliolina all'Amore onnipotente, perché Egli la trasformi in Lode di
gloria » ''".
Ecco come la Carmelitana, fedele alla volontà del Maestro
e alla sapienza della Chiesa, si rivolgeva al sacerdote per chiedergli di
aiutarla nelle diverse fasi della sua vita spirituale, e di condurla fino
all'unione divina. È tutto il senso del sacerdozio:
con la parola, con la preghiera e con i sacramenti, con la
Messa soprattutto, « formare Cristo » nel mondo delle anime e « per
Lui, con Lui, in Lui », consumarle « nell'imìta •» con
Dio.
Ma poi — cosa che suor Elisabetta della Trinità non
supponeva neppure — essa traeva seco in una atmosfera divina le anime
sacerdotali che ebbero la fortuna di avvicinarla e clic, .tutte
indistintamente serbarono di lei il ricordo di una ben alta santità4''.
Caso non raro, nell'esercizio del sacro ministero:
per un ammirabile compenso della Sapienza divina, il
sacerdote che si china sulle anime è santificato da esse. Chi ha molta
esperienza, lo sa: se il sacerdote e inesso da Dio presso le anime per
dirigerle e salvarle, vi sono pure, nel piano della Provvidenza, delle
anime poste vicine al sacerdote per rivelargli o per ricordargli il
cammino delle eccelse vette. Il Padre Maestro Banez,
38
Ebrei, VII-25.
39 Al Canonico A... - Gennaio 1906.
'!-) Testimonianza ricevuta. Il suo confessore
lin per l;'i un vero culto.
188
i r
celebre professore dell'università di Salamanca e fido
appoggio di santa Teresa, era debitore alla grande riformatrice di alcuni
fra i lumi piu sublimi che fecero di lui un sì alto teologo
contemplativo. E san Giovanni della Croce aggiungeva al suo « Cantico
» una strofa stupenda sulla divina bellezza, dopo aver ricevuto le
confidenze spirituali di una Carmelitana di Beas.
Ma chi potrebbe dire le innumerevoli iniziative
soprannaturali, nella vita della Chiesa attraverso i secoli, e le opere di
apostolato che trovarono in questo stesso modo la loro ispirazione?
Quante anime sacerdotali hanno attinto dagli scritti di
suor Elisabetta della Trinità quello sguardo definitivo verso le alte
cime, che tutto trasforma e rinnova! Per la umile Carmelitana di Digione e
una sua maniera delicata e riconoscente di rendere al sacerdozio un po' di
tutto quello che ne ha ricevuto. Lassù, dal ciclo, essa continua la sua
missione di Carmelitana associata all'apostolato del sacerdote, per
affrettare « il giorno di Cristo » '" in cui « Dio Stira
tutto in tutti » 42, per la « lode della ,stia gloria
» ".
•" Filippesi. 1-10. ''" I Corinti,
XV-28.
•" Efesini, 1-12.
189
CAPITOLO OTTAVO
I DONI DELLO SPIRITO SANTO '
« Tutti gli atti dcll'nnini;i sono suoi e sono insieme di
Dio ».
1. L'azione dei doni dello Spirito Santo - 2. Spirito
di timore -3. Spirito di fortezza - 4. Spirito di pietà - 5.
Spinto di consiglio - 6. Spirito di scienza - 1. Spirito
d'intelletto - 8. Spìrito di sapienza.
1. Lo studio dei doni dello Spirito Santo tratta delle
operazioni più sublimi della vita spirituale e tocca i punti culminanti
della teologia mistica.
Questa attività alla maniera deiforme che riveste
le anime ,dei « mores Irinìtatis » è il trionfo supremo della
grazia e non si manifesta in tutta la sua magnificenza che nella luminosa
sera della vita dei santi quando, essendo il loro proprio io per così
dire scomparso, pare che Dio solo si riserbi le iniziative .tutte del loro
agire. L'anima, introdotta in modo permanente nell'intimità delle divine
Persone, partecipa alla vita trinitaria;
,e, secondo l'espressione di san Giovanni, vive « in
società » 2 .col Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo
« nell'unità » 3. È la grazia del battesimo nel suo
pieno fiorire.
All'inizio, non è così. Il cristiano si muove « in
Dio » un po' come un figlio adottivo che non ha preso ancora tutte le
abitudini della sua nuova famiglia. Il battezzato non possiede che imperfettamente
questa vita essenzialmente deiforme e non sa
' A causa della somma importanza die ha l'azione dei doni
dello Spirito Santo nella vita spirituale, abbiamo dato una ampiezza
maggiore alla esposizione teologica.
2 San Giovanni, 1-3.
3 San Giovanni, XVJI-21.
190
ancora come condursi per vivere « alla maniera di Dio
». Bisogna dunque che le Persone divine gli insegnino a vivere in
seno alla famiglia trinitaria come Dio sfesso e, più specialmente
« a modo del Verbo », poiché la conformità al Figlio segna il
cul-Tnine supremo della nostra predestinazione nel Cristo.
Il passaggio da questa maniera umana delle virtù
cristiane alla maniera divina costituisce propriamente l'oggetto
dell'attività dei demi dello Spirito Sunto. Man mano che il battezzato
procede nclln vita divina e si sviluppa in lui la grazia del suo
battesimo, deve rendersi sempre più consapevole del mistero della sua
filiazione divina che lo rende « estraneo » a tutto ciò che non
è Dio; perché egli è divenuto veramente, secondo l'espressione di san
Pietro, « partecipe della divina natura » " quale sussiste
nella unità della Trinità. I predestinati dunque ricevono, .per grazia
di partecipazione, proprio la natura divina comunicata dal Padre al Verbo
e da entrambi allo Spirito Santo. Il cristiano è un altro Cristo la cui
vita profonda è nascosta col Figlio unigenito nel seno del Padre per
essere ivi « consumata nell'unità » di uno stesso Amore.
È di altissima, assoluta importanza essere profondamente
compresi di questa verità fondamentale. La definizione della grazia
contiene, per via di rigorosa conseguenza, tutto il senso sopi-annatiir.'ilc
della allività delle virtù e dei doni dello Spirito Santo, che daila
grazia stessa derivano, come dall'essere la proprietà. In che modo
renderci conto che la fede ci fa « partecipi del Verbo »
'"', se non si è compreso che, per la grazia della divina adozione,
l'anima è divenuta, nella sua più intima essenza, conforme alla
Trinità? Soltanto questa concezione della grazia, la più tradizionale e
insieme la più profonda, spiega come sotto la mozione speciale delle
divine Persone, si possa vivere già sulla terra « con un'anima di
eternità », « alla maniera del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo
», almeno quanto lo consentono le oscurità della fede e le
difficoltà della presente vita, ostacolo, questo, insormontabile
all'esercizio pieno e sem-
•* IT Pietro, 1-4. 5 S;ui Tomm.iso. Stimma
ThcnI I, 3S a. 1.
191
pre attuale della carità. La parola « parfecipiizione
» " include e definisce tutte le sfumature che la vita deiforme può
assumere nelle anime, dai primi passi di neobattczzsito, fino agli atti
più divini dei « rari perfetti della terra » 7,
stabiliti definitivamente sulle vette dell'unione trasformante, preludio
normale della vita del Cielo. La grazia, infatti, essendo, per la sua
legge più essenziale, ordinata alla maniera deiforme della gloria, avvia
i predestinati con un progresso continuo, verso la vita perfetta ad
immagine di Dio, vita della quale la Trinità beata costituisce, per ogni
battezzato senza eccezione, il principio e il modello. ,« Siate
perfetti come il Padre » s, diceva Gesù; cioè: vivete
alla maniera di una Persona divina.
Tutto il progresso della vita spirituale consiste nello
spogliarsi sempre più di questa maniera umana di vivere virtuosamente,
al fine di avvicinarsi, per via di imitazione, al movi-Jnento più intimo,
più segreto, più divino, della vita trinitaria. ,È giungere a non più
vedere le cose alla maniera umana e neppure nella luce della fede, ma nel
solo lume del Verbo, e « come Lui le vede »; è giungere ad amare
divinamente senza potersi rivolgere ad un bene qualsiasi, creato o
increato, se non per Dio innanzi tutto, per la sola sua gloria, un po'
come le Persone divine si amano tra loro e amano l'universo in uno stesso
movimento di amore.
Richiamare questi principi della più alta teologia
mistica significa delineare l'azione dei doni dello Spirito Santo, il cui
effetto proprio è di avviare le anime alla unione trasformante o di
custodirle in essa, rivestite dei « mores Trinitatis ».
Lo Spirito agisce dapprima lentamente, in crescendo e con
delle pause; poi, se l'anima corrisponde fedelmente, Esso procede con una
frequenza che si fa via via più rapida e viene a costituire alfine uno
stato permanente. È il regime predominante dei doni dello Spirito
Santo che trionfa nell'anima dei santi. Il modello perfetto lo abbiamo in
Cristo Gesù, che in ciascuna delle sue azioni si muoveva a suo
piacimento, sotto la
" Partecipazione formale, analogica, inacleguata.
7 San Tommaso, Summa Tht'ol. ITI, (). 61, a.
5.
8 San Matteo, V-48.
192
mozione e l'influenza dello Spirito. Dopo di Lui, la «
Virgo fidelis » ne costituisce il tipo ideale più accessibile
alla nostra debolezza, poiché Cristo è Dio e, per questa ragione,
ci sorpasserà sempre all'infinito.
Questa vita mistica che è il normale sviluppo della
grazia battesimale, diviene l'immediata preparazione alla vita deiforme
dei beati. Anzi, la teologia osa definirla una « vita eterna incominciata
». L'anima, rivestita dai divinis moribus quanto può esserne
capace una creatura sulla terra, se ne sta fin d'ora — come diceva suor
Elisabetta — « immobile e in pace, come se già fosse nella eternità
», vivendo « in società » col Padre, col suo Verbo, e con il
loro reciproco Amore.
Nella luce deiforme che le viene comunicata, l'anima vede
Dio e le cose tutte « alla maniera del Verbo », come Dio, in quella Luce
unica in cui il Padre contempla il Figlio e il suo Spirito, in cui la
creazione appare a ciascuna delle Persone della Trinità. Ama le Persone
divine e il suo prossimo, come Dio ama Se stesso e tutto l'universo in un
medesimo Spirito di Amore. Quindi, sotto l'attività deiforme delle virtù
teologali, sotto la mozione dei doni, l'anima, secondo l'ardita
espressione di san Tommnso, diviene « partecipe del Verbo e dell'Amore
», « partkcps Verbi, parficeps Amoris » ". Si comporta
veramente, fra le vicende della vita, « alla maniera di Dio » 10,
come Cristo Gìesù, suo modello, che sempre, anche nei minimi atti, era
diretto dal soffio dello Spirito.
Questa « maniera deiforme », è {'effetto proprio
dei doni dello Spirito Santo. Per l'anima, è la vita con Dio nell'unione
trasformante, « non facendo che un medesimo spirito con Luì »
", non avendo ne altra Luce, ne altro Amore. Ma in partecipazione,
bene inteso, con tutte le distinzioni che comporta la nostra
individualità irriducibile di fronte all'increato. Nella coscienza
del suo nulla, in cui la tiene lo Spirito di Amore e di scienza, l'anima
si riposa fidente nel soccorso onnipotente e salvatore che le custodisce
sicura la sua eterna eredità.
" San Tommaso, Sminuii Theo!., I, q. 38, a. 1.
1:> San Tommaso, 3 Seni.. d. XXXIV, q. 1,
a. 3 «ut j'am non humanitus, se<) quasi Pcw f.ìclus
participatione operetur ». " ) Col-imi, VI-17.
193
Le virtù cardinali, a loro volta, entrano/in questa fase
di trasformazione divina nella misura in cui si può scoprire in Dio il
loro prototipo ideale.
In Dio, la prudenza è quella provvidenza universale e
tutelare che dirige il mondo, anche nei minimi avvenimenti, « con
forza e con soavità » 12. La temperanza non può esservi
in Dio, perché le passioni sensitive sono assenti dalhi divintà; vi è
però .una beata concentrazione nell'unita, e una misteriosa circiin-iin-ccssioiic
delle l'osonc divine die ripo,s;inn l'un.i lu'll'altra, il Padre nel
Piglio, ed entrambi nel loro unico Amore, e gioiscono in comune della loro
propria felicità. La forza di Dio è la tranquillità immutabile che
mantiene la beata Trinità in una pace inalterabile, al di sopra delle
nostre umane agitazioni. La giustizia poi, in Dio, consiste
nell'osservanza benevola ma fedele delle leggi liberamente stabilite per
la sua propria gloria e per il vero bene dei predestinati.
L'anima, indotta in questi « divini costumi »,
partecipa più .o meno a questa vita deiforme che la rende così cara alle
Persone divine. « La Trinità si compiace tanto di ritrovare nelle sue
creature la propria immagine! » ". E il Maestro, che lo sapeva,
ammoniva: « Siate perfetti come il Padre Celeste ».
Tutte queste virtù « alla maniera deiforme »
imprimono nell'anima la somiglianzà con la vita stessa di Dio. Mediante
la grazia e le sue proprietà, l'anima entra veramente in
partecipazione della Natura Increata e degli attributi divini.
La sua prudenza, disprezzando tutte le contingenze e le
vanità di questo mondo si rifugia nella contemplazióne delle sole cose
divine. La sua temperanza, nella misura in cui il corpo lo consente,
lascia da parte tutte le gioie sensibili; anzi, non le conosce nemmeno
più; è il « riescivi » " dell'anima che ha .trovato il suo
Dio e il cui possesso la tiene in un ardente e felice .oblìo di tutto il
resto. La sua forza ha una certa somiglianzà con l'immutabilità divina:
più nulla ha il potere di distrarla o di agitarla, e tanto meno di
allontanarla da Dio. La lotta non
12
Sapienza, VIIT-1.
13 Lettera al canonico A... - A.costo 1902.
14 Cfr. «Ultimo riliro», II.
194
esiste più, per lei; è, nella sua vita, il trionfo pieno
di Dio. Tutte le sue potenze sono tese verso di Lui, per servirlo e
adorarlo; ed essa rende a Dio, in tutte le cose, onore e gloria, vivendo
con Lui nella unità di un medesimo Spirito. L'anima, giunta a questa
sommità; entra definitivamente nel ciclo della vita trini-taria e sembra
vivere, come Dio, « in eterno presente » 15.
Suor Elisabetta della Trinità, lettrice assidua del « Cantico
» e della « Vn'ii fnimvia » •si è fermata a descrivere
soltanto questi ,st;iti siipci ini-i. Non già die essa ignori o disprezzi
il duro sentiero della salita del Monte Carmelo; al contrario, un
ascetismo implacabile accompagna sempre, in lei, la descrizione degli
stali mistici più elevati: l'anima che non e morta a tutto, che «
asseconda un pensiero inutile, un desiderio qual-siasi » le,
si preclude da se stessa la via delle alte cime, alla unione trasformante
non giungono che « le anime risolute a partecipare effcftivnmenle
alla passione del loro Maestro e a rendersi conformi alla sua morte »
". Bisogna tuttavia riconoscere che la tendenza del suo spirito
rimane prevalentemente mistica. La sua dottrina dell'unione trasformante
è quanto mai personale; e ne abbiamo l'espressione più evoluta nelle
ultime sue lettere e nei due ritiri, proprio quando la sua vita era
do-Xninata da questa maniera deiforme dell'attività dei doni dello
Spirito Santo. Questo carattere originale, assolutamente inconfondibile,
della dottrina mistica di suor Elisabetta della Trinità non deve
sorprenderci; lo Spirito è essenzialmente multiforme e vi sono numerose
dimore nell'unione trasformante; si potrebbero dire, anzi, di una varietà
infinita, la quale costituisce una .più stupenda manifestazione della
gloria di Dio. Ne fanno prova le descrizioni così varie che ce ne hanno
lasciate i Padri e i Dottori della Chiesa, i quali hanno trattato soggetti
mistici in .modo diversissimo gli uni dagli altri, a seconda della propria
indole, dei propri gusti, dell'educazione ricevuta, dell'ambiente. San
Giovanni della Croce e santa Teresa ce ne hanno lasciato delle analisi in
cui,, malgrado un accordo fondamentale, si ri-
15
Ultimo ritiro, X.
"'' Ultimo ritiro, II.
17 Ultimo ritiro. V.
195
scontrano notevoli differenze. San Tommaso d'Aquino,
seguendo la forma del proprio genio didattico per eccellenza, e
utilizzando il pensiero di Piotino che era stato il più grande genio
.mistico dell'antichità, ha saputo concentrare in un articolo
interessantissimo tutto uno studio breve, ma profondo sulla somiglianzà
« cum divini? moribus », somiglianzà che egli dice accessibile soltanto
a « qualche raro perfetto della terra »; in tale
•articolo, quasi piccola somma mistica, troviamo
espresso con .riassuntiva concisione il punto più elevato delta sua
morale, la sua dottrina così personale dell'unione trasformnnte.
Anche in questo punto, anzi qui soprattutto, sarebbe
puerile voler chiedere a suor Elisabetta della Trinità un insegnamento
sistematico sull'esistenza, la necessità, la natura, la proprietà dei
doni dello Spirito Santo, nella luce dell'unione trasformante. Compito
della Carmelitana non è di insegnare in maniera dotta le vie dello
spirito, ma di seguirle nel silenzio di una vita « tutta nascosta in
Dio con Crfsfn » 1<ì. Al teologo. poi, discernere il
valore dottrinale di questa testimoninn/.a e scoprirvi la realizzazione
concreta dei principi della scienza mistica. In suor Elisabetta della
Trinità si verifica, sopra un fondo di anima Carmelitana, l'incarnazione
vivente della dottrina classica sui doni dello Spirito Santo.
Troppo spesso ci si immagina, e a torto, che le mozioni
dello Spirito Santo non siano che per i soli atti eroici e accompagnate da
grazie straordinarie: puri carismi concessi talora da Dio ai suoi servi
per l'utilità della Chiesa, e che importa grandemente distinguere
dall'attività dei doni. Per,, se, possono esserne disgiunti. La Madre di
Dio, che è il tipo ideale, assolutamente .perfetto, dell'anima fedele,
sempre docile allo Spirito Santo,
-non si legge che abbia avuto estasi, e probabilmente,
durante la sua vita terrena, non compì alcun miracolo; passava,
inavvertita, fra le donne di Nazareth; eppure, il più semplice gesto, il
minimo sguardo della Madre di Dio aveva un valore, un'importanza
corredentrice superiore a tutte le sofferenze dei martiri unite insieme,
superiore anche a tutti i meriti della Chiesa militante, sino alla fine
del mondo. Le operazioni della grazia santi-
" Colossesi, I II-?.
196
ficante appartengono ad un ordine infinitamente superiore,
essenzialmente trinitario. Quanto più deiforme è il principio
dell'agire, tanto più meritoria è l'attività; ecco perché il minimo
atto di Cristo, emanando dalla Persona di un Dio, possedeva un valore
meritorio, impetrarono e soddisfattorio infinito. In un sorriso e come
trastullandosi, Gesù avrebbe potuto riscattare migliala di mondi.
Questa dottrina è della massima importanza; ed è
consolante vedere come i santi stessi vi insistano. Suor Elisabetta della
Ti-init.ì, come già santa Teresa di Gesù Bambino, dichiara che la più
elevata santità non consiste nelle rivelazioni e nei miracoli e nemmeno
in una condotta straordinaria; ma nella pura fede, in una carità per
quanto è possibile divina e insieme attuale, manifestata nella pratica
costante e coraggiosa del dovere quotidiano. « Tutto consiste
nell'intenzione; con essa, possiamo santificare le minime cose, trasformare
le azioni più ordinarie dcììa vita in azioni divine ». Non
sogniamo ne estasi ne martirio: « Un'anima che vive unita a Dio non può
agire che soprannaturalmente e le azioni più ordinarie, invece di
separarla da Lui, non fanno che avvicinarvela sempre più » ".
Parlando della Madonna, suor Elisabetta ci ha lasciato una
frase profonda che mostra fino a qual punto abbia intuita questa verità:
« Le cose più ordinarie — scrive — erano da Lei divinizzate » T".
E, nell'atteggiamento della Vergine della Incarnazione, silenziosa e
fedele, adoratrice del Verbo celato nel suo seno, ella sapeva riconoscere
il vero modello delle anime intcriori che vogliono vivere in semplicità,
docili sempre ai più lievi impulsi dello Spirito. Questo è, per lei, la
santità autentica. Ma, « quale raccoglimento, quale sguardo amoroso e
costante a Dio, reclama quest'opera sublime! San Giovanni della .Croce
dice che l'anima deve starsene nel silenzio e in una solitudine assoluta,
perché l'Altissimo possa realizzare i suoi disegni sopra di lei. Allora,
Egli la porta, per così dire, fra le bràc-'j eia, come una madre
porta la sua creaturina, e incaricandosi
19
Lettera -alla mamma - 10 settembre 1906. !:) « II paradiso
sulla terra » - 12" orazione.
197
JEgli sfesso della sua intima direziono,
regna in lei inondandola di pace serena » 21.
« Tutti i suoi atti, pur derivando da lei, vengono nello
stesso tempo da Dio » 22. Essa è insieme passiva e attiva:
passiva sotto la mozione divina, attiva in virtù del suo libero arbitrio.
Dio non sopprime la sua attività personale, ma la dirige, la
so-prannaturalizza, in maniera tutta divina. Sono queste, evidentemente,
le note caratteristiche del regime mistico dei doni.
« L'anima che penetra e dimora nelle profondità di
Dio cantate dal Rè profeta, e che tutto compie in Lui, con Lui e per
Lui, con quella limpidezza di sguardo che le conferisce una certa
somiglianzà con l'Essere semplicissimo, quest'anima, con ciascuna delle
sue azioni, per quanto ordinarie siano, si radica sempre più
profondamente in Colui che ama. Tutto, in lei, rende omaggio al Dio tré
volte santo; essa, è, per così dire, un Sanctus ininterrotto,
un'incessante lode di gloria » 23. È la vita perfetta,
nella docilità di tutti gli istanti al minimo soffio .dello Spirito.
Un'osservazione ancora, di carattere generico.
La grazia santificante reca nell'anima simultaneamente
tutto l'organismo spirituale delle virtù e dei doni; ma la loro libera
attività non prende Io stesso rilievo in tutti, in modo uniforme. .Alcune
anime sono eminenti in questa o in quella virtù particolare, mentre le
altre virtù, che tuttavia sono presenti in esse ed attive non appena Io
esigano le circostanze, restano di solito in seconda linea.
Così, ad esempio, la forza si manifesta stupendamente nei
martiri, la purità nelle vergini, la fede luminosa nella vita dei
dottori, il puro amore di Dio nel silenzio contemplativo. Allo stesso
modo, alcuni doni dello Spirito Santo predominano con particolare evidenza
nella vita di alcuni santi: il dono del consiglio è più rilevante negli
uomini di governo; il dono della scienza, accompagnato spesso dal dono
delle lacrime, è più visibile negli Apostoli chiamati ad operare grandi
conversioni
21
Lettera a Don Ch... - Primavera 1905.
22 « II paradiso sulla terra » - 3' orazione.
23 Ultimo ritiro. Vili.
198
I I
e che si sentono profondamente commossi dallo spettacolo
della miseria morale dei loro fratelli in Cristo; il dono della sapienza
risplende nei grandi contemplativi i quali, elevandosi al di sopra di
tutte le create cose, non vivono che per Dio solo, nella compagnia
abituale delle Persone divine.
Non deve sorprenderci, dunque, se nella vita e nella
dottrina spirituale di suor Elisabetta della Trinità, i sette doni dello
Spirito Santo non si presentano tutti con uguale rilievo: il dono del
timore, ad esempio, sembra come attenuato, altrettanto il dono del
consiglio; al contrario, il dono della fortezza si manifesta luminosamente
in mezzo alle sofferenze che resero gli ultimi suoi giorni terreni uno
straziante calvario. Sono in lei palesi soprattutto i grandi doni
contemplativi dell'intelletto e della sapienza, in virtù dei quali il
movimento dell'anima sua è fortemente attratto verso gli abissi della
vita trinitaria.
Questa analisi dei doni dello Spirito Santi ci introdurrà
nelle più segrete operazioni d'amore che la Trinità svolge in
questa anima così divinamente amata.
2. Nessuna colpa grave ha deturpato mai la sua anima
verginale; è naturale, quindi, che non vi sia in lei nessuna traccia di
quel timore colpevole che angustia le persone mondane. L'angoscia
dell'inferno, che ha fatto tremare tante altre anime quantunque sante,
sembra non averla nemmeno sfiorata. Nel peccato, una cosa sola essa
considera; l'offesa infinita al Dio d'amore; ed è questa che la spaventa
nella sorte dei peccatori e nella sua propria vita: timore filiale di
un'anima che teme soltanto la pena causata a un Padre infinitamente buono,
meritevole di tutta la fedeltà. « Io piango questi peccati che ti hanno
fatto tanto male » 24.
Piuttosto la morte che il peccato. « Se dovessi, un
giorno, offendere mortalmente lo Sposo che amo sopra tutte le cose, o
morte, falciami presto, tè ne Scongiuro, prima che io abbia avuta
un'infelicità così grande » ". « Mi sento disposta a morire piut-
24
Diario - 14 marzo 1899. " Ibidem - 10 marzo 1899.
199
tosto che offenderti volontariamente, sia pure col
pec'cato veniale »26.
Sotto l'influenza dello Spirito di timore, l'anima si
sente tremare dinanzi all'infinita Maestà che abita in lei e che potrebbe
annientarla in un attimo, come le sembra di meritare per i suoi peccati.
Fino a che rimane ferma in questo sentimento di religioso timore, quasi di
terrore sacro, le diviene impossibile qualsiasi ripiegamento di
compiacenza sopra se stessa; ma, con tutte le forze, elimina quanto in lei
potrebbe dispiacere al suo Dio. Questo Spirito di timore la mantiene
nell'umiltà che è custode della carità perfetta. Sentimento necessario
ad ogni creatura dinanzi alla Maestà di Dio; tanto che esso anima ancora
ed in eterno i beati nel cielo, e raggiunge la sua espressione suprema
nell'anima del Cristo di fronte alla potenza tremenda del Padre suo,
infinitamente temibile ai peccatori.
Se non troviamo, in suor Elisabetta della Trinità dinanzi
alla tremenda Maestà di Dio, quella forma di timore riverenziale così
pungente nell'anima di certi santi e nell'Agonizzante del Gethscmani,
possiamo riconosccrne però lìclln sua vita altri efletti caratteristici.
Al dono del timore si ricollega quella beatitudine, la prima di tutte, dei
« poveri in ispirilo », la quale ha una speciale affinità col
primo dei sette doni; doni che rendono l'anima docilissima all'azione
dello Spirito Santo. « Beali i poveri in ispirilo », i distaccati
da tutto, quelli che non vogliono altra ricchezza che la Trinità e, di
tutto il resto, niente, nada. Niente delle creature; niente nella
memoria e nei sensi;
povertà, povertà, povertà. Niente nell'intelligenza,
fuorché la luce del Verbo; niente nella volontà e nel più intimo
dell'anima, se non la presenza della Trinità, la sola beatificante.
Sotto l'influenza dello Spirito di timore, l'anima, libera
da ogni pensiero d'amore estraneo a Dio, si immerge nel proprio nulla, si
vuota di se stessa, paventa la più lieve colpa, il minimo attacco,
l'ombra stessa dell'imperfezione, la fiducia che si appoggia alla
creatura; per realizzare questa povertà libera-trice che la renderà
beata, vuole camminare assolutamente « sola col Solo ». Ora, in suor
Elisabetta della Trinità, il dono
2" Diario - 11 marzo 1899.
200
del timore assume proprio questa forma essenzialmente
Carmelitana, stimolandola lo Spirito a distaccarsi da tutto per rifugiarsi
in Dio solo, al, di sopra di ogni motivo umano, nel vuoto di tutto il
creato.
3. Il dono della Fortezza è uno dei doni più
caratteristici della fisonomia spirituale e della dottrina mistica di suor
Elisa-betta della Trinità.
I suoi primi sgomenti di bimba scomparvero ben presto al
contatto contemplativo dell'Anima del Crocifisso. Fu il segreto della
trasformazione così rapida del suo atteggiamento dinanzi alla
sofferenz;!. Il suo diario di giovinetta ce la mostra già vittoriosa di
se stessa e della sensibilità puerile che l'aveva fatta tremare per
dovere andare dal dentista. Il suo ideale si è fatto virile; adesso
guarda in faccia il dolore, anzi lo desidera vivamente.
A diciannove anni scrive: « Voglio vivere e morire da crocifissa
» ;7.
Tali desideri Dio li esaudisce; e fece bene, suor
Elisa-betta, a prendere come parola d'ordine della sua vita religiosa:
rendere i movimenti della propria anima sempre più uguali
a quelli dell'Anima del Crocifisso.
La vita religiosa è un vero martirio; e le sue anime
sante vi trovano ampin messe di sacrifici crocifiggenti il cui merito può
uguagliare e persino sorpassare quello del martirio di sangue. Dio sa
determinare per ogni anima, nella cornice della propria vocazione, la via
del Calvario che la condurrà diritta, senza indugi, alla conformità
perfetta col Crocifisso, a condizione che non venga trascurata nessuna
occasione di mortificare la natura e di abbandonarsi senza riserva alle
esigenze dell'Amore.
Anche la sola pratica — assolutamente fedele — di una
regola approvata dalla sapienza della Chiesa basterebbe per condurre le
anime alle più alte vette della santità; tanto è vero che il sommo
Pontefice Giovanni XXII diceva: — Datemi un Frate dell'Ordine dei
Predicatori che osservi la sua regola e le sue costituzioni e, senza
bisogno di altro miracolo. Io canonizzo.
" Dinrio - 31 marzo 1899.
201
Altrettanto si potrebbe dire delle sante regole del
Carmelo e di ogni altra forma di vita religiosa. Il compimento perfetto
dell'oscuro dovere di ogni giorno esige l'esercizio quotidiano del dono
della fortezza. Non sono le cose straordinarie, lo sappiamo, che formano i
santi, ma la maniera divina nel fare le cose ordinarie.
Questo « eroismo di piccolezza » di cui santa Teresa di
Gesù Bambino rimane nella Chiesa l'esempio forse più luminosamente noto,
trovò nella Carmelitana di Bigione una attuazione nuova. Poiché le
mortificazioni straordinarie non le erano permesse, essa vi supplì con
una fedeltà eroica alle minime osservanze del suo ordine, sapendo trovare
nella regola del Carmelo « la forma della sua santità » zs e
il segreto di « dare il sangue a goccia a goccia per la Chiesa, fino a
morirne » ^'.
La fortezza, infatti, questo dono dello Spirito Santo,
consiste meno — contrariamente a quanto per lo più si crede —
nel-l'intraprendere coraggiosamente grandi opere per il Signore, che nel
sopportare con pazienza e col sorriso sul labbro tutto ciò che la vita ha
di crocifiggente; essa poi si manifesta stupendamente nei santi all'ora
del martirio e, nella vita di Gesù, al momento della sua morte sulla
Croce. Giovanna d'Arco è più intrepida sul rogo che alla testa del suo
esercito entrante vittorioso ad Orléans.
In Suor Elisabetta della Trinità, si trovano tutt'e due
queste forme del dono della fortezza, la seconda specialmente. All'inizio
della vita religiosa e nell'entusiasmo del suo primo fervore, una fame e
una sete inesprimibile di santità la divorano: « Sono contenta di vivere
in questa epoca di persecuzione. Come bisognerebbe essere santi!...
Chiedetela per me questa santità di cui ho sete... Vorrei amare come
amano i santi, i martiri » 3". In lei, non erano parole
vaghe come se ne sentono da certe anime che sognano il martirio d'amore e
poi sopportano a stento una puntura di spillo e i minimi urti della vita
comune. Senza smarrirsi in lontani miraggi di santità chime-
28
Lettera al Canonico A... - Luglio 1903.
29 Alla sua Priora.
3:1 Lettera al Canonico A... - 11 settembre 1901.
202
fica. ma col realismo pratico dei santi, suor Elisabetta,
alla luce del suo Dio Crocifisso, ebbe la sapienza di scoprire nei minimi
atti della vita ordinaria il mezzo migliore per provare a Dio quanto lo
amava. « Non so se avrò la felicità di dare al mio Sposo divino la
testimonianza del sangue; ma, se vivo pienamente la mia vita di
Carmelitana, ho almeno la consolazione di consumarmi per Lui » 31.
« Se mi chiedesse il segreto della felicita, risponderei: non far nessun
conto di sé, rinnegare continuamente il proprio io » 32.
Negli ultimi mesi, andò incontro al dolore « con la
maestà di una regina » 3'". Tutto il suo povero essere
andava in rovina, straziato, consumato, ma in quell'anima di martire, fu
l'ora trionfale del dono della fortezza. La valorosa « lode di gloria »,
immedesimata sempre di più con l'anima del Crocifisso, faceva pensare
alla forza divina del Calvario; vedendola, la sua Madre Priora si volgeva
istintivamente all'immagine del Crocifisso. Ed ella stessa si rendeva
conto perfettamente del senso di questa consumazione della vita nel
dolore; scriveva alla mamma: « Tu temi che io sia designata come vittima
per il dolore. Oh, tè ne scongiuro, non ti rattristare; io temo, invece,
di non esserne degna. Pensa, mamma, che sublime cosa partecipare alle
sofferenze del mio Sposo Crocifisso e andare alla mia passione con Lui,
per essere con Lui redentrice! » 34. « II dolore mi attira
sempre di più; e il desiderio che ne provo supera per-sino quello del
cielo, che è davvero grande. Il Signore non mi aveva fatto mai
comprendere così bene che la sofferenza è la prova più grande di amore
che Egli possa dare alla sua creatura; e allora, credi, ad ogni nuova
pena, bacio la croce del mio Maestro e gli dico: — Grazie! — Ma non ne
sono degna; penso che. la sofferenza fu la compagna della sua vita, ed io
non merito di essere trattata come Lui dal Padre suo » 3S.
« II segno al quale possiamo riconoscere che Dio è in
noi e che il suo amore ci possiede, è il ricevere non solo pazien-
•'" Lettera al Canonico A... - Luglio 1903. K
Lettera a Fr. di S... - 11 settembre 1906. 33 Espressione di un
testimonio. 31 Lettera alla mamma 18 luglio 1906. ss
Alla mamma - Settembre 1906.
203
temente ma con riconoscenza quello che ci ferisce e
che ci fa soffrire. Per giungere a questo bisogna contemplare il nostro
Dio Crocifisso per amore; e questa contemplazione, se è reale e sentita,
conduce infallibilmente all'amore della sofferenza. Mamma cara, ricevi
ogni prova, ogni contrarietà, ogni avvenimento sgradevole considerandoli
alla luce che emana dalla croce; è così, sai, che si piace a Dio e che
si progredisce nelle vie dell'amore. Oh, digli grazie per me! Io sono
tanto, ma tanto felice; e vorrei poter comunicare un po' «.li questa
felicita a coloro che amo... Ci ritroveremo all'ombra della croce; lì ti
attendo per impararvi la scienza del dolore » 3".
Suor Elisabetta, « lieta per dominio di volontà, sotto
la mano che la crocifiggeva », sentiva il bisogno di rifugiarsi nella
devozione della Regina dei martiri inabissata nella vastita di un dolore
« immenso come il mare » '1], ma « ritta e forte ai piedi
della croce » ''", nella pienezza di un gaudio tutto divino — « piane
gaudens » 39 — perché pensava, questa Madre addolorata,
che l'oblazione del Figlio suo e lo spettacolo della redenzione placavano
la Trinila santa.
Uno degli ultimi biglietti scritti alla mamma ci permette
di sorprenderla in questo atteggiamento eroico del dono della fortezza.
« C'è un Essere, che è l'Amore, il quale vuole
che viviamo in società con Lui. Egli è qui con me, mi tiene compagnia,
mi aiuta a soffrire, mi insegna a passare al di là del dolore per
riposarmi in Lui... Così, tutto si trasforma'... »''".
È chiaro che tutto ciò supera la misura umana e non può
spiegarsi se non mediante lo stesso Spirito di fortezza che sosteneva
Cristo in Croce.
4. Lo Spirito di Gesù riveste in noi aspetti multiformi:
è lo Spirito di timore, di fortezza, di pietà, di
consiglio, di scienza, di intelletto, di sapienza.
36
Allii mamma - 25 settembre 1906.
37 Or. Thren. 11-13.
38 Stabat.
39 Enciclica « Ad diem illuni », 2 febbraio 1904. w
Alla mamma - 20 ottobre 1906.
204
Nel dono del timore e nella beatitudine dei poveri,
sospinge l'anima al; distacco assoluto e le ispira come parola d'ordine:
« Nulla, nulla, nada » ". Non contare che su
Dio il quale non ci viene mai meno. Diffidente di sé, l'anima si rifugia
nell'Onnipotenza divina; e allora lo Spirito di fortezza si impadronisce
di lei e le fa ripetere con fiducia: « Ho fame e sete di giustizia, di
santità'12. Signore, spero in tè e la mia speranza non sarà
delusa » ". Pronta a tutti i martiri per il suo Dio, potrebbe
esclamare come Teresa di Gesù Bambino: « Un martirio solo non mi basta;
li vorrei tuttti »'"; o come suor Elisahetta della Trinità:
«Vorrei amare come amano i santi, i martiri... amare fino a morirne »
'". Che dire delle meraviglie ineffabili che lo Spirito di Gesù può
compiere silenziosamente in tali anime? Egli penetra nelle più intime
profondità del loro essere e le fa sospirare a Dio con gemiti
inenarrabili. Ed allora l'anima, figlia adottiva della Trinità, mormora
con una tenerezza tutta filiale:
« Abba, Poter! » '"''; è lo Spirito
medesimo del Figlio.
Suor Elisabetta, possedendo una chiara coscienza di questa
paternità divina, si fermava spesso e con tanto diletto, alla luce del
suo caro san Paolo, nella meditazione di quella grazia di adozione che
vivificava il suo culto verso Dio. Non metodi rigidi, ne formule
complicate che potrebbero paralizzare gli slanci del suo cuore fìlinle;
corre a Dio come una bimba al padre- sue.
Tutto è semplificato: la Trinità è per lei la « cara
dimora », la « casa paterna » donde non vuole uscir mai, l'atmosfera
familiare dove l'anima sua di battezzata si sente pienamente a suo agio.
Tutti i moti del suo spirito si volgono a Dio come ad un Padre teneramente
amato; e la sua sublime preghiera alla Trinità non è che l'effusione del
suo cuore di figlia; bisognerebbe analizzarla alla luce del dono della
pietà per scoprirvi il segreto della sua vita di orazione. Come è
lontana da quelle
'" San Giovanni dellsi Croce.
" S;in M;iltco, V-6.
•" S.ilmo
XXX-2.
'" Storia di un'anima.
" Cfr. Diano e lettera .•il Can. A... - 11
settembre 1901.
'» Romani. VIII-15.
205
preoccupazioni interessate che ingombrano tante vite di
preghiera, le quali sembra che non si avvicinino a Dio se non per
implorarne il soccorso. Qui, il primo posto è per l'orazione silenziosa e
adoratrice, per la conformità all'anima di Cristo, per la contemplazione
degli « abissi » della Trinità; e. senza sforzo alcuno, l'anima si
eleva fino alle Persone divine con lo Spirito stesso del Figlio: « O mio
Cristo, Padre, chinati verso la tua povera piccola creatura e non vedere
in essa che il Figlio diletto in cui hai posto tutte le tue compincenze »
".
Anche la preghiera di domanda per i peccatori occupa
intensamente, è vero, la sua anima di Carmelitana e di corredentrice; ma
nella sua vita di adorazione, la preghiera che adora tiene — e di molto
— il primo posto: è il più puro spirito di Gesù, il perfetto
adoratore del Padre, venuto sulla terra prima di tutto per raccogliere
intorno a sé i veri adoratori che « il Padre cerca » 4S
e che la Trinità attende. Infatti, il carattere proprio del dono della
pietà è di elevare l'anima religiosa, nelle sue relazioni con Dio, al di
sopra di oi^ni considerazione interessata e di ogni motivo creato, sinno
essi bisogni o benefici w.
Mentre la virtù infusa di religione rende a Dio il culto
clic gli è dovuto nella sua qualità di sovrano Signore, principio e fine
supremo di tutte le cose, autore dell'ordine dell'universo naturale e
soprannaturale, invece il dono di pietà, prescindendo da tutto ciò che a
Dio è dovuto per le sue liberalità, non guarda che l'eccellenza increata
dell'eterno, e la misura della sua lode è la gloria stessa che Dio trova
nel proprio seno, nel
47
Elevazione alla Trinità.
48 San Giovanni, IV-23.
49 Cfr. il teologo classico dei doni dello Spirito
Santo, Giovanni di san Tommaso <q. 70, disp. XVIII, art. 6
Vivés 668): Tutto lo sforzo della sua analisi del dono di pietà ha per
lesto fondamentale l'insesnamento di san Tommaso nelle sentenze III, d.
34, q. 3, a. 2, q. 1, ad 1: « Pietas quae est donum accipit in hoc
aliqutd divinum prò mf.nsura, ut scilicet Deo honorem
impendnt, non quia sit El cebitus. sed quia drus honore dignus est,
PER quem modum etiam ipse deus sibi bollori est ». E, di qui, Giovanni di
san Tommaso. p. 669: « At vero donum pietatis relicta hac mensura
retri-nu'now.s et lar.aitionis hononiin, honorat et magnificat Dominimi
rattone sui... SOUJM attendit ad magniti'tiinfm iìivinam IN
.^F. ". ccc.
206
Suo Verbo/cioè, e nelle Sue perfezioni infinite. La
Vergine santa, nel suo Magnificat, ci lascia cogliere un movimento
bellissimo dell'anima sua vibrante al soffio dello Spirito di pietà,
quando glorifica Iddio, non solo per le di lui « infinite misericordie
di generazione in generazione », e nemmeno per la grazia sublime
della maternità divina per cui tutte le nazioni la chiameranno beata, ma
soprattutto perché Egli è grande in Se medesimo, e le cose meravigliose
operate da Lui nella sua povera serva non sono che il segno della « sua
onnipotenza e della santità del suo Nome. Et. sanctum Nomen eius
» 5t>. Di modo che la ragione per la quale glorifica Dio ed
esulta in Lui, non è se non quella divina grandezza di cui tutte le opere
esteriori non sono che debolissima manifestazione,
La virtù di religione considera Dio creatore e
provvidenza:
« Degno sei fu, o Signore e Dio nostro, di ricevere
l'onore e la gloria perché hai creato tutte le cose e le fai sussistere
con la tua volontà » ''". Ma rende a Dio anche un culto di
riconoscenza e di lode, perche Egli è l'autore della Redenzione e di
tutto l'ordine soprannaturale: « Degno tu sei, o Signore, di ricevere
il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e col fun
sangue hai riscattato a Dio uomini da ogni tribù e lingua e popolo e
nazione; e li hai fatti popolo regale e sacerdoti, e regneranno sulla
terra » •i'2.
lì dono della pietà, elevandosi al di sopra di tutti
questi motivi d; bontà di Dio verso di noi, non vuole considerare che
Lui, Dio stesso, e il mistero insondabile delle infinite perfezioni di
questa Essenza divina in seno alla Trinità. Quindi non fissa il suo
sguardo soltanto sulla paternità di Dio per le anime mediante la grazia,
ma come il Verbo, lo Spirito di pietà penetra negli intimi recessi della
divinità, fino alle più segrete ricchezze di questa natura increata:
paternità eternamente feconda, generazione di un Verbo consustanziale al
Padre, sua Immagine, sua gloria e suo splendore, spirazione di un comune
Amore consustanziale e coeterno che sempre li ha uniti e li
5:) San Luca,
T-49.
51
Apocalisse. TV-11.
52 Ibidem, V, 9 e 10.
207
unirà, adesso e per i secoli senza fine; natura identica,
comunicata dal Padre al Figlio, dal Padre e dal Figlio allo Spirito Santo,
senza anteriorità di tempo, senza ineguaglianza di per^ fezione, senza
dipendenza, ma con ordine e distinzione delle Persone in una indivisibile
Unità.
Il motivo del dono della pietà è la Trinità stessa.
L'anima non arrestandosi più alla stima dei benefici di Dio, vorrebbe
glorificarlo tanto quanto Egli è a Se stesso la propria lode. Vorrebbe
uguagliare la misura divina, e ciò imprime una maniera deiforme
a tutto il suo culto di preghiera, di ringraziamento e soprattutto di
adorazione. Secondo la formula così profonda, familiare a suor Elisabetta
della Trinità, ella « adora Dio a causa di Lui sfesso » e
perché è Dio. La Chiesa della terra è sotto questa mozione speciale de!
dono di pietà quando, ogni giorno, al Gloria della Messa, canta: « Noi
fi ringraziamo o Signore, per la tua gloria infinita. Grafiti'; aginms
tibi, propier magnani gloriam tuam ». Questo culto di glorificazione
della divina Maestà non si rivolge ;ul alcuno dei suoi bencHci. ma alla
sola grandezza di Dio in Se stesso; il motivo quindi di questo movimento
di pietà adoratrice è la Deità stessa nella sua eccellenza increata,
infinitamente superiore a tutti i suoi doni. Un sentimento simile a questo
faceva esultare l'anima religiosa di suor Elisabetta della Trinità, come
una volta quella della Madre sua santa Teresa, quando la domenica,
all'ufficio di « Prima », la liturgia metteva sulle sue labbra il « Quicum-que
», facendo passare sotto lo sguardo contemplativo della Chiesa
l'enumerazione delle perfezioni divine celate nel seno del mistero
trinitario: Unità nella Trinità e Trinità nell'unità, senza confusione
di Persone, senza separazione di sostanza;
una sola Divinità: Padre, Figlio e Santo Spirito; gloria
identica, maestà coeterna, uguale potenza, uguale immensità, uguale
eternità ".
Nelle ultime ore della sua vita, suor Elisabetta, tutta
dominata dal pensiero dell'eternità, amava tanto i capitoli
dell'Apocalisse che le descrivevano la vita adoratrice della liturgia del
cielo, dove l'anima « vivendo al di sopra di tutto ciò che passa,
53 «
Quicumque »; a Primn delia domenica.
208
al di sopra di se medesima, adora sempre Dio per Se
stesso, secondo la parola del Salmista: « Adorate il Signore, perché
Egli è santo ».
« L'adorazione è veramente una parola di cielo; mi pare
che si possa definirla: l'estasi dell'amore; è l'amore annientato dalla
bellezza, dalla forza, dalla grandezza immensa dell'oggetto amato ». «
I,'anima sa che Colui che essa adora possiede in sé ogni gloria ed ogni
felicità e gettando la sua corona, come i beati, dinanzi a
Lui, si disprezza, non bada più a sé, e trova la propria felicità in
quella dell'Essere adorato » M.
Con la liturgia eterna, espansione suprema del dono della
pietà, la Chiesa trionfante trasportata in Cristo e da Cristo nella lode
del Verbo, realizza il sogno più caro dell'anima ado-ratrice di suor
Elisabetta: l'incessante lode di gloria alla presenza della Trinità.
°>. Il dono del consiglio è per eccellenza un
dono di governo. Ora, suor Elisabetta della Trinità non fu Priora ne in
alcun modo incaricata delle anime; l'intera sua vita religiosa trascorse
dal noviziato all'infermeria. E tuttavia possedette in sommo grado questo
Spirito di Dio. Il dono del consiglio del resto, se è più manifesto in
chi è investito di autorità, non è meno necessario a tutte le anime per
il perfetto orientamento della loro vit.-i secondo i disegni di Dio... Nei
superiori, assume la forma di una dirczione prudente e soprannaturale che,
anche nella organizzazione delle cose materiali, cura innanzi tutto il
bene spirituale delle anime e si preoccupa di dare a Dio la più grande
gloria; negli inferiori, insinua una docilità vigilante nel sottomettersi
a tutti i voleri del Signore manifestati dai suoi legittimi
rappresentanti; perché, prescindendo dai loro pregi o dai loro difetti.
Dio solo parla in essi, e in essi merita di essere ascoltato.
Il dono del consiglio si mostrò, in suor Elisabetta della
Trinità, dapprima sotto questa forma di pronta docilità al suo direttore
spirituale; giovinetta, lo consultava su tutto quello che concerneva il
bene dell'anima sua, e si atteneva fedelmente a
'">
Ultimo ritiro. Vili.
209
quanto egli aveva deciso; novizia, ricorreva in ogni
occasione alla sua Priora, qualche volta anche per dei nonnulla, tanto
bramava di essere interamente nella linea della divina volontà. Un
testimonio afferma: « Bastava accennarle: — L'ha detto la reverenda
Madre —; per farla andare in capo al mondo ». Lo Spirito di consiglio,
infatti, non solo conduce le anime con ispirazioni individuali e segrete,
ma le induce anche a lasciarsi dirigere e guidare.
Più tardi, questo stesso dono prese in lei un'altra
forma, più elevata. Leggendo la sua corrispondenza, si" resta
sorpresi e ammirati nel vedere con quale disinvolta agilità sapeva
adattarsi alla varietà straordinaria delle sue relazioni: mèmbri della
sua famiglia, bambine, giovinette, persone del mondo nelle situazioni più
diverse, anime sacerdotali: alcune attendevano da lei la parola decisiva
che le avrebbe orientale verso l'unione con Dio. Eppure, non vi è
corrispondenza epistolare più spontanea e meno convenzionale di questa.
Nulla di pedante e che sappia di predica o di lezione morale; ma sempre un
grande spirito di discrezione, un tatto squisito, un senso perfetto delle
situazioni. Sa aspettare degli anni, se è necessario, prima di insinuare
delicatamente la parola di rimprovero che sconcerterà un'anima. « Addio!
Quando sarò lassù, vorrai permettermi di aiutarti, di rimproverarati,
anche, se vedrò che non darai tutto al Maestro divino; e questo, perché
ti amo. Che Egli ti custodisca interamente sua, perfettamente fedele; in
Lui, io sarò tua per sempre » s5.
I lumi più sublimi sulla « lode di gloria » o sul
mistero della Trinità sono messi alla portata di tutte le anime, espressi
in forma chiara e di una semplicità così luminosa e serena, che
conferisce alla sua spiritualità una nota singolare di equilibrio e di
precisione dottrinale. E quante anime, proprio per questo, hanno fatto
degli scritti di suor Elisabetta della Trinità la loro lettura più
intima e cara! Questa facilità di trasposizione e di adattamento dipende
direttamente dal dono del consiglio, il quale inclina le anime, dopo aver
consultato le ragioni supreme della Sapienza del Verbo, a
discernere i mezzi pratici più sempli-
85 Ad
un'amica.
210
ci e più rapidi per giungere alla sommità della unione
divina attraverso le difficoltà innumerevoli della vita. E proprio questa
è la forma caratteristica che prese in lei lo Spirito di consiglio. La
sua missione non era di dirigere una comunità, ma di condurre una
moltitudine di anime verso le profondità della vita trinitaria per il
sentiero dello spogliamente assoluto e dell'oblìo di sé, « fino al
grande silenzio interiore che permette a Dio di imprimersi in esse, di
trasformarle in Sé » 5fi.
6. Con i doni della scienza, dell'intelletto, della
sapienza, penetriamo nella psicologia più profonda dell'anima dei santi.
L'azione di questi doni superiori ci consente di sorprendere il loro
atteggiamento più intimo e segreto di fronte al « nulla » della
creatura e al « Tutto » di Dio. Di qui, la loro primordiale importanza
nello studio di un'anima contemplativa. In suor Elisabctta della Trinità,
ci danno la chiave della sua vita spirituale e della sua dottrina mistica.
Lo spirito di scienza da l'esperienza delle creature alla
luce della carità: da la capacità di giudicarle secondo le loro
proprietà contingenti e temporali, e anche di elevarsi, per esse, fino a
Dio.
Sotto i! suo impulso, un duplice movimento si determina
nell'anima: da un Iato, l'esperienza del vuoto della creatura, del suo
nu)l:i; dall'altro, la rivelazione, nel creato, dell'orma di Dio. Questo
medesimo dono della scienza strappava lacrime a san Domenico quando
considerava la sorte dei poveri peccatori, mentre ispirava a san Francesco
di Assisi il suo magnifico « Cantico al sole », dinanzi allo
spettacolo della natura. Entrambi questi sentimenti si trovano espressi in
quel noto passo del « Cantico spirituale » di san Giovanni della
Croce, in cui descrive il conforto e insieme il tormento dell'anima
mistica dinanzi al creato, perché le cose tutte dell'universo le rivelano
il passaggio del Diletto, mentre Lui si è involato e si cela, invisibile,
fino a che l'anima, in Lui trasformata. Lo incontrerà nella visione
beatifica.
Nei grandi convcrtiti — in sant'Agostino, per esempio,
nelle
:> »
Lettoni ;i suor Odilia - Ottobre 1906.
211
sue Confessioni — questo dono riveste
l'espressione di una dolorosa esperienza del peccato.
Ma l'anima verginale di suor Elisabetta della Trinità non
provò mai in questa forma acuta e tragica gli effetti del dono della
scienza. Secondo il ritmo soave della sua anima contemplativa, esso
tendeva piuttosto a divenire in lei un potente stimolo allo spogliamente
ed alla perfezione. Le creature sono fallaci ed oppongono ostacolo nlla
piene;7/"! deità vita divina:
bisogna considerare tutte le cose della terra come rifiuti
pn-posscdere Cristo; e in Lui bisogna tutto dimenticare. È il « nescivt
» dell'ultimo « FJiiro ». L'anima sua vuote attraversare le
creature senza vederle, per non fermarsi che nel Cristo. Tutta l'ascesi
del silenzio si spiega e si comprende a questa luce: le cose create, tutte
quante, valgono mai la pena di uno sguardo per chi, fosse pure una volta
sola. ha sentito il Signore?
Il dono della scienza presenta un'altra forma positiva,
nei santi: lo spettacolo delle creature, come un tempo nello stato di
innocenza, le porta irresistibilmente a Dio. La voce possente del concerto
della creazione esercitava a volte, in alcune anime contemplative, una
tale forza di rimprovero, che si sentivano mormorare ai cieli e ai fiori:
— Tacete, oh, tacete! Sotto la mozione dello Spirito di scienza, il
salmista cantava: « Coeli enarrant gloriam Dei. I cieli narrano la
'fiori a di Dìo » ".
A questo secondo aspetto piuttosto che all'altro
bisognerebbe ricollegare i movimenti della grazia che suor Elisabetta
della Trinità provava abitualmente dinanzi alle bellezze del creato; come
per tutti i santi, la natura era per lei il gran « libro di Dio ». Da
fanciulla, aveva amato i vasti boschi soli-tari, la maestosità selvaggia
dei Pirenei, l'immensità dell'Oceano; aveva amato soprattutto gli spazi
sconfinati di una notte stellata; allora il senso dell'infinito la
soggiogava e i! contatto della natura le dava intensamente il suo Dio.
A mano a mano che procederà nella vita, quésti due
sentimenti del dono della scienza si confonderanno in lei un sentimento
unico. La miseria della creatura e la coscienza del suo
57
Salmo XVIII-2.
212
proprio nulla la risospingeranno in Dio solo. « Se guardo
dal lato della terra, vedo la solitudine ed anche il vuoto, perché non
posso dire che il mio cuore non abbia sofferto » M. « Come fa
bene, allorché si sente la propria miseria, andare a farsi salvare da
Lui' » ". « Quando si considera il mondo divino che ci avvolge fin
d'ora, nell'esilio, quel mondo in cui possiamo vivere e agire, come
svaniscono le cose quaggiù! Esse sono ciò che non è, sono meno che
niente ». « I santi, quelli sì, avevano cipito I;i vera scicn/.'i, la
scienza che ci separa da tutto e da noi stessi, per slanciarsi in Dio e
non farci vivere che di Lui! » 6".
Così si manifestava all'anima sua quella conoscenza
rivela-trice del « nulla » della creatura e del « Tutto » di Dio, che
lo Spirito di Gesù comunica a coloro che Lo amano e che la sacra
Scrittura chiama la « scienza dei santi » 61.
7. I grandi contemplativi, come le aquile, puntano i loro
sguardi sulle eccelse vette. Essi sanno che il più debole lume intorno
alla Trinità è infinitamente più delizioso della conoscenza dell'intero
universo. Che cos'è infatti tutto il movimento degli atomi e delle
creature uscite dalle mani di Dio, di fronte alla silente ed eterna
generazione del Verbo che si cela nel Suo seno? Introdurci nelle
profondità di questi abissi trinitari, è il compito dei doni
contemplativi. A questa luce tutta deiforme, l'anima vede le cose con lo
sguardo stesso di Dio; e pnn Giovanni della Croce osa dire che l'anima,
giunta a questo grado di unione trasformante, partecipa al mistero delle
processioni divine: della generazione del Verbo, della spirazione
dell'Amore. Mediante la fede e la carità, irradiata da questa luce
altissima dei doni, essa compie degli atti riservati a Dio e proprì delle
divine Persone. È secondo la promessa di Gesù, « la consumazione
nella unità » 62.
Il concetto di « partecipazione » indica, nello
stesso tempo,
" Lettera ;il Cnnonico A... - 4 gennaio 1904.
^ Lettera alla signora A... - 24 novembre 1905-
G '' Lettera al'a signora A...- 24 novembre 1904.
111 Sapienza, X-10.
^ San Giovanni, VII-23.
213
la distanza infinita — che rimane sempre fra Dio
e la sua creatura — e una vera comunicazione, per grazia, della vita
trini-taria. L'anima partecipa alla luce del Verbo e al movimento
dell'Amore increato. « Parficeps Verbi, particeps Amoris »
'", secondo l'audace formula di san Tommaso, così scrupoloso
nell'esattezza dottrinale e sempre così misurato nei suoi termini.
L'efletto essenziale del dono dell'Intelletto è proprio
quello di far penetrare, quanto più profondamente è possibile, nel-Vifìlimo
delle verità soprannaturali alle quali la fede invece si accontenta di
aderire su semplice testimonianza esteriore.
Questa penetrazione amante e saporosa delle piu atte
verità divine, soprattutto del mistero trinitario che è l'oggetto delle
sue predilezioni, non dipende dall'acutezza intellettuale del soggetto, ma
dal suo grado di amore e dalla sua docilità perfetta al soffio dello
Spirito. I tocchi più segreti di questo Spirito non potremo afferrarli
mai, sulla terra; sempre essi sfuggiranno alle nostre indagini, come ciò
che vi ha di più ineffabile e divino nella vita dei santi.
Le tracce che ne possiamo sorprendere in suor Elisabetta
della Trinità ci dicono come l'attività dello Spirito d'intelletto non
ebbe in lei tutto il suo ampio respiro se non dopo l'entrata al Carmelo, a
contatto con la teologia mistica di san Giovanni della Croce e nella
lettura di san Paolo, dopo le supreme purificazioni della sua vita di
fede.
Si possono ridurre gli effetti del dono dell'intelletto a
sei principali; una realtà divina, infatti, può celarsi: sotto gli
accidenti, sotto le parole, sotto le figure o le analogie, sotto le cose
sensibili, nelle sue cause, nei suoi effetti. È chiaro che questo Spirito
si manifesta in maniera differentissima e secondo le circostanze, le
indoli diverse dei santi e la loro missione; dona, ad alcuni, una
intelligenza penetrante delle sacre Scritture, ad altri il discernimento
del divino nelle anime, oppure una conoscenza particolare dell'anima di
Cristo o del mistero di Maria, il senso della Redenzione, della
Provvidenza, di questo o di quell'attributo divino, della Unità nella
Trinità. Non si fini-
s3 San
Tommaso, ^uinmii Thc'oì. I, 38, a. 1 (in corpoiv).
214
rebbe più se sì volessero specificare i modi
innumerevoli e vari in cui questo Spiritò d'intelletto essenzialmente
multiforme può comunicarsi agli uomini ed agli Angeli, secondo che piace
a Dio, per sua bontà, di rivelarci la sua gloria.
In suor Elisabetta della Trinità, i doni dello Spirito
Santo, come gli aspetti della sua vita spirituale, presero normalmente una
forma Carmelitana. Nei suoi scritti, nella sua vita luminosa, si possono
raccogliere tante prove rivelatrici dell'azione dello Spirito di
intelletto. Il suo sguardo contemplativo si fissava a lungo, adorante,
nell'anima di Cristo nascosto nel tabernacolo sotto le apparenze
eucaristiche. « Noi possediamo — diceva — la visione in sostanza,
sotto il velo dell'ostia » *4.
Il dono dell'intelletto le apre il libro delle sacre
Scritture e gliene svela i reconditi sensi; manifestazione, questa,
singolarmente evidente della azione dello Spirito di Dio nell'anima sua.
Il suo modo di procedere più abituale è la parafrasi mistica condotta
con una rara penetrazione. Senza costringere o svisare il senso letterale,
ne trae la sua ammirabile dottrina spirituale;
le frasi ispirate le servono come punto di partenza, come
motivo per delle magnifiche elevazioni contemplative in cui la sua anima
di Carmelitana trova diletto. Talvolta una sola parola della Scrittura le
dona, per anni interi, « la luce di vita » '".
San Paolo le svela il « nome nuovo » che le indica, da
parte di Dio, quale sarà il suo ufficio per l'eternità, l'ufficio che
deve però già iniziare ne! tempo: « l'incessante lode di gloria alla
Trinila ». Nell'ultima fase della sua vita, è ancora san Paolo che
viene a definire, in una formula che la reca tanta grazia nell'anima, il
suo programma supremo di trasformazione di Cristo:
« la conformità alla di Lui morte »w.
Basta, a volte, un semplice accostamento di testi, perché ne scaturisca
luce divina nell'anima sua. « Siamo sfati predestinati, per decreto di
Colui che compie ogni cosa secondo il consiglio della sua volontà,
affinchè siamo la lode della sua gloria... Dio ci ha eletti in sé
prima della creazione, perché siamo immacolati e santi al suo
cospetto,
"•' A Don (:h... - 14 giugno 1903.
15 San Giovanni, VIIT-12.
"" Uliimo ritiro. III.
215
nella carità ». Se accosto fra loro queste due
enunciazioni del piano di Dio « eternamente immutabile », posso
concludere che, per compiere degnamente il mio ufficio di « laiiàem,
gloriae », devo tenermi, in mezzo a tutto e nonostante tutto, «
alla presenza di Dio »; anzi, l'Apostolo ci dice: « cariiate »,
cioè in Dio; « Deus caritas est»: e il contatto con l'essere
divino mi renderà « immacolata e santa » ai suoi sguardi
» 67.
Essere lode di gloria con l'esercizio continuo della
presenza di Dio; ecco l'essenza della sua vocazione; e Din colta in san
Paolo, con un solo sguardo.
Ma un secondo movimento del dono dell'intelletto possiamo
discernere in suor Elisabetta, movimento familiare alle anime pure e
contemplative per le quali le minime cose sono, simbolicamente o per
analogia, un richiamo alla divina presenza.
« Quando vedo il sole penetrare e diffondersi nei nostri
chiostri, penso che Dio invade così, come i raggi del sole trionfante,
l'anima che non cerca che Lui » '"'.
Tutto l'universo visibile assume, nelle anime dei santi,
un senso spirituale che le eleva a Dio; il loro sguardo si rivolge sempre
al volto mistico delle cose. Una santa Caterina De-Ricci non poteva vedere
una rosa senza pensare al sangue redentore; e suor Elisabetta apparteneva
alla stirpe di quelle anime verginali che sembrano aver ritrovato lo stato
di innocenza e leggono Dio nel libro del creato.
Fino dalla sua entrata al Carmelo, essa Lo scopre negli
infimi particolari della sua vita: « Qui — scrive.— tutto parla di
Lui » CB. « Al Carmelo, dappertutto c'è il Signore » T".
« II Maestro è così presente, che si crederebbe sia lì lì per
comparire nei lunghi viali solitari » 71. Appena le viene
annunciata la nascita di una nipotina, si informa della data del
battesimo, perché vuole essere presente in ispirilo nel momento in cui la
Trinità santa scenderà in quell'anima, sotto i segni della rige-
67
Ultimo ritiro. III.
68 Lettera a G. de G... - 14 settembre 1902.
69 A. M, L. M... - 26 ottobre 1902. 7:1
Alla sorella. 1901. 71 AJla zia - Pasqua 1903.
216
nerazione cristiana. È il fiorire del simbolismo mistico:
« Ogni cosa è un sacramento che le dona Dio » ".
Vi è un altro aspetto del dono dell'intelligenza,
particolar-mente sensibile nei teologi contemplativi. Dopo le dure fatiche
della scienza umana, d'un tratto sotto un forte impulso dello Spirito,
tutto si illumina: ed ecco che un mondo nuovo appare in un principio o in
una causa universale: quali ad esempio, Cristo-Sacerdote, unico mediatore
fra il ciclo e la terra; oppure il mistero della Vergine Corredentrice che
porta spiritualmente nel suo seno tutti i mèmbri del Corpo mistico;
o ancora il mistero dell'identificazione degli
innumerevoli attributi di Dio nella sovrana semplicità e la conciliazione
della Unita d'essenza con la Trinità delle Persone, in una Deità che
oltrepassa all'infinito le indagini più acute e profonde di tutti gli
sguardi creati.
Ecco altrettante verità che il dono dell'intelletto
approfondisce senza sformo, saporosamente, nella gioia beatificante di una
« vita eterna iniziata sulla terra », alla luce stessa di Dio.
Due princìpi soprattutto attirarono e fissarono lo
sguardo contemplativo di suor Elisabetta: l'influenza universale della
Trinità che dimora nell'intimo dell'anima per santificarla e custodirla
« immobile e in pace », sotto la sua azione creatrice;
e l'attività rcdentrice di Cristo presente sempre in lei
per purificarla e per divinizzarla: due punti cardinali della sua
spiritualità.
In senso inverso, il dono dell'intelletto rivela Dio e la
sua onnipotente causalità negli effetti, senza bisogno dei lunghi raggiri
discorsivi del pensiero umano abbandonato alle proprie forze, ma con un
semplice sguardo comparativo e per intuizione « alla maniera di Dio ».
Negli indizi più impercettibili, nei minimi avvenimenti della sua vita,
un'anima attenta allo Spirito Santo scopre d'un tratto tutto il piano
della Provvidenza a suo riguardo. Senza ragionamento dialettico sulle
cause, la semplice vista degli effetti della giustizia o della
misericordia di Dio le fa intravedere tutto il mistero della
predestinazione divina, del
72 Lettera .i!):i
signorn A... - 1906.
217
« troppo grande amore » " che insegue,
instancabile le anime per unirle alla beatificante Trinità. Attraverso a
tutto. Dio conduce a Dio.
Quando si pensa alla limitata cultura religiosa di suor
Eli-sabetta della Trinità, si resta stupiti delle pagine così profonde e
luminose che ci ha lasciate sul mistero della Vergine e di Cristo,
sull'abitazione di Dio nelle anime dei giusti, sulla lode di gloria che
deve elevarsi, incessante, verso la Trinità adorabile. Il teologo attento
deve concludere che tale conoscenti sopratecnica non può spiegarsi in
quest'anima se non con l'esperienza di quella sapienza incomunicabile che
Dio riserba « ai cuori puri » r4.
8. Il dono della sapienza è il dono regale, quello che
più di ogni altro mette le anime in possesso della maniera deiforme del
sapere divino. È l'estremo culmine oltre il quale è impossibile
innalzarsi, al di qua della visione di Dio intuitiva e beatificante,
massimo grado di sapienza. E lo sguardo del « Verbo che spira
l'Amore » partecipato ad un'anima, la quale giudica tutte le cose
dalle cause più alte, più divine, dalle ragioni supreme, a quel modo che
Dio le giudica e le conosce,
Introdotta, per mezzo della carità, nell'infinito abisso
delle Persone divine e per così dire nella Trinità, l'anima divinizzata,
sotto l'impulso dello Spirito d'Amore, tutto contempla da cote-sto punto
centrale, indivisibile, dove le appaiono come allo stesso Iddio: i divini
attributi, la creazione, la redenzione, la gloria, l'ordine ipostatico, i
più piccoli avvenimenti del mondo. Per quanto è consentito ad una
semplice creatura, il suo sguardo mentale tende a identificarsi alla
pienezza e acutezza di visione che Dio ha in sé e dell'universo. È la
contemplazione in modo deiforme al lume della esperienza spirituale della
divinità, della quale l'anima esperimenta in sé l'ineffabile dolcezza:
« per quanìdam experi enfiam dulcedinis » ".
Per bene comprendere questo, bisogna tener presente che
73
Efesini, 11-4.
74 S. Matteo, V-8.
75 San Tommaso, Stimma Theni. T-II, q. 112,
a. 5.
218
Dio non può vedere le cose se non in Se medesimo: nella
Sua causalità. Le creature non le conosce direttamente in se stesse,
nemmeno nel movimento delle cause contingenti e temporanee che regolano la
loro attività. In maniera eterna, le contempla nel suo Verbo. Conosce ed
apprezza tutti gli eventi delia Provvidenza alla luce della sua Essenza e
della sua gloria.
In due modi l'anima può comunicare o partecipare alla
Luce increata: in un modo immutabile secondo che più o meno partecipa
dclt'clernit;ì, ed e la visione di gloria nel Verbo; e in un altro modo,
al di fuori del Verbo, per via di esperienza mistica e conoscimento
saporoso delle divine dolcezze: nell'irradiazione, quindi, della luce
beatifica o, in mancanza di questa, e tuttavia in condizioni di una certa
quale violenza, sotto l'azione della fede rischiarata dai doni. Non è mai
soverchio insistere su questa verità: l'esperienza mistica è come in
esilio sulla terra;
la vera patria dei doni è il cielo nel prolungarsi delle
gioie beatificanti della visione « faccia a faccia »7S,
ossia intuitiva della Trinità.
Che cosa accade, quaggiù, nell'anima che giudica tutto
cosi, alla luce della Trinità presente in lei, presenza di cui
esperi-ment.i nell'intimo gli effetti — quanto almeno glielo consente lo
stato di unione?
Nelle potenze più elevate, più spirituali del suo essere
reso deiforme dalla grazia santificante, sorge un'attività del medesi;
mo ordine che permette all'anima così divinizzata di
vivere « in sodeta » con le Persone divine al livello di
un'esperienza propriamente trinitaria. La fede le ha già aperto gli
orizzonti soprannaturali e l'ha messa in contatto con tutto il paradiso; i
doni della scienza e dell'intelletto le hanno permesso di assaporare.
insieme al « niente » della creatura, il « Tutto » di Dio e di
penetrare nelle insondabili ricchezze della vita trinitaria;
sopravviene allora il dono della sapienza, il più divino
di tutti i doni, il quale farà sì che quest'anima partecipi, nel più
alto grado possibile sulla terra, alla conoscenza sperimentale che Dio
gusta nel proprio seno, cioè nel suo Verbo che spira l'Amore.
7B I
:ii G.'inli, XHI-12.
219
Oh, essa può ben « gioire di Dio » " ora che
l'unione trasformante l'ha stabilita in permanenza nell'atmosfera delle
Persone Increate e l'ha introdotta come figlia adottiva nella famiglia
della Trinità! Partecipe della divina natura, essa giudica tutto: in Dio,
nel mondo e in se stessa, con la sua esperienza della divinità.
Mentre il dono della scienza prende un movimento
ascensionale per elevare l'anima delle creature lino a Dio, mentre il dono
dell'intelletto penetra, con semplice sguardo d'amore, tutti i misteri di
Dio, nell'intimo e al di fuori, il dono della sapienza non esce mai, per
così dire, dal cuore stesso della Tri-' nità. Tutto è visto da questo
centro indivisibile. E l'anima, resa in tal modo deiforme, non considera
ormai le cose che nel loro perché, nei loro motivi più alti, più
divini. Tutto il movimento dell'universo fino ai minimi atomi cade quindi
sotto il suo sguardo alla luce purissima della Trinità e dei divini
attributi, ma con ordine, secondo il ritmo con cui le cose procedono da
Dio. Creazione, redenzione, ordine ipost.itico, tutto, anche il male, le
appare ordinato alla maggior gloria della Trinila. Elevandosi infine, con
uno sguardo supremo, al di sopra della Giustizia, della Misericordia,
della Provvidenza e di tutti gli attributi divini, l'anima scopre
d'improvviso tutte queste perfezioni increate nella loro Sorgente eterna:
in quella Deità, Padre, Figlio e Santo Spirito, che supera all'infinito
tutte le nostre umane concezioni le quali la rimpiccioliscono e la
circoscrivono; e lascia invece Dio incomprensibile, ineffabile, anche allo
sguardo dei beati, anche allo sguardo beatificato di Cristo... quel Dio
che, nella sua Semplicità sovraeminente, è insieme Unità e Trinità,
Essenza indivisibile e Società di Tré Persone viventi, realmente
distinte secondo un ordine di processione che non infrange la loro
Uguaglianza consustanziale. L'occhio umano non avrebbe potuto scoprire mai
un tale mistero, ne l'orecchio percepire tali armonie, ne il cuore
supporre una tale beatitudine, se la Divinità non si fosse inchinata, con
la grazia, fino a noi in Cristo, per farci penetrare negli insondabili
abissi di Dio, sotto la condotta stessa del suo Spirito.
77
S.nì Tonimaso. St:"!";iì Tf'f'i! I, q. 43 n. 3, nd
220
Dopo tutto questo, c'è forse ancora bisogno di insistere
per far comprendere che un'anima la quale viva abitualmente sotto queste
alte ispirazioni del dono della sapienza, risale in tutti i campi alla
visione del Principio supremo, in Dio, e — come notava e praticava suor
Elisabetta della Trinità — non si arresta a considerare le cause
seconde?
E proprio in questa riflessione suor Elisabetta ci lascia
carpire il suo intimo segreto. Dopo essere stati, per parecchi anni, a
contatto dei suoi scritti, scrutando e studiando tutti i moti dell'anima
sua, questa è la nostra convinzione più essenziale:
che il dono della sapienza è il dono pili caratteristica
della sua dottrina e delia sua vita.
Istintivamente, possedeva il senso dell'eterno e del
divino.
Avrebbe dovuto farsi violenza per discendere al livello
delle meschinità fra cui si trascina una moltitudine di anime, anche
religiose — così dette contemplative — e che non sanno elevarsi al di
sopra delle loro miserie e dei loro cenci. Suor Elisa-bcttn ;ind;n'.i
diritta ni (".risto ed a11;i Trinità, senza occuparsi troppo delle
rare mancanze che sfuggivano alla sua fragilità. Crocifìssa al suo
dovere, non si sovraccarica di una quantità di pratiche minuziose, ma
attraverso alle innumerevoli piccolezze della monotona e spesso banale
vita quotidiana, sapeva, come la Verrine dcH'Tnciimazionc, tenere fìsso
lo sguardo nlle alte cime. Ad imiinziolìc del!;i sua grande sorella del
Carmclo, santa Maria Maddalena De' Pazzi « imitatrice del Verbo » nella
sua vita religiosa, suor Elisabetta della Trinità scopre nella sua
vocazione di Carmelitana il mezzo per essere, insieme col Cristo,
corredentrice del mondo e glorificatrice della Trinità.
« Come è sublime la vocazione di una Carmelitana! Essa
deve essere mediatrice con Gesù Cristo, essere per Lui quasi un
prolungamento di umanità dove Egli possa perpetuare la sua vita di
riparazione, di sacrifìcio, di lode e di adorazione. Chiedetegli che io
sia all'altezza della mia vocazione » 7S.
I santi hanno visuali sconfinate. Si ricordi il grido
apostolico di santa Teresa di Gesù Bambino: « Voglio trascorrere il mio
paradiso a far del bene sulla terra... No, non potrò pren-
•''' Lettcrn .il Cnnonico A... - Genn;lio
1906.
221
dermi nessun riposo sino alla fine del mondo. Ma, quando
l'Angelo avrà detto: — il tempo non è più —, allora mi riposerò,
allora potrò gioire, perché il numero degli eletti sarà completo ».
Suor Elisabetta della Trinità aveva le stesse ambizioni.
« Vorrei poter dire a tutte le anime quale sorgente di
forza, di pace e anche di felicità esse troverebbero vivendo in intimità
con le Persone divine » 7".
Da vera Carmelitana, desiderava ardentemente di « zelare
la gloria del suo Dio ».
« Mi dono a Lui per la sua Chiesa e per tutti i suoi
interessi. Ho bisogno dell'onore suo, come la mia santa Madre Teresa.
Pregate perché questa sua figliola sia anche essa « vittima di amore:
caritatis vidima »so. Vivendo in epoca di persecuzione,
gemeva sulla sua patria: « Povera Francia! Ilo bisogno di coprirla col
Sangue del Giusto » s1.
Nel suo intimo ideale di unione con Dio va dritta alla
causa esemplare suprema: all'anima di Cristo; e sogna di « essere
talmente trasformata in Gesù, che la sua vita sia più divina che umana e
il Padre possa riconoscere in lei l'immagine del Figlio
suo » w.
Per esprimere questa sapienza cristiforme, trova delle
formule di una robusta concisione: « Andiamo incontro ad ogni persona o
cosa con le disposizioni d'animo con cui vi andava il nostro Maestro santo
» s3; oppure racchiude il giudizio di più alta sapienza
sull'essenza della vita cristiana in brevi frasi, come queste: «
Esprimere Cristo agli sguardi del Padre » 84. « Che io non
sia più io, ma Lui e il Padre, guardandomi, possa
rico-noscerlo » s!i. « Quando sarò perfettamente
conforme a questo divino Esemplare, tutta in Lui ed Egli in me, allora
adempirò la mia vocazione eterna, quella per la quale Dio mi elesse « in
7B
Lettera alla mamma - 2 agosto 1906.
50 Lettera al Canonico A... - Giugno 1906.
81 Al medesimo - Gennaio 1906.
s2 « II paradiso sulla terra » - 5"
orazione.
83 Lettera, 1904.
s -' Ultimo ritiro, XIV,
85 Lettera al Canonico A... - Luglio 1906.
222
Lui » « in principio », quella che proseguirò
« in aeternum » quando, inabissata nel seno della Trinità, sarò
« la incessante lode della sua gloria: laudem gloriae eius » 8G.
Da questa luce, emana la risposta adeguata che risolve il
problema del male e il mistero della sofferenza: « Configwatus morti
eius », la conformità alla sua morte: ecco ciò che bramo
raggiungere »87. « Voglio andare con Lui alla mia passione
per essere redentrice con Lui » ss.
Espressioni simili sono rivelatrici di tutta un'esistenza.
Il medesimo atteggiamento di spirito essa prende di fronte
a tutti i misteri divini.
Basa l'intera sua vita nella fede al « troppo grande
amore ». È la sua visione, qui sulla terra s9; « ogni
cosa è un sacramento il quale le dona Dio » 9".
Considera la sofferenza, non in se stessa, ma come uno strumento che
obbedisce all'Amorem, e sul suo letto di dolore, ripete:
« II Dio nostro è un fuoco consumante; io subisco la sua azione »
"2.
Così, nello svolgersi progressivo degli eventi, tutte le
cose umane le apparivano in una luce sempre più divina. Nell'ora solenne
in cui, per l'ultima volta, le sue sorelle del Carmelo si riunirono
intorno a lei, la udirono pronunciare, sotto un impulso luminoso del dono
della sapienza, quasi in un canto:
« Alla sera della vita, tutto passa. L'amore solo rimane
». Fa pensare a ciò che dice san Giovanni della Croce: « Alla
sera della vita, saremo giudicati sull'amore » e si ricongiunge al
comandamento supremo di Gesù: il primato della carità che tutto ordina e
modera nella vita dei santi.
Ma l'oggetto delle predilezioni dello Spirito di sapienza
è il mistero della Trinità. Per sviluppare questo punto, bisogna
riprendere, qui, e rivedere a questa luce tutto il capitolo che
'ì6 Ultimo ritiro, I.
87 Lettera a! Canonico A... - Luglio 1906.
58 Lettera alla ninnima - 18 luglio 1906.
89 Lettera a Don Ch... - 25 dicembre 1904.
Bn Lettera alla signora A... - Gennaio 1906.
91 Lettera alla signora De S... - 25
luglio 1902.
"2 Alla priora.
223
abbiamo consacrato allo studio dell'inabitazione della
Trinità ed alla parte di centrale importanza che ha questo mistero nella
vita e nella dottrina di suor Elisabetta della Trinità; nulla rivela con
altrettanta evidenza il predominio del dono della sapienza nella vita
intima dell'anima sua. L'esercizio continuo della presenza di Dio diviene
in lei rapidamente il segreto di tutte le fedeltà. Pochi giorni prima di
morire, ce ne ha lasciato lei stessa la preziosa testimonianza: « Credere
che un Essere che si chiama l'Amore abita in noi sempre, in. tutti gli
istanti del giorno e della notte, che ci chiede di vivere in società con
Lui, è ciò che ha trasformato la mia vita, ve lo confido, in un paradiso
anticipato » '".
Tutta l'attività della vita spirituale, per lei, si
riassume in questo: « La mia continua occupazione consiste nel rientrare
dentro di me e perdermi in Coloro che sono qui » "'*.
Al tramonto della sua esistenza così breve, stabilita
ormai nell'unione trasformante, ella giunge all'oblìo perfetto di sé: è
la fase suprema della sua vita spirituale che abbiamo già a lungo
analizzata '". Suor Elisabetta della Trinità è scomparsa dinanzi a
Laudem gloriae. Lei stessa non firma più le sue lettere che con questo «
nome nuovo », e non vuoi più chiamarsi che così; che ormai l'anima sua,
elevandosi al di sopra delle dolcezze della divina presenza, al di sopra
di se stessa, si oblia interamente, per non essere più che «
l'incessante lode di gloria della Trinità ». È il trionfo del dono
della sapienza: tutto è dominato da un unico pensiero: la gloria della
Trinità; quindi, tutto ciò che non coopera alla glorificazione divina, o
peggio, che minaccerebbe di ritardarla viene eliminato senza; pietà.
Però, essa non si ripiega egoisticamente in se stessa,
per arrestarsi a « godere di Dio » nella gioia beatificante di questa
presenza delle divine Persone in lei, che forma il suo ciclo anticipato.
No; si tratta, innanzi tutto, della gloria di Dio; e, nel « cielo
dell'anima sua » il suo ufficio essenziale è cantare giorno
a3
A'ia signora G. de B... - 1906, :
94 Lettera a G. de G... - Fine settembre 1903.
05 Cfr. cap'to!o I, paragrafo II « Carmelitana
», e soprattutto il Capitolo IV <' 1..0(ìr di rlrir'a » che
ci sembra il pìh i m por I ante per la comprensione intima della
dottrina e della vita di suor Elisabetta della Trinità.
224
e notte, come i beati nel « cielo della gloria », la
lode della Trinità; e sotto l'impulso del dono della sapienza, in
corrispondenza all'esercizio e al progresso nella carità, tutta la sua
vita prende il ritmo che conviene alla lode di gloria.
« Una lode di gloria è un'anima di silenzio che se ne
sta come un'arpa sotto il tocco misterioso dello Spirito Santo,
perché Egli ne tragga armonie divine. Sa che il dolore è la corda che
produce i suoni più belli, perciò è contenta che questa corda non
inanelli nel suo strumento, per commuovere più deliziosamente il cuore
del suo Dio.
Una lode di gloria è un'anima che contempla Dio nella
fede e nella semplicità, fì un riflesso di tutto ciò che Egli è, è
come un cristallo attraverso il quale Egli può irradiare e contemplare
tutte le proprie perfezioni e il proprio splendore. Un'anima che permette
così all'Essere divino di saziare in lei il Suo bisogno di comunicare
tutto ciò che Egli è e tutto ciò che ha, è veramente la lode di gloria
di tutti i suoi doni.
Finalmente, una lode di gloria è un'anima immersa in un
incessante ringraziamento; ciascuno dei suoi atti, dei suoi movimenti, dei
suoi pensieri, delle sue aspirazioni, mentre la fissa più profondamente
nell'amore, è come una eco del « Sanctus » eterno. Nel cielo della
gloria, i beati non hanno riposo ne giorno ne notte, ma sempre
ripetono: « — Santo, santo, santo, il Signore 011• a iiioicn'l'e
— ...f, prostrandosi, adorano Colui che vive nei secoli dei secoli
».
Nel ciclo dell'anima sua, la lode di gloria inizia
già 'lufficio che sarà suo in eterno; e, quantunque non ne abbia sempre
coscienza, perché la debolezza della natura non le consente di fissarsi
in Dio senza distrazioni, pure rimane sempre sotto fazione dello
Spirito che opera tutto, in lei. Canta sempre, adora sempre, è, per
così dire, interamente trasformata nella lode e nell'amore, nella
passione della gloria del suo Dio »9B.
225
CAPITOLO NONO
ELEVAZIONE ALLA TRINITÀ (Commento)
« O miei Tré, mio Tutto, mia Beatitudine, Solitudine
infinita, Immensità in cui mi perdo... ».
O mio Dio, Trinità che adoro...
Guardare un'anima che prega, è sorprenderla nel momento
della sua maggiore intimità con Dio, come il sacerdote all'altare.
L'orazione è la sintesi di un'anima: quale la preghiera, tale la vita.
Tutto il genio dottrinale di un san Tommaso d'Aquino rifulge nel suo «
Ufficio del santissimo Sacramento ». Lo stesso Verbo Incarnato non si
sottrae a questa legge della nostra psicologia umana; e la sua «
preghiera sacerdotale » è la suprema rivelazione del suo Cuore: Cuore di
Cristo. Nulla manifesta meglio il suo amore per il Padre e la sua carità
redentrice per i fratelli, quanto il movimento circolare di quest'Anima
che parla al Padre della sua gloria e della consumazione di tutti
nell'Unità: vi è tutto il suo mistero di « Cristo ».
Così è della preghiera dei santi.
Suor El isabella della Trinità non ha scritto, come la
sua santa Madre Teresa, un trattato d'adorazione; ma la sua sublime
preghiera: « O mio Dio, Trinità che adoro... », ci da la testimonianza
più ricca sulla maniera tutta Carmelitana di concepire la vita di
orazione: una comunione incessante con la Trinità. « La preghiera non
consiste in una determinata quantità di orazioni vocali che ci si impone
di recitare ogni giorno;
ma in un'elevazione dell'anima a Dio, attraverso tutte le
cose, la quale ci stabilisce in una specie di comunione continua con la
227
Trinità Santa, semplicemente facendo tutto , sotto il suo
sguardo » 1.
Composta d'un sol getto, senza la minima correzione, in un
giorno in cui tutto il Carmelo rinnovava i voti, questa preghiera è la
sintesi della vita intcriore di suor Elisabetta. I ratti essenziali della
sua anima vi si ritrovano perfettamente delineati:
la grande devozione della sua vita: la Trinità — la
forma propria della sua vita di orazione: l'adorazione — la sua
tenerezza appassionata per il Cristo « amato fino a morire, amato sulla
croce » — infine lo slancio irresistibile verso i « Tré », «
sua beatitudine, suo tutto, solitudine infinita in cui l'anima si
smarrisce ». Non vi è nominata la Madonna, ma'Essa c'è, lo si sente
dalla stessa data autografa: novembre 1904, festa della Presentazione.
Vi manca soltanto — e questo è da notare — l'eco
dell'ascesa suprema: gli ampi orizzonti della sua vita di « lode di
gloria » le sono ancora ignoti.
Di fronte ad una tale preghiera, una delle più belle del
Cristianesimo, abbiamo esitato a lungo, prima di arrischiarci ad un
commento, provando qualche cosa di simile all'imbarazzo che deve provare
l'esegeta o il teologo in presenza della preghiera sacerdotale di Cristo.
Tutti gli umani commenti esegetici o teologici, per quanto sublimi siano,
dispereranno per sempre di poter giungere ad esprimere la semplicità
tutta divina dell'ultima preghiera di Gesù per l'unità: « Ut unuin
s'int... » 2. Ma abbiamo pensato alle tante anime
contemplative per le quali questa elevazione alla Trinità è divenuta una
delle preghiere più care, e costituisce tutto un programma di vita
intcriore in cui trovano il segreto dell'oblìo di sé.
Una Carmelitana ci scriveva: « Ognuna di queste: parole
mi introduce nell'orazione; è una preghiera che raccoglie la mia anima
quanto i più sublimi trattati di mistica ».
Avendo studiato molto da vicino, e per degli anni,
quest'anima privilegiata, forse il commento che intraprendiamo sarà di
qualche utilità per farne penetrare il senso vero e così profondo.
' Lettera a G. de C... - Febbraio 190?. " San
Giovanni, XVII-21.
228
Senza volere" imporre al movimento di quest'anima
essenzialmente contemplativa delle divisioni troppo rigide, mi sembra che
si potrebbero distinguere in questa preghiera cinque aspetti principali:
1. Un primo slancio spontaneo dell'anima verso quella
Trinità che è divenuta il tutto della sua vita: « O mio Dio, Trinità
che adoro... ».
2. La descrizione del clima spirituale in cui si muove la
sua vita contemplativa al centro dell'anima, in una atmosfera di pace
immutabile: « Pacifica l'anima mia... ».
3. Un movimento di tenerezza appassionata verso il suo
Cristo « amato fino a morirne ». Le parole si incalzano, esprimendo, nel
ritmo accelerato, l'impeto dei sentimenti di un'anima il cui ideale
ardentemente vagheggiato è di essere immedesimata con tutti i movimenti
dell'anima di Cristo: « O mio Cristo adorato... ».
4. Poi l'invocazione subitanea e successiva a ciascuna
delle Tré Persone divine verso le quali è protesa la sua vita: « O
Verbo eterno... O Fuoco divorante... E tu, o Padre... ». Si indugia
soprattutto nel Verbo, più accessibile per la Sua Incarnazione ai nostri
occhi di carne, con l'anima affascinata da questo « Verbo eterno. Parola
del suo Dio ». Lo « Spirito d'amore » pure e invocato, ma perche compia
in lei quasi una incarnazione del Verbo, ed essa sia per Lui un
prolungamento di umanità nella quale il Padre possa ritrovare il volto di
Cristo « in cui ha posto tutte le sue compiacenze ». Cristo è veramente
al centro di questa sua preghiera, come tutta la sua vita.
5. Un grido finale con cui si compie questa
invocazione alla Trinità. Il tema dell'inizio: « O mio Dio, Trinità che
adoro... » viene ripreso dalla sua anima di artista, ma ripreso con uno
sviluppo ampio, con un largo movimento ritmico che trasporta
definitivamente l'anima negli abissi della Trinità: « O. miei Tré...,
io mi abbandono a Voi come una preda!... ». I
1. O mio Dio, Trinità che adoro. « O mìo Dio! ».
L'anima sua va dritta, non alle perfezioni
229
divine, ma all'essenza, sorgente di tutti gli attributi; a
Dio stesso.
« Trinità! ». Non il Dio dei filosofi e dei
sapienti, ma il Dio dei cristiani e dei mistici: Padre, Verbo, Amore.
Altre anime saranno più particolarmente attirate verso il
Padre, come una santa Geltrude, una santa Margherita Maria;
oppure verso lo Spirito Santo; e la Chiesa le legittima
tutte, queste forme di preghiera, poiché ai'ich'Lss;!, ncll;i sua
liturgia, si rivolge ora al Padre, ora al Figlio, ora allo Spirito Santo.
Il culto è indirizzato alle Persone che, nella Trinità, rimangono
infinitamente distinte.
Un san Tommaso d'Aquino poi, da vero teologo, rivolgerà
particolarmente la sua devozione alla « Trinità nell'unità »,
raccogliendo in una formula sintetica tutta l'essenza del mistero.
Suor Elisabetta della Trinità non è tanto colpita da
questo aspetto intimo del mistero in se stesso, quanto invece occupata a
scoprirvi il termine beato ed esplicito della sua vita di unione: « La
Trinità: ecco la nostra dimora, 1a nostra cara intimità, la casa paterna
donde non dobbiamo uscire mai »3. Bisognava sentire con quale
accento di tenerezza, premendo le mani sul cuore come su di una presenza
amata, ella parlava dei suoi « Tré! »: « Amo tanto questo mistero! È
un abisso nel quale mi perdo ».
« Che adoro... ». L'adorazione è la forma
propria di questa vita di adorazione. Essa ama l'atteggiamento dei beati
nella Città eterna, descritto negli ultimi capitoli dell'Apocalisse: «
Si prostrano e adorano, gettando palme dinanzi al trono dell'Agnello ».
Con questa forma principalmente adoratrice della vita di
orazione, quanto siamo lontani da quella moltitudine di anime mendicanti
che sembrano non accostarsi a Dio che con la mano tesa per ricevere! Da
vera contemplativa che possiede n senso di Dio, essa prima di tutto gli
rende omaggio in ragione delle perfezioni senza limite di Lui o, secondo
la sua formula prediletta, « a causa di Lui stesso », La sua anima
religiosa si espri-
3 « II paradiso sulla terra » - 1" orazione.
230
me con tutta naturalezza nell'atteggiamento che è il più
fondamentale dinanzi a Dio: l'adorazione. La preghiera di supplica '
considera l'indigenza bisognosa di aiuto, il ringraziamento serba uno
sguardo sui benefici ricevuti, l'espiazione è unita al ricordo dei
peccati commessi; soltanto l'adorazione contempla Dio in se stesso,
nell'eccellenza increata della sua Essenza e delle sue Persone. Dinanzi
alla gloria del suo Dio, l'anima dimentica tutto: « L'adorazione è
Pestasi dell'amore annientato dalla bellezza, dalla forza, dalla grandezza
immensa dell'oggetto
amato » 4.
« Aiutami a dimenticarmi interamente ». Il grande
ostacolo della Carmelitana e di ogni anima contemplativa in generale, è
il proprio io. « L'amor proprio non muore che un quarto d'ora dopo di noi
», diceva sorridendo san Francesco di Sales, e i santi hanno sferrato le
loro più tremende battaglie contro se stessi per la distruzione di questo
« io » così tenace. Del resto, non deve meravigliarci che
persista così ostinatamente anche nelle grandi anime, anche in quelle da
Dio predilette, fino al giorno in cui piaccia al Maestro, per una grazia
tutta gratuita, di liberarle per sempre.
Suor El isabella della Trinità, che Dio aveva destinata
per vocazione speciale ad essere modello e patrona delle anime intcriori,
doveva imparare con la propria esperienza quale sia il grande scoglio di
queste anime che Dio vuole profondamente raccolte in se stesse, per
vivervi di Lui solo. La sua vita spirituale, per lungo tempo, fu
ingombrata dal suo povero « io ».
Ne soffriva. Ma nulla riusciva a liberarla. Questa
liberazione sovrana dell'anima non può essere che il trionfo della grazia
e uno degli effetti supremi dei doni dello Spirito Santo. Non a caso,
dunque, ma sotto l'impulso di un pensiero che sempre l'assilla
nell'intimo, essa, fin dalla seconda frase di questa preghiera sublime,
ricade sopra di sé, ultimo gemito di un « io » che non tarderà
a morire: « Aiutatemi a dimenticarmi interamente ». Tré giorni dopo la
composizione di questa preghiera, tornava sullo stesso pensiero: « I
santi, quelli sì, avevano capito la vera scienza; la scienza che ci fa
uscir da tutto e princi-
4
Ultimo ritiro - Vili giorno.
231
palmente da noi medesimi, per slanciarci in Dio e non
farci vivere che di Lui » ".
« Interamente... ». Comprendiamolo bene: «
dimenticarsi interamente ». Non essere arrestati più da niente nello
slancio verso Dio, ne dagli avvenimenti esteriori, ne dalle vicissitudini
Ulteriori... Suor Elisabetta della Trinità mira alto: si tratta di
giungere a quella trasformazione in Cristo, che san Paolo esprime con
formula ardita: « Non vivo piu io. ina Cristo vive in me ». Quale
oblìo di sé, richiede! Quale morte! T1 grande santo scriveva ai
Colossesi: « Voi siete morti, e la vostra vi fa è nascosta con Gesù
Cristo in Dio ». Ecco la condizione: bisogna essere morti.
Altrimenti, si può essere nascosti in Dio ogni tanto, ma non si vive
abitualmente in questo Essere divino; perché la sensibilità e tutto il
resto vengono a ricondurci fuori. L'anima non è tutta intera in Dio »B.
E ancora: « Mi sono isolata, separata, spogliata di tutto
e di me stessa, tanto nell'ordine naturale che nell'ordine soprannaturale,
anche riguardo ai doni di Dio; perche un'anima che non sia morta a se
stessa, libera del proprio io, sarà per forza, in certi momenti, banale e
umana; e ciò non è degno di una figlia di Dio, di una sposa di Cristo,
di un tempio dello Spirito Santo » T.
« Aiutami! ». Questa sovrana liberazione, nei
santi, è il trionfo supremo della grazia sulla natura. E suor Elisabetta
della Trinità implora umilmente: « Aiutami! ».
Noi sappiamo che Dio esaudì la preghiera della sua umile
serva. Un anno dopo, poteva scrivere ad un'amica; « Vi pare che sia tanto
difficile dimenticarsi? Se sapeste, invece, come è semplice! Ve ne
confiderò il segreto, il mio segreto: pensate a quel Dio che abita in voi
e di cui voi siete tempio. Ce lo dice san Paolo, possiamo dunque
crederlo. A poco a poco, l'anima comprende che porta in sé un piccolo
cielo dove il Dio d'amore ha stabilito il suo soggiorno, e si abitua a
vivere nella sua dolce compagnia. Allora respira in un'atmosfera quasi
divina; anzi,
Lettera alla signora A... - 24 Novembre 1904. Ultimo
ritiro - VI giorno.
9 Ultimo ritiro - VI giorno. 7 Ultimo
ritiro - X giorno.
232
non e sulla terra che col corpo, e l'anima sua abita in
Colui che è l'Immutabile. Ed eccone anche il metodo: non certo guardando
e riguardando la nostra miseria, saremo purificate, ma guardando Colui che
è la stessa purezza e santità » ".
« Per fissarmi m Tè... ». L'anima interamente
sciolta da se stessa e giunta sulle purissime vette della montagna del
Car-melo, entra definitivamente nel ciclo della vita Trinitaria: è
stabilita in Dio. Questa intimità con Dio era divenuta così fami-' liare
a suor Elisabetta della Trinità, che le sembrava Egli stesse per
comparire, da un momento all'altro, nel giro degli ampi chiostri: « Dio
in me e io in Lui, oh! è la mia vita ».
« Immobile e quieta, come se l'anima mìa già fosse
nell'eternità ». £ uno dei frutti di questa spiritualità
contemplativa;
rapire l'anima alle sue preoccupazioni meschine ed a se
stessa per fissarla in un'atmosfera di eternità. Ogni anima cristiana non
dovrebbe considerarsi in esilio sulla terra? poiché la grazia del
battesimo ha deposto in lei il germe di quella esistenza immutabile, ed
essa già vive per mezzo della fede, nella luce del Verbo.
C'è una parola, nel Credo, ineffabilmente profonda, che
esprime bene l'atteggiamento fondamentale di ogni anima di fede di fronte
a questo mondo che passa: « Exspecfo, attendo la vita eterna ».
Questo presentimento di eternità diveniva sempre più dominante,
nell'anima della serva di Dio, a mano a mano che gli anni passavano.
L'anima sua abitava già tutta quanta nell'ai di là, invisibile, ma tanto
vicino. Negli ultimi mesi, si udiva mormorare: «Egli non mi parla più
che di eternila ».
« Immobile e in pace... ». La pace occupa un
posto di capitale importanza in questa dottrina spirituale; suor
Elisabetta vi ritorna per tré volte nella sua breve preghiera: «
Immobile e in pace come se la mia anima già fosse nell'eternità ». —I
« Che nulla pòssa turbare la mia pace ». — « Pacifica l'anima)
mia ». Questa pace che supera ogni senso non viene dalla terra,' ma ha la
sua origine in un attributo divino: « Nulla possa farmi uscire da Tè,
o mìo Immutabile ». Sant'Agostino ce ne ha
Lettcr.i plln signora A... - 24 Novembre 1905.
233
lasciato una definizione celebre: « Pax est tranquilli
I as ordinis:
la tranquillità dell'ordine ». La pace spirituale è
un'armonia delle potenze nell'unità, è la fusione dei loro sforzi verso
un unico fine. Ha per principio Dio amato in tutto e al di sopra di tutto.
I teologi sanno che la pace è uno degli efletti intcriori della carità;
sanno che in un'anima tutta ordinata a Dio, regna la pace.
Suor Elisabetta della Trinità ce ne h;i dato delle
spiegazioni conformi: « È fare l'unità in tutto il proprio essere per
mezzo del silenzio intcriore; è raccogliere tutte le proprie potenze per
occuparle nel solo esercizio dell'amore » 9.
« Se i miei desideri, i miei timori, le mie gioie o i
miei dolori, se tutti i movimenti che derivano da queste quattro passioni
non sono perfettamente ordinati a Dio, vi sarà del rumore in me e io non
avrò la pace. Occorre dunque la quiete, il sonno delle potenze, l'unità
dell'essere » ". Allora, l'anima non ha più da temere i contatti
esterni ne le difficoltà intcriori » ", poiché « essendosi, la
sua volontà, perduta nella volontà di Dio, le sue inclinazioni, le sue
facoltà, non si muovon più che in questo amore e per questo amore » 12.
« Le cose, lungi dall'esserle un ostacolo, non fanno che radicarla più
profondamente nell'amore del suo Maestro » l3.
Nell'unità delle potenze tutte, per Cristo vigilate e
custodite, regna la pace immutabile.
« Che ad ogni istante io mi immerga sempre più nelle
profondità del tuo mistero ». Si rivela, in questa invocazione,
l'anima ardente della santa Carmelitana, il suo desiderio di realizzare
ogni giorno di più il perché fondamentale di ogni vita religiosa:
tendere alla perfezione. Questa preoccupazione amorosa del più perfetto,
che santa Teresa aveva fatto oggetto di un voto speciale, si ritrovava
nella sua figliola ad un grado eminente. E — perché non confessarlo?
— l'impressione dominante che risulta in noi dai molti anni di contatto
con suor Eli-
9
Ultimo ritiro - II giorno.
10 Ultimo ritiro - X giorno.
" Ultimo ritiro - II. piorno.
12 « II parsidiso su!la terra » - 7' oni/'ione.
)3 Ultimo ritiro - Vili giorno.
234
sabetta della Trinità, è la rapidità, continuamente
accelerata, del suo slancio verso Dio. Una Carmelitana di Digione che era
con lei in grande intimità e della quale la serva di Dio diceva:
« Noi siamo come le parti di un'unica dimora », ci ha
dichiarato che soprattutto la fine della sua vita durante gli ultimi otto
mesi di infermità fu una ascesa ammirabile: « Non riuscivamo più a
seguirla ». Ed ecco, allora, farsi per noi più luminosa qucstn (rase che
esprime così bene la sua avidità di perfezione sovrana: « Che, ad
ogni istante, io mi immerga sempre più nella /irò/'ondila del tuo
mistero ». Era fermamente convinta che « ogni minuto ci è dato
perché ci radichiamo sempre meglio in Dio, perche più viva sia la
somiglianzà col nostro divino Modello, più intima l'unione ». E il suo
pensiero non cambierà:
Nel ritiro che, come un testamento, compose per la sua
sorella, riprenderà Io stesso pensiero, e con più ricca concisione,
definendo la vita spirituale « una vita eterna incominciata, e in continuo
progresso ».
2. Pacifica l'anima mia
Un aspetto nuovo di questa preghiera ci fa penetrare nella
sua maniera tutta propria e personale di concepire la vita intcriore. Non
già che essa abbia scoperto una dottrina inedita del Cristianesimo, ma
perché ha saputo penetrare nel significato profondo della parola di
Gesù: « II regno di Dio è dentro di voi ».
E suor Elisabetta ha proprio avuto da Dio la grazia di
ricondurre le anime su questo punto, al puro Vangelo. Non si può forse
dire di lei quello che essa scriveva della Vergine, modello della sua vita
intcriore: « In lei, tutto si svolge di dentro »? Fu proprio la sua
grazia particolare, quella di vivere nel fondo dell'anima sua le ricchezze
trinitarie del suo battesimo e di invitare le anime a questo ritorno alle
veraci sorgenti della vita divina.
« Rendila tuo ciclo ». L'anima stabilita nella
pace e liberata dal suo « io » diviene il teatro delle meraviglie
della grazia e, per il Signore, un vero cielo, una dimora cara, un
luogo di ri-
235
poso.
Notiamo l'elevatezza di questa vita di intimità con le Persone divine.
Qui, le mire ordinarie sono capovolte. La maggior parte delle anime
aspirano all'unione con Dio per il desiderio, lodevole del resto, di
divenire sante; ma pensano poi al perché supremo di ogni santità: la
gioia di Dio e la sua maggior gloria? Esse tendono a Dio con tutte le loro
brame, ma senza giungere però a dimenticarsi interamente.
Quanti pericoli latenti sotto questo metodo di
spiritualità che si potrebbe chiamare: dell'« io » santific.ilo! Qui,
ai contrario, risplende il primato di Dio.
L'anima è un tempio vivo in cui la Trinità santa riceve
senza posa un culto di adorazione, di ringraziamento, di lode e di amore.
Le Persone divine gioiscono l'Una dell'Altra nell'intimo di quest'anima in
cui insieme abitano, in cui il Padre genera il Figlio, il Padre e il
Figlio spirano uno stesso Amore. L'anima diviene un cielo per il suo Dio.
Più tardi, suor Elisabetta della Trinità. contemplando
questa bontà divina che trova le sue delizie ad abitare tra i figli degli
uomini, descriverà così l'ufficio di una lode di gloria:
« Un'anima che permette all'essere divino di saziare in
lei il Suo bisogno di comunicare tutto ciò che Egli è, e tutto ciò che
Egli ha ».
« Che io non ti lasci mai solo ». Ecco la
collaborazione personale, necessaria: « Essere lì, interamente presente,
pienamente abbandonata all'azione creatrice ».
Veramente, Dio non è mai solo: ne in Se. 'stesso, ne
nelle anime; e questa società trinitaria gli basta. Il Padre, il Figlio e
lo Spirito Santo vivono insieme « adesso come "il principio e per i
secoli dei secoli », trovando nel più intimo della loro Essenza, in una
amicizia perfetta, luce e amore e gioia, in grado infinito. Dio non è
dunque mai solo, e la teologia trinitaria nota giustamente che, a rigor di
termine, è proibito e pericoloso definire Dio: solitario. Questa vita di
Dio « dentro di Sé » è talmente la gioia del nostro Dio, che se —
supponendo l'impossibile — questa pluralità delle Persone non esistesse
in seno alla vita trinitaria, anche in mezzo ad una moltitudine infinita
di uomini e di angeli chiamati a partecipare, per grazia, alla sua
236
vita intima, Egli rimarrebbe sempre l'Eterno Solitario, un
po' come una creatura dotata di intelligenza e di volontà, si aggirerebbe
solitària in un giardino, malgrado la presenza di innumerevoli piante e
animali » 14.
Per sovrabbondanza di pura bontà e per « eccesso di
amore », Dio ha voluto trovare le sue delizie tra i figli degli
uomini. Lo abbiamo visto, proprio Lui, in mezzo alla sua creazione: II
Verbo si è fatto carne ed ha abitato fra noi. E noi siamo nel numero di
quei privilegiati ai quali fu concesso di divenire i « figli di Dio
», in comunione del « Verbo », predestinati a vivere « in intima
unione con Lui ». « In società », in intima unione: questa parola
di san Giovanni, così cara a suor Elisa-betta della Trinità, ci spiega
il senso profondo della sua preghiera: « Che io non ti lasci mai solo ».
« Aia che tutta io vi sia.. ». La sua ascetica e
la sua mistica consistevano appunto nel serbarsi libera e interamente
distaccata da tutto, per vivere nel fondo dell'anima sua, « alla presenza
del Dio vivo ».
« Vigile e attiva nella mia fede ». « Una
Carmelitana è un'anima di fede ». La serva di Dio ritornava spesso,
nella sua vita intima, a questa prima virtù teologale: « II programma
del mio ritiro sarà di starmene, con fede e amore, sotto l'unzione di Dio
». « Essere desta e attiva nella fede » significa andare più in la
delle formule che racchiudono le verità da credere:
significa abitare in Dio,
« 'l'ulta immersa nell'adorazione... ». È sempre
lo stesso atteggiamento essenzialmente adorante di fronte a Dio.
« Tutta abbandonata alla tua azione creatrice...
». Suor Eli-sabetta della Trinità fu una di quelle anime che si danno
senza riserva all'azione dello Spirito, convinte che la vita spirituale
consiste meno nel moltipllcare gli sforzi personali, che nel lasciarsi
prendere da Dio. La sua cura costante e sempre più); ; | :•_ intensa,
fu di «credere all'Amore», di lasciarsi trasformateli^" dall'Amore.
Ed è importantissimo, alla sua scuola, essere prò-;' .' :
'' Cfr. il tesso così profondo di s.m Tommaso. Stimma
Thenl. I', q. 31, V ;i<l 1.
237
fondamente convinti che ogni iniziativa di santità viene
prima di tutto da Dio e rivela in prima linea una realizzazione della sua
grazia, cioè del suo gratuito amore. Il carattere dell'amore di Dio verso
di noi non è forse di essere Amore creatore? Ln sciarsi amare, dunque, è
lasciare che Dio agisca nel nostro intimo, lasciare che crei in noi tutte
le meraviglie di grazia e di gloria.
Suor Elisabetta della Trinità aveva compreso la risposta
da dare a questo Amore che non chiede che di potere agire in noi:
« Abbandonarsi pienamente alla Sua azione creatrice ».
3. O amato mio Cristo
Ed ecco la via che conduce alla Trinità: il Cristo.
Sembra apparire d'un tratto; in realtà, è al centro della preghiera di
suor Elisabetta della Trinità come è al centro della sua vita.
« O amato mio Cristo! ». Quando si tratta di Lui,
non c'è più che da amare, « amare fino a morirne ». Aveva già scritto
nel suo diario di fanciulla: « Vorrei farlo conoscere, farlo amare in
tutto il mondo ». Da allora, sono passati cinque anni, anni di intimità
quotidiana, di vita di sposa del Cristo.
La sua devozione a Cristo va dritta all'essenziale: al « Crocifisso
per amore », a Colui che, nella veglia della sua professione, le
aveva detto di essersela scelta per tutta una vita di silenzio e di amore.
Suor Elisabetta si era donata: « Vorrei essere una sposa per il tuo
amore » e, « in quella mattina, la più bella della sua vita », era
divenuta sposa del Cristo, fino alla morte. Ormai, Cristo sarà l'unica
sua vita.
« Coprirti di gloria... ». « Mulier gloria viri
» ''"'. Come una fedele sposa, si dedica, con sempre maggiore
intensità, a « zelare il Suo onore ». Dio non le ha ancora rivelata la
sua vocazione suprema di « Lode di gloria », ma già ve la incammina.
Verrà poi un giorno in cui questo anelito accentrerà tutto, nell'anima
sua, per la gloria della Trinità e per quella del suo Cristo.
« Ma io sento la mia impotenza... ». È
incoraggiante il pensiero che i santi sentivano la loro debolezza, come
noi, E Gesù
''' I Colimi, XI-7.
238
stesso non ha voluto anch'Egli accettare il soccorso
dell'angelo dell'agonia, e l'aiuto di un Cireneo? Di fronte ad un ideale
sovrumano, i santi non indietreggiavano; sapevano chiamare in loro aiuto
il Forte, Colui la cui virtù segreta è con noi sempre, pronta a
purificarci, a salvarci, a divinizzarci, a trasformarci in Lui. « Egli è
sempre attivo, sempre operante nell'anima nostra. Lasciamoci formare da
Lui. Che egli sia l'anima della nostra anima, la vita della nostra vita,
sì che possiamo dire con san Paolo: « Per me, vivere è Cristo » le.
Le loro miserie, le loro infermità, invece di sorprenderli o di
arrestarli, li gettano in Dio e in Gesù Cristo. Ascoltate questo
crescendo sublime della confidenza dei santi: « Rivestimi di Tè,
unificami a tutti i movimenti dell'anima tua ». Poi le parole si
accumulano, premono, incalzano, per esprimere un sentimento che trabocca,
incontenibile: « Ti prego... sommergimi, pervadimi, sostituisciti a
me...; la mia vita non sia che un riflesso della tua vita. Vieni in me
come Adoratore, come Riparatore e come Salvatore!... ».
La trasformazione in Cristo è completa, il motto scolpito
sul « bei Crocifisso della sua professione » è realizzato: « Non
sono più io che vivo; Cristo vive in me. ]am non ego, vivit vero in me
Christns ».
4. O Verbo eterno!
Il volto di Cristo conduce agli splendori del Verbo. È
uno dei temi familiari agli autori mistici; ogni vera devozione a Gesù
Cristo si rivolge principalmente alla sua divinità:
l'umanità non è che la via.
Anche a questo punto, ci troviamo in piena linea
tradizionale, perfettamente equilibrata. Dopo essersi soffermata nelle
piaghe redentrici del « Crocifisso per amore », con un colpo d'ala, si
slancia fino al Verbo: « O Verbo eterno. Parola del mio Dio, voglio
passar la vita ad ascoltarti ». Che cosa importano all'anima che ha
incontrato il Verbo, tutte le meraviglie della natura e della grazia?
Queste creature non sono Lui ed
" Lettera .illn sisnora A... - 9 Novembre 1902. 239
« è Lui, Lui che noi cerchiamo ». I cieli che ci
narrano la sua gloria, non lo celano però anch'essi ai nostri sguardi? «
Verbo eterno, Parola del mio Dio, voglio passar la vita ad ascoltarti »;
Tu mi racconterai tutti i segreti racchiusi nel seno del
Padre, il mistero dei Tré nell'Unità.
« Voglio rendermi docili ssim a, per imparare tutto da
Tè ». La serva di Dio ci rivela ora quale sia la sorgente dei suoi
lumi più sublimi: è la scuola di Dio. Raramente si trova un'anima che
meno di lei sia stata desiderosa di libri: si è nutrita soltanto di
qualche raro libro di spiritualità: il Cantico spirituale, la Viva
fiamma del suo Padre san Giovanni della Croce « che penetrò così
addentro nella divinità », e le Epistole di san Paolo. Lei stessa
confidava sommessamente alla sua Priora: « Ciò che Egli mi insegna, è
ineffabile ». E la Madre Germana, da parte sua, ne era perfettamente
convinta: suor Elisabetta della Trinità fu soprattutto la discepola e
l'ascoltatrice del Verbo.
« Poi, nelle notti dello spirito, nella dcsolii-nonc,
nella impotenza... ». Si ritrova, qui, il sentiero del « nulla'»
che conduce al vertice del monte Carmelo. L'anima contemplativa, l'anima
Carmelitana in particolare, è chiamata a conoscere le lunghe e dolorose
purificazioni delle « notti » oscure, prima di raggiungere l'unione
divina: dopo aver lasciato tutto per Cristo, sentirlo scomparire... non
per un giorno o per qualche mese, ma per lunghi anni, per tutta una vita
forse..., e nonostante, rimanere fedele, senza mai indietreggiare, senza
lamentarsi mai. Una grande esperienza vissuta si cela in queste 'brevi
parole: le anime di orazione non cerchino Dio per il sentiero delle
consolazioni, ma nella nudità della fede e nello spogliamente assoluto; e
qui rimangano, fedeli « in tutte le notti, tutte le desolazioni, tutte le
impotenze ». .
« Voglio fissarli sempre, e starmene sot-to il tuo
grande splendore ». Suor Elisabetta della Trinità aveva gustato
anche essa, nelle prime ore della sua ascesa per le vie mistiche, le gioie
inebrianti della presenza di Dio. Ma ben presto, e a lungo, dovrà cercare
il suo Dio nella pura fede. « Dopo queste estasi, questi sublimi
rapimenti nei quali l'anima dimentica tutto il resto e non vede che il suo
Dio, come par dura e penosa l'orazione
240
ordinaria e quanta fatica ci vuole per raccogliere le
proprie potenze! Come costa e come sembra difficile! ».
Eppure, non è davvero il momento di lasciare la vita di
orazione. È l'ora .benedetta che conduce all'unione trasformante, nel
silenzio della notte. Dunque, più che mai, « guardarlo fissamente,
sempre », e « rimanere in pace sotto la grande luce della notte oscura e
transluminosa. Lasciarsi sempre più passivamente attirare dal Verbo: « O
mio Astro adorato, affascinami, perché io non possa più sottrarmi
alla tua irradiazione ». Come la farfalla, che io sia abbagliata e
vinta dal fulgore della tua luce.
« Spinto d'amore... ». Essere, nel seno della
Trinità, l'Amore Personale del Padre e del Figlio: ecco tutto il mistero
dello Spirito Santo, vero « Spirito d'Amore », nel quale Dio ama Sé ed
ama tutto l'universo. La natura più intima di questa Persona divina,
uguale al Padre e al Figlio da cui procede, è di essere il loro Amore
sostanziale e coeterno in una stessa vita a Tré.
La serva di Dio, anche qui, non fa che appoggiarsi sopra
un dato fondamentale del dogma Trinitario, il più profondo per l'anima
contemplativa che vorrebbe vivere già sulla terra di questo mistero, il
mistero di un Dio clic è personalmente l'Amore. Ma ciò a cui essa mira
è di un ordine più pratico. La sua preghiera non è una elevazione sulla
vita trinitaria, ma il movimento di un'anima contemplativa che trova, in
questo mistero della Trinità, « il suo Tutto, la sua Beatitudine, la
infinita Solitudine in cui si perde ». Lo Spirito d'Amore è invocato per
la sua azione santificatrice nelle anime che cercano l'unione con Dio. «
O Fuoco consumante, Spirito di Amore, discendi in me perché si faccia
nell'anima mia quasi un'incarnazione del Verbo ». Ha già supplicato
Cristo di immedesimarla con la Sua. Anima, di sostituirsi a lei affinchè
la sua vita non sia che un'irra-fc diazione della vita di Lui; poi, nella
sua invocazione al PadreJ e in quella allo Spirito Santo, ritorna sullo
stesso pensiero, per-| che il desiderio della sua trasformazione in Cristo
è veramente' il punto centrale di questa preghiera essenzialmente
trinitaria.
241
E nulla rivela con maggior evidenza a qual punto Gesù si
era sostituito alla sua vita propria.
« Si faccia nell'anima mia quasi un'incarnazione del
Verbo ». Epressione audace, che bisogna comprendere bene; « quasi
» un'incarnazione. Non si tratta di un desiderio da prender troppo
alla lettera e che sarebbe un assurdo; ma è il linguaggio di un'anima
innamorata di Cristo che vagheggia di divenire un altro Lui stesso.
« Che io gli sia un prolungamento di invanita in cui
Egli possa rinnovare il Suo mistero ». Formula luminosa che rischiara
tutto. La spiega lei stessa tré giorni dopo, scrivendo ad un giovane
sacerdote: « Che io sia per Lui un prolungamento di umanità, cioè che
Egli possa perpetuare in me la sua vita di riparazione, di sacrificio, di
lode e di adorazione... Gli ho chiesto di venire in me come Adoratore,
come Riparatore e come Salvatore ».
« E Tu, o Padre! ». Ed ora, si rivolge al Padre,
Principio della divinità. È Padre: ed è questo tutto il suo mistero, il
suo carattere proprio, in seno ai Tré. È il Principio senza principio,
da cui deriva, come da propria sorgente infinitamente feconda, tutta la
vita trinitaria « al di dentro ». E sarà la suprema luce del « faccia
a faccia », scoprire in Lui, come nella sua origine eterna, tutto il
mistero dei Tré nell'Unità.
Ma non si tratta di questo direttamente, nell'ora dì
grazia in cui suor Elisabetta ha composta la sua preghiera. Alla
presenza di questa divina Paternità, ella vede soprattutto il suo niente.
« O Padre, chinati verso la tua povera, piccola creatura! ». E,
ricordando il mistero della Vergine della Incarnazione, la Vergine sua
prediletta, soggiunge: « Coprila della tua ombra », cioè : proteggila.
E infine l'anima sua, ritornando sempre a Cristo, al suo centro, implora:
« Non vedere in essa che il Diletto in cui hai poste tutte le tue
compiacenze ».
242
5. O w/'ri Tré
La preghiera volge all'epilogo. Un ultimo slancio la
solleva verso i « Tré » ai quali suor Elisabetta ha consacrata tutta la
sua vita: « O miei Tré, mio Tutto, Beatitudine mia, Solitudine infinita,
Immensità in cui mi perdo, io mi abbandono a Voi come una preda;
seppellitevi in me perché io mi seppellisca in Voi, in attesa di venire a
contemplare nella vostra luce, l'abisso delle vostre grandezze ».
La preghiera dell'inizio è esaudita: non ritrova più
vestigio in sé.
L'anima è trasumanata in Dio.
243
EPILOGO
LA SUA MISSIONE
1 ) « La mia missione sarà quella di mantenere le anime
in questo grande silenzio intenore ».
2) « Vi lascio questa vocazione che fu la mia in seno
alla Chiesa: Lode di gloria lìdia Trinila Saniti ».
1. Il grande silenzio inferiore - 1. Lode di gloria
della 'Trinità.
I grandi servi di Dio, mentre stavano per lasciare la
terra, sentivano che la loro attività apostolica al servizio della
Chiesa, lungi dal cessare con la morte, avrebbe anzi potuto espandersi
soprattutto quando l'anima loro fosse giunta in seno a Dio. Non avevano
essi l'esempio e il ricordo della promessa del Maestro agli Apostoli: «
È bene per voi che io me ne vada. Quando sarà rii orini In al Vadrc,
vi manderò lo Spirito »?
San Paolo ci ha lasciato la descrizione dell'attività
eterna di Cristo sempre vivo dinanzi al Volto del Padre, per
adorarlo e glorificarlo, ma anche « per intercedere continuamente in
nostro favore » '.
E chi oserebbe pensare che, dopo la sua gloriosa
assunzione, la Madre degli uomini si sia disinteressata delle nostre
terrene miserie e che nel suo mistero eterno, fra i gaudi della visione,
la Madre di Dio non sia sempre occupata di questi altri suoi figli,
intercedendo per loro? Che non sia sempre china su di essi tutti quanti,
per « generarli al Cristo », più madre che mai?
Non è raro trovare sulle labbra dei grandi fondatori di
Ordini parole simili a quelle di san Domenico ai suoi figli che
' Ebrei, VII, 25.
245
piangevano intorno a lui morente: « Vi .sarò più utile
di lassù ».
Il mondo intero ha udito il desiderio della « santa più
grande dei tempi moderni » 2, Teresa di Gesù Bambino: « In
cielo, io non starò inattiva. Voglio passare il mio cielo a fare del bene
sulla terra ». E la sua umile sorella di Digione ha lasciato erompere
dall'anima lo stesso grido apostolico: « Non dubitate: lassù nella
sorgente dell'Amore, io penserò attivamente a voi; e chiederò per voi
una grazia di unione, di intimità coi divino Maestro: è quella che ha
resa la mia vita un paradiso anticipato ». Qualche giorno prima di
morire, mossa dallo Spirito Santo, tracciò in matita, con mano tremante,
questa frase celebre, indirizzata ad una povera sorella conversa: « Mi
sembra che la mia missione, in cielo, sarà quella di attirare le anime
nel raccoglimento intcriore, aiutandole a uscire da loro stesse per
aderire a Dio, mediante un movimento semplicissimo e tutto di amore; e di
mantenerle in quel grande silenzio inferiore che permette a Dio di
imprimersi in esse e di trasformarle in Sé ».
Parole profetiche. E la propagazione rapida e mondiale dei
« Ricordi » ce ne fa constatare la realizzazione.
1. In cielo, i santi hanno ciascuno la loro missione in
armonia col piano della redenzione e in ricompensa dei meriti acquistati
sulla terra. E sino alla fine del mondo, essi continuano a lavorare per la
estensione del regno di Dio e per la formazione del « Cristo totale
»; tutti: la Madre del Verbo Incarnato come Medianice universale di
tutte quante le grazie, senza eccezione; gli altri santi, chi più chi
meno, ciascuno nella propria linea, secondo il loro posto nell'economia
provvidenziale. Così, i patriarchi degli ordini religiosi vegliano
particolarmente sui mèmbri del loro istituto, una santa Giovanna d'Arco
sulla sua patria, un vescovo sulla sua diocesi, un curato sulla sua
parrocchia, un padre o una madre sui figli.
La missione affidata dalla Provvidenza a suor Elisabetta
della Trinità non è di intervenire luminosamente nella dirczione del
2 Pio
X, :icf un Vescovo ilìissionario.
246
mondo, ma di attirare le anime nelle vie del silenzio e
del raccoglimento, per la gloria della Trinità.
« Credo che la mia missione, in Ciclo, sarà quella di
attirare le anime nel raccoglimento... » ... « aiutandole a
uscire da loro stesse ». È la grazia delle grazie. Quante anime « labirinti
» non riescono mai ad uscire da loro stesse, attraverso ai dedali
innumerevoli del proprio « io! » Le più ferventi ne gemono e si
desolano; ma invano cercano di liberarsi coi loro proprì sforzi; non vi
riescono, perché è compito che supera le forze umane: ci vuole la grazia
di Dio. È dunque grazia preziosissima quella che promette la cara serva
di Dio a tutte le anime intcriori che sono imprigionate nel loro « io ».
Dal Ciclo, il suo aiuto silente le conduce a quella liberazione totale che
le getta « pienamente in Cristo ».
Ma l'anima non si distacca che per unirsi, « per
aderire a Dio ». È l'aspetto positivo della missione di suor
Elisabetta della Trinità. I suoi scritti spirituali hanno portato già
tanti frutti negli ambienti cattolici più diversi, perché il suo invito
al raccoglimento inferiore si rivolge a tutte le anime della Chiesa di
Dio. Tuttavia — bisogna riconoscerlo — la silenziosa Carmelitana di
Digione sembra aver ricevuto una missione tutta particolare da svolgere
presso le anime contemplative, per strapparli- n loro stesse e quniclic
volta ai loro poveri « cenci », e rapirle nella grande corrente
della vita divina che conferisce loro potenza di redenzione sul Cuore di
Dio.
Ma, pél un gran numero di queste anime intcriori, quante
complicazioni nella pratica della loro vita spirituale! Alcune cercano Dio
nelle mortificazioni eccessive, altre in una fedeltà minuziosa troppo
attaccata alla lettera, troppo meccanica, troppo poco attenta al soffio
dello Spirito. A tutte queste anime di buona volontà, quniche volta male
illuminate, suor Elisa-betta ricorda che bisogna andare a Dio « con un
movimento semplicissimo, tutto di amore ». Soltanto l'amore dona la
semplicità. Un'anima che in ogni cosa non cerca che la gloria divina, con
amore perfetto, è un'anima che va dritta a Dio.
« Deus ignis consumens •>•>: il nostro
Dio è un fuoco consumante, cioè un fuoco d'amore che distrugge, che
trasforma in
247
Sé tutto ciò che tocca. Per le anime che, nel loro
intimo, sono tutte abbandonate alla Sua azione, la morte mistica di cui
parla san Paolo diviene tanto semplice, tanto soave! Esse pensano molto
meno al lavoro di spogliamento e di distruzione che rimane loro da
compiere, che non ad immergersi nel fuoco d'amore che arde in loro e che
è lo Spirito Santo, quello stesso Amore che, nella Trinità, è il
vincolo di unione fra il Padre e il suo Verbo. La fede ve le introduce: e
là, semplici e quiete, sono da Lui stesso trasportate in alto, più in
alto delle cose tutte, dei gusti sensibili, fino alla « tenebra sacra
», e sono trasformate nell'immagine divina. Esse vivono, secondo
l'espressione di san Giovanni: « in società » con le Tré
adorabili Persone; la loro vita è in comune: è la vita contemplativa » 3.
Allora, l'anima è custodita « in quel grande silenzio
intcriore » così caro a suor Elisabetta della Trinità e centro in
cui converge tutta la sua dottrina spirituale. Dopo H capitolo consacrato sAVAscesi
del silenzio, non c'è più bisogno di insistere su questo punto
importantissimo.
Oggi, nel mondo, tutto è assorbito da un'attività
dinamica; e non si pensa che all'azione esteriore. Le anime non sanno più
tacere per ascoltare Dio. In questo mondo moderno che si agita
rumorosamente c'è forse una missione più urgente di quella affidata
dalla Provvidenza alla santa Carmelitana di Digio-ne? Ricondurre, cioè,
le anime nella vita del raccoglimento e « custodirle in quel profondo
silenzio interiofe che permette a Dio di imprimersi in loro, e di
trasformarle in Se medesimo ». Lei stessa ci ha insegnato « che
un'anima che si riserba ancora qualche cosa nel suo regno interiore,
un'anima le cui potenze non sono tutte « raccolte » in Dio, non
può essere una perfetta lode di gloria... Un'anima che scende a patti col
proprio « io », che si occupa delle sue sensibilità, che va dietro ad
un pensiero inutile, a un desiderio qualsiasi, quest'anima disperde le
proprie forze, non è concentrata in Dio; la sua arpa non vibra
all'unisono; e quando il Maestro divino la tocca, non può trame armonie
divine. Vi è ancora troppo di umano »4.
3 « I!
Parnc^so sulla terra » - 6" orbitine.
4 Ultimo ritiro - IT giorno.
248
Tutto deve tacere in noi: i sensi esteriori alle cose
della terra, le potenze interiori a tutti i rumori del di dentro: silenzio
dello sguardo, silenzio della immaginazione e della memoria, silenzio
della immaginazione e della memoria, silenzio del cuore soprattutto. «
Perché nulla mi distolga da questo bei silenzio intcriore, sono
necessarie sempre le stesse condizioni, lo stesso isolamento, lo stesso
distacco, lo stesso spogliamente. Se i miei desideri, i miei timori, le
mie gioie, i miei dolori, se tutti i movimenti che derivano da queste
quattro passioni non sono perfettamente ordinati a Dio, io non sarò
silenziosa, vi sarà del tumulto in me; occorre dunque la quiete, il sonno
delle potenze, l'unità dell'essere » \
Anche le facoltà spirituali più elevate devono, a loro
volta, entrare in questo « alto silenzio intcriore »: silenzio
dell'intelligenza: nessun pensiero inutile; silenzio del giudizio, così
radicalmente opposto allo spirito moderno, critico per eccellenza;
silenzio della volontà soprattutto, che produce nell'anima il grande
silenzio dell'amore.
Questo « alto silenzio inferiore » quando si sia
profondamente affermato nelle anime, « permette a Dio di imprimersi in
esse e di trasformarle in Se medesimo ». Si realizza, allora,
10 scopo supremo di ogni vita umana: l'unione
trasformante. « Ormai il Signore è libero; libero di effondersi, di
donarsi « a suo beneplacito », e l'anima così semplificata,
unificata, diventa
11 trono .dell'Immutabile, poiché l'unità è il trono
della santa Trinila »..''.
2. Un documento postumo, di straordinaria
importanza, ci rivela un altro aspetto ancora più essenziale della
missione provvidenziale della serva di Dio. Dopo la sua morte, fu trovata
una piccola busta, accuratamente sigillata con ceralacca rossa, che recava
questo indirizzo: « Segreto per la nostra Madre ». Confidenza suprema,
nell'ora in cui i santi vedono tutte le cose alla luce dell'eternità. ;'
« Madre mia, quando leggerete queste righe, la vostra
pic-
5
Ultimo ritiro - X giorno.
6 Ultimo ritiro - TI piorno.
249
cola « Lode di gloria » non canterà più sulla terra,
ma sarà inabissata in seno all'Amore... L'ora è così grave, così
solenne! e non voglio indugiarmi a dirvi cose che mi sembrerebbe di
diminuire volendo esprimerle con la parola... Ma la vostra figliola vuoi
rivelarvi quello che sente o, per essere più esatta, quello che il suo
Dio le ha fatto comprendere nelle ore di raccoglimento profondo, di
contatto unificante... Madre venerata, Madre per me consacrata fin
dell'ctcriìit.ì, il Voi, [laricndo, io lascio in eredità quella
vocazione che fu la mia in seno alla Chiesa militante e che, d'ora
innanzi, adempirò incessantemente nella Chiesa trionfante: « lode
di gloria della Santa Trinità ».
La gloria della Trinità: ecco il testamento supremo della
santa Carmelitana a tutte le anime che vorranno seguirla nel cammino della
vita intcriore.
Questa « lode di gloria della Trinità » che fu la sua
« vocazione fin dall'esilio », e rimane il « suo ufficio per la
eternità » alla presenza della maestà di Dio, risponde al più sublime
disegno divino riguardo a tutte le creature. Sì; tutto, nell'opera di
Dio, è ordinato a questa gloria. « Universa propter se operatus est
Domimis » 7. Se ha mandato nel mondo il Figlio suo, è
stato prima di tutto per riparare questa gloria offesa dal peccato. Gesù
stesso riassumeva in una parola la sua missione sulla terra: « Padre,
non ho cercalo che la ina glorici: Giurificavi Tè, Pater » ".
Ormai possiamo abbracciare in tutta la sua ampiezza la
dottrina mistica di suor Elisabetta della Trinità.
La Trinità adorabile è il Bene supremo al quale tendono
tutte le anime e il mondo dei puri spiriti; e proprio per farci entrare «
in società » con le Persone divine, il Padre ha creato l'universo
ed ha « inviato il Figlio suo ». Tutto il mistero della Chiesa e
della Madre di Dio, Mediatrice di grazia, è di condurre il « Cristo
totale » alla contemplazione della Trinità. « La
7 Prov, XVI-4.
8 San Giovanni, XVII-4.
250
visione della Trinità nell'Unità: questo è il sublime
destino dell'uomo » ". Egli cammina penosamente sulla terra, in
Cristo, il « Crocifisso per amore », ma per giungere a perpetuarsi in
Dio. E attraverso tutte le croci, tutte le notti, tutte le morti della
Chiesa militante, continua la silenziosa ascesa delle anime verso
l'immutabile e beatificante Trinità.
Ma giungono alla visione divina che è « la consumazione
ncll'unilà » quelli soltanto che, in questa ascesa, hanno il coraggio di
abbandonare tutto ciò che è estraneo a Dio, per gioire di Lui, nel suo
isolamento, nella sua semplicità, nella sua purezza;
di Lui, l'Essere da cui tutto dipende, a cui tutto mira,
dal quale deriva l'essere, la vita, il pensiero. « C'è un Essere che e
l'Amore, e die vuoi farci vivere in società con Lui » 10. «
Questo Amore infinito che ci avvolge e ci penetra vuole associarci, fin da
questa vila, alla sua beatitudine. Riposa in noi tutta la Trinità, questo
mistero che sarà, in Cielo, la nostra visione » ".
Come sembra vano tutto il resto all'anima che ha
intravisto, mediante la fede, questi splendori trinitarì. Essa è
cosciente di possedere in sé un Bene, così grande, dinanzi al quale ogni
altro bene illanguidisce e scompare. « Tutte le gioie che le sono
concesse sono per lei come altrettanti inviti a gustare il Bene che
possiede, preferendolo a tutto perché nessun altro bene può csscrgli
paragonato » '2. E quale amore, quale desiderio di unirsi
;> Lui, nella anima fortunata che ha incontrato questo Bene! Lo ama di
un amore « più forte della morte », lo vuole con brama nrdente, si
disillude di ogni altro amore, trascura le altre hc'ìie^e che per un
istante avevano potuto sedurla. La privazione di tutto il creato non è
una sofferenza per chi possiede Dio; infelice è soltanto chi è privo
della visione di questa suprema Bellezza. Bisogna, dunque, lasciare tutto
per possedere questa ricchezza ineffabile, svincolarsi completamente dal
fascino delle bellezze fugaci che potrebbero distogliere l'anima dal suo
fine; bisogna non voler sapere più nulla della terra, fuggirsene
" Cfr. san Ton-imaso, I Sent. I, II, 1 Exposilio
textiis: « Cog'iifio Tri-niliil"; in Uuiliilc fsf fruclus et
finis tot'ws vitae nosirae ». '» Lettera ali.-i mamma - 20 Ottobre
1906. " Lettera ,1 G, ile G... - 20 Agosto 1903. '2 '-II
p.ir;ir)iso sulla terra» - I[" orazione.
251
«sola col Solo», estranea a tutto. La vera patria
dell'anima è là, in seno alla Trinità beata, nel silenzio e nel
raccoglimento. « La Trinità: ecco la nostra dimora, la nostra cara
intimità, la casa paterna donde non dobbiamo uscire mai » '3.
Una fase superiore di vita spirituale si realizza
nell'anima quando, trionfando del suo « io », e « dimenticandosi
intiera-mente », essa non vive più che per Dio, come i beati in cielo,
nell'« incessante lode di gloria ». « In ogni suo movimento, in ogni
sua aspirazione, come in ogni azione per quanto ordinaria sia,
cJuest'anima è, per così dire, un « Sanclus » perpetuo, una continua
« lode di gloria » 14. Comincia nel tempo il suo « ufficio
della eternità »; ma sempre raccolta nel fondo del suo essere,
nell'intimo santuario dove si è ritirata col suo Dio.
« La più bella delle creature, anima che desideri
ardentemente di conoscere il luogo dove si trova il tuo Diletto, per
cercarlo e unirti a Lui, sei tu stessa il rifugio dove Egli si ritira, la
dimora in cui si nasconde. Il tuo Diletto, il tuo tesoro, l'unica tua
speranza, ti è così vicino, che anzi, abita in tè; e, senza di lui, tu
non puoi nemmeno esistere » ". Si ricordi però. quest'anima, che
Dio abita in lei non per lei soltanto, per la sola sua gioia, ma prima di
tutto per la propria gloria. « La Trinità brama ritrovare nelle sue
creature la propria immagine e somiglianzà ». Ecco quindi che la gloria
della Trinità deve elevare alfine l'anima al di sopra di se stessa e
della sua propria gioia. « Poiché l'anima mia è un cielo in cui vivo
aspettando la celeste Gerusalemme, questo cielo deve cantare la gloria
dell'Eterno, niente altro che la gloria dell'Eterno » 1".
A questo, in ultima analisi, la dottrina spirituale di suor Elisabefta
della Trinità vuole condurre le anime: « Vivere in un eterno presente ad
immagine dell'immutabile Trinità, sempre adorandola per Lei stessa, e
divenire, mediante uno sguardo sempre più semplice, più unitivo, lo
splendore della sua gloria o, in altre parole, l'incessante lode di gloria
delle sue adorabili perfezioni » 17.
13 «
II paradiso sulla terra » - I' orazione.
'•' Ultimo ritiro - VITI giorno.
15 San Giovanni della Croce - « Cantico spirituale
», strofa I".
^ TÌIum/^ t-tl-lt-f-i _ WÌT ni^fnfi
'" Ultimo ritiro - VII giorno 17 Ultimo
ritiro - XVT giorno.
252
Mentre santa Teresa di Gesù Bambino ha suscitato schiere
di anime che l'hanno seguita nella sua offerta di vittima all'Amore
misericordioso, suor Elisabetta della Trinità sembra aver ricevuto la
missione di suscitare nella Chiesa una moltitudine di « Lodi di gloria
» alla Trinità:
Vi lascio ni eredità questa vocazione che fu la mia in
seno aliti Chiesii militante e che adempirò d'ora innanzi
incessantemente nella Chiesa trionfa» fé:
« lode
DI GLORIA DELLA santissima trinità »
253
ULTIMI CONSIGLI DI VITA INTCRIORE '
« Voglio rispondere alle tue domande».
« Ecco che finalmente Elisabetta viene, con la matita, a
porsi vicino alla sua Fr... cara; dico: con la matita, perché col cuore
ti sono sempre vicina, e da tanto tempo ormai, non è vero? e sempre
restiamo strettamente unite l'una all'altra. Come sono belli i nostri
promessi incontri della sera! Sono come il preludio di quella comunione
che si stabilirà fra le anime nostre dal cielo alla terra. Mi sembra di
starmene reclinata su di tè come una mamma sulla sua figlioletta
prediletta. Alzo gli occhi, guardo il Signore, poi li abbasso ancora su di
tè, e ti espongo ai raggi del suo amore. Non gli dico nulla, ma Egli mi
comprende anche meglio senza parole, e preferisce il mio silenzio.
Mia figliola cara, vorrei essere santa per poterti fin
d'ora aiutare quaggiù, in attesa di farlo lassù, in cielo. Che cosa non
vorrei soffrire per ottenerti quella forza, quelle grazie di cui hai
bisogno!
Voglio rispondere, ora, alle tue domande.
Parliamo prima di tutto àe\['umiltà. Ho letto su
questo argomento delle parole magnifiche. Un pio autore dice che « nulla
può turbare l'umile; esso possiede la pace inalterabile, perche si è
sprofondato in tale abisso, che nessuno andrà a cercarlo così in basso
». Dice ancora che « l'umile trova la più saporosa dolcezza della sua
vita nel sentimento della propria impotenza di fronte a Dio ».
Ma l'orgoglio, sai, non è un nemico che si possa
atterrare con un bc1 colpo di spada. Senza dubbio, certi atti di umiltà
eroica come ne vediamo nella vita dei santi, Io colpiscono, se non
mortalmente, in modo almeno da indebolirlo di molto; ma
' In questa risposta, scritta l'H settembre 1906 (qualche
settimana prima di morire) ;id una amica d'infanzia traspare tutta la sua
esperienza della vita intcriore, formulata alla maniera dei santi:
con la semplicità del Vangelo.
255
bisogna farlo morire ogni giorno. « Quotidie inorior
», diceva san Paolo, « io muoio ogni giorno » 2.
Questa dottrina del « morire ogni giorno a se stessi » è
divenuta legge per ogni anima cristiana, dal momento che Gesù ha detto:
« Se qualcuno vuoi seguirmi, prenda la sua croce e rinneghi se stesso
» 3 ;
sembra così austera, ed è di una soavità ineffabile, se
si considera qua! è il termine di questa morte. È la vita; la vita di
Dio che si sostituisce alla nostra vita di miserie e di peccati. E proprio
questo voleva dire san Paolo quando scriveva: « Spogliatevi dell'uomo
vecchio e rivestitevi del nuovo, secondo l'immagine di Colui che lo ha
creato » '. Questa immagine è Dio stesso. E ricordi come Egli
esprime formalmente questa Sua volontà nel giorno della creazione quando
dice: « Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianzà »?
".
Oh, credimi; se pensassimo di più alla nostra origine, le
cose della terra ci sembrerebbero così puerili, che non potremmo
stimarle. San Pietro, poi, scrive in una delle sue epistole che « siamo
fatti partecipi della natura divina » ". E san Paolo ci
raccomanda di « conservare salda sino alla fine questa base » ',
inizio del suo Essere, che Egli ci ha dato.
L'anima che ha coscienza della sua grandezza entra in
quella santa libertà dei figli di Dio s, di cui parla
l'Apostolo, cioè supera tutte le cose ed anche se stessa. Mi sembra che
l'anima più libera sia quella che più si dimentica; e se mi si chiedesse
il segreto della santità, direi: non fare nessun conto di sé, rinnegare
il proprio io, sempre. Ecco un buon sistema per uccidere l'orgoglio: farlo
morire di fame. L'orgoglio è amore di noi medesimi; ebbene: l'amore di
Dio cresca tanto e sia così forte da estinguere ogni altro amore in noi.
Dice sant'Agostino che in noi abbiamo due città: quella
di Dio e quella dell'« io »; in proporzione dell'affermarsi della
2 I
Corinti, XV-31.
3 San Matteo, XVI-24.
4 Colossesi, III-20. 3 Genesi, 1-26.
6 II Pietro, 1-4.
7 Ehrei, TII-14.
8 Romani, VIII-21.
256
prima, sarà demolita la seconda. Un'anima che vivesse di
fede sotto lo sguardo di Dio, che avesse quell'« occhio semplice
» di cui parla Gesù nel Vangelo 9, cioè quella purezza
d'intenzione che mira a Dio solo, una tale anima mi pare che vivrebbe
anche nella umiltà; saprebbe riconoscere i doni ricevuti da Lui, perche
l'umiltà è verità, ma non si approprierebbe nulla, riferendo tutto a
Dio, come faceva la Vergine santa. I movimenti di orgoglio che senti in
tè non divengono colpevoli se non quando la volontà se ne fa complico :
altrimenti, potrai soffrire molto, ma non offenderai il Signore. Le colpe
di questo genere che ti sfuggono come tu dici, senza neppure rifletterci,
denotano certamente un fondo di amor proprio; ma questo, mia povera cara,
fa parte in qualche modo del nostro essere. Quello che il Signore vuole da
tè, è che non ti fermi mai volontariamente in un pensiero di
orgoglio qualunque esso sia, e che tu non compia mai un atto ispirato da
questo stesso orgoglio, perché faresti male; ma se anche tu dovessi poi
riconoscere di aver agito così, non scoraggiarti, perché l'irritarsi è
ancora segno di orgoglio; deponi invece la tua miseria ai piedi del
Maestro come faceva la Maddalena, e chiedigli che tè ne guarisca; gli
piace tanto vedere che l'anima riconosce la propria impotenza! Allora,
come diceva una grande santa, « l'abisso dell'immensità di Dio stringe a
sé questo nulla » '°.
Figliola mia, non è orgoglio pensare che tu non vuoi
saperne di una vita facile; anch'io ritengo che il Signore vuole davvero
che la tua vita si svolga in una sfera dove si respira aria divina. Credi;
sento una compassione profonda per le anime che non vivono più in su
della terra e delle sue volgarità; mi sembrano schiave, e vorrei dir
loro: Scuotete il giogo che pesa su di voi; perché vi trascinate con
cotesti lacci che vi incatenano a voi stesse ed a cose inferiori a voi? Io
ritengo che i felici,. quaggiù, sono quelli che sanno tanto disprezzare e
dimenticare ;
se stessi, da scegliersi in retaggio la croce; quando si
sa trovare;
la gioia nel dolore, che pace deliziosa! ?'
« Io completo nella mia carne ciò che manca alla
Passione
9 Sm
Matten, VI-22. 1(1 Sant'Angela da F'oligno.
257
di Gesù Cristo per il suo corpo che è la Chiesa
» ' ' : ecco ciò che formava la felicità dell'Apostolo. Questo pensiero
non mi abbandona mai; e ti confesso che provo una gioia intima e profonda
nel vedere che Dio mi ha scelta per associarmi alla passione del suo
Cristo. Questa via del Calvario che salgo ogni giorno mi sembra piuttosto
la strada della beatitudine.
Hai visto mai quelle immagini rappresentanti la morte che
miete con la falce?
È quanto accade in me; e la sento che si avvicina per
stroncarmi. La natura ne freme di pena, talvolta; e ti assicuro che, se mi
fermassi lì, non esperimenterei che la mia viltà nel dolore;
ma questo è lo sguardo umano, e subito « apro l'occhio
dell'anima al lume della fede », questa fede mi dice che è l'amore che
mi consuma lentamente, che mi distrugge; e allora provo una gioia immensa
e mi abbandono a Lui come sua preda.
Per raggiungere la vita ideale dell'anima, io credo che
sia necessario vivere nel soprannaturale, cioè non agire mai «
naturalmente ». Bisogna sapere che Dio è in noi, nell'intimo del nostro
essere, e agire sempre con Lui; allora non si diventa mai volgari, neppure
compiendo le azioni ordinarie, perché non si vive in queste cose, ma si
oltrepassano. Un'anima soprannaturale non discute mai con le cause
seconde, ma si volge a Dio solo; e come è semplificata la sua vita, come
si accosta a quella degli spiriti beati, come è sciolta da se stessa e da
qualsiasi cosa! Tutto, per lei, si riduce all'unità, a quell'« unico
necessario » 12 di cui il Maestro parlava alla Maddalena;
ed allora è veramente grande, veramente libera, perché ha « racchiusa
la sua volontà in quella di Dio ».
Come appaiono spregevoli le cose visibili, quando si
contempla la nostra predestinazione eterna! Ascolta san Paolo:
« Quelli che Dio ha predestinati, li ha anche voluti
conformi all'immagine del Figlio suo ». Ma questo non è ancora
tutto;
ed egli ti dirà che tu sei anche nel numero dei
predestinati:
" Colossesi, 1-24. " San Luca. X-42.
258
r 3
« Quelli che ha predestinati, li ha pure chiamati ».
È il battesimo che ti ha resa figlia di adozione, che ti ha segnata col
suggello della santissima Trinità. « E i chiamati li ha anche
giustificati ». Quante volte sei stata giustificata anche tu dal
sacramento della penitenza e da tutti quei tocchi di Dio nella tua anima,
che ti hanno purificata senza che neppure tè ne accorgessi! « Coloro
che ha giustificati, poi, li ha anche glorificati » ". È ciò
che ti attende nella eternità; ma ricordati che il nostro grado di gloria
corrisponderà al grado di grazia nel quale Dio ci troverà in punto di
morte. Lasciargli dunque compiere in tè l'opera della tua
predestinazione, e segui san Paolo che ti da un programma di vita: « Camminate
in Gesti Cristo, radicati ed edificati in Lui, fortificati nella fede e
crescendo in essa sempre più con rendimento di grave » 14.
Sì, figliolina dell'anima mia, cammina in Gesù
Cristo; hai bisogno di questa via larga e spaziosa; non sei fatta, tu,
per gli angusti sentieri della terra. Sii edificata in Lui, molto
in alto, al di sopra di tutto ciò che passa, lassù dove tutto è puro,
tutto è luminoso. Sii ben ferma nella fede, non agire che secondo
la luce di Dio e mai secondo le tue impressioni o la tua fantasia; credi
che Egli ti ama, che vuole aiutarti nelle tue lotte e difficoltà; oh sì,
credi al suo amore, al suo « amore troppo grande » la,
come dice san Paolo. Nutrì la tua anima dei grandi pensieri di fede che
ci rivelano le nostre vere ricchezze e il fine per cui Dio ci ha creati.
Se vivrai di queste verità, la tua pietà non sarà una esaltazione
nervosa, come temi, ma sarà soda e vera; è così bella la
verità, la verità dell'amore! « Egli mi ha amato e si è dato per me
»le. Ecco, bambina mia che cosa vuoi dire essere veraci
nell'amore. E poi, finalmente, cresci nell'azione di grazie; è
l'ultima parola del programma e non ne è che la conseguenza. Se
camminerai radicata in Gesù Cristo forte nella tua fede, vivrai
nell'azione di grazie, nella dilezione dei figli di Dio.
13
Romani, Vili, 29-30.
14 Colossesi, II, 6-7. '•'' Efesini, TI-4. '"
Ciliari, 11-20.
259
Mi domando come è mai possibile che non sia lieta sempre,
in qualsiasi pena, in qualunque dolore, l'anima che ha sondato l'amore che
c'è « per lei » nel cuore di Dio. Ricordati che « Egli fi ha
eletta in Lui, prima della creazione, perché fu sia pura e immacolata al
suo cospetto nell'amore » ": è ancora san Paolo che tè lo
dice. Quindi non temere la lotta, la tentazione. « Quando sono debole
— esclama l'Apostolo — allora sono forte perché la virtù di
Gesù Cristo si trova in me » ".
Che cosa penserà la nostra reverenda Madre quando vedrà
questa lunga lettera? Ella non mi permette quasi più di scrivere, perché
sono di una debolezza estrema, e ad ogni momento mi sento mancare. Ma
sarà forse l'ultima lettera della tua Elisa-betta; ci son voluti molti
giorni per scriverla, e questo ti spiegherà la sua incoerenza; eppure,
stasera, non so ancora decidermi a lasciarti. Sono le sette e mezzo; la
comunità è in ricreazione. ed io sono qui, nella solitudine della mia
celletta, e mi sembra di essere già un po' in paradiso; sono qui, sola
con Lui solo, portando la croce con Lui, il mio Maestro diletto. La mia
gioia cresce in proporzione delle mie sofferenze; se tu sapessi quale
dolcezza si cela in fondo al calice preparato dal Padre dei Cieli!
A Dio, Fr... cara; non posso continuare; ma nei nostri
silenziosi incontri, tu sentirai, tu comprenderai tutto quello che non
potrò dirti.
Ti abbraccio, ti amo come una mamma ama la sua figliolina.
Addio, mio piccola cara. Che all'ombra delle sue ali Egli
ti custodisca da ogni male ».
Suor Maria
Elisabetta della Trinità « Laudem gloriae »
Questo sarà il mio nome nuovo in ciclo...
" Efesini, 1-4. 18 II Corinti, Xd-9.
260
IL PARADISO SULLA TERRA
« Ho trovato il mio cielo sulla terra, poiché il
cielo è Dio, e Dio è nell'anima mia. « II giorno in cui l'ho compreso,
tutto si è illuminato in me; ed io vorrei confidare questo segreto a
tutti quelli che amo ».
Come si può trovare il Paradiso sulla terra
'.
ORAZIONE PRIMA
Ltì Trinità: ecco la nostra dimora
« Padre, voglio che la dove sono io, siano anche coloro
che tu mi hai dati, affinchè vedano la gloria che tu mi desti, avendomi
amato prima che il mondo fosse
» 2. Questa è l'ultima volontà di Cristo, la sua preghiera
suprema prima di ritornare al Padre. Egli vuole che, là dove è Lui,
siamo anche noi, non solo durante .l'eternit;!, ma anche ora, nel tempo,
che è l'eternità incominciata e in continuo progresso. È necessario
dunque sapere dove dobbiamo vivere con Lui, per realizzare il suo sogno
divino.
« II luogo dove sta nascosto il Figlio di Dio è il seno
del Padre, ossia l'Essenza divina, invisibile ad ogni occhio mortale,
inaccessibile ad ogni intelligenza umana; il che faceva esclamare ad
Isaia: « Tu sei veramente un Dio nascosto »'. Eppure,
1 Suor
Elisabetta della Trinità compose questo ritiro nell'estate 1 qualche mese
prima della sua morte, per rispondere al desiderio di iin'ar che le era
tanto cara — sua sorella — e che l'aveva pregata di iniziarla segreto
della sua vita intcriore. Qui, come nell'« Ultimo ritiro», i
sottotitoli j sono nostri, 'i i s
2 San Giovanni, XVII-24. '. I •
3 Isaia, XLV-15. (Citazione di san Giovanni della
Croce: «Cantico spf-rifuaic ». Commento alla prima strofa).
261
ci vuole stabili in Lui, vuole che dimoriamo dove Egli
dimora, nell'unità dell'amore; vuole che siamo, per così dire, quasi la
sua ombra.
« II Battesimo — dice san Paolo — ci ha
innestati in Gesù Cristo » 4. E ancora: « Dio ci fece
sedere nei deli con Cristo, per dimostrare ai secoli futuri le immense
ricchezze della sua grazia » 5. E aggiunge poi: « Non
siete adunque più ospiti e stranieri, ma siete concittadini dei santi, e
appartenete alla famiglia di Dio » ". La Trinità, ecco la
nostra dimora, la nostra cara intimità, la casa paterna dalla quale non
dobbiamo uscire mai.
ORAZIONE SECONDA
« Rimanete in me »
« Rimanete in me » T. È il Verbo di Dio
che ci da questo comando, che esprime questa volontà. « Rimanete in
me », non per qualche minuto soltanto, per qualche ora che passa, ma
« rimanete » in modo permanente, abituale. Rimanete in me,
pregate in me, adorate in me, soffrite in me, lavorate, agite in me.
Rimanete in me quando vi incontrate in qualsiasi persona o cosa; penetrate
sempre più addentro in questa profondità, poiché essa è veramente « la
solitudine in cui Dio vuole attirare l'anima per parlarle » s.
Ma, per capire questa parola misteriosa, non bisogna fermarsi alla
superficie; bisogna entrare sempre di più, col raccoglimento, nell'Essere
divino.
«Continuo la mia corsa»9, esclamava san
Paolo; così noi dobbiamo scendere ogni giorno nel sentiero dell'abisso
che è Dio; lasciamoci scivolare su questa china con una fiducia piena
d'amore. « Un abisso chiama un altro abisso » '". Lì
appunto,
•* Romani, VI-5.
5 Efesini, II, 6-7.
6 Efesini, 11-19.
7 San Giovanni, XV-4.
8 Osea, 11-14.
9 Filippesi, III-12.
*•> Salmo XLI-8.
262
nella profondità inscrutabile, avverrà l'urto divino;
l'abisso della nostra miseria, del nostro nulla, si troverà di fronte
all'abisso della misericordia, dell'immensità, del tutto di Dio; lì
troveremo la forza di morire a noi stessi, e perdendo la traccia del
nostro io, saremo trasformati nell'amore. « Beati quelli che
muoiono nel Signore » ".
ORAZIONE TERZA
« II regno di Dio è dentro di voi »
il regno di Dio è dentro di voi
»
Poco fa, Dio ci invitava a rimanere in Lui, a vivere con
l'anima nell'eredità della sua gloria, ed ora ci rivela che, per
trovarlo, non è necessario uscire da noi stessi, perché « il regno
di Dio e dentro di noi ». San Giovanni della Croce dice che Dio si da
all'anima proprio nella sostanza stessa dell'anima, inacessibile al mondo
e al demonio; allora tutti i suoi movimenti divengono divini, e quantunque
siano di Dio, sono anche suoi, perché il Signore li produce in lei e con
lei.
Lo stesso santo dice ancora che « Dio è il centro
dell'anima »; quando, dunque, essa Lo conoscerà perfettamente, secondo
tutta la sua capacità, quando Lo amerà e ne gioirà pienamente, allora
sarà arrivata nel centro più profondo che in Lui possa raggiungere. È
vero che l'anima, anche prima di essere giunta a questo punto, già si
trova in Dio che è suo centro;
ma non è nel suo centro più profondo potendo
inoltrarsi ancora di più. Poiché è l'amore che unisce l'anima a Dio,
quanto più intenso è questo amore, tanto più profondamente essa entra
in Dio e in Lui si concentra. Possedendo anche un sol grado di
amore, è già nel suo centro; ma quando questo amore avrà raggiunto la
perfezione, l'anima sarà penetrata nel suo centro più profondo, e
lì sarà trasformata a tal punto, da diventare molto
" Apocalisse. XIV-13. 12 San Luca,
XVII-2).
263
simile a Dio. A quest'anima che vive « interiormente »
possono essere rivolte le parole del Padre Lacordaire a santa Maria
Maddalena: «Non chiedere più il Maestro a nessuno sulla terra, a nessuno
nel ciclo, poiché Egli è l'anima tua, e l'anima tua è Lui ».
ORAZIONE QUARTA
« Se qualcuno mi ama »
« Se alcuno mi ama, osserverà la mia parola, e il
Padre mio lo amerà, e noi verremo a Lui, e in Lui porremo la nostra
dimora » ".
Ecco, il Maestro ci esprime ancora il suo desiderio di
abitare « in noi »: « Se qualcuno mi ama.. ». L'amore!... È
l'amore che attira, che abbassa Dio fino alla sua creatura; non un amore
di sensibilità, ma quell'amore « forte come la morte... che le grandi
acque non possono estinguere » '''.
« Perché amo il Padre, faccio sempre ciò che a Lui
piace » ls: così parlava il Maestro divino, ed ogni anima
che vuole vivere unita a Lui, deve vivere anche di questa massima, deve
fare del beneplacito divino il suo cibo, il suo pane quotidiano, deve, ad
esempio del suo Cristo adorato, lasciarsi immolare da tutte le volontà
del Padre: ogni incidente, ogni evento, ogni pena come ogni gioia è un
sacramento che le dona Dio; quindi, non fa più alcuna differenza fra
l'una o l'altra di queste cose;
le oltrepassa, le supera, per riposarsi, al di sopra di
tutte, nel suo Dio. E Lo eleva ben alto sulla montagna del suo, cuore;
sì, più in alto dei Suoi doni e delle Sue consolazioni, più in alto
della dolcezza che da Lui discende.
La caratteristica dell'amore è di non ricercare mai sé,
di non riservarsi nulla, di donare tutto all'oggetto amato. Beata l'anima
che ama in verità! Il Signore è divenuto suo prigioniero d'amore.
13 San Giovanni,
XIV-23.
" Cantica Vili, 6-7.
» San Giovanni, VIII-29.
264
T
ORAZIONE QUINTA « Voi siete morti »
« Voi siete morti e la vostra vita è nascosta con
Cristo in
Dio » ".
Ecco che san Paolo viene a farci luce sul sentiero
dell'abisso.
« Voi siete morti »: che cosa vuoi dire se non
che l'anima la quale aspira a vivere unita a Dio nella fortezza
inespugnabile del santo raccoglimento, deve essere distaccata, spogliata e
separata da tutto almeno in ispirilo? « Quotiate morior » ".
Quest'anima trova in se stessa un dolce pendìo di amore che va a Dio
semplicemente; qualunque cosa facciano le creature, essa rimane
invincibile; perché passa al di là di tutte le cose, mirando sempre a
Dio solo. « Quotiate morior »: muoio ogni giorno; ogni giorno
diminuisco, ogni giorno di più rinunzio a me stessa, affinchè Cristo
cresca e venga esaltato in me. « Quofidie morior »: la gioia
dell'anima mia, (quanto alla volontà e non alla sensibilità), la ripongo
in tutto ciò che può immolarmi, umiliarmi, annientarmi, perché voglio
far posto al mio divino Maestro. « New son più io che vivo; e Lui che
vive in me » "': non voglio più vivere della mia vira, ma
essere trasformata in Gesù Cristo, affinchè la mia vita sia più divina
che umana e il Padre, chinandosi su di me, possa riconoscere l'immagine
del « Figlio diletto nel quale ha posto tutte le sue compiacenze
».
ORAZIONE SESTA
« 11 nostro Dio è un fuoco consumante »
« Deus ignis consiimens » ". « II nostro
Dio, scriveva sdh .| j i, in Paolo, è un fuoco consumante, cioè un fuoco
d'amore che1'»! ti'jjj
-l'i i'iii-
16
Colossesi, IJI-3.
17 I Corinti, XV-31. " G.ilati, H-20. 19
Ebrei, XfT-29.
265
distrugge e trasforma in se stesso ciò che tocca ». Per
le anime che, nel loro intimo, si sono pienamente abbandonate alla sua
azione, la morte mistica di cui parla san Paolo diviene tanto semplice,
tanto soave! Esse pensano molto meno al lavoro di spogliamento e di
distruzione che rimane loro da compiere, che non ad immergersi nel fuoco
d'amore che arde in loro, e che è lo Spirito Santo, quello stesso Amore
che, nella Trinità, è il vincolo di unione fra il Padre e il suo Verbo.
La fede ve le introduce; e là, semplici e quiete, sono da Lui stesso
trasportate in alto, più in alto di tutte le cose, al di sopra dei gusti
sensibili, fino alla « tenebra sacra », e trasformate
nell'immagine divina. Esse vivono, secondo la espressione di san Giovanni,
« in società » 20 con le Tré adorabili Persone; la
loro vita è in comune: è la vita contemplativa.
ORAZIONE SETTIMA
« Sono venuto a portare fuoco sulla terra »
« Sono venuto a portare fuoco sulla terra, e che cosa
desidero se non che si accenda? »21. Il Maestro stesso ci
esprime il suo desiderio di veder bruciare il fuoco dell'amore. Infatti,
le nostre opere tutte quante, le nostre fatiche sono un nulla al suo
cospetto; niente poi possiamo dargli, e nemmeno appagare l'unico suo
desiderio che è di accrescere la dignità dell'anima nostra. Vederla
aumentare è ciò che più gli piace; ora, nulla può innalzarci tanto,
quanto il divenire, in certo senso, uguali a Dio: ecco perché esige da
noi il tributo del nostro amore, essendo proprio dell'amore uguagliare,
nei limiti del possibile, l'amante all'amato. L'anima che possiede questo
amore appare con Gesù Cristo allo stesso livello di uguaglianza, perché
il loro reciproco affetto rende ciò che è dell'uno, comune anche
all'altro.
« Vi ho chiamati amici, perché a voi ho manifestato
tutto quello che ho udito dal Padre mio » ". Ma per giungere a
20 I Giovanni,
T-3.
21 San Luca, XII-49.
22 San Giovanni, XV-15.
266
questo amore, l'anima deve prima essersi data interamente;
la sua volontà deve essersi dolcemente perduta nella
volontà di Dio, così che le sue inclinazioni, le sue facoltà, non si
muovano più che in questo amore e per questo amore. Faccio tutto con
amore, soffro tutto per amore: tale è il senso di ciò che cantava
Davide: « Per fé custodirò la mia forza » 23.
L'amore, allora, la riempie, l'assorbe, la protegge così bene, che essa
trova ovunque i! segreto per crescere nell'amore; anche tra le relazioni
che deve avere col mondo, tra le preoccupazioni della vita, ha il diritto
di dire: mia sola occupazione è amare.
ORAZIONE OTTAVA
« Per avvicinarsi a Dio, bisogna credere »
« Per avvicinarsi a Dio, bisogna credere » 24,
ci dice san Paolo; e soggiunge: « La fede è sostanza delle cose che
dobbiamo sperare e convinzione di quelle che non ci è dato vedere »
". Cioè, la fede ci rende talmente certi e presenti i beni futuri,
che, per essa, prendono quasi essenza nell'anima nostra e vi sussistono
prima che ci sia dato fruirne. San Giovanni della Croce dice che la fede
« è per noi il piede che ci porta a Dio », die è « il possesso nello
stato di oscurità », Soltanto la fede può darci lumi sicuri su Colui
che amiamo, può versare a fiotti nel nostro cuore tutti i beni
spirituali; e noi dobbiamo eleggerla come il mezzo sicuro per giungere
all'unione beatifica. È la fede quella « sorgente d'acqua viva
zampillante fino alla vita eterna » 2" che Gesù,
parlando alla Samaritana, prometteva a tutti quelli che crederebbero in
Lui. La fede, dunque, ci dona Iddio fino da questa vita; ce lo da ascoso
nel velo di cui l'avvolge, ma è tuttavia Lui, Lui realmente. « Quando
verrà ciò che è perfetto, (ossia la chiara visione) ciò che è
imperfetto
2:1
Salmo LVIII-10.
^ Ebrei. XT 16.
••'5 Ebrei, X1-1.
::B S.in Giovanni, IV-l.
267
(ossia la conoscenza dataci dalla fede) avrà fine
» ".
« Sì, abbiamo conosciuto l'amore di Dio per noi, e vi
abbiamo creduto » 2S. Questo è il grande atto della
nostra fede, il modo di rendere al nostro Dio amore per amore; è il « segreto
nascosto » M nel cuore del Padre, che riusciamo finalmente
a penetrare; e tutto l'essere nostro esulta. Quando l'anima sa credere a
questo « eccessivo amore » che su lei si posa, si può dire di
lei, come già di Mosc, clic essa /< <:'• incrnìlahilc nella
sua fede, come se avesse visto l'Invisibile » '"'. Non si
arresta più al gusto, al sentimento; poco le importa sentire Dio o non
sentirlo, avere da Lui la gioia o la sofferenza: crede al suo amore, e
basta, perché, forte di tutti gli ostacoli superati, va a riposarsi nel
seno dell'Amore infinito il quale non può compiere che opera d'amore.
A quest'anima, tutta desta e attiva nella sua fede, la
voce del Maestro può dire nell'intimo la parola che rivolgeva un giorno a
Maria Maddalena: « Va' in pace; li; tua fede ti ha salvata »
".
ORAZIONE NONA
« Conformi all'immagine del Tiglio »
« Quelli che Dio ha conosciuti nella sua prescienza,
li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del suo divin
Figlio; e quelli che ha predestinati, li ha pure chiamati;
quelli che ha chiamati li ha giustificati; e quelli che ha
giustificati, li ha anche glorificati. Che diremo noi, dopo tutto db? Se
Dio è per noi, chi sarà contro di noi?... Chi mi separerà dalla carità
di Gesù Cristo? » 32. Tale si presenta allo sguardo
dell'Apostolo il mistero della predestinazione, mistero della elezione
divina.
" I Corinti, XIII-10. 28 I Giovanni,
IV-16. w Colossesi, 1-26.
30 Ebrei, VI-27.
31 San Luca, VII-50.
32 Romani, Vili, 29.30.., 35.
268
« Quelli che Egli ha conosciuti ». Non siamo noi
pure di questo numero? Non può forse Iddio dire all'anima nostra ciò che
disse un giorno con la voce del Proreta: « Ti sono passato accanto, e
ti ho guardata; ed ecco, era giunto per tè il tempo di essere amata; e
sopra di tè, ho spiegato il mia manto; ti ho giurato fede, ho stretto con
tè un patio, e tu sei divenuta mia » ". Sì, noi siamo divenuti
suoi col Battesimo: questo appunto vuoi dire san Paolo con le parole «
/;" ha chiamati », chiamati a ricevere il sigillo della
Trinità santa; mentre ci dice san Pietro che « siamo sfati fatti
partecipi della natura divina » ", che abbiamo ricevuto quasi un
« inizio del suo Essere » ;15. Poi, « ci ha
giustificati » coi suoi Sacramenti, coi suoi tocchi, diretti nelle
intime profondità dell'anima raccolta; « ci ba giustificati anche
mediante la fede » 36 e secondo la misura della nostra
fede nella redenzione acquistataci da Gesù Cristo. Finalmente, vuole
glorificarci; e perciò dice san Paolo, « ci ha resi degni di aver
parte all'eredità dei santi, nella luce » 3T, ma noi
saremo glorificati nella misura in cui saremo trovati conformi
all'immagine del suo divin Figlio. Contempliamo dunque questa immagine
adorata; restiamo sempre nella luce che da essa irradia, affinchè si
imprima in noi; poi accostiamoci alle persone, alle cose tutte, con le
stesse disposizioni di animo con cui vi si recava il nostro Maestro santo;
allora realizzeremo la grande volontà per la quale Dio ha in sé
prestabilito di « instaurare tutte le cose in Cristo » 3S.
ORAZIONE DECIMA
« II Cristo è la mia vita »
« Sfimo tutte le cose una perdita, rispetto alla eminente
cognizione di Cristo Gesù, mio Signore; per amore suo mi
\ " Ezechiele, XVI-8. M II Pietro,
1-4. M Ebrei, m-14.
•i" Romani, V-l. :'7
Colo.sscsi, 1-12.
••"' Efesini. 1-9.
269
sono spogliato di tutto, e tutto tengo ìli confo di
immondizia per possedere Cristo... Ciò che io voglio, e conoscere Lui,
voglio la partecipazione ai suoi patimenti, la conformità alla sua
morte... lo proseguo la mia corsa, ccrciìuilo di giungere ti quella mèta
alla quale Egli mi ha destinato, raggiungendomi quando lo fuggivo... Ad
una sola cosa miro: di'ni.'liticando quello che ho dietro le spalle e
protendendomi verso ciò che mi sfa davanti, corro diritto alla una meta,
iill<i mìa rocazione alla quale Dio ini ha chiamato, in Cristo desii
» '". L come dire:
io non voglio più nulla, se non essere immedesimalo con
Lui. « Mihi vivere Christiis est » '": Cristo è la mia
vita!... Da queste frasi, traspare tutta l'anima ardente di san Paolo.
Durante questo ritiro — il cui scopo è di renderci più conformi al
nostro adorato Maestro, anzi di fonderci talmente in Lui da poter dire:
« Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vìve in
me, e la sua vita che ora vivo in questo corpo di morte la vìvo nella
fede che ho nel Figlio di Dio il quale mi ha amato e ha dato se stesso
alla morte per me » ", studiarne questo divino modello. La
cognizione di Lui, ci dice l'Apostolo, « è così eminente ».
Entrando nel mondo, Egli disse: « Gli olocausti non ti sono più
graditi; allora ho preso un corpo; ed eccomi, o mio Dio, per fare la tua
volontà » 'ì2. E durante i trentatré anni della
sua vita, questa volontà fu così perfettamente il suo pane quotidiano,
che nel momento di rendere l'anima sua nelle mani del Padre, poteva
dirgli: « Consummatum est»43; sì la tua volontà, tutta
la tua volontà, io l'ho adempiuta; per questo « ti ho glorificato
sulla terra » '14.
Infatti, Gesù parlando ai suoi apostoli di questo
nutrimento che essi non conoscevano, spiegava loro che « consìsteva
nel far la volontà di Colui che l'are va inviato sulla terra »
"li. E
39
Filippesi. III-S... 14.
40 Filippesi, 1-21.
41 Calati, 11-20.
•12 Salmo XXXIX, 7-9 (ed Ebrei, X. 5).
•" San Giovanni, XIX-30.
4 " San Giovanni, XVII-».
15 San Giovanni. TV-34.
270
poteva dire: « Io non sono mai solo » 4a.
« Colui che mi ha mandato è sempre con me, perché io faccio sempre ciò
che a Lui piace » ".
Mangiamo con amore questo pane della volontà di Dio; se
talvolta la sua volontà sarà più crocifiggente, potremo dire anche noi
col nostro adorato Maestro: « Padre, se è possibile, allontana da me
questo calice »; ma aggiungeremo subito: « No» come foglia io,
ma come vuoi tu » "; quindi, calme e forti, saliremo noi pure il
nostro Calvario col divino Condannato, cantando nel profondo dell'anima,
ed elevando al Padre un inno di ringraziamento, perché coloro che
camminano in questa via dolorosa sono « gli delti e i predestinati ad
essere conformi all'immagine del suo divino Figlio » '19,
il Crocefisso per amore!
ORAZIONE UNDICESIMA
L'adozione dei figli di Dio
« Dio ci ha predestinati all'adozione di figli per mezzo
di Gesti Cristo, ni unione con Lui, secondo il decreto della sua volontà,
per far risplendere la gloria della sua grazia mediante la quale ci ha
giustificati nel Piglio suo diletto, nel quale noi abbiamo la redenzione
per il sangue di Lui, la remissione dei peccati secondo le ricchezze della
grazia la quale ha sovrabbondato in noi, in ogni sapienza e prudenza
» 50. L'anima divenuta realmente figlia di Dio, è secondo la
parola dell'Apostolo, mossa dallo Spirito Santo stesso: « Tuffi quelli
che sono guidati dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio... ». « No?
non abbiamo ricevuto lo spirito di servitù per guidarci ancora nel
timore, ma lo spirito di adozione a figli, nel quale esclamiamo: — Abbai
Padre! — infatti, lo Spirito sfesso rende testimonianza al nostro
spirito che noi siamo figlioli di Dio; ma, se siamo figli,
'" San Giovanni, VIII-16. 17 San Giovanni,
VTJI-29. ^ San Mnttco. XXVI-39. •'" Romani. VI) 1-29. 5"
Efesini, 1-5... S.
271
siamo anche eredi; dico eredi di Dio e coeredi di Cristo,
se però soffriamo con Lui per essere con Lui glorificati
» ". E proprio per farci raggiungere questo abisso di gloria, Dio ci
ha creati a sua immagine e somiglianzà.
« Osservate — dice san Giovanni — quale
carità ci ha usata il Padre, concedendoci di essere chiamati ligli
di Dio, e di esserlo realmente. Adesso, noi siamo figli di Dio; ma non si
è ancora manifestato quel che saremo. Sappiamo che, quando si svelerà,
noi saremo simili a Lui, perché lo vedremo quale Egli è; e chiunque ha
questa speranza in Lui, si santifica, come Egli stesso è santo »
".
Ecco la misura della santità per i figli di Dio: essere
santi come Dio, essere santi della santità di Dio, vivendo in contatto
intimo con Lui, « di dentro », nel fondo dell'abisso senza fondo.
L'anima sembra avere allora una certa somiglianzà con Dio il quale, pur
trovando in ogni cosa le sue delizie, mai non ne trova quanto in se
stesso, possedendo in sé un bene sovraemi-nente dinanzi al quale tutti
gli altri beni scompaiono. Così, tutte le gioie che all'anima sono
concesse, sono per lei altrettanti inviti a gustare il Bene che possiede,
preferendolo a tutto, perché nessun altro bene può essergli paragonato.
« Padre nostro che sei nei deli » ~'3.
Nel piccolo cielo che Egli si è fatto nel centro della nostra anima
dobbiamo cercarlo e qui, soprattutto, dobbiamo dimorare. Cristo diceva un
giorno alla Samaritana che « il Padre cerca veri adoratori in ispirilo
e verità » 5<; ebbene, per dare gioia al suo cuore,
siamo noi questi adoratori. Adoriamolo in ispirilo, cioè avendo il
cuore e il pensiero fissi in Lui e lo spirito pieno della cognizione di
Lui, mediante il lume della fede. Adoriamolo in verità cioè con
le opere, perché con queste soprattutto mostriamo se siamo veraci e
sinceri, facendo sempre ciò che piace al Padre di cui siamo figli.
Adoriamolo in ispirilo e verità cioè per mezzo di Gesù Cristo e
con Gesù Cristo, perché Lui solo è il vero ado-
5 »
Romani, VIII-14... 17, s2 I Giovanni, ITI-I... 3.
53 San Matteo, VI-9.
54 San Giovanni, IV-23.
272
ratore in ispirilo e verità. Allora saremo figli di
Dio, ed esperimenteremo la verità di queste parole di Isaia: « Sarete
portati sul seno, e sulle ginocchio sarete accarezzati » ".
Infatti, sembra che Dio sia tutto e unicamente occupato nel colmare
l'anima di carezze e di segni di affetto, come la mamma che alleva la sua
creaturina e la mitre del suo latte. Oh, siamo attente alla voce
misteriosa del Padre che ci dice: « Vigliala mia, dammi il Ino cuore
» ''".
ORAZIONE DODICESIMA
La Vergine dell'Incarnazione
« Si scires domini Dei! Se tu conoscessi il dono di Dio
» 5r, diceva
una sera il Cristo alla Samaritana. Ma che è mai questo dono di Dio, se
non Lui medesimo? Il discepolo prediletto ci dice: « Egli è venuto
nella sua casa, ma i suoi non l'hanno ricevuto » '\ E san Giovanni
Battista potrebbe ripetere ancora a molti quel suo rimprovero: « C'è
in mezzo a voi — in voi — uno che voi non conoscete » 5".
« Se tu conoscessi il dono di Dio! ». Ma una
creatura c'è, che ha conosciuto questo dono di Dio, che non ne ha
lasciato disperdere la minima particella; una creatura così pura, così
luminosa, da sembrare, lei, la stessa Luce: « Speculimi iusfi-tiae
»; una creatura la cui vita fu tanto semplice, tanto nascosta in Dio, che
quasi nulla se ne può dire.
Virgo fidclis: è la Vergine fedele, colei che « custodiva
tulio nel suo cuore » "". Se ne stava così umile, così
raccolta dinanzi a Dio nel segreto del Tempio, che attirò le compiacenze
della Trinità santa.
« Perché Egli ha rivolto lo sguardo alla piccolezza
della sua ancella ormai tutte le generazioni mi chiameranno bea-
5;i
Isaia, XLVI-12.
56 Prov.. XXITI-26.
57 San Giovanni, IV-10. M San
Giovanni, 1-11. ii" San Gioviinni. 1-26. ^ San Luca,
1F-51.
273
ta » 81.
Il Padre, chinandosi verso questa creatura così bella, così ignara della
sua bellezza, volle che fosse, nel tempo, la Madre di Colui di cui Egli è
Padre nell'eternità. Intervenne allora lo Spirito d'Amore che presiede a
tutte le opere divine; la Vergine disse il suo « fiat »: « Ecco
l'ancella del Signore; si faccia di ine secondo la tua parola » 62,
e il massimo dei misteri si compì. Con la discesa del Verbo in lei. Maria
fu sempre la preda di Dio.
La condotta della Vergine nei mesi che passarono tra
l'Annunciazione e la Natività mi pare debba essere di modello alle anime
inferiori, e quelle anime che Dio ha elette a vivere raccolte « nel loro
intimo », nel fondo dell'abisso senza fondo.
Con quanta pace, in quale raccoglimento, Maria agiva e si
prestava ad ogni cosa! Anche le azioni più ordinarie erano da lei
divinizzate perché, in tutto ciò che faceva, la Vergine restava pur
sempre l'adoratrice del dono di Dio; ne questo le impediva di donarsi
attivamente anche nella vita esteriore, quando c'era da esercitare la
carità: il Vangelo ci dice che « Maria percorse con grande
sollecitudine le montagne della Giudea, per recarsi dalla cugina
Elisaheffa » *".
La visione ineffabile che contemplava dentro di sé non
diminuì mai la sua attività esteriore, perché se la contemplazione si
volge alla lode e all'eternità del suo Signore, ha in sé l'unità e non
potrà perderla mai.
ORAZIONE TREDICESIMA
Una lode di gloria
« In Lui siamo sfati predestinati per decreto di Colui
che tutto opera secondo il consiglio della sua volontà, ad essere la lode
della sua gloria » 84:
è san Paolo che ce lo dice, san Paolo istruito da Dio stesso. Come
attuare questo grande ideale del
61 San
Luca, 1-48.
62 San Luca, 1-38.
63 San Luca, 1-39.
e4 Efesini, I, 11-12.
274
cuore del nostro Dio, questa sua volontà immutabile
riguardo alle anime nostre? Come, in una parola, rispondere alla nostra
vocazione e divenire lodi perfette di gloria alla santissima Trinità? In
cielo, ogni anima è una lode di gloria al Padre, al Verbo ed allo Spirito
Santo, perché ognuna è stabilita nel puro amore e non vive più della
propria vita, ma di quella di Dio. Allora essa Lo conosce, dice san Paolo,
come è conosciuta da Lui. In altri termini:
Una lode di gloria: è un'anima che ha posto la sua
dimora in Dio, che Lo ama con amore puro e disinteressato, senza cercare
se stessa nella dolcezza di questo amore; un'anima che Lo ama al di sopra
di tutti i Suoi doni, anche se non le avesse dato nulla, e che desidera il
bene dell'oggetto a tal punto amato. Ora, come desiderare e volere effettivamente
del bene a Dio, se non compiendo la Sua volontà? Poiché questa volontà
dispone tutte le cose per la Sua maggior gloria. Quest'anima deve dunque
abbandonarvisi pienamente, perdutamente, fino a non poter voler altra cosa
se non ciò che Dio vuole.
Una lode di gloria: è un'anima di silenzio che se ne
sta come un'arpa sotto il tocco misterioso dello Spirito Santo, perché
Egli ne tragga armonie divine. Sa che il dolore è la corda che produce i
suoni più belli; è contenta che vi sia questa corda nel suo strumento,
per commuovere più deliziosamente il cuore del suo Dio.
Una lode di gloria: è un'anima che contempla Dio
nella fede e nella semplicità; è un riflesso di tutto ciò che Egli è:
è come un abisso senza fondo nel quale Egli può
riversarsi eH espandersi; è come un cristallo attraverso il quale può
irradiare e contemplare le proprie perfezioni e il proprio splendore.
Un'anima che permette in tal guisa all'Essere divino di saziare in lei il
bisogno che Egli ha di comunicare tutto ciò che è, tutto ciò che
possiede è veramente la lode di gloria di tutti i suoi doni.
Finalmente, una lode di gloria è un'anima immersa
in un incessante ringraziamento; tutti i suoi atti, i suoi movimenti,
275
i suoi pensieri, le sue aspirazioni, mentre la fissano
sempre più profondamente nell'amore, sono come una eco del Sanctas
eterno.
Nel ciclo della gloria, i beati non hanno riposo ne giorno
ne notte, ma sempre ripetono: « Santo, santo, santo il Signore
onnipotente...; e, prostrandosi, adorano Colui che vìve nei secoli dei
secoli » 6S.
Nel cielo della sua anima, la lode di gloria inizia pia
l'ufficio che sarà suo in eterno; il suo cantico è ininterrotto e,
benché non ne abbia sempre coscienza perché la debolezza della natura
non le consente di fissarsi in Dio senza distrazioni, pure rimane sempre
sotto l'azione dello Spirito Santo che tutto opera, in lei. Canta sempre,
adora sempre, è, per così dire, interamente trasformata nella lode e
nell'amore, nella passione della gloria del suo Dio.
Nel cielo dell'anima nostra, siamo lodi i'/ olo;':,'
t'icU.i Trinità santa, lodi di amore della nostra Madre Immacolata.
Un giorno, il velo cadrà, e saremo introdotte negli airi etc'rni; ivi
canteremo nel seno stesso dell'amore infinito, e Dio ci dirà il nome
nuovo promesso al vincitore. E quale sarà questo nome?: « Laii-dem
gloriae ».
< "
Apocalisse, IV-8.
276
ULTIMO RITIRO DI « LAUDEM GLORIAE » ]
« II mio sogno è di essere la lode della sua gloria
».
Giovedì, 16 agosto 1906
PRIMO GIORNO « Nescivi »
« Nescifi. N0/2 se fi f)! pili nulla » ':
ecco ciò che canta la sposa elei sacri cantici dopo essere stata
introdotta nella cella intcriore; e questo, mi sembra, dovrebbe essere il
ritornello del canto di una « lode di gloria » in questo primo giorno di
ritiro in cui il Maestro la fa penetrare sino in fondo all'abisso
insondabile, per insegnarle a compiere quell'ufficio che sarà suo per
l'eternità, e nel quale già deve esercitarsi nel tempo, che è
l'eternità incominciata, ma in continuo progresso.
« Nescivi »: non so più nulla, non voglio sapere più
nulla, fuorché « la cognizione di Lui, la partecipazione ai
suoi dolori, la conformità alla sua morte » 3. « Quelli
che Dio ha conosciuti nella sua prescienza, li ha anche predestinati ad.
essere conformi all'immagine del suo divin Tiglio » ", il
Crocifisso per amore.
1 Se si
vuoi conoscere il pensiero pili profondo di suor Elisabetta della
Trinità, bisogna ricorrere al suo « Ultimo ritiro ». Essa stessa
lo intitolò:
« L'ultimo ritiro di laudali fJnrìae », ed è,
per cosi dire, la sua piccola somma mistica, la quintessenza della sua
dottrina spirituale nel momento più elevato della ?u;i esperienza
mistica. È un vero trattato dell'unione trasfor- ;
mante, quale la concepiva nella linea della sua vocazione
suprema di « lode ., , di gloria », e quale intcriormente la viveva. E,
in esso, lascia un programma !- ! di vita a tutte le « lodi di
gloria » che più tardi vorranno seguirla nella vtà ;'':5j di una
santità interiormente dimentica di sé e tutta orientata verso la gloria
'• ;,' purissima della Trinità. ;!!
2 Cantica VI-12. "
3 Filippesi, III-10. « Romani, V1II-29.
277
Quando sarò perfettamente conforme a questo divino
Esemplare, quando sarò tutta in Lui ed Egli in me, allora adempirò la
mia vocazione eterna, quella per la quale Dio in Lui mi elesse « in
principio », quella che proseguirò « in aeterninn » quando,
inabissata nel seno della Trinità, sarò l'incessante lode della sua
gloria: « tandem gloriae eius » 5.
« Nessuno ha veduto il Padre, ci disse san
Giovanni, se non il Figlio e coloro ai quali è piaciuto al Padre di
rivelarlo » ";
e mi pare che si possa soggiungere: Nessuno ha saputo
capire il mistero di Cristo nella sua profondità, se non la Vergine
santa. Giovanni e la Maddalena sono penetrati molto addentro in questo
mistero; san Paolo parla spesso dell'« intelligenza » 7 che
gliene è stata data; eppure, come rimangono nell'ombra tutti i santi,
quando si pensa alla chiarezza intcriore della Vergine!... Essa è
inenarrabile.
Il segreto che « Maria custodiva e meditava nel suo
cuore » s nessuna lingua ha potuto mai rivelarlo, nessuna
penna esprimerlo. Questa Madre di grazia formerà l'anima mia, farà sì
che la sua figliolina sia un'immagine vivente, « eloquente », del suo «
Primogenito » ", il Figlio dell'Eterno, Colui che fu la
perfetta lode di gloria del Padre suo.
SECONDO GIORNO
« Nel silenzio delle potenze »
« L'anima mia è sempre nelle mie mani » 1":
è l'intimo canto dell'anima del mio Maestro; ed ecco perché, in mezzo a
tutte le angoscie, Egli rimaneva sempre il Calmo, il Forte. « Porto
sempre l'anima mia fra le mie mani »: che cosa signi-
s
Efesini, 1-12.
6 San Giovanni, VI-46.
7 Efesini, III-4.
8 San Luca, 11-19.
9 San Matteo, 1-25.
10 Salmo CXVIII-109.
278
ficano queste parole, se non il pieno dominio di sé, in
presenza del Pacifico?
Vi è un altro canto di Cristo, che vorrei incessantemente
ripetere: « Per tè custodirò la mìa. fortezza » ". E la
mia regola mi dice: « La tua fortezza sarà nel silenzio »
". Dunque, ser-' bare la propria fortezza per il Signore mi pare che
significhi. fare l'unità del nostro essere per mezzo del silenzio
interiore;
raccogliere tutte le proprie potenze per applicarle al
solo esercizio dell'amore, avere quell'occhio semplice che permette alla
luce di irradiarci.
Un'anima che scende a patti col proprio io, che si occupa
delle sue sensibilità, che va dietro a un pensiero inutile, a un
desiderio qualsiasi, quest'anima disperde le proprie forze: non è
concentrata in Dio. La sua lira non vibra all'unisono; e quando il divin
Maestro la tocca, non può trame armonie divine. Vi è ancora troppo di
umano, e si produce una dissonanza.
L'anima die si riserba ancora qualche cosa nel suo regno
intcriore, e le cui potenze non sono « tutte raccolte » in Dio, non può
essere una perfetta lode di gloria; essa non è in grado di cantare
ininterrottamente il « cantìciim magnimi » di cui parla san
Paolo, perché in lei non regna l'unità. E, invece di proseguire la sua
lode attraverso tutte le cose, in semplicità, bisogna che si nnanni
continuamente a radunare le corde del suo strumento, disperse un po' da
per tutto.
Come è indispensabile questa bella unità interiore
all'anima che vuoi vivere quaggiù la vita dei beati, cioè degli esseri
semplici, degli spiriti! Mi pare che proprio a questa unità mirava il
Maestro divino quando parlava alla Maddalena del-l'« nmnn necessarium
» ". E come lo aveva compreso bene la grande santa! L'occhio
dell'anima sua illuminato dalla fede aveva riconosciuto il suo Dio sotto
il velo dell'umanità e, nel silenzio, nell'unità delle potenze,
ascoltava la parola ch'Egli le diceva. Poteva veramente cantare: « Porto
sempre l'anima mìa nelle mie mani »; e soggiungere la breve parola:
« Ne scivi ». Sì,
n Salmo
LVIII-10. •2 Isaia, XXX-15. i3 San Luca. X-42.
279
ella non sapeva più niente altro che Lui. Potevano
far rumore, potevano agitarsi intorno a lei: « Nescivi! ».
Potevano accusarla: « Nescivi! ». Nemmeno le ferite recate al suo
onore erano capaci, più delle cose esteriori, di farla uscire dal suo
sacro silenzio.
Così è dell'anima entrata nella fortezza del santo
raccoglimento. Con l'occhio aperto alle chiarezze della fede, scopre il
suo Dio presente, vivente in lei; ed ella, a sua volta, si tiene così
fedelmente presente a Lui nella sua bella semplicità, che Egli la
custodisce con cura gelosa. Possono sapraggiungere le agitazioni esterne,
le interne tempeste; può venire intaccato il suo onore: « Nescivi!
». Dio può celarsi, può sottrarle la Sua grazia sensibile: « Nescivi!
». E, con san Paolo, esclama: « Per suo amore, ho tutto perduto
» ".
Allora il Signore è libero, libero di effondersi, di
donarsi, « a suo beneplacito » "; e l'anima, così
semplificata e unificata, diviene il trono dell'Immutabile, perché
l'unità è il trono della Trinità santa.
TERZO GIORNO
Alla presenza di Dio
« Siamo stati predestinati, per disposizione di Colui che
compie ogfrì cosa secondo il consiglio della sua volontà, affinchè
siamo la lode della sua gloria
» ln. San Paolo ci partecipa questa divina elezione, egli che
tanto profondamente penetrò nel « segreto celato nel cuore di Dio
dall'eternità » ''. Ed ora egli stesso ci illumina su questa
vocazione alla quale siamo stati chiamati: « Dio — egli dice —
ci ha eletti in Sé prima della creazione, affinchè siamo immacolati e
santi al suo cospetto, nella carità » ls.
14
Filippesi, III-8.
15 Efesini, IV-7. 38 Efesini, 1-11,12. i7
Efesini, III-9, " Efesini, ì-4.
280
Se accosto fra loro queste due enunciazioni del piano
divino, « eternamente immutabile », posso concludere che, per
compiere degnamente il mio ufficio di « tandem gloriae », devo
tenermi in mezzo a tutto e nonostante tutto, « alla presenza di
Dio »; anzi, l'apostolo ci dice: « in cariiate », cioè in
Dio;
« Deus caritas est » '": e il contatto con l'Essere
divino mi renderà « immacolata e santa » ai suoi sguardi. Tutto questo,
10 riferisco nlln bella virtù della semplicità, della
quale un pio autore ha scritto che « da all'anima il riposo dell'abisso
», cioè
11 riposo in Dio, abisso insondabile, preludio ed eco di
quel sabato eterno di cui parla san Paolo: « No? che abbiamo credulo
saremo introdotti in questo riposo » 2".
I beati godono questo riposo dell'abisso, perché
contemplano Dio nella semplicità della sua Essenza. « Essi lo
conoscono come sono conosciuti » da Lui, cioè con lo sguardo
semplice della visione intuitiva, ed ecco perché, continua il grande
santo, « sono trasformati di luce in luce, dalla potenza del suo
Spirito, nella immagine di Lui » 21, divenendo così
incessante lode di gloria dell'Essere divino che contempla in essi il
proprio splendore.
Mi pare die daremmo una gioia immensa al cuore di Dio, se
ci esercitassimo, nel cielo dell'anima nostra, in questa occupazione dei
beati, e a Lui aderissimo mediante quella contemplazione semplice che
riavvicina la creatura a quello stato di innocenza nel quale Dio l'aveva
creata.
« A sua immagine e somiglianzà » 22;
tale fu il sogno del Creatore: potersi contemplare nella sua creatura,
vedere irradiate in essa tutte le sue perfezioni, tutta la sua bellezza,
come attraverso un cristallo limpido e terso; non è questa una specie di
estensione della sua propria gloria? Per la semplicità dello sguardo col
quale fissa il suo Oggetto divino, l'anima si trova separata da tutto
quanto la circonda, separata anche e soprattutto da se stessa; allora essa
risplende della « cognizione della
"' San Giovanni, JV-8.
2 " Ebrei, IV-3.
" TI Corinli, III-18,
22 Genesi, 1-26.
281
chiarezza di Dio » ",
perché permette all'Essere divino di riflettersi in lei, e tutti i Suoi
attributi le sono comunicati. Questa anima è veramente la lode di gloria
di tutti i suoi doni; e in ogni occupazione, anche le più ordinarie,
canta il canticum ma-gm'.m, il cantìcum novum che fa
trasalire il cuore di Dio fin nelle sue profondita. Possiamo ripetere con
Tsaia: « La tua luce si leverà nelle tenebre, e le tenebre diverranno
come il pieno giorno; il Signore ti farà godere lili perenne riposo,
inonderà la tua anima dei suoi splendori, fortifichei't'i le tue ossa, e
tu sarai come un giardino sempre irrigato, come una fontana le cui acque
non si esauriscono mai... Ti eleverò al di sopra di quanto c'è di più
elevato in questo mondo » 24.
QUARTO GIORNO
Ecco la fede
Ieri san Paolo, sollevando un poco il velo, mi permetteva
di spingere la sguardo « nell'eternità dei santi, nella luce » 2r',
perché io vedessi qual è la loro occupazione e procurassi, quanto è
possibile, di conformare la mia vita alla loro, per adempiere il mio
ufficio di « laudem gloriae ». Oggi san Giovann.i, il discepolo che
Gesù amava, mi schiude le « porte dell'eternità » 2e
perché l'anima mia possa riposarsi nella santa « Gerusalemme, dolce
visione di pace... » 2T. E, prima di tutto, mi dice che «
non ha bisogno di luci, la città, perché lo splendore di Dio la
illumina e sua luce è l'Agnello » ".
Ora, se voglio che la mia città intcriore abbia qualche
tratto di conformità e di somiglianzà con quella del Rè immortale dei
secoli e riceva la grande irradiazione di Dio, bisogna che io estingua
ogni altra luce e che l'Agnello ne sia l'unica face.
Ed ecco, mi appare la fede, la bella luce della fede;
questa sola deve illuminarmi per andare incontro allo Sposo. Il
Salmi-
23
II Corinti, IV-6.
24 Isaia, LVTIT-10... 14.
" Colossesi, 1-12.
2(1 Salmo XXIII-7.
27 Ufficio della Dedicazione.
M Apocalisse, XXI-23.
282
sta canta che « Egli si occulta nelle tenebre » m;
poi, in un altro punto, sembra contraddirsi dicendo: « La luce lo
avvolge come una veste » '''". L'insegnamento che per me risulta
da questa contraddizione apparente è: che devo immergermi nella « sacra
tenebra », facendo la notte e il vuoto in tutte le mie potenze. Allora
incontrerò il mio Signore, e la luce che lo avvolge come una veste
avvolgerà me pure, perché Egli vuole che la sposa sia luminosa della Sua
luce, della sola Sua Luce, « ed abbia la chiarezza di Dio » x1.
Si dice di Mosé che « era incrollabile nella sua fede
come se avesse veduto l'Invisibile » I2. Mi pare che tale
debba essere la disposizione di una lode di gloria che vuoi proseguire,
malgrado tutto, il suo inno di ringraziamento: « incrollabile nella
sua fede, come se avesse visto l'Invisibile », incrollabile nel
credere all'« eccessivo amore ». ...« Abbiamo conosciuto la
cariili di Dio per noi, e vi abbiamo creduto » ".
« La fede, dice san Paolo, è sostanza delle cose che
speriamo e convinzione dì quelle che non ci è dato vedere » 34.
Raccolta nella luce che accende in lei questa parola, che cosa importa
ormai all'anima sentire o non sentire, essere nella notte o nella luce,
godere o non godere? Ella si vergogna, quasi di fare tali distinzioni; e
quando sente di non saper rimanere nel-l'indiftcrenz.i, si disprezza
profondamente per il suo poco amore, e rivolge subito lo sguardo al suo
Maestro divino per farsi liberare da Lui.
« Essa lo esalta — secondo l'espressione di un
grande mistico — sulla cima più elevata della montagna del suo cuore
», al di sopra, cioè, delle dolcezze e delle consolazioni che da Lui
emanano, perché è risoluta a tutto superare per unirsi a Colui che ama.
Mi sembra che a quest'anima che possiede una sì grande
fede nel Dio-Amore, si possano rivolgere le parole del Principe
'•'' Salmo XVTt-12.
••"' Salmo CI 11-2,
••)1 Apocalisse, XXI-11. 32
Ebrei. XI-27. :" I Giovanni, IV-16. 3i
Ebrei, XI-1.
283
degli Apostoli: « Voi, che credete, sarete ripieni di
un gaudio immutabile e sarete glorificati » ".
QUINTO GIORNO
Sulla via del Caivc'i'io
« Vidi ima grande moltitudine che nessuno poteva
enumerare ». Chi sono
mai? « Sono coloro che vengami dalla grande tribolazione, che hanno
lavato e reso candide le loro stole nel Sangue dell'Agnello; per questo,
stanno dinanzi al trono di Dio e Lo servono dì e notte nel suo tempio; e
Colui che è assisa sul trono abiterà in essi. Non avran più fame ne
sete, non li colpirà il sole ne ardore alcuno, perché l'Agnello sarà il
loro pastore e li guiderà alle fonti dell'acqua viva; e Dio asciugherà
ogni lacrima dei loro occhi » 3". Tutti questi eletti
che hanno in mano la palma e che sono bagnati dalla grande luce di Dio,
hanno dovuto passare prima per la grande tribulazione, conoscere il dolore
« immenso come il mare » " cantato dal Profeta.
Prima di « contemplare svelatamenle la gloria del
Signore » 3S, essi hanno partecipato agli annientamenti
del suo Cristo;
prima « di essere trasformati di chiarezza in
chiarezza nell'immagine dell'Essere divino » 39, sono
stati conformi all'immagine del Verbo Incarnato, Crocifisso per amore.
L'anima che vuoi servir Dio notte e giorno nel suo tempio,
cioè in quel santuario intcriore del quale parla san Paolo quando dice:
« II tempio di Dio e santo, e questo tempio siete voi » 40,
quest'anima deve essere risoluta di partecipare realmente alla
passione del suo Signore. Essa è una riscattata che deve a sua volta
riscattare altre anime; e canterà perciò sulla sua lira: « Io mi
glorio della croce di Gesti Cristo " ...Con Cristo.
35 I
Pietro. 1-8.
39 Apocalisse, VII-9... 17.
37 Treni, 11-13.
33 II Corinti, III-18.
39 Ibidem.
40 I Corinti, m-17. " Calati. VI-14.
284
sono confitta alla croce...
» " ed ancora: « Do compimento, nella mìa carne, a ciò che
manca alla passione di Cristo, per il corpo di Lui, che è la Chiesa
» <3.
«Alla tua destra sta la Regina»4*: tale
è l'atteggiamento di quest'anima.
Essa procede sulla via del Calvario alla destra del suo
Rè crocifisso che, annientato, umiliato, eppure così forte, calmo e
pieno di maestà, va alla sua passione, per far risplendere « la
gloria de! I ci sua grazia » ls, secondo l'espressione
così forte di san Paolo. Ed Egli vuole associare la sua sposa all'opera
di redenzione; ma la via dolorosa in cui la fa camminare sembra alia sposa
la via della beatitudine, non solo perché alla beatitudine conduce, ma
ancora perché il Maestro santo le fa comprendere die deve superare quello
che vi è di amaro nel dolore, per trovarvi, come Lui, il suo riposo.
Allora, può veramente servire Dio « notte e giorno
nel Suo {empio », le prove interne ed esterne non possono farla
uscire dalla santa fortezza in cui Egli l'ha rinchiusa; non ha più « ne
fame ne sete » perché, malgrado il suo struggente desiderio che fu
quello del suo Maestro divino: la volontà del Padre, non sente più «/7 sole
che su lei dni'tìcggia», cioè non soffre più di soffrire; « e
l'Agnello può concluda, ora, alle sorgenti della vita »', come
Egli vuole, come gli pare, perché lei non guarda per quali sentieri
passa, ma tiene fisso lo sguardo semplicemente sul Pastore che la guida.
Dio, chinandosi su quest'anima, sua figlia adottiva, così
conforme all'immagine del suo « Figlio primogenito fra tutte le
creature » '", la riconosce per una di quelle da Lui « predestinate,
chiamate, giustificate »; ed esulta nelle sue viscere di Padre,
pensando di consumare l'opera sua, cioè di glorificarla, trasferendola
nel suo regno, perché vi canti, nei secoli senza fine, la « lode
della sua gloria ».
•t2 Galati, 11-19.
" Colos?esi, 1-24. " Salmo XLIV-19. "
Efesini. I.6. '" Colo?scsi, 1-15.
285
SESTO GIORNO
Quelle anime sono vergini...
« E vidi: ecco l'Agnello eretto sulla nìonlti^na eli
Sioii e con lui centoquarantaquattromila che avevano scritto in fronte il
nome di Lui e il nome del Padre di Lui; e udii ima voce dal Ciclo come
rumore di molte acque e conii: di parecchi suonatori di arpa, ed essi
cantavano un nuovo cantico innanzi al trono... e nessuno poteva ripetere
il cantico se non quei cenlo-quarantaquattì'ornila... perché sono
vergini. Quelli seguono l'Agnello ovunque Ei vada
» '".
Vi sono degli esseri che, fin dalla vita terrena, .fanno
parte di questa generazione pura come la luce, e portano già sulle loro
fronti il nome « dell' Agnello e quello del Padre »: il nome
dell'Agnello, per la loro somiglianzà e conformità con Colui che san
Giovanni chiama « // Fedele, il Verace » '". e ci mostra
rivestito di una tunica tinta di sangue; anche questi esseri, infatti,
sono i fedeli, i veraci, e la loro veste è tinta nel sangue della loro
continua immolazione. Portano in fronte anche il nome del Padre perché
Egli irradia in essi la bellezza delle sue perfezioni, riflettendovi i
suoi divini attributi; e le anime loro sono come altrettante corde che
vibrano e cantano il cantico nuovo.
Seguono l'Agnello ovunque Egli vada; e non solo nelle vie
larghe e facili, ma nei sentieri spinosi, fra i rovi pungenti;
e tutto ciò perché queste anime sono vergini, cioè
libere, distaccate, spoglie...: libere di tutto, meno che del loro amore;
distaccate da tutto, specialmente da se stesse, spoglie di ogni cosa,
tanto nell'ordine naturale che in quello soprannaturale. Ma tutto questo,
quale separazione dal proprio io non suppone! Quale morte! Ripetiamo con
san Paolo: « Quotidie morior! » 49.
II grande santo scriveva ai Colossesi: « Voi siete
morti e la vostra vita è nascosta in Dio con Gesù Cristo » s0.
Ecco la
•" Apocalisse, XIV-1... 4. 48
Apocalisse, III-14.
-' I Corinti, XV-31. M Colossesi, IJT-3.
286
condizione: bisogna essere morti; altrimenti, si potrà
essere nascosti in Dio, ogni tanto, ma non si vivrà abitualmente
nell'Essere divino, perché la sensibilità, le pretese delibo e tutto il
resto, verranno a farcene uscire.
L'anima che fissa il suo Signore con quell'occhio semplice
che rende luminoso tutto il corpo, è protetta dal « fondo di
iniquità » 5Ì che è in lei, e del quale si lamentava il
Profeta; e il suo Dio la introduce in quel luogo spazioso " che è
poi Lui stesso, ove tutto è puro, tutto e santo.
O morte in Dio, morte beata! O soave e gioconda perdita di
sé nell'Essere amato, che permette alla creatura di esclamare: « Vivo,
ma non pin io; il Cristo vive in me; per cui la vita che ho adesso in
questo corpo di morte, la vivo nella fede che ho nel Figlio di Dio il
quale mi ha amato e ha dato se slesso alla morte per me! >•>".
SETTIMO GIORNO diente altro che la gloria dell'Eterno
« C.aeli enarravi yloriam Dei » '"': ecco
che cosa narrano i cicli: la gloria di Dio. Poiché la mia anima è un
ciclo dove vivo nell'attesa della celeste Gerusalemme, bisogna che anche
questo cielo canti la gloria dell'Eterno, niente altro che la
gloria dell'Eterno.
« II giorno trasmette al giorno questo messaggio
» 5S. Tutti i lumi inferiori, tutte le comunicazioni di Dio
all'anima mia, sono questo giorno che trasmette al giorno il messaggio
della' Sua gloria.
« II precetto di ]ahveh è puro », canta il
Salmista « ed illumina lo sguardo » ''". Per conseguenza, la
mia fedeltà nel
a1
Salmo XVJI-24.
••s Salmo XVII-20. 93
Gniati, II, 19-20. M Snimo XVJTI-1. " Salmo XVIII-2.
••" Snimo XVIH-9.
2R7
corrispondere ad ogni suo precetto, ad ogni suo interno
comando, mi f;i vivere nella luce sua: anche essa o un messaggio
che annunzia la sua gloria.
Ma, ecco la dolce meraviglia: « /(/Z'/'c/', (:/'/ // guarda,
ri-splende » ", esclama il Profeta. L'anima che, con la
profondita del suo sguardo inferiore, nella semplicità che la distacca da
ogni altra cosa, contempla attraverso a tutto il suo Dio, questa anima è risplendente:
essa è un giorno che anniin/ia al giorno il messaggio della sua gloria.
« Lei notte l'annuncia alla notte » '''': ecco
una cosa davvero consolante: le mie impotenze, i miei disgusti, le mie
oscurità, persino le mie colpe, narrano la gloria dell'Eterno; e le mie
sofferenze fisiche e morali celebrano aneli'esse la gloria del mio
Signore. Davide cantava: « Che cosci renderò a Dio per tutti i
benefici che mi ha fatti? Prenderò il calice della salute » ".
Se io lo prendo, questo calice imporporato dal sangue del mio Maestro e
se, nel mio ringraziamento pieno di gioia unisco il sangue mio a quello
della Vittima santa che lo rende partecipe in qualche modo del suo
infinito, esso può dare al Padre una lode magnifica; allora il mio dolore
è un messaggio che annunzia la gloria dell'Eterno.
« La, (nell'anima che narra la sua gloria). Egli
ha posto una tenda per il sole ». Il sole è il Verbo, è lo Sposo.
Se Egli trova l'anima mia vuota di tutto ciò che non rientra in queste
due parole: « il suo amore, la sua gloria », allora la sceglie per sua
camera nuziale; « vi si slancia come un.-gigante che si precipita
trionfatore nella corsa... ed io non posso sotfrarmi al suo calore » 6(>.
Questo « fuoco consumante » opererà la felice trasformazione di
cui parla san Giovanni della Croce: « Ciascuno, egli dice, sembra essere
l'altro, e tutti e due non sono che uno », per essere lode di gloria del
Padre.
57
Salmo XXXITI-6. M Salino XVIIT-3.
59 CXV, 12-13.
60 Salmo XVIII, 6-7.
288
OTTAVO GIORNO
Si prostrano, adorano... de pongono le loro corone
« Essi finn hanno riposo ne giorno ne notte, e ripetono:
Santo, santo, santo è il Signore, Dio onnipotente che
era, che è, che sarà nei secoli dei secoli... Si prostrano, adorano,
depongono le loro corone dinanzi al trono, dicendo: Degno Tu sei, o
Signore, di ricevere la gloria e l'onore e la potenza...
» "'.
Come imitare nel cielo dell'anima mia questa occupazione
incessante dei Beati nel cielo della gloria? Come attuare questa lode,
questa adorazione ininterrotta? San Paolo mi illumina in proposito quando
scrive ai suoi: « Che il Padre vi fortifichi in virtù, per mezzo del
suo Spirito, nell'anima vostra; affinchè il Cristo abiti nei rostri cuori
mediante la fede e voi siate radicali e fonduti nell'afrore » "''.
« Essere radicati e fondati nell'amore »: è questa
mi sembra la condizione per assolvere degnamente il proprio compito di «
laudem gloriae ». L'anima che penetra e dimora nella « profondità di
Dio » "" e che fa tutto in Lui e per Lui, con quella
limpidezza di sguardo che le conferisce una somiglianzà con l'Essere
semplicissimo, questa anima con ogni suo movimento, ogni sua aspirazione,
ogni suo atto — per quanto comune sia — si radica sempre più
profondamente in Colui che ama. Tutto, in lei, rende omaggio al Dio tré
volte santo; essa è, per così dire, un « Sanctus » perenne, una
incessante lode di gloria.
« Si prosi l'ano, adorano, depongono le loro corone
». Prima di tutto, l'anima deve prostrarsi, immergersi nell'abisso
del suo nulla, penetrarvi così a fondo, da trovare — secondo
l'ineffabile espressione di un mistico — la pace vera e perfetta che
nulla può turbare, perché si è sprofondata così in basso, che nessuno
andrà a cercarla, laggiù. Allora potrà adorare.
L'adorazione! ah, è una parola di cielo; mi sembra che
possa definirsi: l'estasi dell'amore. È l'amore annientato dalla bei
"' Apnc;ìlissc, IV, 8-11.
"2 Efesini, tir, 16-17.
63 [ Corinti. 11-10.
289
lezza, dalla forza, dall'immensa grandezza dell'oggetto
amato;
l'amore che cade in una specie di deliquio, in un silenzio
pieno, jprofondo, quel silenzio di cui parlava Davide quando esclamava: «
II silenzio è la tua lode » ". Sì, ed è la lode più
bella, perché è quella che cantasi eternamente nel seno dell'immutabile
Trinità; ed è anche « l'ultimo sforzo dell'anima che trabocca e non
può esprimersi più » (Lacordaire).
« Adorate il Signore, perché Egli è santo » r",
dice il Salmista; ed ancora: « Sempre Lo adoreremo a molivo di Luì
stesso »ve.
L'anima che si raccoglie in questi pensieri, che li
penetra con quel « senso di Dio » r" di cui parla
san Paolo, vive in un cielo anticipato, al di sopra di tutto ciò che
passa, al di sopra di se stessa. Sa che Colui che essa adora possiede in
sé ogni gloria ed ogni felicità e, gettando la sua corona dinanzi a Lui
come i beati, si disprezza, non bada più a sé e, in mezzo ;i qualunque
sofferenza e dolore, trova la sua felicità in quella dell'Essere adorato,
perché ha lasciato se stessa ed è passata in un altro. Mi sembra che, in
questo atteggiamento di adorazione. l'anima assomigli a quei pozzi di cui
parla san Giovanni della Croce, in cui si raccolgono le acque che scendono
dal Libano;
vedendola, si può dire: « La città di Dio è
rallegrata dal corso di impetuosa fiumana » es.
NONO GIORNO
« Siate santi, perché io sono santo »
« Siate santi, perché io sono santo » <"'.
Chi mai può dare un simile comando? Egli stesso rivelò il suo
nome, quel nome che gli è proprio, che Egli solo può avere. « Sono
— egli dice
M Salmo
LXIV-2. " Salmo XCVTII-9. 69 Salmo LXXI-15.
67 Romani, XI-34.
68 Salmo XLV-5. <"> Lev., XIX-2.
290
a Mosé — Cnlni che è » 7", il
solo vivo, il principio di tutti gli esseri. « in Luì abbiamo
l'essere, il moto, la vita » ".
« Siate santi, perché io sono santo »: mi sembra
che questa sia la stessa volontà che venne espressa il giorno della
creazione dalle parole divine: « Facciamo l'uomo a nostra immagine e
somiglianzà » '". E il desiderio del Creatore non muta: sempre
Egli vuole unirsi alla sua creatura, renderla simile a Sé.
San Pieno dice che « siamo sfati fatti partecipi della
natura divina ft " e san Paolo ci raccomanda di « conservare
salda questa base, questo inizio del suo Essere » che Egli ci ha dato74;
il discepolo dell'umore poi ci dice: « Già fin d'ora
siamo figli di Dio, ina non sì e ancora manifestato a noi quello che
saremo. Sappiamo che. quando si mostrerà saremo simili a Lui, perché lo
vedremo quale Egli è, e chiunque ha questa speranza in Lui, si santifica,
come Egli pure è santo » ".
Essere santi come Dio è santo: questa, mi sembra, è la
misura dei figli del suo amore; non ha detto, infatti, il Maestro:
« Siate perfetti come il vostro Padre celeste è
perfetto? »78. Parlando ad Abramo, Dio gli diceva: « Cammina
alla mia presenza e sii perfetto » ". Dunque, camminare alla sua
presenza è il grande mezzo per raggiungere quella perfezione che il
nostro Padre dei Cieli richiede da noi. San Paolo, dopo essersi immerso
nei divini consigli, rivelava la stessa cosa alle anime nostre, quando
scriveva: « Dio ci ha eletti in Lui prima della creazione, affinchè
siamo immacolati e santi alla sua presenza, ne!!'amore » ''.
Ricorrerò ancora alla luce di questo santo, onde essere
illuminata nel percorrere, senza deviarne mai, questa via magnifica della
presenza di Dio dove l'anima procede « sola col Solo *,
70 Es., Ili-]-4.
71
Atti, XVIT-2.S.
72 Genesi. I 26.
" II Pieno, 1.4.
74 Ebrei. HI-14.
75 i Giovanni, III, 2-3.
7 " San Matteo, V-48.
:7 Genesi. XVII-1.
;<; Efesini. I, 4-5.
29)
sostenuta dalla « forza della sua destra »
'". protetta dalle sue ali, senza paventare le insidie della notte,
« ne la freccia lanciata in pieno giorno; ne il male che s'inshìua
nelle tenebre, ne gli assalti del demone meridiano » li".
« Spogliatevi dell'uomo vecchio secondo il quale siete
vissuti nella vostra vi fa prima — mi dice — e r ire stj Ieri
dell'uomo nuovo che è stato creato secondo Dio, nella giustizia e nella
santità»31. Ecco tracciata la via: basta spogliarsi, per
percorrerla secondo i desideri di Dio; e spogliarsi, morire a se stessi,
perdersi di vista, credo che volesse intendere anche il Maestro quando
diceva: « Chi vuoi seguirmi, rinunci a se stesso, e prenda la sua
croce » 'i2.
« Se vivrete secondo la carne — dice ancora
l'Apostolo — morrete; ma se, con lo spirito, darete morie alle opere
della carne, vivrete » s;]. Questa è la morte che il
Signore ci chiede e della quale è scritto: « La morte è stata
assorbita dalla vittoria » s1. « O morie —— dice il
Signore — io siirò la tua morte » '"'; è come se dicesse:
O anima, mia figlia adottiva, guarda me e allora non baderai più a tè;
dileguati interamente nell'Essere mio, vieni a morire in me, perché io
viva in tè.
DECIMO GIORNO
In un eterno presente
« Siate perfetti come il vostro Padre celeste è perfetto
» ^". Quando il mio Signore mi fa sentire queste parole nel profondo
dell'anima, mi pare di capire che Egli mi chiede di vivere, come
T "
Salmo XIX-7, ];" Salmo XC, 4-5-6. s1 Efesini,
IV. 22-24. 82 San Matteo. XVI-24. ""- San
Matteo. XVI-24. '•3 Romani, VIH-13. '" I Corinti,
XV-54.
^ Osca, xni-i4.
''" San Matteo, V-48.
292
il Padre, in un eterno presente, senza prima, senza poi,
ma tutta nell'unità del mio essere in questo adesso eterno.
E in che cosa consiste questo presente? Davide mi
risponde: « Sarà adottilo sempre a causa di Se slesso » s'.
Ecco l'eterno presente in cui « laudem gloriae » si deve stabilire. Ma
perche essa sin verace nella sua adorazione, perché possa cantare:
« Io sveglio l'aurora » s<, bisogna
che possa dire con san Paolo:
« Per fim l'mnrc. hn perduto tutto » s>>,
cioè per Lui, per adorarlo scinpu-, mi sono isolata, separata, spogliata
di me stessa i: di ogni ccs.i, si;i nell'ordine naturale che nell'ordine
soprannaturale riguardo ai doni di Dio; perché un'anima che non sia così
morta a se stessa e libera del proprio io, sarà per forza in certi
momenti, banale e naturale, e ciò è indegno di una figlia di Dio. di una
sposa del Cristo, di un tempio dello Spirito Santo. Per premunirsi contro
questa vita naturale, bisogna che l'anima sia tutta desta nella sua fede,
col limpido sguardo rivolto sempre al suo Maestro. Allora « camminerà
— come cantava il Rc-profcta — neìì'innoccnza del cuore,
nell'interno della sua casa » "", adorerà sempre il suo
Dio per Lui stesso, e vivrà ad immagine sua nell'eterno presente in cui
Egli vive.
« Siate l'crjelti come è per j etto il vostro Padre
dei deli » 9'. E Dio, ci dice san Dionigi, è il « grande
Solitario ». Il mio Maestro mi chiede di imitare questa perfezione, di
rendergli omaggio essendo io pure una grande solitària. L'Essere divino
vive in un'eterna, sconfinata solitudine, da cui non esce mai, pur
interessandosi ai bisogni delle sue creature, perché non esce mai da Se
stesso; e questa solitudine non è che la sua divinità.
Afìinchc nulla mi distolga da questo bei silenzio
intcriore, devo porre le stesse condizioni, sempre: lo stesso isolamento,
lo stesso distacco, lo stesso spogliamente. Se i miei desideri, i miei
timori, i miei dolori, le mie gioie, se tutti i moti che derivano da
queste quattro passioni, non saranno perfettamente
" Sa'mo 1XXT-15. '"' Salmo LVT-9. ""
Filippcsi, ÌÌT R. "" Snimo C 2. '" San Manco, V.48.
293
ordinati a Dio, io non sarò solitària; vi sarà
del tumulto in me;
occorre dunque la quiete, il sonno delle potenze, l'unità
dell'essere.
« Ascolta, figliola mia, porgi l'orcrch/o, di m cui
tea il tuo popolo e la casa di tuo padre, e il Rc si innamorerà della tua
bellona » 'ì2: mi sembra clic sin un in vi I o al
siicn/io: « Ascolta, tendi l'orecchio... ». Ma, per udire,
bisogna dimenticare la casa paterna, cioè tutto quanto appartiene alla
vita n.'.Himle, quella vita di cui intende parlare l'Apostolo quando dice:
•'' Se vivrete secondo la carne, morrei e » '".
« Dimentica il tuo popolo >•>: è più
difficile, perché questo popolo è tutto quel mondo che fa parte, per
così dire, di noi stessi: la sensibilità, i ricordi, le impressioni,
ecc..., l'/'o, in una parola. Bisogna dimenticarlo, abbandonarlo; e quando
l'anima ha fatto questo strappo, quando è libera da tutto ciò, il Rè si
innamora della sua bellezza, perché la bellezza, soprattutto quella di
Dio, è unità.
UNDICESIMO GIORNO
Tutta la Trinità abita nell'ani m a
« II Signore mi ha fatto entrare in un luogo spazioso: mi
ha salvato perché mi voleva bene » "*.
Il Creatore, vedendo il silenzio bellissimo che regna
nella sua creatura, considerandola tutta raccolta nella sua solitudine
interiore, si innamora della sua bellezza e se la porta in quella
solitudine immensa, infinita, in quel luogo « 'spazioso » cantato
dal Profeta, che altro non è se non Lui stesso. « Entrerò nella
profondità delle potenze di Dio » '".
II Signore, per bocca del suo Profeta, ha detto: « La
condurrò nella solitudine e le parlerò al cuore » "". ...
Ed ecco
92
Snimo XLIV-11. 03 Romani, VIII-13. »" Salmo XVII-20. M
Salmo LXX-16. 98 Osea, 11-14.
294
l'aniina entrata nella vasta solitudine in cui Dio le si
farà sentire.
« La parola di Dio — dice san Paolo — è
viva ed efficace, e pai penetrante di una spada a doppio taglio; essa
giunge fino aliti divisione dell'annua e dello spirito, fino alle giunture
e ili "minilo » "7. Essa, dunque, la parola di
Dio direttamente, perfezionerà il lavoro di spogliamente nell'anima,
perché ha questa caratteristica tutta propria e singolare: che opera e
crea ciò che fn udire, purché l'anima acconsenta e si lasci alla sua
azione.
Ma sentire questa parola non basta, bisogna custodirla;
custodendola, l'anima sarà santificata nella verità
secondo il desiderio del Maestro divino: « Padre, santificati nella
verità;
la f.ìiii parola è verità » 9S. E a chi
custodisce la sua parola, Egli ha promesso: « II Padre mio lo amerà,
e verremo a Lui e in Lui porremo la nostra dimora » ".
Tutta la Trinità, dunque, abita nell'anima che ama in
verità, cioè che custodisce la divina parola; e quando quest'anima ha
compreso In sua ricchezza, tutte le gioie naturali o soprannaturali che
possono venirle dalle creature o anche da Dio, altro non fanno che
invitarla a rientrare in se stessa per fruire del Bene sostanziale che
possiede: il suo Dio. Così, dice san Giovanni della Croce, essa ha una
certa somiglianzà con l'Essere divino.
« Sidfe perfetti come è perfetto il vostro Padre dei
deli ». San Paolo mi dice che « Egli compie ogni cosa secondo il
consiglio della sua volontà » 10'', e il mio Maestro
vuole che io gli renda omaggio anche in questo: fare ogni cosa secondo il
consiglio della mia volontà; non lasciarmi mai guidare dalle impressioni,
dai moti primi della natura, mn possedermi per mezzo della volontà; e
perché questa volontà sia libera, bisogna, secondo l'espressione di un
pio autore, « chiuderla » in quella di Dio. Allora sarò mossa dal suo
Spirito, come dice san Paolo, tutto ciò che farò sarà divino ed eterno,
e fin d'ora vivrò, ad imitazione del mio Immutabile in un eterno
presente.
vr
Ebrei, TV-12. '"' San Giovanni, XVTT-17. ea San
Giovanni. XIV-25. 10:) Efesini. T-ll.
295
DODICESIMO GIORNO
« Per Lui, io posso accostarmi al Padre »
« Verhum caro factum est, et hahitarit ni
/W;/.v»'"'. Dio aveva detto: « Siate santi, perche in sono santo
>»; ma rima-neva nascosto nella sua « luce inaccessibile ». e
In creatura aveva bisogno che Egli scendesse fino a lei. die vivesse della
sua vita, per potere, camminando sulle sue orme, risalire fino a Lui e
farsi santa della Sua santità.
« Io mi santifico per essi, affinchè s;ano
sanlijicati nella verità » '°'"'. Eccomi di fronte al « segreto
nascosto ai secoli ed alle generazioni », di fronte al mistero di
Cristo, di Lui che « è per noi — dice san Paolo — speranza
eli gloria » ""i e soggiunge che « gli è stata data
l'intelligenza di questo mistero » 1M. Andrò dunque dal
grande Apostolo ad istruirmi, affine di possedere « quella scienza che
— secondo l;ì sua espressione —supera ogni altra: la scie ma
della Ctìnli'i di Cristo Gesù » w.
Prima di tutto, san Paolo mi dice die « Gesìi è la
mia pace », che « per Luì, io posso accostarmi al Padre »
""', perché il Padre dei lumi ha voluto che fosse in Lui
ogni pienezza, che per Lui fossero riconciliate tutte le cose,
pacificandole tutte, sia in terra, sia in ciclo, nel sangue della croce di
Lui » 107. « in Lui, avrete la pienezza —
prosegue l'Apostolo —. Siete stati seppelliti con Lui nel 'Battesimo,
e riuscitati con Lui mediante la fede nell'opera di Dio... ...Vi ha f'alto
rivivere con
Lui, perdonandovi tutti i vostri peccati, cancellando ''il
decreto di condanna che pesava su di voi; l'ha annullalo appendendolo alla
croce; e, spogliando i principali e le potestà, li ha vittoriosamente
condotti ili schiavitù, trionfando di essi
l '"
San Giovanni, 1-14.
102 San Giovanni, XVII-19.
"a Colossesi, 1-26. 27.
104 Efesini, III-4.
"!i Efesini, 111-19.
108 Efesini, II, .14-18.
197 Colossesi, I, 19-20.
296
in si.' si esso » ìm ... « per rendervi san
fi, puri, irreprensibili al suo cospetto
» ""'. Ecco l'opera di Cristo in ogni anima di buona volontà:
ecco il lavoro che il suo immenso amore, il suo « troppo grande amore
» lo spinge a compiere in me. Egli vuole essere la mia pace, affinchè
nulla possa più distrarmi o farmi uscire dalla fortezza inespugnabile del
santo raccoglimento; la, Egli mi avvicinerà al Padre, e mi custodirà
immobile e quieta alla sua presenza, come se la mia anima già fosse
nell'eternità "". « Col sangue della croce »,
pacificherà tutto nel mio piccolo ciclo, perché esso sia veramente il
riposo dei « Tré ». Mi riempirà di sé, mi seppellirà mi farà
rivivere con sé nella sua vita: « Mihj vìvere Christìis est »
'".
Se cado ;id ogni istante, mi farò rialzare da Lui con
fede piena di fiducia; so che mi perdonerà, che cancellerà tutto con
cura gelosa; più ancora, mi spoglierà, mi libererà dalle mie miserie,
da tutto ciò che ostacola l'azione divina; trascinerà le mie potenze e
le farà sue schiave, trionfando di esse in Se medesimo. Allora s;irò
passata tutta in Lui; potrò dire: « Non vivo pii/ io; iì mio Signore
vive in me » "2; e sarò « santa, pura
irreprensibile » agli occhi del Padre.
TREDICESIMO GIORNO
Camminare in Gesù Cristo
« Insfai/rare omnia in Christo
» "3. È ancora san Paolo che mi istruisce, san Paolo che
si è inabissato nel grande consiglio di Dio e mi dice che « Efli ha
stabilito di instaurare tutte le
l '"f
Colosscsi, II-10-12-13-14-15 lm Colossei, 1-22.
110 Caso straordinario, qui suor Elisabetta ha
corretto il suo pensiero;
ecco i! testo di primo getto: <' È questa l'opera di
Cristo in ogni anima di Iiuon;! volontà, ed e ciò che E.eli vuoi fare in
me: essere la mia pace, perche nulla mi faccia uscire dal seno del Padre,
perché io vi dimori immobile e quieta, come se l'anima mia fosse già
nell'eternità ».
111 Filippcsi, T-21.
112 Galati, Tl-20. "3 Efesini. 1-10.
297
cose in Cristo
». Perché io, personalmente, possa realizzare questo piano divino,
l'Apostolo viene ancora in mio aiuto e mi traccia un regolamento di vita:
« Camminate in Gesù Cristo — mi dice — radicati in Lui,
edificati in Lui, corroborati nella fede... e crescendo sempre più in Lui
con l'azione di grazie » n<.
« Camminare in Gesù Cristo », mi pare che
significhi uscire da se stessi, perdersi di vista, abbandonarsi per
entrare più profondamente, da radicarvisi e da poter sfidare ogni
avvenimento, ogni creatura, con le parole bellissime dell'Apostolo:
« Chi potrà separarmi dalla carità di Gesù Cristo?
» '".
Quando l'anima è fissata in Lui a tale profondità che le
sue radici vi affondano, la linfa divina fluisce, si riversa in lei
abbondante, e tutto ciò che è imperfetto, banale, naturale, viene
distrutto; «ciò che è mortale viene assorbito dalla y/'/a»1'".
Allora, così spogliata di se stessa e rivestita di Gesù Cristo, l'anima
non ha più da temere ne i contatti esterni ne le intime difficoltà,
perché queste cose, anziché esserle di ostacolo, non fanno che « radicarla
più profondamente nell'amore » del suo Maestro. Qualunque cosa
avvenga, favorevole o contraria, anzi servendosi di tutto, « sempre lo
adora per Lui stesso », perché è libera, affrancata da sé e da
ogni cosa, e può cantare col Salmista: « Alt assedi un esercito; non
freme il mio cuore; insorga contro di me la battaglia, io spero
ugualmente, perché ]abveh mi nasconde nel segreto della sua tenda » 11T
e questa tenda è Lui.
Tutto ciò mi sembra voglia dire san Paolo quando ci
esorta ad essere « radicati in Gesù Cristo ».
E che cosa significa essere « edificati in Lui?
».
Il Profeta canta: « Mi ha innalzato sopra una rupe e
la mia testa si erge al disopra dei nemici che mi circondano »
"". Non è forse questa la figura dell'anima « edificata su
Gesù Cristo? ». È Lui la rupe sulla quale essa è stata elevata al
di sopra di se
t »4
Colossesi, II, 6-7-8. 113 Romani, VIII-35.
116 Corinti, V-4.
117 Salmo XXVI, 3-5. 1)8 Salmo XXVI, 5-6.
stessa, dei sensi, della natura, al di sopra delle
consolazioni e dei dolori, al di sopra di tutto ciò che non è unicamente
Lui! E là, nel pieno possesso di sé, è dominatrice del suo « io
» e, superando se stessa, supera anche tutte le cose.
Ma san Paolo mi raccomanda ancora di essere « fortificata
nella fede », quella fede che non permette mai nell'anima di
sonnecchiare, ma che la tiene tutta vigilante sotto Io sguardo del
Maestro, tutta intenta alla sua parola creatrice; in quella fede nell'« eccessivo
amore » che permette a Dio — mi dice san Paolo — di colmare
l'anima « secondo la Sua pienezza » "9. Infine,
vuole che io « cresca in Gcsz'i Cristo con V azione dì grave »,
perdio tutto deve compiersi nel ringraziamento. « Padre, io fi rendo
grazie » 1:"" cantava l'anima del mio Maestro:
ed Egli vuoi senlirne l'cco nell'anima mia.
Ma mi sembra che il « cantico nuovo » che più di
ogni altro può attirare e conquidere il mio Dio, sia quello di un'anima
spoglia, svincolata da se stessa, nella quale Egli possa rispecchiare
tutto ciò che è, e possa compiere tutto ciò che gli pare. Quest'anima
sta come un'arpa sotto il tocco divino, e tutti i suoi doni sono come
altrettante corde che vibrano per cantare giorno e notte « la lode
della sua gloria ».
QUATTORDICESIMO GIORNO
Conoscere Lui
« Stimo tutte le cose una perdita, di fronte alla
superiorità trascendente della conoscenza di Gesù Cristo, mio Signore.
Per amore di Lui, ho tutto perduto..., e le cose tutte stimo come
immondizia per possedere Cristo, e per poter essere trovato in Lui non
avente una giustizia mia, ma la giustìzia che viene da Dio, basata sulla
fede. Ciò che io voglio, è conoscere Lui, aver parte alle sue
sofferenze, essere conforme alla sua morte... Continuo la mia corsa,
studiandomi di arrivare là dove Cristo mi ha destinato chiamandomi. Mi
preoccupo di una cosa sola:
'"' Efesini, lir-19. '^ San Giovnnni. XI-41.
299
dimenticando tutto ciò che Inscio indietro e slanciandomi
costantemente verso ciò che mi sta dinanzi, correre diritto aìla mela,
al premio della suprema vocazione alla quale d'!o mi ha chiamalo in
Cicsìi (.risto >••
'"''. Di t.ìk' voc.r^ioni.', l'Apostolo li.ì spesso rivelato la
grandezza. « Dio — egli dice —- cv /'•.' <'/<'/// ni
Lui prima della creazione, perché fossimo imn'tico'ii'ti e Striiti di suo
cospetto, nell'amore » 122. « Siamo stati
predestina!', per decreto di Colui che tutto opera secondo il consiylm
(Irllii shj rolnn-tà, affinchè siamo la lode della sua gloria » ' '
'.
Ma come rispondere alla dignità di questa voca.'ionc?
Ecco il segreto: « Mthi vivere est » 12'1.
...« Vivo e'iiìm, ]aìn non ego, vivit vero in me Christtis »
'''''. Bisogna essere trasformati in Gesù Cristo, mi insegna san Paolo:
« Coloro che Dio ha conosciuti nella sua prescienza, li ha anche
predestini1'! ad essere' conformi all'immagine del Figlio suo
». È necessario dunque che io studi questo divino Modello per imitarlo e
immedesimarmi tanto in Lui, da poter esprimerlo agli ordii del Padre. E,
prima di tutto, che cosa dice Egli, entrando nel mondo? « Eccomi;
vengo, o mio Dio, per fare la tua voìo'-'ta » ì'26.
Mi pare che questa preghiera dovrebbe essere il palpito del cuore della
sposa. Il Maestro divino fu sì verace in questa prima obla'/.io-ne! E
tutto il resto della sua vita non ne fu per così dire, che la
conseguenza. « Mio cibo —— si compiaceva di ripetere — e
fare la volontà di Colui che mi ha mandato » ìv'.
E cibo anche per la sposa dovrebbe essere la volontà di Dio, pur essendo
al tempo stesso spada che la immola. « Padre, se è possibile,
allon-tana da me questo calice; ma si faccia la tua volontà e non la mia
» "\ E, insieme al suo Maestro, in pace, con gioia, va ad ogni
immolazione, rallegrandosi di essere sfa/a conosciuta dal Padre,
poiché la crocifigge insieme al Figlio suo.
121
Filippesi, III-8... 14.
122 Efesini. 1-4.
123 Efesini, 1-21. 1;"1
Fi'ippesi, 1-21.
125 Gniati, 11-20.
126 Ehrei, X-9.
127 Snn Giovanni, IV-34. v!s Snn
Marco, XIV-36.
300
« Ho preso le tue leggi per mia eredità in eterno,
perché esse sono la delizia del mio cuore » 12?'.
Ecco il canto dell'anima del mio Maestro, canto che deve avere una larga
eco in quella della sposa; con la sua fedeltà in ogni istante a queste
leggi esterne ed interne, essa renderà testimonianza alla verità, potrà
dire: « Col ni che mi ha mandato non mi ha lasciata sola; Egli e
sempre con me, perche io faccio sempre ciò che a Lui piace »
'". Non lasciandolo mai, mettendosi fortemente a contatto con I.ni,
ella potrà irradiare quella virtù segreta che salva e redime le anime.
Spoglia, libera di se stessa e di tutte le cose, potrà seguire il Maestro
sul monte per elevare dalla sua anima, con Lui, « una orazione a Dio
» '". Poi, sempre per mezzo del divino Adorante, di Colui che fu la
grande lode di gloria del Padre, « offrirci ininterrottamente a Dio
un'ostia di lode, cioè il frutto delle labbra che rendono gloria al suo
Nome » '". « E Lo loderà nella espansione della Sua
potenza, secondo l'immensità della Sua grandezza » "3.
Quando suonerà l'ora dell'umiliazione,
dell'annientamento, ricorderà questa breve parola: « Jesus antein
tacebat » 134, e tacerà custodendo tutta la sua forza al
Signore, quella forza che si attinge dal silenzio.
Quando verrà l'abbandono, la desolazione, l'angoscia che
strapparono a Cristo quel gran grido: « Perché mi hai abbandonato?
» '"", si ricorderà di questa preghiera: « Siano essi
ripieni del mio gaudio » ÌM; e, bevendo fino in
fondo il calice preparatele dal Padre, saprà trovare in quella stessa
amarezza una soavità divina. E infine, dopo aver ripetuto tante volte:
« Ho sete » '", sete di possederti nella
gloria, spirerà dicendo:
« Tutto è consumato... "". Nelle tue
mani raccomando l'anima
'-") Salmo CXVtII-m.
1:> '' San Giovanni, VIH-29.
I: " San Luca, VI-12.
"2 Ebrei. XITT-15.
'••" Salmo CXLFV-6.
'••" San Matlco, XXVI-63.
'M San Matteo XXVIT-46.
'"' San Giovanni, XVII-15.
'" San Giovanni, XIX-30.
'" S.in Ginvanni, XIX-ÌO.
301
mia »
"''. E il Padre verrà a prenderla per portarla nella Sua eredità
dove « nella luce, vedrà la Sua luce » :'0.
« Sappiate — cantava Davide — che Dio ha glorificato
meravigliosamente il suo Santo » "'. Sì, il Santo di Dio sarà
stato glorificato in quest'anima, perché vi avrà tutto distrutto per
rivestirla di Sé, e perché essa avrà praticamente vissuto la parola del
Precursore:
« Bisogna che Egli cresca e che io diminuisciì »
'''.
QUINDICESIMO GIORNO
Janiia Coeli
Dopo Gesù Cristo e, s'intende, a quella distanza che
passa tra l'infinito e il finito, vi è una creatura che fu anch'essa la
grande lode di gloria della Trinità santa; ella corrispose pienamente
alla elezione divina di cui parla l'Apostolo: fu sempre pura,
immacolata, irreprensibile agli occhi del Dio tré volte santo.
La sua anima è così semplice, i movimenti ne sono così
profondi, che non si possono scorgere. Sembra riprodurre sulla terra la
vita dell'Essere divino, l'Essere semplicissimo; quindi, è così
trasparente, così luminosa, che si potrebbe crederla la stessa luce;
eppure non è che lo « specchio del Sole di giustizia, Speculum
justitiae ».
« La Vergine custodiva queste cose nel suo cuore »
'":
tutta la sua storia può essere compendiata in queste
parole;
visse nel proprio cuore e a tali profondità, che lo
sguardo umano non può seguirla. Quando leggo nel Vangelo che « Maria
percorse con tutta sollecitudine le montagne della Giudea », per
andare a compiere un'opera di carità presso la cugina Eli-sabetta, io la
vedo passare, bella, calma, maestosa, intimamente raccolta col Verbo di
Dio. La sua preghiera, come quella
139 San
Luca, XXIII-46. 143 Salmo XXXV-10. 141 Salmo IV-4.
"f2 San Giovanni. III-30. 113 San J.nca, IT-51.
302
di Lui, fu sempre: « Ecce: eccomi! ». Chi?
L'ancella del Signore ' ''", l'ultima tra le sue creature,
Lei, sua Madre!
Era così sincera nella sua umiltà! perché fu sempre
dimentica, ignara, libera di se stessa; sicché poteva cantare: « L'Onnipotente
ha fatto in me grandi cose; tutte le generazioni mi chiameranno beata »
"''''.
Questa Regina dei Vergini è anche Regina dei martiri; ma
la spndii la t infigge nel cuore perché tutto, in lei, si
svolge nell'intimo.
La contemplo. Oh, come è bella nel suo lungo martirio,
circonfusa d;i una specie di maestà da cui emana e forza e dolcezza!
Perche ha imparato dal Verbo stesso come devono soffrire quelli clic il
Padre ha scelti come vittime, quelli che ha deciso di associare alla
grande opera della redenzione, « quelli che ha conosciuti e
predestinati ad essere conformi al suo Cristo » crocifisso per amore.
È lì, ai piedi della Croce, dritta e forte ne! suo coraggio
sublime; e Gesù mi dice: « Ecce Mater ma » ''"'. Ma la da
per Madre.
Ed ora che è ritornato al Padre, che ha messo me al suo
posto sulla croce affinchè « io soffra in me quello che manca alla
sua passione per il suo mistico corpo che è la Chiesa », la Vergine
è qui ancora, vicina a me, per insegnarmi a soffrire come Lui, per farmi
sentire gli ultimi canti dell'anima di Gesù, quei canti che soltanto lei,
sua Madre, ha potuto intendere.
E quando avrò pronunciato il mio « consummatum est
» sarà ancora lei, Janua coeli, che mi introdurrà negli atri divini,
sussurrandomi la misteriosa parola: « Laetatus sum in bis quae dieta
sunf mihi: in domiim Domini ibimus » 147.
SEDICESIMO GIORNO 777 seno alla tranquilla Trinità
« Come il cervo assetato sospira la fonte di acqua viva,
così l'anima mìa sospira a tè, mio Dio! L'anima mia ha sete del
'•" San Luca, 1-38. "'- San Luc;i. i, 48-49. '•'s
San Giovanni, XIX-27. ")7 Snimo CXX1.1.
30.3
Dio vivente. Quando verrò e comparirò dinanzi al suo
Volto? » '".
Eppure, « come il passero che ha trovato un rifugio,
come la torforelìa che ha trovato un nido per deporvi i suoi pìccoli »
"9, così Laudem gloriae, in attesa di essere trasferita
nella santa Gerusalemme, « beata pacis visio » "", ha
trovato il suo ritiro, la sua beatitudine, il suo cielo anticipato, ove
inizia la sua vita di eternità.
« In Dio la mia anima è silenziosa; di' Lui aspetto
la mia liberazione. Sì, Egli e la rocca dove trovo la salvezza; è la
fortezza, e non sarò vinta » '''". Ecco il mistero che canta
oggi la mia lira. Come a Zaccheo, il Maestro ha detto a me: « Affrettati
a discendere, perché voglio alloggiare in casa tua » 1:*2.
Discendere?!... Ma dove?... Nelle profondità della mia
anima, dopo essermi separata, alienata da me stessa, dopo essermi
spogliata di me stessa; in una parola: senza di me. « Bisogna che io
alloggi in casa tua ». È il Maestro che m' esprime questo desiderio,
il mio Maestro che vuole abitare in me col Padre e col suo Spirito di
amore perché, come si esprime il discepolo prediletto, io abbia « società
» lsi:' con Essi. « Non siete più ospiti o sfra'nieri, ma
siete già della casa di Dio » 151, dice san Paolo. E
questo « essere della casa di Dio », io intendo vivere in seno
alla tranquilla Trinità, nel mio abisso intcriore, nella fortezza
inespugnabile del santo raccoglimento di cui parla san Giovanni della
Croce.
Davide cantava: « L'anima mia vien meno, entrando
negli atri del Signore » ì'". Mi sembra che tale
debba essere l'attitudine di ogni anima che si ritira nei suoi atri
intcriori, per contemplarvi il suo Dio, per prendervi con Lui strettissimo
contatto. Essa vien meno, in un'estasi divina, trovandosi dinanzi a
'" S.-ilino XLI, 2-3. "•' Salmo LXXXIII-4. 15])
Inno alla Dedicazione. 1]" Salmo LXT. 2-3. 1M
San Luca, X1X-5. 153 II Giovanni, 1-3. ÌM
Efesini, 11-19. 155 Salmo LXXXIII-3.
304
questo amore Onnipossente, a questa Maestà infinita che
abita in lei. Non è la vita che l'abbandona, ma è lei stessa che,
disprezzando questa vita naturale, se ne ritrae perché sente che non è
degna del suo essere così ricco: e vuoi farla morire, per dileguarsi nel
suo Dio.
Come è bella questa creatura così libera, spoglia di
sé! È ormai in grado di « disporre ascensioni nel suo cuore, per
salire, dalla valle delle lacrime, (cioè da tutto quello che è meno
di Dio), al li/oyi che e sua méta » '''"', quel « luogo
spazioso » "T cantato dal Salmista, che è — mi
sembra — l'insondabile Trinità: Immensus Pater, immensus Filius,
immensus Spiritus Sanctus 15S.
Sale, si innalza al di sopra dei sensi, della natura;
supera se stessa, supera ogni gioia come ogni dolore, sorpassa tutte le
cose, per non più riposarsi fino a che sia penetrata nell'infimo di
Colui che ama e che le darà Egli stesso « ;/ riposo dell'immenso
abisso » cantato dal Salmista: l'insondabile Trinità. E tutto
questo, senza che sia uscita dalla « santa fortezza ».
« II Maestro le ha detto: « Affrettati a
discendere ».
E ancora senza uscirne, vivrà, a somiglianzà della
Trinità immutabile, in un eterno presente, adorando Iddio per Lui
stesso, e diventando, mediante uno sguardo sempre più semplice, più
unitivo, « lo splendore della sua gloria » 159, o in
altre parole, l'incessante lode di gloria delle sue perfezioni adorabili.
'•••' Snimo LXXXIII, 6-7, '" Salmo XXX-9. I"''1
Simbolo Atanasiano. 'M F.hrei, } ^.
305
ELEVAZIONE ALLA SS. TRINITÀ
Sintesi ilcllii vit.ì intcriore ili Slìor Riisabettn.
— O mio Dio, Trinità che adoro, aiutami a dimenticarmi
interamente, per fissarmi in Tè, immobile e quieta come se la mia anima
fosse già nell'eternità. Nulla possa turbare la mia pace ne farmi uscire
da Tè, o mio Immutabile; ma che, ad ogni istante, io mi immerga sempre
più nelle profondità del tuo mistero!
Pacifica l'anima mia; rendila tuo ciclo, tua prediletta
dimora e luogo del tuo riposo. Che, qui, io non ti lasci mai solo; ma
tutta io vi sia, vigile e attiva nella mia fede, immersa nella adorazione,
pienamente abbandonata alla tua azione creatrice.
O amato mio Cristo, crocifisso per amore, vorrei essere
una sposa per il tuo cuore, vorrei coprirti di gloria, vorrei amarti...
fino a morirne!...
Ma sento tutta la mia impotenza; e Ti prego di rivestirmi
di Tè, di identificare tutti i movimenti della mia anima a quelli
dell'anima tua, di sommergermi, di invadermi, di sostituirti a me,
affinchè la mia vita non sia che un rinesso della Tua Vita. Vieni in me
come Adoratore, come Riparatore e come Salvatore.
O Verbo eterno, Parola del mio Dio, voglio passar la mia
vita ad ascoltarti, voglio rendermi docilissima ad ogni tuo insegnamento,
per imparare tutto da Tè; e poi, nelle notti dello spirito, nel vuoto,
nell'impotenza, voglio fissarti sempre e starmene sotto il tuo grande
splendore. O mio Astro adorato, affascinami, perché io non possa più
sottrarmi alla tua irradiazione.
O fuoco consumante. Spirito d'amore, discendi in me,
perché si faccia nell'anima mia quasi una incarnazione del Verbo! Che io
Gli sia un prolungamento di umanità, in cui Egli possa rinnovare tutto il
Suo mistero.
E Tu, o Padre, chinati verso la tua povera, piccola
creatu-
306
ra, coprila della tua ombra, non vedere in essa che il
Diletto nel quale hai posto la tua compiacenza.
O miei « Tré », mio Tutto, Beatitudine mia, Solitudine
infinita, Immensità nella quale mi perdo, io mi abbandono a Voi come una
preda. Seppellitevi in me perché io mi seppellisca in Voi, in attesa di
venire a contemplare nella vostra Luce l'abisso delle vostre grandezze.
21 novembre 1904.
307
311
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INDICE
Prefazione . Introduzione
9
17
Cap. I: itinerario spirituale ...... 25
I - vita INTT.KIORF. NEI. MONDO, 25
1. Capricci di bimba, 25 - 2. Conversione,
26 - 3. FeJtó mondane, 27 - 4. Opere di apostolato,
28 - 5. Vacanze estive, 29 - 6. L'« rti'crc cantra », 32 -
7. Prime grazie mistiche, 32 - 8. L'incontro col l',i,lrc
V,i!lcr, 34. 11 - CAKMr.l.n'ANA, 36
). // .tw:i idrate ili C/irmelitaiia, 36 - 2. Grave
sensibili ilei postulandolo, 39 - 3. Le purificazioni del
noviziato, 40 - 4. V?7a yro-fonda, 44.
Ili -
verso L'UNIONE TRASFORMANTE, 46
Cap. II: L'ASCESI DEL SILENZIO ...... 59
1. La .M»/a del silenzio, 60 - 2. Il silenzio
esteriore, 62 - 3. J/ silenzio intcriore, 64 - 4. Divinimi
silentium, 69.
Cap. Ili
- L'INABITAZIONE DELLA trinità . ... 73
1. La santa della di vi uà inabit azione, 74 - 2. La
sua dottrina del-l'inahitavnnc divina, 83 - 3. Il luogo di questa
presenza: il centro più profondo deìl'aniina, 86 - 4. Suoi atti
essenziali: l'attività della fede; l'esercizio dell'amore, 88 - 5. ideila
fede pura, 88 - 6. Primato dell'amore. 90 - 7. La pratica:
fare atti di raccoglimento, 94 -8. Piccolo catechismo della
presenza di Dio, 97 - 9. Progresso nella presenza di Dio, 100 -
10. I due principali effetti di questa presenza: l'oblio di sé e
l'unione trasformante, 101 - 11. Ah! se potessi dire' a
tutte le anime!..., 108.
Cap. IV: la LODE DI GLORIA . . . . . . .111
1. Il nome nuovo, 113 - 2. Una lode di gloria è
un'anima di silenzio, 119-3. La lode dì tutti i suoi doni, 120
- 4. La vita eterna incominciala, 123 - 5. La lode dell'anima
crocifissa, 126 -6. L'anima i un ciclo che canta Dìo, 128-7. Ufficio
di una lode di filaria, 129.
309
Cap. V: la conformità A cristo .... Pag. 133
1. La nostra predestinazione in Cristo, 136 - 2. La
presenza intima di Gesù, 139 - 3. Devozione all'anima di Cristo,
143 - 4. Identificare i movimenti dell'anima propria a quelli
dell'anima di Cristo, 144 - 5. Esprimere Cristo allo sguardo del
Padre, 145 - 6. Essere per Lui quasi un prolungamento dì umanità,
150 - 7. La conformità alla sua morte, 152.
Cap. VI: janua coeli ........ 157
1. La Vergine del Carmelo, 160 - 2. La Vergine
dell'incarnazione, 163 - 3. Janua co eli, 166.
Cap. VII: suor elisabetta DELLA trinità E LE
ANIME SACERDOTALI . . . . . . . .171
1. Amicizie sacerdotali, 172 - 2. I! sacerdote
della Messa, 177 -3. Associata all'apostolato del sacerdote,
179 - 4. Il sacerdote e la dirczione delle anime, 183.
Cap. Vili: I DONI DELLO spirito SANTO . . . .190
1. L'azione dei doni dello Spìrito Santo, 190 - 2.
Spìrito di timore, 199 - 3. Spirito di fortezza, 201 - 4. Spirito
di pietà, 204 - 5. Spirito di consiglio, 209 - 6. Spirito
di scienza, 211 - 7. Spirito di intelletto, 213 - 8. Spirito
di sapienza, 218.
Cap. IX: elevazione alla trinità .... 227 Epilogo - la
sua missione ....... 245
1. Il grande silenzio inferiore, 246 - 2. Lode
di gloria della Trinità, 249.
TESTI SPIRITUALI
ultimi CONSIGLI DI VITA INTERIORE ..... 255
il PARADISO SULLA TERRA ....... 261
Orazione 1" La Trinità: ecco la nostra
dimora, 261
Orazione 2' « Rimanete in me », 262
Orazione 3" « II regno di Dio è dentro di voi »,
263
Orazione 4" « Se qualcuno mi ama », 264
Orazione 5" « Voi siete morti », 265
Orazione 6" « II nostro Dio è un fuoco consumante
», 265
Orazione 7' « Sono venuto a portare fuoco sulla terra »,
266
310
Orazione 8'
Orazione 9'
Orazione 10"
Orazione 11'
Orazione 12°
Orazione 13'
« Per avvicinarsi a Dio, bisogna credere », 267 «
Conformi all'immagine del Figlio », 268 « TI Cristo è la mia vita »,
269 L'adozione dei figli di Dio, 271 La Vergine dell'Incarnazione, 273 Una
lode di gloria, 274
ultimo RITIRO DI « laudem GLORIAE ». . . . 277
1° giorno: « Mescivi », 277
2° giorno: « Nel silenzio delle potenze », 278
3" giorno: Alisi presenza di Dio. 280
4° giorno; Ecco la fede, 282
5" giorno: Sulla via del Calvario, 284
6" giorno: Quelle anime sono vergini, 286
7° giorno: Niente altro che la gloria
dell'Eterno, 287
8° giorno: Si prostrano, adorano... depongono le loro
corone, 289
9" giorno: «Siate santi, perché io sono santo»,
290 10° giorno: In un eterno presente, 292 11" giorno: Tutta la
Trinità abita nell'anima, 294 12° giorno: «Per Lui, io posso accostarmi
al Padre», 296 13° giorno: Camminare in Gesù Cristo, 297 14°
giorno: Conoscere Lui, 299 15" giorno: Janua coeli, 302 16"
giorno: In seno alla tranquilla Trinità, 303
elevazione alla santissima trinità (Sintesi della •
vita ulteriore di Suor Eissabetta) ..... 306
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