VITA DI SAN DOMENICO
P. Enrico D. Lacordaire dei Predicatori
APPENDICE
L'ORDINE DI S. DOMENICO
CAPITOLO VI
L’Inquisizione.
L’inquisizione è un tribunale che fu stabilito nei
tempi andati in alcuni paesi della. cristianità dal mutuo concorso
delle autorità, ecclesiastica e civile, per la ricerca e la repressione
di tutto ciò che avesse attentato al sovvertimento della religione.
Si attribuisce a S. Domenico d'essere stato
l'inventore dell'Inquisizione;
si attribuisce ai Domenicani d'esserne stati i
promotori ed i principali strumenti;
si vogliono essi particolarmente responsabili
degli eccessi dell'inquisizione spagnola.
Ora, S. Domenico non è stato l’inventore
dell'inquisizione, né mai ha esercitato l'ufficio d’inquisitore; i
domenicani non ne sono stati affatto i promotori, né i principali
strumenti; e riguardo all'inquisizione, spagnola, lungi dall'esserne
essi i responsabili, furono invece allontanati, dagli stessi re di
Spagna, quando i re di Spagna, sul finire del secolo decimo quinto e sul
cominciare del decimosesto, trasformarono il tribunale dell'inquisizione
in una nuova istituzione politica del tutto, la quale esigeva servi più
dipendenti che non fossero i religiosi.
Queste asserzioni meraviglieranno quanti credono
alla, storia tal quale è stata fabbricata dai protestanti e dai
razionalisti; ma non sorprenderanno chi sa che la storia in questi
ultimi tre secoli è stata una menzogna continua. manifesta, che gli
scienziati di Francia, di Germania,, d'Inghilterra hanno già in gran
parte sfatato. Del resto eccone le prove,.
Nel 1862 le Cortes spagnole riunite nell' isola di
Leone elessero una commissione incaricata, fra le altre cose, di
presentare una relazione e un progetto di decreto sul tribunale
dell'inquisizione. La commissione nella sua relazione fece l'esposizione
dell'origine e dello sviluppo di questo tribunale, e conchiuse che
dovesse essere abolito nella Spagna. Da questa relazione di fabbrica
razionalistica, liberale e spagnola, quindi non sospetta di parzialità
in favore dell'inquisizione, trarremo la prima ragione di
giustificazione.
Un altro documento non meno prezioso è la Storia
dell'Inquisizione pubblicata ad Amsterdam nel 1692 da Filippo di
Lymborch, professore di teologia nella setta calvinista dei Rimostranti.
Questa storia ostile, per quanto è possibile, alla Chiesa cattolica,
all'inquisizione ed ai Domenicani, ci somministrerà il secondo mezzo di
giustificazione. Nulla dirò che non sia fondato su l'uno o l'altro di
questi documenti fornitici dai nostri nemici, e talvolta sopra ambedue
insieme. Essi faranno da testo, le mie prove solo da commentario.
Per cominciare, ecco come la commissione delle Cortes
si esprime riguardo a S. Domenico: «I primi inquisitori, e S. Domenico
in modo speciale, non usarono mai contro l'eresia altre armi all'infuori
della preghiera, della pazienza e dell'istruzione, come lo assicurano i
Bollandisti, il P. Echard ed il P. Touron». E appresso: «Filippo II,
il più assurdo dei principi, fu il vero fondatore dell'inquisizione; fu
la sua astuta politica che portò l'inquisizione a quell'eccesso, dove
giunse. I re rigettarono sempre i consigli e i ricorsi che venivano
avanzati contro questo tribunale, essendo essi gli assoluti padroni di
nominare, sospendere o rinviare gli inquisitori, e non avendo d'altronde
a temer nulla dall'Inquisizione, terribile soltanto pel loro sudditi».
La Commissione delle Cortes viene così a distinguere due termini
estremi nell'inquisizione: San Domenico e Filippo II. Il primo che non
ha altre armi che la preghiera, la pazienza e l'istruzione; il secondo,
vero fondatore dell'inquisizione, che la trasforma in un tribunale
terribile, di cui i re sono i padroni assoluti. Potremmo fermarci qui;
poiché quale argomento più decisivo per chi sa leggere? Che importa se
la Commissione colloca S. Domenico fra i primi inquisitori, quando
questi primi inquisitori non usarono altro che la preghiera, la pazienza
e l'istruzione? E che rimane di comune fra l'opera di S. Domenico e
quella di Filippo II, separate fra loro da un intervallo di tre secoli,
l'una religiosa e l'altra politica, l'una affidata a uomini che pregano
ed istruiscono con pazienza, e l'altra a dei re che rigettano i consigli
e i ricorsi contro un tribunale di cui essi sono i padroni assoluti? Ma
in materia così grave non si può perdonare alla Commissione un tale
errore, per quanto innocuo. Sebbene essa non imputi a S. Domenico di
essere stato lui l'inventore dell'inquisizione, né d'averla esercitata
con durezza, tuttavia lo enumera fra i primi inquisitori; e ciò è
assolutamente falso, come ora vedremo. Prima di tutto però cerchiamo di
farei un'idea esatta dell'inquisizione.
Chi facesse consistere l'inquisizione nelle leggi
penali stabilite contro la professione pubblica delle eresie, e
generalmente contro ogni atto esterno, lesivo della religione
sbaglierebbe di certo. Simili leggi erano in vigore già da mille anni
nella società cristiana. Costantino ed i suoi successori fondati sopra
la massima che, essendo la religione il primo bene dei popoli, questi
hanno il diritto di vederla riposta sotto la medesima tutela che difende
i beni, la vita, l'onore dei cittadini, ne promulgarono gran numero,
come può leggersi nel codice Teodosiano. Non intendiamo ora di entrare
in esame di tale massima; la enunziamo semplicemente. Prima dei tempi
moderni passava per incontestabile, ogni nazione l'avea messa in pratica
............................
.......................................
Si credeva allora essere un dovere della società
civile impedire atti esterni contrari alla religione da essa professata,
e non essere ragionevole abbandonarla agli attacchi del primo
imprudente, che mostri sufficiente ingegno per sostenere un nuovo domma.
Appunto in questo senso giudicò, anche dopo il 1830, la Corte di
Cassazione, quando decise che la Carta non dava diritto di aprire una
chiesa e di fondare una cattedra religiosa a chiunque lo volesse.
L'antico principio, sussiste adunque nella giurisprudenza, interprete
delle nostre leggi; la magistratura francese giudica anche oggi su tali
materie, come giudicava la magistratura del Basso Impero e del medio
evo, come giudicano i Mandarini Cinesi, che fanno strangolare i nostri
missionari; e poco importa che le pene sieno più blande, poiché è
avvenuto lo stesso per tutti gli altri delitti. Mitigare una pena, non
vuol dire dichiarare innocente il delitto per cui è applicata, e
soprattutto non vuol dire dichiararlo libero. Anche la Francia adunque
è solidale nel principio che dette origine all'inquisizione.
Fino a tutto il secolo duodecimo gli attentati contro
la religione erano processati e giudicati dai magistrati ordinari. La
Chiesa condannava coll'anatema una dottrina? Chiunque dopo ciò l'avesse
propagata ostinatamente nelle assemblee pubbliche o private, colla
parola o con gli scritti, veniva ricercato e condannato dal tribunali
secondo il diritto comune. L'autorità ecclesiastica tutto al più
interveniva qualche volta nel processo per via di querela. A lato però
dì questo fatto sociale di repressione degli eretici, se ne sviluppava
un altro tutto cristiano, la dolcezza cioè riguardo ai colpevoli, e
specialmente riguardo ai colpevoli di idee. Tutti i cristiani erano
convinti che, la fede è un atto libero, causato , dalla sola
persuasione, e dalla grazia; tutti ripetevano con S. Atanasio: «La
caratteristica di una religione di amore è di ; persuadere, non di
costringere»; quantunque non fossero poi d'accordo nel determinare il
grado di libertà che conveniva lasciare agli eretici., Questa seconda
questione sembrava loro del tutto distinta, dalla prima, altra cosa
essendo non violentare le coscienze, ed altra lasciarle in balia di una
forza intellettuale di cattiva lega. Chi stava per la libertà assoluta
ripeteva con S. Ilario, vescovo di Poitiers: «Oh! che ci, sia permesso
di deplorare la miseria: dell'età nostra e le folli opinioni di un
secolo in cui si crede proteggere Dio coll'aiuto dell'uomo, e le, Chiesa
di Gesù Cristo colla potenza del secolo! Ditemi di grazia, o vescovi
che così pensate, a quali sostegni si appoggiarono gli apostoli per
annunziare il Vangelo? Quali armi invocarono in loro aiuto per predicar
Gesù Cristo? Come fecero a convertire dal nazioni dal culto degli idoli
al culto del vero Dio? Che forse ne avevano ricevuto incarico dalla
reggia. coloro che cantavano le lodi a Dio, dopo essere stati legati con
catene e battuti? Che forse Paolo, dato a spettacolo come un malfattore,
si servì degli editti imperiali per stabilire sempre meglio la Chiesa
di Gesù Cristo? O non fu invece l’odio di Nerone, di Vespasiano, di
Decio, di tutti i nemici del cristianesimo, che fece fiorire la parola
divina? Quelli che vivevano del lavoro delle proprie mani, che tenevano
adunanze secrete, che percorrevano le borgate, le città, le nazioni, la
terra, il mare, malgrado i senatus-consulti e gli editti dei principi,
non erano essi che avevano le chiavi del regno dei cieli? E non fu
conosciuto sempre più Gesù Cristo stesso, quanto più si proibiva di
predicarlo? Ma ora, oh dolore! i suffragi terrestri servono di
raccomandazione alla fede divina, ed il Cristo è accusato come
bisognoso di intrighi in suo favore! Ora par che debba la Chiesa
diffondere il terrore coll'esilio e colla prigione, essa che è stata
data a salvaguardia della prigione e dell'esilio! Par che debba affidare
le sue sorti a coloro soltanto che accettano la sua comunione, essa che
è stata consacrata dalle mani dei persecutori»!.
Sant'Agostino, un tempo della medesima scuola, si
rivolgeva parimente ai Manichei con queste parole: «Che usin rigore
contro di voi coloro, che non sanno con quanta fatica si venga a
conoscenza della verità, e quanto penosamente ci si liberi dall'errore!
Che usino rigore contro di voi coloro, che non sanno quanto sia raro e
difficile vincere i fantasmi del corpo con la serenità di una devota
intelligenza! Che usino contro di voi coloro che non sanno con quanto
stento si arrivi a guarire l'occhio interiore dell'uomo, fino a renderlo
capace di vedere il sole, il suo sole, non quello che voi adorate e che
brilla agli occhi carnali dell'uomo e delle bestie, ma quello di cui il
profeta scrive: Il sole della giustizia si è levato per me; e di cui il
Vangelo dice che è la luce che illumina ogni uomo, che viene in questo
mondo! Che usino rigore contro di voi coloro, che non sanno con quanti
sospiri e con quali, gemiti si arrivi a comprendere Iddio, per quanto
alla lontana! Finalmente che usino rigore contro di voi coloro, che non
vennero mai, sedotti dall'errore che vi seduce!». Causa però il furore
dei Donatisti dell'Africa contro la Chiesa, S. Agostino passò più
tardi alla scuola opposta. Confessò dovere all'esperienza due verità,
che la meditazione del Vangelo non gli aveva insegnato, cioè: che
l'errore è essenzialmente persecutore e nega quanto più può alla
verità di esser libera; inoltre che ha luogo una oppressione sulle
intelligenze deboli esercitata dalle intelligenze più forti, come i
corpi più deboli sono sopraffatti dai più robusti. Per 'cui anch'egli
conchiuso che la repressione dell'errore è una difesa legittima contro
due tirannie, quella della persecuzione e quella della seduzione. Non
faccio che richiamare la storia.
Tuttavia anche questa seconda scuola era agitata come
la prima, benché in minor grado, dal bisogno inestinguibile della
cristiana mansuetudine. E S. Agostino a proposito degli eretici più
atroci che giammai siano esistiti, scriveva a Donato, proconsole
dell'Africa, queste parole degne di nota: «Noi desideriamo che siano
corretti, ma non messi a morte; che non si trascuri, riguardo a loro,
una repressione disciplinare, non però che sian sottoposti ai supplizi,
che si sarebbero meritati... Se voi toglieste a cotesti uomini la vita
in pena dei loro delitti, voi ci distogliereste dal tradurre innanzi al
vostro tribunale simili cause; l'audacia dei nostri nemici giunta così
al 'sommo, compirebbe la nostra rovina, stante la" necessità in
cui ci porreste di preferire ricever da loro la morte, piuttosto che
tradurli dinanzi al vostro giudizio». Ed in forza di questi principi
San Martino di Tours rifiutò costantemente di comunicare con quei
vescovi, che avevano preso parte alla sanguinosa condanna dei
Priscillianisti della Spagna.
La Chiesa adunque, su tale questione, era posta fra
due estremi: o libertà assoluta dell'errore, o persecuzione ad oltranza
per mezzo della inesorabile spada della legge civile. Alcuni dei suoi
dottori inclinavano pel primo partito, altri per il secondo; alcuni per
una dolcezza senza limiti, altri per un rigore impassibile e illimitato;
ed essa trovavasi come crocifissa fra due timori ugualmente terribili.
Lasciando all'errore ogni larghezza, c'era da temere per l'oppressione
dei suoi figlioli; facendo che l'errore fosse represso, sia pure con la
spada del Vescovo esterno, c'era da temere di divenire oppressore:
dappertutto sangue. Il corso degli avvenimenti poi aumentava ancor più
tali angusti e; perocché le leggi fatte contro gli eretici ricadevano
invece incessantemente contro i cattolici, e da Ario agli Iconoclasti fu
un succedersi di vescovi e preti Imprigionati, esiliati, maltrattati,
respinti fino nelle catacombe da quegli Imperatori, che non stancavansi
mai di offrire alla Chiesa la scelta fra le loro idee o i loro
carnefici.
Quindi, appena che le fu possibile, la Chiesa pensò
seriamente a sortire da questa situazione. La sentenza di S. Agostino:
«desideriamo che vengan corretti , ma non messi a morte; non si ha da
trascurare riguardo a loro una repressione disciplinare, ma neanche
condannarli al supplizio che si meriterebbero», giunse a maturità. Il
Pontificato concepì allora un disegno, di cui molto si gloria lo stesso
secolo decimonono, senza pensare che i Papi se ne occupavano già da sei
secoli: il disegno di un sistema penitenziario. Fino allora erano solo
in vigore, per punire le colpe degli uomini, due specie di tribunali: i
tribunali civili, e i tribunali della penitenza cristiana.,
L'inconveniente dei secondi era di non poter colpire che quei peccatori,
i quali confessavano volontariamente i loro falli; l'inconveniente dei
primi che avevano in mano la forza, era di non possedere influenza
alcuna sul cuore dei colpevoli, di punirli con una vendetta priva
affatto di misericordia, incapaci di guarire con una piaga esterna la
piaga interna dell'anima. Fra queste due specie di tribunali i Papi
vollero stabilire un tribunale intermedio, un giusto mezzo, un tribunale
che potesse perdonare, che potesse modificare la pena anche dopo
fulminata, che prima suscitasse il rimorso del delitto, ed a poco a poco
al rimorso facesse seguire la bontà; un tribunale insomma che cambiasse
il supplizio in penitenza. il patibolo in educatorio, non rilasciando i
rei al braccio fatale della giustizia umana che dopo esaurito ogni mezzo
di ravvedimento. Questo tribunale esecrabile fu appunto l'inquisizione!
Non già l'inquisizione spagnola, corrotta dal dispostismo dei re di
Spagna e dal carattere proprio, di quella nazione; ma l'inquisizione tal
quale i Papi la concepirono, tal quale riuscirono al fine a realizzare
nel 1542 coll'istituzione della Romana Congregazione del S. Uffizio,
tribunale il più mite che esista, il solo forse che in trecento anni di
esistenza non abbia fatto versare un sola goccia di sangue. Né sono io
il primo ad essermi accorto della natura penitenziaria e progressiva
dell'inquisizione. Il Journal des Débats l'ha notato molto prima di me:
«Qual è insomma, così vi fu scritto, qual è in Europa il Tribunale,
all'infuori dell'inquisizione, che assolve il reo, purché si penta e
confessi il suo pentimento? Qual è l'individuo che faccia propaganda o
tenga condotta irreligiosa, che professi principi contrari a quelli
stabiliti dalle leggi pel mantenimento dell'ordine sociale, e non venga
prima ammonito per ben due volte dai membri di questo tribunale? Se
recidivo, se malgrado gli avvisi che ha ricevuto, persiste nella sua
condotta, viene arrestato; ma se poi si pente, viene rimesso in libertà.
Bourgoing, scrittore certo non sospetto nel suo Tableau de l'Espagne
moderne, parlando del S. Uffizio, dice: - In -omaggio alla verità debbo
confessare, che l'inquisizione potrebbe essere citata come modello di
equità. - Quale confessione! Sarebbe essa accettata se la facessimo
noi? Il Bourgoing adunque giunse a vedere il tribunale dell'inquisizione
tal quale è di fatto, un istrumento cioè di alta polizia». Così si
esprimeva il Journal des Débats a proposito dell'inquisizione spagnola:
che avrebbe mai detto, se invece di fermarsi ad esaminare una
inquisizione snaturata, fosse andato a rintracciare l'origine primitiva
di questo tribunale e la sua completa attuazione nella Congregazione
Romana del S. Uffizio? So adunque noi sosteniamo che S. Domenico non è
stato l'inventore dell'inquisizione, né il primo inquisitore, non è già
per liberare i suoi omeri gloriosi da un peso troppo gravoso, ma
soltanto perché la cosa non è vera. L'inquisizione, esisteva già nel
suo germe, prima di San Domenico; questi non fece nulla affatto perché
si sviluppasse, e soltanto molti anni dopo la sua morte tale tribunale
acquistò forma determinata e potenza reale.
Certo che le difficoltà da superare sia per
formulare un bel progetto, sia per attuarlo, erano enormi. Imperocchè
conveniva applicare alla società il sistema stesso penitenziario dei
chiostri per mezzo di un tribunale, il quale non poteva esser laico,
pure abbisognando del braccio secolare, non poteva essere episcopale,
pure abbisognando del concorso dei Vescovi. Non poteva essere laico,
perocché la riforma dei colpevoli e la proporzione della misericordia
da usarsi secondo la riforma ottenuta, esigeva necessariamente
l'intervento del sacerdote e una coscienza consacrata per ascoltare le
confessioni; nondimeno il concorso dei laici era necessario, non avendo
la Chiesa alcun mezzo di coazione. Non poteva essere episcopale, perché
i vescovi, oppressi dal peso delle loro diocesi, non avrebbero potuto
sostenere questo nuovo carico; d'altra parte la direzione nel processi
criminali avrebbe loro tolto agli occhi dei popoli quella dolce maestà
a cui non devono mai rinunziare: tuttavia il loro concorso era
necessario, essendo essi i giudici nati in ogni controversia dommatica.
Insomma trattavasi di cosa così nuova da introdursi nel governo
generale degli affari umani, che mai alcun'altra riforma ha impensierito
di più.
Il Papa Lucio III, cacciato da Roma dagli insulti
ripetuti dei romani, nel 1184 si trovava a Verona, quando andò a
trovarlo l'Imperatore Federico I, accompagnato da un gran numero di
vescovi e di signori. Fu tenuto allora un gran concilio; ed il Fleury
nella sua Histoire de l'Eglise fa a nostro proposito la seguente
riflessione: «Io credo, egli dice, di trovar là l'origine
dell'inquisizione contro gli eretici, essendosi allora ordinato ai
vescovi d'informarsi da loro stessi, o per mezzo di commissari delle
persone sospette d'eresia, secondo che dice la, voce del pubblico o le
denunzie particolari; ed essendosi stabilite differenti pene pei
sospetti, pei convinti, pei penitenti, pei recidivi, non rilasciando al
braccio secolare i colpevoli, se non dopo aver loro applicato tutte le
pene spirituali». E non v'ha dubbio che le prime tracce
dell'inquisizione, quantunque a uno stato ancora informe, siano da
ritrovarsi là: là la ricerca degli eretici per mezzo di commissari; là
l'applicazione graduata delle pene spirituali, l'abbandono al braccio
secolare in caso di manifesta ribellione, il concorso simultaneo dei
laici, e dei vescovi. Non manca che l'ultima forma, cioè l'elezione del
tribunale a cui spetti esercitare questo, nuovo genere di giustizia:
cosa alla quale si pensò, non molto dopo.
Difatti nel 1198, dieci anni appena dal Concilio di
Verona, comparvero i primi commissari inquisitori, di cui la storia
abbia conservato il nome. Furono due monaci dell'ordine Cisterciense,
Ranieri e Guido, inviati dal Papa Innocenzo III nella Linguadoca per la
ricerca e la conversione degli eretici albigesi. Il Fleury nella sua
Histoire de l'Eglise e D. Valssette nella Histoire du Languedoc danno
loro senza distinzione il titolo di inquisitori. Parimente i tre legati
dell'Ordine Cisterciense, che S. Domenico e il vescovo di Osma trovarono
a Montpellier verso la fine del 1205, erano commissari inquisitori.
Così abbiamo che già da ventun'anno nel Concilio di
Verona erano state poste le prime basi dell'inquisizione, quando
Domenico comparve in scena; e chiamati ad esercitare tal nuovo ufficio
nella sua forma primitiva ed incompleta furono i Cisterciensi.
D'altronde, in qual modo Domenico si presenta ai
Legati?. «Lasciate, dice loro, ogni equipaggio, i valletti, le insegne,
il lusso, che ad altro non servono se non a render gli eretici sempre più
ostinati; ed andiamo a piedi a cercarli, a parlar loro, a soffrire e
morire per loro». Cosa inaudita! Il razionalismo ha preso la storia
tutta al rovescio. Nella terribile guerra contro gli Albigesi che sta a
capo di tutto, chi presiede alle assemblee dei vescovi e dei cavalieri,
chi raccoglie tutte le forze spirituali e temporali contro gli eretici
sono gli abati di Citeaux e non S, Domenico. Questi in tali frangenti
apparisce invece ciò che noi oggi chiameremmo un uomo novello. Mai
prende parte ai consigli, molto meno ai combattimenti: prega, digiuna,
predica, libera un giovane dall'ultimo supplizio col profetizzare che
sarà un giorno un gran santo. Una povera donna gli manifesta che non le
è possibile lasciare l'eresia, altrimenti non avrebbe di che vivere, e
S. Domenico è pronto a vendersi come schiavo per procurarle il pane.
Egli raccoglie insieme tenere giovanette per liberarlo dalla tentazione
della miseria: fonda un ordine religioso, non già per affrontare gli
eretici colla forza, ma con la predicazione e la scienza divina. E fra
tutti i contemporanei che hanno scritto di lui, Teodoro d'Apolda,
Costantino d'Orvieto, Bartolomeo vescovo di Trento, il B. Umberto,
Niccolò Trevet, nessuno gli attribuisce un solo atto relativo
all'inquisizione. Tutti lo rappresentano come le Cortes spagnole del
1812, senza altre armi alla mano che la preghiera, la pazienza e
l'istruzione, salvo che non vi aggiungano qualche miracolo, cosa che non
fece certo male ad alcuno. Nel 1215 Domenico assisté al quarto Concilio
ecumenico Lateranense: propizia occasione per mettere innanzi gli affari
dell'inquisizione, s'egli avesse voluto immischiarvisi; invece neppur se
ne tratta. Durante i cinque anni che ancora sopravvisse, ricevé dalla
Santa Sede vari Brevi e Diplomi, ma nessuno gli dà il titolo
d'inquisitore. Otto anni dopo la di lui morte fu ordinato a Tolosa un
concilio sotto la presidenza di un delegato apostolico, e furono
rinnovati in forma più completa i decreti del concilio di Verona
relativi all'inquisizione. Ebbene! in questa stessa città di Tolosa,
dove S. Domenico era tanto conosciuto, dove aveva avuto origine il suo
Ordine e vi aveva preso ormai piede, il concilio non affida l'ufficio
d'inquisitore ai Frati Predicatori, ma dice: «I vescovi sceglieranno in
ciascuna parrocchia un prete e due o tre secolari di buon nome, e li
faranno giurare di ricercare diligentemente gli eretici etc.». Sarebbe
stato possibile un simile decreto, se S. Domenico fosso stato veramente
il fondatore ed il promotore dell'inquisizione, se l'avesse lasciata ai
suoi come parte della sua eredità? D'altra parte il nome stesso di
Frati Predicatori è un'immortale conferma dello scopo propostosi da S.
Domenico, come il nome di Frati Minori è una conferma immortale dello
scopo propostosi da S. Francesco d'Assisi: ambedue gli uomini nuovi dei
loro tempi. Essi per salvare la Chiesa inalberarono altro vessillo, che
non' quello dell'umana potenza; ed è appunto per questo che gli spiriti
i più indipendenti di quel tempi hanno esaltato sempre la, loro
memoria. Quando S. Domenico e S. Francesco si incontrarono a Roma, si
riconobbero senza, essersi mai veduti, e si gettarono l'uno al collo
dell'altro. Erano le due forze eterne della Chiesa che si abbracciavano:
la povertà e la parola.
Dopo le prove da noi addotte, prenderemo ad esame le
ragioni dei nostri avversari, inserite nell'Histoire de l'Inquisition da
Filippo di Lymborch, al capitolo decimo del primo libro. Il Lymborch
aveva un mezzo facilissimo per stabilire la sua tesi contro S. Domenico:
citare gli autori contemporanei. Ma siccome neppure uno degli autori
contemporanei attribuisce a S. Domenico i fatti che ili si imputano dai
protestanti e dal razionalisti, il Lymborch credé meglio limitarsi alle
strane prove che ora addurremo.
La prima eccola: - il palazzo dell'inquisizione in
Tolosa è un palazzo che era stato donato a San Domenico; dunque S.
Domenico fu il primo inquisitore. - Ora, la casa di cui parla il
Lymborch, fu donata a S. Domenico da Pietro Cellani l'anno 1215, e non
divenne palazzo dell'inquisizione che nel 1233, vale a dire dodici anni
dopo la morte di San Domenico, allorché Pietro Cellani, antico
proprietario della casa, e che era allora Frate Predicatore, dal Papa
Gregorio IX fu nominato inquisitore di Tolosa. Questi fatti sono
riportati nella cronaca contemporanea di Guglielmo di Puy Laurens,
cappellano del conte di Tolosa Raimondo VII.
Il secondo argomento è questo: - Luigi di Param, che
scrisse sull'origine ed i progressi dell'inquisizione, dice che S.
Domenico manifestò ad un legato del Papa in Francia il suo pensiero
d'introdurre l'inquisizione, e che egli, dopo il concilio di Laterano,
con lettere pontificie che alcuni autori attestano di aver lette, venne
difatto nominato inquisitore. Ma Luigi di Param scriveva il suo trattato
alla fine del secolo decimosesto, quasi quattrocento anni dopo la morte
di S. Domenico, e non cita in suo favore neppure uno degli autori
contemporanei; ed il Lymborch stesso ha così poca fede nella di lui
testimonianza, che immediatamente soggiunge: «comunque sia, egli è
certo che S. Domenico fu uomo crudele e sanguinario». In prova poi di
questa crudeltà cita l'atto di una penitenza pubblica imposta da S.
Domenico ad un certo Ponzio Roger per riconciliarlo con la Chiesa;
penitenza allora in uso, e per quei tempi la più leggera fra le
penitenze canoniche della Chiesa primitiva.
Chiunque vorrà prendersi la pena di aprire l'opera
del Lymborch, potrà coi propri occhi accertarsi ch'egli non adduce
altre prove a conferma della qualità di primo inquisitore, da lui
attribuita a S. Domenico.
Né i Frati Predicatori furono i promotori
dell'inquisizione più che il loro Patriarca ne sia stato l'inventore. I
papi, i vescovi, i re, ecco i veri promotori dell'inquisizione. «Il
Papa, dice il Lymborch, faceva ogni sforzo perché venisse conferito
maggior potere .agli inquisitori, ed avessero un tribunale in cui sedere
quali giudici delegati dal sommo Pontefice, rappresentando la sua
persona in ogni causa di eresia». Quanto ai vescovi abbiamo già visto
come si comportassero al concilio di Tolosa nel 1229, e furono sempre
essi che in due altri Concili, uno, tenuto a Narbona nel 1235 ed un
altro a Reziers nel 1246, di comune accordo coi legati della S. Sede
formularono i primi regolamenti dell'inquisizione. Anche i principi vi
presero parte e, forse più di ogni, altro. «L'imperatore Federico II,
dice il Lymborch, promulgò a Padova alcune leggi contro gli eretici, i
loro complici ed i loro fautori, che molto avvantaggiarono la causa
dell'inquisizione» . Nel 1255 San Luigi pregava il papa Alessandro IV
di stabilire nel regno di Francia gli inquisitori della fede; e quasi
nella stessa epoca il Senato di Venezia, di motu proprio e colla propria
autorità nominava alcuni laici inquisitori della fede, incaricando il
Patriarca e gli altri vescovi del veneto di giudicare la questione di
dottrina, e riserbando a sé di pronunziare la pena di morte contro
coloro che fossero convinti di eresia. Alfonso, re di Aragona, nel 1419
domandò al papa Martino V di estendere l'inquisizione anche al regno di
Valenza. E verso la fine del secolo decimoquinto «i re cattolici,
Isabella e Ferdinando, sollecitarono istantemente il Pontefice romano di
dar facoltà dì poter creare inquisitori nei regni di Castiglia e di
Lione; ed affinché nessuna nazione li sorpassasse nello zelo contro gli
eretici della fede romana, anzi per essere a tutte superiori,
autorizzati dal Papa Sisto IV, introdussero nei loro regni
l'inquisizione con grande pompa, con più solenne apparato, con poteri
più ampli». Le Cortes del 1812 sono consenzienti col Lymborch su
questo punto: «L'inquisizione, dicono, nella sua origine fu
un'istituzione dimandata e stabilita dai re di Spagna in circostanze
difficili e straordinarie». E nel 1519 avendo ottenuto gli Aragonesi
dal Papa Leone X un modo di procedere più blando che non portavano i
regolamenti sull'inquisizione di Isabella e di Ferdinando, Carlo V si
oppose all'esecuzione delle bolle, ed a forza d'insistere, ottenne che
le cose restassero quali erano. Essendo poi andata in dissuetudine nella
Sicilia l'inquisizione, «Carlo V con un decreto del suo consiglio la
ristabilì e volle che godesse di tutti i'privilegi di prima». Il re di
Portogallo, Giovanni III, nel 1521 ( supplicava vivamente il Sommo
Pontefice Clemente VII d'accordare Poi suoi regni il tribunale
dell'inquisizione. E per quanto il Pontefice avesse resistito spesso e
lungamente, a causa degli Ebrei che si opponevano ai desideri del re,
finì, suo malgrado, col dare in forma legale il suo assenso il 16 delle
calende di Gennaio 1531. Vedendo poi lo stesso signore e re Giovanni III
che la causa della fede andava di male in peggio, e che il Sommo
Pontefice mostrava di non curarsene troppo, usò del rimedio
dell'inquisizione sotto una forma più conveniente allo stato delle
cose, e ne scrisse al Sommo Pontefice lettera degna del suo zelo, dove
faceva notare come sia presso di lui, sia presso il suo predecessore
Clemente VII per quindici anni aveva pregato di riparare con
sollecitudine alla cosa. Il Papa, mosso da questo lettere e dalle
ragioni che vi si contenevano, finì per cedere l'anno del Signore 1536».
E dopo tutti questi principi, venne per ultimo Filippo II, il vero
fondatore dell'inquisizione nella Spagna, come si espressero le Cortes
del 1812.
Tali fatti non lasciano dubbio alcuno sui veri
promotori dell'Inquisizione: essi furono i papi, i Vescovi di Francia,
gl'Imperatori d'Alemagna, il Senato di Venezia, i re di Spagna e di
Portogallo. Il lettore avrà inoltre notato l'ardore progressivo dei
principi e la notevole ripugnanza dei Sommi Pontefici nel prender parte
a quello sviluppo che la politica aveva voluto dare all'inquisizione,
come risulterà ancora da altre prove.
I Frati Predicatori adunque non furono i principali
strumenti dell'inquisizione, ma solo vi presero parte come ogni altro.
Non c'è una bolla, né altro atto pontificio, vescovile o regio che
abbia mai attribuito in modo esclusivo e generale ai Domenicani
l'officio dell'inquisizione. Il primo ad esserne incaricato fu l'Ordine
Cisterciense; e nel concilio di Tolosa del 1229 non si pensò di
investirne i Frati Predicatori neppure nel luogo stesso della loro
origine. Fu solo nel 1232 che Gregorio IX con un diploma indirizzato
all'arcivescovo di Tarragona, gli raccomanda di scegliere per l'officio
d'inquisitori i Frati Predicatori, ed altri ch'egli giudichi capaci. Nel
1233 lo stesso Papa nominò inquisitori di Tolosa due domenicani; e nel
1238 dette facoltà al Provinciale della Lombardia di creare inquisitori
nel suo distretto. Peraltro anche i Frati Minori sono chiamati ad
esercitare tale ufficio, e fin dal 1238 la storia segnala un Frate
Minore come inquisitore di Tolosa. Nel 1239 poi il Papa scrisse in
comune al Ministro dei Frati Minori ed al Maestro dei Frati Predicatori
per affidar loro l'ufficio dell'inquisizione. Innocenzo IV difatti nel
1254 sparti l'Italia h tal riguardo fra i Frati Minori ed i Frati
Predicatori; ai primi assegnò la città di Roma, il patrimonio di S.
Pietro, il ducato di Spoleto, il rimanente dello stato romano fino a
Bologna, e la Toscana; ai secondi la Lombardia, il Bolognese, le Marche
di Treviso e Genova. Come si vede Roma e lo stato romano non furono
assegnati ai Frati Predicatori; il che prova come il papa su ciò, non
avesse per loro preferenza alcuna. Parimente nel 1255, dietro preghiera
di S. Luigi, Alessandro V distribuì l'inquisizione di Francia tra i
Frati Predicatori ed i Frati Minori; nel 1285 da Onorio IV fu affidata
l'inquisizione di Sardegna a Frati Minori; ed alla fine dello stesso
secolo questi esercitavano ancora un tal ministero nella Siria e nella
Palestina.
Inoltre sarà bene ricordare che per molto tempo gli
inquisitori non ebbero affatto il potere di giudicare. Soltanto sotto
Innocenzo IV, settanta anni circa dopo il concilio di Verona, fu
devoluto loro simile potere, col diritto di avere un tribunale proprio.
Fino allora i vescovi erano i soli giudici competenti negli affari loro
deferiti dagli inquisitori; ed anche dopo costituito definitivamente il
tribunale dell'Inquisizione, nessun giudizio poteva farsi senza
l'intervento dei vescovi. «E se il vescovo e l'inquisitore, dice
Lymborch, non erano d'accordo, non poteva prendersi, alcuna decisione
definitiva; ma c'era obbligo d'inviare l'istruttoria al Papa, o,
trattandosi della Spagna, alla Corte suprema dell'inquisizione».
Ne segue quindi che i principali ed ordinari giudici
dell'inquisizione furono sempre i vescovi, non essendone stato mai
esclusivamente incaricato alcun Ordine religioso; e ciò è vero in modo
speciale riguardo all'inquisizione Spagnola.
Nell'Inquisizione di Spagna vanno distinti due
momenti solenni: uno alla fine del secolo decimoquinto, sotto Isabella e
Ferdinando, avanti la cacciata dei Mori da Granata e il loro ultimo
esilio; un altro verso la metà del secolo decimosesto, sotto Filippo II,
quando il Protestantesimo minacciò di propagarsi nella Spagna. La
Commissione delle Cortes distingue perfettamente queste due epoche, e
come stimmatizza l'inquisizione di Filippo II, altrettanto è piena di
moderazione riguardo all'inquisizione di Isabella e di Ferdinando.
Della prima dice: «Filippo II, il più assurdo dei
principi, fu il vero fondatore dell'inquisizione; e fu la sua raffinata,
politica che la portò agli eccessi dov'essa giunse». Dell'altra
invece: «L'inquisizione fu da principio una istituzione chiesta e
stabilita dai re di Spagna in circostanze difficili ed eccezionali». E
per verità la presa di Granata non aveva ancora deciso la grave
questione fra gli Spagnoli ed i Mori riguardo a sapere chi resterebbe
padrone del territorio spagnolo; questione. che si agitava già da otto
secoli. I Mori, unitisi agli ebrei, e sotto false apparenze di
conversione passati al cristianesimo, riempivano la Spagna. «Le
ricchezze dei Giudaizzanti, la loro influenza, le relazioni ch'essi
avevano con le più illustri famiglie della monarchia li rendevano
sommamente temibili, erano in verità una nazione dentro un'altra». Le
Cortes invocarono severe misure contro nemici così aborriti, e
Ferdinando credé che l'Inquisizione, ma un'inquisizione nuova e
terribile, sarebbe stato l'unico mezzo di finirla con loro. Tutta
l'Europa la intese a questo modo; quando infatti Filippo II tentò più
tardi di introdurre anche a Milano l'inquisizione di Spagna, tutto il
popolo sollevatosi, andava gridando per le strade: «E' una tirannia
volere imporre ad una città cristiana una forma d'inquisizione
immaginata contro i Mori ed i Giudei».
Isabella e Ferdinando, presa simile risoluzione, «Affidarono
la causa della fede all'arcivescovo di Siviglia, Gonsalvo , de Mendoza,
dandogli per aiuto il domenicano Tommaso Torquemada ». Dopo molte
trattative durante diversi anni, nel 1584 «fu tenuta a Siviglia una
celebre adunanza di uomini dotti nell'uno e nell'altro diritto, nonchè
nella teologia, e furono redatte le regole da seguirsi nei processi
contro gli eretici; regole osservate tuttora dagli inquisitori,
quantunque corredate di nuove istruzioni». Carlo V nel testamento
stesso pose una clausola, in cui raccomandando al figlio Filippo II
l'inquisizione, dice così: «più di ogni altra cosa gli raccomando di
colmare di favori e di onori l'officio della santa inquisizione
divinamente stabilito contro gli eretici». Ed in un codicillo aggiunge:
« Gli domando quanto più posso instantemente, e come padre affezionato
gli ordino, in nome dell'amore rispettoso che mi porta, di ricordarsi
sempre di una cosa da cui dipende la salvezza della Spagna, cioè: di
non lasciar mai impuniti gli eretici, e di colmare di grazie e favori
l'Ufficio della santa inquisizione, per la cui vigilanza cresce in
questi regni la fede cattolica ed è conservata la religione cristiana».
Filippo II non fece il sordo né al testamento, né
al codicillo di suo padre. Come lui applicò ai protestanti
l'inquisizione che Isabella e Ferdinando avevano stabilito contro i
Giudei ed i Mori; la rese anzi più terribile, col metter fuori, a
spavento dell'eresia, il famoso auto-da-fé, col quale il supplizio
divenne una specie di festa, sia per gli spettatori che per i pazienti.
Il primo auto-da-fé ebbe luogo a Siviglia l'anno 1559. Da quel momento
l'inquisizione spagnola, divenuta cosa tutta politica, nazionale e
regia, attirò sopra il fine principale e la storia dell'inquisizione
una facile calunnia. L'immaginazione gonfiò questo strano modo di far
processi, e lo stesso popolo spagnuolo che vedeva e tollerava tutto ciò
apparve al mondo sotto i colori più foschi. Né noi c'incaricheremo di
giustificarlo. Il conte Giuseppe do Maistre tentò già di farlo nelle
sue Lettres sur l'inquisition Espagnole; a noi spetta altro compito.
Quale fu adunque la parte dei Domenicani
nell'inquisizione di Spagna? Ce lo dice il giureconsulto Pegna nei suoi
commentari sul Direttorio degli inquisitori. «Nella Spagna, Ferdinando
re di Aragona e di Castiglia, quinto di questo nome, verso l'anno di
grazia 1476, come attestano i nostri storici, tolse ai Frati Domenicani
l'ufficio dell'inquisizione, e lo affidò a chierici secolari,
incaricando al tempo stesso, dietro l'assenso del Pontefice,
l'illustrissimo signor Cardinale Mendoza di ricostituire tale Ufficio.
Questi, di concerto con gran numero di uomini dotti, formulò le leggi e
prescrisse l'ordine da seguirsi dagli inquisitori nella Spagna».
Lymborch ripete le medesime cose: «Un tale ufficio non è più, come
altre volte, affidato ai Frati Predicatori o Domenicani; ma cominciatosi
col darne incarico a chierici secolari versati nei canoni e nelle leggi,
a poco a poco fu loro devoluto interamente; di modo che i Domenicani non
vi ebbero più parte alcuna; solamente furono spesso chiamati in qualità
di consultori, per qualificare le proposizioni che dovevano essere
giudicate».
Fu solo nel 1618 che Filippo III accordò un posto ai
Domenicani nel consiglio della suprema inquisizione, composto di undici
o tredici membri. Un fatto, quasi incredibile, farà meglio conoscere
quanto contassero i Frati Predicatori nell'inquisizione spagnola. Uno di
essi, Bartolomeo Caranza, arcivescovo di Toledo, uomo venerando, onorato
della confidenza dei sovrani, e che, elevato, alla prima cattedra
episcopale della monarchia godeva stima universale, all'improvviso fu
incarcerato per ordine dell'inquisizione. Invano il Papa Pio IV lo
rivendicò a sé; invano il concilio di Trento, allora riunito,
s'interpose in suo favore; invano la congregazione incaricata dal
concilio per l'esame dei libri, dichiarò il catechismo dei Caranza, che
aveva servito di pretesto per l'incarcerazione, pienamente ortodosso:
l'inquisizione fu inesorabile. Per bene otto anni lo ritenne nelle sue
prigioni, e non lo mandò a Roma per esservi giudicato, che dietro
l'ordine di Filippo II. Ecco la potenza dei Domenicani
sull'inquisizione! ecco la potenza del papa e di uno stesso concilio
ecumenico! e per giunta in una occasione in cui l'ingiustizia era più
che manifesta, assommandosi tutto ad una spiritosa sentenza Pronunziata
dal Caranza entrando in Castel S. Angelo: «Io mi trovo continuamente
fra il mio più grande amico e il mio più grande nemico; fra la mia
coscienza e il mio arcivescovato di Toledo».
Insomma, I'inquisizione spagnola era un tribunale del
governo, «e nessuna sentenza poteva essere emanata senza il previo
consenso del re»: tribunale che si era purtroppo cercato di stabilire,
sotto il nome' dei sovrani pontefici, ma che in realtà non dipendeva
affatto da loro. Quindi i Papi si op posero sempre perché non fosse
introdotto nel Napoletano, stato limitrofo a quello pontificio; né
tutte le pratiche della Corte di Spagna a tal riguardo valsero a
superare la loro insormontabile ripugnanza . Ben lontani poi
dall'accrescere i rigori dell'inquisizione, pel grande abuso che sé ne
faceva, i Papi si accorsero che era venuto il momento propizio di
mettere al sicuro davanti a Dio e davanti agli uomini la loro augusta
responsabilità.
Paolo III fondò quindi nel 1542 la Congregazione
romana del S. Uffizio, composta in principio di soli sei cardinali; e
rievocò tutti i poteri inquisitoriali precedentemente concessi. Di
questa congregazione romana mai si è potuto dir nulla; tanto si è
mostrata sempre mite! Ed anche quando Galileo voleva appoggiare il suo
nuovo sistema di astronomia sul libri santi, per ben due volte fu
trattato colla più grande dolcezza; talché Bergier poté dire, senza
timore di essere smentito, in faccia allo stesso secolo decimottavo, così
meticoloso riguardo a ciò, che essa non sottoscrisse mai una condanna
capitale.
Mentre adunque la Spagna ed il Portogallo fa cevano
ricorso agli auto-da-fé, mentre la Francia creava le camere ardenti
contro l'eresia, mentre Enrico VIII durante il suo regno mandava al
supplizio settantamila uomini, e la buona regina Elisabetta dava la
biada al cavalli inglesi nel ventre squarciato dei cattolici, in giorni
di tanto sangue Roma soltanto non ne versava una goccia! Roma, sotto la
cui protezione erano fioriti i più bei tre secoli dell'Italia! Roma,
che aveva visto intorno a sé Dante, l'Ariosto, il Tasso, il
Macchiavelli, il Bembo, Galileo, il Guicciardini, e tanti e tanti il
nome de'quali non v'ha bisogno di pronunziare! Superando se stessa in
uno dei momenti più critici, Roma conferiva al Vicario di Dio il titolo
inalienabile di inquisitore universale, è con una magia, di cui essa
sola ha il secreto, rendeva cotal titolo invisibile sulla fronte del
Pontefice come la spada che sta nel fodero. Si dirà, forse non esser ciò
cosa molto singolare, non essendovi eretici a Roma: ma il fine
dell'inquisizione era appunto di far sì che non, vi fossero eretici da
punire, e Dio non permise che questo nobilissimo scopo rimanesse,
insoddisfatto per sempre. Roma è apparsa sempre la città
dell'ortodossia e insieme della dolcezza, pura e delicata come una
vergine.
Dopo tutto ciò che abbiamo detto crediamo aver
provato a sufficienza come i Domenicani non siano stati né gli
inventori, né i promotori, né i principali strumenti
dell'inquisizione; e nessuno è responsabile meno ai loro, degli eccessi
a cui trascorse la Spagna. Essi, senza dubbio, presero parte
all’inquisizione; ma chi in Europa non vi prese parte? L'inquisizione
messa a confronto dei tempi che erano preceduti, fu allora un vero
progresso. Invece di un tribunale senza potere alcuno di graziare,
costretto ad attenersi inesorabilmente alla lettera della legge, si passò
ad un tribunale flessibile, dal quale poteva esigersi col pentimento il
perdono, e che non rinviò al, braccio secolare che minuscola parte
degli accusati. L'inquisizione ha salvato migliaia di uomini, che
sarebbero invece periti se fossero comparsi dinanzi ai tribunali
ordinari; ed i Templari invocavano il suo giudizio sapendo bene, dicono
gli storici, che se riuscivano ad ottenere tali giudici, sarebbero certo
scampati dal pericolo di morte. Conviene d'altronde al nostro secolo
lamentarsi dell'inquisizione? a lui che ha fondata la libertà dei
culti, di cui tanto si vanta, e ci fa poi vivere, in pieno governo
d'inquisizione, con una menzogna di più? Si va in cerca di povere
fanciulle che dormono su nudo terreno; vengono prese, tormentate perché
vivono sostenute da un pensiero di fede, perché invece di stringersi in
associazione per qualche affare industriale, esse si raccolgono insieme
per pregare lavorando; sono condotte davanti ai tribunali; si fa di
tutto perché siano espulse dalle loro proprie case, e forse ci si
riuscirà. E l'inquisizione che ha mai fatto di più? Il più piccolo
movimento religioso è subito denunziato dalla tribuna, e si crederebbe
quasi che vi siano uomini i quali passino tutta la loro vita ad
ascoltare 'se vi sia un petto francese che palpiti di fronte ad un altro
petto. Ha mai fatto di più l'inquisizione? Uomini così acri nel
perseguitare, dovrebbero almeno comprendere come il genere umano ha
avuto sempre bisogno di prender precauzioni contro l'errore; dovrebbero
sapere per l’esperienza delle proprie passioni come l'errore e la
tirannia sono inseparabili. Ma lasciamo il passato, sul quale è facile
sbagliare, e veniamo al presente.
Chi, è che perseguita ora in Europa? Chi è che
perseguita, dopo aver declamato per cento anni in prosa, è in versi
contro la persecuzione? C'è bisogno di dirlo? Il mondo intero ascolta i
gemiti dell'Irlanda cattolica, oppressa dalla Chiesa anglicana; il mondo
intero ha visto l'Olanda calvinista ridurre agli estremi i belgi
cattolici, senza che neppure l’interesse della conservazione sia
prevalso contro l'istinto della tirannia riformista; ed ora vede la
Prussia protestante, con alla testa un re, che la sventura e, la
prosperità hanno, vanamente istruito, gettare nelle sue prigioni un
arcivescovo, rifiutandosi perfino di fare il giudizio, trattare un
affare di coscienza, come un delitto di stato, violare per una questione
del tutto spirituale, la fede promessa a metà di un popolo, svelare
infine, con un continuo accozzamento di violenza e di ipocrisia, il
carattere di un potere il quale niente riconosce più per sacro, ad
eccezione di quello che la paura gli fa dichiarar tale. Il mondo intero
conosce il martirio della Chiesa in Polonia, martirio atroce, che dura
già da sette anni e che pare non voglia cessare, se non dopo la totale
ostili, dono della nazione polacca e della sua fede. Ed all’estremità
opposta dell'Europa si offre un altro spettacolo non meno barbaro: e
questa volta non sono i re i carnefici, ma quel liberalismo
razionalista, che cerca bugiardamente il secreto della libertà di
coscienza nelle viscere dei monaci spagnoli o portoghesi. In mezzo a
scene di oppressione così selvagge, dov'è mai in Europa la libertà di
coscienza? Un sol popolo l'ha veramente, ed è un popolo cattolico. I
Belgi vittoriosi, coll'aiuto di Dio, degli Olandesi liberi di scegliersi
a piacimento la costituzione, hanno dichiarato nella loro Carta una
verità che di giorno in giorno si fa sempre più chiara, cioè che la
Chiesa cattolica non ha bisogno per esser sovrana che della sua libera
azione sulle intelligenze e sulle volontà, e che essa non ha mai fatto
ricorso al braccio secolare, se non in caso di difesa contro I
persecutori. Ecco la verità; quella verità che giustificherà la
Chiesa al tribunale di Dio ed a quello del genere umano stabiliti un
giorno uno di fronte all'altro.
Sì, sì: o re, o popoli, o maestà della terra, la
Chiesa cattolica non domanda da voi che il passaggio, come diceva
Bossuet, ma un passaggio libero. Non ha bisogno, dì altro per essere la
più forte di tutti, non già di una forza dominatrice, che attenti ai
vostri interessi temporali, ma di una forza persuasiva, che vi,
attragga, anima e corpo, all'eternità. E voi lo sapete bene; ma perché
non volete subire questa attrazione spirituale tentate, per quanto è
possibile, di indebolirne la sorgente. Fatelo pure, ne siete liberi; ma
almeno confessate di farlo. E se un giorno un popolo intero, divenuto
cattolico, prenderà unanime le misure opportune affinché la vostra
iniquità non si ripeta, non l'accusato di essere persecutore, a meno
che non debba dirsi persecutore lo schiavo che rinserra in prigione il
suo aguzzino, o che la vittima, la quale riesce a mettere in fuga
l'assassino, non debba dirsi un carnefice.
Siamo generosi: concediamo pure, se vi piace, che la
verità e l'errore furono ugualmente intolleranti. Ebbene! Che cosa ha
guadagnato il mondo da questa lotta funesta? La verità non ha distrutto
l'errore, né l'errore la verità; vittoriosi in un punto, sono poi
rimasti al disotto in un altro. Non è ormai tempo di abbandonare vie
così infelici? Non ci bastano sessanta secoli di avvenimenti i più
sanguinosi? Mettiamo finalmente un limite ai mali del passato: e questa
pietra pacifica, posta di comune accordo fra ciò che fu e ciò che sarà,
presagisca ai nostri posteri riguardo ai problemi umani una soluzione
migliore di quella che si sperava dalla spada, ma che la spada non ha
dato ancora!.