VITA DI SAN DOMENICO
P. Enrico D. Lacordaire dei Predicatori
APPENDICE
L'ORDINE DI S. DOMENICO
CAPITOLO V
Artisti, Vescovi, Cardinali, Papi, Santi e Sante,
dati alla Chiesa dall'Ordine dei Frati Predicatori.
Benché l'apostolato e la scienza divina siano lo
scopo principale dell'Ordine dei Frati Predicatori, tuttavia S. Domenico
non escluse dalla sua opera niente che potesse riuscire a salvezza delle
anime. Non c'è adunque da meravigliarsi se troviamo i suoi discepoli
annoverati fra gli artisti, o destinati al ministero pastorale, o
proposti al governo generale della Chiesa, o consacrati a mille altri
impieghi tra di loro connessi solo per mezzo dell'abnegazione.
Chi si meravigliasse di trovare artisti, e grandi
artisti, fra i Frati Predicatori, mostrerebbe di non aver dell' arte
religiosa che pallida idea. L'arte, come la parola e le lettere, non
essendo che l'espressione del bello, ha diritto di esser coltivata da
tutti, che attendono all'elevazione delle anime dei loro simili verso
l'invisibile: e Dio stesso, nel medesimo tempo che donò a Mosè le
tavole della legge, gli mostrò sul Sinai anche la forma del tempio e
del tabernacolo, quasi ad insegnare! che l'architetto del mondo è
artista per eccellenza, e che l'uomo quanto più riceve del suo spirito,
tanto più diventa capace e degno di aspirare anche lui alle sante
elevazioni dell'arte. I religiosi del medio evo ben sapevano questa
verità; ed i chiostri Insieme a scrittori ed oratori che venivano
formandosi là dentro, racchiudevano' architetti, scultori, pittori,
musici. Il cristiano rifugiandosi alla dolce ombra di quelle volte,
offriva a Dio, insieme con la sua anima ed il suo corpo, anche il
talento che da Lui aveva ricevuto; e qualunque ne fosse la tendenza, non
mancava
colà né di predecessori, né di maestri. Intorno
all'altare la preghiera rendeva tutti i frati uguali:
rientrati nelle loro celle, il prisma decomponeva la
luce, e ciascuno esprimeva a suo modo qualche raggio della bellezza
divina. O tempi felici! O paradisi terrestri, distrutti dal dispotismo e
dalle barbarie! Tutta la civiltà moderna non riesce a fabbricare una
chiesa cristiana, e poveri frati del secolo XIII, fra Sisto, fra Ristoro
e fra Giovanni elevarono in Firenze quella chiesa di S. Maria Novella.
che Michelangelo andava sempre a vedere, e che là diceva bella, pura,
semplice come una fidanzata; da cui ebbe anche origine il dolce nome di
Sposa, tuttora in bocca del popolo fiorentino! Ad ogni istante il
cittadino o il forestiero, traversando la piazza della Sposa, ne
ripetono le lodi; ma nessuno parla degli artisti: la gloria li rispetta
perfino nella tomba, timorosa di turbare i loro casti cuori, dove
l'umiltà la vinse sul genio!
Nondimeno essa ha fatto talvolta violenza ad altri
loro fratelli di arte e di religione. Qual nome è infatti più celebre
nella pittura di quello del domenicano Fra Angelico da Fiesole? «Fra
Angelico, dice il Vasari, avrebbe potuto menar vita comoda nel mondo; ma
perché prima di ogni altra cosa gli stava a cuore la salute dell'anima,
abbracciò, senza abbandonar la pittura, la vita religiosa nell'Ordine
di S. Domenico, unendo così alla cura della felicità eterna,
l'acquisto di un'eterna gloria fra gli uomini».
Fra Angelico dipingeva, sempre in ginocchio le
immagini di Gesù Cristo e della Santa sua Madre, e le lacrime gli
scendevano spesso per le guance espressione viva della sensibilità
dell'artista e della Pietà del cristiano. Quando Michelangelo vide a S.
Domenico di Fiesole la tavola dell'Annunziazione dipinta dal nostro
Frate Predicatore, a testimoniare la sua ammirazione esclamò: «Un uomo
non può ritrarre simili figure senza averle prima viste nel cielo».
Chiamato a Roma dal Papa Eugenio IV, Fra Angelico dipinse negli
appartamenti vaticani i celebri affreschi della vita di S. Lorenzo e di
San Stefano; ed il Papa rapito dalla di lui anima, più ancora che dal
suo pennello, gli offrì l'arcivescovato di Firenze, sua patria:
ricompensa, che in quei tempi e nei precedenti ancora si dava alle volte
per simili benemerenze; non ritenendosi allora che un pittore cristiano
od un cristiano architetto fossero meno degni dell'episcopato di un
predicatore, ripetendo gli uni e gli altri con arti differenti, ma con
la stessa fede, le medesime cose. Fra Angelico però ricusò
ostinatamente il pastorale del Vescovo, e propose al Sommo Pontefice,
come più degno, Fra Antonino, elevato in realtà alla sede di Firenze,
e che divenne Sant'Antonino.
Gli annali della pittura ricordano ancora con
orgoglio Fra Bartolomeo, nel secolo Baccio della Porta. Non aveva ancora
raggiunto i vent'anni quando, già celebre per il suo talento, attratto
dalle prediche di Fra Girolamo Savonarola, prese parte alla riforma che
il grande oratore si sforzava d'introdurre a Firenze. E nel momento in
cui il suo maestro fu arrestato, egli era nel chiostro di S. Marco, fra
I cinquecento cittadini venuti apposta per difendere il Savonarola.
Rimase tanto desolato per la di lui morte, che, preso l'abito di S.
Domenico nel convento di Prato, risolvé di rimanere per sempre
nascosto, e di non toccare mai più i pennelli. Con lui molti altri
uomini Illustri furono assaliti da simile scoraggiamento. Morto il
Savonarola, essi stimarono che non valesse più la pena di scrivere, di
parlare, di dipingere, né di fare altro nel mondo, fuorché meditarne
la sua eterna vanità. Il paganesimo redivivo portava a questo; Lutero
era già alle porte, e Savonarola, dopo avere predetto le tante volte la
catastrofe che minacciava, era comparso sul rogo, ultima scintilla di
una fiamma che i suoi contemporanei non avrebbero visto mai più. Fra
Bartolomeo portò aperta nel cuore per tutta la vita la ferita
cagionatavi da quella morte, e l'amicizia stessa ch'egli ebbe con
Raffaello non valse a fargli dimenticare la triste rimembranza del suo
primo amico. Tuttavia trascorsi quattro anni, vinto dalle istanz6 dei
suoi fratelli, riprese il pennello; con tanto rammarico però, che il
successo stesso dei suoi capolavori non giunse punto a lenire.
Non va dimenticato neppure Fra Benedetto, pittore e
miniatore del convento di S. Marco, sconosciuto forse pel talento, ma
conosciuto eternamente pel fatto che, nel giorno in cui il Savonarola fu
arrestato, egli si era armato da capo a piedi per difenderlo, e non
rimise la spada iìel fodero se non dietro le, rimostranze del maestro,
il quale gli fece comprendere, che un religioso non deve usare altre
armi che le spirituali. Ciò nonostante avrebbe voluto accompagnarlo al
supplizio per soffrire insieme a lui; ed il Savonarola dové trattenerlo
a forza, dicendogli: «In nome dell'ubbidienza vi comando, o fra
Benedetto, di non venire, perché io devo oggi morire per Gesù Cristo
». Io non cesserei mai di rievocare queste memorie, mentre noi non
siamo più che ombre, ed essendo la consolazione dei morti poter tornare
fra i vivi.
L'Ordine dei Frati Predicatori ha dato alla Chiesa
anche un buon numero di vescovi, molti dei quali compirono missioni
considerevoli. Non entrerò in dettagli biografici né riguardo a loro,
né riguardo a quelli che furono elevati al cardinalato, la prima dignità
della terra, dopo la suprema, come scriveva il cardinale Bouillon a
Luigi XIV. Mi limiterò a dire che fino al 1825, seicento anni dopo la
morte di San Domenico, i cardinali domenicani furono settanta,, gli
arcivescovi quattrocentosessanta, i vescovi duemilacentotrentasei,
quattro i presidenti di Concili Generali, venticinque i legati a latere,
ottanta i nunzi apostolici, più un principe elettore del sacro romano
impero. E la maggior parte di questi Frati Predicatori elevati a così
alte dignità, non erano che semplici religiosi, senza nobiltà e senza
fortuna; quindi la scelta fatta dai Sommi Pontefici e dai Principi
civili dovevasi unicamente alle loro virtù. Quanto alla Chiesa del
resto, lo ha fatto, sempre di trarre dalla polvere del chiostro poveri
monaci per porli indistintamente alla testa dei Popoli, come fa con
altri uomini di eminenti condizioni. La Chiesa, madre e maestra, non fa
dell'ostracismo per nessuna dignità; essa vi eleva ugualmente il nobile
come il popolano; ed assistendo alle sue cerimonie sacrosante, sotto lo
stesso saio o sotto la Stessa porpora è possibile trovarci tutte le
condizioni della vita, confuse nell'uguaglianza del merito e
dell'abnegazione. Il papato è, il primo ad avere ornata, la fronte di
questa aureola; la tiara passa, senza arrossirne, dal principe al
pastore di gregge, ed il Sommo Pontefice che oggi lotta e contro la casa
di Brandeburgo non è che il figlio di un semplice cittadino di Belluno.
La tonaca bianca che ora lo ricopre, era prima la sua tonaca da
camaldolese; talché passando dal chiostro al Vaticano non ebbe nemmeno
a cambiar vestimento, come non cambiò il cuore.
Più di un Frate Predicatore ricevé ed onorò la
suprema tiara. Il primo fu Pietro di Tarantasia, arcivescovo di Lione,
trasferito poscia alla sede di Tarantasia, quindi Cardinale e vescovo di
Ostia e Velletri, penitenziere maggiore, e in fine papa, nel 1276, sotto
il nome di Innocenzo V. Quantunque il suo pontificato non durasse che
cinque mesi, pure ebbe il tempo di riconciliare le repubbliche di Lucca
e di Pisa, e di ridonare la pace alla Francia .
Il pontificato di fra Nicolò Boccasini, eletto nel
1303, e che prese il nome di Benedetto XI, fu parimente brevissimo, ma
celebre assai per le circostanze dei tempi, superiori alle forze di
ognuno, non alle sue: fu infatti il successore di Bonifacio VIII. Il
conclave lo elesse quasi a ricompensa della sua coraggiosa condotta
nella famosa giornata di Anagni, quando avendo tutti abbandonato il
Pontefice, lui solo con un altro Cardinale, restò al suo fianco, e
sostenne la maestà della Santa Sede contro lo schiaffo di Nogaret.
Appena eletto si affaticò a render la pace alla Chiesa con altrettanta
dolcezza, quanta costanza aveva prima mostrato nel pericolo, e la
Francia deve a lui di essere stata liberata da una criticissima
posizione senza aver versato neppure una goccia di sangue.
Nel 1566 fu eletto Papa fra Miche le Ghislieri,
chiamato il Cardinale Alessandrino, perché nato vicino ad Alessandria
ín Piemonte, che prese il nome di Pio V. Sotto i precedenti pontificati
egli aveva dato prova di tanta indipendenza e fermezza, che il popolo
romano fu in allarme per la sua elezione. Il nuovo Papa lo seppe, ed a
quelli che glie lo riferirono, rispose: «Farò in modo che il popolo
romano abbia a provare maggior dolore per la mia morte che per la mia
elezione». Come difatti avvenne. Il suo regno di sei anni fu cosi pieno
di nobili azioni, che un pianto universale lo accompagnò nel sepolcro.
Nessuno ignora che nel 1571 egli riuscì a conchiudere, tra Venezia e la
Spagna quella lega contro il Turco, ebbe per risultato la celebre
battaglia navale di Lepanto, in cui le armi cristiane ottennero uno dei
più memorandi successi e dei più necessari, che le abbiano segnalate
alla riconoscenza dell'Europa.
Da S. Pio V a Benedetto XIII, ultimo papa domenicano,
passarono centocinquanta anni. Le condizioni del pontificato erano assai
cambiate: escluso dagli affari generali dell'Europa in forza del
trattato di Westfalia e del dispostismo che prevaleva in tutti i troni
cristiani, non restava al Pontefice che offrire al mondo lo spettacolo
della virtù disarmata, in attesa della rivoluzione e del martirio.
E' questo il destino della verità sulla terra:
attingere da qualunque situazione in cui si trovi uno splendore tutto
proprio. Se gli uomini le accordano gran potere, essa comunica loro gran
movimento, trasforma le guerriglie di ambizione in crociate
civilizzatrici, s'interpone fra l'ingiustizia dei grandi e la violenza
dei piccoli, fonda università, abolisce la schiavitù, apre alla
miseria ed all'infelicità innumerevoli asili, costringe la terra a
portare il peso di eterni capolavori, eleva, estende, consolida l'umanità.
Se poi gli uomini le ritirano questo potere, da se stessa si tira
indietro fin sulla sua porta, come un vegliardo accasciato dagli anni e
deposto dai suoi uffici, che si asside al cadere dei giorno davanti alla
casa, offrendo ai cittadini che passano e lo salutano una veneranda
immagine di tutto ciò che è bello e buono. Che se gli uomini vanno
ancora più avanti fino a perseguitare la verità, allora per quanto
creduta ormai sfinita, dalla sua stessa antichità attinge invece forze
capaci di vincere tutti i mondi. Apre suoi tesori; vi prende la, spada,
che uccise i suoi, apostoli, e le catene colle quali furono flagellati i
reni delle vergini morte per Iddio; orna il suo collo, delle ossa di
quei giovanetti, che lacerati sull'eculeo risero in faccia ai proconsoli
ed agli imperatori; prende le mazze che trucidarono a migliaia i suoi
fedeli; e così preparata, aspetta a pié fermo sulla pubblica piazza,
sapendo che Dio le sta alle spalle, e che tutto è in salvo, quando
tutto è perduto. Checché adunque facciano gli uomini, la verità non
fa altro che mutare di gloria; depone una corona per prenderne un'altra;
e sia d'oro o di ferro, cotesta corona regna sempre.
Ora, quale è la sorte della verità, tale è la
sorte del pontificato, che ne è l'organo. Non dipende già da un Papa
la scelta del suo modo di governare, come non dipende da lui scegliere
l'ora sua, ma dispone sempre di un potere degno di lui. Benedetto XIII
eletto nel 1724 non poteva assumere, come Innocenzo V, le parti di
mediatore tra le repubbliche italiane; né come Benedetto XI dar la pace
alla 1?rancia; né come S. Pio V, guadagnare la battaglia di Lepanto;
neppure gli era possibile soffrire la prigione e l'esilio come toccò ai
suoi futuri successorie Pio VI e Pio VII: l'ora sua sonò fra queste due
epoche, ed egli fu ciò che un Papa doveva esser nel secolo XVIII, un
uomo virtuoso, un santo. Nato dalla illustre famiglia dei Gravina-Orsini,
fin dalla prima giovinezza lasciò il mondo, dando per tutta la vita
bell'esempio di semplicità, che nascondeva con delicato velo le altre
virtù. Ed anche quando la tiara, senza affatto cercarla, venne a
posarglisi sulla fronte, si compiacque di sottrarla sovente agli sguardi
altrui, andando a piedi a visitare le chiese e gli ospedali di Roma, e
preferendo alla tradizioni solenni della corte apostolica, le
ispirazioni, d'un cuore perfettamente degno di avere altra volta
scambiato il palazzo dei suoi maggiori con la cella di Frate
Predicatore.
In questi quattro papi domenicani si riflette il
carattere dell'Ordine intero. Ciascuno fece il possibile per adattarsi
ai suoi tempi, senza però che il contatto col proprio secolo togliesse
nulla di quel coraggio militante, che fu sempre parte della natura
domenicana, e che ha reso la sua lunga storia una linea retta. Niente si
affà di più allo spirito francese dello spirito domenicano. Ed è per
questo che nella lista dei Maestri Generali, che ora ho sott'occhio, e
che va fino al 1720, di sessanta Maestri Generali, diciassette sono
francesi cioè quasi un terzo. In nessuno altro Ordine, che abbia il suo
centro a Roma, si riscontra una cosa simile.
Tutti gli Ordini religiosi però, qualunque sia il
loro carattere, la loro origine, il loro scopo e i loro mezzi, devono
incontrarsi in un punto comune, che è la santità, Là è il termine di
tutti coloro che sono animati dal soffio di Dio; là si raggiungono
tutti quelli che hanno consacrato, la loro vita a Dio ed agli uomini,
qualunque sia stata la forma di tale consacrazione: le vergini
Immacolate, le madri cristiane, gli apostoli, i dottori, I martiri della
verità; l'operaio, che guadagna Il suo pane con un lavoro volgare in sé,
nobile nell'intenzione; il soldato caduto combattendo col sentimento
della giustizia; il colpevole, che per mezzo della penitenza trasforma I
suo supplizio in immolazione volontaria; il religioso cinto dalla corda
di S. Francesco o dal cilizio di S. Brunone che porta sopra una carne
sommessa; finalmente ogni corpo ed ogni anima che non siano vissuti per
sé soli, ma per Iddio negli uomini e per gli uomini in Dio. La santità,
vincolo di tutti gli esseri morali, non è altro che l'abnegazione
attinta alla sua più alta sorgente. E' per questo che il sacrifizio è
l'atto religioso per eccellenza, e la croce, simbolo presente e futuro
del cristianesimo, comparirà nell'ultimo giorno a giudicare i vivi e i
morti. Chiunque potrà essere misurato alla stregua della croce, sarà
salvo; chiunque non avrà nulla nelle sue membra e nel suo cuore che
possa essere commensurato alla croce, sarà perduto; gli uni passeranno
al regno dell'amore, gli altri a quello dell'egoismo. La Chiesa, centro
dell'amore, e il mondo, centro dell'egoismo, si scontrano e si
respingono incessantemente; ed in questa interminabile lotta gli Ordini
religiosi rappresentano il maggiore sforzo della Chiesa per vincere il
mondo a forza di abnegazione, e in conseguenza a forza di santità.
Quanto abbiamo già detto basta a dimostrare so anche
in- ciò l'Ordine di S. Domenico abbia raggiunto il suo compito. Di
secolo in secolo esso ha accresciuto immensamente la lista dei nomi di
quei venerabili uomini, che la voce dei popoli e quella della chiesa
hanno proclamato fin da quaggiù cittadini del cielo. Ogni giorno, ed in
mille luoghi, il povero incrocia le stanche braccia sopra la balaustra
di marmo che circonda le reliquie o l'immagine di un Frate Predicatore,
e riposa il suo spirito alla rimembranza di una creatura che preferì la
povertà ad ogni altro bene. Lasciamo in custodia a coloro. che li sanno
e che l'invocano questi santi nomi, e terminiamo questo leggero abbozzo
di un Ordine immenso coll'elogio che fin dal decimoquarto secolo ne
faceva uno dei più grandi poeti cristiani, l'indipendente cantore della
Divina Commedia:
In quella parte ove surge ad aprire
Zeffiro dolce le novelle fronde,
Di che si vede Europa rivestire,
Non molto lungi al percuoter dell'onde,
Dietro alle quali, per la lunga foga,
Lo sol talvolta ad ogni uom si nasconde,
Siede la fortunata Callaroga,
Sotto la protezion del grande scudo,
In che soggiace il leone e soggioga.
Dentro vi nacque l'amoroso drudo
Della fede cristiana, il santo atleta,
Benigno a' suoi ed a’ nemici crudo;
E come fu creata, fu repleta
Sì la sua mento di viva virtute,
Che nella madre lei fece profeta.
Poi che le sponsalizie fur compiute
Al sacro fonte intra lui e la fede,
U' si dotar di mutua salute;
La donna, che per lui l'assenso diede,
Vide nel sogno il mirabile frutto
Ch'uscir dovea di lui e delle rede;
E Perché fosse, quale era, in costrutto,
Quinci si mosse spirito a nomarlo
Del possessivo di cui era tutto.
Domenico fu detto; ed io ne parlo
Sì come dell'agricola che Cristo
Elesse all'orto suo per aiutarlo.
Ben parve messo a familiar di Cristo;
Ché il primo amor che in lui fu manifesto
Fu al primo consiglio che dié Cristo.
Spesse fiate fu tacito e desto
Trovato in terra dalla sua nutrice,
Come dicesse: Io son venuto a questo.
Oh padre suo veramente Felice!
Oh madre sua veramente Giovanna,
Se interpretata val come si dice!
Non per lo mondo, per cui mo, s'affanna
Di retro ad Ostiense ed a Taddeo,
Ma per amor della verace manna,
In picciol tempo gran dottor si feo,
Tal che si mise a circuir la vigna,
Che tosto imbianca, se ‘l vignaio è reo;
Ed alla sedia, che fu già benigna
Più a' poveri giusti, non per lei,
Ma per colui che siede e che traligna,
Non dispensare o due o tre per sei;
Non la fortuna di primo vacante,
Non decimas quae sunt pauperum Dei
Addomandò; ma contra ‘l mondo errante,
Licenzia di combatter per lo seme
Del qual si fascian ventiquattro piante.
(Paradiso, canto XII)
Tale l'ammirazione che all'anima melanconica e forte
di Dante ispirava l'Ordine di S. Domenico. Il proscritto, la cui penna
non l'ha risparmiata a nessuna grandezza colpevole, trattò sempre i
Frati Predicatori ed i Frati Minori come gli eroi del suo secolo; e il
suo pensiero dopo di aver tristamente fatto il giro del mondo nei lunghi
giorni dell'esilio, tornava a loro col raro piacere di poter rispettare.
Gli stessi furono i sentimenti dei più grandi uomini del medio evo.
L'apparizione simultanea di S. Domenico e di S. Francesco in tutti che
tenevan dietro al governo del mondo produsse l'effetto di' un miracolo
della Provvidenza, e l'unanime contento che ne provarono è tale elogio
che i secoli posteriori non potranno dileguare mai. Tocca ai
contemporanei giudicare gli uomini e le cose d'ci loro tempi; coloro
soltanto che hanno mangiato lo stesso pane possono apprezzare quanto
valeva; e come l'avvenire non comprenderà le idee più generose dei
nostri giorni, così noi dobbiamo accordare al passato d'aver conosciuto
chi gli fece del bene, chi del male. Il malato che è stato volto a
sinistra, domanda in seguito di esser riportato a destra; ma benedicendo
la seconda mano che lo muove a suo piacere non deve maledire la prima:
sono sacre tutte e due.