Attenzione: Queste pagine appartenevano a "L'incontro". Non sono verificate dal 2001. Avendo subito perdite consistenti di dati, e soprattutto essendo ormai datate, possono contenere errori e non rispecchiare più il pensiero degli autori. Se sei l'autore di uno o più di questi contenuti contattami a jotis@iol.it   Politica Cultura Scienze  Società  Religione Psiche  Filosofia  Ambiente Arte  Cinema Sport Napoli Università Home

VITA DI SAN DOMENICO

P. Enrico D. Lacordaire dei Predicatori


APPENDICE

L'ORDINE DI S. DOMENICO


 

CAPITOLO V

 

Artisti, Vescovi, Cardinali, Papi, Santi e Sante, dati alla Chiesa dall'Ordine dei Frati Predicatori.

 

Benché l'apostolato e la scienza divina siano lo scopo principale dell'Ordine dei Frati Predicatori, tuttavia S. Domenico non escluse dalla sua opera niente che potesse riuscire a salvezza delle anime. Non c'è adunque da meravigliarsi se troviamo i suoi discepoli annoverati fra gli artisti, o destinati al ministero pastorale, o proposti al governo generale della Chiesa, o consacrati a mille altri impieghi tra di loro connessi solo per mezzo dell'abnegazione.

Chi si meravigliasse di trovare artisti, e grandi artisti, fra i Frati Predicatori, mostrerebbe di non aver dell' arte religiosa che pallida idea. L'arte, come la parola e le lettere, non essendo che l'espressione del bello, ha diritto di esser coltivata da tutti, che attendono all'elevazione delle anime dei loro simili verso l'invisibile: e Dio stesso, nel medesimo tempo che donò a Mosè le tavole della legge, gli mostrò sul Sinai anche la forma del tempio e del tabernacolo, quasi ad insegnare! che l'architetto del mondo è artista per eccellenza, e che l'uomo quanto più riceve del suo spirito, tanto più diventa capace e degno di aspirare anche lui alle sante elevazioni dell'arte. I religiosi del medio evo ben sapevano questa verità; ed i chiostri Insieme a scrittori ed oratori che venivano formandosi là dentro, racchiudevano' architetti, scultori, pittori, musici. Il cristiano rifugiandosi alla dolce ombra di quelle volte, offriva a Dio, insieme con la sua anima ed il suo corpo, anche il talento che da Lui aveva ricevuto; e qualunque ne fosse la tendenza, non mancava

colà né di predecessori, né di maestri. Intorno all'altare la preghiera rendeva tutti i frati uguali:

rientrati nelle loro celle, il prisma decomponeva la luce, e ciascuno esprimeva a suo modo qualche raggio della bellezza divina. O tempi felici! O paradisi terrestri, distrutti dal dispotismo e dalle barbarie! Tutta la civiltà moderna non riesce a fabbricare una chiesa cristiana, e poveri frati del secolo XIII, fra Sisto, fra Ristoro e fra Giovanni elevarono in Firenze quella chiesa di S. Maria Novella. che Michelangelo andava sempre a vedere, e che là diceva bella, pura, semplice come una fidanzata; da cui ebbe anche origine il dolce nome di Sposa, tuttora in bocca del popolo fiorentino! Ad ogni istante il cittadino o il forestiero, traversando la piazza della Sposa, ne ripetono le lodi; ma nessuno parla degli artisti: la gloria li rispetta perfino nella tomba, timorosa di turbare i loro casti cuori, dove l'umiltà la vinse sul genio!

Nondimeno essa ha fatto talvolta violenza ad altri loro fratelli di arte e di religione. Qual nome è infatti più celebre nella pittura di quello del domenicano Fra Angelico da Fiesole? «Fra Angelico, dice il Vasari, avrebbe potuto menar vita comoda nel mondo; ma perché prima di ogni altra cosa gli stava a cuore la salute dell'anima, abbracciò, senza abbandonar la pittura, la vita religiosa nell'Ordine di S. Domenico, unendo così alla cura della felicità eterna, l'acquisto di un'eterna gloria fra gli uomini».

Fra Angelico dipingeva, sempre in ginocchio le immagini di Gesù Cristo e della Santa sua Madre, e le lacrime gli scendevano spesso per le guance espressione viva della sensibilità dell'artista e della Pietà del cristiano. Quando Michelangelo vide a S. Domenico di Fiesole la tavola dell'Annunziazione dipinta dal nostro Frate Predicatore, a testimoniare la sua ammirazione esclamò: «Un uomo non può ritrarre simili figure senza averle prima viste nel cielo». Chiamato a Roma dal Papa Eugenio IV, Fra Angelico dipinse negli appartamenti vaticani i celebri affreschi della vita di S. Lorenzo e di San Stefano; ed il Papa rapito dalla di lui anima, più ancora che dal suo pennello, gli offrì l'arcivescovato di Firenze, sua patria: ricompensa, che in quei tempi e nei precedenti ancora si dava alle volte per simili benemerenze; non ritenendosi allora che un pittore cristiano od un cristiano architetto fossero meno degni dell'episcopato di un predicatore, ripetendo gli uni e gli altri con arti differenti, ma con la stessa fede, le medesime cose. Fra Angelico però ricusò ostinatamente il pastorale del Vescovo, e propose al Sommo Pontefice, come più degno, Fra Antonino, elevato in realtà alla sede di Firenze, e che divenne Sant'Antonino.

Gli annali della pittura ricordano ancora con orgoglio Fra Bartolomeo, nel secolo Baccio della Porta. Non aveva ancora raggiunto i vent'anni quando, già celebre per il suo talento, attratto dalle prediche di Fra Girolamo Savonarola, prese parte alla riforma che il grande oratore si sforzava d'introdurre a Firenze. E nel momento in cui il suo maestro fu arrestato, egli era nel chiostro di S. Marco, fra I cinquecento cittadini venuti apposta per difendere il Savonarola. Rimase tanto desolato per la di lui morte, che, preso l'abito di S. Domenico nel convento di Prato, risolvé di rimanere per sempre nascosto, e di non toccare mai più i pennelli. Con lui molti altri uomini Illustri furono assaliti da simile scoraggiamento. Morto il Savonarola, essi stimarono che non valesse più la pena di scrivere, di parlare, di dipingere, né di fare altro nel mondo, fuorché meditarne la sua eterna vanità. Il paganesimo redivivo portava a questo; Lutero era già alle porte, e Savonarola, dopo avere predetto le tante volte la catastrofe che minacciava, era comparso sul rogo, ultima scintilla di una fiamma che i suoi contemporanei non avrebbero visto mai più. Fra Bartolomeo portò aperta nel cuore per tutta la vita la ferita cagionatavi da quella morte, e l'amicizia stessa ch'egli ebbe con Raffaello non valse a fargli dimenticare la triste rimembranza del suo primo amico. Tuttavia trascorsi quattro anni, vinto dalle istanz6 dei suoi fratelli, riprese il pennello; con tanto rammarico però, che il successo stesso dei suoi capolavori non giunse punto a lenire.

Non va dimenticato neppure Fra Benedetto, pittore e miniatore del convento di S. Marco, sconosciuto forse pel talento, ma conosciuto eternamente pel fatto che, nel giorno in cui il Savonarola fu arrestato, egli si era armato da capo a piedi per difenderlo, e non rimise la spada iìel fodero se non dietro le, rimostranze del maestro, il quale gli fece comprendere, che un religioso non deve usare altre armi che le spirituali. Ciò nonostante avrebbe voluto accompagnarlo al supplizio per soffrire insieme a lui; ed il Savonarola dové trattenerlo a forza, dicendogli: «In nome dell'ubbidienza vi comando, o fra Benedetto, di non venire, perché io devo oggi morire per Gesù Cristo ». Io non cesserei mai di rievocare queste memorie, mentre noi non siamo più che ombre, ed essendo la consolazione dei morti poter tornare fra i vivi.

L'Ordine dei Frati Predicatori ha dato alla Chiesa anche un buon numero di vescovi, molti dei quali compirono missioni considerevoli. Non entrerò in dettagli biografici né riguardo a loro, né riguardo a quelli che furono elevati al cardinalato, la prima dignità della terra, dopo la suprema, come scriveva il cardinale Bouillon a Luigi XIV. Mi limiterò a dire che fino al 1825, seicento anni dopo la morte di San Domenico, i cardinali domenicani furono settanta,, gli arcivescovi quattrocentosessanta, i vescovi duemilacentotrentasei, quattro i presidenti di Concili Generali, venticinque i legati a latere, ottanta i nunzi apostolici, più un principe elettore del sacro romano impero. E la maggior parte di questi Frati Predicatori elevati a così alte dignità, non erano che semplici religiosi, senza nobiltà e senza fortuna; quindi la scelta fatta dai Sommi Pontefici e dai Principi civili dovevasi unicamente alle loro virtù. Quanto alla Chiesa del resto, lo ha fatto, sempre di trarre dalla polvere del chiostro poveri monaci per porli indistintamente alla testa dei Popoli, come fa con altri uomini di eminenti condizioni. La Chiesa, madre e maestra, non fa dell'ostracismo per nessuna dignità; essa vi eleva ugualmente il nobile come il popolano; ed assistendo alle sue cerimonie sacrosante, sotto lo stesso saio o sotto la Stessa porpora è possibile trovarci tutte le condizioni della vita, confuse nell'uguaglianza del merito e dell'abnegazione. Il papato è, il primo ad avere ornata, la fronte di questa aureola; la tiara passa, senza arrossirne, dal principe al pastore di gregge, ed il Sommo Pontefice che oggi lotta e contro la casa di Brandeburgo non è che il figlio di un semplice cittadino di Belluno. La tonaca bianca che ora lo ricopre, era prima la sua tonaca da camaldolese; talché passando dal chiostro al Vaticano non ebbe nemmeno a cambiar vestimento, come non cambiò il cuore.

Più di un Frate Predicatore ricevé ed onorò la suprema tiara. Il primo fu Pietro di Tarantasia, arcivescovo di Lione, trasferito poscia alla sede di Tarantasia, quindi Cardinale e vescovo di Ostia e Velletri, penitenziere maggiore, e in fine papa, nel 1276, sotto il nome di Innocenzo V. Quantunque il suo pontificato non durasse che cinque mesi, pure ebbe il tempo di riconciliare le repubbliche di Lucca e di Pisa, e di ridonare la pace alla Francia .

Il pontificato di fra Nicolò Boccasini, eletto nel 1303, e che prese il nome di Benedetto XI, fu parimente brevissimo, ma celebre assai per le circostanze dei tempi, superiori alle forze di ognuno, non alle sue: fu infatti il successore di Bonifacio VIII. Il conclave lo elesse quasi a ricompensa della sua coraggiosa condotta nella famosa giornata di Anagni, quando avendo tutti abbandonato il Pontefice, lui solo con un altro Cardinale, restò al suo fianco, e sostenne la maestà della Santa Sede contro lo schiaffo di Nogaret. Appena eletto si affaticò a render la pace alla Chiesa con altrettanta dolcezza, quanta costanza aveva prima mostrato nel pericolo, e la Francia deve a lui di essere stata liberata da una criticissima posizione senza aver versato neppure una goccia di sangue.

Nel 1566 fu eletto Papa fra Miche le Ghislieri, chiamato il Cardinale Alessandrino, perché nato vicino ad Alessandria ín Piemonte, che prese il nome di Pio V. Sotto i precedenti pontificati egli aveva dato prova di tanta indipendenza e fermezza, che il popolo romano fu in allarme per la sua elezione. Il nuovo Papa lo seppe, ed a quelli che glie lo riferirono, rispose: «Farò in modo che il popolo romano abbia a provare maggior dolore per la mia morte che per la mia elezione». Come difatti avvenne. Il suo regno di sei anni fu cosi pieno di nobili azioni, che un pianto universale lo accompagnò nel sepolcro. Nessuno ignora che nel 1571 egli riuscì a conchiudere, tra Venezia e la Spagna quella lega contro il Turco, ebbe per risultato la celebre battaglia navale di Lepanto, in cui le armi cristiane ottennero uno dei più memorandi successi e dei più necessari, che le abbiano segnalate alla riconoscenza dell'Europa.

Da S. Pio V a Benedetto XIII, ultimo papa domenicano, passarono centocinquanta anni. Le condizioni del pontificato erano assai cambiate: escluso dagli affari generali dell'Europa in forza del trattato di Westfalia e del dispostismo che prevaleva in tutti i troni cristiani, non restava al Pontefice che offrire al mondo lo spettacolo della virtù disarmata, in attesa della rivoluzione e del martirio.

E' questo il destino della verità sulla terra: attingere da qualunque situazione in cui si trovi uno splendore tutto proprio. Se gli uomini le accordano gran potere, essa comunica loro gran movimento, trasforma le guerriglie di ambizione in crociate civilizzatrici, s'interpone fra l'ingiustizia dei grandi e la violenza dei piccoli, fonda università, abolisce la schiavitù, apre alla miseria ed all'infelicità innumerevoli asili, costringe la terra a portare il peso di eterni capolavori, eleva, estende, consolida l'umanità. Se poi gli uomini le ritirano questo potere, da se stessa si tira indietro fin sulla sua porta, come un vegliardo accasciato dagli anni e deposto dai suoi uffici, che si asside al cadere dei giorno davanti alla casa, offrendo ai cittadini che passano e lo salutano una veneranda immagine di tutto ciò che è bello e buono. Che se gli uomini vanno ancora più avanti fino a perseguitare la verità, allora per quanto creduta ormai sfinita, dalla sua stessa antichità attinge invece forze capaci di vincere tutti i mondi. Apre suoi tesori; vi prende la, spada, che uccise i suoi, apostoli, e le catene colle quali furono flagellati i reni delle vergini morte per Iddio; orna il suo collo, delle ossa di quei giovanetti, che lacerati sull'eculeo risero in faccia ai proconsoli ed agli imperatori; prende le mazze che trucidarono a migliaia i suoi fedeli; e così preparata, aspetta a pié fermo sulla pubblica piazza, sapendo che Dio le sta alle spalle, e che tutto è in salvo, quando tutto è perduto. Checché adunque facciano gli uomini, la verità non fa altro che mutare di gloria; depone una corona per prenderne un'altra; e sia d'oro o di ferro, cotesta corona regna sempre.

Ora, quale è la sorte della verità, tale è la sorte del pontificato, che ne è l'organo. Non dipende già da un Papa la scelta del suo modo di governare, come non dipende da lui scegliere l'ora sua, ma dispone sempre di un potere degno di lui. Benedetto XIII eletto nel 1724 non poteva assumere, come Innocenzo V, le parti di mediatore tra le repubbliche italiane; né come Benedetto XI dar la pace alla 1?rancia; né come S. Pio V, guadagnare la battaglia di Lepanto; neppure gli era possibile soffrire la prigione e l'esilio come toccò ai suoi futuri successorie Pio VI e Pio VII: l'ora sua sonò fra queste due epoche, ed egli fu ciò che un Papa doveva esser nel secolo XVIII, un uomo virtuoso, un santo. Nato dalla illustre famiglia dei Gravina-Orsini, fin dalla prima giovinezza lasciò il mondo, dando per tutta la vita bell'esempio di semplicità, che nascondeva con delicato velo le altre virtù. Ed anche quando la tiara, senza affatto cercarla, venne a posarglisi sulla fronte, si compiacque di sottrarla sovente agli sguardi altrui, andando a piedi a visitare le chiese e gli ospedali di Roma, e preferendo alla tradizioni solenni della corte apostolica, le ispirazioni, d'un cuore perfettamente degno di avere altra volta scambiato il palazzo dei suoi maggiori con la cella di Frate Predicatore.

In questi quattro papi domenicani si riflette il carattere dell'Ordine intero. Ciascuno fece il possibile per adattarsi ai suoi tempi, senza però che il contatto col proprio secolo togliesse nulla di quel coraggio militante, che fu sempre parte della natura domenicana, e che ha reso la sua lunga storia una linea retta. Niente si affà di più allo spirito francese dello spirito domenicano. Ed è per questo che nella lista dei Maestri Generali, che ora ho sott'occhio, e che va fino al 1720, di sessanta Maestri Generali, diciassette sono francesi cioè quasi un terzo. In nessuno altro Ordine, che abbia il suo centro a Roma, si riscontra una cosa simile.

Tutti gli Ordini religiosi però, qualunque sia il loro carattere, la loro origine, il loro scopo e i loro mezzi, devono incontrarsi in un punto comune, che è la santità, Là è il termine di tutti coloro che sono animati dal soffio di Dio; là si raggiungono tutti quelli che hanno consacrato, la loro vita a Dio ed agli uomini, qualunque sia stata la forma di tale consacrazione: le vergini Immacolate, le madri cristiane, gli apostoli, i dottori, I martiri della verità; l'operaio, che guadagna Il suo pane con un lavoro volgare in sé, nobile nell'intenzione; il soldato caduto combattendo col sentimento della giustizia; il colpevole, che per mezzo della penitenza trasforma I suo supplizio in immolazione volontaria; il religioso cinto dalla corda di S. Francesco o dal cilizio di S. Brunone che porta sopra una carne sommessa; finalmente ogni corpo ed ogni anima che non siano vissuti per sé soli, ma per Iddio negli uomini e per gli uomini in Dio. La santità, vincolo di tutti gli esseri morali, non è altro che l'abnegazione attinta alla sua più alta sorgente. E' per questo che il sacrifizio è l'atto religioso per eccellenza, e la croce, simbolo presente e futuro del cristianesimo, comparirà nell'ultimo giorno a giudicare i vivi e i morti. Chiunque potrà essere misurato alla stregua della croce, sarà salvo; chiunque non avrà nulla nelle sue membra e nel suo cuore che possa essere commensurato alla croce, sarà perduto; gli uni passeranno al regno dell'amore, gli altri a quello dell'egoismo. La Chiesa, centro dell'amore, e il mondo, centro dell'egoismo, si scontrano e si respingono incessantemente; ed in questa interminabile lotta gli Ordini religiosi rappresentano il maggiore sforzo della Chiesa per vincere il mondo a forza di abnegazione, e in conseguenza a forza di santità.

Quanto abbiamo già detto basta a dimostrare so anche in- ciò l'Ordine di S. Domenico abbia raggiunto il suo compito. Di secolo in secolo esso ha accresciuto immensamente la lista dei nomi di quei venerabili uomini, che la voce dei popoli e quella della chiesa hanno proclamato fin da quaggiù cittadini del cielo. Ogni giorno, ed in mille luoghi, il povero incrocia le stanche braccia sopra la balaustra di marmo che circonda le reliquie o l'immagine di un Frate Predicatore, e riposa il suo spirito alla rimembranza di una creatura che preferì la povertà ad ogni altro bene. Lasciamo in custodia a coloro. che li sanno e che l'invocano questi santi nomi, e terminiamo questo leggero abbozzo di un Ordine immenso coll'elogio che fin dal decimoquarto secolo ne faceva uno dei più grandi poeti cristiani, l'indipendente cantore della Divina Commedia:

 

In quella parte ove surge ad aprire

Zeffiro dolce le novelle fronde,

Di che si vede Europa rivestire,

 

Non molto lungi al percuoter dell'onde,

Dietro alle quali, per la lunga foga,

Lo sol talvolta ad ogni uom si nasconde,

 

Siede la fortunata Callaroga,

Sotto la protezion del grande scudo,

In che soggiace il leone e soggioga.

 

Dentro vi nacque l'amoroso drudo

Della fede cristiana, il santo atleta,

Benigno a' suoi ed a’ nemici crudo;

 

E come fu creata, fu repleta

Sì la sua mento di viva virtute,

Che nella madre lei fece profeta.

 

Poi che le sponsalizie fur compiute

Al sacro fonte intra lui e la fede,

U' si dotar di mutua salute;

 

La donna, che per lui l'assenso diede,

Vide nel sogno il mirabile frutto

Ch'uscir dovea di lui e delle rede;

 

E Perché fosse, quale era, in costrutto,

Quinci si mosse spirito a nomarlo

Del possessivo di cui era tutto.

 

Domenico fu detto; ed io ne parlo

Sì come dell'agricola che Cristo

Elesse all'orto suo per aiutarlo.

 

Ben parve messo a familiar di Cristo;

Ché il primo amor che in lui fu manifesto

Fu al primo consiglio che dié Cristo.

 

Spesse fiate fu tacito e desto

Trovato in terra dalla sua nutrice,

Come dicesse: Io son venuto a questo.

 

Oh padre suo veramente Felice!

Oh madre sua veramente Giovanna,

Se interpretata val come si dice!

 

Non per lo mondo, per cui mo, s'affanna

Di retro ad Ostiense ed a Taddeo,

Ma per amor della verace manna,

 

In picciol tempo gran dottor si feo,

Tal che si mise a circuir la vigna,

Che tosto imbianca, se ‘l vignaio è reo;

 

Ed alla sedia, che fu già benigna

Più a' poveri giusti, non per lei,

Ma per colui che siede e che traligna,

 

Non dispensare o due o tre per sei;

Non la fortuna di primo vacante,

Non decimas quae sunt pauperum Dei

 

Addomandò; ma contra ‘l mondo errante,

Licenzia di combatter per lo seme

Del qual si fascian ventiquattro piante.

 

(Paradiso, canto XII)

 

Tale l'ammirazione che all'anima melanconica e forte di Dante ispirava l'Ordine di S. Domenico. Il proscritto, la cui penna non l'ha risparmiata a nessuna grandezza colpevole, trattò sempre i Frati Predicatori ed i Frati Minori come gli eroi del suo secolo; e il suo pensiero dopo di aver tristamente fatto il giro del mondo nei lunghi giorni dell'esilio, tornava a loro col raro piacere di poter rispettare. Gli stessi furono i sentimenti dei più grandi uomini del medio evo. L'apparizione simultanea di S. Domenico e di S. Francesco in tutti che tenevan dietro al governo del mondo produsse l'effetto di' un miracolo della Provvidenza, e l'unanime contento che ne provarono è tale elogio che i secoli posteriori non potranno dileguare mai. Tocca ai contemporanei giudicare gli uomini e le cose d'ci loro tempi; coloro soltanto che hanno mangiato lo stesso pane possono apprezzare quanto valeva; e come l'avvenire non comprenderà le idee più generose dei nostri giorni, così noi dobbiamo accordare al passato d'aver conosciuto chi gli fece del bene, chi del male. Il malato che è stato volto a sinistra, domanda in seguito di esser riportato a destra; ma benedicendo la seconda mano che lo muove a suo piacere non deve maledire la prima: sono sacre tutte e due.

 

 

INDICE

INTRODUZIONE

 

Capitolo I. Genesi di S. Domenico

Capitolo II Arrivo di S. Domenico in Francia

Suo primo viaggio a Roma

Colloquio a Montpellier .

Capitolo III Apostolato di S. Domenico dall' abboccamento di Moutpellier fino al principio della guerra Albigese

Fondazione del monastero di Notre-Dame di Prouille

Capitolo IV Guerra degli AlbIgesi

Capitolo V Apostolato di S. Domenico dal principio della guerra Albigese fino al quarto

Concilio Lateranense

Istituzione del SS. Rosario

S. Domenico ed i suoi primi discepoli a Tolosa

Capitolo VI Secondo viaggio di S. Domenico a Roma

Approvazione provvisoria dell'Ordine dei Frati Predicatori fatta da Innocenzo III

Incontro di S. Domenico con S. Francesco d'Assisi

Capitolo VII Riunione di S. Domenico e del suoi compagni a Notre-Dame di Prouille

Regola e Costituzioni dei Frati Predicatori

Fondazione del convento di S. Romano a Tolosa

Capitolo VIII Terzo viaggio di S. Domenico a Roma

Conferma dell'Ordine dei Frati Predicatori

Predicazione di S. Domenico nel palazzo del Papa

Capitolo IX Nuova riunione dei Frati Predicatori a Notre-Dame di Prouille, e loro diffusione in Europa

Capitolo X Quarto viaggio di S. Domenico a Roma

Fondazione dei conventi di S. Sisto e di S. Sabina

Miracoli che accompagnarono queste due fondazioni

Capitolo XI Soggiorno dì S. Domenico a S. Sabina

S. Giacinto ed il B. Ceslao entrano nell'Ordine

Miracolosa unzione fatta dalla Vergine Santissima sul B. Reginaldo

Capitolo XII Fondazione dei conventi di S. Giacomo a Parigi, e di S. Niccolò di Bologna

Capitolo XIII Viaggio di S. Domenico in Spagna ed in Francia

Sue veglie nella grotta di Segovia

Modo di viaggiare e sistema di vita del Santo

Capitolo XIV Quinto viaggio di S. Domenico a Roma

Morte del B. Reginaldo

Il B. Giordano di Sassonia entra nell'Ordine

Capitolo XV Primo Capitolo Generale dell'Ordine

Dimora di S. Domenico in Lombardia

Istituzione del Terz'Ordine

Capitolo XVI Sesto ed ultimo viaggio di S. Domenico a Roma

Secondo Capitolo Generale Malattia e morte del Santo Patriarca

Capitolo XVII Traslazione del corpo di S. Domenico

Canonizzazione del Santo

 

 

APPENDICE

L'ORDINE DI S. DOMENICO

Capitolo I Della legittimità degli Ordini religiosi dinanzi suo Stato

Capitolo II Idea generale dell'Ordine dei Frati Predicatori

Motivi per ristabilirlo in Francia

Capitolo III Azione dei Frati Predicatori come Apostoli

Loro Missioni nell' antico e nel nuovo mondo

Capitolo IV Azione dei Frati Predicatori come dottori

S. Tommaso d'Aquino

Capitolo V Artisti, Vescovi, Cardinali, Papi, Santi e Sante, dati alla Chiesa dall’Ordine dei Frati Predicatori

Capitolo VI L'Inquisizione

Capitolo VII Conclusione

 

 

 

 

2001

Novembre

Ottobre

Settembre

Giugno

Maggio

Aprile

Marzo

Febbraio

Gennaio

2000

Dicembre

Novembre

Ottobre

Settembre

    Politica Cultura Scienze  Società  Religione Psiche  Filosofia  Ambiente Arte  Cinema Sport Napoli Università Home