VITA DI SAN DOMENICO
P. Enrico D. Lacordaire dei Predicatori
APPENDICE
L'ORDINE DI S. DOMENICO
CAPITOLO IV
Azione dei Frati Predicatori come Dottori
Tommaso d'Aquino
All'estremità occidentale di Bologna, da quella
parte dove finiscono gli ultimi pendii degli Appennini, in una piazza
solitaria il viaggiatore trova una chiesa. Io vi entrai come chi
ansiosamente vada in cerca di qualche cosa; ed accostumato alle tombe
gigantesche dell'arte moderna, rimasi commosso alla vista del dolce
monumento che mi apparve dinnanzi. Là, sotto puro alabastro, riposa il
corpo di S. Domenico, presso quella famosa università di Bologna, che
non aveva uguale se non l'università di Parigi, ambedue grandemente
amate dal Santo, ambedue scelte dal medesimo per essere il principale
centro dei suoi frati. L'università di Parigi gli dié, riconoscente,
una parte del convento di S. Giacomo, Bologna 1a tomba. Fu conveniente
infatti che una dotta città fosse l'ultima e suprema dimora sulla terra
del. l'uomo meraviglioso che aveva saputo riunire insieme in uno stesso
pensiero l'apostolato e la scienza divina, confidando ad un solo Ordine
tale duplice missione. I fatti giustificarono l'arditezza dell' impresa
e provarono, senza dubbio, che non poteva essere stata ispirata altro
che da Dio. Abbiamo visto ,con quanta fedeltà i Frati Predicatori
realizzassero ,nell'apostolato le speranze del loro santo Patriarca:
~resta a vedere il loro successo in fatto di scienza, il quale fu ancor
più meraviglioso. Imperocchè l'abnegazione di sé basta, in fin dei
conti, a formare un missionario; ma la scienza, oltre l'abnegazione,
esige l'intelligenza, sempre-rara in ogni tempo.
La scienza è la conoscenza delle relazioni che
costituiscono e collegano tutti gli esseri, da Dio fino all'atomo,
dall'infinitamente piccolo all'infinitamente grande Ogni grado di questa
vasta scala serve a chiarificare quello che precede e quello che segue,
perché ogni relazione che si scopre, in qualunque modo si scopra, o
dall'alto in basso, o dal basso in alto, è sempre una rivelazione
dell'essere. In altre parole, l'effetto indica la causa, perché ne è
l'immagine; la causa spiega l'effetto, perché ne è il principio;
quantunque questa reciprocità non sia uguale, imperocchè la luce vera
scende sempre dall'alto; Il basso non può darne che un semplice
riflesso.
Ora, dice S. Paolo, noi vediamo per riflesso ed in
enigma; un giorno noi vedremo faccia a faccia. La scienza adunque nel
presente stato è necessariamente imperfetta, non potendo noi riuscire a
vedere faccia a faccia né il punto di partenza, né quello di arrivo,
che è Dio. Ma per velato, che egli sia, possiamo però fin da quaggiù
conoscerlo per altre vie che non siano il riflesso delle cose create.
Prima di mostrarsi, Dio si è affermato; prima di comparire, ha rivelato
il suo nome. L'accettazione volontaria di questa parola divina è ciò
che si chiama fede. La fede fa il cristiano; e quando il cristiano è in
possesso di questo nuovo mezzo di conoscenza, di questa visuale elevata,
può egli ridiscendere fino all'estremità dell'universo, scoprire per
mezzo delle relazioni che costituiscono l'essenza divina, quelle che
costituiscono l'uomo e la natura, e riscontrare poi, con movimento
opposto, le leggi dell'essere infinito con le leggi degli esseri finiti.
Questo raffronto dei due mondi, l'illustrazione del
secondo, che è effetto, per opera del primo, che ne è causa, la
controprova del primo, che è causa, per mezzo del secondo, che ne è
effetto, questo flusso e riflusso di luce, questa marea che va
dall'oceano alla riva per ritornare dalla riva all'oceano, la fede nella
scienza e la scienza nella fede è ciò appunto che fa del cristiano un
teologo. Ed è questa la ragione per cui il dottore cattolico è un
essere quasi impossibile, dovendo egli conoscere da un lato tutto il
deposito della fede, la Scrittura, la tradizione scritta e non scritta,
i concili, gli atti dei Pontefici; e dall'altro lato ciò che S. Paolo
chiama gli elementi del mondo, vale a dire tutto e tutti.
Si apra il primo Padre della Chiesa che capita fra
mano, la Preparazione Evangelica di S.. Eusebio, la Spiegazione
dell'opera dei sei giorni di S. Basilio, gli Stromata di Clemente
Alessandrino, la Città di Dio di S. Agostino, subito apparirà come
tutti passano continuamente dal cielo alla terra, dalle scoperte della
natura alla rivelazione, mettendo sempre innanzi e congiungendo Dio con
l'universo, per giungere alla conoscenza dell'uno e dell'altro. Ciò
nondimeno nessuno dei Padri giunse ad ultimare l'edifizia della
cristiana teologia, ed i loro scritti dispersi qua e là, non
rappresentavano dopo dodici secoli di lavoro, che parti, per quanto
sublimi, di un tempio non ancora edificato, aspettanti, con la pazienza
dell'immortalità, la mano dell'architetto. L'architetto doveva sorgere
dalle ceneri di S. Domenico; e l'uomo eletto dalla Provvidenza a
quest'opera incomparabile nacque, ciò che nessuno avrebbe mai pensato,
illustre signore.
Nell'anno 1245 viveva in Colonia un licenziato
domenicano, dotato d'ingegno così straordinario che i contemporanei lo
chiamarono per antonomasia il Grande. Sebbene versato in modo speciale
nelle ma. tematiche, nella fisica e nella medicina, insegnava allora la
teologia; ed elevato in seguito alle più alte dignità, rinunziò a
tutte per ritornare alla scuola, dalla quale si ritirò al fine in modo
singolare. Un giorno, mentre teneva pubblica lezione, ad un tratto si
fermò, come chi abbia perduto il filo del ragionamento; e dopo breve
silenzio, che meravigliò e turbò tutti, cosi riprese: « Da giovane
tanta era per me la difficoltà di apprendere, che disperava ormai di
imparare alcunché; onde, per risparmiarmi la vergogna di trovarmi
continuamente a confronto con altri di me più istruiti, risolvei di
lasciar l'Ordine di S. Domenico. Mentre giorno e notte stavo
rimescolando meco medesimo tale divisamento, mi parve di vedere in sogno
la Madre di Dio, e mi parve ancora che mi interrogasse in quale scienza
avessi voluto divenir capace, nella teologia o nelle scienze naturali; e
che io rispondessi: nelle scienze naturali. Ed Ella allora: Tu sarai,
come desideri, il più grande dei filosofi; ma perché non hai preferito
la scienza del mio Figlio, verrà un giorno in cui, perdendo anche la
scienza della natura, ritornerai quale sei oggi. Miei figliuoli, il
giorno preannunciatomi è giunto. D'ora innanzi non vi insegnerò più;
confesso però ancora un'ultima volta dinnanzi a tutti voi di credere
tutti gli articoli del Simbolo, e supplico che, giunta l'ora, mi siano
amministrati i Santi Sacramenti della Chiesa. Se mai avessi detto alcuna
cosa contraria alla fede, la ritratto, e sottopongo ogni mia dottrina
alla mia santa Madre, la Chiesa romana». Ciò detto, scese di cattedra;
i discepoli lo abbracciarono, e piangenti lo accompagnarono fino al
convento, dove visse ancora per tre anni nella più grande semplicità,
egli che era stato chiamato il miracolo della natura, lo stupore del suo
secolo, e che la posterità conosce sotto il nome di Alberto Magno.
Non fu però Alberto Magno il prescelto ad innalzare
l'edifizio della cristiana teologia: egli preferì la scienza della
natura alla scienza del Figliuolo di Dio.
Verso la fine del 1244 o al principio del 12452
Giovanni Teutonico, quarto Maestro Generale dell'Ordine dei Frati
Predicatori, giunse a Colonia accompagnato da un giovanetto napoletano
che consegnò ,a Fra Alberto in qualità di discepolo. L'Europa era in
quei tempi un paese di libertà; ciascuno andava ad istruirsi dove più
gli piaceva, e le nazioni tutte si davan la mano nelle università. Il
giovane portato da Giovanni Teutonico alla scuola di Alberto Magno, era
in linea paterna, pronipote dell'imperatore Federico I, cugino
dell'imperatore Arrigo VI, biscugino dell'imperatore Federico Il allora
regnante; in linea materna poi discendeva da quei principi di Normandia,
che, cacciati gli Arabi ed i Greci dall'Italia,' erano rimasti padroni
del regno delle due Sicilie. Aveva soli diciassette anni. Raccontavasi
di lui che i parenti, per distoglierlo dalla sua vocazione, l'avevano
preso e chiuso in un castello, senza però riuscire nell'intento; che
introdottasi nella sua prigione una femmina, l'aveva cacciata, armato di
un tizzone ardente; che due sue sorelle messesegli intorno a bella posta
per distoglierlo dal suo proposito, erano invece attratte da lui
medesimo alla vita religiosa; che Il Papa Innocenzo IV, supplicato di
rompere i vincoli che legavano il giovane all'Ordine di S. Domenico, gli
aveva offerto, dopo averlo ascoltato con ammirazione, l'abbazia di
Montecassino. -Prevenuto da tale fama, fl giovane conte di Aquino, ora
Fra Tommaso, fu subito tenuto d'occhio dai compagni, i quali però nulla
vi riscontrarono che corrispondesse alla loro aspettativa: un
sempliciotto dallo sguardo insignificante, che non parlava quasi mai, e
nulla più. Si finì anzi per credere che di nobile non ci fossero che i
natali, tanto che i compagni giunsero a chiamarlo per ischerzo, il bue
muto delle due Sicilie.
Il suo maestro Fra Alberto, non sapendo lui stesso
che pensarne, colse l’occasione di una grande adunanza per
interrogarlo sopra una serie di questioni spinosissime; il discepolo vi
rispose con tanta saggezza, che Alberto fu come invaso da quella gioia
rara e divina che provano i veri grandi uomini nel riscontrare un altro
uomo che dovrà eguagliarli ed anche sorpassarli; e rivolto a tutta la
scolaresca, disse commosso: « Noi chiamiamo fra Tommaso il bue muto; ma
un giorno i muggiti della sua dottrina si ripercuoteranno nel mondo
intero». La profezia non tardò ad avverarsi. Tommaso d'Aquino
addivenne in brevissimo tempo il dottore più celebre della Chiesa
cattolica; ed i suoi natali, per quanto regali, rimasero eclissati dalla
magnificenza della sua gloria personale.
A quarantun'anno, e non glie ne restavano che altri
nove di vita, S. Tommaso ideò il monumento, per il quale, senza che lo
sapesse, era stato destinato. Si propose cioè di riunire in un sol
corpo i materiali sparsi della teologia; e ciò che poteva sembrare una
semplice compilazione, riuscì invece sotto le sue mani un capolavoro,
di cui tutti ne parlano, anche quelli che non l'hanno mai letta, come il
mondo intero parla delle piramidi d'Egitto, che quasi nessuno ha vedute.
Questa popolarità che la può sopra l'ignoranza stessa, è il più alto
grado di gloria quaggiù a Dio solo è dato elevarsi ancora al di sopra,
perché egli solo è alla portata di tutti che lo adorano.
La teologia, come abbiamo già detto, è la scienza
delle affermazioni divine. Quando l'uomo accetta semplicemente queste
affermazioni è allo stato di pura fede; quando invece stabilisce le
relazioni di queste affermazioni fra loro e con tutti i fatti interni ed
esterni dell'universo, la sua fede passa allo stato teologico o
scientifico. In conseguenza la teologia risulta da un assieme di umano e
di divino; e se è vero che pio serve a rischiarare la fede, non è men
vero che espone spesso a gravi pericoli. Imperocchè per poco che un
uomo si permetta d'indagare l'ordine delle cose visibili, giunge ben
presto al limite estremo della certezza che può aversi in tale ordine;
e qualora si spinga più oltre, lo spirito da quelle regioni male
esplorate non riporta che opinioni, capaci talvolta di alterare la
purezza e la solidità della fede. Una delle prime doti del dottore
cattolico adunque è lo spirito di discernimento nell'uso dell'elemento
umano; e S. Tommaso possedé questo spirito al più alto grado.
La scienza del suo tempo, era tutta compendiata negli
scritti di Aristotile: logica, metafisica, morale, politica, fisica,
storia naturale. Aristotile insegnava tutto, e si riteneva da tutti che
sulle cose della natura avesse detto l'ultima parola. Eppure sarebbe
bastata una semplice scorsa su qualcuna delle sue opere per persuadersi
quanto poco un tal filosofo avesse di genio cristiano; lo studio assiduo
difatti che di lui si faceva, aveva già apportati i suoi funesti
effetti. Era cosa la più ordinaria, per esempio, sentire difendere
anche dai maestri che una proposizione può esser vera secondo il
Vangelo e falsa secondo la filosofia: e Stefano II, vescovo di Parigi,
fu costretto a condannare nel 1277 duecento ventidue proposizioni,
fondate, nei loro errori, sui libri di Aristotile. Questi gli elementi
scientifici di cui disponeva anche S. Tommaso. Conveniva inoltre creare
una psicologia, un'antologia, una morale ed una politica degna di
armonizzare coi dommi della fede. San Tommaso vi riuscì. Lasciando da
parte le chi. mere e le aberrazioni dello Stagirita, raccolse dal suoi
scritti ciò che poté spigolare di vero, e trasformando e nobilitando
questo materiale, senza abbattere né adorare l'idolo del suo secolo,
compilò una filosofia,.che aveva ancora nelle vene alcunché del sangue
di Aristotile, ma purificato dal suo e da quello se' suoi predecessori
nell'insegnamento cattolico.
Allo spirito di discernimento nell'impiego
dell'elemento umano o finito, S. Tommaso accoppiò il gusto e quasi la
penetrazione dell'elemento divino. Egli considerò i misteri di Dio con
quello sguardo intuitivo simboleggiato dall'aquila di S. Giovanni,
sguardo difficile a definirsi, ma che si comprende molto bene quando,
dopo aver meditato da sè sopra una verità del cristianesimo, se ne
domanda spiegazione ad un altro che sia penetrato più addentro in tali
abissi, o abbia percepito meglio il suono dell'infinito. Avviene d'un
grande teologo come d'un grande artista, l'uno e l'altro vedono ciò che
l'occhio volgare non vede; sentono ciò che l'orecchio della moltitudine
neppure sospetta; e quando coi deboli mezzi di cui l'uomo dispone
riescono a riprodurre negli altri un riflesso o un'eco di ciò che hanno
visto o sentito, il pastore stesso si sveglia e crede di essere un
genio. Questa potenza di intuire nell'infinito meraviglierà coloro che
tengono il mistero in conto di un'affermazione qualsiasi, di cui anche i
termini siano affatto sconosciuti. Ma coloro i quali sanno che
l'incomprensibile non è altro che una luce senza limiti, la quale farà
sì che anche quando vedremo Iddio faccia a faccia, pure non arriveremo
a comprenderlo, costoro si persuaderanno facilmente che più l'orizzonte
è vasto, più la vivacità dello sguardo trova dove spaziare. E la
teologia ha proprio questo vantaggio: le affermazioni divine che le
aprono l'infinito da un lato all'altro, sono ad un tempo per lei una
bussola ed un mare. La parola di Dio traccia nell'infinito alcune linee
che determinano il pensiero senza restringerlo, e che, pur
trasportandolo con loro, rifuggono di stargli dinanzi,
L'uomo che è trattenuto dai lacci e dalle tenebre
del finito non potrà avere mai neppure l'idea della felicità del
teologo, che nuota nello spazio illimitato che nuota nello spazio
illimitato del vero, e trova nella causa stessa che lo rattiene
l'estensione che lo rapisce. Questa unione di una sicurezza la più
grande unita al volo il più ardito cagiona nell'anima un contento
ineffabile, che fa disprezzare, una volta gustato, ogni altra cosa. Ora
niente altro fa provare e gustare un tal contento, più della lettura di
S. Tommaso. Dopo studiata una questione negli scritti dei grandi uomini,
se si passa poi a questo sommo, provasi un senso come se si fossero
trasvolati ad un tratto più mondi e come se il pensiero non pesasse più.
Converrebbe ancora parlare della forza di collega,
mento con cui S. Tommaso congiunge l'elemento naturale coll'elemento
divino, subordinando sempre il primo al secondo. Converrebbe esporre
quell'unità, mirabile, che in un'opera poderosissima raccoglie, senza
mai smentirsi, a diritta e a manca tutte le acque del cielo e della
terra, e le spinge innanzi con quello stesso movimento che hanno dalla
loro sorgente, accresciuto sì, ma non alterato. Converrebbe infine dare
un'idea del suo stile che fa penetrare fino ai più profondi abissi
della verità, come si v4-, dono i pesci in profondi ma limpidi laghi,
come si vedono le stelle attraverso un aere puro; stile così calmo che
traspare, in cui l'immaginazione non è più forte della passione, e che
nondimeno rapisce l'intelligenza. Ma il tempo stringe; S. Tommaso
d'altronde non ha più bisogno di lodi. I Sommi Pontefici, i Concili,
gli Ordini religiosi, le università, mille scrittori lo hanno elevato a
tale altezza, che la nostra lode non potrebbe raggiungerlo. Quando gli
ambasciatori del regno di Napoli si presentarono a Giovanni XXII per
supplicare il Pontefice di canonizzarlo, il papa in pieno concistoro
disse loro: «Ha più illustrato la Chiesa S. Tommaso che tutti gli
altri dottori presi insieme; e fa più profitto studiare Per un anno i
suoi libri, che per tutta la vita i libri degli altri». Ed avendo
opposto qualcheduno durante il processo di canonizzazione, che Tommaso
non aveva operato miracoli, il Sommo Pontefice rispose: «Tanti sono i
miracoli, quanti sono gli articoli che ha scritto». Nel Concilio di
Trento sulla medesima tavola posta in mezzo alla sala dove convenivano i
Padri furono posto i libri delle S. Scritture, i decreti dei Pontefici,
e la Somma di S. Tommaso. Dopo tutto questo, Dio solo potrà onorare
ancora di più questo grande uomo nel concilio eterno dei Santi.
San Tommaso morì nel convento dei Cistercensi di
Fossanova, quasi a metà di strada fra Napoli e Roma, fra la sua patria
naturale e quella spirituale, non lontano dal castello di Roccasecca,
dove pare che sia nato, e vicino a Montecassino, dove aveva passato
parte della sua infanzia. Lo sorprese la morte mentre, ossequente agli
ordini del Papa Gregorio X, era in viaggio, per recarsi al secondo
concilio generale di Lione, In cui doveva trattarsi della riunione della
Chiesa greca con la latina. I religiosi, raccolti intorno al suo letto,,
lo pregarono di fare loro una breve esposizione della Cantica, l'idillio
dell'amore divino, e fu quella l'ultima lezione. Di ricambio egli chiese
al religiosi di esser posto sopra la cenere, per ricevere il santo
viatico; e quando vide l'ostia fra le ffiani del sacerdote, disse
piangendo: « Io credo fermamente che Gesù Cristo, vero Dio e vero
uomo, figlio unico dell'eterno Padre e d'una madre Vergine, è realmente
in questo augusto Sacramento. lo ti ricevo, o prezzo della mia
redenzione; io ti ricevo, viatico del pellegrinaggio dell'anima mia; per
te ho studiato, vegliato, lavorato, predicato, insegnato. Niente credo
di aver detto mai contro di te, ma se anche senza saperlo avessi detto
qualche cosa contro, io mi ritratto; sottometto tutto al giudizio della
santa romana Chiesa, nell'obbedienza della quale lo me ne parto da
questa vita ». S. Tommaso d'Aquino, in età di cin. quantun'anno, il
giorno 7 Marzo 1274, alcuno ore dopo la mezzanotte, verso lo spuntare
dell'aurora.
L'Ordine che fin dal suo nascere aveva dato così
illustre luminare alla Chiesa, non cessò di coltivare sempre sapienti
scrittori di merito. Enumerarli qui sarebbe fastidioso; se ne contano da
quattro a cinquemila. Basterà ricordare che avanti ancora che passasse
un secolo dalla morte di San Domenico, il suo istituto fu onorato dai
contemporanei dello specialissimo titolo di Ordine della Verità. I due
grandi pensieri che avevano presieduto alla sua fondazione, apparvero
così realizzati in tutta la loro estensione. Intere generazioni di
apostoli e di sapienti, sorti da uno stesso germe, hanno portata la
verità anche in mondi sconosciuti da S. Domenico; e dopo seicento anni
finiti , i loro rampolli rifioriscono ancora da Manila a Roma, da
Pietroburgo a Lima. Quando il giovane Gusmano in compagnia del vescovo
Don Diego valicava a piedi i Pirenei, niente esisteva di tutto questo, né
era previsto, né si sarebbe creduto possibile: ma il pensiero che-
scopre un bisogno, la virtù che vi si consacra, il bisogno che viene in
aiuto al pensiero ed alla virtù, queste tre cose possono tutto. Felice
il secolo in cui esse vengono ad incontrarsi!