VITA DI SAN DOMENICO
P. Enrico D. Lacordaire dei Predicatori
APPENDICE
L'ORDINE DI S. DOMENICO
CAPITOLO III
Azione dei Frati Predicatori come Apostoli.
Loro Missioni nell'autico e nel nuovo mondo.
Essendo l'eloquenza la più difficile di tutte le
arti, e la predicazione il genere più sublime di eloquenza, non è
piccolo fatto che un solo uomo riuscisse a suscitare in un momento
un'armata di predicatori, i quali dalla Spagna alla Moscovia, dalla
Svezia alla Persia commossero intere popolazioni. Ciò non si spiega, se
non riflettendo che l'eloquenza è figlia della passione. Create una
passione nell'anima, e ne avrete fiumi di eloquenza; l'eloquenza è il
linguaggio di un'anima appassionata. Difatti nei tempi di pubbliche
agitazioni, quando le popolazioni sono sossopra per grandi rivolgimenti,
gli oratori abbondano; e chiunque ha amato in vita sua qualche cosa, sarà
stato immancabilmente eloquente, fosse pure una'volta sola. San Domenico
adunque per dare al mondo una legione di predicatori non ebbe bisogno di
fondare scuole di rettorica; gli bastò di avere colto dritto al cuore
del suo secolo, e d'avervi trovato o fatto nascere una passione.
Nel secolo decimoterzo la fede era profonda, e la
Chiesa imperava su tutta la società che essa aveva conquistata. Ciò
nonostante il pensiero europeo, in cui il tempo ed il cristianesimo
lentamente avevano operato, era giunto ormai alla crisi
dell'adolescenza. San Domenico svelò allora al mondo intero ciò che
Innocenzo III aveva visto dal suo letto sognando, vale a dire la Chiesa
cadente: e quando tutti la credevano padrona e regina, egli dichiarò
invece che per salvarla da irreparabile rovina non c'era che risuscitare
l'apostolato primitivo. Fu risposto a San Domenico, come era stato
risposto a Pietro l'Eremita; e gli uomini si fecero Frati Predicatori,
come prima si erano fatti crociati.
Ogni università di Europa dette il suo contingente
di maestri e di discepoli, ed il solo fra Giordano di Sassonia, secondo
Generale dell'Ordine, dette l'abito a più di mille attratti da lui
medesimo a questo nuovo genere di vita. Soleva ripetersi a tal
proposito: Non andate alle prediche di Fra Giordano, perché vi
affascina come una cortigiana. In un momento, o, per parlare senza
metafora, (la verità è in questo caso è più eloquente delle figure)
in soli cinque anni S. Domenico, il quale prima della Bolla di Onorio
non aveva che sedici compagni, otto francesi, sette spagnuoli ed un
inglese, fondò sessanta conventi, popolati da sceltissimi uomini e da
una fiorente gioventù.
E come riuscir fredda la parola di uomini compresi
fino al fondo dell'anima dall'idea dell'apostolato primitivo, e per
questo appunto insieme raccolti? Sapienti che abbandonavano le cattedre
per farsi novizi in un Ordine senza fortuna e senza gloria, come è
possibile non avessero accenti uguali all'intensità della loro
abnegazione? E la gioventù delle università, lanciatasi senza quasi
riflettere, nelle rischiose vicende di questa cavalleria del Vangelo,
poteva forse perdere sotto il cappuccio l'ardore dell'età e lo slancio
delle sue convinzioni? Le anime generose, disperse e nascoste nelle
profondità di un secolo, una volta incontratesi, fanno apparire nella
loro stessa effusione la forza che le ha tolte al riposo. Di tali anime
se ne trovano in ogni tempo, in ogni luogo, l'umanità le nasconde
profondamente nel suo seno, glorioso contrappeso alla degradazione che
sempre l'agita; e secondo chi prevale nel mondo, vien deciso il destino
di un'epoca, illustre o indecoroso. San Domenico riuscì a far pendere
la bilancia dai lato magnanimo; i suoi discepoli non erano che la parte
buona della natura umana che trionfava d’un tratto. Tutti al pari del
loro maestro, in un momento in cui la Chiesa era ricca, volevano esser
poveri, e poveri sino a farsi mendichi; tutti, al pari di lui, in un
momento in cui la Chiesa imperava sovrana, volevano che la loro
influenza scaturisse solo dalle loro virtù. Non dicevano già come gli
eretici: bisogna spogliare la Chiesa; ma spogliandola nelle loro stesse
persone, la mostravano così ai popoli nella sua originale nudità. In
una parola, essi amavano Dio, e lo amavano veramente, lo amavano sopra
ogni altra cosa; amavano poi il prossimo come loro stessi e più di loro
stessi: essi avevano nel petto la larga ferita che ha reso eloquenti
tutti i Santi.
Oltre un'anima appassionata, senza la quale nessuno
fu mai oratore, i Frati Predicatori ebbero di più la rara abilità di
usare un genere di predicazione il più confacente al loro tempo.
La verità è una certamente, e nel cielo il suo
linguaggio non può essere che uno come lei medesima; ma quaggiù essa
parla lingue diverse, a seconda degli spiriti che vuol conquistare. Al
fanciullo non può parlare come all'uomo adulto, al barbari come agli
uomini civili, a un secolo razionalista come ad un secolo pieno di fede.
E per comprenderne meglio la ragione, bisogna notare che si danno in,
ogni intelligenza due tendenze, una di allontanamento della verità,
un'altra di attrazione verso la verità, sia pure debolmente. Queste due
tendenze variano secondo gli individui; tuttavia in ogni epoca
caratteristica della vita degli uomini, come di quella dei popoli, è
presso a poco per le stesse vie che le intelligenze si scostano o si
accostano alla verità, mosse da un moto comune che fa loro subire tali
evoluzioni. Simile adunque al marinaio, il quale deve conoscere la vera
posizione della terra rispetto al cielo, chiunque ha la missione di
diffondere la verità, deve sapere qual è il polo per cui lo spirito
umano inclina verso Dio, quale quello per cui se ne allontana, e quale,
ancora in questa comune situazione è l'inclinazione propria di ciascuna
intelligenza; altrimenti la verità vi scenderà invano, senza produrvi
nulla.
Esposte le due principali causo del grande successo
dei Frati Predicatori nel loro apostolato, vorremmo dare una qualche
idea dell'immensità delle loro apostoliche fatiche; ma un memoriale non
è una storia; farle quindi conoscere ad una ad una è impossibile; ci
limiteremo perciò a delinearne i confini, come il viaggiatore che
volendo giudicare a colpo d'occhio l'estensione di un paese, procura
d'abbracciare dall'alto il più vasto orizzonte.
L'apostolato dei Frati Predicatori ha due orizzonti:
uno finisce ai limiti del mondo antico, l'altro si estende, con la
scoperta delle Indie e delle Americhe, fino all'estremità del nuovo
mondo. Il punto in cui uno di questi orizzonti finisce e l'altro
comincia, distingue ancora la loro durata in due periodi uguali, di tre
secoli interi ciascuno.
Durante il primo periodo, che va dal principio del
secolo XIII al principio del XVI, le grandi linee che circoscrissero
l'azione dei Frati Predicatori furono queste: a mezzogiorno, le missioni
presso i Mori e gli Arabi, padroni dell'Africa, imperanti in una gran
parte della Spagna e minaccianti colle loro armi l'Europa intera,
traendola pian piano al maomettismo. In Oriente, le missioni presso i'Greci,
separati dalla Chiesa da uno scisma che si sperava poter ancora
comporre, e presso i Tartari, che durante il tredicesimo, e il
quattordicesimo secolo tennero l'Europa in allarme col fragore delle
loro scorrerle; e, sempre in Oriente, le missioni della Persia,
dell'Armenia, delle rive del Mar Nero e del Danubio. A settentrione, le
missioni d'Irlanda, di Scozia, di Danimarca, di Svezia, di Prussia, di
Polonia, di Russia; nazioni a cui era già stata annunziata la vera
fede, ma che, convertito più o meno recentemente al cattolicismo,
conservavano in mezzo a loro una moltitudine d'infedeli e di confusi
rimasugli delle loro antiche superstizioni. La Groenlandia stessa, sui
primi vascelli che -i venti vi fecero approdare, trovò i Frati
Predicatori; e al principio del secolo XVII gli Olandesi furono pieni di
meraviglia scoprendovi un convento domenicano che rimontava al medio
evo. e di cui il capitano Niccolò Zani ne aveva già fatta menzione fin
dal 1380. Il numero poi dei missionari che i Frati Predicatori inviarono
per ben tre secoli in queste diverse contrade sorpassa ogni credere.
Innocenzo IV fin dal 23 Luglio 1253 scriveva loro in questi termini: «Ai
nostri cari figli, i Frati Predicatori, i quali predicano nei, paesi dei
Saraceni, dei Greci, dei Bulgari, dei Cumani, degli Africani, dei Siri,
dei Goti, dei Giacobiti, degli Armeni, degli Indiani, dei Tartari, degli
Ungari e di tutte le altre nazioni dell'Oriente, salute ed apostolica
benedizione; ecc.».
Si giunse perfino a costituire nell' Ordine una
particolare congregazione detta dei « Religiosi viaggiatori per Gesù
Cristo presso gli infedeli »; ed avendo il Papa Giovanni XXII dato il
permesso in generale a tutti i frati di poterne far'parte, fu tanta la
moltitudine di coloro che si presentarono, che lo stesso Sommo Pontefice
ne rimase meravigliato, e pel timore di vedere poi spopolati i conventi
d'Europa, restrinse la facoltà concessa prima senza alcun limite.
Simile spettacolo si era visto anche al capitolo .generale di Parigi,
quando il P. Giordano di Sassonia avendo richiesto chi volesse partire
per le missioni all'estero, tutti, tranne alcuni vecchi cadenti, si
gettarono in ginocchio ed esclamarono piangendo: «Padre, inviate me!».
Basta scorrere le cronache dell'Ordine per trovare ad
ogni passo simili fatti, prove autentiche di una attività e di uno
spirito di abnegazione, che hanno del prodigioso. Né siffatti apostoli
inviati in tutte le terre allora conosciute erano uomini di fede viva
soltanto, ma erano ancora uomini dotti, pratici delle lingue degli usi,
delle religioni stesse dei popoli, che si proponevano di evangelizzare.
San Raimondo di Pennafort uno dei primi Maestri Generali dell'Ordine,
d'accordo coi re di Aragona e di Castiglia, fondò appositamente a
Murcie ed a Tunisi due collegi per lo studio delle lingue orientali; S.
Tommaso d'Aquino, dietro invito del medesimo Maestro Generale, scrisse
la sua celebre Summa contra Gentes; Fra Accoldo da Firenze pubblicò
contro gli errori degli Arabi un trattato nella loro lingua; e Fra
Raimondo Martin una: Summa contro il Corano.
Il continuo passaggio dal chiostro ai viaggi, dai
viaggi al chiostro dava ai Frati Predicatori un carattere speciale,
meraviglioso. Sapienti, solitari uomini di ogni condizione, lasciavano
trasparire da tutta la loro persona l'uomo che tutto conosce, e le cose
di Dio e quelle della terra. Il frate, che incontravate a piedi per
qualche via della città, forse era stato prima presso i Tartari o lungo
i fiumi dell'Asia superiore, aveva abitato i conventi d'Armenia alle
falde del monte Ararat, aveva predicato nella capitale del regno di Fez
o del Marocco, per finire poi in Scandinavia, e può essere ancora nella
Russia-Rossa: ne aveva di Rosari da dire prima di arrivarvi! E se come
l'eunuco degli Atti degli Apostoli, gli aveste dato occasione di
parlarvi di Dio, avreste veduto aprirsi un altro abisso, il tesoro cioè
delle cose antiche e nuove di cui parla la Scrittura, il cuore formato
nella solitudine; ed una eloquenza inimitabile passando da quell'anima
nella vostra, vi avrebbe fatto comprendere come la più grande felicità
per l'uomo quaggiù sia quella di incontrarsi, una volta almeno nella
vita, in un vero servo di Dio.
Era raro il caso che questi Frati Pellegrinanti, come
venivan chiamati, morissero nel convento che aveva ricevuto le loro
prime lacrime d'amore. 1 più, sfiniti dalle fatiche, passavano da
questa vita lontani dai loro fratelli; molti fi~ivano col martirio.
Poiché non eran poi discepoli troppo ossequenti gli Arabi, i Tartari,
gli uomini del settentrione! Per cui mettersi in viaggio equivaleva per
ogni frate a fare il sacrifizio della vita. Anzi spesso toccò loro in
sorte una morte sanguinosa nel seno stesso della cristianità: tanto era
il rigore delle eresie e delle passioni che essi combattevano ad ogni
costo!
Che se ci venissero richiesti i nomi di quei
predicatori che riempirono tre secoli colla poter)za della loro parola,
non ci sentiremmo di poterli ripetere; essi esistono sepolti fra le
antiche cronache; ma pro-' nunziarli non sarebbe lo stesso che farli
rivivere. E la sorte di ogni oratore! Colui che ha entusiasmato intere
moltitudini, sparisce con esse in un medesimo silenzio. Invano la
posterità farà sforzi per ascoltare nuovamente la di lui voce e quella
del popolo che lo applaudiva; sono voci ormai perse nei secoli, come il
suono si perde nello spazio. L'oratore ed i suoi uditori sono due
fratelli gemelli, che nascono e muoiono insieme; e può ben dirsi di
loro ciò che Cicero, quantunque in altro senso, sapientemente diceva:
«Non si dà grande oratore, senza la moltitudine che lo ascolti...».
Nondimeno citerò alcuni del' nomi che sono stati meglio preservati
dall'oblio.
Uno di questi è S. Giacinto, l'apostolo del
Settentrione nel secolo XIII, il quale predicò G. Cristo nella Polonia,
nella Boemia, nella grande e piccola Russia, nella Livonia, nella
Svezia, nella Danimarca, nelle rive del Mar Nero, nelle isole
dell'Arcipelago Greco, lungo le coste dell'Asia Minore, lasciando a
traccia dei suoi viaggi i conventi che qua e là veniva edificando.
Un altro è S. Pietro di Verona, caduto, dopo una
lunga carriera apostolica, sotto il ferro degli assassini, e che col
sangue delle sue ferite scrisse in terra le prime parole del simbolo
degli Apostoli: Io credo in Dio.
Un terzo è Enrico Susone, quell'amabile giovane
svevo, la di cui predicazione ebbe nel secolo XIV tale successo, che la
sua vita fu sottoposta ad una taglia. Trattato da novatore, da eretico,
da visionario, da uomo di cattivo nome, si contentava di rispondere a
chi lo pressava di domandar giustizia ai magistrati: «Seguirei il
vostro consiglio, se i maltrattamenti usati verso il predicatore,
impedissero il frutto della predicazione».
Nello stesso tempo fra Giovanni Taulero riscuoteva
applausi a Colonia e in tutta la Germania. Questi, dopo aver figurato
sul pergamo per molti anni, si ritirò all'improvviso, lasciando il
popolo meravigliato di tale scomparsa, e rimase per sempre nascosto
nella sua cella. Uno sconosciuto avvicinatosi a lui dopo una sua
predica, gli aveva chiesto il permesso di dirgli francamente ciò che
pensasse del predicatore. Taulero accondiscese, e lo sconosciuto allora
soggiunse: «C'è ancora nella vostra natura un segreto orgoglio; voi
confidate nella vostra grande scienza, nel titolo di dottore e nei
vostri studi; non cercate già Dio con purità d'intenzione, né la sua
gloria, ma cercate voi stesso nel momentaneo favore delle moltitudini.
E' per questo che il vino della celeste sapienza e della parola divina,
per quanto puro in sé ed eccellente, perdo la sua forza passando
attraverso il vostro cuore, e giunge senza sapore e senza grazia
nell'anima che ama Dio», Taulero era grande abbastanza per comprendere
simile linguaggio. e nessuno glie lo avrebbe certo tenuto, se non fosse
stato capace d'intenderlo. Egli tacque; la vanità della vita trascorsa
tutta gli comparve dinanzi; e abbandonato per due anni ogni commercio
col mondo, si astenne dal predicare e dal confessare, tutto intento
notte e giorno ai doveri ,del convento, a piangere in cella, nell'altro
tempo che gli restava, i suoi peccati e a studiare Gesù Cristo.
Trascorsi due anni si sparse in Colonia la voce che il dottore Taulero
avrebbe nuovamente predicato. Tutti accorsero alla chiesa, curiosi di
conoscere Al mistero di un silenzio tanto diversamente interpretato. Ma
Taulero comparso che fu sul pulpito, inutilmente si sforzò di parlare,
dal suo cuore non potè trar fuori che lacrime. Non era più un oratore
soltanto, era un Santo.
Ricorderò ancora S. Vincenzo Ferreri, che nel secolo
XV evangelizzò la Spagna, la Francia, l'Italia, la Germania.
l'Inghilterra, la Scozia, l'Irlanda, che giunse a tanta fama da essere
annoverato fra gli arbitri che dovean decidere della successione al
trono d'Aragona, ed al quale il Concilio di Costanza inviava
appositamente legati per supplicarlo di volere intervenire al Concilio.
Ricorderò in fine Fra Girolamo Savonarola, l'amico
fedele dei Francesi in Italia, l'idolo di Firenze, di cui difese sempre
la libertà e riformò i costumi, inutilmente bruciato vivo in mezzo ad
un popolo ingrato, poiché la sua virtù e la sua gloria si elevarono più
in alto che le fiamme dei rogo. Il Papa Paolo III dichiarò che avrebbe
ritenuto come sospetto di eresia chiunque avesse osato di accusare il
Savonarola; e S. Filippo Neri conservò sempre nella sua camera il
ritratto di un tant’uomo.
Verso la fine del secolo XV, si apri, colla scoperta
delle due Indie, un nuovo teatro all'azione dei Frati Predicatori; senza
poi dire che tale scoperta, almeno per metà, è dovuta a loro.
Imperocchè dopo il rifiuto delle corti di Portogallo, d'Inghilterra, di
Castiglia, fu Fra Diego Deza, precettore dell'infante Don Giovanni di
Castiglia e confessore di Ferdinando il Cattolico, che raffermò nel suo
disegno l'illustre genovese Cristoforo Colombo e glie ne promise la
riuscita. Di fatti, mentre Ferdinando finiva nel 1492 di conquistare il
regno di Granata, Diego poté da lui ottenere che venissero allestiti
tre vascelli sotto il comando di Cristoforo Colombo; e dall'alto di una
di queste tre navi il felice navigatore vide per la prima volta quelle
terre che il suo genio gli aveva rivelate.
La notizia dell'esistenza di questi nuovi mondi era
appena giunta in Europa, che una moltitudine di apostoli riprendeva
coraggiosamente le tracce dei conquistatori. Sin dal 1503 dodici Frati
Predicatori partirono per le Indie Orientali; altri approdarono nel 1510
all'isola di S. Domingo; Fra Tommaso Ortiz fondò nel Messico, l'anno
1513, il primo convento domenicano; nel 1526 altri dodici Frati
Predicatori si disseminarono per la nuova Spagna e vi fabbricarono case
e conventi in numero di cento; quattordici Frati Predicatori, con a capo
il celebre Fra Bartolomeo di Las Casas, che aveva rivestito le lane di
S. Domenico, scesero nel Perù l'anno 1529; nel 1540 si contavano già
nella Nuova Granata tre conventi e quaranta case con chiese annesse, e
nel 1541 il Chilì possedeva case e conventi in numero di quaranta. Nel
1542 Fra Luigi Canceri annunziò il Vanielo nelle Floride; nella
penisola di Malaca e nelle isole vicine esistevano nel 1549 diciotto
conventi e sessantamila cristiani; a Lima i Domenicani fondarono nel
1550 un'università; nel 1556 essi giunsero a penetrare nel regno del
Siam, ed a Fra Gaspero della Croce spetta la gloria di essere stato il
primo missionario che, abbia posto piede in Cina. Nel 1575 Fra Michele Bénavidès
penetrò anch'esso nella Cina con due compagni e vi eresse la prima
chiesa cattolica sotto il titolo dell'Arcangelo Gabriele; scrisse
inoltre un'opera in lingua cinese, ed edificò un collegio per educare i
fanciulli nella religione cristiana. Venticinque Frati Predicatori
l'anno 1576 si diressero verso le isole Filippine, ed uno di essi, Fra
Domenico Salazar, ne fu il primo vescovq. Nel 1584 i Domenicani
evangelizzarono l'isola di Mozambico e la costa orientale dell'Africa;
nel 1602 fondarono una casa nel Giappone; e nel 1616 fondarono
un’Università a Manila.
Tutte queste missioni, più molte altre che sarebbe
troppo lungo enumerare, furono irrorate dal sangue il più puro ed il più
generoso. I due mondi sembrava facessero a gara nel far versare sangue
domenicano: i protestanti lo fecero correre a fiumi in Europa, e
l'America, l'Asia, l'Africa l'offrivano in olocausto ad altri errori.
Mai fino allora l'Ordine di S. Domenico aveva dato di sè così grande
spettacolo. Chi l'avesse potuto osservare dall'alto e comprenderlo con
un solo sguardo, come fa Iddio, non si sarebbe potuto persuadere come un
numero così piccolo di uomini avesse potuto parlare tante lingue,
occupare tanti luoghi, dirigere tante opere, versare tanto sangue.
Quello poi che più d'ogni altra cosa portò al colmo la loro gloria, fu
la coraggiosa resistenza opposta contro gli oppressori degli indigeni
americani. Quella terra pacifica che con tanta ingenuità aveva ricevuto
i primi vascelli europei, fu inondata -da una razza di gente che si
diceva spagnola e cristiana, ma nessuno l'avrebbe potuto credere.
Usarono con l'America e con gli americani come una tigre, che ha la
preda fra gli artigli. Quattro linee tracciate su di una carta
geografica davano diritto al primo accorrente ad un pezzo di terra
americana con gli abitanti che ne erano in possesso; i quali, appunto
perché padroni, divenivano i loro schiavi, se pure poteva chiamarsi
schiavitù una vita in cui lo schiavo era trattato peggio di una cosa
qualunque; sì poco era considerato! I famosi conquistatori credevano di
avere scoperto miniere inesauribili di oro e di uomini: uccidevano un
Indiano senza nemmeno pensarci; e quando si accorsero che il loro numero
diminuiva, ne andarono in caccia con mute di cani. L'indiano ancora in
libertà era considerato come cacciagione; ridotto in schiavitù, non
era da più di un animale domestico. Ben tosto il sangue versato cosi
alla semplice venne loro a noia; ne fecero allora oggetto di trastullo.
Aprivano il ventre alle donne'incinte, facevano a gara nel vedere chi più
destramente avesse diviso un Indiano in due parti, strappavano i bambini
lattanti dalle mammelle della madre, e fracassavan loro la testa
lanciandoli contro il muro, ovvero li gettavano nel fiume, dicendo: «nuota,
o piccolo bambino, nuota». E quando presi da una specie di rimorso,
venne loro in mento che forse avrebbero avuto bisogno un giorno di
giustificarsi, esposero in iscritto la teoria delle loro azioni. Secondo
essi, Iddio onnipotente, padrone del cielo e della terra, vista la
superiorità di loro Spagnoli, sopra gli Indiani, aveva loro concessa
l'America; e Gesù Cristo stesso aveva confermata tale cessione in forza
del Battesimo ch'essi avevano ricevuto. E siccome si sarebbe potuto
obbiettare che anche agli Indiani non mancava altro che il battesimo,
essi sostenevano che gl'Indiani erano incapaci di battesimo, perché per
esser cristiano è d'uopo esser prima uomo!
La questione era di sapere se si sarebbe presentato
alcuno in quelle sciagurate regioni il quale in nome della giustizia
avesse rivendicati i diritti dell'umanità, della religione,
dell'Europa. Questa gloria fu riservata all'Ordine di S. Domenico. I
suoi missionari tutti quanti, niuno eccettuato, furono gli intrepidi ed
eroici difensori degli Indiani; e dall'alto del pergamo, o con gli
scritti presso il Consiglio di Castiglia e presso la S. Sede accusarono
gli oppressori, e fecero di tutto per creare un'opinione contraria ed
opprimere la tirannia. Nel 1537 Fra Giuliano, vescovo di Tlascala e Fra
Domenico Bétanzos, priore provinciale, rivendicarono in un'opera il
diritto degli Indiani alla libertà, alla proprietà, al cristianesimo,
e la inviarono per mezzo di deputati al Papa Paolo III, supplicandolo di
emanare un decreto conforme a quello che essi avevano esposto. Paolo III
non fece aspettare tal decreto, e dichiarò solennemente che gli Indiani
erano uomini capaci della fede cristiana, degni dei Sacramenti della
Chiesa, e che non potevano, senza ingiustizia, esser privati dei loro
beni e delle loro libertà. Furono molti i Frati Predicatori che si
acquistarono allora gloriosa fama; uno però più d'ogni altro si
distinse, e raccolse nella sua memoria immortale la gloria di tutti.
Fu questi Bartolomeo de Las Casas, di nobili natali,
originario di Siviglia, che s'imbarcò per l'America nel 1502, in età
di 28 anni. Mettervi piede e sentirsi tutto compreso da compassione e da
orrore al triste spettacolo fu tutt'una. Egli allora, invece di pensare
a far fortuna, risolvé di consacrar la sua vita a difesa dell'America.
Vi si preparò iniziandosi, col ricevere il sacerdozio, ai segreti più
intimi della redenzione del mondo; e fino all'età di settantasette
anni, fino cioè che una goccia di sangue gli corse pelle vene, non cessò
di lavorare in pro di una causa così santa. Fu veduto traversare otto
volte l'Oceano per recarsi dall'America alla Corte di Spagna e dalla
Corte di Spagna all'America, portando lacrime e, riportandone solo
inutili decreti. In un consiglio, in cui si meditava una Monarchia
universale fu inteso esclamare: ma tutte le nazioni sono ugualmente
libere, e non è permesso ad alcuno attentare alla libertà degli altri;
ed ebbe anche il coraggio di presentare a Carlo V un memoriale dal
titolo «La distruzione degli Indiani per opera degli Spagnoli», in cui
tutti i delitti de'suoi compatriotti vi erano numerati a caratteri di
sangue, a costo di sacrificare alla giustizia la personale sicurezza e
l'onore stesso della propria nazione.
Carlo V fu assai magnanimo nel nominarlo Protettore
Generale delle Indie; ma questa magnifica nomina, nonostante i pieni
poteri che vi erano annessi, non servi che a convincere il Las Casas del
pochissimo bene che posson fare i re quando l'ambizione è il loro
pensiero principale e la giustizia un mero ripiego della loro coscienza.
Las Casas in mezzo alla sua carriera rivolse tristamente lo sguardo
sopra se stesso e sopra il suo secolo; e sentitosi incapace di
continuare a portare da solo tutto il peso del suo cuore, rivestì a
quarantott'anni le lane di S. Domenico, l'abito che ricopriva allora
tutto ciò che di più generoso era rimasto sulla terra. Parve ne
attingesse novelle forze e nuove virtù; ed il settantesimo anno di età
lo raggiunse alla Corte di Spagna a far premure in favore'degli Indiani.
Questo vecchio incanutito nell' apostolato, che da giovane aveva
rifiutato il vescovato di Cusco, credé che l'episcopato ora gli
gioverebbe, come un bastone al viaggiatore ormai affranto dal cammino e
dagli anni, ed accettò il vescovato di Chiapa, riattraversando, e fu
per l'ultima volta, l'Oceano per tornare in soccorso dell'America. Fosse
tenerezza di un uomo di settanta sette anni, cui torna in mente il paese
della sua infanzia, o fosse per non sentire dal suo letto di morte gli
ultimi gemiti delle popolazioni indiane distrutte da un mezzo secolo di
barbarie, egli volle morire in Spagna. E mentre la sua patria lo
custodiva con venerazione, come una fiamma venuta dall'alto che è per
estinguersi e come una reliquia che la morte non ha ancora interamente
consacrata, egli rianimando la sua vita nella carità, vi spigolò
ancora quindici anni di ammirabile decrepitezza. La sua voce quasi
secolare si fece udire ancora una volta nel consiglio di Castiglia in
favore degli Indiani, e la sua mano che si credeva ormai inaridita
scrisse i famosi trattati della Tirannia degli Spagnoli nelle Indie.
Finalmente, carico di anni, colmo di meriti e di glorie, trionfante di
tutti i suoi detrattori, Las Casas morì a novantadue anni nel convento
dei Frati Predicatori di Valladolid, lasciando alla posterità fama di
grande uomo di Dio e del popolo.
L'America Spagnuola si è ricordata di tutte queste
premure; essa non ha dimenticato coloro' che furono i suoi apostoli, i
suoi amici, i suoi padri, i suoi tutori, i martiri dei suoi diritti.
Venti rivoluzioni l'hanno messa sossopra dallo stretto di Magellano al
golfo di California; i suoi antichi sovrani, che. si chiamavano
fastosamente re della Spagna e delle Indie, sono stati cacciati da tutti
i loro domini transatlantici; ma l'umile Frate di S. Domenico e di S.
Francesco prega sempre indisturbato su quella terra riconoscente, nulla
temendo né dal passato, né dall'avvenire..La Chiesa cattolica che
rimase fedele a quelle regioni sventurate nel tempo della loro
oppressione, è rimasta fedele anche nel tempo della loro libertà, e
malgrado le proposte della corte di Spagna, ha continuato- a provvedere
alla successione dei loro vescovi. Questo è uno degli atti più
illustri del sommo Pontefice Gregorio XVI, felicemente regnante, di
quest'augusto vecchio che in pochi anni ha saputo acquistarsi nel cuore
dei cristiani una gloria antica, una memoria che ha già tutto il peso
dei secoli.
E l'America dal canto suo ha dato alla Chiesa ed agli
Ordini religiosi nuove prove del suo invincibile attaccamento: essa ha
proclamato nei suoi statuti i diritti eterni della religione; e quando,
or non è molto, la Spagna atterrò le porte dei suoi chiostri, antichi
quanto la sua nazionalità, il governo del Messico dette ordine ai suoi
consoli di offrire un asilo ai religiosi dispersi, dando ad ognuno
trecento scudi per le spese di viaggio, il transito gratuito sul
vascelli dello stato, ed una pensione vitalizia a carico del pubblico
erario, all'unica condizione, nobilissima e piena di spirito cristiano,
che si fossero occupati delle missioni. E difatti molti han profittato
di queste generose offerte, e riuniti da diversi punti nel porto di
Genova, si sono imbarcati per andare in cerca nel Messico delle tracce
dei loro maggiori. Così mentre la maggior parte delle monarchie
d'Europa perseguita gli Ordini religiosi, o disputa loro con somma
avarizia l'acqua ed il fuoco, le repubbliche del Nuovo Mondo li
trasportano seco a prezzo d'oro. Vanità delle vanità; e tutto è vanità,
fuorché l'amar Dio e servir Lui solo.