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VITA DI SAN DOMENICO

P. Enrico D. Lacordaire dei Predicatori


APPENDICE

L'ORDINE DI S. DOMENICO


 

CAPITOLO II

 

Idea generale dell'Ordine dei Frati Predicatori.

Motivi per ristabilirlo in Francia.

 

La Chiesa cattolica, considerata, nella sua gerarchia, in quanto governa la moltitudine dei cristiani, si chiama Chiesa insegnante: denominazione confermatagli dalla tradizione e che gli dié Gesù Cristo quando disse, agli apostoli quelle celebri ed ultime parole: Andate, e ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel Nome del Padre del Figliuolo e dello Spirito Santo, ed insegnate loro ad osservare tutto ciò che io vi ho comandato. Basta questo titolo per ricordare alla Chiesa gerarchica che il suo principale ministero è insegnare, dall'insegnamento derivando la fede, sorgente di ogni altra virtù cristiana: per cui i Sacramenti stessi sono ordinati ad illuminare l'anima nell'atto che la riscaldano. L'insegnamento cattolico però per essere al completo ha bisogno di apostoli, di pastori, di dottori. L'apostolo porta la verità a chi non la conosce ancora: è un viaggiatore che, ad imitazione di Gesù Cristo, va per le città e per le borgate, annunziando che il regno di Dio è Vicino, adattandosi nel suo linguaggio alla capacità dei popoli ai quali egli parla. Il Pastore invece custodisce il gregge già formato: eccolo là giorno e notte a disposizione delle sue pecorelle: la sua parola è quella di un uomo totalmente sicuro della comunanza di idee tra lui e tutti gli altri fedeli, non già quella di Paolo nell'areopago, il quale invoca in suo favore le tradizioni pagane e le testimonianze dei preti profani; per lui Gesù Cristo solo è l'autore ed il consumatore della fede. Il Dottore è l'uomo destinato all'istruzione dei sacerdoti ed alla difesa della verità per mezzo della controversia scientifica: è l’uomo di studio, che passa tutta la vita in mezzo al deposito della tradizione, contemplando dal punto di vista più elevato a cui lo spirito umano possa arrivare, il legame divino che unisce tutti i fenomeni e tutte le idee nel grande movimento dell'universo. Questi tre modi di insegnamento, diversi nei mezzi

e nel fine, sono come personificati nei tre grandi apostoli S. Pietro, S. Paolo e S. Giovanni. San Pietro, il principe degli apostoli, non è né un sapiente né uno scrittore. Semplice pescatore sulle rive di un lago guadagna la vita colle reti: Gesù Cristo lo chiama, gl'infonde, senza farne un genio, una fede sovrabbondante, e, quantunque destinato a pietra fondamentale della Chiesa, permette che rinneghi tre volte il Maestro, per insegnargli colla sua propria esperienza ad aver compassione della debolezza dei suoi fratelli: egli ha per simbolo le chiavi. San Paolo, il principe dei predicatori, apprende alla scuola dei sapienti del suo tempo la conoscenza della legge; non

giunge però a conoscere Gesù Cristo mentre ancora era in vita, e lo perseguita dopo la morte, affinché iniziato per propria esperienza ai misteri dell'errore, ne conosca il lato forte e il debole, ed annunziando un giorno il Vangelo a tutte le nazioni non disperi della salute di alcuno, per quanto restio alla verità., il suo genio è ardito come i suoi viaggi: conosce le idee dei popoli dove passa, cita agli Ateniesi i loro poeti, interpreta le loro iscrizioni sacre, si fa tutto a tutti, come dice egli medesimo: ha per simbolo la spada. San Giovanni, il principe dei dottori, comparisce col capo appoggiato sopra il petto del maestro, al quale solleva questioni che altri non avrebbe ardito

sollevare; egli è vergine, perché i sensi sono il primo impaccio al conseguimento della verità; egli è il discepolo prediletto. Libero dagli impacci del governo generale della Chiesa e dalle fatiche de'lunghi viaggi apostolici, non muore sulla croce come S. Pietro, né come S. Paolo, sotto la spada, ma nel proprio letto, in una divina vecchiezza, ridotto a non avere altro fiato che per ripetere queste parole, le prime e le ultime di ogni vero insegnamento: Figliolini miei, amatevi l'un l'altro. Il suo simbolo è l'aquila.

Nei primi tempi della Chiesa queste tre solenni funzioni dell'insegnamento apostolico, pastorale e scientifico non erano d'ordinario separate. Un sacerdote inviato dai suoi legittimi superiori in qualche regione non ancora rischiarata dalla luce del Vangelo, la percorreva prima come apostolo, si stabiliva quindi nella città principale del luogo, addivenendo ad un tempo pastore e dottore di quella cristianità da lui formata con la sua predicazione, felice se giungeva ad esserne anche il martire, per rinforzarne così le fondamenta con le ultime gocce di un sangue tutto consacrato al servizio di Dio. Così furon fondate le Chiese d'Oriente, così quelle delle Gallie. Ma col tempo il ministero pastorale divenne sempre più difficile: i vescovi si trovarono sovraccarichi di una moltitudine di affari, quali l'assistere ai concili generali e particolari, le relazioni colle autorità civili, gli arbitrati, la cura del dominio temporale della Chiesa; e parallela a questo immenso sviluppo di azione esteriore, progrediva a grandi passi la scienza cattolica. Non più ristretta al solo Vangelo ed alla tradizione, i suoi libri, causa le controversie, si accumulavano ogni giorno più. Quindi la necessità di conoscere ciò che avevano scritto i dottori precedenti, le decisioni dei concill, la storia delle eresie, le dottrine dei filosofi passati e presenti, le antichità cristiane e profane, in una parola tutto quel cumulo immenso di fatti e di controversie che costituiscono la scienza ecclesiastica. Anche le difficoltà dell'apostolato erano cresciute dietro I moltiplicati 1isogni del ministero pastorale, che, limitato dapprima alle grandi città, doveva in seguito occuparsi ancora di tutte le chiese regolarmente costituite e sparse per le campagne. Così vasto governo assorbiva tutto le energie del vescovo, il quale, più clíe pensare a mandare operai evangelici in paesi lontani, doveva occuparsi di provvederne il proprio gregge. Per ovviare a tutte le necessità dell'insegnamento cattolico non rimaneva quindi che la divisione di tanto lavoro.

Questa però non fu cosa, che venne fuori ad un tratto, per una decisione a priori: la Chiesa non agisce mai in questo modo; in lei tutto si svolge naturalmente. I provvedimenti nascono accanto ai bisogni, con una gradazione lenta e quasi insensibile; cosa che in questo knovimento generale delle cose e dei tempi, fa scomparir sempre la mano dell'uomo e comparire quella di Dio.

San Benedetto stabilì nel secolo VI la vita monastica. in Occidente. Il suo scopo non fu né l'apostolato, né la scienza divina; ma la santificazione delle anime per mezzo della preghiera, del lavoro, della solitudine. Tuttavia i Papi In diverse occasioni si servirono dei Benedettini per la propagazione.: del Vangelo, come S. Gregorio Magno, che inviò nell'Inghilterra il monaco Agostino per convertirla al cristianesimo e fondarvi l'arcivescovato dì Cantorbèry.

In seguito poi alle Invasioni barbariche, i monasteri rimasero il solo asilo delle lettere e delle scienze, essendo stati gli unici a salvarne gli avanzi. Ma anche questi due grandi fatti mon valsero a creare l'idea di applicare gli Ordini religiosi, dietro una nuova organizzazione, all'in segnamento apostolico e scientifico: si lasciarono quali erano, salvo a servirsene per eccezione a scopo diverso dal proprio.

Al principio del secolo XIII però la Chiesa d'Occidente si vide per la prima volta minacciata da serie eresie. Non si trattava più delle eresie opposte alla fede cattolica dall'immaginazione leggera e sottile dei Greci, tutti errori speculativi, i quali non si risolvevano altro che in una specie di smarrimento o di epilessia in presenza dell'infinito. Il carattere pratico degli Occidentali si manifestò fin dai primi passi verso il male: essi andarono diritti allo scopo, attaccando la Chiesa, cioè la società religiosa. E da seicento anni in qua abbiano avuto per loro organo Valdo o Viclefo, Giovanni Huss o Lutero, non hanno cambiato affatto da una rotta così bene indovinata, e la questione del secolo XIII è ancora la nostra. Centro di tali agitazioni sociali era allora il mezzogiorno della Francia, sia che i nemici della Chiesa si fossero trovati colà per caso, sia che di proposito avessero eletto quel luogo. Occu ava la cattedra di S. Pietro Innocenzo III, il quale, da pastore vigilante, aveva inviato contro gli eretici tre legati apo stolici, tratti da quel famoso Ordine,dei Cisterciensi, che S. Bernardo illustrava ancora dalla sua tomba. L'ambasciata o la missione, come piaccia ebiamarla, era composta di bravissima gente, ma circondata da tutti gli splendori di una religione vittoriosa: non era questo il disegno della Provvidenza, che conosceva l'avvenire.

Al principio del 1205 i legati apostoliel si trovavano a Montpellier stanchi e scoraggiati pei loro scarsi successi, quando venne a passare di là un vescovo spagnolo, di ritorno in patria dopo lungo viaggio. Il vescovo andò a far visita ai legati. Il discorso cadde subito sugli eretici e sulle difficoltà della missione; ed il vescovo disse allora ai legati che, ove si desiderasse riuscire, conveniva metter da parte il lusso, andare a piedi, ed unire alla predica, zione l'esempio di una vita austera e povera. Per quanto inaspettato, tal consiglio penetrò diritto nel cuore dei presenti, cristiani di vera tempra. Quando un'anima è cristiana ogni parola magnanima la scuote. D'altronde era troppo manifesto che per far colpo su quelle popolazioni profondamente guaste e che mai cessavano di rinfacciare alla Chiesa le sue ricchezze e la sua potenza, non restava miglior mezzo di un apostolato che offrisse lo spettacolo di un'abnegazione senza misura. I legati seguirono il consiglio del vescovo spagnolo, Don Diego d'Azevedo, il quale, rimandato il suo seguito in Spagna, si unì loro, come fecero pure alcuni Abati di Citeaux, arrivati poco dopo. Percorsero allora a piedi le città e i villaggi, chiedendo l'elemosina, predicando, conversando, disputando, sostenuti nelle loro predicazioni e nelle loro sofferenze dalla sola verità, sorgente di ogni forza e di ogni consolazione.

Tuttavia i successi, sebbene maggiori che pel passato, non corrisposero al loro zelo; per cui in capo a due anni, stanchi o richiamati dai loro doveri, abbandonarono quel suolo invano bagnato da tanti sudori. Un solo uomo vi restò, nato in Spagna da illustre famiglia, condotto in Francia dal vescovo Diego di cui era l'amico, e dal quale era stato creato canonico della cattedrale di Osma: si chiamava Domenico di Gusman.

E' degno di nota come i fondatori dei grandi Ordini religiosi, quantunque non Francesi, sempre siano capitati in Francia a gettare le fondamenta dei loro istituti. San Colombano difatti, autore di una celeberrima regola monastica, passò dall'Irlanda in Francia e si stabilì a Luxeuil; San Brunone lasciò le sponde del Reno per domandare alle montagne del Delfinato un luogo solitario che dette poi il nome ai Certosini, dei quali egli fu padre. S. Norberto, un altro alemanno, ottiene del vescovo di Laonuna palude, dove stabilire l'abbazia e l'ordine dei Premonstratensi. Più tardi la collina di Montmartre in alto di Parigi, vede uno stuolo di studenti spagnoli cominciarvi con un voto quella compagnia di Gesù, che di là si è diffusa per tutta la terra.

Anche Domenico fu spinto in Francia da quella stessa forza che vi trasse i suoi antecessori e successori, senza sapere neppur lui perché vi fosse venuto. Ben presto il rumor delle armi turbò le sue pacifiche predicazioni; imperocchè, pubblicata che fu la crociata contro gli Albigesi, fu un accorrere in folla di baroni cristiani intorno alla bandiera del loro generale, Simone di Montfort, «i quali, sotto il di lui comando, commisiro nella Linguadoca tante crudeltà ed ingiustizie, dice Godescard, da non potersi giustificare giammai. Non si puniscono i delitti con altri delittil Uno zelo apparente per la fede, nascondeva nei più un fondo secreto di avarizia, di ambizione et di vendetta». Ma qualunque sia il giudizio da formarsi intorno a questa guerra, Domenico ebbe la gloria di far contrappeso, al cospetto di Dio e degli uomini, al sangue che fu versato. Mai la religione accanto al cavaliere armato per la difesa della fede e che insieme all'unzione del cristiano porta in petto l'asprezza dell'uomo, ebbe un rappresentante. più puro di Domenico. La storia contemporanea lo mostra così alieno da questa guerra, così estraneo alle deliberazioni dei duci, ai trattati delle parti, ai concili dei vescovi, che il lettore, prevenuto com'è da ciò che ha sentito dire, ne rimane fortemente meravigliato. Mentre i legati ed il conte di Montfort, lontani dalla sorveglianza d'Innocenzo III, ed oltrepassando i loro poteri obbligano più tardi il pontefice a protestare contro di essi davanti a tutta la cristianità nella chiesa di S. Giovanni in Laterano, Domenico, assai più felice, obbliga nel 1812 le Cortes Spagnole, riunite nell'isola di Leon, a dichiarare che egli non oppose mai all'eresia altre armi fuorchè la preghiera, la pazienza e l'istruzione. Gloriosa testimonianza, resa a Domenico dalla sua patria, seicento anni dopo la morte!

Uno scrittore protestante, M. Hurter, presidente del concistoro di Schaffhausen, nella vita di Innocenzo III ha, consacrato quasi un intero volume al racconto della crociata contro gli Albigesi; il nome di Domenico però vi comparisce appena. Così, in questo secolo destinato a rettificare tanti accreditati errori, dal seno della scienza protestante, come dal seno delle Cortes Spagnole si sono levate voci imparziali per render giustizia all'uomo inviato dalla Provvidenza in mezzo a sanguinosi conflitti, appunto perché fosse l'esemplare dello spirito cristiano.

E la preghiera, la pazienza, l'istituzione furono le sole armi che Domenico continuò ad usare anche dopo la guerra. Predicava e teneva conferenze senza posa; insensibile agli oltraggi di cui era fatto oggetto perfino nelle pubbliche vie, non curante della sua vita, minacciata assai spesso. Un giorno che aveva scampato il pericolo, uno degli eretici gli domandò per millanteria che cosa avrebbe mai fatto, se fosse caduto nelle loro mani: «Vi avrei pregato, rispose, di non uccidermi di un sol colpo, ma di tagliarmi pezzo a pezzo le membra e dopo avermi lasciato per qualche tempo nuotare nel mio sangue, troncarmi per ultimo il capo». - I suoi viaggi apostolici non gli impedirono di aver cura anche di un monastero di donzelle, da lui fondato a Prouille, non lontano da Carcassona. Aveva egli notato che causa, in buona parte, della distruzione della fede cattolica in quelle regioni erano i matrimoni contratti tra eretici e giovani povere; e per non lasciare queste ultime nell'alternativa della miseria o dell'apostasia, aveva loro aperto un asilo a Prouille. A quando a quando si portava colà a prendere qualche ora,di riposo, e riguardava con amore quella casa sorta in mezzo agli orrori della guerra, come nido di colombe in luoghi dominati da formidabili aquile.

Passarono così altri sette anni della vita di Domenico, senza che il servo labotioso, nonostante tanti sudori, si stancasse. In questo frattempo qualche zelante sacerdote si era unito volontariamente a lui; ed egli vedendosi omai giunto a quello stadio della vita in cui la giovinezza è già trascorsa e sta per cominciare la rapida china verso il sepolcro, cominciò allora a pensare di proposito alla fondazione di un Ordine apostolico, che avesse per fine la difesa della Chiesà colla predicazione e colla scienza. Si racconta che la sua madre, quando ancora lo portava nel seno, sognò che avrebbe dato alla luce un cane con in bocca una fiaccola accesa; vero simbolo di un Ordine, mai da altri sorpassato in eloquenza e in dottrina.

Domenico, affermatosi in questo suo proposito. nel 1217 partì a piedi per Roma, affine di comunicarlo al Sommo Pontefice: tanto il grande uomo, benchè al colmo della maturità, diffidava di sè, tanto riteneva necesgaria la benedizione della S. Sede, per la solidità di ogni buon progetto! Occupava tuttora la cattedra di S. Pietro Innocenzo III. Questi non accolse con grande favore il pensiero dell'uomo apostolico e negò la sua approvazione; ma la notte, divina consigliera degli uomini, lo indusse a miglior partito. Mentre era immerso nel sonno, gli sembrò di vedere la chiesa di S. Giovanni in Laterano che stava per rovinare, e Domenico li colle spalle a sorreggerne le mura cadenti. Innocenzo fece allora richianiare l'uomo di Dio, e gli ordinò di tornare in Francia dai suoi compagni, di scegliere insieme con loro la regola, che poi gli avrebbe dato ogni soddisfazione.

Fino allora, come abbiamo già detto, gli Ordini religiosi non avevano avuto per fine né l'apostolato né la scienza divina. Erano sante repubbliche, dove le anime che avevano fame e sete della giustizia, di qualunque condizione fossero, andavano a cercare nella solitudine il lavoro, la preghiera, l'obbedienza, virtù troppo pure per il mondo. Il mondo li osservava da lontano, come si fa di quei castelli che, viaggiando in pianura, si vedono sulla cima delle montagne. Molto di rado il cenobita prendeva in mano il bastone per recarsi fra gli uomini. Sant'Antonio non lasciò che una sola volta il deserto di Kolsim per difendere in Alessandria la fede cattolica, combattuta dagli imperatori. San Bernardo, regolati appena e gemendo, gli affari d'Europa, non vedeva il momento di rientrare a Clairvaux. Fu il primo Domenico, eletto da Dio a dare alla Chiesa una nuova milizia, a concepire l'idea di unire insieme la vita del chiostro e la vita del secolo, il monaco e il prete: disegno chimerico a prima vista; maiper quante virtù si richiedono dagli uomini, non bisogna mai disperare di essi. La natura umana non è come il Nilo: non si è scoperto ancora il punto più alto della stia elevazione. E S. Vincenzo de Paoli fece certo cosa più ardita di S. Domenico, quando, sotto il nome di Suore di Carità, destino liberamente alcune giovani donzelle alla ricerca della miseria, alla cura dei malati di ogni età e di ogni sesso negli ospedali. rispondendo a chi si meravigliava che non avesse dato loro neppure il velo, queste semplici e divine parole: «Serviranno da velo le loro virtù».

L'Ordine creato da S. Domenico non è adunque un Ordine monastico, ma un'associazione di Fratelli, i quali uniscono la forza della vita comune alla libertà dell'azione esteriore, l'apostolato alla personale santificazione. La salvezza delle anime, ecco il loro scopo principale, l'insegnamento vero, il principale mezzo! Andate e insegnate aveva detto Gesù Cristo ai suoi apostoli; andate e insegnate ripetè Domenico. Dopo un anno di noviziato tutto spi-i rituale, otto anni continui di studi filosofici e teologici preparano i discepoli di S. Domenico a salire degnamente il pulpito nelle chiese, o la cattedra nelle università. Per quanto però la predicazione e la scienza siano le, loro armi favorite, niente che possa tornare utile al prossimo, è alieno dalla loro vocazione. Nell'Ordine di S. Domenico, come nella repubblica romana, la salute del prossimo è la legge suprema. Ed è appunto per questo che, salvo i tre voti di povertà, castità ed obbedienza, legami indispensabili in ogni associazione religiosa, tutte le altre regole non obbligano sotto pena di peccato, ed è sempre in facoltà del superiore poterle dispensare, affinché il giogo della vita comune non sia mai d'impedimento alla libertà del bene.

Un Superiore unico, chiamato Maestro Generale,governa tutto l'Ordine, che è diviso in Provincie. Ciascuna Provincia, composta di più conventi, ha a capo un Priore Provinciale, e ciascun convento un Priore Conventuale. Il Priore conventuale viene eletto dai membri stessi del convento, e confermato poi dal, Priore Provinciale; il Priore Provinciale viene eletto dai Priori conventuali «della Provincia e dai Compagni dei Priori che manda ciascun convento; spetta poi al Maestro Generale darne la conferma. Il Maestro Generale è eletto dai Priori Provinciali e da due altri deputati da ciascuna .Provincia. L'elezione viene temperata così dalla necessità di aspettare la conferma, e l'autorità della gerarchia è temperata a sua volta dalla libertà del voto. Analoga conciliazione esiste pure fra il principio dell'unità, tanto necessaria al comando, e l'elemento della moltiplicità, necessario anch'esso per un'altra ragione. Imperocchè il Capitolo Generale, che si raduna ogni tre anni, fa da controllo al Maestro Generale, come il Capitolo Provinciale, che si raccoglie ogni due anni fa da controllo al Priore Provinciale. Ed il comando stesso, oltrechè temperato dall'elezione e dalle assemblee, è commesso per tempo assai limitato, fatta eccezione pel Maestro Generale che una volta era a vita, e presentemente dura in ufficio sei anni. Queste le Costituzioni che un credente del secolo XIII dava ad altri eredenti; le Carte moderne comparate con quelle apparirebbero senza dubbio stranamente dispotiche! Migliaia e migliaia di uomini, disseminati per tutta la terra, hanno vissuto per più di seicento anni sotto questo regime di unione e di pace, come i più laboriosi, i più obbedienti, i più liberi degli uomini.

Restava a sapersi come questi nuovi fratelli avrebbero provveduto al loro sostentamento; ed anche qui si manifestò tutto il genio di San Domenico. Gli Ordini religiosi allora esistenti erano padroni di ricchi possedimenti, per esser liberi cosi dalle molteplicí cure, che richiamano continuamente verso la terra il provvido padre di famiglia. E veramente per un Ordine monastico, non destinato affatto all'azione, è difficile trovare modo migliore di sostenlamento all'infuori della proprietà. Ma Domenico creava apostoli e non contemplativi; e gli pareva sentirsi ripetere internamente quelle parole dette dal Signore quando inviava alle nazioni i suoi primi d iscepoli: Né oro, né argento, né moneta sia nelle vostre cinture; non portate bisaccie per via, né due tonache, né calzari, né bastone, imperocchè l'operaio è degno del suo nutrimento; e quelle altre parole: Cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato per soprappiù; e queste ancora: Le volpi hanno le loro tane, gli uccelli del cielo i loro nidi; solo il Figliuolo dell'Uomo non ha dove riposare il suo capo; e finalmente le parole dell'apostolo S. Paolo: Voi sapete che queste mani mi hanno bastato. Per il cristiano, e diciamo ancora per l'uomo non accecato dall'orgoglio, il principal dovere è guadagnarsi la vita, vale a dire dare per ricevere. Chiunque riceve senza dare è fuori della legge di amore e di sacrifizio, per la quale gli esseri si generano, si conservano, e; perpetuano: al contrario, chi dà molto e riceve poco, come fa il soldato, rende il più bell'onorei all'umanità, ravvicinandosi sempre più a Dio, il quale dà tutto e non riceve nulla. Guadagnarsi la vita e guadagnarsela giornalmente, dare in cambio dei pane quotidiano la parola e l'esempio evangelico costantemente ripetuto, ecco il pensiero che seduceva Domenico, il quale in questa privazione del diritto di possedere, sia pure in comune, scopriva anche altri vantaggi. Imperocchè quando un Ordine religioso non ha rendite fisse, dipende necessariamente dalla pubblica opinione, e non vive che in ragione di essere utile; è al soldo del popolo, il quale non paga mai volontariamente se non chi lo serve bene. Un convento perde di stima? All'istante, senza chiasso, senza rivoluzioni sarà assalito dalla morte. Domeuico adunque nel primo Capitolo generale tenutosi a Bologna nel 1220 si dichiarò mendicante per sè e pe' suoi; ebbe fede nella virtù dei suoi successori non meno che nell'equità del popolo cristiano, e legò senza timore alle generazioni future questo perpetuo scambio di reciproco aiuto. Per ben duecentocinquanta anni da amb:LAe, parti si rimase fedeli, finchè sulla fine del secolo XV il Papa Sisto IV permise, sia di chi si vuole la colpa, di potere acquistare e ritenere possessioni.

Domenico non era ancora tornato a Roma per portarvi le sue costituzioni affinché fossero approvate, come il Sommo Pontefice gli aveva detto, che questi, cioè Innocenzo III, ebbe occasione di scrivergli. Chiamato un segretario, gli disse: « Sedetevi, e scrivete le tali e tali cose a Fra Domenico e ai suoi compagni ». Sloffermatosi un poco, soggiunse: « No, non scrivete in tal modo, ma così: A Fra Domenico ed a coloro che predicano con lui nella provincia di Tolosa». Riflettendoci ancora sopra, disse: «Scrivete in questa maniera: Al Maestro Domenico e ai Frati Predicatori». Fu così che lo Spirito Santo rivelò il nome da darsi al nuovo Ordine; a Roma infatti e dovunque, si principiò a chiamarlo Ordine dei Frati Predicatori.

Il 22 dicembre 1216, l'indomani della Festa dell'Apostolo S. Tommaso, l'Ordine dei Frati Predicatori potè ottenere finalmente l'approvazione da Roma, sotto il Papa Onorio III, con due bolle datate dal palazzo di S. Sabina, la più breve delle quali è di quosto tenore: «Onorio, vescovo, servo dei servi di Dio, al nostro caro figlio fra Domenico, priore di S. Romano di Tolosa, e ai suoi fratelli che hanno fatto e faranno professione di vita regolare, salute ed Apostolica benedizione. Considerando che i fratelli del vostro Ordine saranno i campioni della fede e la luce del mondo, noi confermiamo il vostro Ordine con tutte le sue terre e possessioni presenti e future, e prendiamo sotto la nostra cura e sotto la nostra protezione l'Ordine stesso, coi suoi possedini enti e i suoi diritti. Data a Roma, presso S. Sabina, ai 22 dicembre, anno primo del nostro Pontificato».

Cinque anni dopo, cioè nel 1221, ai 6 del mese di Agosto, Domenico morì, lasciando il suo Ordine diviso in otto provincie, costituite da sessanta conventi. Aveva cinquantun'anno.

Così avvenne nella Chiesa cattolica la divisione dei tre grandi rami dell'insegnamento. Ai vescovi ed al clero rimase l'insegnamento pastorale con tutti gli uffici che vi sono annessi: ai religiosi fu affidato, sotto la giurisdizione dei vescovi, il ministero della predicazione e della scienza divina. Ai Frati Predicatori si unirono i Frati Minori di S. Francesco e più tardi altre congregazioni, secondo i tempi e i bisogni. La storia racconta le loro fatiche. Sorsero formidabili eresie, nuovi mondi furono scoperti; ma nelle regioni del pensiero come sul flutti del mare nessun esploratore potè andare più avanti dell'abnegazione e della scienza degli Ordinl religiosi. Ogni plaga della terra, ha conservato le traccie del loro sangue, ed ogni eco il suono della loro voce. L'indiano, inseguito prima come una bestia feroce, trovò un asilo sotto il loro mantello; l'africano conserva ancora sul suo collo il segno dei loro amplessi; il giapponese, il cinese, separati dal resto della terra poi loro differenti costumi e pel loro orgoglio, più ancora che per la lontananza, si sono avvicinati ad ascoltare questi meravigliosi stranieri. Il Gange li ha visti comunicare ai paria la sapienza divina; le rovine di Babilonia hanno loro offerto una pietra per riposarsi e ripensare, mentre si asciugavano la fronte, ai giorni antichi. Quali deserti o quali foreste non li hanno conosciuti? E c'è lingua che essi non abbiano parlato? Qual piaga dell'anima o del corpo la loro mano non ha curato? E mentre essi facevano e rifacevano il giro del mondofsotto ogni tenda, i loro fratelli parlavano nei Concili e nelle pubbliche piazze d'Europa; scrivevano di Dio, avvicinando fra loro il genio dei Padri della Chiesa a quello di Aristotile e di Platone, il pennello alla penna, lo scalpello dello scultore al compasso dell'architetto, dando alla luce in ogni ramo quelle famose Somme teologiche, diverso fra loro nella materia, identiche nel pensiero, che il nostro secolo è tornato a leggere e ad amare. Da qualunque lato si guardino, gli Ordini religiosi hanno riempito della loro azione gli ultimi sei secoli della Chiesa e ne hanno salvata la sua potenza, fatta bersaglio a continui assalti, a cui i vescovi da soli non avrebbero potuto resistere.

Ma non è la storia sola a proclamare la necessità degli Ordini religiosi; basta, per convincersene, dare uno sguardo intorno a noi stessi. Quali mezzi ha la Chiasa in Francia oggidì per formare i predicatori e I dottori di cui abbisogna? Per quanto raro sia il talento che un giovane prete ha ricevuto da Dio, non c'è vescovo in Francia che gli possa dare il tempo per farlo sviluppare, quel tempo necessario in ogni genere di progresso. Appena sortito dal seminario, il bisogno di provvedere al suo sostentamento costringe il giovane prete a ritirarsi in una parrocchia, dove fa quel che può, tormentato sempre dal secreto istinto della sua vera vocazione, ince rto fra quello. che fa e quello che vorrebbe fare, finchè sopraggiunta l'età matura si rassegna alla volontà di Dio, e non pensa più che a quelle opere buone che sono in suo potere. So al contrario si abbandona al suo slancio, per giunta non sempre sicuro, e si allontana dalla via comune, comincia per lui una carriera tutta irta di difficoltà. Il bisogno l'obbliga a mostrarsi, quando sarebbe ancora troppo presto; non ha maestri che lo formino e l'incoraggino; basta un'avversità per abbatterlo, un successo gli crea dei nemici. E' in balla continuamente della malinconia e della presunzione, simile a un povero fanciullo senza famiglia, il quale ora corre di bottega in bottega, ora si ferma all'angolo di una strada per ascoltare se alcuno pronunzi il suo nome.

Quanto è diversa la condizione di un giovane, il quale ha sinceramente consacrato a Dio il suo cuore e il suo talento in un Ordine religioso! Egli è povero, ma la povertà stessa lo mette al sicuro dalla miseria; la miseria è un'infelicità, la povertà una benedizione. Egli sottoniette il corpo a dura disciplina, ma tutto con vantaggio immenso della libertà dello spirito. Egli ha dei maestri che lo hanno preceduto nella carriera senza esser suoi rivali, egli si manifesterà a tempo, quando il suo pensiero, senza aver perduto ancora lo slancio della giovinezza, pure è, più maturo. Nelle contrarietà avrà chi lo consoli; nei trionfi chi ne attutisca l'orgoglio; la stia vita scorrerà come un fiume tranquillo fra le sue sponde e che punto s'inquieta del suo corso. Quante volte nei duri anni che ormai sono scorsi noi abbiamo abitato col desiderio quei tranquilli recinti che hanno calmate tante passioni e protette tante vite! L'età delle tempeste è per noi ormai passata; adunque è più per gli altri che per noi stessi, che vogliamo preparare un asilo. La nostra esistenza è ormai definita; abbiamo pressochè raggiunta la riva; coloro, che noi lasciamo in alto mare in balia dei venti, essi comprenderanno i nostri voti, e forse vi aderiranno.

Che se ci venisse domandato perché noi abbiamo data la preferenza all'Ordine dei Frati Predicatori, risponderemmo esserci sembrato il più confacente alla nostra natura, al nostro spirito, al nostro fine: alla nostra natura, pel suo governo; al nostro spirito, per la sua dottrina; al nostro fine, per i suoi mezzi d'azione, che sono principalmente la predicazione e la scienza divina. Del resto non intendiamo con questa scelta fare alcun rimprovero a qualsiasi altro Ordine; abbiamo di tutti somma stima, e ricordiamo quella lettera scritta da Clemente IV ad un cavaliere che l'aveva consultato per sapere se sarebbe, stato meglio che vestisse l'abito dei Frati Predicatori o quello dei Frati Minori: «Clemente, vescovo, servo dei servi di Dio, al nostro caro figlio e cavaliere, salute ed apostolica benedizione. Il consiglio che richiedete da noi, potevate ugualmente richiederlo a voi stesso. Imperocchè se il Signore vi ha ispirato di lasciare il mondo per abbracciare vita migliore, non vorremmo noi, né potremmo mettere ostacolo alcuno allo spirito di Dio, considerando ancora che voi avete un figlio già grande, il quale, come crediamo, potrà benissimo pensare alla vostra famiglia. Che se, perseverando sempre in questa vostra risoluzione, volete sapere quale dei due Ordini, o dei Frati Predicatori, o dei Frati Minori voi dobbiate abbracciare, lasciamo la scelta alla vostra Coscienza. Da voi stesso potrete conoscere le regol e dei due Ordini, non in tutto eguali, e che scambievolmente In diversi punti si sorpassano. Di fatti, in uno dei detti Ordini, il letto è più duro, la nudità' più incomoda, e, secondo pensano alcuni, la povertà più rigorosa; nell'altro il nutrimento è più frugale, i digiuni più lunghi, e come molti credono, la disciplina più santa. Noi non abbiamo adunque preferenza né per l'uno né per l'altro, persuasi come siamo che ambedue, stabiliti sopra una stretta povertà, tendano al medesimo fine, che è la salute delle anime. Quindi sia che entriate nell'uno o nell'altro, sempre vi incamminerete per quella via stretta e valicherete la piccola porta che introduce nella terra delle dolcezze e dello spazio. Ponderate adunque attentamente, esaminate con cura quale convenga meglio alivostro spirito, e dove crederete di profittare d i più, in quello entrate, e rimanetevi costante, senza ritrarre il vostro amore dall'altro. Imperocchè il Frate Predicatore che non amasse i Minori sarebbe esecrabile, ed il Frate Minore, che odiasse o disprezzasse l'Ordine dei Predicatori sarebbe parimenti esecrabile e degno di condanna. Data in Perugia, i giorno 13 Aprile, l'anno secondo del nostro Ponti ficato».

Questi sentimenti del Papa Clemente IV sono anche i nostri. Noi abbiamo scelto l'Ordine che maggiormente si confà al nostro spirito e nel quale speriamo fare maggior bene, senza menomare ad alcun altr'Ordine l'amore e il rispetto che a tutti è dovuto.

Forse ci verrà ancor domandato per qual ragione abbiamo preferito di ristabilire un Ordine antico, piuttosto che crearne uno nuovo. Noteremo due cose: in primo luogo, che la grazia di essere fondatore di u n Ordine è la più sublime e la più rara che Iddio conceda ai suoi Santi, e noi non l'abbiamo ricevuta. In secondo luogo, anche dato che fosse piaciuto al Signore di accordarci la forza di creare un Ordine religioso, siamo sicuri che, dopo avere! pensato e ripensato sopra, non avremmo scoperto niente di più nuovo, niente di più adatto ai nostri tempi ed ai nostri bisogni, della regola di S. Domenico. D'antico essa non ha che la storia; e non vediamo la necessità di arrovellarsi il cervello pel solo piacere di datare da ieri. San Domenico, S. Francesco d'Assisi e S Ignazio applicando i loro istituti alla propagazione del Vangelo per mezzo dell'insegnamento, hanno esaurite tutte le combinazioni fondamentali di questa, trasformazione. Si potrà cambiare l'abito e il nome, non già la reale natura di queste tre famose società. Se la storia dei Frati Predicatori va soggetta ad obbiezioni nello spirito dei nostri contemporanei, avviene lo stesso anche della storia della Chiesa. Basta avere attraversate due epoche per addivenir bersaglio a tal sorta di attacchi; poichè ciò che non dura dopianderà sempre conto a ciò che dura di una infinità di cose, per le quali la miglior risposta sarà continuare ad esistere. Non si continua infatti ad esistere, se non a condizione di tacite modificazioni, che lasciano il passato nel passato, e si protendono verso l'avvenire in virtù della loro armonia col presente. Succede della Chiesa e degli Ordini religiosi come di ogni corpo vivente, che conserva una immutabile identità, nonostante sia soggetto, pel progresso stesso della vita, ad un moto che incessantemente lo rinnovella. La Chiesa di oggi è identica nella sua gerarchia, nei suoi domini, nel suo culto, nella sua morale alla Chiesa del medio evo; eppure quanti cambiamenti! Lo stesso dicasi degli Ordini religiosi, e, nel nostro caso, dell'Ordine dei Frati Predicatori: rinfacciare a chiunque si sia il passato è rinfacciare all'uomo la culla, la vita alla vita.

 

 

 

INDICE

INTRODUZIONE

 

Capitolo I. Genesi di S. Domenico

Capitolo II Arrivo di S. Domenico in Francia

Suo primo viaggio a Roma

Colloquio a Montpellier .

Capitolo III Apostolato di S. Domenico dall' abboccamento di Moutpellier fino al principio della guerra Albigese

Fondazione del monastero di Notre-Dame di Prouille

Capitolo IV Guerra degli AlbIgesi

Capitolo V Apostolato di S. Domenico dal principio della guerra Albigese fino al quarto

Concilio Lateranense

Istituzione del SS. Rosario

S. Domenico ed i suoi primi discepoli a Tolosa

Capitolo VI Secondo viaggio di S. Domenico a Roma

Approvazione provvisoria dell'Ordine dei Frati Predicatori fatta da Innocenzo III

Incontro di S. Domenico con S. Francesco d'Assisi

Capitolo VII Riunione di S. Domenico e del suoi compagni a Notre-Dame di Prouille

Regola e Costituzioni dei Frati Predicatori

Fondazione del convento di S. Romano a Tolosa

Capitolo VIII Terzo viaggio di S. Domenico a Roma

Conferma dell'Ordine dei Frati Predicatori

Predicazione di S. Domenico nel palazzo del Papa

Capitolo IX Nuova riunione dei Frati Predicatori a Notre-Dame di Prouille, e loro diffusione in Europa

Capitolo X Quarto viaggio di S. Domenico a Roma

Fondazione dei conventi di S. Sisto e di S. Sabina

Miracoli che accompagnarono queste due fondazioni

Capitolo XI Soggiorno dì S. Domenico a S. Sabina

S. Giacinto ed il B. Ceslao entrano nell'Ordine

Miracolosa unzione fatta dalla Vergine Santissima sul B. Reginaldo

Capitolo XII Fondazione dei conventi di S. Giacomo a Parigi, e di S. Niccolò di Bologna

Capitolo XIII Viaggio di S. Domenico in Spagna ed in Francia

Sue veglie nella grotta di Segovia

Modo di viaggiare e sistema di vita del Santo

Capitolo XIV Quinto viaggio di S. Domenico a Roma

Morte del B. Reginaldo

Il B. Giordano di Sassonia entra nell'Ordine

Capitolo XV Primo Capitolo Generale dell'Ordine

Dimora di S. Domenico in Lombardia

Istituzione del Terz'Ordine

Capitolo XVI Sesto ed ultimo viaggio di S. Domenico a Roma

Secondo Capitolo Generale Malattia e morte del Santo Patriarca

Capitolo XVII Traslazione del corpo di S. Domenico

Canonizzazione del Santo

 

 

APPENDICE

L'ORDINE DI S. DOMENICO

Capitolo I Della legittimità degli Ordini religiosi dinanzi suo Stato

Capitolo II Idea generale dell'Ordine dei Frati Predicatori

Motivi per ristabilirlo in Francia

Capitolo III Azione dei Frati Predicatori come Apostoli

Loro Missioni nell' antico e nel nuovo mondo

Capitolo IV Azione dei Frati Predicatori come dottori

S. Tommaso d'Aquino

Capitolo V Artisti, Vescovi, Cardinali, Papi, Santi e Sante, dati alla Chiesa dall’Ordine dei Frati Predicatori

Capitolo VI L'Inquisizione

Capitolo VII Conclusione

 

 

 

 

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