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VITA DI SAN DOMENICO

P. Enrico D. Lacordaire dei Predicatori


APPENDICE

L'ORDINE DI S. DOMENICO


 

CAPITOLO I

 

Della legittimità degli Ordini Religiosi dinanzi allo Stato.

 

Se fossi vissuto in tempi anteriori ai nostri, e la grazia divina mi avesse ispirato di servire il Signore in un Ordine Religioso, scelto tra i più confacenti alla mia natura ed alla mia vocazione, vi sarei entrato senza farne parola altro che a Dio ed ai miei amici. Ma questa semplicità, possibile allora, anzi doverosa, - niente convenendo meno a ciò che sa di cristiano del fracasso e dell'ostentazione, - oggi non lo è più. Noi viviamo in un secolo in cui chi voglia farsi povero e servo di tutti, trova maggiore ostacolo a soddisfare questa sua volontà, che non ne troverebbe a procurarsi o la fortuna, o la fama. Tutti che in Europa comandano, re e giornalisti, aderenti alla monarchia assoluta o fautori della libertà, hanno fatto lega contro il sacrificio volontario che ognuno può fax di se stesso; e mai nel mondo si ebbe tanta paura di un uomo che vada a pie' scalzi, ricoperto di un ruvido saio. Se gli Ordini religiosi fossero, come altre volte, possessori di pingui patrimoni, conservati ed accresciuti dal favore stesso delle leggi civili, se i loro voti, riconosciuti dalle pubbliche autorità, avessero altro valore all'infuori di quello che loro proviene da un semplice consenso rinnovato ogni dì, altro carattere che quello della libertà assoluta, quest'allarme di tutti che comandano e di tutti i partiti sarebbe spiegabile. Gli uni rigetterebbero il privilegio, perciò stesso che privilegio; gli altri temerebbero per il fisco, privato dei vantaggi che ritrae dal rapido passaggio della proprietà in diverse mani; alcuni forse reclamerebbero la libertà individuale e la libertà di coscienza, inceppata da legami religiosi, non più fondati nella sola perseveranza interiore dell'anima nelle medesime circostanze; ad altri finalmente non andrebbero più a genio certi istituti ai quali la società moderna non avesse tolto, con radicali modificazioni, l'impronta del passato. Tutto questo, dico, si potrebbe spiegare. L'inesplicabile si è che uomini stanchi delle passioni, del sangue, e dell'orgoglio, compresi da tanto amore di Dio e del prossimo da renderli dimentichi di loro medesimi. non possano riunirsi. in una casa di loro proprietà, e lì, senza privilegi, senza voti riconosciuti dallo Stato, legati solo dalla propria coscienza, non possano vivere con cinquecento franchi a testa, occupati in servigi che l'umanità può bensì non comprendere, ma che in ogni caso, non nuoceranno mai ad alcuno. Ciò è inesplicabile veramente, ma è così. Quando noi, amici appassionati del nostro secolo, venuti fuori dal più profondo delle suo viscere, gli abbiamo domandato la libertà di non creder più a nulla, ce lo ha permesso: quando gli abbiamo domandato la libertà di aspirare alle cariche, agli onori, ce lo ha permesso: quando gli abbiamo domandato la libertà dì influire sui suoi destini, prendendo a trattare, ancora imberbi, le più gravi questioni, ce lo ha permesso: quando gli abbiamo domandato di che vivere con tutti i nostri agì, l'ha trovato buona cosa. Ma oggi, che, compresi da ideali divini, i quali agitano pure questo secolo, noi gli chiediamo la libertà di seguire le ispirazioni della nostra fede, di rinunziare a tutto, di vivere poveramente con qualche amico compreso dai medesimi desideri, oggi ci sentiamo, d'un tratto inceppati, messi al bando di non so quante leggi dinnanzi a quasi tutta l'Europa, pronta, se fosse duopo, ad opprimerci.

Tuttavia, anche minacciati da tanti ostacoli esterni, non'disperiamo ancora di noi medesimi: fidiamo in Dio che ci chiama e nella patria nostra.

E' stato detto che le comunità religiose sono interdette in Francia. dalle leggi; molti però lo hanno negato; altri hanno sostenuto che, sebbene tali leggi esistessero prima, vennero abrogate dalla Carta. lo non entrerò in tali questioni, non presentandomi in questo momento né da una cattedra, né dalla sbarra di un tribunale di giustizia. Invocherò invece un'autorità che è la , regina del mondo, che da tempo immemorabile ha prescritto delle leggi, ne ha stabilite delle altre, da cui dipendono le Carte stesse, e le di cui sentenze, sia pure non volute riconoscere per un momento, finiscono, presto o tardi, per andare in vigore. E' alla pubblica opinione ch'io domando protezione, e glie la domando, se è d'uopo, contro lei medesima, disponendo essa d'infinite risorse e di straordinaria potenza, appunto perché sa cambiarsi senza vendersi mai.

Adunque, qualunque siano le leggi vigenti, è certo che le comunità religiose esistono in Francia. Nonostante la incertezza e le contraddizioni delle leggi, nonostante le passioni sempre vive, sotto ogni regime di governo, così della Rivoluzione del 1830, come dell'impero della Restaurazione, esse sorsero e si accrebbero. Senza ricevere altro appoggio dallo Stato che di una semplice tolleranza, han vissuto del lavoro delle proprie mani, confortato dalla cooperazione della carità; e benché subdolamente sempre attaccate, mai da quarant'anni a questa parte, un insulto è giunto fino alla loro porta, mai uno scandalo ne ha varcato la soglia.

Stabilità così straordinaria in terreno il più fragile deve aver le sue cause. Quali? E' evidente anzi tutto che nel presente stato sociale, nessun costringimento o seduzione di sorta hanno potuto indurre un si gran numero di persone a preferire la vita comune a quella individuale. L'atto con cui oggi uno si consacra a un tal genere di vita, è esclusivamente un atto di elezione, un atto essenzialmente libero; e la moltitudine di uomini e di donne che là ripongono ogni loro avvenire, senza timore come senza rammarico, è la prova che la vita comune è la vocazione di alcune anime. Così fu in ogni tempo; ma oggi apparisce ancora più, ove si consideri lo stato precario delle comunità religiose e le passioni d'individualismo, che divorano il cuore degli uomini. Conviene oggi riconoscere che, malgrado sì sfavorevoli condizioni, vi sono nella natura umana altri gusti altre inclinazioni più forti dell'instintivo egoismo, sia pure legittimo. E con che diritto si potrà impedire di soddisfarli, quando non nuocciono a nessuno? E in che nuocciono? Qual male fanno mai al mondo quelle povere fanciulle, che a forza di virtù si sono create un asilo per la loro giovinezza e per l'età caduca? Che male gli fanno quei laboriosi operai, i quali alla loro patria non domandano altro che la libertà di poter mescolare insieme i loro sudori? Che male gli fanno le suore o i frati negli ospedali; che male quei sacerdoti che si uniscono insieme per portare il cristianesimo e la civiltà a popoli ancora barbari, per evangelizzare il proprio paese, o per educare la gioventù che loro viene affidata dagli stessi padri di famiglia? C'è male in tutto questo? Ma se non c'è merito, sono almeno gusti innocenti. Ed è inconcepibile che un paese, nel quale da cinquant'anni si proclama la libertà, vale a dire il diritto di fare tutto ciò che non può nuocere agli altri, perseguiti invece ad oltranza un genere di vita che piace a molti e che non nuoce ad alcuno! A che pro versare tanto sangue per difendere i diritti dell'uomo? Che forse la vita comune non'è un diritto dell'uomo, se pure non è un bisogno dell'umanità? Una povera fanciulla, che non vuol maritarsi, che non trova un amico sulla terra, non avrà il diritto di consegnare la sua dote di mille scudi ad una famiglia, che l'adotterà per figliola e per sorella, che l'alloggerà, la nutrirà, la consolerà e le donerà ancora a maggiore è tutela l'amore di Dio, che non inganna mai? Se tal genere di vita a qualcuno non piace, nessuno lo forza

di abbracciarlo: se altri, ricchi e contenti, non hanno sperimentato mai le miserie dell'anima e del corpo, buon per loro. Ma perché arrogarsi il diritto di privare chiunque di un asilo, che sarebbe sacro, quando pure non servisse che a soddisfare un capriccio della natura?

Ciò che fa cadere in orrore su questo punto anche persone di retta intenzione, è il ricordo, tutt'ora presente, degli antichi conventi. I conventi facevan parte una volta della stessa organizzazione sociale; e, oggetto d'invidia per le loro ricchezze,. liberavano le famiglie nobili da ogni cura dei loro figli minori e dalla necessità di dotare le figlie. Vocazioni innumerevoli, eccitate dall'arte domestica, popolavano di anime infastidite e mediocri i lunghi corridoi dei monasteri; e quelli stessi del volgo erano allettati dall'apparente felicità di vivere all'ombra di quelle alte mura, che nascondevano, secondo loro, una molle esistenza, bene spesso diventata effettivamente tale per la cupidigia appunto delle genti del secolo. Sia pur vero ciò, quantunque forse esagerato. Ma non si dimentichi che quest'ordine di cose, pel fatto stesso che lo stato non riconosce più i voti religiosi, è totalmente cessato: cosa che costituisce appunto il vero oggetto della presente legislazione, che s'invoca contro le comunità. Esse non sono più affatto istituzioni civili, esse non hanno più altri legami all'infuori della coscienza; la coscienza! questa sola li protegge contro gli abusi, che la forza cerca sempre introdurre nelle cose le più sante. Difatti le comunità religiose da quarant'anni a questa parte offrono in Francia uno spettacolo di virtù così pura e co sì perfetta, che ci vuol dell’ingratitudine per rinfacciar loro le colpe di un tempo che fu.

La gloria della Francia in questi quarant'anni appunto nell'aver saputo riprodurre continuamente quelle cose che non avrebbero dovuto mai essere distrutte, imitando in ciò la natura che abbatte sì i vecchi alberi, all'ombra dei quali riposarono intere generazioni, ma ne conserva sempre il germe, donde ne trae nuovi polloni, ai quali la posterità verrà a domandare ombra e frutti. Non deve dirsi adunque: la Francia ha fallito; poiché tutto ch'essa voleva distruggere, rinasce. Devo dirsi invece: la Francia è vittoriosa; poiché di tutte le cose ha saputo conservare il germe, la distruzione del quale soltanto avrebbe portato alla sterilità; mentre così esse tornano a svilupparsi in condizioni migliori nel ringiovanito suo seno. Aspirare alla distruzione del germe è volere la morte; e sarà sempre aspirazione vana, poiché Dio che ha lasciato in balia dell'uomo le esistenze individuali, non gli ha mai dato potere sulle loro prime radici. La natura, come la società, si befferanno sempre col loro inalterabile succo di quegli speculatori che credono poter cambiare le essenze delle cose, e far perire con una legge le quercia e i frati: le querce e i frati sono immortali.

Osservata più da vicino l'attuale costituzione delle comunità religiose, apparirà ancor meglio il principio da cui esse traggono la forza per lottare così vantaggiosamente contro tutti i pregiudizi. Una comunità religiosa consta di tre parti: dell'elemento materiale, dell'elemento spirituale e dell'elemento d'azione. Per elemento materiale lo intendo l'assieme esteriore di vita, cioè le regole che determinano l'abitazione, il vestito, il nutrimento, l'alzata, il riposo, gli atti insomma che riguardano, il corpo. L'elemento spirituale consiste, egli è chiaro, nel tre voti dì povertà, di castità e di obbedienza, da cui scaturiscono e a cui si ricongiungono le relazioni colla divinità. L'elemento d'azione infine h il mezzo di cui una comunità si serve per influire nella società. E' facile accorgersi che questi tre elementi si sottraggono ad ogni attacco in un paese in cui la forza brutale non sia la ragione unica delle cose.

Ed in vero, cominciando dall'elemento materiale, che si ridurrebbe il diritto e la libertà, qualora più cittadini non fosse permesso d'abitare insieme in una stessa casa, di alzarsi e di coricarsi alla stessa ora, di cibarsi alla stessa mensa, di vestire uguale uniforme? Che rimarrebbe della proprietà, della libertà di domicilio, della libertà individuale, se potessero cacciarsi di casa altri, solo perché compiono in comune gli atti della vita domestica? Si dovrebbe almeno determinare il numero di persone, oltre il quale cominciasse il delitto; che allora restando sempre possibile, al di sotto di cotesto numero, una comunità, la legge si troverebbe impotente a procedere, almeno fino a che non avesse dichiarato, che un cittadino francese non può abitare con un altro cittadino francese senza il beneplacito del re e delle camere. Nelle altre associazioni, il diritto di unirsi è molto meno evidente, le guarantigie d'ordine molto meno sicure; ciò nonostante la legge le permette, purché non si ecceda il numero di venti persone. Perché negare il beneficio di questa disposizione, in fine non troppo liberale, alle comunità religiose? Sarà rispettata la libertà di venti individui che si riuniscono in giorni stabiliti in luogo, che non è neppure proprietà loro e loro vero domicilio, e si considererà un attentato alle leggi la riunione di venti individui nella loro propria casa, dove vivono tranquillamente? Perocchè, e ciò è da notarsi, nessuna associazione può dare allo stato garanzie di ordine così sicure come le comunità religiose. La vita comune esige tanta virtù, che ove essa sia praticata senza l'appoggio delle leggi civili, per solo dovere di coscienza, è una meraviglia degna d'ammirazione. Si potrebbe anche aggiungere che una comunità religiosa non è un'associazione, ma una famiglia, avendo della famiglia tutti i diritti e tutti i caratteri; e per comprendere la differenza enorme fra le associazioni e le comunità, basterebbe osservare che, qualora le associazioni venissero costrette a trasformarsi in comunità, all'istante si scioglierebbero, per l'impotenza stessa di corrispondere a tale richiesta.

E' vero però che l'elemento spirituale, il quale costituisce la famiglia religiosa, è un voto. Se non fosse che un consenso rinnovato ogni giorno, converrebbe aver perduto il ben dell'intelletto per opporvisi; ma un voto! un atto irrevocabile! la tirannia di un momento sopra un avvenire! E' la stessa obbiezione che i fautori del divorzio avanzano contro l'indissolubilità del matrimonio: perché tu ami un giorno, quel giorno ti ha da legare per sempre! Sicuro: la famiglia naturale, come la famiglia religiosa, è soggetta alla legge della perpetuità, al dominio del passato sull'avvenire, e l'obbiezione avanzata non deve esser poi così formidabile so, ciò nonostante, il matrimonio da Adamo in poi non ha ancora cessato generalmente di essere indissolubile. D'altra parte qual è il passato che non si rifletta sull'avvenire? Qual momento della vita umana è revocabile veramente? Si crede possibile sottrarsi all'influenza di ciò che ormai ci sta dietro; ma per quanto uno rimanga libero dì pentirsi del passato, non rimane libero dai doveri che da esso ,derivano e che il pentimento stesso consacra. Basterebbe già questa parità fra la famiglia naturale e la famiglia religiosa per legittimare quest'ultima; tuttavia neppur questo mezzo di difesa ci sembra opportuno: le promesse degli sposi sono sotto la protezione del codice penale, mentre i voti del religioso sono sotto la protezione della sola coscienza: la forza difende l'indissolubilità del matrimonio; mentre la sola libertà presiede all'indissolubilità dei legami del chiostro. Se un religioso si annoia, se ne può andare; chi lo trattiene? unicamente la sua volontà, un suo consenso rinnovato ogni giorno, un atto perseverante di amore di Dio. Il voto è una legge, non v'ha dubbio; ma è una legge che uno da sé impone a se stesso, e vi obbedisce solo finché vuole. Fare la legge, ed obbedirvi volontariamente, non è questa la più viva espressione della libertà?

Che se il voto è sacrosanto, perché costituito da un atto liberissimo nel suo principio e nella sua attuazione, lo è molto più considerato nella sua essenza. Il voto sotto questo aspetto, non è che una relazione intima dell'anima con Dio un atto di religione. E qui è la coscienza che reclama la sua inviolabilità; è essa che domanda chi mai abbia il diritto di interdirle, sotto pena qualsiasi, una relazione ch'essa vuole avere con Dio. Poiché il voto si risolve in un atto di fede col quale l'anima, promettendo a Dio qualche cosa, crede che la promessa sarà da Lui accettata. Togliete di mezzo la fede, - e ciò si può sempre fare perché la fede è una virtù, - e il voto non avrà più alcuna forza. La proscrizione del voto adunque è la proscrizione di un atto di fede. Di guisa che un contratto così conchiuso: «Noi sottoscritti mettiamo tutti i nostri beni in comune e ci obblighiamo a vivere in comune finché a noi piacerà, con la condizione di lasciare a quelli che restano la parte di coloro che se ne volessero andare, ed a quelli che sopravvivono la parte di quelli che muoiono;» questo contratto sarebbe valido. Aggiungeteci questa sola parola: «Noi ci obblighiamo davanti a Dio ecc.» e il contratto diventa nullo, perché posto sotto la salvaguardia di un atto di fede, perché il pensiero di Dio Interviene fra i contraenti, perché questo contratto è un voto. Senza tale atto di fede voi avreste potuto vivere tranquillamente nella vostra casa, coi vostri amici; con quest'atto di fede tutto è cambiato. Verranno i gendarmi alla vostra porta e nell'interno della vostra casa: avrete un bell'invocare la proprietà, il domicilio, la libertà individuale! vi sarà risposto che tutte queste cose sono sacrosante, ma che la libertà di coscienza essendolo ancora di più, corre l'obbligo, a costo di ogni sacrifizio, di svincolarvi, sia pure vostra malgrado, dal peso insopportabile dei vostri voti, i quali vi legheranno, è vero, anche dopo di esserne stati prosciolti, ma ciò sarà unica mente affare vostro. Dio guardi dal togliervi la fede che costituisce tutta la forza dei vostri voti; sarete solo privati della consolazione di poterli adempire. La libertà della servitù interiore vi è appieno lasciata: chi potrebbe togliervela? Vi è tolta soltanto la servitù della libertà esteriore: e di che vi lagnate?

Se la rivoluzione francese avesse detto ai religiosi: «Forse ce ne son tra voi di quelli che non sono entrati liberamente, nel chiostro; sappiano allora costoro che fin da oggi le porte del convento sono per loro aperte; facciano pure quello che la coscienza loro detta». Ciò non sarebbe almeno una derisione; come non lo sarebbe anche quando si aggiungesse: «La nazione s'impossessa oggi dei beni che i vostri antenati ed i nostri vi hanno lasciato; imperocchè essa reputa tal sacrifizio indispensabile per la salvezza della patria. Rilasciando a voi di che vivere, essa vi esorta a sopportare la sciagura che vi colpisce con la dignità di uomini, che hanno rinunziato alla terra per amore di Dio e dell'umanità. Andate pure, ora che con quest'atto straordinario e terribile l'antico vostro Ordine vien distrutto, andate dove più vi aggrada; fabbricatevi colla potenza delle vostre virtù nuove dimore secondo le disposizioni del diritto comune, ed affidatevi anche voi, senza timore, al grande avvenire che si prepara per tutti. La Provvidenza non permette le rivoluzioni sulla terra per distruggere, ma per edificare». Un tal linguaggio suonerebbe certo ingiustizia, ma almeno non derisione. Derisione si è pretendere di sciogliere, in nome della libertà, legami che non sono solubili, perché attingono i sentimenti interni dell'uomo, dando per sanzione a questo strano svincolo la privazione dei diritti stessi i più rispettabili. Che forse i Trappisti cacciati dall'Abazia di Melleray non portarono seco, insieme alla loro fede, i loro voti? E che fu tolto loro se non la pace, la patria, il frutto delle loro fatiche e tutte le libertà inaffiate dal sangue dei padri loro e dei loro contemporanei?

Legittimo nella sua qualità di atto libero e di atto di fede, il voto religioso non lo è meno nella sua qualità di atto di abnegazione. Esso obbliga chi lo emette alla povertà, alla castità, all'obbedienza; vale a dire a realizzare sulla terra, quanto è da sé, gli ardenti desideri dei migliori amici dell'umanità e le utopie dei più ardimentosi politici. L'uomo il quale ama veramente il suo simile, che più desidera, se non che tutti i suoi fratelli guadagnino con le loro fatiche un pane sufficiente a sostentarli, che il matrimonio non apporti a loro la miseria, il disonore ai figli, e che un saggio governo procuri loro la pace, ma non a prezzo di duro servaggio? Che sogna mai il più speculativo degli uomini politici, se non una federazione universale che assicuri a tutti la più perfetta eguaglianza morale nell'educazione e nella fortuna, che mantenga a tale scopo le popolazioni in corrispondenza con la fecondità del globo, che dia infine il comando a chi perfezione ne risulta degno, e induca i meno degni all'ubbidienza per la via della, persuasione? Questi desideri e questi sogni, il mero possibile e l'improbabile, hanno avuto la loro attuazione nelle comunità religiose.

Col voto di povertà tutti che vi si assoggettano, divengono eguali, qualunque sia stata nel mondo la loro nascita e il loro merito. La cella del principe è la stessa che quella di un custode di armenti; né questa uguaglianza si restringe fra le anguste mura del monastero, ma si estende a tutta l'umanità: in quella guisa che Dio, facendosi uomo, divenne uguale a tutti gli altri uomini, il religioso, sposandosi alla povertà, diviene uguale a tutti i piccoli.

Col sacrificio della castità il religioso rende possibile nel mondo un matrimonio in luogo del suo, e conforta quelli, a cui il censo non permette un tal vincolo seducente, ma insieme oneroso. Imperocchè il celibato e la povertà non sono già creazioni del monaco: esistevano anche avanti di lui, ed ei non ha fatto che elevarle alla dignità di virtù. Il soldato, il domestico, l'operaio povero, la giovane senza dote, sono tutti condannati al celibato. Ma che? noi licenziamo i nostri servi quando si sposano, e poi cacciamo i monaci perché non si sono ammogliati!

E che dire dell'obbedienza religiosa? Non sa il mondo ch'esso stesso è tutto quanto un'obbedienza passiva? Mentre io oserei affermare e sostenere non esistere nel mondo che una sola obbedienza perfettamente liberale: l'obbedienza religiosa. Nessuno infatti ha messo in dubbio fino ad oggi la necessità per l'uomo di ubbidire; con ragione però si è sempre cercato di preservare l'ubbidienza dalla servilità e dall'ingiustizia. Due mezzi furono principalmente escogitati: l'elezione e la legge; l'elezione ordinata a conferire il comando al più degno; la legge a controbilanciare il comando medesimo. Ma causa l'infermità delle cose umane, l'elezione è bene spesso in potere di pochi mestatori, sicché la maggioranza viene sopraffatta dalla minoranza; la legge, al contrario, risultando dal consenso dei più, fa sì che la maggioranza possa opprimere la minoranza. E' questo il fatal cerchio intorno a cui raggirasi ogni politica, che non conosce altra legge all'infuori della volontà umana, altra elezione, che la scelta dell'uomo. La maggioranza, privata del diritto di elezione, invoca senza posa la riforma elettorale; la minoranza, che non consente alla legge, reclama la riforma legislativa; tutti cedono alla forza, ed ecco l'obbedienza passiva, cioè la sottomissione involontaria ad un ordine di cose che la ragione non approva. L'obbedienza è attiva, liberale, gloriosa allora soltanto che è il risultato di una scambievole accondiscendenza dell'intelletto e della volontà; e questo è solo possibile in un governo in cui non ci sia né maggioranza né minoranza, come avviene nelle comunità religiose, tali quali oggi sono costituite. Tutti i religiosi eleggono direttamente il loro superiore immediato, e indirettamente il superiore mediato; di più essi ritengono l'elezione non come il risultato della propria volontà, ma come una manifestazione dello Spirito Santo che ha diretto i loro cuori. L'universalità del voto e la convinzione profonda dell'intervento divino, elevano così l'obbedienza al più alto grado di onore che sia possibile quaggiù: l'eletto comanda agli elettori, perché Dio ed essi l'han voluto ad un tempo; e perché ciò che potrebbe bastare per assicurare l'onore , all'obbedienza, non basta per assicurarne la giustizia, al di sopra di colui che governa e di coloro che obbediscono c'è una legge eterna, immutabile, universale, riconosciuta da tutti, identificantesi nel suo principio coll'essenza stessa di Dio, legge promulgata fin dall'origine del mondo, rinnovellata e spiegata sempre meglio dal Dio fatto uomo, legge d'amore, che si riassume così: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutto il tuo spirito, con tutta l’anima tua, e il prossimo come te stesso. E ancora: Colui che vuole essere il primo fra voi, sia l'ultimo; colui che vuole essere il più grande, sia il servo di tutti. Ed oltre a questa legge suprema che regola le relazioni dei fratelli fra loro, ce n'è ancora tin'altra che sta ugualmente al di sopra di tutti, la regola dell'Ordine, quale fu dettata dal fon datore o dai primi suoi discepoli, ed in cui tutti gli uffici, tutti i doveri sono così ben definiti, che tutto fu sottratto, per quanto possibile, all'arbitrio altrui. Quei che parlano di obbedienza passiva nei religiosi, è evidente che non sanno ciò ch'essa sia. Poiché se intendono dire che i religiosi promettono di obbedire a tutto ciò che può venire in capo al loro superiore, è una supposizione la più ridicola: essi promettono di obbedire al superiore da loro scelto in tutto ciò che è conforme alla legge divina e alle regole del loro istituto. Se poi intendono dire che i religiosi obbediscono colla più completa sottomissione del loro intelletto e della loro volontà, ciò è precisamente quello che libera la loro obbedienza da ogni passività. Non esistono altre società più fortemente premunite contro gli abusi del potere, e con garanzie migliori in favore dei cittadini.

Quanto all'elemento d'azione, che è fl terzo elemento costitutivo degli Ordini religiosi, essi rientrano da questo lato, come del resto da ogni altro e più ancora che da ogni altro, se fosse possibile, nel diritto comune. Dal momento che il monaco varca le soglie del monastero per agire nel mondo, trova alla porta la legge, i diritti, i doveri di tutti. Vuol predicare? Ha, bisogno del consenso del vescovo. Vuole istruire nelle scuole la gioventù? Deve prima dar prova della sua capacità dinanzi all'autorità incaricata di sorvegliare sull'insegnamento. Vuol lavorare colle proprie mani la terra? Ha l'obbligo di attenersi ai regolamenti dell'agricoltura. La sola differenza fra lui e gli operai ordinari sarà solo di lavorare di più e di esiger di meno.

Chi mediterà spassionatamente questi caratteri degli Ordini Religiosi, comprenderà come mai essi rinascano così facilmente dalle loro ceneri, nonostante i gravi ostacoli che incontrano all'esterno. Nell'autunno del t828 lo mi trovava sul lago di Ginevra. Un ginevrino, dando di gomito al compagno, e guardandomi, gli disse ad alta voce: «Cotesta razza rinasce dalle sue ceneri!». Non sapeva egli che la resurrezione è il segno più luminoso della divinità, e che Gesù Cristo stesso lo indicò ai suoi discepoli come il suggello più autentico ed ultimo della sua parola. Niente ha vissuto che non sia stato in qualche modo vero, naturale, utile; ma niente torna a rivivere che non sia necessario, e che non abbia in se stesso le condizioni dell'immortalità. E noi eccoci ritornati, noi, i monaci, i religiosi, i frati e le suore di ogni nome. Ecco che ricopriamo nuovamente quel suolo donde, or sono quarant'anni, fummo cacciati da una generazione che fu così potente in distruggere! da una generazione che dopo aver dato alla luce i più grandi geni del mondo per creare tante rovine, dié poi alla luce altrettanti illustri capitani per difenderle. Ma tutto fu vano: niente ha potuto prevalere contro la forza della necessità. Ecco quì che noi siamo ritornati, come la messe in un campo già passato dall'aratro, perché il vento del cielo vi ha nuovamente sparso la sementa. Non diciamo questo per orgoglio: l'orgoglio non è il sentimento dell'esule che ritorna in patria, e che batte alle porte per domandare soccorso. Noi siamo ritornati, perché non abbiamo potuto fare altrimenti, e siamo noi i primi ad esser vinti dalla sovrabbondanza della vita che è in noi; noi siamo innocenti della nostra immortalità, come la ghianda che cresce a piò d'una quercia secca è innocente del vigore che la spinge al cielo. Non è stato né l'oro, né l'argento che ci ha richiamati a vita, ma una germinazione spirituale posta dal Creatore nel mondo, indistruttibile al pari che la germinazione della natura. Se viviamo, non viviamo perché protetti dal favore del governo o della pubblica, opinione, ma perché una forza secreta conserva tutto ciò ch'è verità.

Ed a quelli stessi che si meravigliano o s'irritano della nostra presenza, noi domandiamo: è giusto, in un paese dove la libertà individuale è elevata a principio, proscrivere un genere di vita che non nuoce ad alcuno, ed è talmente proprio dell'umanità, che le sorti le più dure non gli impediscono di riprodursi? E' giusto, in un paese dove la proprietà ed il domicilio sono sacri, cacciare a forza dalle loro case individui che vi dimorano in tutta pace, senza offesa di alcuno? E' giusto, in un paese dove la libertà di coscienza non si ebbe che a prezzo di sangue, proscrivere un nucleo di uomini, perché emettono un atto di fede, che si chiama voto? E' giusto, in un paese dove tutti gli spiriti generosi sono compresi dall'idea di una universale fraternità, riprovare quelle sante repubbliche, dove un amore immenso d'uguaglianza coi piccoli consacra la castità e la povertà? E' giusto, in un paese in cui l'elezione e la legge sono la base del governo civile, condannare alcune associazioni regolate da un diritto di elezione anche più largo, e da leggi più tutelari di quelle civili? E' giusto, in un paese in cui tutti sono ammessi alle funzioni sociali, privare di questo diritto alcuni cittadini, per il solo torto di essere animati, nella concorrenza generale, da un maggiore spirito di sacrifizio? Noi lo domandiamo al cielo e alla terra: è giusto tutto ciò, o non è invece creare fra noi una casta di Paria?

A queste domande, noi non troviamo che una sola risposta: «Tutto ciò che voi ci rimproverate è veramente il sommo dell'ingiustizia e la più manifesta delle contraddizioni. Ma noi siamo i nemici dichiarati delle vostre credenze religiose, le quali sono troppo potenti perché le possiamo combattere ad armi eguali. Voi attingete dalla vostra fede un tale spirito di abnegazione, che a noi, gente di 'mondo, maritati, ambiziosi, incapaci di un avvenire, perché il presente ci assorbe tutti, è impossibile disputarvi l'ascendente. pure è giocoforza sopraffarvi, perché vi odiamo. Non ci serviremo del ferro e del fuoco, ma vi metteremo colla legge fuori della legge medesima; faremo apparire il vostro spirito di sacrifizio come un privilegio dannoso, di cui è d’uopo purgare lo stato per mezzo dell'ostracismo: voi insomma sarete posti fuori della libertà, perché la vostra virtù vi pone fuori dell'uguaglianza».

Queste possono essere le idee di qualcuno; non possiamo credere che siano le idee della Francia. Coloro stessi che le propugnano, non ne devono capire la portata. Imperocchè essi amano certamente il loro paese; ora il più gran male del paese sarebbe appunto che tali sentimenti prevalessero e vi esercitassero una vera influenza. Non è difficile comprendere che un popolo, in cui i due principi fondamentali dell'esistenza sociale fossero in guerra aperta fra loro, tutti e due appoggiati da buona parte di cittadini, tutti e due radicalmente indistruttibili per' la natura stessa della loro ragione di essere, questo popolo sarebbe sommamente a compiangersi.

La religione cattolica è la religione del popolo francese. Nato da un atto di fede in un campo di battaglia, esso si è sempre ricordato della sua origine, e da ben quattordici secoli non ha mai cessato di combattere per la Chiesa. Fu il popolo francese che sulle pianure della Borgogna e dell'Aquitania sterminò l'arianesimo, fatto quasi padrone del mondo; fu esso che con la spada di Carlo Martello arrestò l'invasione dell'Islamismo in Europa, e col genio di Carlo Magno dette al Papato l'ultima e più solida sistemazione; fu esso che iniziò le crociate, clamorose guerre di civilizzazione cristiana contro l'abbrutimento orientale, e vi comparve sempre in prima fila; fu esso che nel secolo XVI, quando l'unità della Chiesa era minacciata dappertutto, s'interpose fra l'Inghilterra e la Germania, divenute infedeli, e trattenne col suo gran numero di fedeli lo straripamento dello scetticismo e del servaggio; fu esso infine che anche in questi ultimi quarant'anni, non ostante le innumerevoli violenze esercitate contro la Chiesa, pure contro l'universale aspettazione ha mantenuto la sua fede. La Francia è cattolica per la triplice forza della sua storia, del suo spirito di generosità e `del suo genio. Nello stesso tempo però la Francia è un paese libero, vale a dire un paese dove, secondo l'espressione di Bossuot, sono sempre esistite alcune leggi fondamentali, alle quali tutto che si opponga, è nullo per se stesso. Nel petto di questo popolo, vedetelo in qualunque epoca, palpita il cuore del Germano, nato e cresciuto nelle foreste. Sperare di togliergli questo carattere primitivo, è sperarne la morte. Finché scorrerà nelle vene una goccia di sangue francese, la giustizia avrà sulla terra un soldato armato. Che conchiudere adunque da questi due principi fondamentali della nazionalità francese, se non che essi devono stare uniti e perfezionarsi, a vicenda? Che conchiudere, se non che l'ostinazione nella lotta intaccherebbe nella sua radice l'esistenza stessa della patria?

Il passato dovrebbe istruirci. Da cinquant'anni la fede e la libertà han subito in Francia grandi rovesci; quale delle due è rimasta sopraffatta? Né l'una né l'altra; eccole là come il primo giorno. La Francia è alla testa delle nazioni cattoliche, come è alla testa delle nazioni libere. Dichiarare che uno di questi principi sia nemico dell'altro, è lo stesso che annunziare una discordia eterna, è lo stesso che darsi l'appuntamento per scavare una fossa in cui le ceneri delle generazioni future sarebbero ancora in lotta. E come'accettare una libertà che non giova nulla a chi l'accetta, ma solo ai suoi nemici? Il dispotismo stesso non può fare a meno della giustizia. come ne potrà fare a meno la libertà, essa che è la giustizia medesima?

Certo che non siamo noi cattolici i colpevoli di una inimicizia così cieca e funesta. Sempre, nelle tre grandi epoche della formazione della società moderna, noi abbiamo teso amichevolmente la mano. Nel 1789 la maggioranza che per prima si riunì alla camera al terzo stato e che condusse al voto individuale in sostituzione del voto per ordine, - cosa che dette l'ultimo crollo all'istituzione feudale, - fu del clero. Malgrado l'ingratitudine con cui la repubblica ne ripagò la Chiesa, appena comparve un uomo capace di ridonare alla'Francia l'ordine e la gloria,

il Sommo Pontefice appoggiò i di lui disegni con atti inauditi. Si vide allora un concordato che distruggeva tutta un' antica Chiesa; si vide la rovina di tutto un episcopato, rappresentante della vecchia società; si vide il successore di S. Pietro traversare tutta Europa per venire a porre la corona sulla fronte di quest'uomo novello! Nel 1830 il prete più grande che abbia mai dato la Chiesa di Francia dopo Bossuet, precorse nella tempesta la nazione stessa, e se venne meno, fu più per essersi spinto troppo avanti, che per non averne compresa tutta la giustizia.

E che cosa abbiamo noi ricevuto in cambio di tanti nostri buoni voleri? La repubblica ci ha risposto colla spogliazione, coll'esilio, colla morte. Napoleone imprigionò la Chiesa negli articoli organici del concordato, e il Sommo Pontefice a Savona e a Fontainebleau; il solo 1830 segnò un principio di giustizia. Ne ringraziamo il cielo e scongiuriamo i nostri concittadini a non sdegnare i frutti di questo primo passo nella via della riconciliazione. Il mondo è profondamente sconvolto; ha bisogno di riaversi. E poiché anche in mezzo all'egoismo che minaccia l'onore e la sicurezza della società moderna si trovano ancora delle anime capaci di abnegazione volontaria, si rispettino almeno le loro opere. Sia concesso almeno alla virtù quel diritto di asilo, che altre volte era concesso al vizio. Ci sono sempre sulla terra dei viaggiatori stanchi del cammino, e nessuno può lusingarsi di non essere, quando che sia, di un tal numero.

I Frati Predicatori hanno un diritto particolare alla tolleranza del paese: essi hanno donato alla Francia una delle sue più belle provincie, il Delfinato: Umberto, l'ultimo principe, ne fece cessione a Filippo di Valois il giorno avanti di prender l'abito di S. Domenico. Oggi non domandano in cambio che pochi palmi di terra francese per vivere in pace!

 

 

INDICE

INTRODUZIONE

 

Capitolo I. Genesi di S. Domenico

Capitolo II Arrivo di S. Domenico in Francia

Suo primo viaggio a Roma

Colloquio a Montpellier .

Capitolo III Apostolato di S. Domenico dall' abboccamento di Moutpellier fino al principio della guerra Albigese

Fondazione del monastero di Notre-Dame di Prouille

Capitolo IV Guerra degli AlbIgesi

Capitolo V Apostolato di S. Domenico dal principio della guerra Albigese fino al quarto

Concilio Lateranense

Istituzione del SS. Rosario

S. Domenico ed i suoi primi discepoli a Tolosa

Capitolo VI Secondo viaggio di S. Domenico a Roma

Approvazione provvisoria dell'Ordine dei Frati Predicatori fatta da Innocenzo III

Incontro di S. Domenico con S. Francesco d'Assisi

Capitolo VII Riunione di S. Domenico e del suoi compagni a Notre-Dame di Prouille

Regola e Costituzioni dei Frati Predicatori

Fondazione del convento di S. Romano a Tolosa

Capitolo VIII Terzo viaggio di S. Domenico a Roma

Conferma dell'Ordine dei Frati Predicatori

Predicazione di S. Domenico nel palazzo del Papa

Capitolo IX Nuova riunione dei Frati Predicatori a Notre-Dame di Prouille, e loro diffusione in Europa

Capitolo X Quarto viaggio di S. Domenico a Roma

Fondazione dei conventi di S. Sisto e di S. Sabina

Miracoli che accompagnarono queste due fondazioni

Capitolo XI Soggiorno dì S. Domenico a S. Sabina

S. Giacinto ed il B. Ceslao entrano nell'Ordine

Miracolosa unzione fatta dalla Vergine Santissima sul B. Reginaldo

Capitolo XII Fondazione dei conventi di S. Giacomo a Parigi, e di S. Niccolò di Bologna

Capitolo XIII Viaggio di S. Domenico in Spagna ed in Francia

Sue veglie nella grotta di Segovia

Modo di viaggiare e sistema di vita del Santo

Capitolo XIV Quinto viaggio di S. Domenico a Roma

Morte del B. Reginaldo

Il B. Giordano di Sassonia entra nell'Ordine

Capitolo XV Primo Capitolo Generale dell'Ordine

Dimora di S. Domenico in Lombardia

Istituzione del Terz'Ordine

Capitolo XVI Sesto ed ultimo viaggio di S. Domenico a Roma

Secondo Capitolo Generale Malattia e morte del Santo Patriarca

Capitolo XVII Traslazione del corpo di S. Domenico

Canonizzazione del Santo

 

 

APPENDICE

L'ORDINE DI S. DOMENICO

Capitolo I Della legittimità degli Ordini religiosi dinanzi suo Stato

Capitolo II Idea generale dell'Ordine dei Frati Predicatori

Motivi per ristabilirlo in Francia

Capitolo III Azione dei Frati Predicatori come Apostoli

Loro Missioni nell' antico e nel nuovo mondo

Capitolo IV Azione dei Frati Predicatori come dottori

S. Tommaso d'Aquino

Capitolo V Artisti, Vescovi, Cardinali, Papi, Santi e Sante, dati alla Chiesa dall’Ordine dei Frati Predicatori

Capitolo VI L'Inquisizione

Capitolo VII Conclusione

 

 

 

 

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