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VITA DI SAN DOMENICO

P. Enrico D. Lacordaire dei Predicatori


 

CAPITOLO VII

 

Riunione di S. Domenico e de' suoi compagni a Notre-Dame di Prouille

Regola e Costituzioni dei Frati Predicatori

Fondazione del convento di S. Romano a Tolosa

 

Durante l'assenza di Domenico, Iddio n'aveva benedetta e moltiplicata la greggia. I sei discepoli lasciati in Tolosa alla sua partenza nella casa di Pietro Cellani, avevano raggiunto al ritorno il numero di quindici o sedici. Dopo le prime espansioni del cuore, diede loro appuntamento per Notre-Dame di Prouille, onde deliberare sulla scelta della regola, conforme agli ordini del Pontefice. Fino allora, vale a dire fino alla primavera del 1216, la piccola comunità non avea avuto che un assetto provvisorio e indeterminato, essendosi occupato Domenico ad operare piuttosto che a scrivere; sull'esempio di Gesù Cristo, il quale con la parola e con l'esempio, non con regole scritte, preparò gli apostoli alla loro missione. Ma l'ora era giunta di stabilire la legislazione della famiglia domenicana; ché senza leggi le, quali assecondino le osservanze, è impossibile perpetuarne la tradizione. Domenico, già padre, doveva ora farsi legislatore; e dopo aver tratto fuori dal suo seno una generazione di uomini simili a sé, era d'uopo provvedere alla loro fecondità, e armarli contro il tempo avvenire di quella forza misteriosa, che dona alle istituzioni l'immortalità. Se la conservazione di una stirpe per mezzo de' legami della carne e del sangue è pur saggio di abilità e di virtù, se la fondazione degl'imperi segna l'apogeo del genio umano, che cosa non si richiederà per stabilire una società semplicemente spirituale, che astrae nella sua vitalità dalle affezioni della natura, né si affida alla difesa della spada e dello scudo? Gli antichi legislatori spaventati del loro incarico, con una menzogna, che si risolveva poi in realtà, cercarono di edificar le nazioni sopra qualche cosa di divino. Domenico, nato sotto il regno di Cristo, quando la pienezza della realtà era sottentrata alle ruine ed alle finzioni, non ebbe bisogno di menzogna alcuna per esser veritiero. Egli prima di farsi ardito di tracciare con mano mortale una regola, era andato a prostrarsi ai piedi del rappresentante di Dio, per implorare dalla più sublime paternità visibile quella benedizione ch'è germe d'immortalità; e ritiratosi poscia nella solitudine, sotto la protezione di Colei che fu madre senza cessare di esser vergine, stava supplicando ardentemente Iddio perché gli infondesse parte di quello spirito, che stabilì la Chiesa Cattolica sopra incrollabili fondamenta.

Due uomini, nati alla distanza di un secolo l'uno dall'altro, S. Agostino e S. Benedetto, erano stati in Occidente i patriarchi della vita religiosa; nessuno dei due però si era proposto lo scopo cui mirava Domenico. Sant'Agostino, poco dopo convertito, si rinchiuse in una casa di Tagaste, sua città natale, per dedicarsi tutto con alcuni amici allo studio e alle contemplazioni delle cose divine. Elevato più tardi al sacerdozio fondò in Ippona un altro monastero; reminiscenza anche questo, pari al primo, di quei famosi istituti cenobitici di cui S. Antonio, e S. Basilio erano stati gli architetti. Successo poi al vecchio Valerio nella cattedra episcopale d'Ippona, pensò altrimenti; senza però che in lui mutasse l'ardente amore che traevalo ad incatenare la sua vita coi vincoli della fraternità. Aprì la sua casa al clero d'Ippona, e sull'esempio di S. Atanasio e di S. Eusebio di Vercelli, imitatori essi stessi degli Apostoli, fece una sola comunità de' suoi cooperatori. Fu da questo, monastero episcopale che trassero origine e forma i Canonici Regolari; come da quello di Tagaste i religiosi conosciuti sotto il nome di Eremitani di Sant'Agostino. Quanto a S. Benedetto, non avendo egli avuto di mira che di risuscitare la vita claustrale, condivisa fra il canto del coro ed il lavoro manuale, l'opera da lui stabilita ancor più manifestamente era aliena dallo scopo di Domenico.

Pertanto, obbligato a scegliersi il patriarca fra i due grandi uomini, Domenico preferì S. Agostino. E la ragione è evidente. Imperocchè per quanto l'illustre Vescovo non avesse avuto in mente d'istituire un Ordine apostolico, pure era stato egli stesso un dottore ed un apostolo, che avea speso la sua vita nell'annunziare la divina parola e nel difenderne l'integrità contro tutti gli eretici de' suoi tempi. Qual patrono migliore adunque per il nascente Ordine de' Frati Predicatori? Aggiungasi che per Domenico, vissuto molti anni nel capitolo regolare di Osma, tal patronato non riesciva del tutto nuovo; sicché a tale scelta, oltre le convenienze colla nuova vocazione, concorrevano ancora le reminiscenze della vita trascorsa. La regola poi di S. Agostino, e ciò bisogna notarlo, possiede, a preferenza delle altre, il singolare privilegio di non essere che una semplice esposizione dei doveri fondamentali della vita religiosa. Nessuna forma di governo ivi è tracciata, non prescritta alcuna osservanza, tranne la comunanza dei beni, la frugalità, la preghiera, la custodia dei sensi, la correzione fraterna dei difetti, l'obbedienza al superiore del monastero, e soprattutto la carità, di cui il nome e l'unzione riempiono quelle ammirabili, ma troppo poche pagine. Domenico adunque conformandosi a tali prescrizioni, non faceva propriamente che accettare il giogo stesso dei consigli evangelici; ed il suo ideale rimaneva sempre perfettamente libero, benché circoscritto da alcune linee tracciate da mano, la quale più che un chiostro, sembrava aver voluto creare una città. Non restava adunque che innalzare l'edificio particolare dei Frati Predicatori dentro la cinta di questa città comune, all'ombra delle vetuste sue mura.

Senonché fin da principio si presentava un grave quesito: dovrà un Ordine tutto consacrato all'apostolato adottare le costumanze monastiche; oppure, tralasciando nella maggior parte gli usi claustrali, informarsi alla vita più libera del sacerdozio secolare? Non si trattava. come è evidente, dei tre voti di povertà, di castità, e d'obbedienza, senza i quali una società spirituale non può sussistere, come un popolo senza l'imposizione delle imposte, senza la castità matrimoniale e l'obbedienza alle stesse leggi sotto un medesimo capo. Ma la recita pubblica del divino officio, l'astinenza continua dalle carni, i lunghi digiuni, il silenzio, il capitolo delle colpe, le penitenze per le trasgressioni della regola, il lavoro manuale erano queste pratiche da doversi conservare, siccome confacenti allo scopo dell'apostolato? Tale disciplina austera, buona a formare il cuore solitario del monaco e a santificare gli ozi della sua vita, era conciliabile con l'eroica libertà dell'apostolo, che va spargendo innanzi a sé, a destra e a sinistra, il buon seme della verità? Domenico lo credé. Sostituito quindi lo studio della scienza divina al lavoro manuale, mitigata la severità di alcune osservanze, dispensandone anche, quando occorresse, i religiosi addetti in modo particolare all'insegnamento ed alla predicazione, quanto al resto fu d'avviso che sarebbe stato possibile conciliare le osservanze monastiche colla vita apostolica; e forse l'idea di tale separazione non gli si affacciò neppure alla mente. Imperocchè l'apostolo non è solo un uomo che sa ed insegna per mezzo della parola soltanto; ma è un uomo che predica il cristianesimo con tutto se stesso, la cui sola presenza deve essere già un'apparizione di Gesù Cristo. Qual cosa adunque più efficace ad imprimere in lui le sacre stimmate di questa rassomiglianza col Cristo, delle austerità del chiostro? Domenico stesso non era un assieme di monaco e apostolo? Studiare, pregare, predicare, digiunare, dormire per terra, camminare a piedi, passare dall’atteggiamento di penitente a quello di propagandista era stata la sua vita di tutti i giorni. Chi adunque poteva conoscere meglio di lui tutte le affinità del deserto e dell'apostolato?

Fu così che a Prouille si stette per le tradizioni monastiche, fatte solo alcune modificazioni, di cui la più importante fu, «che ciascun superiore nel proprio convento avesse facoltà di dispensare i suoi frati, qualora lo giudicasse opportuno, dalle osservanze comuni e principalmente da quelle che fossero d'impedimento allo studio, alla predicazione, al bene delle anime; essendo l'Ordine istituito fin dalla sua origine per la predicazione e per la salvezza delle anime, e dovendo tutti i loro sforzi essere ordinati al profitto del prossimo» . Ecco perché venne determinato che l'officio divino si recitasse in chiesa brevemente e succintamente, affine di non scemare la divozione nei frati e non impedire lo studio; che in viaggio i frati fossero dispensati dai digiuni della regola, eccettuato il tempo d'Avvento, alcune vigilie e il venerdì di ogni settimana; che fuori di convento potessero mangiar carne; che non fossero tenuti ad un assoluto silenzio; che potessero comunicare cogli estranei anche nell'interno del monastero, se ne eccettui le donne; che un certo numero di studenti fosse mandato alle più celebri Università; che si potessero ricevere gradi accademici ed aprire scuole: cose tutte che senza distruggere nel Frate Predicatore l'uomo monastico, lo elevano al grado di uomo apostolico.

Riguardo al regime fu stabilito che ogni convento fosse governato da un Priore, ciascuna provincia, composta di un dato numero di conventi, da un Provinciale; e tutto l'Ordine da un solo capo, che prese poi il nome di Maestro Generale. L'autorità scesa dall'alto e rannodata al trono stesso del Sommo Pontefice avrebbe consolidati tutti i gradi di questa gerarchia, mentre l'elezione dal basso risalendo all'alto avrebbe mantenuto fra chi comanda e chi obbedisco lo spirito di fratellevole concordia, rifulgendo così sulla fronte di ogni depositario del potere un doppio carattere: la scelta dei suoi confratelli, e la conferma della suprema autorità. Ciascun convento quindi eleggerebbe il suo Priore; la provincia, rappresentata dai Priori e da un deputato di ogni convento, il Provinciale; tutto l'Ordine, rappresentato dai Provinciali e da due deputati per ciascuna provincia, il Maestro Generale. Viceversa al Maestro Generale sarebbe riserbato il diritto di confermare i superiori provinciali, ed a questi i conventuali. Tutti gli uffici poi, ad eccezione del supremo, sarebbero temporanei, affinché la provvidenza della stabilità fosse congiunta all'emulazione che si trova nel cambiamento. Capitoli generali, tenuti a non lungo intervallo, contrabbilancerebbero la potestà del Maestro Generale; capitoli provinciali, quella del superiore Provinciale; il Priore conventuale poi negli affari più importanti del suo ufficio sarebbe assistito da un consiglio di Padri. L'esperienza ha confermata la saggezza di questa forma di governo con cui l'Ordine dei Frati Predicatori ha liberamente raggiunto i suoi destini, lontano così dalla licenza come dall'oppressione, e professando per l'autorità quel sincero rispetto collegantesi a un che di franco e di naturale, che rivela a prima vista il cristiano libero dal timore per l'amore. La maggior parte degli Ordini religiosi furono soggetti a riforme che li divisero in diversi rami: quello dei Frati Predicatori, sempre il medesimo, ha traversato le vicissitudini di sei secoli di esistenza, per tutto il mondo ha steso i vigorosi suoi rami, senza che neppure uno siasi mai staccato dal tronco che lo aveva nutrito.

Restava a risolversi la questione del come l'Ordine avrebbe provveduto al suo sostentamento. Domenico, fin dal primo giorno del suo apostolato si era affidato alla divina Provvidenza, vivendo giorno per giorno di elemosine, e riversando a vantaggio del monastero di Prouille quanto gli fosse stato offerto in più dei bisogni del momento. Non era stato se non dopo l'aumento della sua famiglia spirituale che aveva accettato da Folco la sesta parte delle decime della diocesi di Tolosa, e dal conte di Montfort la terra di Cassanel. Tutte le sue reminiscenze però, tutto il suo cuore erano per la povertà. Troppo gli stavano dinanzi le piaghe che l'opulenza avea generate nella Chiesa, per poter desiderare al suo Ordine altra ricchezza all'infuori della virtù. Nondimeno, quanto al punto di dichiararsi mendicanti, l'assemblea di Prouille sospese la decisione. Domenico ebbe forse timore che Roma opponesse ostacoli ad un pensiero così ardito; onde amò meglio rimetter la cosa a tempo più opportuno.

Furon queste le leggi fondamentali, consacrate dai patriarchi dell'istituto domenicano. Paragonate con quelle dei Canonici Premostratensi appaiono ad esse così rassomiglianti, quantunque, il fine sia diverso, da attestarci chiaramente come Domenico avesse intimamente studiata l'opera di S. Norberto; e l'occasione l’ebbe forse, nel capitolo di Osma, alla cui riforma molto probabilmente servì di prototipo quello di Prémontré.

Folco frattanto, sempre pronto a favorire i disegni di Domenico, gli donò tutte insieme tre chiese: una a Tolosa, sotto il titolo di S. Romano martire; un'altra a Pamiers, ed una terza situata fra Sorèse e Puy-Laurens, conosciuta sotto il nome di Notre-Dame di Lescure, affinché accanto a ciascuna sorgesse un convento di Frati Predicatori; ma l'ultima non lo ebbe mai, e quella di Pamiers molto tardi, cioè l'anno 1269.

Era conveniente, l'abbiamo già notato, che Tolosa, la grande città dell'eresia, avesse visto per prima fra le sue mura un convento di domenicani. Però sebbene i discepoli di Domenico fossero già da un anno ivi riuniti in una medesima abitazione, pure la loro casa non avea altro di monastico, se non la vita che vi si menava; la necessità quindi di mettere l'abitazione in corrispondenza alla vita vieppiù s'imponeva. A lato adunque della chiesa di S. Romano si fabbricò con sollecitudine un modesto chiostro. - Il chiostro è un cortile intorniato da un portico. In mezzo a questo cortile, doveva sorgere sempre, giusta le antiche tradizioni, un pozzo, simbolo di quell'acqua viva della Scrittura che zampilla a vita eterna; sotto il pavimento del portico si scavavano sepolcri; lungo le mura incidevansi funerarie iscrizioni; nell'arco formato dal piegare delle volte dipingevansi le gesta dei santi dell'Ordine o del monastero. Questo luogo era sacro e i religiosi stessi non vi passeggiavano se non in silenzio e con la mente occupata dal pensiero della morte e della memoria dei loro predecessori. Attorno a questa seria galleria che metteva alla chiesa per due porte, l'una rispondente al coro, l'altra alla navata, erano la sacrestia, il refettorio e le grandi sale comuni. Una scala conduceva ai piani superiori costruiti al disopra del portico e sulla medesima pianta. Dal fondo dei quattro corridoi, per quattro grandi finestre, vi entrava largamente la luce, e quattro lampade vi spandevano i loro raggi la notte. Lungo questi corridoi alti e larghi, decenti, ma non di lusso, l'occhio meravigliato scopriva a dritta e a manca una lunga fila simmetrica di porte perfettamente eguali, e nello spazio tra l'una e l'altra vecchi quadri, carte geografiche, piante di città e di antichi castelli, la tavola dei monasteri dell'Ordine, e mille semplici rimembranze della terra e del cielo. Al suono di una campana tutte quelle porte si aprivano dolcemente e con rispetto. Canuti e sereni vegliardi, uomini di precoce maturità e giovanetti ai quali la penitenza e il fiore degli anni davano un'aria di bellezza incognita al mondo, tutte insomma le stagioni della vita ne uscivano e si mostravano insieme sotto una medesima divisa. Povera la celletta di quei cenobiti e tanto larga da bastare appena a contenere un letto di paglia o di crine, un tavolino e due seggiole: un crocifisso e qualche immagine sacra n'erano il solo ornamento. Da questo sepolcro ove il religioso abitava nel corso dei suoi anni mortali, egli passava a quello che precede l'immortalità, senza essere neppure allora separato dai suoi fratelli, fossero vivi o morti. Seppellivasi vestito de' suoi abiti sotto il pavimento del coro, e la sua polvere mescolavasi con quella dei suoi predecessori, mentre le laudi del Signore, cantate dai contemporanei e dai discendenti parevano destare quelle fredde reliquie e richiamarvi la vita. O care e sante magioni! Furono edificati superbi palagi, magnifici sepolcri, e templi degni della divinità si elevarono sulla faccia della terra: ma un monastero è la bella creazione dell'arte e del sentimento.

Quello di S. Romano non fu abitabile che alla fine del mese di agosto del 1216. Nella sua struttura fu assai modesto: le celle misuravano sei piedi di larghezza, e poco meno di lunghezza; i tramezzi non oltrepassavano l'altezza di un uomo affinché i frati mentre attendevano liberamente alle loro occupazioni, fossero in qualche modo sempre fra loro uniti; il mobilio poi era il più ordinario. L'Ordine conservò questo convento fino all'anno 1232; epoca in cui i Domenicani di Tolosa si trasferirono in un convento e in una chiesa più vasti, dove rimasero fino a che ne furono scacciati dalla rivoluzione francese. Ora quei magnifici avanzi servono di caserma e, di magazzino!

 

INDICE

INTRODUZIONE

 

Capitolo I. Genesi di S. Domenico

Capitolo II Arrivo di S. Domenico in Francia

Suo primo viaggio a Roma

Colloquio a Montpellier .

Capitolo III Apostolato di S. Domenico dall' abboccamento di Moutpellier fino al principio della guerra Albigese

Fondazione del monastero di Notre-Dame di Prouille

Capitolo IV Guerra degli AlbIgesi

Capitolo V Apostolato di S. Domenico dal principio della guerra Albigese fino al quarto

Concilio Lateranense

Istituzione del SS. Rosario

S. Domenico ed i suoi primi discepoli a Tolosa

Capitolo VI Secondo viaggio di S. Domenico a Roma

Approvazione provvisoria dell'Ordine dei Frati Predicatori fatta da Innocenzo III

Incontro di S. Domenico con S. Francesco d'Assisi

Capitolo VII Riunione di S. Domenico e del suoi compagni a Notre-Dame di Prouille

Regola e Costituzioni dei Frati Predicatori

Fondazione del convento di S. Romano a Tolosa

Capitolo VIII Terzo viaggio di S. Domenico a Roma

Conferma dell'Ordine dei Frati Predicatori

Predicazione di S. Domenico nel palazzo del Papa

Capitolo IX Nuova riunione dei Frati Predicatori a Notre-Dame di Prouille, e loro diffusione in Europa

Capitolo X Quarto viaggio di S. Domenico a Roma

Fondazione dei conventi di S. Sisto e di S. Sabina

Miracoli che accompagnarono queste due fondazioni

Capitolo XI Soggiorno dì S. Domenico a S. Sabina

S. Giacinto ed il B. Ceslao entrano nell'Ordine

Miracolosa unzione fatta dalla Vergine Santissima sul B. Reginaldo

Capitolo XII Fondazione dei conventi di S. Giacomo a Parigi, e di S. Niccolò di Bologna

Capitolo XIII Viaggio di S. Domenico in Spagna ed in Francia

Sue veglie nella grotta di Segovia

Modo di viaggiare e sistema di vita del Santo

Capitolo XIV Quinto viaggio di S. Domenico a Roma

Morte del B. Reginaldo

Il B. Giordano di Sassonia entra nell'Ordine

Capitolo XV Primo Capitolo Generale dell'Ordine

Dimora di S. Domenico in Lombardia

Istituzione del Terz'Ordine

Capitolo XVI Sesto ed ultimo viaggio di S. Domenico a Roma

Secondo Capitolo Generale Malattia e morte del Santo Patriarca

Capitolo XVII Traslazione del corpo di S. Domenico

Canonizzazione del Santo

 

 

APPENDICE

L'ORDINE DI S. DOMENICO

Capitolo I Della legittimità degli Ordini religiosi dinanzi suo Stato

Capitolo II Idea generale dell'Ordine dei Frati Predicatori

Motivi per ristabilirlo in Francia

Capitolo III Azione dei Frati Predicatori come Apostoli

Loro Missioni nell' antico e nel nuovo mondo

Capitolo IV Azione dei Frati Predicatori come dottori

S. Tommaso d'Aquino

Capitolo V Artisti, Vescovi, Cardinali, Papi, Santi e Sante, dati alla Chiesa dall’Ordine dei Frati Predicatori

Capitolo VI L'Inquisizione

Capitolo VII Conclusione

 

 

 

 

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