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VITA DI SAN DOMENICO

P. Enrico D. Lacordaire dei Predicatori


 

CAPITOLO VI

 

Secondo viaggio di S. Domenico a Roma

Approvazione provvisoria dell'Ordine dei Prati Predicatori fatta da Innocenzo III

Incontro di S. Domenico con S. Francesco d’Assisi

 

Il punto raggiunto da Domenico nell'attuazione del suo ideale gli dava a sperar bene per l’approvazione dell'opera da parte della Sede Apostolica; onde, approfittando dell'occasione del prossimo Concilio Lateranense, nell'autunno del 1215, insieme al Vescovo di Tolosa partì per Roma. Prima però di licenziarsi dai suoi, fece cosa molto importante, e che tracciò per sempre una delle grandi vie per le quali il suo Ordine avrebbe dovuto avanzare. Era allora in Tolosa un celebre dottore per nome Alessandro, il quale copriva con molta lode una cattedra di Teologia. Un giorno, mentre costui di buon mattino se ne stava nello studio, tutto inteso nelle sue occupazioni, fu preso dal sonno e profondamente si addormentò. Gli parve allora, sognando che sette stelle si appressassero a lui, piccole dapprima, ma poi via via crescenti in grandezza e splendore, da restarne al fine illuminata tutta la Francia ed il inondo intero. Riavutosi da questo sopore quando già era giorno, chiamò i servi che erano soliti portargli i libri, e si avviò alla scuola. Vi era appena arrivato, che Domenico ed i suoi discepoli, vestiti della bianca tunica e della cappa nera dei canonici regolari, a lui si presentarono, qualificandosi per frati banditori del Vangelo ai fedeli ed agli infedeli nel paese di Tolosa, ardentemente desiderosi di ascoltare le sue lezioni. Alessandro si ricordò subito delle sette stelle vedute in sogno; e più tardi, trovandosi alla corte del re d'Inghilterra, quando già l'Ordine dei Frati Predicatori era in grandissima rinomanza, raccontò egli stesso come i primi figli di questa nuova religione erano stati suoi scolari.

Domenico adunque, lasciati a guardia de' suoi discepoli la preghiera e lo studio, partì per Roma. Erano già passati undici anni dacché insieme con Diego vi era stato per la prima volta, pellegrino come lui e come lui inconsapevole del perché Iddio li avesse chiamati così da lontano ai piedi del suo Vicario. Ora invece Domenico riporta al Padre comune della cristianità il frutto della di lui benedizione; e malgrado la morte gli abbia tolto il compagno del suo primo pellegrinaggio, non vi ritorna solo. Era come un destino per lui l'incontrar sempre illustri amici; e mentre la Spagna, sua patria natale, racchiudeva nella tomba l'amico e il protettore della sua giovinezza, la Francia, sua patria adottiva, gli offriva un altro amico e protettore nella persona di Folco. Fu ancora fortuna per Domenico il ritrovare sulla cattedra di S. Pietro Innocenzo III; per quanto questo grande Pontefice non si mostrasse da principio troppo favorevole ai suoi desideri. Volentieri infatti aveva egli preso sotto la protezione della Chiesa Romana il monastero di Prouille, e n'avea già spedite lettere in data dell'8 ottobre 1215; ma d'approvare un nuovo ordine consacrato al servizio della Chiesa mediante il ministero della predicazione, non sapea risolversi; perciò, a testimonianza degli storici, per due ragioni. In primo luogo perché essendo la predicazione ufficio proprio dei vescovi, successori degli Apostoli, pareva cosa contraria all'antichità affidarne l'incarico ad altro Ordine che non fosse l'episcopale. E’ vero che già da lungo tempo i vescovi cedevano molto volentieri ad altri l'onore di annunziare la parola di Dio; ed il quarto Concilio Lateranense, di recente celebrato, avea loro ingiunto di affidare, nel caso, il pulpito a sacerdoti degni di rappresentarli. Ma altro era che si provvedesse da ciascun vescovo alla predicazione nella propria diocesi con vicarii revocabili a beneplacito, altro affidare il ministero d'annunziare il Vangelo dovunque e per sempre ad un Ordine vivente di vita sua propria. Non era questo fondare un nuovo Ordine apostolico nella Chiesa? E vi può mai essere nella Chiesa altro Ordine apostolico che l'episcopale? Questa questione suscitata dallo zelo di Domenico, teneva sospeso quel genio stesso, ch'era Innocenzo III. Imperocché oltre tali ragioni, già forti, considerato dal punto di vista della tradizione, altre ve ne erano avvalorate dall'esperienza stessa e dalla necessità. Certo che l'apostolato era venuto meno nella Chiesa e l'errore avea fatto progressi appunto per mancanza d'insegnamento sodo e disinteressato; onde i Concili celebratisi nella Linguadoca, durante la guerra albigese, aveano richiamati i vescovi all'adempimento di questo loro dovere. Ma è la grazia di Dio che forma gli apostoli, e non le prescrizioni conciliari; ed i vescovi, tornati dopo quelle assemblee al loro palazzi, ritrovavano facile scusa alla loro inerzia evangelica, nel peso dell'amministrazione della diocesi, negli affari di Stato ai quali dovean prender parte, insomma in tutta la resistenza delle consuetudini introdotte, che agli uomini stessi della più forte tempra riesce difficile sopportare. Né era cosa più agevole trovare chi li sostituisse nel ministero della predicazione; poiché non si può dire così all'improvviso ad un prete: sii apostolo! Lo spirito apostolico è il frutto di un genere di vita tutto particolare. Nella Chiesa nascente era più comune, perché c'era il mondo da conquistare, e tutti gli spiriti si sentivano come invitati ad un genere di azione che conduceva a tal meta; quando invece la Chiesa fu Signora delle nazioni, il ministero pastorale prevalse sull'apostolico, e si ebbe

di mira piuttosto di conservare che di estendere il regno di Gesù Cristo. Ma per una legge costante in tutte le cose create, là ove cessa il progresso, sottentra la morte. Il sistema di conservazione, che può bastare alla maggior parte delle intelligenze, è incapace di frenare certe anime ardenti, le quali sdegnano una fedeltà che non le spinga innanzi, come i soldati che si annoiano di trovarsi trincerati in un campo senza mai scontrarsi col nemico. Tali anime, isolate dapprima, e poi raccolte segretamente insieme, acquistano, senza addarsene, quell'energia che ancora loro mancava, fino al giorno che credendosi abbastanza forti contro la Chiesa, le ricordano con improvvisa comparsa, che la verità non signoreggia quaggiù gli spiriti se non a condizione di non cessar mai dal conquistarli. E le condizioni dell'Europa facevano sentire anche troppo vivamente ad Innocenzo III questa legge dell'umanità. Doveva egli rifiutare il soccorso che gli veniva offerto così a proposito? Doveva resistere al soffio di Dio, che pur suscitando degni vescovi nella sua Chiesa, aggiungeva a loro cooperatori una corporazione di religiosi?

Ma più che altro, quello che inceppava in tale questione ogni libertà di pensare era un decreto del Concilio di Laterano, in cui per evitare la confusione e tutti i mali che derivavano dal moltiplicarsi degli Ordini monastici, il Concilio aveva stabilito che non si permettessero altre fondazioni di nuovi istituti. Era conveniente andar così presto contro una decisione tanto solenne?

Iddio però che presta alla Chiesa Romana tale assistenza, di cui la comunità medesima è una delle meraviglie visibili della di Lui sapienza, dopo aver provato con un’ultima tribolazione il suo servo Domenico, pose termine alle incertezze d’Innocenzo III.

Una notte il Pontefice mentre dormiva nel palazzo di S. Giovanni in Laterano, vide in sogno la basilica che stava per rovinare, e Domenico lì con le sue spalle a puntellarne le mura cadenti. Bastò quest'ispirazione per rivelare ad Innocenzo il volere di Dio; e mandato subito a chiamare l'uomo apostolico, gli ordinò di tornarsene senz'altro in Linguadoca, e di scegliere d'accordo co' suoi quella regola, fra le antiche, che più sembrasse confacente alla nuova milizia di cui egli desiderava arricchire la Chiesa. Felice trovata d'Innocenzo per salvare il decreto del Concilio di Laterano e dare insieme ad un'idea tutta nuova l'impronta e la protezione dell'antichità.

Domenico provò a Roma un'altra gioia vivissima. Egli non era il solo eletto dalla Provvidenza ad arrestare in quei tempi critici il decadimento della Chiesa; e mentre egli ravvivava il fiume della parola apostolica alle sante e profonde sorgenti del suo cuore, un altr'uomo avea ricevuto la missione di risuscitare in mezzo ad un'opulenza corruttrice la stima e la pratica della povertà. Questo sublime innamorato di Gesù Cristo spuntò alle pendici delle montagne dell'Umbria, nella città di Assisi, figlio d'un ricco ed avaro mercante. Perché aveva imparato bene la lingua francese onde sbrigar meglio gl'interessi del padre, fu chiamato Francesco, nome che non è quello di nascita, né quello di battesimo. Nell'età di ventiquattro anni, dopo un viaggio fatto a Roma, lo Spirito del Signore che più volte l'aveva stimolato, pienamente !a sé lo attrasse. Condotto da suo padre dinanzi al vescovo d'Assisi acciocchè rinunziasse a tutti i diritti di famiglia, l'eroico giovane spogliatosi delle stesse vesti che avea indosso, le depose al piedi del Vescovo con queste parole: «Ora sì, ch'io potrò dire con tutta verità: O Padre nostro che sei nel cielo!». E dopo questo fatto, assistendo un giorno al santo Sacrificio della Messa, provò tanta gioia alla lettura di quel tratto di Vangelo dove Gesù Cristo raccomanda agli apostoli di non possedere né oro, né argento, né bisaccia per viaggio, e neppure due tonache, né scarpe, né bastone, che levatosi tosto le scarpe dai piedi, e lasciato il bastone, gettò via con orrore quel poco di danaro che gli era rimasto e per tutto il rimanente della sua vita uniche vestimenta furono un paio di mutande, un sacco ed una corda. E temé di possedere ancora troppo; talché prima di morire alla presenza de' suoi frati si fece porre nudo sul pavimento, come al principio della sua totale conversione a Dio s'era spogliato di tutto davanti al Vescovo d'Assisi.

Queste cose avvenivano mentre Domenico a rischio della propria vita evangelizzava la Linguadoca, e schiacciava l'eresia coi successi del suo apostolato. Una, meravigliosa corrispondenza correva già fra questi due grandi, senza che essi neppur lo sospettassero; e la comunanza de' loro destini si ripercosse anche negli avvenimenti che dopo la morte li seguirono. Domenico, maggiore in età di dodici anni e preparato in forma più solenne alla sua missione, fu raggiunto a tempo dal suo fratello più giovane, il quale non aveva avuto bisogno di frequentare Università per apprendere la scienza della povertà e dell'amore.

Quasi nel medesimo tempo in cui Domenico gettava a Notre-Dame di Prouille, alle falde de' Pirenei, le fondamenta del suo Ordine, Francesco faceva altrettanto a S. Maria degli Angeli, ai piedi degli Appennini, ed un antico santuario della beata Vergine Madre di Dio addiveniva, così per l'uno come per l'altro, l'umile e preziosa pietra angolare del loro edificio. Notre-Dame di Prouille! ecco il luogo prediletto da Domenico. Santa Maria degli Angeli! ecco il lembo di terra per cui Francesco ha riserbato un grado particolare d'affezione nell'immensità del suo cuore distaccato da ogni cosa quaggiù. Ambedue avevano cominciata la loro vita pubblica con un pellegrinaggio a Roma; ambedue ora ci son tornati per far premure al Pontefice affinché approvi gli Ordini da loro stabiliti. Innocenzo dapprima si rifiutò per entrambi; ma da una stessa visione fu poi indotto a concedere a voce a tutti e due una provvisoria approvazione. Domenico e Francesco sotto l'austera flessibilità delle loro regole raccolsero allora uomini, donne, e gente ancora del secolo, formando di tre ordini una sola potenza che pugnasse per Nostro Signor Gesù Cristo con tutte le armi della natura e della grazia; ed in questo solo si distinsero, che Domenico cominciò dalle donne e Francesco dagli uomini. Lo stesso Pontefice, Onorio III, confermò con bolle apostoliche i loro istituti; lo stesso Pontefice, Gregorio IX, li dichiarò Santi entrambi; e sulle loro tombe fiorirono i due più grandi dottori di tutti i secoli: S. Tommaso su quella di Domenico, e S. Bonaventura su quella di Francesco.

Eppure questi due uomini i cui destini nel cielo come sulla terra furono congiunti con tanta meravigliosa corrispondenza, al punto in cui siamo della nostra storia ancora non si conoscevano. Presenti ambedue in Roma durante il quarto Concilio Lateranense, non pare che il nome dell'uno fosse mai pervenuto alle orecchie dell'altro. Una notte però, stando Domenico secondo il consueto in orazione, gli apparve Gesù Cristo sdegnato col mondo, e la divina sua Madre, che, per placarlo, gli presentava due uomini. In uno di questi Domenico riconobbe se stesso; chi fosse l'altro non riuscì a determinarlo; ma lo fissò così bene che glie ne rimase vivamente impressa nella memoria la fisonomia. Il giorno seguente trovandosi, non si sa bene in quale chiesa, riconobbe sotto il sacco di un mendicante, quella figura stessa che nella notte, gli era stata mostrata. Fu allora che correndo incontro a quel povero, se lo strinse con santa effusione fra le braccia, esclamando: « Tu sei il mio compagno e camminerai insieme con me. Stiamo uniti, e nessuno contro di noi prevarrà!» . E raccontatagli la visione, i loro cuori si fusero insieme tra i più affettuosi abbracci e soavi discorsi.

Il bacio di Domenico e di Francesco si trasfuse di generazione in generazione sulle labbra dei loro figlioli; ed una cara amicizia lega anche oggi i Frati Predicatori ai Frati Minori. Su tutti i punti ,della terra si sono essi incontrati ad esercitare il medesimo ministero; negli stessi luoghi hanno eretto i loro conventi, hanno bussato alle stesse porte, ed il loro sangue sparso per Gesù Cristo mille volte si è mescolato insieme in un medesimo sacrificio e colla stessa gloria. Principi e principesse hanno indossato le loro divise; a gara hanno popolato il Cielo di Santi. Di virtù, di potenza, di fama, di bisogno hanno essi avuto comunanza sempre e per tutto, né mai un soffio glaciale appannò il puro cristallo di quest’amicizia sei volte secolare. Come rami rigogliosi di due, pianto eguali di tempo e di forza, si dilatarono insieme nel mondo; come due gemelli riposano sul seno dell'unica loro madre, così essi si acquistarono e si divisero l'affezione dei popoli, elevandosi insieme verso Dio, come due preziosi profumi leggermente salgono ad uno stesso punto del cielo. Ogni anno, a Roma, il giorno della festa di S. Domenico alcune vetture partono dal convento di Santa Maria sopra Minerva, dove il P. Generale dei Domenicani ha la sua residenza, e vanno al convento d'Ara-coeli a prendere il P. Generale dei Francescani. Questi, accompagnato da un bel numero de’ suoi frati, giunge alla Minerva; e Domenicani e Francescani schierati in due file parallele si recano all'altare maggiore, dove ricambiatosi il saluto, i primi si ritirano in coro, gli altri rimangono all'altare per celebrarvi l'Officio dell'amico del Padre loro. Siedono poi alla stessa mensa, prendono insieme quel pane che per ben sei secoli non è mai loro mancato; e terminata la refezione, il cantore dei Frati Minori e quello dei Frati Predicatori cantano insieme nel mezzo del refettorio quest'antifona: «Il serafico Francesco e l'apostolico Domenico, ci hanno insegnata la tua legge, o Signore». Tali cerimonie si rinnovano al convento d'Ara-coeli il giorno della festa di S. Francesco ; come pure qualche cosa di simile avviene dovunque un convento di Domenicani sia così vicino a quello di Francescani, da permettere al cenobiti di attestarsi con un segno visibile il pio ed ereditario amore che insieme li lega.

 

 

 

INDICE

INTRODUZIONE

 

Capitolo I. Genesi di S. Domenico

Capitolo II Arrivo di S. Domenico in Francia

Suo primo viaggio a Roma

Colloquio a Montpellier .

Capitolo III Apostolato di S. Domenico dall' abboccamento di Moutpellier fino al principio della guerra Albigese

Fondazione del monastero di Notre-Dame di Prouille

Capitolo IV Guerra degli AlbIgesi

Capitolo V Apostolato di S. Domenico dal principio della guerra Albigese fino al quarto

Concilio Lateranense

Istituzione del SS. Rosario

S. Domenico ed i suoi primi discepoli a Tolosa

Capitolo VI Secondo viaggio di S. Domenico a Roma

Approvazione provvisoria dell'Ordine dei Frati Predicatori fatta da Innocenzo III

Incontro di S. Domenico con S. Francesco d'Assisi

Capitolo VII Riunione di S. Domenico e del suoi compagni a Notre-Dame di Prouille

Regola e Costituzioni dei Frati Predicatori

Fondazione del convento di S. Romano a Tolosa

Capitolo VIII Terzo viaggio di S. Domenico a Roma

Conferma dell'Ordine dei Frati Predicatori

Predicazione di S. Domenico nel palazzo del Papa

Capitolo IX Nuova riunione dei Frati Predicatori a Notre-Dame di Prouille, e loro diffusione in Europa

Capitolo X Quarto viaggio di S. Domenico a Roma

Fondazione dei conventi di S. Sisto e di S. Sabina

Miracoli che accompagnarono queste due fondazioni

Capitolo XI Soggiorno dì S. Domenico a S. Sabina

S. Giacinto ed il B. Ceslao entrano nell'Ordine

Miracolosa unzione fatta dalla Vergine Santissima sul B. Reginaldo

Capitolo XII Fondazione dei conventi di S. Giacomo a Parigi, e di S. Niccolò di Bologna

Capitolo XIII Viaggio di S. Domenico in Spagna ed in Francia

Sue veglie nella grotta di Segovia

Modo di viaggiare e sistema di vita del Santo

Capitolo XIV Quinto viaggio di S. Domenico a Roma

Morte del B. Reginaldo

Il B. Giordano di Sassonia entra nell'Ordine

Capitolo XV Primo Capitolo Generale dell'Ordine

Dimora di S. Domenico in Lombardia

Istituzione del Terz'Ordine

Capitolo XVI Sesto ed ultimo viaggio di S. Domenico a Roma

Secondo Capitolo Generale Malattia e morte del Santo Patriarca

Capitolo XVII Traslazione del corpo di S. Domenico

Canonizzazione del Santo

 

 

APPENDICE

L'ORDINE DI S. DOMENICO

Capitolo I Della legittimità degli Ordini religiosi dinanzi suo Stato

Capitolo II Idea generale dell'Ordine dei Frati Predicatori

Motivi per ristabilirlo in Francia

Capitolo III Azione dei Frati Predicatori come Apostoli

Loro Missioni nell' antico e nel nuovo mondo

Capitolo IV Azione dei Frati Predicatori come dottori

S. Tommaso d'Aquino

Capitolo V Artisti, Vescovi, Cardinali, Papi, Santi e Sante, dati alla Chiesa dall’Ordine dei Frati Predicatori

Capitolo VI L'Inquisizione

Capitolo VII Conclusione

 

 

 

 

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