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VITA DI SAN DOMENICO

P. Enrico D. Lacordaire dei Predicatori


 

CAPITOLO III.

 

Apostolato di S. Domenico dall'abboccamento di Montpellier fino al principio della guerra Albigese

Fondazione del monastero di Notre-Dame di Prouille.

 

Quanto fra i legati apostolici ed il Vescovo di Osma era stato stabilito, senza indugio fu mandato ad effetto. L'abate di Citeaux partì per la Borgogna a presiedervi il capitolo generale del suo Ordine, e promise che sarebbe tornato con buon numero di operai evangelici. Gli altri due legati con Don Diego, con Domenico e con alcuni preti spagnoli s'avviarono a piedi verso Narbona e Tolosa. Strada facendo, sostavano nelle città e nelle borgate a seconda che lo Spirito del Signore li ispirava o potevano rilevare dalle circostanze che la loro parola sarebbe stata fruttuosa. Divisato poi che avessero di predicare in qualche luogo, ci si fermavano più o meno, attesa l'importanza del paese e l'impressione prodottavi. Ai cattolici predicavano nelle chiese; con gli eretici tenevano conferenze in case private. L'uso di tali conferenze è antichissimo. San Paolo stesso ne teneva di frequente con gli Ebrei, e S. Agostino coi Donatisti e coi Manichei dell'Africa. E per verità, se fra le cause dell'errore si conta pure l'ostinazione, l'ignoranza ne, è la causa più comune. La maggior parte degli uomini non rigettano la verità so non perché, ignorandola, se la rappresentano sotto forme, che non hanno niente di reale.

Uno degli obblighi dell'apostolo è adunque esporre chiaramente la vera fede, sceverandola da tutte le opinioni particolari che la oscurano, lasciando allo spirito umano tutta la libertà che la parola di Dio e la Chiesa, sua interprete, gli consentono. Ma questa esposizione non è possibile se non in quanto attira coloro che ne hanno bisogno; ed allora solo è completa, quando permette agli avversari la discussione, come noi ci riserbiamo il diritto di esaminare le loro dottrine. E' questo il fine delle conferenze, onorevole palestra, dove uomini di buona fede invitano a discutere uomini di buona fede, dove la parola è l'arma uguale per tutti, e la coscienza il solo giudice.

Se però l'uso delle conferenze è antico, quelle tenute cogli Albigesi rivestirono una certa novità ed arditezza tutta propria. I cattolici non temettero di eleggere spesso ad arbitri delle controversie gli stessi avversari, rimettendosi al loro giudizio, invitando a presiedere l'assemblea i più celebri fra gli eretici, e dichiarando fin da principio che sul valore delle ragioni addotte da ambedue le parti, sarebbero stati alle loro decisioni. Quest'eroica fiducia fruttò loro assai bene, e più volte poterono rallegrarsi di avere confidato assai nel cuore umano; ebbero anzi le più solenni prove dell'inesauribile disposizione al bene che sempre vi si nasconde.

Una delle prime borgate dove i nostri si fermarono fu Caraman, non lontano da Tolosa. Con tanto successo vi annunziarono per otto giorni la verità, che gli abitanti volevano cacciarne

a forza gli eretici; e quando i missionari partirono, li accompagnarono per lungo tratto. - Beziers li ebbe per quindici giorni. Ivi la piccola schiera rimase priva di Pietro di Castelnau pregato dagli amici ad allontanarsi a cagione dell'odio particolare che a lui, portavano gli eretici. - Una terza stazione fu fatta a Carcassona; un’altra a Verfeuil, nelle vicinanze dì Tolosa; una quinta. a Fanjeaux, piccola città situata in alto fra Carcassona e Pamiers. Quest'ultima è rimasta celebre

per un fatto miracoloso, che il B. Giordano di Sassonia racconta con queste parole: «Accadde che a Fanjeaux fosse tenuta una clamorosa conferenza davanti ad una moltitudine di fedeli ed infedeli. I cattolici avevano preparati diversi memoriali pieni di argomenti e di autorità a sostegno della loro fede; esaminati però, e confrontati insieme, fu prescelto, per opporre al memoriale che dal canto loro avrebbero presentato gli eretici, quello del beato servo di Dio Domenico. Di comune accordo cogli eretici furono designati tre arbitri per giudicare da qual parte militassero ragioni migliori, e per conseguenza più soda fosse la fede. Ma dopo molto ragionare, non consentendo gli arbitri in una stessa sentenza, venne loro in mente di gettare nel fuoco le due memorie, persuasi che se una fosse risparmiata dalle fiamme, essa avrebbe contenuto senza dubbio la vera dottrina. Si accese dunque un gran fuoco e vi si gettarono i due volumi; quello degli eretici fu subito in fiamme, mentre l'altro che il beato servo di Dio Domenico aveva scritto, non solamente rimase illeso, ma fu respinto via dal fuoco stesso in presenza di tutta quanta l'assemblea. Vi si rigettò una seconda volta e poi una terza, ed il prodigio sempre ripetutosi die' manifestamente a conoscere da qual parte stesse la verità, e quanta fosse la santità di chi avea scritto quel libro» . La memoria di questo fatto è rimasta non solo nella storia, ma anche nelle tradizioni di Fanjeaux; e nel 1325 gli abitanti di quel luogo ottennero da Carlo il Bello di poter comprare la casa ove era avvenuto il prodigio e di trasformarla in cappella, arricchita poi dai Sommi Pontefici di molti privilegi Un miracolo simile accadde più tardi a Montréal, ma in secreto, fra eretici convenuti nottetempo per esaminare un altro memoriale del medesimo servo di Dio. Per quanto però si fossero promessi a vicenda di occultare la cosa, pure uno di essi, convertitosi alla fede, la rivelò.

Frattanto Domenico si era bene accorto che una delle cause per cui l'eresia progrediva era la scaltrezza con la quale gli eretici attiravano a sé l'educazione di nobili giovinette, che le famiglie per mancanza di mezzi non potevano educare convenientemente alla loro condizione. Stava quindi investigando al cospetto di Dio il da farsi per rimediare a tanta seduzione; e credè di potervi provvedere colla fondazione di un monastero destinato a ricevere quelle fanciulle cattoliche che la nobiltà dei natali e la povertà insieme esponevano alle insidie dell'eresia. Eravi a Prouille, villaggio posto in una pianura tra Fanjeaux e Montréal, alle falde dei Pirenei, una chiesa dedicata alla SS. Vergine e celebre da molto tempo nella venerazione dei popoli. Domenico nutriva devozione particolare per Notre-Dame di Prouille; spesso nei suoi viaggi apostolici ci si era fermato a pregare; e sia che salisse i primi colli dei Pirenei, sia che ne discendesse, l'umile santuario di Prouille gli era sempre apparso, all'entrare nella Linguadoca, come un luogo di speranze e di consolazioni. Quivi adunque, a fianco della chiesa, coll'approvazione e con l'aiuto del vescovo Folco, asceso allora alla sede di Tolosa, edificò Domenico il suo monastero. Folco era monaco cisterciense, assai noto per la purità della vita e l'ardore della fede; ed i cattolici, di Tolosa se l'erano scelto per vescovo, dopochè Raimondo di Rabenstens, suo predecessore, per decreto del Pontefice ne era stato rimosso. La sua elezione ad una sede tanto importante fu accolta con somma gioia in tutta la Chiesa; e quando lo venne a sapere anche il legato Pietro di Castelnau, allora gravemente infermo, sollevatosi un po' dal letto, a mani giunte ne rese grazie al Signore. Folco ben presto fu l'amico di Domenico e di Don Diego, e favorì quanto poté l'erezione del monastero di Prouille, cui concesse prima l'uso e poi la proprietà della chiesa di Santa Maria, accanto alla quale Domenico l'avea edificato. E prima di Folco, Berengario, arcivescovo di Narbona, aveva donato alle suore, quattro mesi appena dacché si erano riunite, la chiesa di S. Martino di Limoux con tutte le rendite che le appartenevano. In seguito anche il conte Simone di Montfort ed altri nobili cattolici fecero doni rimarchevoli a Prouille, che ben presto addivenne un fiorente e celebre monastero. Parve anzi che una grazia speciale sempre lo assistesse; perocché la stessa guerra civile e religiosa che di lì a poco scoppiò, non si avvicinò alle sue mura se non per venerarle. E mentre le chiese erano spogliate, i monasteri distrutti, l'eresia in armi e spesso vittoriosa, povere figliole del tutto indifese pregavano tranquillamente a Prouille, all'ombra ancor giovane del loro chiostro. Le prime opere dei Santi spirano sempre un profumo di verginità che tocca il cuore di Dio; e Colui che protegge il filo d’erba contro la tempesta, veglia alla culla delle grandi cose.

Quale fosse in principio l'abito e quali le regole delle Suore di Prouille, non si sa con certezza. A capo stava una Priora sotto la Direzione di Domenico, che ritenne l'amministrazione spirituale e temporale del monastero, affinché le sue care figliole non fossero disgiunte dal futuro Ordine che stava meditando, anzi ne fossero come il primo seme. Però non permettendogli le sue cure apostoliche di fissare in Prouille la sua residenza, commise l'amministrazione temporale del monastero ad un abitante di Pamiers, a lui bene affetto, per nome Guglielmo Claret; e chiamò altresì a parte della direzione spirituale uno o due ecclesiastici, francesi o spagnoli non so, e di cui anche il nome è rimasto sconosciuto. Una parte del monastero fuori di clausura, fu adibita ad uso di Domenico e dei suoi coadiutori, affinché la loro abitazione distinta, ma sotto un medesimo tetto, fosse garanzia dell'unione che legherebbe un giorno i Frati Predicatori alle Suore Predicatrici, due rami sbocciati da un medesimo tronco. E quando tutto fu ultimato il 27 dicembre 1206, festa di S. Giovanni Evangelista Domenico ebbe la consolazione di aprir le porte di Notre-Dame di Prouille a parecchie gentildonne e giovanette che per mezzo suo aveano desiderato consacrarsi a Dio.

Tali i primordi delle istituzioni Domenicane. Da principio un asilo a protezione della triplice debolezza del sesso, della nascita e della povertà, come la redenzione del mondo che cominciò nel seno di una vergine povera e figlia di David. Notre-Dame di Prouille, solitaria e modesta, aspettò ancora lungamente ai piedi della montagna i fratelli e le sorelle che avrebbe avuti senza numero, e che avrebbero portato il suo nome fino all'estremità della terra. Primogenita di un padre che lentamente avanzava sotto la paziente direzione di Dio, cresceva anch'essa in silenzio, onorata dall'amicizia di molti uomini grandi e quasi cullata sulle loro ginocchia. Domenico poi, che dopo l'abboccamento di Montpellier avea lasciato il titolo di sottopriore d'Osma, per prender quello di Fra Domenico, aggiunse allora a questa umile e dolce denominazione, l'altra di Priore di Prouille, onde veniva chiamato: Fra Domenico, priore di Prouille.

Qualche tempo dopo questa fondazione, Domenico trovandosi a Fanjeaux, fatta la predica. era rimasto, secondo il suo solito, in Chiesa a pregare: quand'ecco che nove nobili signore si prostrano ai suoi piedi e: «Servo di Dio, gli dicono, aiutateci. S'egli è vero ciò che oggi voi avete predicato, ben da gran tempo il nostro spirito è acciecato dall'errore; perocchè a coloro che voi chiamate eretici, e noi buonomini, fino ad oggi abbiamo prestato fede ed aderito, con tutta convinzione, ora non sappiamo più che pensare. Servo di Dio abbiate pietà di noi e pregate il Signore Dio vostro, che ci faccia conoscere la vera fede nella quale dobbiamo vivere e morire, per esser salve». Domenico rimasto assorto ancora per qualche momento nella preghiera, poi rispose loro: «Abbiate pazienza e aspettate senza timore. Io credo che il Signore, il quale non vuole che alcuno si perda, vi mostrerà a qual padrone abbiate servito fin qui». E tutta ad un tratto apparve in forma di immondo animale lo spirito di errore e di odio; e Domenico rassicurandole: «Voi potete argomentare da questo mostro, che Dio vi ha fatto comparire dinanzi, chi sia colui che, dando retta agli eretici, fino ad ora avete servito» . Le donne, piene di riconoscenza verso. il Signore, sull'istante e con fermo proposito si convertirono alla fede, cattolica; anzi alcune si consacrarono a Dio nel monastero di Prouille.

Nella primavera dell'anno,1207 fu tenuta a Montréal una delle solite conferenze fra albigesi e cattolici. Questi ultimi scelsero fra gli avversari quattro arbitri ai quali furono rimessi da ambedue le parti alcuni memoriali sulle materie controverse. La pubblica disputa fu protratta per quindici giorni, dopo i quali gli arbitri si ritirarono senza volersi pronunziare. Sentivano vivamente nella loro coscienza la superiorità dei cattolici, ma non avevano coraggio di fare una dichiarazione aperta contro il loro partito. Ciò nonostante, centocinquanta uomini abiurarono l'eresia e ritornarono nel seno della Chiesa. Il legato Pietro di Castelnau era presente a questa conferenza; e poco dopo giunsero a Montréal anche l'abate di Citeaux, dodici altri abati del medesimo Ordine e circa venti religiosi, tutti uomini di cuore, versati nelle cose divine e d'una santità di vita degna della missione che venivano a compiere. Avevano lasciato Citeaux allo sciogliersi del capitolo generale, e secondo le raccomandazioni del Vescovo d'Osma si erano messi in viaggio non portando seco che il puro necessario. Questo rinforzo rianimò i cattolici, i quali dopo due anni di fatiche vedevano finalmente qualche frutto dei loro sudori e sperimentavano di non avere confidato invano sull'assistenza promessa a tutti coloro che sinceramente si consacrano alla causa di Dio. La provincia di Narbona era già stata evangelizzata da cima a fondo; molte le conversioni operate; l'orgoglio degli eretici rintuzzato da virtù superiore alle loro forze; ed i popoli spettatori di tanto risveglio, avevano ben potuto comprendere non esser poi la Chiesa Cattolica sull'orlo della tomba. Folco avea rialzata la dignità episcopale; Navarre, vescovo di Conserans, lo imitava; gli altri colleghi, prima freddi, scuotevansi anch'essi dal loro torpore; e con la fondazione del monastero di Prouille era stata riabilitata la nobiltà cattolica decaduta. Il più gran fatto però era quello di aver potuto riunire insieme uomini eminenti per virtù, per dottrina e per carattere, animati dal comune pensiero dell'apostolato; e di aver dato a questo apostolato nascente una consistenza insperata. - Tuttavia richiedevasi ancora maggiore unità fra questi elementi retti da quattro differenti autorità, cioè dai legati, dai vescovi, dagli abati di Citeaux e dagli spagnoli; per la qual cosa parlavasi spesso della necessità di fondare un Ordine religioso che avesse per ufficio la predicazione. E se la venuta dei cisterciensi a Montreal consolidò tutte le cose fino allora operate, ispirò ancora un desiderio più risoluto di andare innanzi. Anima dell'impresa era il Vescovo d'Osma, per quanto come semplice vescovo fosse inferiore ai legati, e come straniero dipendesse nell'esercizio del suo spirituale ministero dai prelati francesi. Ma era stato lui che coi suoi consigli avea ridato vita ad ogni cosa quando tutto era disperato; lui che per primo avea messo mano all'opera senza mai voltarsi indietro; lui che si era conciliato perfino l'affezione degli eretici, i quali andavan dicendo: «essere impossibile che un tant'uomo non fosse predestinato alla vita; e senza dubbio non per altro fine essere inviato fra loro, che per ammaestrarli sulla vera dottrina» . Insomma quella forza segreta che spinge ciascun uomo verso il proprio destino, avea innalzato Diego al di sopra di tutti. Pensò egli adunque di tornare nella Spagna onde regolare gli affari della sua diocesi, raccogliere offerte a vantaggio del monastero di Prouille che versava nel momento in strettezze, e reclutare nuovi operai da condurre in Francia, affine di stabilire sempre meglio l'impresa già bene avviata. Fermo in questa risoluzione, riprese a piedi la via per la Spagna.

Giunto a Pamiers, Don Diego s'incontrò con il Vescovo di Tolosa, con quello di Conserans, e con un gran numero di Abati di diversi monasteri, i quali saputo della sua partenza, erano venuti per salutarlo. La presenza loro fu occasione di una celebre disputa coi Valdesi, predominanti in Pamiers sotto la protezione del conte di Foix. Il conte invitò alternativamente a mensa i cattolici e gli eretici, ed offrì loro il suo palazzo per tenervi la conferenza. Ad arbitro della disputa i cattolici scelsero il più spinto fra i loro avversari, il quale era ancora uno dei più distinti personaggi della città. Il successo superò ogni aspettativa. Arnaldo di Campranham, l'arbitro designato, pronunziò la sentenza in favore dei cattolici ed abiurò l'eresia; e un altro eretico assai celebre, Durando di Huesca, non contento di essersi convertito alla vera fede, abbracciò in seguito la vita religiosa in Catalogna dove si era ritirato, e fu il fondatore di una nuova congregazione sotto il nome di veri cattolici. Queste due abiure, e non furono le sole, destarono, gran rumore nella città di Pamiers, e meritarono ai cattolici dimostrazioni grandi di gioia e di stima da parte del popolo. Dopo questo trionfo, degna corona di un laborioso apostolato, Don Diego disse addio a tutti i venuti ad ossequiarlo avanti la sua partenza dalla Francia. S’ignora se Domenico l’avesse accompagnato fin là; forse la loro separazione ebbe luogo a Prouille, e sotto quel tetto prediletto si videro per l'ultima volta. Negli imperscrutabili giudizi di Dio era scritto, che essi mai più si sarebbero incontrati su la terra.

Don Diego valicati i Pirenei, e traversata, sempre a piedi, l'Aragona, rivide finalmente Osma, e si assise sulla sua cattedra, vedovata per tre anni del suo pastore. Quando già stava preparandosi a lasciare di bel nuovo la patria, Dio lo chiamò alla città permanente degli angeli e degli uomini. Fu sepolto in una chiesa della città vescovile, con questa breve iscrizione: Qui giace Diego di Azevedo, vescovo di Osma, morto l’anno 1245 . La sua morte tramandata ai posteri con tanta semplicità, ebbe nondimeno tali conseguenze da far chiaramente rilevare la scomparsa di un uomo grande. Ne era infatti giunta appena la voce oltre i Pirenei, che l'opera grandiosa da lui organizzata subito venne meno. Gli abati e i religiosi di Citeaux ripresero la via per i loro monasteri; la maggior parte degli spagnuoli che Don Diego aveva lasciati sotto la presidenza di Domenico, se ne tornarono nella Spagna; dei tre legati, Rodolfo era morto, Arnaldo si era appena fatto vivo per un momento, e Pietro di Castelnau era in Provenza, alla vigilia di cader vittima sotto i colpi di un assassino. Un uomo solo perseverava, sempre compreso dell'antico pensiero dì Tolosa e di Montpellier; uomo giovane straniero, senza poteri, rimasto fino allora in seconda linea, impotente quindi a sostituirsi d'un tratto ad un Azevedo in cui l'episcopato, l'età, la rinomanza avvaloravano di gran lunga il genio e la virtù. Il più che poté fare Domenico adunque fu non soccombere al terribile colpo di tale perdita, e, anche privo dell'amico, rimanere costante. Otto anni di continue fatiche gli furono necessari per riparare al vuoto che intorno a lui si era fatto; né ci fu mai uomo che più penosamente di Domenico si sia spinto verso la meta prefissa, per raggiungerla poi con una rapidità ancor più meravigliosa.

Alcuni miracoli resero celebre la tomba di Azevedo. Nella medesima chiesa dove riposavano le sue spoglie fu in seguito eretta una cappella a S. Domenico: la pietà de' fedeli li volle ravvicinati fra loro, col trasportare il corpo dell'uno sotto l'immagine dell'altro. Ma come se Domenico non potesse permettere che stesse ai suoi piedi chi sulla terra era stato il suo mediatore, da una mano riverente fu tolto di là il venerabile capo, tempio una volta del pensiero dell'amico, e dato al convento dei Frati Predicatori di Malaga. Nonostante questi onori, la rinomanza in Azevedo non ha uguagliato il suo merito. La Francia non lo vide che di passaggio; la Spagna lo conobbe troppo poco; ed ei scomparve senza aver condotto a termine alcun impresa. Dio non l’avea predestinato che a precursore di un altro uomo più santo e più straordinario di lui. Arduo compito, per cui richiedesi un cuore totalmente disinteressato, ed a cui Azevedo corrispose con quella stessa semplicità che gli facea varcare a piedi i Pirenei. Egli fu sempre dimentico di se stesso; ma la posterità di S. Domenico ne serba riverente e grata memoria, come fu grande la sua umiltà; ed io non posso ora separarmi da lui, se non con, la pietà di un figlio che testé abbia chiuso gli occhi al suo genitore.

Tutto adunque andò in dispersione per la morte del Vescovo di Osma, e Domenico si trovò quasi solo sul campo. I due o tre cooperatori rimasti con lui, avrebbero potuto abbandonarlo da un momento all’altro, trattenuti com'erano solo dal loro buon volere. Né questa solitudine fu l'unica sua sventura; ché una terribile guerra venne ad accrescerne le amarezze e le difficoltà.

Il legato Pietro di Castelnau avea detto più volte che la religione non sarebbe rifiorita in Linguadoca, prima che il sangue di un martire avesse irrigato il suolo; e ardentemente pregava Dio di concedergli la grazia d'esser lui la vittima. I suoi voti furono esauditi. Dietro premurosi inviti del conte di Tolosa lui poco prima scomunicato, e che ora diceva volersi riconciliare colla Chiesa, Pietro e l'abate di Citeaux, spinti da vivissimo desiderio di pace, si erano recati a Saint-Gilles, per il richiesto abboccamento. Ma il conte non voleva che burlarsi di loro, e mostrò col fatto di non avere avuto altro fine nell'invito che di ottenere col terrore la liberazione dalla scomunica, minacciando la morte ai legati, se avessero ardito partite da Saint-Gilles prima di averlo assolto. I legati però disprezzando le suo minacce se ne ripartirono, protetti da una scorta data loro dai magistrati della città. La notte sostarono sulla riva del Rodano, e la dimane, accomiatata quella gente che li aveva accompagnati, già si disponevano a passare il fiume, quando si fecero loro innanzi due uomini, uno de’ quali immerse la lancia nel petto di Pietro di Castelnau. Il legato, ferito a morte, disse al suo uccisore: «Che Iddio ti perdoni come io ti perdono» . E ripetute più volte queste parole, ed esortati i compagni a servire intrepidamente ed instancabilmente la Chiesa, esalò l'ultimo respiro. Il suo corpo fu trasportato all'abazia di Saint-Gilles; l'uccisione avvenne il 15 gennaio 1208.

Quest'omicidio fu il segnale di una guerra, in cui per quanto Domenico non avesse parte alcuna, pure fu a lui sorgente di grandi tribolazioni nell'esercizio del suo apostolato; e gli avvenimenti di tal guerra sono così collegati con quelli della di lui vita, che non posso fare a meno di tracciarne rapidamente la storia.

 

 

INDICE

INTRODUZIONE

 

Capitolo I. Genesi di S. Domenico

Capitolo II Arrivo di S. Domenico in Francia

Suo primo viaggio a Roma

Colloquio a Montpellier .

Capitolo III Apostolato di S. Domenico dall' abboccamento di Moutpellier fino al principio della guerra Albigese

Fondazione del monastero di Notre-Dame di Prouille

Capitolo IV Guerra degli AlbIgesi

Capitolo V Apostolato di S. Domenico dal principio della guerra Albigese fino al quarto

Concilio Lateranense

Istituzione del SS. Rosario

S. Domenico ed i suoi primi discepoli a Tolosa

Capitolo VI Secondo viaggio di S. Domenico a Roma

Approvazione provvisoria dell'Ordine dei Frati Predicatori fatta da Innocenzo III

Incontro di S. Domenico con S. Francesco d'Assisi

Capitolo VII Riunione di S. Domenico e del suoi compagni a Notre-Dame di Prouille

Regola e Costituzioni dei Frati Predicatori

Fondazione del convento di S. Romano a Tolosa

Capitolo VIII Terzo viaggio di S. Domenico a Roma

Conferma dell'Ordine dei Frati Predicatori

Predicazione di S. Domenico nel palazzo del Papa

Capitolo IX Nuova riunione dei Frati Predicatori a Notre-Dame di Prouille, e loro diffusione in Europa

Capitolo X Quarto viaggio di S. Domenico a Roma

Fondazione dei conventi di S. Sisto e di S. Sabina

Miracoli che accompagnarono queste due fondazioni

Capitolo XI Soggiorno dì S. Domenico a S. Sabina

S. Giacinto ed il B. Ceslao entrano nell'Ordine

Miracolosa unzione fatta dalla Vergine Santissima sul B. Reginaldo

Capitolo XII Fondazione dei conventi di S. Giacomo a Parigi, e di S. Niccolò di Bologna

Capitolo XIII Viaggio di S. Domenico in Spagna ed in Francia

Sue veglie nella grotta di Segovia

Modo di viaggiare e sistema di vita del Santo

Capitolo XIV Quinto viaggio di S. Domenico a Roma

Morte del B. Reginaldo

Il B. Giordano di Sassonia entra nell'Ordine

Capitolo XV Primo Capitolo Generale dell'Ordine

Dimora di S. Domenico in Lombardia

Istituzione del Terz'Ordine

Capitolo XVI Sesto ed ultimo viaggio di S. Domenico a Roma

Secondo Capitolo Generale Malattia e morte del Santo Patriarca

Capitolo XVII Traslazione del corpo di S. Domenico

Canonizzazione del Santo

 

 

APPENDICE

L'ORDINE DI S. DOMENICO

Capitolo I Della legittimità degli Ordini religiosi dinanzi suo Stato

Capitolo II Idea generale dell'Ordine dei Frati Predicatori

Motivi per ristabilirlo in Francia

Capitolo III Azione dei Frati Predicatori come Apostoli

Loro Missioni nell' antico e nel nuovo mondo

Capitolo IV Azione dei Frati Predicatori come dottori

S. Tommaso d'Aquino

Capitolo V Artisti, Vescovi, Cardinali, Papi, Santi e Sante, dati alla Chiesa dall’Ordine dei Frati Predicatori

Capitolo VI L'Inquisizione

Capitolo VII Conclusione

 

 

 

 

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