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VITA DI SAN DOMENICO

P. Enrico D. Lacordaire dei Predicatori


 

CAPITOLO XVII

 

Traslazione del corpo di S. Domenico

Canonizzazione del Santo

 

Per lo spazio di dodici anni trascorsi dalla morte di Domenico, Dio manifestò luminosamente la santità del suo servo con gran numero di miracoli avvenuti alla sua tomba o ad invocazione del suo nome. Giorno e notte si vedevano continuamente malati sopra la pietra che copriva le sacre reliquie, i quali se ne ripartivano poi sanati, attribuendo al Santo la grazia della guarigione. Alle pareti circostanti si appendevano quadri in memoria dei benefizi ricevuti, né il tempo valse mai a cancellare i segni di una popolare venerazione. Ciò nonostante una densa nube faceva ombra agli occhi dei frati; e mentre il popolo glorificava il loro fondatore, essi, i suoi figliuoli, nonché aver cura di mantenerne sempre viva la memoria, sembravano adoprarsi per oscurarne lo splendore. Imperocchè non solo lasciavano senza alcun ornamento il di lui sepolcro, ma per timore di essere accusati di approfittare a scopo di lucro del culto che gli si prestava, staccavano dalle pareti quei quadri che i devoti vi appendevano. E se pur vi era qualcuno a cui ciò dispiacesse, nondimeno non aveva coraggio di contraddire. Avvenne per giunta che, crescendo sempre più il numero dei frati, fu necessario abbattere la vecchia chiesa di S. Nicolò per fabbricarne una nuova: la tomba del S. Patriarca fu lasciata allora allo scoperto, esposta alle piogge e a tutte le ingiurie delle stagioni. Finalmente la cosa toccò il cuore di molti frati, i quali deliberarono fra loro sul modo di trasportare quelle preziose reliquie in un sepolcro più conveniente; erano però nella persuasione di non poterlo fare senza l'autorizzazione del Romano Pontefice. «Certo che era in diritto dei figli, dice il B. Giordano di Sassonia, dar sepoltura al loro padre; ma permise Iddio che a compiere tal pietoso ufficio essi cercassero il concorso di un personaggio molto più illustre di loro, appunto perché la traslazione del glorioso Domenico acquistasse anche il carattere di canonicità».

I frati adunque prepararono un sepolcro più degno pel loro padre e mandarono una deputazione al Pontefice per sentire il da farsi. Sedeva allora sul trono pontificale il vecchio Ugolino Conti, sotto il nome di Gregorio IX, il quale ricevé i frati molto aspramente, e li rimproverò di aver trascurato per tanto tempo di rendere l'onore dovuto al loro patriarca. «Io ho conosciuto quell'uomo apostolico, aggiunse, e non dubito affatto, che sia partecipe in cielo della gloria dei santi apostoli». Gregorio avrebbe desiderato di trovarsi in persona a quella traslazione, ma trattenuto dai doveri del suo ufficio, scrisse all'arcivescovo di Ravenna di portarsi a Bologna coi suoi suffraganei per assistere alla cerimonia.

Si arrivò così alla Pentecoste dell'anno 1233. Il Capitolo generale dell'Ordine era già convocato a Bologna, sotto la presidenza di Giordano di Sassonia, immediato successore di Domenico nel generalato. Ossequenti agli ordini del Pontefice, erano colà convenuti anche l'Arcivescovo di Ravenna ed i vescovi di Bologna, di Brescia, di Modena e di Tournay. I frati, accorsi da ogni parte, erano più di trecento; gli alberghi rigurgitavano di signori e nobili personaggi delle città vicine; immensa l'aspettazione del popolo. «Ma intanto, dice il B. Giordano di Sassonia, i Frati sono in preda all'angoscia: pregano, impallidiscono, tremano pel timore che il corpo di S. Domenico, esposto per tanto tempo alle intemperie di una vile sepoltura, apparisca corroso dai vermi ed esali cattivo odore, diminuendo cosi il concetto della di lui santità». Angustiati da questo pensiero, stavano divisando di aprire segretamente la tomba del Santo; ma Dio non lo permise. Il Potestà di Bologna, sia che glie ne fosse nato sospetto, sia che volesse certificarsi meglio sull'autenticità delle reliquie, fece custodire da cavalieri armati notte e giorno il sepolcro. Tuttavia per fare con più libertà la ricognizione del corpo, e per evitare in quel primo momento la confusione di un popolo immenso, come era allora in, Bologna, fu stabilito che l'apertura della tomba si facesse di notte. Il martedì di Pentecoste adunque, 24 di maggio, avanti l'aurora, l'Arcivescovo di Ravenna e gli altri Vescovi, il Generale dell'Ordine coi Deffinitori del Capitolo, il Potestà di Bologna, i principali signori e cittadini, così di Bologna come delle città vicine, al chiarore di fiaccole si radunarono intorno all'umile pietra che da dodici anni copriva i mortali avanzi di S. Domenico. Alla presenza di tutti, fra Stefano, priore provinciale di Lombardia, e fra Rodolfo si misero coll'aiuto di altri frati a levare il cemento che fissava al suolo la pietra. Si era indurito assai, e non cedé che a forza di grimaldello. Ciò fatto, e rese visibili le pareti esterne della tomba, fra Rodolfo con un martello ruppe un po',uno spigolo, e per mezzo di leve si poté così sollevare, sebbene con fatica, la pietra superiore del monumento. Non ancora si era potuta alzare del tutto, che un profumo celestiale cominciò a spandersi dal sepolcro semiaperto; profumo mai sentito, impossibile ad immaginare.

L'arcivescovo, i vescovi, tutti quanti insomma erano presenti, pieni di stupore e di gioia caddero in ginocchio piangendo e lodando il Signore. Tolta la pietra, apparve infondo alla tomba la cassa di legno che racchiudeva le reliquie del Santo. Nella tavola superiore c'era una piccola fessura, ed era per essa che esalava abbondantemente quell'odore, che aveva inebriato tutti gli astanti, e che si fece ancor più fragrante quando la cassa fu tratta fuori della fossa. Tutti si chinarono per vedere la preziosa custodia, e i baci e le lacrime vi caddero sopra in abbondanza. Finalmente, estratti i chiodi, fu aperta dal di sopra la cassa, e comparvero agli occhi di tutti i frati e degli amici le reliquie del Santo. Non vi si ritrovarono che ossa, ma ossa piene di gloria e di vita pel celeste profumo, che da loro emanava. Dio solo sa qual gioia inondò allora il cuore di tutti, e nessun pennello potrebbe ritrarre quella notte profumata, quel silenzio emozionante, quei vescovi, quei cavalieri, quei frati, tutti quei visi brillanti di lacrime e piegati sopra una cassa a cercarvi, al chiarore di ceri, il grande e santo uomo che dal trono di Dio certamente li rimirava, e rispondeva alla loro pietà con quegli invisibili amplessi, che temprano la gioia, quando è troppo forte nell'anima. I vescovi noli stimarono le loro mani abbastanza filiali da toccare le ossa del Santo; ne lasciarono quindi la consola-, zione e l'onore ai figli di Lui. Giordano di Sassonia' si chinò con rispettosa devozione su quelle sacre reliquie e le trasferì in una nuova cassa fatta di larice; legno, come dice Plinio, che resiste all'azione del tempo. La cassa fu chiusa con tre chiavi, una delle quali fu consegnata al Potestà di Bologna, un'altra a Giordano di Sassonia, e la terza al Priore Provinciale di Lombardia; fu quindi trasportata nella cappella dove si stava innalzando il monumento destinato a custodire il, sacro deposito. Il monumento era di marmo, ma senza alcuna scultura.

Fattosi giorno, i vescovi, il clero, i frati, i magistrati, i signori si recarono nuovamente alla chiesa di S. Nicolò, già rigurgitante di popolo immenso e di gente d'ogni nazione. L'arcivescovo di Ravenna cantò la Messa, che era in quel giorno la Messa del martedì di Pentecoste, e per felice combinazione le prime parole del coro furono: accipite jucunditatem gloriae vestrae, rallegratevi della vostra gloria. La cassa stava aperta e spandeva per la chiesa soavissimo odore, che i profumi dell'incenso non valevano per nulla a coprire. Al canto del clero e dei religiosi univasi ad intervalli il suono delle trombe; una moltitudine infinita di fiaccole brillava nelle mani del popolo. Non ci fu cuore, per quanto duro, che non si aprisse alla dolce ebbrezza di quel trionfo di santità. Finita la cerimonia e chiusa la cassa, i vescovi la riposero sotto il marmo, affinché là, in pace ed in gloria, aspettasse il segnale della resurrezione. Ma otto giorni dopo, per le pressanti preghiere di molte rispettabili persone che non avevano potuto assistere alla traslazione, fu riaperto il monumento. Giordano di Sassonia prese in mano il venerabile capo del S. Patriarca e lo mostrò a più di trecento frati, i quali ebbero così la consolazione di appressarvi le loro labbra, rimaste per lungo tempo profumate da quell'ineffabile bacio. Perocché quanto avesse toccato le ossa del Santo rimaneva impregnato del profumo che da esse emanava. «Anche noi abbiamo sentito, dice il B. Giordano di Sassonia, questo prezioso odore; onde di ciò che abbiamo veduto e sentito rendiamo testimonianza. Non potevamo saziarci dall'aprire i nostri sensi alla dolce impressione che ne causava quel profumo, per quanto fossimo rimasti lungo tempo'presso il corpo di S. Domenico. Non cagionava fastidio; eccitava anzi il cuore alla pietà, ed operava miracoli. Toccavi quel corpo con la ma-no, con una cintura, con qualche altra cosa? Subito s'imbeveva di quell'odore».

Teodoro d'Apolda fa notare a tal proposito, che anche avanti la morte, Dio aveva privilegiato il Santo di questo segno esteriore della purità dell'anima. Un giorno mentre a Bologna celebrava la messa in occasione di una festa solenne, giunto che fu all'offertorio, si accostò a lui uno studente e gli baciò la mano. Quel giovane era dominato da una forte incontinenza, di cui forse cercava la guarigione; baciando la mano di S. Domenico sentì tale profumo, che gli rivelò in un tratto l'onore e la gioia. dei cuori puri, e da quel momento, coll'aiuto di Dio, fu sempre superiore alla corruzione delle sue inclinazioni.

Gli strepitosi miracoli che accompagnarono la traslazione del corpo di S. Domenico, indussero Gregorio IX a non ritardarne più a lungo la canonizzazione. Con lettera adunque degli 11 di Luglio 1233 dette commissione a tre insigni ecclesiastici, Tancredi, arcidiacono di Bologna, Tommaso, Priore di S. Maria del Reno, Palmieri, canonico di S. Trinità, di procedere ad un'inchiesta sulla di lui vita. Dal 6 al 30 di Agosto l'inchiesta fu ultimata. I commissari apostolici ascoltarono, previo giuramento, la deposizione di nove Frati, scelti fra quelli che avevano avuto relazioni più intime con S. Domenico; questi furono Ventura di Verona, Guglielmo di Monferrato, Amizon di Milano, Bonvisi di Piacenza, Giovanni di Navarra, Rodolfo di Faenza, Stefano di Spagna, Paolo di Venezia e Frugero di Penna. Tutti questi testimoni però, ad eccezione di Giovanni di Navarra, non avevano conosciuto Domenico nei primi tempi del suo apostolato: onde i commissari della S. Sede credettero necessario fare una seconda inchiesta nella Linguadoca, e delegarono a questo effetto l'abate di S. Saturnino di Tolosa, l'arcidiacono della medesima chiesa, e quello di S. Stefano. Costoro ascoltarono ventisei testimoni, e più di trecento rispettabilissime persone sottoscrissero con giuramento alle deposizioni fatte dai ventisei intorno alle virtù di S. Domenico ed al miracoli operati per sua intercessione. Non conosciamo la data precisa di quest'atto, ma fu certo verso la fine del 1233 o al principio del 1234.

Le deposizioni di Bologna e di Tolosa furono esaminate a Roma dallo stesso Gregorio IX e dal S. Collegio; ed un autore contemporaneo ci fa sapere che il Pontefice parlando, in quell'occasione, di S. Domenico, disse: «Son certo della sua santità, come son certo di quella dei SS. Apostoli Pietro e Paolo». La Bolla di canonizzazione che tenne dietro a questi processi, è del seguente tenore: «Gregorio, vescovo, servo dei servi di Dio, ai venerabili fratelli arcivescovi e vescovi, ed ai cari figli abati, priori, arcidiaconi, arcipreti, decani, proposti ed altri prelati delle chiese, ai quali perverranno queste lettere, salute ed apostolica benedizione.

«La sorgente della Sapienza, il Verbo del Padre, la cui natura è bontà, la cui opera è misericordia, che riscatta e rigenera quelli ch'egli ha creato, e veglia fino alla consumazione dei secoli sulla vigna che ha tratto fuori dall'Egitto, Gesù Cristo Signor nostro, in vista dell'instabilità degli spiriti, sapientemente fa apparir nuovi segni e fa miracoli di nuovo genere contro la diffidenza dell'incredulità. Dopo la morte di Mosè, vale a dire dopo l'abolizione della legge egli, adempiendo le promesse fatto ai nostri padri, monta sulla quadriga dell'Evangelo, con in mano l'arco della parola santa, tenuto teso durante tutto il regno giudaico. Si avanza in mezzo alle onde del mare, cioè in mezzo alle innumerevoli nazioni, la cui salute era figurata in Rahab, calpesta la baldanza di Gerico, cioè la gloria del mondo, e con stupore dei popoli, subito trionfa al primo fremito della predicazione. Il profeta Zaccaria (Zac 6) vide questo carro a quattro cavalli uscir fuori quattro volte da due montagne di bronzo. La prima volta era tirato da cavalli rossi: in essi erano figurati i maestri delle nazioni, i forti della terra, coloro che, sottomessi per la fede al Dio d'Abramo, padre dei credenti, ad esempio del loro duce e per assicurar meglio i fondamenti della fede, tinsero i loro abiti in rosso, vale a dire nelle acque delle tribolazioni, ed imporporarono del loro sangue tutti gli emblemi della loro milizia, sprezzatori della spada temporale, in vista della futura gloria; e che divenuti martiri, cioè testimoni, sottoscrissero colla loro professione di fede il libro della nuova legge; consacrarono col sangue d'ostie ragionevoli, sostituito al sangue d'animali, il libro ed il tabernacolo, opera non dell'uomo, ma di Dio e tutti i vasi del ministero evangelico, aggiungendo alla loro confessione il peso dei miracoli; e gettando finalmente la rete della predicazione sulla vasta estensione dei mari, formarono di tutte le nazioni che sono sotto il cielo, la Chiesa di Dio. Ma poiché la moltitudine ingenerò la presunzione, ed alla libertà tenne dietro la licenza, il secondo carro fu visto tirato da cavalli di color nero, colore di lutto e di penitenza: in questi era raffigurata quella squadra condotta dallo spirito nel deserto, sotto la direzione del santissimo Benedetto, altro Eliseo del nuovo Israele; squadra che ristabilì tra i figli dei profeti la vita comune, riannodò il filo rotto dell'unità, ed estendendosi colle buone opere fino a quella terra dell'Aquilone, donde procede ogni mal e, fece abitare in cuori contriti Colui che non può stare in corpi sottoposti al peccato. Dopo di che, quasi a rinfrescare le affaticate schiere e far succedere la gioia ai lamenti, ecco il terzo carro con cavalli bianchi, cioè coi figli degli Ordini di Citeaux e di Flore i quali, simili a pecore ben pasciute, pieni del latte della carità, uscirono dal bagno della penitenza con a capo S. Bernardo, quell'ariete rivestito dall'alto dello spirito del Signore, che li condusse nell'abbondanza delle convalli, acciocché i passeggeri liberati da loro, cantassero inni, e fissassero sul flutti gli accampamenti del'Dio della guerra. Mentre adunque il nuovo Israele con questi tre eserciti si difendeva contro un egual numero di eserciti di Filistei, sull'undecima ora, quando il giorno già piegava a sera, cioè quando la carità si era raffreddata per l'iniquità, ed il sole di giustizia stava anch'egli per tramontare, il padre di famiglia ha voluto chiamare sotto le armi una milizia ancora più adatta a proteggere la vigna piantata di sua mano, e coltivata sempre da operai da lui mandati in diversi tempi; la quale invece era ora .non solamente ingombra di rovi e di spine, ma pressoché distrutta da una moltitudine ostile di piccole volpi. Ecco perché, come ora vediamo, dopo i primi tre carri, diversi nei loro simboli, sotto la figura del quarto carro tirato da cavalli forti e di svariato colore, Dio ha suscitato le legioni dei Frati Predicatori e del Frati Minori, coi loro due! prescelti pel combattimento. Uno di questi duci fu S. Domenico, uomo a cui Dio comunicò la forza e l'ardore della fede, ed al collo del quale attaccò, come a cavallo di sua gloria, il carro della divina predicazione. Fanciullo egli ebbe cuore da vecchio; nella mortificazione della carne ricercò l'autore della vita. Consacratosi a Dio sotto la regola del B. Agostino, imitò Samuele nell'assiduo servizio del tempio, e fu un altro Daniele nel fervore delle sue religiose aspirazioni. Coraggioso atleta, camminò pei sentieri della giustizia e per le vie della santità; non cessò mai dal far la guardia al tabernacolo e dall'esercitare gli uffici della chiesa militante; tenne la carne sommessa alla volontà, i sensi alla ragione, e addivenuto un solo spirito con Dio, si studiò di trasformarsi tutto in lui negli ardori della contemplazione, senza che nel suo cuore e nelle sue opere venisse meno l'amore del prossimo. E feriva così a morte le concupiscenze della carne, e sfolgorava con raggi così abbaglianti l'intelletto cieco degli empi, che ogni setta di eretici tremò, e ne esultò la Chiesa dei fedeli. La grazia crebbe in lui con l'età, e pieno di zelo per la salute delle anime, si consacrò tutto alla predicazione della parola di Dio, inducendo molti altri ancora al ministero evangelico, tanto da meritarsi anche sulla terra nome e realtà di grande. Divenuto pastore e principe in mezzo al popolo di Dio, riuscì coi suoi' meriti ad istituire un nuovo Ordine di Predicatori, lo regolò coi suoi esempi, e non cessò di stabilirlo e confermarlo sempre più con autentici ed evidenti miracoli. Imperocchè fra gli altri segni che nel corso della sua vita mortale manifestarono la sua possanza e santità, ebbe il potere di rendere la parola ai muti, la vista ai ciechi, l'udito al sordi, le gambe ai paralitici, la salute ad una moltitudine di infermi; onde a con siffatti prodigi si fa chiaramente manifesto qual fosse lo spirito che animava la polvere di quel santissimo corpo. Noi adunque, che trattammo familiarmente con lui i quando occupavamo nella Chiesa un grado inferiore e che nel tenore di vita ch'egli menava avemmo insigni prove della sua santità, ora che testimoni degni di fede ci hanno comprovato la verità dei suoi miracoli, noi, con l'ovile dei fedeli che al .Signore è piaciuto di affidare alle nostre cure, crediamo che Domenico potrà giovarci, per grazia di Dio, colla sua intercessione, e dopo averci consolati in terra della sua dolce amicizia, ci vorrà ora aiutare dal cielo col suo valevole patrocinio. Laonde, dietro il consiglio e l'assenso dei nostri fratelli e prelati assistenti alla sede apostolica, abbiamo deliberato di registrare il suo nome nell'albo dei Santi. Adunque fermamente decretiamo, e colla presente Bolla ordiniamo a tutti voi di celebrare e di far celebrare solennemente la sua Festa alle none di Agosto, giorno precedente a quello in cui egli depose il carico della sua carne e ricco di meriti entrò nella città dei Santi, affinché Dio, ch'egli tanto onorò in vita, conceda anche a noi, mosso dalle di lui preci, la grazia nel presente secolo e la gloria nel futuro. Volendo poi che il sepolcro di questo gran confessore, che illustra la Chiesa con straordinari miracoli, sia degnamente frequentato e venerato, a tutti i fedeli che confessati e comunicati il giorno della Festa del Santo visiteranno con devozione e riverenza il suo sepolcro, concediamo la remissione di un anno di penitenza, confidando per questo nella misericordia dell'Onnipotente Iddio e nell'autorità dei Beati Apostoli Pietro e Paolo. Dato a Rieti, il giorno 11 di Luglio, anno ottavo del nostro Pontificato».

Gregorio IX fu l'ultimo, eccettuatone S. Giacinto, a sopravvivere fra tutti i grandi uomini, amici di S. Domenico, che avevano contribuito al compimento dei di lui disegni. Egli morì il 21 Agosto 1241, in età di novantasette anni; trenta dei quali fu cardinale e quattordici Papa, senza che mai la maestà degli anni o lo splendore delle dignità sorpassassero in lui i meriti personali. Giureconsulto, uomo di lettere, diplomatico, a tutti questi doni di corpo e di spirito, aggiungeva un animo veramente magnanimo, dove poterono trovar posto anche S. Domenico e S. Francesco, ambedue da esso canonizzati. Forse mai più ci sarà dato di vedere intorno ad un sol uomo, quale fu S. Domenico, tanti altri uomini della tempra di un Azevedo, di un Montfort,. di un Folco, di un Reginaldo, di un Giordano di Sassonia, di un S. Giacinto, di un Innocenzo III, di un Onorio III, di un Gregorio IX; né tante virtù e nazioni ed avvenimenti si vedranno concorrere ad opera si grande, in tempo cotanto limitato.

In seguito alla Bolla di canonizzazione il culto di san Domenico presto si diffuse per l'Europa, ed in moltissimi luoghi gli furono eretti altari. Bologna però si distinse sempre nel suo zelo verso il grande, concittadino donatole dalla morte. Nel 1267 si trasferì nuovamente il corpo di lui dalla tomba senza sculture in cui riposava, in una tomba più ricca e più adorna. Questa seconda traslazione fu fatta dall’Arcivescovo di Ravenna, alla presenza di molti altri Vescovi, del Capitolo generale dei Frati Predicatori, del potestà e degli anziani di Bologna. Fu aperta la cassa, e dall’alto di una tribuna innalzata fuori della chiesa di S. Niccolò, fu mostrato a tutto il Popolo il capo del Santo, fatto prima baciare al vescovi ed ai frati. Nel 1383 fu riaperta la cassa per la terza volta, e toltone il capo del Santo, fu riposto in un reliquiario di argento, affinché i fedeli potessero più facilmente venerare il prezioso deposito. Finalmente il 16 Luglio 1473 fu rinnovato il monumento con nuovi marmi e bellissime sculture, opera di Niccolò Pisano, secondo lo stile del cinquecento, rappresentanti diversi fatti della vita di S. Domenico. Io non starò qui a descriverle; le vidi due volte, e tutte e due le volte osservandole genuflesso, sentii, fra la pace di quella tomba, che una mano divina doveva aver guidato quella dell'artista, forzando il gelido marmo ad esprimere sensibilmente l'incomparabile bontà di quel cuore di cui ricopre la polvere. Dal 1473 il glorioso sepolcro non è stato più toccato, e sono ormai trascorsi quattro secoli senza che occhio umano abbia più vedute quelle sacre ossa e neppure la cassa che le racchiude: il mondo non è stato più degno di tale spettacolo. Domenico è stato vinto, in quanto può essere vinto chi per trecento anni è rimasto invitto sul campo di battaglia. Come gli uomini tutti e le grandi opere del medio evo, anch'egli ha dovuto soffrire l'ingratitudine di una ingannata posterità, ed aspettare tranquillamente nel suo muto e sigillato sepolcro, la giustizia di una nuova comparsa, che non è in potere degli uomini negare per sempre a coloro che li hanno serviti. Già molti fra i contemporanei del Santo hanno veduto rialzate dalla storia le loro statue. Io non credo di aver fatto altrettanto; ma il tempo impugnerà la penna dopo di me; ed io senza tema, né gelosia, lascio a lui la cura di dar l'ultima mano.

 

INDICE

INTRODUZIONE

 

Capitolo I. Genesi di S. Domenico

Capitolo II Arrivo di S. Domenico in Francia

Suo primo viaggio a Roma

Colloquio a Montpellier .

Capitolo III Apostolato di S. Domenico dall' abboccamento di Moutpellier fino al principio della guerra Albigese

Fondazione del monastero di Notre-Dame di Prouille

Capitolo IV Guerra degli AlbIgesi

Capitolo V Apostolato di S. Domenico dal principio della guerra Albigese fino al quarto

Concilio Lateranense

Istituzione del SS. Rosario

S. Domenico ed i suoi primi discepoli a Tolosa

Capitolo VI Secondo viaggio di S. Domenico a Roma

Approvazione provvisoria dell'Ordine dei Frati Predicatori fatta da Innocenzo III

Incontro di S. Domenico con S. Francesco d'Assisi

Capitolo VII Riunione di S. Domenico e del suoi compagni a Notre-Dame di Prouille

Regola e Costituzioni dei Frati Predicatori

Fondazione del convento di S. Romano a Tolosa

Capitolo VIII Terzo viaggio di S. Domenico a Roma

Conferma dell'Ordine dei Frati Predicatori

Predicazione di S. Domenico nel palazzo del Papa

Capitolo IX Nuova riunione dei Frati Predicatori a Notre-Dame di Prouille, e loro diffusione in Europa

Capitolo X Quarto viaggio di S. Domenico a Roma

Fondazione dei conventi di S. Sisto e di S. Sabina

Miracoli che accompagnarono queste due fondazioni

Capitolo XI Soggiorno dì S. Domenico a S. Sabina

S. Giacinto ed il B. Ceslao entrano nell'Ordine

Miracolosa unzione fatta dalla Vergine Santissima sul B. Reginaldo

Capitolo XII Fondazione dei conventi di S. Giacomo a Parigi, e di S. Niccolò di Bologna

Capitolo XIII Viaggio di S. Domenico in Spagna ed in Francia

Sue veglie nella grotta di Segovia

Modo di viaggiare e sistema di vita del Santo

Capitolo XIV Quinto viaggio di S. Domenico a Roma

Morte del B. Reginaldo

Il B. Giordano di Sassonia entra nell'Ordine

Capitolo XV Primo Capitolo Generale dell'Ordine

Dimora di S. Domenico in Lombardia

Istituzione del Terz'Ordine

Capitolo XVI Sesto ed ultimo viaggio di S. Domenico a Roma

Secondo Capitolo Generale Malattia e morte del Santo Patriarca

Capitolo XVII Traslazione del corpo di S. Domenico

Canonizzazione del Santo

 

 

APPENDICE

L'ORDINE DI S. DOMENICO

Capitolo I Della legittimità degli Ordini religiosi dinanzi suo Stato

Capitolo II Idea generale dell'Ordine dei Frati Predicatori

Motivi per ristabilirlo in Francia

Capitolo III Azione dei Frati Predicatori come Apostoli

Loro Missioni nell' antico e nel nuovo mondo

Capitolo IV Azione dei Frati Predicatori come dottori

S. Tommaso d'Aquino

Capitolo V Artisti, Vescovi, Cardinali, Papi, Santi e Sante, dati alla Chiesa dall’Ordine dei Frati Predicatori

Capitolo VI L'Inquisizione

Capitolo VII Conclusione

 

 

 

 

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