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VITA DI SAN DOMENICO

P. Enrico D. Lacordaire dei Predicatori


 

CAPITOLO XVI

 

Sesto ed ultimo viaggio di S. Domenico a Roma

Secondo Capitolo Generale

Malattia e morte del S. Patriarca

 

Con la creazione del Terz'Ordine la missione di Domenico era compiuta; altro non gli restava che dare addio a tutto ciò che sulla terra avea amato di più. Roma teneva senza dubbio il primo posto nel suo cuore: là era stato con Azovedo, il suo più caro amico, quando ancora nella vita pubblica non avea fatto alcun passo: là era tornato per ottenere l'approvazione e la conferma del suo Ordine: là avea edificato S. Sisto e S. Sabina: là fissato il centro dell’Ordine, goduta la confidenza di due grandi pontefici, resuscitati tre morti, veduta crescere fino all'entusiasmo la venerazione del popolo verso di sé: là infine risiedeva nella sua infallibile maestà il vicario di Colui, ch'egli avea amato e servito per tutta la vita. Poteva quindi rassegnarsi a morire senza aver ricevuto dal Pontefice un'ultima benedizione? Poteva chiuder gli occhi per sempre, senza averli rivolti ancora una volta alle colline della città santa? Poteva incrociare per sempre le mani, prima di avere offerto un ultimo sacrificio sull'altare degli apostoli Pietro e Paolo? E lasciare inaridire dalla morte i suoi piedi, prima di avere nuovamente calcato, per non più ripassarci, le vie del Celio e dell'Aventino? Roma adunque ricevé per la sesta volta fra le sue braccia materne il grand’uomo, da essa nutrito nella sua vecchiezza, e che le avrebbe generato figli e fedeli perfino in mondi, di cui ignoravasi ancora il nome. Onorio III con varii diplomi diede a Domenico nuove testimonianze della sua sollecitudine e della sua sovrana benevolenza. Con uno, in data dell'8 dicembre 1220, sanava certe irregolarità in cui alcuni Frati erano incorsi per non aver ricevuto canonicamente gli Ordini sacri; con tre altri, dei 18 gennaio, 4 febbraio e 29 marzo dell'anno seguente, raccomandava i Frati Predicatori a tutti i prelati della cristianità; e con quello del 6 maggio permetteva loro di offrire il Santo Sacrificio, in caso di bisogno, sopra 'altare portatile. Questo diploma fu l'ultima pagina che Onorio III sottoscrisse in favore dell'Ordine, vivente ancora il fondatore: a lui toccò la gloria singolare di aver visto fiorire sotto il suo pontificato S. Domenico e S. Francesco, e di non essersi mostrato indegno nel suo governo di una grazia del cielo così segnalata.

Mentre Domenico stava per dare l'ultimo addio a Roma, la Provvidenza lo faceva incontrare nuovamente nel più vecchio amico che gli fosse rimasto, in Folco vescovo di Tolosa. Folco rappresentava. da solo tutta la storia, ormai lontana, della Linguadoca; la storia delle fondazioni di Notre-Dame di Prouille e di S. Romano di Tolosa, e i benefici immensi e tutti gli altri ricordi, che avevano accompagnata l'infanzia dei Frati Predicatori. Ohi come allora dové esser piena di dolcezze la conversazione di questi due grandi! Dio avea coronati, con successo inaudito, tutti quei, voti secreti insieme altre volte da loro concepiti; ed essi che aveano parlato tanto della necessità di rialzare, nella Chiesa l'apostolato, vedevano finalmente ristabilito l'ufficio della predicazione mediante un Ordine religioso, ormai diffuso da un capo all'altro dell'Europa. L'avere avuto sì gran parte in cotale opera meravigliosa, non li inorgogliva; ma giustamente più d'ogni altro gioivano della gloria della Chiesa, avendo più d'ogni altro prima sofferto pe' suoi dolori. Né rincresceva a Folco di non essere stato lui il principale strumento in quell'opera divina. Superiore fin da principio al pungolo segreto della gelosia, la sua anima episcopale avea sempre disprezzate quelle apprensioni, tanto facili in coloro che stanno al potere, riguardo alle cose che non abbiano fatto essi. Folco invece ben volentieri avea lasciato che altri facesse il bene, e glie ne avea somministrati anzi gli aiuti: cosa più difficile assai che farlo da se medesimo. La sua corona era immacolata, il suo cuore soddisfatto. E Domenico che poteva desiderare di più? Ohi momenti felici, quelli in cui il cristiano, giunto al termine della sua missione, può rendere a se stesso testimonianza di avere adempiuto la volontà di Dio, ed ha il bene di effondere nel cuore di un altro cristiano, suo compagno ed amico, quella pace che nel servizio di Dio egli ha raggiunta! Di questo abbraccio fraterno tra Folco e Domenico è rimasto un documento storico, quasi testamento, la cui lettura ci consolerà della privazione di non potere ascoltare più da vicino i loro ultimi colloqui.

«Nel nome del Signore, sia noto a tutti i quali leggeranno la presente lettera, che noi Folco, grazie a Dio, vescovo di Tolosa, per la remissione dei nostri peccati, per la difesa della fede cattolica e per il bene di tutta la diocesi di Tolosa, in persona nostra e dei nostri successori, diamo a voi, caro Domenico, Maestro della Predicazione, e al Frati del vostro Ordine, la chiesa di Notre-Dame di Fanjeaux con tutte le decime e tutti i diritti, che ne derivano; sia che appartengano alla nostra persona, sia che siano inerenti alla fabbrica o al cappellano della chiesa; riservandoci solamente, per noi e pei nostri successori, il diritto cattedratico, quello della procura e della cura delle anime, che noi affideremo al sacerdote che ci sarà presentato dal Maestro, dell'Ordine o dal Priore di detta chiesa, o dai Frati. - E noi Domenico, Maestro della Predicazione, per noi, pei nostri successori e Frati dell'Ordine, rilasciamo a voi Folco, vescovo, ed ai vostri successori la sesta parte delle decime di tutte le chiese parrocchiali, della diocesi di Tolosa, da voi altra volta a noi concessa, di comune accordo coi canonici di S. Stefano: per sempre rinunziamo a questa donazione e al diritto di reclamare in virtù delle leggi e dei canoni»).

Quest'atto porta la data di Roma, 17 aprile 1221. Vi sono tre sigilli, quello della Cattedrale di S. Stefano, quello di Folco e quello di Domenico. Il sigillo di. Domenico rappresenta il Santo in piedi, vestito da Frate Predicatore, con un bastone in mano; e nel giro sono impresse queste parole: Sigillo di Domenico, ministro delle predicazioni: la qual cosa dimostra che il titolo di Maestro della predicazione nel corpo dell'atto, non era stato messo ad arbitrio, ma quale omaggio di Folco all'amico, non trovando miglior modo di esprimergli ciò che sentiva nel cuore. Il Sommo Pontefice nelle sue bolle e lettere non avea dato altro titolo a Domenico che quello di Priore di S. Romano, ed in seguito Priore dell'Ordine dei Frati Predicatori.

Folco morì il Z5 dicembre 1231, dieci anni dopo la morte di Domenico, e fu sepolto in una cappella dell'abbazia di Gran-Selve, non lontana da Tolosa. La sua tomba è scomparsa sotto le rovine, che ancora rimangono, dell'abbazia: ma le rivoluzioni del tempo e degli imperi nulla hanno potuto contro la sua memoria, strettamente legata ad un uomo e ad un'opera da lui protetti sempre, e che ora lo ricoprono della loro immortalità.

Dopo l'atto sopra riferito passarono pochi giorni e Domenico lasciò Roma, riprendendo la via di Toscana. Presso Bolsena, il padrone di una casa, che si trovava lungo la strada, soleva sempre ospitare il Santo; e da lui avanti di morire ne ebbe miracolosamente la ricompensa. Cadeva un giorno la grandine sui vigneti dei dintorni di Bolsena, e Domenico apparve nel cielo con la cappa spiegata sopra il vigneto del suo ospite, preservandolo così dal flagello. Tutto il popolo fu testimone di questa apparizione e, secondo che narra Teodoro d'Apolda, sulla fine del secolo decimoterzo indicavasi ancora la piccola casa che Domenico avea abitato passando per Bolsena. I discendenti dell'antico proprietario la conservavano con cura affettuosa, e come gli era stato raccomandato espressamente dal loro antenato, sempre che ne avessero avuta occasione, vi davano cortese ospitalità ai Frati Predicatori.

La Pentecoste del 1221, giorno fissato per la celebrazione a Bologna del secondo capitolo generale, cadeva in quell'anno il 30 di maggio. Domenico, rientrando in S. Niccolò, trovò che si stava innalzando uno dei bracci del convento per ingrandire le celle; della qual cosa si dolse assai, e disse a fra Rodolfo, procuratore del convento, ed agli altri frati: «E che? così presto volete abbandonare la povertà, e fabbricarvi dei palazzi?». Ordinò quindi che si cessassero i lavori, che non furono ripresi se non dopo la sua morte.

Neppure gli atti del secondo Capitolo generale sono pervenuti fino a noi. Sappiamo solo che l'Ordine fii diviso allora in otto provincie, cioè nelle provincie di Spagna, di Provenza, di Francia, di Lombardia, di Roma, di Alemagna, di Ungheria e d'Inghilterra. Il posto d'onore fu assegnato a quella di Spagna, non già per diritto di antichità, ma per venerazione verso il santo Patriarca, di cui era stata la culla. Suero Gomez fu designato Priore Provinciale di tale provincia; Bertrando di Garriga di quella di Provenza; Matteo di Francia di quella di Francia; Giordano di Sassonia di quella di Lombardia; Giovanni di Piacenza di quella di Roma; Corrado il Teutonico di quella di Alemagna; Paolo d'Ungheria di quella di Ungheria,,e Gilberto di Frassinet di quella d'Inghilterra. Le prime sei provincie in meno di quattro anni contavano già da sole circa sessanta conventi; le due ultime invece, cioè quelle d'Ungheria e d'Inghilterra, non avevano ancora nessun Frate Predicatore. Domenico ne inviò allora alcuni di quelli stessi che si trovavano al Capitolo generale.

Paolo, che fu destinato per l'Ungheria, era un professore di diritto canonico nell'Università di Bologna, di recente entrato nell'Ordine. Partì con quattro compagni, tra i quali fra Sadoc, rinomato per l'eccellenza delle sue virtù. I primi conventi li fondarono a Vesprim e ad Alba Reale. Poi si avanzarono fin verso quei popoli Cumani, che tanta parte aveano sempre avuto nelle sollecitudini di Domenico, e fra i quali egli avrebbe voluto terminare i suoi giorni. Racconterò un solo fatto circa lo stabilimento dei Frati Predicatori nell'Ungheria, fatto che contribuirà a farci viemmeglio conoscere come si effettuassero queste sante spedizioni. «In quel tempo, due frati della provincia d'Ungheria giunsero in un villaggio. Era l'ora in cui il popolo cristiano è solito di adunarsi per ascoltare la Messa. Finita la Messa, gli abitanti se ne tornarono alle loro case; Il sacrestano chiuse la chiesa, ed i frati rimasero fuori, senza che alcuno avesse compassione di loro. Solo un povero pescatore notò la cosa, e ne ebbe pietà; pur non osava invitarli seco, perché non avea nulla da offrir loro. Ciononostante corse difilato a casa, e disse alla moglie: Oh! se avessimo da dar da mangiare a due poveri frati! Sto in pena per quei poveretti, che son là, sulla porta della chiesa, senza che nessuno offra loro ospitalità. - La moglie rispose: - Ecco qua, non ci abbiamo per mangiare che un po' di miglio. - Il marito gli ordinò allora di scuotere ben bene la borsa de' danari onde vedere se per caso vi fosse qualche cosa; e con grande loro meraviglia ne uscirono fuori due monete d'argento. Il pescatore fuori di sé per la contentezza: - Va subito, disse alla moglie, a comprare del pane e del vino; cuoci poi il miglio e dei pesci. Quindi corse alla chiesa dove si trovavano ancora i frati ritti alla porta, e li invitò umilmente ad andare a casa sua. I frati andarono, si assisero a quella mensa povera, ma imbandita da infinita carità; e soddisfatto che ebbero alla fame, se ne partirono, ringraziando gli ospiti, e facendo voti perché Iddio li ricompensasse. Il Signore esaudì i loro voti. Da quel giorno la borsa del pescatore non fu mai vuota; ci si trovavano sempre due piastre A'argento. Egli poté così comprare una casa, dei campi, e pecore, e buoi; il Signore gli concesse anche un figlio; quando però fu sufficientemente provvisto, la grazia delle due monete d'argento cessò».

La spedizione per l'Inghilterra non sortì esito meno felice di quella per l'Ungheria. Gilberto di Frassinet, che ne era capo, si presentò con dodici compagni al vescovo di Cantorbery; il quale sentendo ch'essi erano Frati Predicatori, senz'altro ordinò a Gilberto di predicare, lui presente, nella chiesa dove egli stesso avea stabilito di salire sul pulpito quel giorno. Ne rimase talmente soddisfatto, che subito accordò ai Frati tutta la sua benevolenza e protezione fino alla morte. Il primo convento fu fondato ad Oxfòrd, dove eressero una cappella alla Santissima Vergine ed aprirono delle scuole, che dal nome della parrocchia furono dette scuole di S. Edoardo.

Colle fondazioni d'Ungheria e d'Inghilterra Domenico avea finito di prender possesso di tutta Europa; né tardò molto a ricevere dal cielo l'avviso che la sua fine era prossima. Un giorno, mentre pregava e anelava ardentemente di essere liberato da quel sue corpo mortale, gli apparve un giovane di rara bellezza e: «Vieni, o diletto, gli disse, entra nel gaudio, vieni!». Dové essere stata rivelata a Domenico anche l'ora della morte. Difatti andato a trovare alcuni studenti dell'Università di Bologna poi quali nutriva grande affetto, dopo varii discorsi li esortò al disprezzo del mondo ed al pensiero della morte; quindi soggiunse: «Miei cari amici, ora voi mi vedete in buona saluto, ma prima dell'Assunzione della Madonna anch'io lascierò questo corpo mortale».

Si trovava allora a Venezia il cardinale Ugolino, in qualità di legato apostolico. Domenico desideroso, prima di morire, di rivedere un tale amico e di raccomandargli per l'ultima volta gli affari dell'Ordine, si recò colà, da dove fece ritorno a S. Nicolò sul finire di luglio, in piena estate. Appena tornato, sebbene stanchissimo del viaggio, tenne la sera stessa un lungo discorso sulle cose dell'Ordine con fra Ventura e fra Rodolfo: l'uno procuratore e l'altro priore del convento. Verso la mezzanotte, fra Rodolfo che sentiva bisogno di riposo, cercò di indurre anche Domenico ad andare a dormire, senza alzarsi poi a Mattutino; ma il Santo non volle accondiscendere. Andò invece in chiesa e si mise a pregare fino all'ora dell'Ufficio, che recitò insieme coi frati. Dopo l'Ufficio disse a fra Ventura che si sentiva un po' male alla testa: fu assalito tosto da una forte dissenteria e da febbre. Malgrado tali sofferenze non volle coricarsi in letto, ma si adagiò vestito sopra un sacco di lana. Il male progrediva, senza però che il malato desse segno d'impazienza: non lamenti, non gemiti; che anzi conservava allora, come sempre, una giuliva tranquillità. Sentendo che la malattia giorno per giorno si aggravava, chiamò presso di sé i novizi, e con le più dolci parole del mondo, rese ancor più penetranti dalla letizia del suo volto, li confortò e li esortò al bene. Fatti quindi chiamare dodici dei frati più anziani e più gravi, in loro presenza, fece a fra Ventura la confessione generale di tutta la sua vita: alla fine aggiunse: «Per la misericordia di Dio ho conservata intatta fino ad oggi la verginità. Se anche voi bramate la stessa grazia, guardatevi dalle occasioni pericolose. E’ il profumo di questa virtù che rende il servo di Dio accetto al Cristo, e che gli acquista gloria e rispetto anche in faccia ai popoli. Perseverate nel servire il Signore con tutto il fervore dello spirito: date opera a mantenere ed estendere l'Ordine ora fondato: siate fermi nell'osservanza della regola, e crescete sempre in virtù». E pe eccitarli ad essere sempre più vigilanti sopra loro stessi, aggiunse: «Quantunque la divina bontà m'abbia preservato fino a questo momento da ogni sozzura, pure vi confesso di non esser riuscito a liberarmi dall'imperfezione di trovar più piacere nel conversare con donne giovani, che con donne attempate». Ma fu preso tosto da un po' di scrupolo per aver parlato con tanta amabile e santa ingenuità, e disse sommessamente a fra Ventura: «Fratello, temo di aver peccato parlando pubblicamente della mia verginità ai frati; avrei dovuto tacerne». Quindi nuovamente rivolse a tutti la, parola, e usando le solenni formule dei testamenti, soggiunse: «Ecco, o amatissimi fratelli, l'eredità ch'io vi lascio come a' miei figliuoli: abbiate la carità, praticate l'umiltà, e fate vostro tesoro la povertà volontaria». E per dare un valore maggior e a quella clausola del testamento, che riguardava la povertà, minacciò la maledizione di Dio e la sua a chiunque avesse osato corrompere l'Ordine coll'introdurvi il possesso di beni temporali.

I frati non disperavano tuttavia della vita del loro padre. Essi non potevano credere che Dio così presto avesse voluto toglierlo alla chiesa ed a loro. Pensando che il cambiare aria gli avrebbe giovato, per consiglio dei medici lo portarono alla Madonna del Monte, chiesa dedicata alla SS. Vergine, sopra un'altura nelle vicinanze di Bologna. La malattia però, ribelle a tutti i rimedi ed a tutti i desideri, non fece che aggravarsi, e Domenico sentendosi omai presso a morire, volle di nuovo i frati presso di s. Vennero in numero di venti con il priore fra Ventura, e si disposero intorno al malato. Domenico fece. loro un discorso; del quale però non sappiamo altro, se non che parole più commoventi di quelle non erano mai uscite dal suo labbro. Gli fu poscia amministrato il sacramento dell'Estrema Unzione. Avendogli detto fra Ventura che il buon proposto della chiesa della Madonna dei Monti desiderava di avere il suo corpo e di seppellirlo in chiesa: « A Dio non piaccia, rispose il Santo, ch'io sia sepolto in altro luogo che non sia sotto i piedi dei miei fratelli. Portatemi subito nella vigna qui vicina, affinché io muoia là, e possa essere sepolto nella nostra chiesa». I frati allora lo riportarono a Bologna, tutti pieni di timore di vederlo, a ciascun passo spirare fra le braccia. Non avendo egli cella propria, fu posto in quella di fra Moneta, il quale prestò ancora una sua tonaca, affinché gli si potesse cambiare l'abito: poiché Domenico non aveva altre vesti fuori di quelle che portava in dosso. Fra Rodolfo reggeva la testa al Santo e gli asciugava il sudore del volto con un pannolino, mentre gli altri assistevano, piangenti, a sì pietoso spettacolo. Domenico per consolarli disse loro: «Perché piangete? Dal luogo dove andrò potrò giovarvi assai meglio che non l'abbia fatto quaggiù». Qualcuno dei presenti lo richiese dove voleva che il suo corpo fosse seppellito: ed egli: «Sotto i piedi dei miei fratelli». Era già passata un'ora dacché avean fatto ritorno a Bologna: e vedendo il Santo che i frati sopraffatti dal dolore non pensavano a raccomandargli l'anima, egli stesso fece chiamare fra Ventura, e disse: «State pronti». E tutti si schierarono con mesta gravità intorno al morente. Domenico soggiunse: «Aspettate ancora un poco». Fra Ventura profittando di questi ultimi momenti, disse al Santo: «Padre, voi sapete in quale tristezza e desolazione ci lasciate; ricordatevi di noi al cospetto di Dio». E Domenico alzati gli occhi e le mani al cielo, fece questa preghiera: «Padre Santo, io ho adempiuta la vostra volontà, e coloro che mi avete affidati, ecco, li ho guidati e conservati sempre; ora li raccomando a voi: proteggeteli, custoditeli». Un momento dopo soggiunse: «Cominciate». E si cominciò solennemente la raccomandazione dell'anima. Domenico pregava con loro, o almeno mostrava balbettare qualche cosa fra le labbra. Giunti alle parole: Venite in suo aiuto, o santi di Dio: venite incontro a lui, o Angeli del Signore: prendete l'anima sua e portatela al cospetto dell'Altissimo, le sue labbra fecero un'ultima mossa, le sue mani si levarono al cielo, ed il suo spirito volò a Dio. Era il 6 agosto, giorno di venerdì, dell'anno 1221, a mezzogiorno.

In quello stesso giorno ed alla medesima ora fra Guala, Priore del Convento di Brescia e poi vescovo di quella città, appoggiatosi per un momento alla torre del convento, dove erano le campane, fu preso da leggero sonno. Vide allora come aprirsi il cielo, e due scale da quell'apertura discendere fino a terra. Alla sommità d'una di esse stava Gesù Cristo; alla sommità dell'altra la Beata Vergine, sua Madre. In basso, fra le due scale, una sedia su cui era seduto un tale, che pareva frate, senza però che si potesse discernere chi egli fosse, avendo la faccia ricoperta dal cappuccio, come si usa fare coi morti. Gli angeli salivano e discendevano per le due scale cantando inni sacri, mentre le scale tirate su da Gesù Cristo e dalla sua santa Madre s'elevarono al cielo, e la sedia, con sopra colui che vi sedeva, s'innalzava con esse. Giunte che furono a grande altezza il cielo si chiuse, e la visione disparve. Fra Guala sebbene debole assai per una malattia avuta di corto, si recò, immediatamente a Bologna, dove apprese come in quello stesso giorno ed alla medesima ora in cui egli aveva avuta la visione Domenico era morto.

Sempre in quello stesso giorno due frati di Roma, Tancredi e Raon, si recarono a Tivoli, dove giunti un po' prima di mezzogiorno, Tancredi disse a Raon di andare a celebrare la S. Messa. Raon, avanti di accostarsi all'altare, volle confessarsi, e ne ebbe da Tancredi per penitenza di ricordarsi nel Santo Sacrificio del loro padre Domenico, malato a Bologna. Raon, giunto a quel punto della Messa in cui si fa la commemorazione dei vivi, stava per raccogliersi nel pensiero che gli era stato imposto, quando, rapito In estasi, vide Domenico che se ne Partiva da Bologna, cinta la fronte di una corona d'oro e circonfuso da un meraviglioso splendore, con a destra e a sinistra due uomini di venerando aspetto, che lo accompagnavano. Un'interna voce subito lo fece avvisato che il servo di Dio era morto ed entrato gloriosamente nella celeste patria. Non è difficile intendere il significato delle due scale del sogno di Guala, e dei due vecchi veduti da Raon nell'estasi: significavano senza dubbio l'azione e la contemplazione, da Domenico tanto mirabilmente congiunte nella sua persona e nel suo Ordine.

Per disposizione della Provvidenza, poco dopo che Domenico aveva esalato l'ultimo respiro, giunse a Bologna il Cardinale Ugolino. Egli stesso volle celebrarne i funerali. Si recò quindi a S. Nicolò, dove. erano anche il Patriarca d'Aquileia, e vescovi, abati, signori, tutto un popolo intero. Alla presenza di tanta moltitudine fu fatto il trasporto del corpo del Santo, spogliato del solo tesoro che gli era rimasto, una catena di ferro da lui portata sulla nuda carne, e che fra Rodolfo gli aveva tolta nel rivestirlo degli abiti funerei. Tale catena fu poi consegnata al B. Giordano di Sassonia. Tutti gli sguardi e tutti i cuori erano rivolti a quel corpo esanime. Si principiò l'Ufficio; ma anche i cantici risentivano dell'universale tristezza e pareva uscissero da labbra grondanti lacrime. A poco a poco però lo spirito dei frati cominciò ad elevarsi al di sopra di questo mondo, ed il padre apparve loro non più come un vinto dalla morte e di cui altro non restasse che le fredde spoglie; ma per la certezza che ne avevano, sembrò loro di contemplarne la gloria; ed un canto trionfale successe ai funerei lamenti, una gioia'indicibile scese dal cielo in tutti gli spiriti. Il Priore di S. Caterina di Bologna, di nome Alberto, che era molto amato da Domenico, entrò in quel momento in chiesa; e tutta quella esultanza dei frati giunta inaspettata al suo cuore trafitto, lo tolse fuori di sé. Ed eccolo a gettarsi sul corpo del Santo, a coprirlo di baci, a scuoterlo con prolungati abbracciamenti, quasi avesse voluto per forza farlo rivivere e .rispondergli. Né le reliquie dell'amico rimasero insensibili all'accesso di tanto affetto. Alberto sollevatosi su, disse a fra Ventura: «Buone nuove, Padre Priore, buone nuove! Maestro Domenico mi ha abbracciato e mi ha detto che in questo stesso anno io andrò a raggiungerlo in Cristo». E veramente in quel medesimo anno Alberto morì.

Terminata cotale ufficiatura senza nome né nella lingua del dolore né in quella della gioia, i frati deposero il corpo del loro Padre, tal quale si trovava nell'istante della morte, in una cassa di legno, ben chiusa con lunghi chiodi, senza altri aromi che l'odore delle suo virtù. Sotto il pavimento della chiesa era stata scavata una fossa, ridotta con pietre a forma di sepoltura; li fu calato il deposito, e fu chiuso con una grossa pietra, diligentemente cementata, per evitare che qualche mano temeraria non avesse ardito molestarlo. Niente fu inciso sii quel masso, né vi fu innalzato alcun monumento. Domenico si trovò in realtà, come aveva desiderato, sotto i piedi de' suoi frati. La notte che seguì al giorno della tumulazione, uno studente di Bologna, il quale non aveva potuto assistere al funerali, vide in sogno Domenico nella chiesa di S. Nicolò assiso in trono e coronato di gloria. Stupefatto della visione, si fece a interrogarlo: «Non siete voi morto, o maestro Dornenico?» E il Santo: «No, che non son morto, o figlio, poiché ho un gran buon padrone col quale ora vivo». Al mattino lo studente si recò subito alla chiesa di S. Niccolò ed in quel medesimo luogo dove aveva visto Domenico assiso in trono trovò il di lui sepolcro.

Questa la vita, questa la morte di Domenico di Gusman, Fondatore dell'Ordine dei Frati Predicatori, uomo anche umanamente il più ardito di spirito ed il più tenero di cuore che sia mai esistito: due qualità difficili a trovarsi insieme unite, ma che in lui furono invece congiunte in perfetta armonia. Esplicò l'una in una vita esteriore di prodigiosa attività; appari l'altra nella sua vita intima, di cui si può dire che ciascun respiro fosse un atto di amore verso Dio e verso il prossimo. Le memorie che il suo secolo ci ha lasciato di lui sono numerose, ma molto frammentate. lo le ho lette con ammirazione e con stupore per la sublime semplicità di cui sono adorne, e pel carattere che attribuiscono al loro eroe. Imperocché quantunque fossi certo che S. Domenico era stato calunniato dagli scrittori moderni, non potevo persuadermi che la sua storia non ne somministrasse alcun pretesto. Ma ho dovuto ricredermi e constatare per esperienza quanto costi di lavoro e di virtù a Dio ed agli uomini il conservare in questo mondo qualche vestigio di verità. Quel che di vero mi fu dato scoprire l'ho riprodotto fedelmente; non così l'amore, che sovrabbonda in quelle antiche scritture verso la persona di S. Domenico, e le continue ripetizioni, in cui gli uomini del secolo XIII non finiscono mai di parlare della dolcezza, della bontà, della misericordia, della compassione di lui, e di tutti gli atteggiamenti, che la carità prendeva nel suo cuore: a ciò non valsi. La testimonianza di costoro non può esser sospetta; nessuno di essi però si sognò mai certamente di scrivere alla stregua dei criteri dei nostri tempi. E se io stesso, nel ridipingere dietro loro la figura di S. Domenico non ho potuto eguagliarli nella tenerezza dello stile, sono stato peraltro tenuto da loro bene in guardia per non trasformare la storia di lui in una apologia. L'apologia per un uomo siffatto sarebbe un'ingiuria. Narrai la sua vita senza fermarmi a difenderla, ad imitazione de'suoi figli che non posero sulla sua tomba epitaffio alcuno, sicuri ch'essa avrebbe parlato da sè e molto forte. Ma poiché i suoi primi storici, avanti di separarsi da lui, hanno pietosamente tratteggiato i principali lineamenti della sua persona, li imiterò; senonché riconoscendomi incapace di uguagliare le tinte e la naturalezza del loro pennello, prenderò ad imprestito dal più antico ed illustre di essi il venerato ritratto del mio Padre.

«Tanta, dice il B. Giordano di Sassonia, era in lui l'onestà di costumi, tanto lo slancio nel fervore divino, che subito appariva essere egli un vaso di onore e di grazia, adorno di ogni prezioso ornamento. Niente valeva a turbare la tranquillità del suo spirito, se non forse la compassione e la misericordia. E siccome la contentezza del cuore traspare anche al di fuori, dagli stessi suoi modi pieni di grazia e di gioia facilmente si argomentava la serenità interiore, mai turbata da alcun moto di collera. Nel suoi divisamenti era fermo; di rado gli accadeva di disdirsi, pensando sempre prima ogni cosa ponderatamente al cospetto di Dio. Che se la sua figura brillava di uno splendore dolce ed amabile, non per questo era meno rispettato, anzi si cattivava assai facilmente il cuore di tutti, e bastava guardarlo per sentirsi attratti verso di lui. Fosse in viaggio co'suoi compagni o fosse in casa d'altri, fosse coi grandi, coi principi, coi prelati, dappertutto dov'egli si trovava abbondava in discorsi ed in esempi che inducessero le anime al disprezzo del mondo ed all'amore di Dio; omo evangelico sempre colla parola e coi fatti. Durante il giorno, si trovasse coi suoi frati o con altri, era inarrivabile nella facilità e piacevolezza di questo suo conversare; durante la notte nessuno lo uguagliava nelle veglie e nella preghiera. Serbava le lacrime per la sera, la gioia per la mattina. Il giorno lo dava tutto al prossimo, la notte a Dio; sapendo che Dio ha consacrato il giorno alla misericordia e la notte al devoto ringraziamento. Piangeva spesso e abbondantemente; e sia di giorno quando egli offriva il santo sacrificio, sia di notte quando vegliava, le lacrime erano quasi il suo pane quotidiano. Soleva passare in chiesa tutto il tempo del riposo; mai aveva un letto, o molto raramente, dove coricarsi. Pregava e vegliava nelle tenebre fino a che la fragilità del corpo gliel concedesse; e quando la stanchezza lo costringeva finalmente al riposo, dormiva un poco dinnanzi a qualche altare o in altra parte della chiesa, appoggiando la testa, come il patriarca Giacobbe, sopra una pietra, per riprendere poi col solito fervore la vita dello spirito. Nella sua universale carità egli abbracciava tutti gli uomini; e come li amava tutti, così era da tutti riamato. Niente gli era più naturale che, rallegrarsi con chi era allegro, piangere con chi piangeva, donarsi al prossimo ed agli amici. d'era ancora un'altra cosa che lo rendeva amabile a tutti, la semplicità de' suoi modi, in cui neppur l'ombra della finzione o della doppiezza mai appariva. Amante della povertà, indossava sempre gli abiti più laceri; padrone assoluto del suo corpo, sia nel mangiare che nel bere era di una estrema sobrietà, contento di poco cibo usuale e di pochissimo vino, tanto da soddisfare al puro bisogno, senza nocumento del sottile e delicato acume del suo spirito. Chi raggiungerà la virtù di un tant'uomo? Potremo ammirarlo ed argomentare da'suoi esempi quanta sia l'inerzia del nostro tempo; ma fare quel ch'egli fece s'appartiene ad una grazia singolare, seppure Dio la donerà ancora una volta a qualche altro uomo,:che Egli voglia innalzare all'apice della santità. Ciò nonostante, imitiamo, fratelli miei, secondo le nostre deboli forze, gli esempi del nostro Padre, e rendiamo grazie al Redentore per aver dato a noi suoi servi, in questa via sulla quale camminiamo, un tanto duce. Preghiamo il Padre delle. misericordie che ci avvalori di quello spirito che governa i figli di Dio, affinché seguitando le tracce dei nostri maggiori, arriviamo anche noi per diritto cammino all'eterna patria, dove il beato Domenico ci ha preceduti».

 

 

INDICE

INTRODUZIONE

 

Capitolo I. Genesi di S. Domenico

Capitolo II Arrivo di S. Domenico in Francia

Suo primo viaggio a Roma

Colloquio a Montpellier .

Capitolo III Apostolato di S. Domenico dall' abboccamento di Moutpellier fino al principio della guerra Albigese

Fondazione del monastero di Notre-Dame di Prouille

Capitolo IV Guerra degli AlbIgesi

Capitolo V Apostolato di S. Domenico dal principio della guerra Albigese fino al quarto

Concilio Lateranense

Istituzione del SS. Rosario

S. Domenico ed i suoi primi discepoli a Tolosa

Capitolo VI Secondo viaggio di S. Domenico a Roma

Approvazione provvisoria dell'Ordine dei Frati Predicatori fatta da Innocenzo III

Incontro di S. Domenico con S. Francesco d'Assisi

Capitolo VII Riunione di S. Domenico e del suoi compagni a Notre-Dame di Prouille

Regola e Costituzioni dei Frati Predicatori

Fondazione del convento di S. Romano a Tolosa

Capitolo VIII Terzo viaggio di S. Domenico a Roma

Conferma dell'Ordine dei Frati Predicatori

Predicazione di S. Domenico nel palazzo del Papa

Capitolo IX Nuova riunione dei Frati Predicatori a Notre-Dame di Prouille, e loro diffusione in Europa

Capitolo X Quarto viaggio di S. Domenico a Roma

Fondazione dei conventi di S. Sisto e di S. Sabina

Miracoli che accompagnarono queste due fondazioni

Capitolo XI Soggiorno dì S. Domenico a S. Sabina

S. Giacinto ed il B. Ceslao entrano nell'Ordine

Miracolosa unzione fatta dalla Vergine Santissima sul B. Reginaldo

Capitolo XII Fondazione dei conventi di S. Giacomo a Parigi, e di S. Niccolò di Bologna

Capitolo XIII Viaggio di S. Domenico in Spagna ed in Francia

Sue veglie nella grotta di Segovia

Modo di viaggiare e sistema di vita del Santo

Capitolo XIV Quinto viaggio di S. Domenico a Roma

Morte del B. Reginaldo

Il B. Giordano di Sassonia entra nell'Ordine

Capitolo XV Primo Capitolo Generale dell'Ordine

Dimora di S. Domenico in Lombardia

Istituzione del Terz'Ordine

Capitolo XVI Sesto ed ultimo viaggio di S. Domenico a Roma

Secondo Capitolo Generale Malattia e morte del Santo Patriarca

Capitolo XVII Traslazione del corpo di S. Domenico

Canonizzazione del Santo

 

 

APPENDICE

L'ORDINE DI S. DOMENICO

Capitolo I Della legittimità degli Ordini religiosi dinanzi suo Stato

Capitolo II Idea generale dell'Ordine dei Frati Predicatori

Motivi per ristabilirlo in Francia

Capitolo III Azione dei Frati Predicatori come Apostoli

Loro Missioni nell' antico e nel nuovo mondo

Capitolo IV Azione dei Frati Predicatori come dottori

S. Tommaso d'Aquino

Capitolo V Artisti, Vescovi, Cardinali, Papi, Santi e Sante, dati alla Chiesa dall’Ordine dei Frati Predicatori

Capitolo VI L'Inquisizione

Capitolo VII Conclusione

 

 

 

 

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