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VITA DI SAN DOMENICO

P. Enrico D. Lacordaire dei Predicatori


 

CAPITOLO XV

 

Primo capitolo generale dell'Ordine

Dimora di S. Domenico in Lombardia

Istituzione del Terzo Ordine

 

Non erano ancora trascorsi tre anni dacché i frati di Notre-Dame di Prouille si erano sparsi nel mondo, e già possedevano conventi in Francia, in Italia, nella Spagna, nell'Alemagna e perfino nella Polonia. La benedizione di Dio, discesa su di loro abbondante, li aveva fatti crescere e moltiplicare dovunque. E Domenico, che vedeva questi successi, che li aveva anzi affrettati colla sua stessa presenza, credé ormai giunta l'ora di mostrare ai frati quanto valessero, non a pascolo di vana soddisfazione, ma ad incoraggiamento per fatiche ancora maggiori, ed a scopo di riaffermare l'unità dell'Ordine e di dar l'ultima mano alla legislazione con cui esso era governato. Quindi convocò il capitolo generale in Bologna per la Pentecoste del 1220; e sulla fine di febbraio, o ai primi di marzo, egli stesso lasciò Roma. Passò alcuni giorni a Viterbo presso il Sommo Pontefice, dal quale, in segno del suo costante affetto, ricevé altre tre lettere, scritte una dietro l'altra, pei popoli di Madrid, di Segovia.e di Bologna, affine di ringraziarli della carità usata ai frati, e di esortarli a perseverare nei medesimi sentimenti. Di queste lettere una porta la data del 20, un'altra del 23, e la terza del 24 marzo; ma già ai 26 di febbraio il Sommo Pontefice aveva scritto ai religiosi di Notre-Dame-des-Champs a Parigi per rallegrarsi con loro di aver concessa ai Frati Predicatori la sepoltura nella loro chiesa; ai 6 di marzo li aveva caldamente raccomandati all'Arcivescovo di Tarragona, ed ai 12 del medesimo mese aveva permesso ai frati di altri Ordini di unirsi a Domenico per esercitare insieme a. lui il ministero della predicazione.

Nel giorno di Pentecoste adunque Domenico si trovava a Bologna, circondato dai frati di S. Niccolò e dai rappresentanti dell'Ordine intero. Si ignora chi fossero i presenti, ad eccezione di Giordano di Sassonia, che sappiamo esservi stato inviato da Parigi con altri tre frati, poche settimane dopo la sua vestizione. Da quell'assemblea emerse la figura di Domenico, non più semplice priore di pochi religiosi, ma Maestro Generale di un Ordine sparso per tutta Europa; non più raccolto in una piccola chiesuola di villaggio, come a Prouille, ma nel seno di una grande ed illustre città, convegno della gioventù studiosa di tutte le nazioni; non più agitato dai timori degli stessi suoi amici, ma con dinanzi a sé un'opera ormai stabilita, avendo pronti a difenderla uomini, che facevano risuonare della loro voce le aule stesse delle Università. Egli era allora sui cinquant'anni.

La prima proposta fatta da Domenico al capitolo generale fu la rinunzia di tutti i beni che l'Ordine possedeva e di vivere giorno per giorno di sole limosine. Questa risoluzione era in lui di vecchia data; ed anche nelle deliberazioni prese a Prouille l'anno 1216, in massima era stata dai frati accettata, ma differitane l'attuazione. Domenico, lui in persona, dal celebre abboccamento di Montpellier in poi, abboccamento che segnò i principi del suo apostolato, ed in cui fu deciso la povertà volontaria esser la sola arma capace di abbattere l'eresia, era sempre vissuto della pubblica carità. Ma altra cosa era che pochi missionari fossero vissuti limosinando, ed altra fondare un Ordine, che tutto si affidasse alle quotidiane incertezze del mendicare; opera ardita, alla quale, tutte le tradizioni sembravano opporsi. La Chiesa stessa, venuta a godere il diritto di proprietà, se ne era servita per esser più libera da' suoi nemici, più liberale coi poveri, più magnifica con Dio. Anche i solitari dell'Oriente vendevano e compravano, reputandosi a gloria vivere del frutto delle proprie mani. Era forse espediente, perché si era abusato delle ricchezze, abusare ora della povertà? Se un estremo esempio era stato pel momento necessario, era però sapiente estendere anche all'avvenire una risoluzione praticata in tempi eccezionali? O queste, o altre ragioni avessero pesato sullo spirito di Domenico, è certo ch'egli aveva accettato pel suo Ordine possessioni di terre, quantunque coll'animo di lasciarle in seguito. E’ stato detto che l'ispirazione di un tale abbandono venisse a Domenico per la relazione avuta con S. Francesco d'Assisi; ed è verissimo che S. Francesco ricevè da Dio la speciale missione di ravvivare nella Chiesa lo spirito di povertà. Ma prima ancora che questi avesse rinunziato a tutto per seguir Gesù Cristo, Domenico percorreva già a piedi scalzi la Linguadoca, coperto di cilizio e di tonaca rattoppata, affidato alla sola Provvidenza per il giornaliero sostentamento. I due Santi si conobbero la prima volta a Roma, al tempo del quarto Concilio Lateranense, colà, convenuti per sollecitare presso Innocenzo III l'approvazione dei loro Ordini, avendo già ambedue, senza ancora conoscersi, offerto al mondo lo spettacolo delle medesime virtù. S. Francesco ebbe la gloria di non avere esitato mai a far patrimonio della sua religione la mendicità: Domenico, non meno austero di lui con se stesso, fu però meno ardito rispetto agli altri, aspettando che i suoi disegni riguardo alla povertà, fossero confermati dall'esperienza, ed ebbe la gloria di rinunziare a beni già acquistati. Con consenso del Capitolo generale, ne fu fatta cessione alle monache di diversi Ordini, e fu stabilito che, i frati in perpetuo non avrebbero posseduto altro nel mondo che le loro virtù. Domenico, più spinto ancora, avrebbe voluto che tutta l'amministrazione domestica fosse lasciata ai fratelli conversi, per render gli altri più liberi nel tendere alla preghiera, allo studio, alla predicazione. Ma Padri del Capitolo gli opposero l'esempio assai recente dei religiosi di Grandinont, i quali, messi con simile regolamento alla mercé dei laici, erano ridotti ad uno stato degradante di servitù; e Domenico accondiscese al loro parere.

In questo Capitolo generale furono decretate altre leggi; ma la storia non ce ne dà chiare notizie, e gli atti del Capitolo non sono pervenuti fino a noi. Fra le altre cose, Domenico supplicò i Padri a volerlo liberare dal peso del supremo governo: «Io merito, disse loro, di esser deposto, perché ormai inutile e intiepidito». E lo diceva, oltreché per umiltà, pel desiderio ancora sempre vivo di finir la vita fra gli infedeli, e di conseguire, nel portar loro la verità, quella palma del martirio di cui il suo cuore aveva avuto sempre sete ardente. Più d'una volta aveva manifestata la brama d'esser battuto e tagliato a pezzi per Gesù Cristo; ed aprendosi con Paolo di Venezia, gli aveva detto: «Appena avremo dato assetto e forma al nostro Ordine, andremo fra i Cumani, predicheremo loro la fede di Cristo e li guadagneremo al Signore». Ora gli pareva giunto il momento. Regolato e stabilito il suo Ordine, che vedeva coi propri occhi come una pianta orinai matura, che stavagli a fare di meglio se non offrire in sacrificio gli ultimi avanzi del suo corpo e della sua anima? Ma i Padri non vollero sentir parlare di dimissioni; e ben lontani dall'acconsentirvi, fecero a gara nel confermarlo al posto di Maestro Generale, aggiungendo così l’onore di una libera all'autorità della Sede Apostolica, che gli aveva conferita tal carica. Domenico però ottenne che almeno il suo potere venisse limitato da alcuni consiglieri, chiamati definitori, i quali nei Capitoli generali avessero il diritto di esaminare e regolare gli affari dell'Ordine, ed anche di deporre il Maestro Generale, qualora non corrispondesse al suo ufficio: - decisione importante, che fu poi approvata anche dal Sommo Pontefice Innocenzo IV. Un'ultima decisione, avanti che il Capitolo venisse sciolto, fu di riadunarsi ogni anno, una volta a Bologna e l'altra a Parigi; quantunque si accettasse di far subito un'eccezione, scegliendo nuovamente Bologna per la prossima assemblea.

L'alta Italia era una delle parti d'Europa le più infestate dall'eresia. Esposta ai contatti coll'Oriente ed alle influenze scismatiche degli imperatori dell'Alemagna, aveva molto cambiato nella sua fedeltà alla Chiesa. Per cui Domenico stimò opportuno fermarvisi a predicare il Vangelo; e nell'estate del 1220 la percorse tutta quanta. Gli storici contemporanei però, che pure ce ne danno notizia, non aggiungono alcun particolare. Quasi tutte le città della Lombardia reclamano l'onore di avere accolto ed ascoltato il santo Patriarca, ed i loro annali riferiscono vari aneddoti; ma non ne è sufficientemente provata l'autenticità, essendo stati scritti molto posteriormente. Una fra le cose certe è ch'egli visitò Milano e che vi cadde malato. Fra Bonvisi, che lo accompagnava nel viaggio, così parla della di lui costanza nel soffrire: «Quando io mi trovava a Milano con fra Domenico, questi fu preso dalle febbri. In tutto quel tempo che lo assistei, mai mi accadde di sentirlo lamentarsi. Pregava e stava in contemplazione, come lo argomentai da certi segni che gli apparivano in volto e che io ben conosceva, avendoglieli veduti sempre sul volto tutte le volte che pregava o contemplava. Passato l’accesso della febbre, cominciava a parlare di Dio ai frati; leggeva, o faceva leggere; lodava il Signore e si congratulava del suo male, come era solito far sempre nelle tribolazioni e nella povertà».

A Cremona Domenico s'incontrò con S. Francesco d’Assisi. Mentre essi stavano conversando insieme, si accostarono loro alcuni frati di S. Francesco, i quali dissero: «In convento non c'è più acqua buona. Vi preghiamo quindi, nostri padri e servi di Dio, di intercedere dal Signore una benedizione sui nostri pozzi, pieni d'acqua torba e corrotta». I due Patriarchi si guardarono a vicenda, l'uno invitando a rispondere qualche cosa. Finalmente Domenico disse ai frati: «Attingete un po' d'acqua e portatela qui». Andarono e ne portarono un vaso pieno. Allora Domenico disse a Francesco: «Padre, benedite quest’acqua nel nome del Signore». E Francesco: «Padre beneditela voi, che siete il più anziano». Pietosa contesa che si protrasse alquanto, finché da ultimo Domenico, vinto da Francesco, fece il segno della croce sopra il vaso, ed ordinò che si versasse quell'acqua, nel pozzo: d'allora il pozzo rimase sempre, purificato. A Modena un canonico francese, diretto a Roma in seguito: ad una predica ascoltata si recò da Domenico e gli confessò che, disperava assai di salvarsi causa una tentazione contro la castità, che mai era riuscito a vincere. «Abbiate coraggio, gli rispose il Santo, e confidate nella misericordia di Dio. M'impegnerò io ad impetrarvi da Lui il dono della continenza». Il canonico se ne partì liberato per sempre da quella tentazione.

Domenico era solito visitare i conventi che trovava per via. Si fermò, fra gli altri, a quello di Colombo, nel Parmigiano, dove si congettura avvenisse quest'altro tratto di delicatezza, che uno storico così racconta: «Una sera Domenico giunse alla porta di un convento mentre i religiosi erano tutti a riposare. Per non disturbarli, si adagiò col suo compagno davanti alla porta, e si raccomandò al Signore, affinché si degnasse provvedere Lui stesso ai loro bisogni, senza disturbo dei monaci. Nell'istante ambedue si trovarono dentro». Colombo era un celebre monastero di Cisterciensi, fondato da S. Bernardo medesimo. Fu distrutto dall'imperatore Federico II nel 1248.

Nel giorno dell'Assunta Domenico, come rilevasi dall'atto di vestizione di Corrado il Teutonico, si trovava nuovamente a Bologna. Nei frati era vivo il desiderio di vedere annoverato fra i ragguardevoli personaggi che avevano abbracciato la loro religione anche Corrado, dottore dell'Università di Bologna, uomo celebre in quel tempo per dottrina e virtù. Domenico la vigilia dell'Assunzione della SS. Vergine, intrattenendosi a parlare confidenzialmente con un religioso dell'Ordine dei Cisterciensi, priore del monastero di Casamari e poi vescovo di Alatri, che aveva

conosciuto a Roma e che amava con grande affetto, gli aprì quella sera il suo cuore, e nell'intimo del conversare gli disse: «Vi dirò, P. Priore, una cosa, che non ho mai detto a nessuno e che vi prego quindi di tenere segreta fin dopo la mia morte; cioè che mai in vita mia il Signore mi ha negato cosa, che gli abbia chiesto». Il Priore a queste parole restò meravigliato, e sapendo bene il desiderio dei frati riguardo a maestro Corrado, il Teutonico, soggiunse: «Padre, se è cosi, perché non chiedete al Signore che vi mandi maestro Corrado, che i frati tanto ardentemente desiderano di avere fra loro?». Domenico rispose: «Buon fratello, voi mi suggerite cosa assai difficile ad ottenere; ma se questa notte pregherete anche voi insieme con me, il Signore, spero, vorrà farci la grazia desiderata». Dopo Compieta il servo di Dio restò, secondo il suo solito in chiesa, ed il Priore di Casamari con lui. Assistettero al Mattutino dell'Assunzione; e fattosi giorno, mentre il Cantore intonava l'inno Iam lucis orto sidere di Prima, fu visto entrare in coro maestro Corrado, prostrarsi ai piedi di Domenico, e domandare istantemente l'abito. Il Priore di Casamari, fedele al secreto, non raccontò questo fatto che dopo la morte di S. Domenico, cui sopravvisse per più di vent'anni. Aveva egli timore di morire prima del Santo; ma questi medesimo, quando glielo disse, lo rassicurò che ciò non sarebbe avvenuto.

Tra quelli che Domenico ricevé allora nell'Ordine, merita singolar menzione Tommaso di Prouille, giovine d'illibata purezza e semplicità di costumi, teneramente amato dal Santo, che lo chiamava il suo figliolo. Alcuni antichi compagni del novello religioso, indignati di non averlo più fra loro, riuscirono a trarlo a forza di convento ed a stracciargli l'abito dell'Ordine. Si corse ad avvisarne Domenico, il quale subito entrò in chiesa a pregare. I rapitori, tolta a fra Tommaso anche la camicia di lana, facevano ogni sforzo per mettergliene una di lino; ma la vittima cominciò a mandar grida dolorose, dicendo di sentirsi bruciare; né ebbe pace finché, ricondotto all'ovile, riprese le ruvide, ma, care vestimenta, di cui era stato spogliato. - Qualche cosa di simile accadde pure ad un giureconsulto di Bologna. I suoi amici entrarono a mano armata nel chiostro di S. Niccolò per strappamelo via. I frati volevano andare in cerca di alcuni cavalieri, amici dell'Ordine, per opporre forza. Alla forza; Domenico invece soggiunse: «Io veggo intorno alla chiesa più di cento angioli, mandati dal Signore a difesa dei frati».

Il servo di Dio predicava a, Bologna assai di frequente; e tanta era la venerazione del popolo per lui che, senza aspettarlo alla chiesa dove era annunziato il discorso, andavano a prenderlo a S. Niccolò e l'accompagnavano al luogo destinato. Un giorno era andato a prenderlo gran folla, fra cui due studenti, uno dei quali, fattosi animo, disse a Domenica.: «Vi prego di chiedere a Dio la remissione dei miei peccati, perché, se non m’inganno, ne sono pentito ,e li ho tutti confessati». Il Santo che era ancora in chiesa, si accostò allora ad un altare, fece breve orazione, e ritornato rispose al giovane: «Sta di buon animo e persevera nell'amor di Dio; le tue colpe, ti sono state rimesse». L'altro studente all'udir ciò, si avvicinò anche lui al Santo e imitando il compagno soggiunse: «Padre, pregate per me, che anch'io, ho confessato tutti i miei peccati». E Domenico inginocchiatosi nuovamente dinanzi all'altare si mise a pregare. Ma avvicinatosi poscia al giovane, gli disse: «Figlio mio, non credere d'ingannare il Signoe, la tua confessione non è stata intera; per vergogna hai taciuto con tutta coscienza un peccato». E tiratolo in disparte, gli disse ancora il peccato, che aveva avuto vergogna di confessare. Lo studente rispose: «Padre, così è; perdonatemi». Domenico aggiunse qualche altra parola, e poi andò via insieme a tutto il Popolo che lo aspettava.

Lo Spirito di profezia era in lui abituale. S'incontrò una volta con un fratello che andava in missione; lo fermò, e scambiate appena poche parole, si accorse misteriosamente che quel fratello era in colpa; lo richiese quindi se mai avesse del danaro: confessò l'altro di averne; Domenico gli ordinò allora di gettarlo via, e gl'impose una penitenza. Nessun fallo lasciava egli impunito. «Ad osservare le regole dell'Ordine, dice Teodoro d'Apolda, agli era il primo, né trascurava mezzo, affinché da tutti fossero religiosamente ed interamente osservate. Ma se qualche fratello per umana fragilità mancava alle volte ai suoi doveri, Domenico non gli risparmiava la correzione. Sapeva però così bene unire la severità colla dolcezza, che il colpevole restava punito, senza che l'uomo ne risentisse alcun turbamento. Non sempre riprendeva immediatamente dopo la colpa, anzi lasciava correre del tempo, come se non si fosse accorto di nulla; ma quando capitava l'occasione propizia, diceva al colpevole: - fratello mio, la tal cosa voi

non l'avete fatta bene; date gloria a Dio, e confessate la vostra mancanza. - E come, mostravasi padre con quelli che correggeva, così avea le tenerezze di una madre con quelli che fossero afflitti. Nessuna parola ora più dolce e consolante della sua,; tutti, che andavano a lui per trovar sollievo nelle loro afflizioni, ne ritornavano sempre consolati. Avea cura dell'anima degli altri frati come della sua Propria, premuroso di mantenere in tutti il vigore e la pratica della virtù e della disciplina. E perché sta scritto che 1'andatura stessa dell'uomo, il riso delle sue labbra, la veste che indossa parlano di lui, non mancava un fratello riguardo alla forma dell'abito o alla religiosa povertà, che Domenico non lo riprendesse. Ogni giorno, a meno che non fosse impedito da gravi cause, faceva ai frati un sermone od una conferenza, e con tanta fede e con tante lacrime parlava loro, che eccitava in tutti la grazia della compunzione. Non ci fu altri che penetrasse come lui nel cuore dei frati...». Secondo il medesimo storico tre erano le cose che Domenico raccomandava soprattutto ai suoi figli: parlare sempre con Dio o di Dio; non portare mai denaro nei viaggi; non accettare temporali possessioni. Li esortava ancora a studiare incessantemente e ad annunziare la parola di Dio; conosceva subito quelli adatti per il pulpito, e non permetteva che si applicassero ad altro.

Come.è sempre stato di tutti i Santi, anche Domenico avea un gran potere sullo spirito delle tenebre. Più volte lo scacciò dal corpo dei suoi frati, più volte se lo vide comparire innanzi sotto forme diverse, ora per distrarlo nelle sue meditazioni, ora per disturbarlo mentre predicava. Riferisco da Teodoro d'Apolda il fatto seguente: «Un giorno che il Santo, vigile sentinella, faceva il giro della città di Dio, incontrò il demonio che, quasi bestia feroce, faceva la ronda pel convento. Lo fermò e gli domandò: - Perché vai girando in questo modo? - Il demonio rispose: - Per guadagnare qualche cosa. - Riprese il Santo: E che puoi guadagnare pei dormitori? E l'altro: - Caccio il sonno ai frati, persuado loro di non levarsi all'ufficio, e quando mi sia permesso, metto loro innanzi brutti sogni ed illusioni. - Il Santo lo condusse poi in coro, e gli domandò: - E qui che guadagno ci fai? - Rispose: Cerco di far arrivar tardi i frati e sortirne presto, e li faccio star distratti. - Interrogato riguardo al refettorio, rispose: - Faccio in modo che mangino più o anche meno del bisogno. - Condotto al parlatorio soggiunse: - Oh! questo sì che fa per me; qui le risa, qui i vani schiamazzi, qui le parole inutili. - Ma quando fu al capitolo, diede segno di volere andarsene, soggiungendo: - Io aborro questo luogo; perdo qui tutto quello che ho guadagnato altrove; qui i frati vengono ripresi delle loro colpe, qui se ne accusano, qui ne fanno penitenza, qui ne ricevono l'assoluzione».

Domenico percorrendo la Lombardia avea scorti ben tristi indizi dell'affievolimento della fede. In molti luoghi i laici si erano impadroniti del patrimonio della Chiesa; sotto Il pretesto che essa era troppo ricca, tutti la derubavano. Il clero ridotto ad una degradante povertà, non bastava più a provvedere alla magnificenza del culto, ed a praticare coi poveri i doveri della carità; mentre l'eresia, che era stata causa di tante ruberie, era quella appunto che serviva di mezzo per giustificarle. Non può esservi per la Chiesa peggiori condizioni di queste. I beni che essa ha perduto le creano implacabili nemici in coloro stessi che li posseggono; l'errore si propaga come

condizione indispensabile per salvaguardarne il possesso, ed il tempo che tutto distrugge, sembra impotente contro una tale alleanza d'interessi terreni coll'accecamento dello spirito. Domenico fondatore di un Ordine mendicante, aveva diritto più di ogni altro di opporsi a questa spaventevole miscela di mali; e per farvi argine, istituì una congregazione, alla quale dette il nome di Milizia di Gesù Cristo. Era essa composta di persone secolari d'ambo i sessi, che si obbligavano a difendere i beni e la libertà della Chiesa a qualunque costo. L'abito era quello stesso che portavano nel secolo, solamente si distingueva pei colori domenicani, il bianco simbolo dell'innocenza, ed il nero dì penitenza. Senza essere legati dai tre voti di povertà, castità ed ubbidienza, praticavano, quanto era in loro, vita religiosa, osservavano fedelmente le astinenze, i digiuni, le vigilie, e in luogo dell'ufficio recitavano un certo numero di Pater noster e di Ave Maria. Eleggevano un Priore il quale sotto l'autorità dell'Ordine li governasse; in giorni determinati poi si adunavano nelle chiese dei Frati Predicatori ad ascoltare la Messa ed un sermone. Quando Domenico fu annoverato fra i Santi, i fratelli e le sorelle di detta Congregazione, presero il nome di Milizia di Gesù Cristo e del Beato Domenico. In seguito ciò che in tale denominazione vi era di militante disparve insieme alle cause pubbliche che n'avevano dato origine, e la Congregazione restò tutta consacrata alla pratica della perfezione cristiana, sotto il nome di Fratelli e sorelle della penitenza di S. Domenico. Fu sotto questa nuova appellazione che Mugnone di Zamora, settimo Maestro Generale dei Frati Predicatori, confermò tale Congregazione, modificandone le costituzioni. I papi Gregorio IX, Onorio IV, Giovanni XXII e Bonifacio IX le concessero in diverse epoche vari privilegi, finché il papa Innocenzo VII ne approvò anche la regola tale quale da Mugnone di Zamora era stata compilata. La bolla è in data dell'anno 1405; ma non fu promulgata che' nel 1439 sotto Eugenio IV.

La Milizia di Gesù Cristo fu il terzo Ordine istituito da S. Domenico o meglio il terzo ramo di un solo Ordine, che abbraccia nella sua ampiezza uomini, donne, ogni persona del secolo. Con la istituzione dei Prati Predicatori Domenico avea richiamato dal deserto le falangi monastiche, ponendo loro in mano la spada dell'apostolato; con la istituzione del terz'Ordine introdusse la vita religiosa anche fra le mura domestiche ed al capezzale del letto nuziale. Fanciulle, vedove, maritate, persone d'ogni stato si videro allora popolare il mondo, con indosso le insegne di un Ordine religioso, praticandone ancora le regole nel secreto della propria abitazione. Lo spirito di associazione che aleggiava nel medio evo, e che è lo spirito del cristianesimo, contribuì assai a questo movimento. Ed in quella guisa che uno apparteneva alla tale famiglia per il sangue, alla tale corporazione pei servizi ai quali era obbligato, al tal popolo per la nascita, alla Chiesa per il battesimo, desiderava pure consacrarsi con atto di libera elezione ad alcuna di quelle gloriose milizie che servivano Gesù Cristo con la operosità della parola e della penitenza. La scelta cadeva fra le divise di S. Domenico o quelle di S. Francesco, innestati all'uno o all'altro di questi due tronchi piaceva vivere del loro succo, pur conservando la propria natura. Frequentavano le chiese dei rispettivi Ordini, comunicavano con loro nelle preghiere, pronti anche ad apprestare i soccorsi dell'amicizia, e studiosi di tener dietro, secondo la propria possibilità, alle tracce delle loro virtù. Svanì allora l'idea che per elevarsi alla imitazione dei Santi fosse indispensabile fuggire dal mondo: ogni camera potè cangiarsi in cella, ogni casa in una Tebaide. A misura che l'età o gli avvenimenti della vita alleggerivano il cristiano del fardello della carne, egli consacrava al chiostro una maggior porzione di se medesimo. Se la morte della sposa o d'un figlio rendeva tutto triste intorno a lui, se una rivoluzione da onorato grado lo piombava nell'esilio o nell'abbandono, un'altra famiglia era pronta a riceverlo nel suo seno, un altro paese gli ridonava i diritti di cittadinanza. Egli passava dal terz'Ordine al primo Ordine, come dalla giovinezza alla virilità. La storia di queste istituzioni è una delle più belle cose che si possano leggere. Di là uscirono Santi in tutte le condizioni della vita umana, dal trono fino allo sgabello del povero, e con tanta abbondanza da ingelosirne il deserto ed il chiostro. Le donne principalmente arricchirono i terzi Ordini delle loro virtù. Troppo spesso incatenate fin dall’infanzia ad un giogo punto da esse desiderato, sottraevansi alla propria condizione prendendo l'abito di S. Domenico o di S. Francesco. Il monastero andava a loro, non potendo esse andare a cercare il monastero; ed un angolo oscuro della casa paterna o coniugale si trasformava in misterioso santuario, abitato dallo sposo invisibile, che esse unicamente amavano. Chi non ha udito parlare di Santa Caterina da Siena e di Santa Rosa da Lima, due stelle domenicane, che hanno illuminato due mondi? Chi non ha letto la vita di S. Elisabetta di Ungheria, che fu Francescana? Così lo spirito di Dio provvede all'opera sua secondo i tempi, proporziona i miracoli alle miserie, e dopo aver fiorito nella solitudine, olezza sulle pubbliche vie.

 

INDICE

INTRODUZIONE

 

Capitolo I. Genesi di S. Domenico

Capitolo II Arrivo di S. Domenico in Francia

Suo primo viaggio a Roma

Colloquio a Montpellier .

Capitolo III Apostolato di S. Domenico dall' abboccamento di Moutpellier fino al principio della guerra Albigese

Fondazione del monastero di Notre-Dame di Prouille

Capitolo IV Guerra degli AlbIgesi

Capitolo V Apostolato di S. Domenico dal principio della guerra Albigese fino al quarto

Concilio Lateranense

Istituzione del SS. Rosario

S. Domenico ed i suoi primi discepoli a Tolosa

Capitolo VI Secondo viaggio di S. Domenico a Roma

Approvazione provvisoria dell'Ordine dei Frati Predicatori fatta da Innocenzo III

Incontro di S. Domenico con S. Francesco d'Assisi

Capitolo VII Riunione di S. Domenico e del suoi compagni a Notre-Dame di Prouille

Regola e Costituzioni dei Frati Predicatori

Fondazione del convento di S. Romano a Tolosa

Capitolo VIII Terzo viaggio di S. Domenico a Roma

Conferma dell'Ordine dei Frati Predicatori

Predicazione di S. Domenico nel palazzo del Papa

Capitolo IX Nuova riunione dei Frati Predicatori a Notre-Dame di Prouille, e loro diffusione in Europa

Capitolo X Quarto viaggio di S. Domenico a Roma

Fondazione dei conventi di S. Sisto e di S. Sabina

Miracoli che accompagnarono queste due fondazioni

Capitolo XI Soggiorno dì S. Domenico a S. Sabina

S. Giacinto ed il B. Ceslao entrano nell'Ordine

Miracolosa unzione fatta dalla Vergine Santissima sul B. Reginaldo

Capitolo XII Fondazione dei conventi di S. Giacomo a Parigi, e di S. Niccolò di Bologna

Capitolo XIII Viaggio di S. Domenico in Spagna ed in Francia

Sue veglie nella grotta di Segovia

Modo di viaggiare e sistema di vita del Santo

Capitolo XIV Quinto viaggio di S. Domenico a Roma

Morte del B. Reginaldo

Il B. Giordano di Sassonia entra nell'Ordine

Capitolo XV Primo Capitolo Generale dell'Ordine

Dimora di S. Domenico in Lombardia

Istituzione del Terz'Ordine

Capitolo XVI Sesto ed ultimo viaggio di S. Domenico a Roma

Secondo Capitolo Generale Malattia e morte del Santo Patriarca

Capitolo XVII Traslazione del corpo di S. Domenico

Canonizzazione del Santo

 

 

APPENDICE

L'ORDINE DI S. DOMENICO

Capitolo I Della legittimità degli Ordini religiosi dinanzi suo Stato

Capitolo II Idea generale dell'Ordine dei Frati Predicatori

Motivi per ristabilirlo in Francia

Capitolo III Azione dei Frati Predicatori come Apostoli

Loro Missioni nell' antico e nel nuovo mondo

Capitolo IV Azione dei Frati Predicatori come dottori

S. Tommaso d'Aquino

Capitolo V Artisti, Vescovi, Cardinali, Papi, Santi e Sante, dati alla Chiesa dall’Ordine dei Frati Predicatori

Capitolo VI L'Inquisizione

Capitolo VII Conclusione

 

 

 

 

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