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VITA DI SAN DOMENICO

P. Enrico D. Lacordaire dei Predicatori


 

CAPITOLO XIV

 

Quinto viaggio di S. Domenico a Roma

Morte del B. Reginaldo

Il B. Giordano di Sassonia entra nell’Ordine

 

L’anno 1219, Domenico, scendendo nel colmo dell'estate la rapia china delle Alpi, rivedeva per l'ultima volta la fertile e vasta pianura della Lombardia, destinata a possederlo in uno dei momenti più solenni della sua vita. La Vecchia Castiglia lo aveva nutrito nell’infanzia e nella giovinezza; la Linguadoca se lo era goduto nel più bel periodo della virilità; a Roma, come al suo centro, l'aveva sempre portato l'ardore della sua fede; la Lombardia ne doveva essere la tomba. S'ignora per quale strada vi entrasse; gli storici primitivi, senza tracciarne l'itinerario, ad un tratto ce lo fanno trovare a Bologna. Con immensa gioia fu ricevuto da tutti i frati del Convento di San Niccolò, retto allora dal B. Reginaldo; ed il primo suo atto fu la rinunzia dei possedimenti. Oderico Galliani, cittadino di Bologna, aveva di recente donato ai Frati, con tutte le formalità legali, alcune sue terre di un valore considerevole. Domenico stracciò alla presenza del vescovo il contratto, e dichiarò esser sua volontà che i religiosi giorno per giorno mendicassero il pane, senza accumular mai ricchezze e possessioni. Nessuna virtù di fatti egli avea più cara della povertà. Una sola e rozza tonaca era la sua veste d'ogni stagione, senza vergognarsi di presentarsi, così umilmente vestito, dinanzi ai più grandi signori. Voleva quindi che anche i suoi frati lo imitassero; che abitassero in case modeste, e che neppure all'altare usassero seta o porpora, vasi d'oro o d'argento, tranne il calice. Con uguale spirito di parsimonia e di penitenza regolava la tavola: due pietanze ai frati, una sola per sé. Rodolfo di Faenza, procuratore del convento di Bologna, raccontava che avendo egli qualche volta fatto miglior trattamento ai religiosi mentre vi si trovava Domenico, il Santo l'aveva chiamato e gli aveva detto all'orecchio: «Ma voi uccidete i frati colle vostre pietanze!».

Quando nel Convento di S. Niccolò veniva a mancare il pane o il vino, cosa che di tanto in tanto accadeva, fra Rodolfo andava allora a trovar Domenico, il Santo gli dava ordine di andare con lui in chiesa a pregare; e la Provvidenza disponeva le cose in modo che sempre era dato di rimediare al desinare. Un giorno di digiuno tutta; la comunità stava già a refettorio, quando il fratello Bonvisi si accostò a Domenico per dirgli che non c'era nulla da mangiare. Il Santo pieno di contentezza, levò gli occhi e le mani al cielo, e rese grazie a Dio d'essere così povero. Ben tosto però due giovani sconosciuti entrarono in refettorio, uno con pani, l’altro con fichi secchi, e ne fecero distribuzione ai religiosi. Un'altra volta non essendoci in convento che due soli pani, Domenico ordinò che fossero divisi in piccoli pezzi; quindi benedisse il paniere, e disse al fratello, che serviva alla mensa, di fare il giro delle tavole distribuendone due o tre pezzetti a ciascuno. Fatto il primo giro, comandò il Santo che se ne facesse un secondo e più ancora, finché tutti fossero sazi. Ordinariamente i frati non bevevano che acqua; solo pei malati procuravasi un po' di vino. Un giorno l'infermiere andò da Domenico a lamentarsi di non trovar punto vino pel malati, e gli mostrò il vaso vuoto. Il servo di Dio si, mise allora, secondo il suo solito, a pregare, esortando per umiltà ancora gli altri a fare lo stesso; e quando l'infermiere riprese il vaso dei vino, lo trovò pieno.

Gli storici poco ci han detto dell’esultanza dei frati di Bologna all'arrivo di Domenico fra loro; ma si può argomentar facilmente l'effetto della di lui comparsa in mezzo ad uomini che, pur senza conoscerlo, si eran fatti suoi figli. Ora vedevano coi proprii occhi quello spagnolo, che per mezzo di un francese li aveva convertiti a Dio, e che, risuscitando le meraviglie dei primitivi tempi della Chiesa, aveva raccolto da tutte le parti della cristianità una società di apostoli. Lo vedevano! e le virtù, i miracoli, la parola, il sembiante di lui presentavano tale spettacolo, che la loro fantasia mai avrebbe immaginato. Nel breve tempo che Domenico stette fra loro, la santa e già numerosa famiglia si accrebbe ancora, causa l'ascendente ch'egli aveva, così dentro come fuori del monastero. Udiamo, fra le altre cose, in qual modo singolare avvenne la vestizione di Stefano di Spagna: «Mentre io studiava a Bologna, è Stefano stesso che racconta, arrivò maestro Domenico e cominciò a predicare agli studenti, come pure agli altri. Andai a confessarmi da lui, e mi parve riconoscere in lui un grande amore per me. Una sera mentre ero all'albergo, già seduto

a cena coi miei compagni, giunsero due frati e mi dissero: - Fra Domenico vuol vedervi, e desidera che veniate senza, indugio. - Risposi che sarei andato subito dopo la cena. Ma essi: - No, no; vi vuole sull'istante. - Allora mi alzai, e lasciato tutto, giunsi con loro a S. Niccolò, dove trovai Maestro Domenico in mezzo a una moltitudine di frati, ai quali egli disse: - Insegnategli come si fa la prostrazione. - E quando me l'ebbero insegnato, io mi prostrai con tutta docilità, ed egli mi rivestì senz'altro dell'abito dei Frati Predicatori, dicendomi: - Eccovi le armi colle quali voi sconfiggerete il demonio per tutta la vostra vita. - Restai allora meravigliato assai, né ripenso senza stupore all'istinto pel quale Domenico così in fretta mi fece chiamare e mi donò l'abito di Frate Predicatore. Imperocchè non avendomi egli mai parlato di entrare in religione, senza dubbio fu mossa, in far ciò, da ispirazione e rivelazione divina».

Come prima avea fatto a Parigi, così a Bologna Domenico attuò il suo piano di mandar frati nelle principali città dell'alta Italia per predicarvi e fondarvi conventi. Era irremovibile dalla massima prediletta: Bisogna seminare il grano e non ammucchiarlo; e Milano e Firenze accolsero alla loro volta colonie di Frati Predicatori. Inoltre parve opportuno a Domenico che fra Reginaldo lasciasse Bologna per recarsi a Parigi. Si riprometteva assai dalla eloquenza e dalla rinomanza di lui per dare l'ultima mano allo stabilimento dell'Ordine in Francia. I frati di Bologna videro con amaro rincrescimento allontanarsi da loro Reginaldo e piansero per essere così presto staccati dalle mammelle della mamma, come si esprime il B. Giordano di Sassonia, il quale però soggiunge subito: «ma tutte queste cose avvenivano per volontà di Dio. C'era un non so che di meraviglioso nella maniera con cui il beato servo di Dio, Domenico, inviava qua e là i suoi frati per tutte le parti della cristianità, malgrado che qualche volta altri facesse delle rimostranze; né lieve ombra di esitazione indebolì mai la sua fiducia. Si diceva ch'egli sapeva già del buon esito per rivelazione dello Spirito Santo. In verità, chi oserebbe dubitarne? Non aveva seco da principio che pochi frati, semplici, illetterati la maggior parte, eppure avea osato spargerli a piccoli drappelli per tutta la Chiesa; di guisa che non mancarono le accuse da parte dei figlioli del secolo, i quali giudicano sempre secondo la loro prudenza, di voler distruggere il già fatto, anzi che innalzare un grandioso edifizio. Ma Domenico accompagnava i suoi figli colle sue preghiere, e la virtù del Signore pensava a moltiplicarli».

Anche Domenico verso la fine del mese di Ottobre partì da Bologna. Valicò l'Appennino dirigendosi verso Firenze, e sostò per qualche tempo sulle rive dell’Arno, là, dove in seguito sarebbero sorti i due celebri conventi di S. Maria Novella e di S. Marco. I Frati uffiziavano allora una piccola chiesa, accanto alla quale abitava una donna chiamata Bena, conosciuta per le sregolatezze della vita, e che il Signore, per giusto castigo, lasciava esposta agli assalti dello spirito maligno. All'udir le prediche di Domenico ella si convertì, e le preghiere del Santo la liberarono dai demoni che la tormentavano. Ma la pace riacquistata fu per lei occasione di ricaduta; e un anno appresso essa stessa confessò a Domenico, il quale di nuovo si trovava a Firenze, qual cattivo uso avesse fatto della liberazione ottenuta. Domenico la richiese allora se desiderasse ritornare al primitivo stato; e dietro risposta che si rimetteva in tutto a Dio ed a lui, il Santo pregò il Signore di fare il meglio per la salute di cotal femmina. Trascorsi alcuni giorni, lo spirito maligno nuovamente la invase, e tal castigo dei suoi antichi falli fu per lei principio di meriti e di perfezione. Bena prese in seguito il velo monacale col nome di Suor Benedetta. Di lei ancora si legge che, essendo Domenico tornato a Firenze, mosse a lui vive lagnanze perché un ecclesiastico la molestava, causa l'ossequio ch'essa aveva per i Frati. Ed il motivo era perché quel prete non poteva soffrire che fosse stata concessa a loro la chiesa., di cui egli era Cappellano. Ma Domenico rispose a Suor Benedetta: « Abbiate pazienza, o figlia. Costui che vi molesta, sarà presto uno dei nostri, e si sobbarcherà nell'Ordine a grandi e lunghe fatiche».

Domenico, trovò a Viterbo il Sommo Pontefice Onorio III, dal quale, in data del 15 novembre 1219, ottenne lettere di raccomandazione pei vescovi e prelati della Spagna; raccomandazioni che, agli 8 di dicembre furono estese agli arcivescovi, vescovi, abati e prelati di tutta la cristianità. Il 17 poi del medesimo mese il Papa da Civitacastellana fece donazione a Domenico ed ai suoi frati del convento di S. Sisto, posto al di là del monte Celio, tenuto fino a quel giorno dall'Ordine in virtù di una semplice cessione orale. Nell'atto non si fa affatto menzione delle monache di S. Sisto; e ciò, senza dubbio, perché formavano coi Frati un solo e medesimo Ordine, temporalmente e spiritualmente governato dal Maestro Generale.

Non era questa la prima volta che il santo Patriarca vedeva Viterbo. Già tre anni prima, di ritorno in Francia dopo la conferma dell'Ordine, vi era stato col cardinale Capocci, da cui aveva ricevuto in dono una cappella e un monastero sotto il titolo di S. Croce, posti sopra un'altura, vicina alla città, ed anche una chiesa, che si veniva costruendo lì accanto. Il cardinale si era indotto a fare erigere tale chiesa in onore della SS. Vergine, per un sogno avuto; e l'amicizia grande che avea con Domenico, lo spinse a donarla a lui anche prima che fosse ultimata, pel timore che il tempo tradisse la sua buona volontà. Difatti non poté godere la, soddisfazione di vederla compiuta; ma prima di morire ne assicurò all'Ordine il possesso, e sotto il titolo di S. Maria di Gradi divenne uno dei più celebri conventi della provincia Romana. Dell'antica cappella di S. Croce rimangono tuttora alcuni ruderi; ivi Domenico passò intere notti, e fino al secolo scorso ne furono ornamento le tracce del suo, sangue.

Il capo d'anno del 1220 Domenico lo passò a Roma. Dalla frase di uno storico si rileva avere egli in tal circostanza distribuito alle monache di S. Sisto dei cucchiai di ebano, da lui stesso portati dalla Spagna. Santa semplicità di un tant'uomol In mezzo agli affari, di un lungo viaggio, il gentile pensiero di fare un dono a povere monache, gli aveva fatto portare sulle proprie spalle, per tutto un cammino di sei o settecento leghe, quel ricordo del suo paese! Sulle proprie spalle, perché Domenico non avrebbe mai permesso che altri si caricasse del suo bagaglio.

Frattanto Reginaldo giunto a Parigi, vi annunziava il Vangelo con tutta l'autorità della sua eloquenza e della sua fede. Dopo Domenico era egli l'astro più fulgido della nuova religione. Tutti i frati tenevano gli occhi su di lui; e senza prevedere la morte troppo imminente del loro fondatore, si compiacevano nel pensiero che, ad ogni caso, non sarebbe stato lui il solo capace di sostenere la sua opera. Ma Iddio mostrò ben presto la vanità di questi sentimenti di amore e di ammirazione. Reginaldo, nel momento, appunto che ispirava di sé la più grande aspettazione cadde gravemente malato. Matteo di Francia, Priore di S. Giacomo, gli fece allora capire che l'ultima battaglia era vicina, e lo richiese se avesse desiderio di ricevere l'estrema unzione. «Io non temo il combattimento, rispose Reginaldo, l'aspetto anzi con gioia; ed aspetto ancora la Madre di Misericordia, che mi unse a Roma di sua propria mano, nella quale io confido assai. Ma perché non sembri che disprezzi l'unzione della Chiesa, ho piacere di riceverla e ve la domando». I frati, almeno la maggior parte, non sapevano nulla del modo misterioso con cui Reginaldo era stato chiamato alla religione, avendo egli pregato Domenico di non parlarne finch'ei vivesse. Ma nel punto solenne della morte, tornandogli in mente tanto insigne favore, non poté trattenersi dal farvi allusione; ed un sentimento di riconoscenza svelò così un segreto, fino allora dall'umiltà tenuto nascosto. Anche un'altra volta egli aveva detto a Matteo di Francia parole allusive, conservateci dalla storia; quando cioè a Matteo, il quale si meravigliava di veder Reginaldo entrato in un Ordine così austero, sapendo invece quanto delicatamente prima avesse vissuto ed in qual rinomanza l'avea conosciuto fin da quando era nel secolo Reginaldo rispose: «Non c'è nessun merito da parte mia; anche troppo me ne sono sempre compiaciuto». Reginaldo cessò di vivere sulla fine di gennaio del 1220; il giorno preciso non lo sappiamo. I frati lo trasportarono nella chiesa di Notre-Dame-des-Champs, vicino a S. Giacomo, dove avevano il diritto di sepoltura. Dal monumento in cui quelle reliquie furon deposte operarono vari miracoli, e per ben quattrocento anni furono onorato di un culto, di cui pareva dovesse eternarsene la tradizione. Ma nel 1614 la chiesa di NotreDame-des-Champs fu data alle Carmelitane della riforma di S. Teresa; e col trasferire ch'esse fecero nell'interno del monastero il corpo di Reginaldo, la sua memoria, malgrado l'ereditaria tradizione, cessò a poco a poco di essere popolare, e divenne, come la sua tomba, il secreto di coloro soltanto che conoscono ed abitano in ispirito l'antichità. Presentemente neppure il monumento esiste più; disparve insieme colla chiesa e col monastero di Notre-Dame-des-Champs. Così il fondatore del convento di Bologna, colui che i frati appellavano il loro bastone, che era stato chiamato all'Ordine dalla Vergine medesima, che da Lei era stato miracolosamente unto e risanato, che aveva dato la forma ultima e sacra all'abito domenicano, il B. Reginaldo non ebbe più nessun culto neppure nell'Ordine dei Frati Predicatori, di cui fu uno dei più belli ornamenti per la santità della vita, per la potenza della parola, e per il grande numero di figli che ad esso generò. Tanta fecondità in lui non venne meno che alla morte; infatti alla vigilia stessa della sua ultima e breve malattia emetteva ancora dal suo ceppo rigogliosi rampolli.

Il lettore si ricorderà di quello studente sassone conosciuto da Domenico a Parigi, e di cui volle ancora provare la vocazione, tuttochè manifesta. A cogliere questo fiore prezioso, che la mano di Domenico, quasi trattenuta da un delicato presentimento, avea rispettato onde onorare e consolare la fine prematura di uno de' suoi figli più illustri, era stato predestinato Reginaldo. Ed ecco come Giordano di Sassonia racconta il suo ingresso nell'Ordine e quello del suo amico, Enrico di Colonia: «La notte medesima in cui l'anima del santo uomo Reginaldo se ne volò al cielo, io, non ancora frate di abito, ma che già avea fatto nelle sue mani voto di esserlo, vidi in sogno i frati su di una nave. Ad un tratto la nave si affondò, ma i frati erano salvi dal naufragio. Penso che quella nave fosse Reginaldo, considerato dai frati come il loro bastone. Un altro vide sognando una limpida fonte che improvvisamente cessò di gettare acqua, ma che fu sorrogata da altre due sorgenti zampillanti fuori. Io credo che anche questa visione si riferisse a qualche cosa di reale; ma conosco troppo la sterilità del mio spirito per osare di darne l'interpretazione. Questo so che nelle mani di Reginaldo non furon fatte a Parigi che due professioni, la mia e quella di fra Enrico, che fu poi Priore di Colonia: uomo ch’io amava di tale affetto, che non ho sentito per altri mai; vaso di onore e di perfezione, anima insomma così bella, che io non ricordo di averne conosciuta l'eguale. Il Signore si affrettò a chiamarlo a sé; è per questo che non sarà vano dir qualche cosa delle sue virtù.

«Enrico, di nobili natali, era stato nominato, ancor giovanissimo, canonico di Utrecht. Un canonico di quella chiesa, persona rispettabile e molto religiosa, l'avea educato fin dai più teneri anni nel timore di Dio. Gli aveva insegnato coll'esempio a vincere il mondo, crocifiggendo la carne e facendo opere buone; voleva che lavasse i piedi ai poverelli, che frequentasse la chiesa, fuggisse il male, avesse in dispregio il lusso, amasse la castità. Ed il giovane, di buonissima indole, piegavasi docile al giogo della virtù; di guisa che i buoni costumi crebbero in lui presto come gli anni, ed a vederlo l'avresti preso per un angiolo: tanto e virtù e natura sembravano in lui una medesima cosa. Andò poi a Parigi; e lo studio della teologia, a preferenza di ogni altra scienza, non tardò ad innamorarlo, dotato come egli era d'ingegno vivissimo e di mente perfettamente ordinata. C'incontrammo nel medesimo albergo, e ben presto dall'esser commensali di corpo, nacque una dolce e stretta amicizia, fra le nostre anime. In quel tempo si trovava a Parigi anche fra Reginaldo, di felice memoria, e vi predicava con tanto ardore che io, mosso dalla grazia del Signore, feci voto dentro di me d'entrare nel suo Ordine: sembrandomi d'aver ritrovata là quella via sicura di salvezza, quale appunto, prima di conoscere i Frati, me l'ero sovente rappresentata. Presa tale risoluzione, cominciai a desiderare che anche il compagno e l'amico dell'anima mia facesse lo stesso voto, riscontrando in lui tutte quelle disposizioni di natura e di grazia richieste in un frate Predicatore. Egli a ricusarsi, ed io a stringerlo con nuove istanze, finché ottenni che andasse a confessarsi da fra Reginaldo. Al suo ritorno aprimmo il profeta Isaia come per trovarvi qualche consiglio, e ci cadde sott'occhio questo passo: Il Signore mi ha dato lingua erudita, affinché io sappia sostenere con la parola colui che cade; e la mattina mi sveglia, affinché alla sua voce io porga attento le orecchie. Il Signore Dio mi ha fatto ascoltar la sua voce, ed io non mi tiro indietro, né contradico(Is 50, 4-5). Mentre che io gli interpretava queste parole, così bene rispondenti alle disposizioni del suo cuore e che eran per lui come un avviso del cielo, esortandolo a sottomettere la sua gioventù al giogo dell'obbedienza, notammo più sotto queste due altre parole: «stiamo insieme, che ci avvertivano di non separarci l'un dall'altro, e di consacrare la nostra vita al medesimo ideale. Fu alludendo a ciò che, trovandosi egli in Germania ed io in Italia, mi scrisse un giorno: Dov'è ora quello stiamo insieme? Voi a Bologna ed io a Colonia! Io dunque gli diceva: - Qual merito più grande vi può essere, qual più gloriosa corona che di partecipare della povertà del Cristo e de' suoi apostoli, e dell'avere abbandonato il secolo per amor suo? - Ma per quanto tali ragioni gli sembrassero convincenti, pur la volontà rimaneva sempre ostinata a resistere.

«La notte stessa in cui tenevamo questi discorsi, egli andò ad assistere al Mattutino nella chiesa della B. Vergine, e si trattenne fino all'alba a pregare la gran Madre di Dio di voler piegare in lui quello, che ancora vi era di ribelle. E non sentendo per nulla addolcita dalla preghiera la durezza del suo cuore, uscì in queste parole: - Ora sì che conosco, o Vergine benedetta, che non c'è misericordia per me, e che per me non c'è posto nella famiglia dei poveri di Cristo. - Ciò disse con grande rincrescimento, pel desiderio ardente che aveva di abbracciare la povertà volontaria, avendogli il Signore una volta fatto conoscere quanto essa valesse nel giorno del giudizio. La cosa avvenne così: Ei vide in sogno G. Cristo sopra il suo tribunale, e due innumerabili schiere di persone, una delle quali era giudicata, e l'altra giudicava insieme con Gesù. Mentre che egli, sicuro in coscienza, contemplava tranquillamente un tale spettacolo, uno di coloro che stavano accanto al giudice, stese ad un tratto la mano verso di lui e gli gridò: - O tu, che sei laggiù in basso, che hai tu mai lasciato per il Signore? - Si trovò confuso, non sapendo che rispondere; e perciò desiderava assai la povertà, quantunque gli mancasse il coraggio di abbracciarla. Onde uscì di chiesa tutto costernato di non avere ottenuta tutta quella forza che avea domandata. Ma Colui che dall'alto ha cura degli umili, scosse finalmente dalle fondamenta il suo cuore, rivi di lacrime sgorgarono in abbondanza dai suoi occhi, la sua anima si aprì con grande espansione al Signore. Tutta la durezza che l'opprimeva era stata vinta, e il giogo di G. Cristo, prima così ripugnante alla sua immaginazione, gli apparve, com'è veramente, il più soave e leggero. Pieno di entusiasmo si levò tosto, corse da fra Reginaldo, nelle sue mani emise i voti, poi venne da me; e mentre io considerava nel suo angelico volto le tracce delle lacrime, richiestolo dove fosse stato, così mi rispose: - Ho fatto un voto al Signore e l'adempirò. - Ciò nonostante differimmo ambedue a prender l'abito fino a quaresima; nel frattempo acquistammo un altro compagno, che fu fra Leone, successore di fra Enrico nella carica di Priore.

«Giunto il giorno in cui la Chiesa col misterioso rito delle ceneri ricorda ai fedeli che ritorneranno in quella polvere, donde trassero origine, ci preparammo ambedue ad adempire i nostri voti. Gli altri compagni non sapevano niente delle risoluzioni di Enrico, ed uno di loro, vistolo sortir di casa gli disse: - Enrico, e dove vai? - A Betania, egli rispose; e l'allusione cadeva appunto sulla parola ebraica, che significa casa di ubbidienza. Ci recammo adunque tutti e tre a S. Giacomo, ed entrammo appunto nel momento in cui i frati cantavano: immutemur habitu. Essi non aspettavano una tal visita, ma tuttochè inaspettata, giunse sempre gradita; e noi ci spogliammo del vecchio uomo per rivestirci del nuovo, mentre i frati andavano cantando a parole quella cosa stessa che noi facevamo».

Reginaldo non assisté alla vestizione di Giordano di Sassonia e di Enrico di Colonia: prima ancora di aver consumato quest'ultima opera, se n'era ritornato a Dio; simile all'aloe, che fiorendo muore e mai non vede i suoi frutti.

 

 

INDICE

INTRODUZIONE

 

Capitolo I. Genesi di S. Domenico

Capitolo II Arrivo di S. Domenico in Francia

Suo primo viaggio a Roma

Colloquio a Montpellier .

Capitolo III Apostolato di S. Domenico dall' abboccamento di Moutpellier fino al principio della guerra Albigese

Fondazione del monastero di Notre-Dame di Prouille

Capitolo IV Guerra degli AlbIgesi

Capitolo V Apostolato di S. Domenico dal principio della guerra Albigese fino al quarto

Concilio Lateranense

Istituzione del SS. Rosario

S. Domenico ed i suoi primi discepoli a Tolosa

Capitolo VI Secondo viaggio di S. Domenico a Roma

Approvazione provvisoria dell'Ordine dei Frati Predicatori fatta da Innocenzo III

Incontro di S. Domenico con S. Francesco d'Assisi

Capitolo VII Riunione di S. Domenico e del suoi compagni a Notre-Dame di Prouille

Regola e Costituzioni dei Frati Predicatori

Fondazione del convento di S. Romano a Tolosa

Capitolo VIII Terzo viaggio di S. Domenico a Roma

Conferma dell'Ordine dei Frati Predicatori

Predicazione di S. Domenico nel palazzo del Papa

Capitolo IX Nuova riunione dei Frati Predicatori a Notre-Dame di Prouille, e loro diffusione in Europa

Capitolo X Quarto viaggio di S. Domenico a Roma

Fondazione dei conventi di S. Sisto e di S. Sabina

Miracoli che accompagnarono queste due fondazioni

Capitolo XI Soggiorno dì S. Domenico a S. Sabina

S. Giacinto ed il B. Ceslao entrano nell'Ordine

Miracolosa unzione fatta dalla Vergine Santissima sul B. Reginaldo

Capitolo XII Fondazione dei conventi di S. Giacomo a Parigi, e di S. Niccolò di Bologna

Capitolo XIII Viaggio di S. Domenico in Spagna ed in Francia

Sue veglie nella grotta di Segovia

Modo di viaggiare e sistema di vita del Santo

Capitolo XIV Quinto viaggio di S. Domenico a Roma

Morte del B. Reginaldo

Il B. Giordano di Sassonia entra nell'Ordine

Capitolo XV Primo Capitolo Generale dell'Ordine

Dimora di S. Domenico in Lombardia

Istituzione del Terz'Ordine

Capitolo XVI Sesto ed ultimo viaggio di S. Domenico a Roma

Secondo Capitolo Generale Malattia e morte del Santo Patriarca

Capitolo XVII Traslazione del corpo di S. Domenico

Canonizzazione del Santo

 

 

APPENDICE

L'ORDINE DI S. DOMENICO

Capitolo I Della legittimità degli Ordini religiosi dinanzi suo Stato

Capitolo II Idea generale dell'Ordine dei Frati Predicatori

Motivi per ristabilirlo in Francia

Capitolo III Azione dei Frati Predicatori come Apostoli

Loro Missioni nell' antico e nel nuovo mondo

Capitolo IV Azione dei Frati Predicatori come dottori

S. Tommaso d'Aquino

Capitolo V Artisti, Vescovi, Cardinali, Papi, Santi e Sante, dati alla Chiesa dall’Ordine dei Frati Predicatori

Capitolo VI L'Inquisizione

Capitolo VII Conclusione

 

 

 

 

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