Attenzione: Queste pagine appartenevano a "L'incontro". Non sono verificate dal 2001. Avendo subito perdite consistenti di dati, e soprattutto essendo ormai datate, possono contenere errori e non rispecchiare più il pensiero degli autori. Se sei l'autore di uno o più di questi contenuti contattami a jotis@iol.it   Politica Cultura Scienze  Società  Religione Psiche  Filosofia  Ambiente Arte  Cinema Sport Napoli Università Home

VITA DI SAN DOMENICO

P. Enrico D. Lacordaire dei Predicatori


 

CAPITOLO X

 

Quarto viaggio di S. Domenico a Roma

Fondazione dei conventi di S. Sisto e di S. Sabina

Miracoli che accompagnarono queste due fondazioni

 

Inviati qua e là i suoi frati, Domenico rimase ancora per qualche tempo nella Linguadoca. Ne abbiamo la prova in un trattato da lui conchiuso il dì 11 del seguente settembre, a proposito delle decime già accordategli da Folco. Trattavasi di sapere fina a qual punto si estendesse tal diritto; e fu convenuto che ne fossero escluse quelle parrocchie che contassero meno di dieci famiglie; di più furono eletti alcuni arbitri per comporre tutte le difficoltà che in avvenire fossero potute nascere. Ciò fatto, Domenico con un solo compagno, Stefano di Metz, riprese a piedi, com'era suo uso, la via delle Alpi. La storia lo perde di vista fino a Milano, dove lo ritrova alle porte della collegiata di S. Nazario a chiedere ospitalità a quei canonici; i quali, in grazia dell'abito che indossava, lo ricevettero come uno dei loro.

Giunto a Roma, sua prima cura fu di cercare un luogo adatto per la fondazione di un convento. Ai piedi del monte Celio dalla parte di mezzogiorno, lungo la via Appia e di fronte alle rovine gigantesche delle terme di Caracalla, sorgeva, un'antica chiesa dedicata a S. Sisto II, Papa e martire, dove altri cinque papi e martiri come lui gli stavano accanto nella stessa tomba. A un lato della chiesa rifatta da poco, eravi un convento quasi interamente costruito; però il silenzio profondo che regnava intorno alla chiesa ed al convento, facea contrasto coi recenti lavori, di cui per tutto apparivano segni manifesti: chiaro indizio che inaspettato avvenimento avea interrotto l'esecuzione di un qualche bel progetto. Ed in verità per la morte d'Innocenzo III era stata sospesa la restaurazione di quel celebre ed antico luogo, destinato dal Papa a raccogliere sotto una medesima regola varie religiose, che vivevano in Roma con troppa libertà. Domenico, che ignorava tutto questo, si affrettò a chiedere al Pontefice chiesa e monastero; ed Onorio III a viva voce glie li cedè.

In tre o quattro mesi Domenico potè riunire in San Sisto non meno di cento religiosi; ed una rapida e prodigiosa fecondità successe a quella lentezza, che parve fino allora regolare i di lui destini. Quest'uomo, che non avea cominciato la sua vera carriera che a trentacinque anni, dopo averne spesi altri dodici a formare soli sedici discepoli, se li vede al fine prostrarsi a’ suoi piedi con quell'abbondanza con cui le spighe mature cadono sotto la falce, del mietitore. Né c'è da stupirne. E’ legge di natura come di grazia che una forza lungamente compressa, rotti i legami e le resistenze, dia fuori con impeto. Così in tutti gli avvenimenti c'è un punto di maturità che ne rende il successo prontissimo, non meno che inevitabile. San Sisto posto sulla strada che percorrevano in altri tempi i trionfatori romani per salire al Campidoglio, pel corso di un anno fu spettatore di scene assai più meravigliose degli spettacoli a cui i generali di Roma aveano accostumata la via Appia. In nessun altro luogo o tempo Domenico dié meglio a conoscere l'autorità da Dio conferitagli sulle anime; e mai la natura l'obbedì con più rispettosa sudditanza. Siamo al momento più solenne della sua vita.

Bisognò da principio condurre a termine il monastero. In questo frattempo Domenico riprese il corso delle sue predicazioni nelle chiese, e delle solite istruzioni nel palazzo del Papa: ed ogni giorno colla sua eloquenza riusciva a guadagnare qualche nuovo discepolo per popolare quanto prima la parte abitabile del convento. Uscito la mattina col suo solito bastone, la sera ritornava con la preda, e l'edificio spirituale di S. Sisto progrediva così di pari passo con quello materiale. Il demonio, geloso di così felici risultati, si provò a turbarne la gioia. Un giorno, mentre i frati accompagnavano l'architetto sotto una volta per sentire se era da restaurarsi o da abbattersi, la volta cadde e seppellì l'architetto tra le macerie. Fu immensa la desolazione dei frati radunati intorno alle macerie che ricoprivano il corpo di quell'infelice, tutti timorosi per l'anima di lui, forse colto in cattivo punto, e per le male voci che si sarebbero levate nel volgo; né, cosi costernati, sapevano più che fare. Ma ecco che arriva Domenico, e fatto trar fuori dai sassi quel corpo frantumato, lo fa portare dinanzi a sé, rivolge una preghiera a Colui che ha promesso di nulla negare alla fede; e la vita obbediente alla di lui preghiera, rianima quelle membra sanguinanti, che stavano lì dinanzi.

Un'altra volta Giacomo di Melle era malato tanto gravemente che gli erano stati amministrati tutti i Sacramenti. I frati raccolti intorno al suo letto cercavano colle preghiere di aiutare quell'anima al gran passo, dolenti al sommo di perdere un uomo, pel momento quasi necessario, non trovandosi fra loro altri, che in Roma fosse come lui conosciuto. Domenico, a tanta ambascia de' suoi figliuoli, ordinò che lo lasciassero solo nella camera, e chiusa la porta, si mise a pregare così fervorosamente che valse a trattenere la vita sulle labbra di quel morente.

L'ufficio di procuratore di cui era rivestito Giacomo di Melle, era ordinato a provvedere coll'aiuto della Provvidenza ai bisogni temporali di S. Sisto, privo affatto di rendite, e che si manteneva colle elemosine giornaliere raccolte dai frati di porta in porta. Una mattina Giacomo di Melle fece sapere a Domenico che non vi era pel desinare che due o tre pani. Parve che Domenico godesse di tal notizia; ed ordinò al procuratore che di quel poco di pane ne facesse quaranta pezzetti, quanti erano i religiosi, suonando alla solita ora la mensa. Entrati i frati in refettorio, ciascuno non si trovò davanti che un piccolissimo boccone di pane; pure recitate le preghiere quasi con maggior fervore del solito, si posero a mensa. Domenico, seduto alla tavola priorale, stava col cuore rapito in Dio. Quand'ecco che due giovani vestiti di bianco entrano nel refettorio, ed avanzandosi fino alla tavola dov'era Domenico, depositano i pani che avevano dentro i loro mantelli.

Lo stesso miracolo accadde ancora un'altra volta; e fu accompagnato da tali circostanze, che merita sentirlo raccontare dalla bocca stessa dell'antichità. «Quando i frati abitavano ancora a S. Sisto, ed erano quasi in numero di cento, un giorno il B. Domenico comandò a fra Giovanni di Calabria ed a fra Alberto Romano di andare per la città a raccogliere elemosine. Girarono, ma sempre indarno, dalla mattina fino all'ora di terza. Ripresa perciò la via del convento, erano già presso la Chiesa di S. Anastasia, quando una donna molto affezionata all'Ordine, visto che non riportavano a casa niente, diede loro un pane, dicendo: - Non voglio che ve ne torniate al convento del tutto a mani vuote. - Poco però si erano da lei allontanati, che si avvicinò loro un uomo, chiedendo istantemente un po' di carità. Si scusarono sulle prime di non potergli dar nulla, non avendo niente neppur per loro; ma quegli insisteva sempre più, ed essi rivoltisi l'un l'altro: - A che ci serve, dissero, un pane? diamolo a lui per amor di Dio. E glielo dettero; e subito lo persero di vista. Al rientrare in convento, il pietoso Padre, a cui lo Spirito Santo aveva tutto rivelato, si fece loro incontro con volto tutto lieto e sereno, dicendo: - Figlioli, non avete riportato nulla? - No, padre. - E gli raccontarono ciò che era loro accaduto, e del pane donato al mendico. - Quel povero era un angelo del Signore, riprese il Santo, e il Signore saprà ben e come provvedere ai suoi figliuoli; andiamo a pregare. - Ed andò in chiesa. Uscitone poco dopo, disse ai fratelli conversi di chiamare la comunità a refettorio. Questi risposero: - Ma, padre santo, come volete che chiamiamo i religiosi, se non c'è nulla da mangiare? - Ed indugiavano a bella posta ad eseguir l'ordine ricevuto. Allora il beato padre fece chiamare fra Ruggero, il dispensiere, e gli comandò di riunire i frati pel desinare, ché il Signore avrebbe provveduto ai loro bisogni. Si stesero adunque le tovaglie, si apparecchiò, e, dato il segno, tutta la comunità entrò in refettorio. Il beato padre benedì la mensa, e tutti si sedettero. Fra Enrico Romano, cominciò la lettura. Il beato Domenico intanto, con le mani giunte poggiate sopra la tavola, pregava. Ed ecco comparire nel mezzo del refettorio, com'egli per ispirazione dello Spirito Santo avea promesso, due bellissimi giovani, ministri della divina Provvidenza, i quali portavano pani in due candide tovaglie, che pendevano dalle loro spalle davanti e di dietro. Cominciando dalle file inferiori, uno a destra e l'altro a sinistra, posero davanti ad ogni frate un pane di ammirabile bellezza. Giunti dinanzi al beato Domenico, dopo di aver posto anche davanti a lui un pane intiero, chinarono la

testa e disparvero, senza che nessuno sino a questo giorno abbia saputo donde fossero venuti e dove se ne ritornassero. Il beato Domenico disse allora ai fratelli: - Miei fratelli, mangiate il pane, che il Signore vi ha mandato. - Poi rivolto a quelli che servivano, ordinò loro di portare un po' di vino. Ma essi risposero: - Padre santo, non ce n'è. - Allora il beato Domenico, ripieno dello spirito di profezia, replicò: - Andate alla botte e attingete pei frati il vino che il Signore ha mandato loro. - Andarono e trovarono la botte piena di vino eccellente, che si affrettarono di portare in tavola. Ed il beato Domenico disse: - Bevete, miei fratelli, il vino che il Signore vi ha mandato. - Mangiarono adunque e bevvero a loro piacimento, sia quel giorno, che il seguente ed il terzo ancora. Ma dopo la refezione del terzo giorno Domenico ordinò che il rimanente del pane e del vino fosse distribuito ai poveri, né permise che se ne ritenesse punto in casa. Durante quei tre giorni nessuno andò a cercare l'elemosina, avendo Dio mandato pane e vino in abbondanza. Quindi il beato padre fece un bel discorso ai frati, esortandoli a non diffidar mai della divina Provvidenza, neppure nelle strettezze più estreme. Fra Tancredi, priore del convento, fra Ottone e fra Enrico di Roma, fra Lorenzo d'Inghilterra. fra Gaudione, fra Giovanni Romano, e molti altri si trovarono presenti a questo miracolo, e lo riferirono a Suor Cecilia ed alle altre Suore, che ancora abitavano sempre a S. Maria in Trastevere, e portarono loro anche un po' di quel pane e di quel vino, che esse conservarono per lungo tempo come preziose reliquie.

«Fra Alberto mandato dal beato Domenico con un compagno a cercare l'elemosina, fu uno di quei due, di cui il Santo predisse a Roma la morte. L'altro fu fra Gregorio, uomo di bellissime sembianze e pieno di grazia, il quale per primo, se ne volò al Signore, dopo ricevuti devotamente i santi Sacramenti. Tre giorni dopo anche Alberto, ricevuti con egual pietà i Sacramenti, passò da questo carcere tenebroso, alla splendida magione dei cieli» .

Quest'ingenuo racconto ci fa penetrare nell'intimo della famiglia di S. Sisto, e meglio di ogni altra descrizione ci riporta ai primitivi tempi dell'Ordine. Si vede come senza oro né argento sorgessero popolosi monasteri, come la fede supplisse ai beni di fortuna, e quale squisita semplicità fosse in quegli uomini, sebbene la maggior parte di essi avesser abitato sontuosi palazzi. Il Tancredi, ad esempio, priore di S. Sisto, era cavaliere di nascita, ed avea occupato onorifico ufficio nella corte dell'imperatore Federico II. Si trovava egli a Bologna sul principio dell'anno 1218, quando Domenico, come vedremo a suo luogo, inviò colà alcuni suoi frati; ed un giorno, senza sapere neppur lui il perché, si mise a considerare il pericolo che correva la sua eterna salute. Turbato da questo subito pensiero, rivolse una preghiera alla Santissima Vergine; e la notte seguente apparsagli in sogno la Madonna, gli disse: «Entra nel mio Ordine». Tancredi si svegliò in quel momento, e poi riprese sonno. In questo secondo sonno vide due uomini rivestiti dell'abito dei Frati Predicatori, uno dei quali vecchio, che così gli disse: «Tu domandi alla Santissima Vergine che t'indirizzi nella via della salute; vieni con noi e sarai salvo» . Ma egli, che non conosceva affatto l'abito di quei religiosi, credé tutto un'illusione. Al mattino alzatosi, pregò l'albergatore che lo conducesse ad una chiesa per ascoltare la Messa. L'albergatore lo condusse ad una piccola chiesa detta Santa Maria di Mascarella, da poco tempo affidata ai Frati Predicatori. Appena entrato, Tancredi s'imbatté in due frati, tra cui riconobbe subito quel vecchio apparsogli in sogno. Assestati allora i suoi affari, prese senz'altro l’abito dell'Ordine, ed andò a Roma a raggiunger Domenico.

Fra Enrico, di cui è fatta menzione nel racconto di Suor Cecilia, era un nobile giovane romano. I suoi parenti, indignati di vederlo frate, aveano deliberato di strapparlo via dal convento; ma saputolo Domenico, fece partir subito dal convento, prendendo, per via Nomentana, il giovane con alcuni compagni. I parenti lo inseguirono e lo raggiunsero alle sponde dell'Aniene, quando aveva già passato il fiume. Vedendosi sul punto di cadere nelle loro mani, Enrico alzò il cuore a Dio, invocandone protezione pei meriti del suo servo Domenico; ed ecco che le acque del fiume gonfiarono a vista d'occhio, rendendo così impossibile ai cavalieri di raggiungere l'altra riva. Questi allora si ritirarono, ed Enrico poté tornare tranquillamente a S. Sisto.

Fra Lorenzo d'Inghilterra, testimonio anch'esso del miracolo dei pani, era quel medesimo inviato da Domenico a Parigi al momento della dispersione dei frati nelle varie regioni, ritornato da poco insieme a Giovanni di Navarra. Anche due altri frati, Domenico di Segovia e Michele di Uzero erano tornati dalla Spagna senza aver riportato alcun frutto.

Frattanto Onorio III avea ripreso il progetto del suo predecessore, di riunire cioè in un solo monastero e sotto la medesima regola alcune religiose sparse in diverse case di Roma; e ne fece parola a Domenico, siccome l'uomo più adatto per una impresa così delicata. Domenico ben volentieri accettò la proposta del Pontefice, tanto più che vedeva in ciò un mezzo di riportare S. Sisto alla sua primitiva destinazione, fondandovi un monastero di Religiose Domenicane sul modello di Notre-Dame di Prouille. Solamente domandò al Papa la cooperazione di alcuni Cardinali, i quali supplissero colla loro autorità alla sua pochezza. Ed il Papa ne designò tre: Ugolino, vescovo di Ostia; Stefano di Fossanova, del titolo dei Santi Apostoli; e Niccolò, vescovo Tusculano. In cambio poi di S. Sisto, Onorio donò a Domenico la chiesa di S. Sabina sul monte Aventino, ed una parte del proprio palazzo, che si trovava a fianco della chiesa. Si incominciarono adunque le necessarie modificazioni: a S. Sisto per ricevervi le suore, a S. Sabina per trasferirvi i frati.

Per quanto Domenico fosse preoccupato da questo duplice impegno, pur tuttavia continuava le sue predicazioni. Un giorno che doveva predicare in San Marco, una donna abbandonò tutto, anche il figlioletto malato, per andare ad ascoltarlo. Tornata dopo predica a casa, trovò il bambino morto. La sua speranza non fu allora meno viva del suo dolore; e dato in braccio alla donna di casa il bambino, senza neppur prender tempo per versare una lacrima, vaa San Sisto. Chi dalla via Appia entra nel cortile di S. Sisto, trova a sinistra la chiesa ed il monastero, e dinanzi a sé la porta di una stanza bassa ed isolata, chiamata il Capitolo. Domenico era ritto sulla porta del Capitolo quando la desolata madre entrò nel cortile. Corse essa difilato verso di lui, gli pose ai piedi l'esanime corpicino e con sguardi e con preghiere scongiurò il Santo a ridonargli il figliolo. Domenico si ritirò per un momento dentro il Capitolo, poi ritornò sulla porta, e fatto il segno della croce sul fanciullo si chinò, lo prese per mano, lo alzò e lo rese sano e salvo alla madre, ordinandolo di non dire nulla a nessuno dell'accaduto. Ma che? subito se ne sparse la notizia per tutta Roma; il Papa avrebbe anzi voluto che il miracolo fosse pubblicato dai pulpiti in tutte le chiese, se Domenico non si fosse opposto, fino a minacciare di lasciar Roma per sempre e recarsi fra gl'infedeli. Ciò nonostante la cosa suscitò gran rumore, e la venerazione per Domenico giunse al sommo. Dovunque egli compariva, e nobili e popolani si affollavano intorno a lui siccome ad un angiolo di Dio; e chi poteva giungere a toccarlo si credeva al sommo della felicità. Tagliavano persino i lembi del suo mantello per farne reliquie; tanto che lo ridussero in modo, che gli copriva appena le ginocchia. Qualche volta i frati impedivano che gli tagliuzzassero così le vesti; ed egli allora: «Lasciateli fare; lo fanno per devozione» . Del miracolo or ora riferito furono testimoni fra Tancredi, fra Oddone, fra Enrico, fra Gregorio, fra Alberto e molti altri ancora.

Per quanto però la santità di Domenico fosse manifesta, neppure lui riusciva a vincere tutte le difficoltà, che insorgevano contro la riunione a S. Sisto delle religiose sparse per Roma, non volendo affatto la maggior parte di esse rinunziare alla libertà, fino allora goduta, di potere uscire dal monastero e di visitare i parenti. Ma Dio venne in aiuto al suo servo. Eravi allora in Roma un monastero di donzelle, chiamato, dal luogo dove si trovava, S. Maria in Trastevere. In esso si conservava un'immagine della Santissima Vergine, di quelle che la tradizione attribuisce al pennello di S. Luca: immagine celebre assai e venerata dal popolo, perché, portata in processione per la città dal pontefice S. Gregorio, l'aveva liberata dal flagello della peste, ed ancora perché si riteneva che, trasportata dal papa Sergio III nella basilica di San Giovanni in Laterano, da se stessa fosse tornata alla sua antica dimora. La badessa di detto monastero adunque e tutte le altre monache, una sola eccettuata, si offrirono volontariamente a Domenico, e nelle sue mani fecero professione di ubbidienza ad un'unica condizione, che avessero potuto portare con loro l'immagine della SS. Vergine; che se l'immagine da se medesima avesse poi lasciato S. Sisto per tornare alla sua chiesa primitiva, anche il loro voto di ubbidienza sarebbe stato nullo. Domenico accettò la condizione, e con l'autorità che gli era stata conferita, proibì loro di mai più oltrepassare la soglia del monastero. Queste religiose appartenevano alle prime famiglie della nobiltà romana. Onde saputosi dai parenti che esse si erano obbligate a quella riforma, furono subito a S. Maria per dissuaderle da quanto avevano promesso, tacciando Domenico, acciecati com'erano dalla passione, di uomo sconosciuto ed avventuriero. I loro discorsi intiepidirono l'ardore delle religiose, talchè molte si pentirono del voto emesso. Domenico internamente avvertito di ciò, si recò una mattina a, visitarle, e dopo celebrata la Messa, alla fine di un discorso, soggiunse: «Io so, mie figliole, che voi provate rammarico della vostra risoluzione, e che volete camminare fuori della via tracciatavi dal Signore. Solo quelle allora che sono ancora fedeli, facciano di nuovo la professione nelle mie mani» . Tutte, la badessa a capo, rinnovarono insieme l'atto che le spogliava della loro libertà. Domenico prese allora le chiavi del monastero, e vi pose a guardia alcuni fratelli conversi, i quali giorno e notte invigilassero, con proibizione alle Suore di parlare a chicchessia senza testimoni.

Giunte le cose a questo punto, i cardinali Ugolino, Stefano di Fossanova. e Niccolò, si riunirono a San Sisto il giorno delle Ceneri dell'anno 1228, cioè il 28 febbraio, cadendo in quell'anno la Pasqua ai 15 di aprile. Anche la badessa di S. Maria in Trastevere vi si era recata con le sue monache per dimettersi solennemente dal suo ufficio, e cedere a Domenico ed ai frati tutti i diritti del monastero. «Mentre adunque il beato Domenico stava seduto coi cardinali, presenti la badessa e le sue figlie, ecco che entra un uomo, strappandosi i capelli e gridando disperatamente. - Che c'è, che c'è? gli fu domandato. - Il nipote di Monsignore Stefano, rispose, è caduto da cavallo, ed è morto! - Il giovane si chiamava Napoleone. A tal notizia lo zio, venuto meno, si abbandonò sul petto del beato Domenico. Ne tu tosto sollevato; ed il beato Domenico, alzatosi, lo spruzzò di acqua benedetta: lasciatolo quindi fra le braccia degli altri, egli corse sul luogo dove giaceva il corpo del giovane, tutto calpestato e orribilmente malconcio. Ordinò il Santo che fosse trasportato subito in una camera Separata; intanto fra Tancredi e gli altri frati preparassero per la Messa. Il beato Domenico, i cardinali, i frati, la badessa, le monache si portarono allora al luogo dov'era l'altare, ed il beato Domenico celebrò la Messa, commosso fino alle lacrime. Giunto all'elevazione del corpo del Signore, tenendolo, come suol farsi, in alto, egli medesimo apparve alzato da terra di un cubito, e tutti, lo videro e ne rimasero dallo stupore. Terminata la Messa, i cardinali, la badessa, le monache, tutti insomma i presenti, ritornarono dov'era il corpo del morto, e Domenico, accostatosi al cadavere, colle sue santissimo mani ne ricompose le membra, poi si prostrò a terra pregando fervidamente e piangendo. Per tre volte mise le sue mani su quel corpo esanime, e per tre volte si prostrò. Alzatosi la terza volta, fece il segno della croce sul defunto, e stando ritto dalla parte dove questi aveva la testa, con le mani levate al cielo e col corpo alzato da terra più d'un cubito, gridò al alta voce: - O giovane Napoleone, io ti dico nel Nome di Nostro Signor Gesù Cristo: alzati. - E d'un tratto, alla vista di tutti gli accorsi alla notizia di così grave disgrazia, il giovane si alzò sano e salvo, dicendo al beato Domenico: Padre, datemi da mangiare. - Il beato Domenico gli dié da mangiare e da bere, e lo rese festante allo zio cardinale, senza che rimanesse traccia di alcuna ferita» .

Quattro giorni dopo, cioè la prima domenica di quaresima, le monache di S. Maria in Trastevere, quelle di S. Bibiana e di altri monasteri, con alcune altre donne secolari, in tutte quarantaquattro, entrarono in S. Sisto. Fra esse c'era anche Suor Cecilia, di anni diciassette, monaca di S. Maria in Trastevere; quella Suor Cecilia, alla quale siam debitori di averci fatto conoscere i principali tratti della vita del santo Patriarca nel tempo di cui ora parliamo. Ce li ha conservati in una memoria fatta scrivere sotto sua dettatura, vero capolavoro di narrazione per semplicità e verità .

La notte del giorno stesso in cui le monache fecero l’ingresso in S. Sisto, vi fu trasferita anche l'immagine di S. Maria in Trastevere. Si preferì la notte, perché i romani si opponevano a questa traslazione. Domenico, accompagnato dai cardinali Stefano e Niccolò, e da molta altra gente che lo precedeva e seguiva con in mano fiaccole accese, portava l'immagine sulle proprie spalle. Erano tutti scalzi. Le monache, anch'esse a piedi nudi, aspettarono in orazione l'immagine a S. Sisto, dove felicemente fu collocata.

Tutti questi fatti, compreso il viaggio dalla Francia a Roma, avvennero nello spazio di soli cinque o sei mesi, cioè dall'11 settembre 1217 al principio del marzo dell'anno seguente. E nonostante tali e tante occupazioni, Domenico trovava ancor tempo per altre particolari opere di carità.

Recavasi spesso a visitare le murate, donne che volontariamente si chiudevano fra anguste mura per non uscirne mai più. Ve n'erano in diverse parti della città, nelle deserte pendici del monte Palatino, nel fondo delle vecchie torri da guerra, fra gli archi degli acquedotti, sentinelle dell'eternità, collocate fra le rovine. Domenico sul tramontar del giorno le visitava, pensava sempre a mettere in serbo un po' di forza per recarsi fino a loro; e dopo aver predicato in mezzo alla folla, andava a predicare nella solitudine. Una di queste murate, di nome Lucia, che abitava dietro la chiesa di S. Anastasia, sulla via di S. Sisto, aveva un braccio corroso fino all'osso da un male crudele. Domenico la sanò una sera con una semplice benedizione. Un'altra, il cui petto era pasto ai vermi, stava chiusa in una torre, vicino alla porta di S. Giovanni in Laterano. Domenico l'andava a confessare, e di tanto in tanto le portava la Santa Comunione. Una volta la richiese di fargli vedere uno di quei vermi che la tormentavano, e che lei con grande amore custodiva nel seno, quasi ospiti inviati dalla Provvidenza. Bona, così chiamavasi, accondiscese al desiderio di Domenico. Ma nella mano del Taumaturgo il verme si cangiò in una pietra preziosa, ed il petto di Bona tornò mondo, siccome quello di un fanciullo.

Domenico era allora nella pienezza della maturità. Il suo corpo, la sua anima avevano raggiunto quello stadio della vita, in cui la vecchiezza non è ancora che perfezione e grazia del vigore. Giusto di statura e magro nella persona, aveva un bel viso leggermente colorito di sangue, begli occhi, e capelli e barba di un biondo piuttosto acceso. Sulla fronte e fra le sopracciglia appariva come un chiaro splendore, che gli attirava rispetto ed ammirazione. Era sempre lieto e piacevole, quando le afflizioni del prossimo non lo muovevano a compassione. «Le mani aveva lunghe e belle; la voce maestosa e sonora; mai fu calvo, e la religiosa corona dei suoi capelli restò sempre intiera, seminata solo da qualche capello bianco» .

Così ce lo dipinge Suor Cecilia, che lo conobbe nei più bei tempi di S. Sisto e di S. Sabina.

 

 

INDICE

INTRODUZIONE

 

Capitolo I. Genesi di S. Domenico

Capitolo II Arrivo di S. Domenico in Francia

Suo primo viaggio a Roma

Colloquio a Montpellier .

Capitolo III Apostolato di S. Domenico dall' abboccamento di Moutpellier fino al principio della guerra Albigese

Fondazione del monastero di Notre-Dame di Prouille

Capitolo IV Guerra degli AlbIgesi

Capitolo V Apostolato di S. Domenico dal principio della guerra Albigese fino al quarto

Concilio Lateranense

Istituzione del SS. Rosario

S. Domenico ed i suoi primi discepoli a Tolosa

Capitolo VI Secondo viaggio di S. Domenico a Roma

Approvazione provvisoria dell'Ordine dei Frati Predicatori fatta da Innocenzo III

Incontro di S. Domenico con S. Francesco d'Assisi

Capitolo VII Riunione di S. Domenico e del suoi compagni a Notre-Dame di Prouille

Regola e Costituzioni dei Frati Predicatori

Fondazione del convento di S. Romano a Tolosa

Capitolo VIII Terzo viaggio di S. Domenico a Roma

Conferma dell'Ordine dei Frati Predicatori

Predicazione di S. Domenico nel palazzo del Papa

Capitolo IX Nuova riunione dei Frati Predicatori a Notre-Dame di Prouille, e loro diffusione in Europa

Capitolo X Quarto viaggio di S. Domenico a Roma

Fondazione dei conventi di S. Sisto e di S. Sabina

Miracoli che accompagnarono queste due fondazioni

Capitolo XI Soggiorno dì S. Domenico a S. Sabina

S. Giacinto ed il B. Ceslao entrano nell'Ordine

Miracolosa unzione fatta dalla Vergine Santissima sul B. Reginaldo

Capitolo XII Fondazione dei conventi di S. Giacomo a Parigi, e di S. Niccolò di Bologna

Capitolo XIII Viaggio di S. Domenico in Spagna ed in Francia

Sue veglie nella grotta di Segovia

Modo di viaggiare e sistema di vita del Santo

Capitolo XIV Quinto viaggio di S. Domenico a Roma

Morte del B. Reginaldo

Il B. Giordano di Sassonia entra nell'Ordine

Capitolo XV Primo Capitolo Generale dell'Ordine

Dimora di S. Domenico in Lombardia

Istituzione del Terz'Ordine

Capitolo XVI Sesto ed ultimo viaggio di S. Domenico a Roma

Secondo Capitolo Generale Malattia e morte del Santo Patriarca

Capitolo XVII Traslazione del corpo di S. Domenico

Canonizzazione del Santo

 

 

APPENDICE

L'ORDINE DI S. DOMENICO

Capitolo I Della legittimità degli Ordini religiosi dinanzi suo Stato

Capitolo II Idea generale dell'Ordine dei Frati Predicatori

Motivi per ristabilirlo in Francia

Capitolo III Azione dei Frati Predicatori come Apostoli

Loro Missioni nell' antico e nel nuovo mondo

Capitolo IV Azione dei Frati Predicatori come dottori

S. Tommaso d'Aquino

Capitolo V Artisti, Vescovi, Cardinali, Papi, Santi e Sante, dati alla Chiesa dall’Ordine dei Frati Predicatori

Capitolo VI L'Inquisizione

Capitolo VII Conclusione

 

 

 

 

2001

Novembre

Ottobre

Settembre

Giugno

Maggio

Aprile

Marzo

Febbraio

Gennaio

2000

Dicembre

Novembre

Ottobre

Settembre

    Politica Cultura Scienze  Società  Religione Psiche  Filosofia  Ambiente Arte  Cinema Sport Napoli Università Home