VITA DI SAN DOMENICO
P. Enrico D. Lacordaire dei Predicatori
INTRODUZIONE
Il secolo duodecimo dell’era cristiana era
cominciato sotto i più felici auspici. Comunanza di fede e di
sentimenti governava allora l’Occidente, formando di vari popoli
ossequienti e liberi come una sola famiglia. A capo dell’ordine
sociale stava il Sommo Pontefice, il quale con maestà e giustizia
insieme, ora soccorreva dal trono all’infermità della natura, che mal
sapeva comandare, ora alla debolezza della medesima, che per
gl’insopportabili abusi della forza, mal sapeva ubbidire. Vicario di
Dio e dell’umanità, con la destra distesa sul Cristo e la sinistra
sull’Europa, il pontefice romano guidava per diritte vie l’umana
generazione, prevenendo in se medesimo l’abuso de' suoi pieni poteri
col sentimento della personale debolezza. La fede, la ragione, la
giustizia mai si erano incontrate in sì alto grado; né mai il
ristabilimento dell’unità nelle viscere lacerate del genere era
sembrato più probabile e più vicino.
A Gerusalemme, sulla tomba del Salvatore sventolava
già il vessillo cristiano, invitante la Chiesa greca ad una gloriosa
riconciliazione colla Chiesa latina. L'Islam vinto nella Spagna e
cacciato dalle coste italiane, si trovava assalito nel cuore stesso
della sua potenza; e venti popoli, marciando insieme alle frontiere
dell'umanità rigenerata per difendere il Vangelo di Gesù Cristo contro
l'orgoglio dell'ignoranza e la brutalità della forza., promettevano
all'Europa la fine di quelle sanguinose migrazioni di cui 1'Asia era il
focolare. Chi avrebbe potuto predire allora l'ultimo termine delle vie
trionfali aperte nell’Oriente dalla cristiana cavalleria? Chi
prevedere ciò che sarebbe addivenuto il mondo sotto l'indirizzo di un
pontificato che al di dentro avea saputo creare una così grande unità,
e al di fuori dar vita ad un movimento così straordinario?
Il secolo duodecimo però non finì come avea
cominciato; e quando giunto a sera piegò al tramonto per riposarsi
nell'eternità, anche la Chiesa parve declinare con lui, china la fronte
sotto un pesante avvenire. Non più la croce di Cristo sui minareti di
Gerusalemme. Ai nostri cavalieri vinti da Saladino, era rimasto appena,
qualche palmo di terra nella Siria; e la Chiesa greca, anziché
ravvicinata a quella romana, per l'ingratitudine e la perfidia de' suoi
verso i crociati, sempre più ostinavasi nello scisma. L’Oriente era
perduto! La storia ha chiarito dipoi le conseguenze di un tale disastro.
Costantinopoli vinta; una parte delle terre europee in mano ai Turchi
ottomani; milioni di cristiani sotto la dura servitù della loro
potenza, ed il resto della cristianità minacciata fino ai tempi di
Luigi XIV dalla scimitarra di Maometto; e poi tre secoli di scorrerie
tartariche nel cuore stesso dell'Europa; lo scisma greco abbracciato
anche dalla Russia, pronta a precipitarsi sull'Occidente per
distruggervi ogni legge ed ogni libertà; l'Europa
insomma addivenuta talmente sconvolta per
l'indebolimento delle razze mussulmane, come prima lo era stata per la
loro potenza; e l'Asia così difficile ad essere spartita come prima a
conquistarsi. Fu detto dal Montaigne esservi disfatte tali da fare
invidia, alle vittorie; e noi possiamo affermare con verità, che
l'esito infelice del piano di Gregorio VII e de' suoi successori
rispetto all'Oriente, abbia rivelato meglio il loro genio, che non
l'avrebbero fatto i più gloriosi successi.
Né le interne condizioni della Chiesa offrivano meno
triste spettacolo. Tutti gli sforzi di S. Bernardo per stabilire una
sana disciplina contro il licenzioso trascorrere del fasto,
dell'avarizia e della simonia del clero, erano, riusciti quasi inutili:
e sorgente di questi mali, a sì vivi colori descritti da S. Bernardo
medesimo, erano appunto le ricchezze della Chiesa, divenute oggetto di
cupidigia universale. Alle violenti investiture dell'anello e del
pastorale era sottentrata una subdola usurpazione, una simonia codarda e
servile. "O vana gloria! esclama Pietro di Blois, o cieca
ambizione! o fame, insaziabile delle dignità e degli onori mondani,
vermi corruttori dei cuori e naufragio delle anime! E donde mai ne venne
tal peste? Come s'è fatta ardita sì esecrabile presunzione che spinge
indegni alla ricerca delle dignità, tanto più accaniti a volerle,
quanto meno meritevoli? Noncuranti dell'anima loro, né del loro corpo,
da ogni parte si precipitano, i miseri, sulla cattedra pastorale
addivenuta per loro cattedra di morte, e per tutti causa di
perdizione". E già trent'anni prima, S. Bernardo aveva scritto con
amara ironia: «Fanciulli di scuola, giovanetti imberbi sono promossi
alle ecclesiastiche dignità solo per la nobiltà dei natali,
passando dalla sferza del pedagogo al governo del
clero; più lieti talvolta di essersi sottratti alle sferzate, che di
rivestire una pubblica autorità; più soddisfatti di non esser soggetti
al comando, che premurosi di esercitarlo».
Tale è la sventura della Chiesa! Voi la vedete
convertire a prezzo di sangue infedeli nazioni a Gesù Cristo; la vedete
incivilire i costumi dei barbari e coltivarne le intelligenze, dissodare
le loro selve, riempire le loro città e le campagne di conventi e di
santuari. E poi quando venti generazioni di santi hanno attirato su quei
religiosi asili le benedizioni del cielo e della terra, allora in luogo
del ricco che, mosso da Dio, colà si ritirava per piangere le sue
colpe, in luogo del povero che, rassegnato nella Provvidenza vi piegava
a terra le forti ginocchia, anelando di farsi ancora più povero, invece
di santi, eredi di santi, ecco che vi trovate il povero che vuol esser
ricco, il ricco che vuol divenire potente, anime mediocri, che ignorano
perfino l'oggetto stesso de' loro desideri. Ben presto l'intrigo farà
capitare il pastorale del vescovo o dell'abate in mani che una pura
intenzione non ha benedette; ben presto il mondo gioirà al vedere i
suoi favoriti governare la Chiesa di Dio, e cangiare il giogo amabile di
Gesù Cristo in secolaresco impero. Risuoneranno i chiostri all'abbaiare
di cani da caccia ed al nitrire di superbi cavalli. E chi discernerà più
le vocazioni vere dalle false? Chi possederà tale scienza, o avrà pur
tempo a pensarvi? Non curasi non di sapere come le anime siano state
rigenerate a Gesù Cristo; basta solamente conoscere il loro nascimento
secondo la carne. La preghiera, l'umiltà, la penitenza, il sacrificio
se ne vanno come timidi uccelli fugati dai loro nidi, e le tombe dei
santi nella stessa loro casa rimangono come cose di estranei.
Tale lo stato miserabile a cui sacrilega ambizione ed
empia cupidigia aveano ridotto non pochi dei chiostri e delle chiese
d'Occidente sul finire, del dodicesimo secolo; e se in vari luoghi il
male non era così profondo, pure tuttavia era considerevole. La Santa
Sede, per quanto tribolata anch'essa dagli scismi promossi e sostenuti
contro di lei dall'imperatore Federico I, non era rimasta inoperosa
nell'apprestar rimedi a sì gravi disordini. In cinquantasei anni avea
celebrato tre Concili ecumenici; però sempre senza conseguire, o solo
in parte, quelle riforme, che pure erano meritevoli di ottenere gli
illustri pontefici sorti quasi ininterrottamente dalle ceneri di
Gregorio VII.
Un dì, verso il 1160, un ricco signore di Lione,
chiamato Pietro Valdo, vedendo un suo concittadino colpito da un fulmine
cadere morto a' suoi piedi, tanto ne, restò conquiso, che distribuito
ai poveri tutto il suo avere, si consacrò interamente al servizio di
Dio. E siccome la riforma della Chiesa era ciò che allora preoccupava
maggiormente gli spiriti, Valdo dalla stessa abnegazione di sé, fu
portato a credere di essere a ciò chiamato; onde raccolti un certo
numero di uomini, tutti li fé persuasi di abbracciare con lui una vita
apostolica. Quanto poco differiscono alle volte gli ideali che fanno i
grandi uomini da quelli che li rendono pubblici perturbatori! Se più
genio e virtù più soda fossero stati in Pietro Valdo, anch'egli
sarebbe potuto riuscire un S. Domenico o un S. Francesco d'Assisi;
mentre fu vittima di una tentazione, fatale in tutti i tempi ad uomini
di qualche talento. Salvar la chiesa con la chiesa gli parve cosa
impossibile. Dichiarò quindi che la verace sposa di Gesù Cristo era
venuta meno sotto Costantino per quel veleno dei temporali possedimenti;
che la chiesa romana era la famosa prostituta descritta nell'Apocalisse,
madre e maestra di tutti gli errori; che Scribi erano i prelati e
Farisei i religiosi; che il pontefice romano e tutti i vescovi erano
omicidi; che il clero non aveva diritto né a decime né a terre; esser
peccato dotar chiese e conventi; dover tutti i chierici, ad esempio
degli apostoli, guadagnarsi la vita col lavoro delle proprie mani;
finalmente lui, Pietro Valdo, esser venuto a ristabilire sulle sue
fondamenta la società vera dei figlioli di Dio. Tralascio gli errori
secondari che dovettero necessariamente pullulare da questi primi. Tutta
la forza dei Valdesi era nell'attacco diretto contro la gerarchia
ecclesiastica, e nel contrasto, vero o apparente, dei lori costumi coi
costumi sregolati del clero d'allora. Arnaldo da Brescia, morto a Roma
sopra un rogo, ne era stato il precursore: uomo la cui figura risalta
nella storia assai più, che quella di Pietro Valdo. Ma Pietro Valdo
ebbe il vantaggio di venir dopo di lui, quando lo scandalo era maturo;
ond'è che egli ebbe un successo formidabile. Valdo fu il vero patriarca
delle eresie occidentali, improntate da lui d'uno dei grandi caratteri
che le differenziano, dalle greche eresie, di un carattere, cioè più
pratico che speculativo.
Favorita dalle medesime circostanze che davano animo
ai Valdesi, un'altra, eresia d'origine orientale, insinuatasi prima in
Germania ed in Italia, era giunta per ultimo a porre la sua principale
stanza, nel mezzogiorno della Francia. Combattuta sempre e sempre
rigogliosa, quest'eresia rimontava fin verso la fine del terzo secolo,
quando pullulò sulle frontiere della Persia e dell'Impero Romano dalla
fusione delle idee cristiane con la vecchia dottrina dei Persiani, che
attribuiva i misteri di questo mondo alla lotta di due principi coeterni,
l'uno buono, cattivo l'altro. Comunissime erano a quei tempi queste
miscele di principi appartenenti a religioni e filosofie diverse, e ciò
per quella tendenza degli spiriti deboli di volere unire insieme cose
tra loro del tutto incompatibili. Un persiano, per nome Manete, diede la
sua ultima forma al mostruoso miscuglio di cui ora parliamo; ma fu men
fortunato degli altri eresiarchi, perocchè la sua setta non ebbe mai né
templi, né sacerdozio, né popolo tali da poter costituirsi in società.
Le leggi degli imperatori, convalidate dalla pubblica opinione, la
combatterono a morte, quantunque ciò non giovasse che a prolungarle la
vita. La condizione di società pubblica è una prova a cui l'errore non
può mai reggere se non per breve tempo, tanto più breve quanto
l'errore ha meno omogenee fondamenta e conseguenze più immorali. I
Manichei adunque impediti di mostrarsi all'aperto, si relegarono nelle
tenebre, stringendosi in società segreta: unica via concessa all'errore
di perpetuarsi a lungo. Per tali misteriose associazioni infatti è più
facile sfuggire la legge, che sottrarsi alla pubblica condanna. Niente
impedisce che uomini imbevuti di uomini i più perversi e di pratiche le
più ridicole, valgano a reclutare fra le ombre spiriti malvagi e ad
attirare gente amante di avventure all'incantesimo delle loro pratiche;
ad imporre loro la credenza a dottrine non soggette a sindacato; a
colpirli con uno scopo grande e remoto, al quale si creda che cento
generazioni abbiano professato culto profondo; a legare finalmente i
loro animi per mezzo delle più basse inclinazioni del cuore,
consacrandone le passioni sopra altari sconosciuti al resto dell'umanità.
Nel mondo perdurano tuttavia tali società segrete, che forse, non
contano neppur tre soli iniziati, ma che nonostante per invisibile
successione risalgono fino all'antro di Trofonio od al sotterranei dei
templi egiziaci. Cotali uomini, inorgogliti oltre ogni dire di un sì
raro deposito, attraversano imperturbabili, i secoli con un profondo
disprezzo di ciò che accade intorno a loro, giudicando tutto alla
stregua della privilegiata dottrina che hanno avuto in sorte e di
nient'altro più desiosi che di plasmare a lor modo qualche Anima, ché
sia l'erede della loro occulta felicità. Sono i Giudei dell'errore! E
tale fu la vita de' Manichei, che appariscono qua e là nella storia, a
somiglianza di quei mostri che seguono incognite vie nel fondo
dell'oceano, e che tratto tratto levano la testa secolare al disopra
delle acque. Il singolare dell'apparizione de Manichei nel secolo
duodecimo fu, che per la prima volta riuscì loro di costituirsi sotto
forma di pubblica società. Strano spettacolo invero! Settari che il
Basso Impero avea costantemente repressi, si stabiliscono apertamente in
Francia, e sotto gli occhi di quegli stessi pontefici che avevano potere
di costringere l'imperatore medesimo a rispettare le leggi divine e la
volontà delle nazioni cristiane! Nessun altro fatto rivela maggiormente
la cupa reazione e agitava allora l'Europa. In Francia era alla testa
dei Manichei, volgarmente chiamati Albigesi, Raimondo VI, conte di
Tolosa, pronipote di quel Raimondo, conte di S. Gilles, il cui nome vien
celebrato con quello dei più illustri fra i cavalieri della prima
crociata: coi nomi di Goffredo di Buglione, di Balduino, di Roberto, di
Ugo, di Boemondo. Lasciatosi accalappiare dai misteri propri de'
Manichei e dalla maschera valdese presa da essi per meglio, formarsi al
modo di pensare dei popoli occidentali, Raimondo rinunziò all'eredità
della gloria e delle virtù trasmessegli dai suoi maggiori per farsi
capo della più detestabile eresia che mai sia nata in Oriente.
Né questo è tutto. L'insegnamento delle scuole
cattoliche, ristabilito dopo lunga interruzione, veniva sviluppandosi
sotto l'influenza della filosofia di Aristotele; e la tendenza di questo
movimento sembrava appunto quella di voler far prevalere la ragione alla
fede nella esposizione dei dommi cristiani. Abelardo, più celebre per
le sue colpe che pe' suoi errori, era stato una delle vittime di questo
nuovo metodo applicato alla teologia. S. Bernardo difatti lo accusa di
trasformare la fede, che alla parola di Dio si appoggia, in una pura
opinione fondata su principi e conclusioni d'ordine esclusivamente
umano. E quantunque il Santo conseguisse una facile vittoria, onorata
dalla verace sottomissione del suo avversario e da un raro esempio di
riconciliazione, ciò nondimeno il male continuava il suo corso: chè in
ogni tempo è difficile resistere a certi impulsi, la cui forza viene da
lontano e dall'alto. L'epoca greca era rimasta impressa nella memoria
delle persone colte siccome il più alto grado cui fosse giammai asceso
il genio umano; né il cristianesimo aveva avuto ancora agio di creare
una letteratura paragonabile all'ellenica, di farsi una scienza ed una
filosofia sua propria. Certamente negli scritti dei Padri il seme ne era
stato gettato; tornava però più comodo accettare un sistema di
discipline filosofiche e scientifiche già bello e fatto. Fu dunque
prescelto Aristotele quale rappresentante della sapienza.
Sventuratamente però Aristotile e l'Evangelo non erano sempre concordi;
ond'è che procedettero tre sétte, una che sacrificava la filosofia a
Gesù Cristo, conforme a quelle parole: Voi non avete che un solo
maestro, che è Cristo (Mt 23,10); un'altra che sacrificava Gesù Cristo
alla filosofia, dovendo la ragione, primo lume intellettuale dell'uomo,
riportare ogni cosa il primato; - una terza finalmente che metteva due
ordini di verità, l'uno secondo la ragione, l’altro secondo la fede,
ed il vero nell'uno, potere nell'altro esser falso.
Insomma l'eresia e lo scisma, avvalorati dal
deplorevole stato della disciplina ecclesiastica e dalla rinascenza
delle scienze pagane, scuotevano nell'Occidente l'edificio cristiano;
mentre l'infelice successo delle crociate ne compiva la rovina
nell'Oriente, e schiudeva ai barbari le porte della Cristianità. I
papi, è vero, opposero sommo coraggio contro i pericoli ognor crescenti
di così triste situazione, rintuzzando la prepotenza di Federico I,
invitando i popoli a nuove crociate, celebrando Concili contro l'errore
e la corruzione, invigilando nelle scuole sulla integrità della
dottrina, riallacciando colle provvide loro mani relazioni più
amichevoli tra la fede e il comun modo di sentire in Europa; finché dal
sangue così commosso del vecchio tronco pontificio ne nacque un
Innocenzo III. Ma chi avrebbe potuto sostenere da solo tutto il peso
delle cose divine ed umane? Anche gli uomini più grandi hanno bisogno
del concorso di molte forze, e quelle che la Provvidenza aveva accordate
pel passato, sembravano scarse ai bisogni del presente e dell'avvenire.
L'opera di Clodoveo, di San Benedetto, di Carlo Magno e di Gregorio VII,
in piedi
ancora e forte del genio di chi l'aveva stabilita,
pure invocava in suo aiuto una nuova effusione di questo Spirito, che
solo genera l'immortalità. Sono questi i momenti supremi in cui si ha
da por mente ai consigli di Dio. Trecento anni più tardi abbandonerà
nuovamente Iddio mezza Europa in preda all’errore, affinché l'errore
stesso conduca a trionfi di cui già comincia a intravedersi il segreto:
ma allora gli piacque di soccorrere la Chiesa per la diretta via della
misericordia. Rivolse Gesù lo sguardo alle sue mani ed ai suoi piedi
per noi trafitti; e da quello sguardo amoroso ne sorsero due uomini, San
Domenico e S. Francesco d'Assisi, la storia de` quali, tanto simili fra
loro e pur tanto diversi, dovrebbe andar sempre insieme. Pur troppo però
ciò che Dio creò in un sol tratto, una sola penna non vale a
descriverlo. Onde sarà sempre molto per noi, se riusciremo a dare
qualche cenno della vita del Patriarca S. Domenico a coloro che non ne
sanno affatto la storia.