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GIUSEPPE BARZAGHI

L'ESSERE LA RAGIONE LA PERSUASIONE

edizioni studio domenicano

TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI

© 1994 - PDUL Edizioni Studio Domenicano Via dell'Osservanza 72 - 40136 Bologna - ITALIA - Tei. 051/582034

Finito di stampare nel mese di settembre 1994 presso le Grafiche Dehoniane - Bologna

PREFAZIONE

Gratia pulchrificat sicut lux si adest exsto si ahest morior

II presente volume si propone come una raccolta di saggi su alcuni temi centrali del pensiero tomistico.

L'intento è quello di offrire, per alcuni versi, una introduzione tematica al realismo filosofico-teologico. Nello stesso tempo, però, si vuole sviluppare un contributo applicativo del metodo realistico, per presentarne in actu etterato la fisionomia.

Gli argomenti che vengono presi in esame coprono così diversi quadri teoretici: l'epistemologia filosofico-teologica, alcune problematiche metafisiche fondamentali e il settore più tipicamente antropologico della cultura. L'idea madre che mi ha spinto alla pubblicazione di questa raccolta è, perciò, principalmente di carattere didattico. Ma si tratta di quella didattica che vuole allearsi con quelle istanze di «seconda evangelizzazione» che vedono nella obiettiva competenza della ragione metafisica l'insostituibile guida per una competente incultura-zione della fede.

Proprio per il carattere didattico, a volte ci si potrà imbattere in ripetizioni di medesime formulazioni di pensiero trattando, con diversità prospettiche, uno stesso argomento. Questo è dovuto, per un verso, all'esigenza di rigore nel campo teoretico, d'altra parte all'efficacia didattica della ripetizione: repetita mvant.

Giuseppe Barzaghi

Parte Prima

Ragione e teoresi

SENSO E VALORE DELLA RATIO TOMISTICA^

II termine ratio nel vocabolario filosofico di S. Tommaso copre un'area semantica assai ampia e solo contestualmente delimitabile. Tuttavia il suo significato primario è quello di facoltà conoscitiva specificamente umana e, come tale, si articola a sua volta in una complessa gamma di sfaccettature e proprietà, conseguenti alla posizione metafisicamente intermedia della creatura umana.

L'uomo infatti è in certo modo confine tra la natura spirituale e quella corporea.'

1. L'etimo

Etimologicamente il termine ratio è una forma verbale da reor, che significa stimo, credo, penso; ma anche calcolo, almeno al partici-pio ratus. Esso ha come corrispondente nella lingua greca il sostantivo logos, da légein (=dire, raccogliere, scegliere in senso critico; contare, calcolare, spiegare).

2. L'uso in S. Tommaso

Usualmente S. Tommaso riconosce a questo termine ben quattro gruppi di significati fondamentali.2

*) In «Divus Thomas» 1 (1992).

*) Cfr. 3 Sent., Prol. ; C. G., 1., 68; IV, 58, ad3;De causis, 11. 2 e 9; S. Th., I, 77, 2c.

2) Cfr. De div. nom., 7, 1.5.

parte prima

1. Ratio può significare la facoltà conoscitiva (virtus cognoscitiva).

In senso stretto, cioè intesa come mente o intelligenza, essa può avere due livelli di applicazione. Se indica semplicemente un conoscere non legato alla materialità, essa conviene comunemente a Dio, all'angelo e all'uomo. Se invece implica una certa discorsività, essa conviene in senso proprio soltanto all'uomo.3

In senso lato, esistono ancora due livelli di applicazione. Per semplice opposizione alla sensorialità, ratto indica la parte intellettiva dell'uomo, comprensiva sia della conoscenza che dell'affettività-volontà.4

Per opposizione all'appetitività, essa indica invece ogni facoltà conoscitiva, compreso il senso.5

2. Ratio può significare anche il perché, il motivo o la causa.

In riferimento alla conoscenza, la ragione-perche può essere intesa in due modi.

Può essere intesa come principio, e in questo senso si dice che Un contrario è principio della conoscenza (ratio cognoscendi) dell'altro.6

Può essere intesa anche come argomentazione, prova o dimostrazione, e così vanno intesi i concetti complessi quali: ragione argomentativa o dimostrativa,7 ragione comune e ragione propria,8 ragione logica e ragione analitica,9 ragione probabile e ragione necessaria,10 ragione filosofica, sofìstica ecc.11 Anche espressioni come: «addurre una ragione; desumere una ragione; la ragione procede da ,..», appartengono a quest'area di significato.12

3) Cfr. S. Th., I, 29, 3,.ad4; 1 Sent., 25, 1, 1, ad4.

4) Cfr. 2 Sent., 33, 2, 1, 1; 3, ad3; 41, 2, 2, adi. '') Cfr. S. Th., I, 5, 4, adi; C. G., II, 69.

6) Cfr. S. Th., I-II, 35, 5, ad2.

7) Cfr. De Fot., 2, 4, ad6.

8) Cfr. 8 Physic., 1.19.

9) Questa opposizione comprende la precedente. La ragione o prova logica, infatti, si oppone alla prova dimostrativa o analitica in quanto procede da princìpi comuni e probabili e non da princìpi propri. Per es., se si argomenta la superiorità della dimostrazione universale rispetto alla particolare, per il fatto che ciò che è universale è più conoscibile, si da una ragione logica, basata su un medio dimostrativo comune a tutta la conoscenza e non proprio della conoscenza dimostrativa. Se invece si adduce come motivo il fatto che ciò che è universale, portando immanente in sé la propria passio (proprietà), ne è la causa, allora si da una ragione analitica o dimostrativa, perché riguarda propriamente la struttura tipica del sapere dimostrativo. Cfr. 1 Post., 1.38.

'°) Cfr. S. Th., I, 12, 7; In B. de Tnn., Pro., 2, 1, ad5. Anche questa opposizione si pone nella linea delle due precedenti.

") E l'opposizione tra un'argomentazione realmente probativa e una solo apparentemente tale. Cfr. 4 Met., 1.4; C. G., I, 4 e 7; 1 Cael., 1.15.

") Cfr. S. Th., I, 10, 4, adi; 30, 2, ad4; 39, 5, ad4; 82, 3, ad3.

10

Senso e valore della ratio tomistica

In riferimento alla volontà, si dice che il fine è la ragione-mótivo della scelta dei mezzi.13 '

In riferimento alla natura, ratio indica la causa, sia di ordine corporeo che di ordine ideale. Nell'ordine corporeo, sono ragioni i princìpi attivi e passivi che presiedono alla generazione dei viventi; princìpi denominati appunto rationes seminales. Nell'ordine ideale, sono le ragioni ideali presenti nel Verbo divino, che stanno all'origine delle ragioni seminali contenute nelle realtà corporee viventi.14

3. Ratio vuoi dire pure calcolo (supputatio),15' come anche proporzione in ambito matematico-geometrico.16

4. Infine, ratio significa il contenuto concettuale di un'essenza astratta dai singolari, r • •

Dal punto di vista speculativo, la semantizzazione del termine avviene sulla base di un duplice riferimento.

Se si usa il termine ratio in riferimento all'oggetto, allora esso indica la definizione cioè il discorso che esprime l'essenza di una cosa;17 oppure il semplice significato concettuale indicato dal nome, per quelle realtà che non sono strettamente definibili in quanto generi (es. sostanza) o metageneriche (es. Dio); oppure il senso di una parola (ratto nominis), in quanto segue il nostro modo di concettualizzare, che va dall'effetto alla causa o dal complesso al semplice. Così i nomi concreti (es. uomo) indicano il soggetto sussistente; i noriii astratti, invece, indicano il principio formale (es. umanità).18

Se si usa il termine ratto in riferimento al soggetto conoscente, esso indica il punto di vista, {'aspetto, la formalità sotto la quale viene considerato l'oggetto della conoscenza. In questo senso S. Tommaso parla di ragione formale dell'oggetto (ratio formalis obiectt) e di ragione di conoscibilità o del conoscibile (ratio cognoscibilis), nella distinzione delle scienze, sulla base dei diversi modi di definire la materia di indagine,19 e nella distinzione delle facoltà.20

") Cfr. S. Th., I-II, 19, 4. . H) Cfr. S. Th., I, 115, 2. Questo concetto, di derivazione stoica, è mutuato da S. Tommaso dal pensiero di S. Agostino (cfr. De Trin., Ili, 8). ' 15) Cfr. S. Th., I-II, 18, 9; II-II, 43, 7. "•) Cfr. 11 Met., 1.3.

17) Cfr. 1 Sent. 2, I, 3; 2 Post., 11.6 e 8; IPhylic., 1I>2 e 5; 7 Met., 11.3 e 15; 8, 1.5.

18) Cfr. S. Th., I, 13, 9; 33, 3; 79, 13; 1-11, 102, 2 e 3; C. G., I, 34.

11

parte prima

Dal punto di vista pratico, il termine, ratio può avere ancora un duplice significato.

Può indicare [[piano o progetto che sta nella mente dell'artefice e che viene da questi attuato.21

Può significare la modalità esecutiva di un'azione.

Nel caso dell'azione transitiva, cioè perfettiva di un oggetto esterno all'agente, S. Tommaso parla dell'arte come regola o retta ragione delle cose da farsi (recto, ratio factibilium).

Nel caso, invece, dell'azione immanente, cioè perfettiva dello stesso soggetto agente, troviamo due flessioni prospettiche.

In prospettiva etica, abbiamo la prudenza come retta regola delle azioni (recto, ratio agibilwm).

In prospettiva epistemologica, abbiamo la scienza quale regola dell'attività speculativa (recto ratio speculabilium.).21

19) Cfr. S. Th., I, 1,3; II-II, 1, 1; 1 Post., 1.41; 1 Physic., 1.1. È importante notare che la specificazione e diversificazione delle scienze è stabilita sulla base degli oggetti, giacché ogni atto e ogni abito conoscitivi desumono appunto da tale fonte la loro determinazione specifica. Ma non ogni diversità di oggetti determina una nuova specificazione scientifica, ma solo quella diversità che si colloca dal punto di vista formale. Secondo i tornisti questa formalità specificativa è di duplice ordine: uno relativo direttamente all'oggetto, e uno relativo al soggetto conoscente. Ex parte obiecti, si da la formalità dell'oggetto come cosa (ratio formalis quae, obiectum formale quod), nel quale termina l'atto conoscitivo scientifico. Questa formalità è ciò che primariamente (primo et per se) viene considerato dalla scienza, poiché in essa vengono coordinati tutti gli altri oggetti che materialmente possono cadere nell'obiettivo della stessa scienza. Essa è la formalità reduplicativa del soggetto della scienza (— il soggetto in quanto è tale); la ragione per la quale, come per propria causa, si dimostrano le proprietà del genere-soggetto (cfr. In I Post., 1, 12): è il medium nella prima dimostrazione (cfr. gaetano, In S, Th., I, 1, 3). Ex parte subiecti, si da propriamente la formalità dell'oggetto come oggetto, cioè in quanto conoscibile. Essa è il principio, la luce, la ragione particolare (ratio formalis sub qua, obiectum formale quo) sotto la quale si staglia l'oggetto formale quod. Si è detto che l'oggetto formale quod è il medio dimostrativo, dunque, la definizione del genere-soggetto, la quale è il principio fondamentale nella dimostrazione propter quid. Perciò, la ragione formale sotto la quale si delinea l'oggetto formale quod è il modo stesso di definire, strettamente legato ai tré diversi gradi di astrazione formale, sopra evidenziati. E proprio da questa ratio scibilitatis, da questo modo di definire, che si desume il principio diversificatore delle scienze. «Diversa ratio cognoscibilis, di-versitatem scientiarum inducit», S. Th., I, 1, 1, ad2. Cfr. In I De Anima, 1.2; In VI Metaph. 1.1; J. a S. thoma, Cursus Phil., logica II, 27, 1, ed. REISER, pp. 821-825.

&) Cfr. S. Th., I, 77, 3.

21) Cfr. S. Th., I, 22, li; 23, 1; I-II, 93, 1.

22) Cfr. ^ Th., I-II, 56, 3; 57, 4 e 5; II-II, 47, 8; 55, 3.

12

Senso e valore della ratio tomistica

3. La posizione ontologica

Endtativamente la ratio (secondo il suo significato primario) viene inferita come una distinta potenza o facoltà (seconda specie della qualità) dell'anima umana, rispetto alla sua operazione conoscitiva semplicemente spirituale. L'anima dell'uomo, infatti, non è immediatamente, cioè per essenza, operativa, ma solo mediante facoltà. Soltanto in Dio (Atto puro) l'operazione si identifica con la stessa essenza.23 D'altra parte, nell'anima umana si da un'operazione conoscitiva che non si esercita attraverso un organo corporeo e che ha per oggetto l'ente in universale.

4. L'essenza

Essenzialmente la ratio si definisce per distinzione dall'intelletto in senso stretto. Essa è la stessa facoltà intellettiva umana, in quanto caratterizzata da un procedimento discorsivo nella scoperta della verità. Essa è lo stesso intelletto considerato dal punto di vista del suo atto di indagine o di moto argomentativo. Intelletto in senso stretto (nous), invece, è il termine con il quale si indica la facoltà conoscitiva secondo il suo atto di penetrazione immediata della verità.24

5. Le caratteristiche

Qualitativamente è possibile descrivere la ratio sulla base di quelle quasi-proprietà che la caratterizzano radicalmente (come tutto), o nelle sue speciali modalità espressive (parti o modi).

Come tutto la ratio si caratterizza secondo una duplice prospettiva: intrinseca alla stessa facoltà ed estrinseca, per riferimento a valori che la trascendono.

Intrinsecamente i valori della ratio si evidenziano prospetticamente dalla parte dell'oggetto e dalla parte del soggetto.

23) Cfr. S. Th., I, 77, 1.

24) Cfr. S. Th., I, 79, 8; 59, 1; 64, 2; 81, 3; IMI, 8, 1, ad 2; 49, 5, ad3; C. G., Ili, 89 e 147; 1 Sent. 24, 3, 3, ad 2; 3 De anima, 1. 14.

13

parte prima

Dalla parte dell'oggetto, la ragione ha come caratteristica sua propria la conoscenza dell'ordine, cioè della relazione che lega più cose tra loro, rapportandole a una prima e principale.

Dalla parte del soggetto, proprietà della ratio è quel movimento discorsivo del pensiero che consegue alla considerazione dell'ordine. Questa discorsività razionale non è altro che il moto argomentativo, cioè l'atto del ragionare (ratiodnatio) o il processo per il quale il pensiero passa da una cosa a un'altra o da una nozione a un'altra, dando origine al sillogismo o argomentazione.26

Il movimento razionale si sviluppa secondo due vie: quella di invenzione o composizione {via inventionis vel compositionis) e quella di giudizio o di risoluzione (via iu.cl.icii seu resolutionis).

La via di invenzione, che da origine al processo discorsivo partendo dalla intelligenza dei primi princìpi e proiettando la ricerca alla scoperta del novum, si caratterizza per il metodo sintetico. Dal semplice si passa al complesso; dalla causa all'effetto (es. dall'essenza si passa alle proprietà; dall'aseità di Dio alla partecipazione del mondo), dalla nozione più universale a quella più particolare (es. dal genere alla specie). .

La via di risoluzione, che conclude il processo discorsivo con l'intelligenza dei primi princìpi, alla luce dei quali esamina, valuta e controlla le scoperte fatte, si caratterizza per il metodo analitico. Dal complesso si passa al semplice: dall'effetto alla causa (es. dalla proprietà all'essenza; dal mondo a Dio), dalla nozione più particolare a quella più universale (es. dalla specie al genere, ai trascendentali).27

Estrinsecamente la ratio si subordina propriamente alla fede soprannaturale, con tutta la ricchezza e l'autonoma consistenza dei suoi contenuti. Tale subordinazione, infatti, include altre due proprietà, ricavabili dall'assioma tomistico: «La grazia non toglie la natura, ma la suppone e la perfeziona» :28 l'autonomia della procedura d'indagine e l'armonia con il dato di fede.

In questa prospettiva, la ratio è investita di una triplice funzione:

dimostrazione di ciò che è presupposto alla fede {praeambula fidei.

2") Cfr. 1 Ethic., prol.

26) Cfr. S. Th., I-II, 9, 1, ad2; 1 Post., Pro.; Peri Herm., prò.

27) Cfr. S. Th., I, 79, 8 e 9; In B. de Trin., 2, 2, 1, ad3; 1 Post., 11.1 e 35; De Ver., 15, 1. Per uno sviluppo più in dettaglio delle rispettive competenze sulle due vie meto-dologiche cfr. F. E. dolan, Resolution and composition in speculative and, practical di-scourse, in «Lavai Philosophique et Théologique» 6 (1950), pp. 9-62.

2S) Cfr. S. Th., I, 1, 8, ad2; 2, 2, adi.

14

Senso e valore della. Ratio Tomistica

Es. esistenza di Dio e suoi attributi; immortalità dell'anima razionale;

precetti di legge naturale ecc.); esemplificazione analogica dei contenuti di fede per sé trascendenti l'umana comprensione; ruolo apologetico o di difesa contro le contestazioni rivolte alla fede, mostrando la loro falsità o, almeno, non necessità.29

Le qualità parziali della ratto si evidenziano attraverso la divisione di quel tutto potenziale che è appunto la ratio nei suoi modi.

Il termine ratio infatti si dice per analogia di attribuzione intrinseca delle facoltà (primariamente) e dell'habitus (secondariamente);

per analogia di attribuzione estrinseca dell'operazione e dell'oggetto terminale (vedi significati usuali), in ordine alla segnalazione della facoltà.

All'interno degli analogati intrinseci, si da un'ulteriore divisione per analogia di proporzionalità propria, sulla base dei diversi modi che la ratio esprime rispetto a oggetti che appartengono a ordini for-malmente distinti. Così, se l'oggetto è di ordine intellettivo, S. Tom-maso parla di ragione universale o intellettiva, che è la facoltà conoscitiva spirituale; se l'oggetto è di ordine sensitivo, S. Tommaso parla di ragione particolare o cogitativa, o intelletto passivo, che è una facoltà conoscitiva di ordine sensitivo interno e che ha come organo proprio la parte mediana del cervello.30

Nell'ambito della ragione universale, si distinguono i diversi modi di esercizio della stessa facoltà rispetto alla natura semplicemente spe-culabile (ragione speculativa), oppure operabile (ragione pratica), eterna (ragione superiore), o temporale (ragione inferiore) dell'oggetto. ; •• ::':

La ragione universale o intellettiva ha due caratterizzazioni.

Si dice ragione speculativa quando ha come fine la semplice considerazione della verità in'se stessa,31 e come oggetto generale il necessario o il contingente, non come è nel particolare, ma come è in universale.32 . '

Se essa assume come oggetto speciale l'eterno, Dio conosciuto per se stesso (esistenza e attributi divini inferibili dalle realtà create; l'ambito della sapienza metafisica nella sua funzione conoscitiva), oppure come mezzo e criterio di giudizio sulle verità e realtà temporali (am-

•"') Cfr. In B. de Trin., Pro., 2.

30) Cfr. S. Th., I, 78, 4; De anima, 13.

") Cfr. S. Th., I, 79, 11.

32) Cfr. 6 Ethic., 1.1.

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parte prima

bito della sapienza metafisica nella sua funzione architettonica e giudicativa rispetto ai principi delle altre scienze), allora essa è qualificata come ragione superiore.n

Se invece essa considera come oggetto speciale ciò che è temporale, il mondo creato, conosciuto in se stesso (le nature create, i primi principi e le loro conclusioni; ambito delle scienze teoretiche come la fisica e la matematica), oppure come mezzo per raggiungere la conoscenza dell'eterno secondo la via di invenzione, in questo caso la ragione viene qualificata come ragione inferiore.

I concetti di ragione superiore e inferiore, che indicano rispettivamente {'habitus sapienziale e quello scientifico, vengono mutuati da S. Tommaso dal pensiero di S. Agostino e reinterpretati aristotelicamente.34

Si deve poi notare che la ragione speculativa discorre di nozione universale in nozione universale, secondo un metodo che si dice razionale, sia per i princìpi utilizzati, sia per il modo di conoscere proprio dell'anima umana.35 Si parla di metodo razionale rispetto ai princìpi utilizzati, perché in essi si può effettuare la perfetta risoluzione delle conclusioni comuni, come avviene nella logica (scienza razionale) e nella metafisica, scienze che analogicamente si riferiscono a ciò che è comune a ogni ente. Si parla di metodo razionale per riferimento al modo di conoscere dell'anima umana, perché si passa dal sensibile all'intelligibile e dall'effetto alla causa, come avviene nella scienza naturale, e solo accidentalmente nella metafisica.

La ragione universale si dice ragion pratica, quando ha come fine la dirczione dell'azione,36 sia transitiva che immanente.37

Essa ha come oggetto l'operabile, considerato in universale e soprattutto in particolare. L'operabile in universale è la regola del fare (arte); oppure la norma dell'agire, la legge morale conosciuta attraverso la ragione superiore (legge eterna, divina) o la ragione inferiore (legge naturale) nella loro funzione pratica. L'operabile in, particolare è il contingente operabile.38

La ragione pratica discorre di nozione universale in nozione particolare,39 secondo uno sviluppo analogamente proporzionale a quello

") Cfr. S. Th., I, 79, 9; 2 Sent. 24, 2, 2.

34) Cfr. De Ver. 15, 2c e ad3.

") Cfr. In B. de Trin., 2, 2, 1, adi.

3]s) Cfr. S. Th., I, 79, 11.'

37) Cfr. S. Th., I-II, 57, 4.

3S) Cfr. S. Th., II-II, 47, 3.

w) Cfr. 3 De anima, 1.16.

16

Senso e valore della Ratio Tomistica

della ragione speculativa: nell'ambito pratico, il fine sta ai mezzi come nell'ambito speculativo i principi stanno alle conclusioni.40 La novità differenziale apportata dalla ragion pratica sta nella maggior complessità di articolazione del suo sviluppo, che comprende due fasi.

Nella prima fase, prevalentemente considerativo-progettuale (speculative-pratica), supposto l'imperativo generale della sinderesi (il bene è da farsi e il male da evitarsi) e le inclinazioni naturali dell'uomo a determinati fini (che hanno sempre ragione di bene), si passa alla formulazione delle norme o leggi speciali universali (precetti affermativi e negativi). Queste norme devono regolare l'azione libera dell'uomo nel suo concreto esercizio.41

La seconda fase è prevalentemente applicativa (pratico-pratica). Supposta la norma universale (es. si devono onorare i genitori), motivata dal principio generale (il bene è da farsi) e dal giudizio di valore specifico (onorare i genitori è un bene), secondo la ragione superiore (perché è conforme al comando di Dio), o secondo la ragione inferiore (perché è un'azione onesta e dignitosa),42 si passa alla formulazione particolare del riconoscimento dell'operabile situato qui e ora (questi sono i miei genitori; quest'azione è .una concreta testimonianza di onore).43 . , ^ ,, .;,

Quindi scatta conclusivamente la presa dicoscienza qui e ora del dovere (devo onorarli!), e la decisione imperativa dell'esecuzione libera, qui e ora, della norma.44

La ragione pratica sviluppa il proprio discorso attraverso il metodo che si dice razionale secondo il termine.45 Nella scienza morale, infatti, non si giunge mai alla certezza dei primi princìpi, ma si resta sempre in una specie di certezza opinativa o di ricerca, data la particolare contingenza dell'ambito applicativo. Ciò che è formale nella scienza morale è la dirczione dell'azione libera, nella sua concreta par -ticolarità, e non tanto l'aspetto universale e deduttivo.46

La ragione particolare o cogitativa (intelletto passivo)47 si caratterizza secondo due livelli di considerazione: in se stessa e per riferimento alla ragione universale.

40) Cfr. S. Th., I, 83, 4; I-II, 9, 3.

41) Cfr. S. Th., I-II, 94, 2.

42) Cfr. 2 Sent., 24, 2, 2.

43) Cfr. De anima, 1.16; 6 Ethic., 11.1 e 2.

44) Cfr. 2 Sent., 24, 2, 4c e ad2.

45) Cfr. In B. de Trin., 2, 2, 1, adi e ad4.

46) Cfr. S. Th., II-II, Prol.; I, 22, 4 adi.

47) Cfr. C. G., II, 60.

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parte prima

In se stessa, la ragione particolare si caratterizza per il raffronto discorsivo (collatio) fra. gli oggetti individuali; per l'elaborazione del phantasma (schema percettivo della sensibilità), con la cooperazione dell'immaginazione e della memoria; per la percezione della sostanza individuale, come ciò che esiste in una natura comune (es. quest'uomo; questo legno), che risulta così essere sensibile indirettamente o per accidens.^ • ' ' .'

Tutto questo è possibile per un certo influsso partecipativo (re-fluentia) della ragione universale, il che basta a distinguere la cogitativa umana dalla estimativa dell'animale bruto.49

Rispetto alla ragione universale, la cogitativa si caratterizza per una funzione dispositiva mediana, sia quanto alla conoscenza dell'universale, sia quanto alla conoscenza del particolare.

Quanto alla conoscenza dell'universale e dei primi princìpi, la cogitativa elabora Vexperimentum. Esso nasce dal confronto di più dati singolari simili, colti sensibilmente e raccolti nella memoria, e dispone il materiale conoscitivo sul quale la ragione universale interviene con la sua azione umversalizzatnce. In questo modo l'uomo coglie ciò che è comune nei casi particolari, senza più considerare il particolare.50

Quanto alla conoscenza del particolare, la cogitativa fornisce la premessa minore del sillogismo che conclude in particolare ciò che vale in universale, oppure applica la norma universale all'operazione particolare qui e ora.51 .

Nella ragione particolare o cogitativa, si realizza così il confine tra la parte sensitiva e quella intellettiva dell'anima; perciò essa si trova solo nell'uomo.52 '

48) Cfr. 2 De anima, 1.13.

4") Cfr. S. Th., I, 78, 4, ad5.

x) Cfr. 1 Met. 1.1; 2 Post., 1.20.

") Cfr. De Ver., 10, 5c, ad2, ad4.

52) Cfr. 3 Sent., 23, 2, ad3.

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L'AMBIENTE LOGICO DELLA RAZIONALITÀ*

La logica riveste un ruolo assai importante tra le discipline filoso-fiche che forniscono l'intelaiatura razionale e le solide basi speculative alla Somma Teologica di S. Tommaso d'Aquino. La rilevanza del discorso logico si manifesta sotto due aspetti: 1) nel rigore architettonico e dimostrativo con il quale viene articolato ogni contenuto e l'intero piano dell'opera; 2) nell'esplicita consacrazione di alcune questioni, nelle tematiche più ardue del mistero cristiano, alla pura analisi logica (es. nomi di Dio I, 13; rapporto Persone trinitarie ed essenza divina I, 29 e 39; unione ipostatica III, 16).

I. Situazione terminologica

Etimologicamente, il termine logica, aggettivo sostantivato dal latino logicus-a-um, risponde al termine greco XoyiXT) (té/vr)), derivante dall'aggettivo Àoyixóg (= riguardante il Àóyog = ragione, discorso, ragionamento, parola).

Usualmente, in S. Tommaso il termine indica: come sostantivo l'arte o scienza che si occupa dell'operato della ragione; come aggettivo, invece, logico si oppone a naturale o fisico (= ontologico).'

In questo senso:

A) nella linea dell'apprensione si distinguono 1) secondo l'atto, la considerazione logica (consideratio logica) per opposizione alla consi-' derazione reale: per es., dal punto di vista logico le sostanze immateriali create e quelle materiali convengono nello stesso genere della

») In «Divus Thomas» 5 (1993). ') Cfr. Ili, 90, 2; De Spirit. Creat., 4; De Fot., 7, 7.

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parte prima

sostanza, implicando la distinzione reale di essenza e di essere, non convengono invece dal punto di vista naturale o fisico;2 2) secondo il risultato: l'intenzione logica (intentio vel ratio logica), come il concetto di genere, di specie, di differenza ecc., che appartengono al pensato in quanto pensato;3 la definizione logica (definitio logica vel dialec-tica), se si definisce attraverso la sola forma ciò che per sé ha l'essere nella materia (per es. se si definisce la passione dell'ira come desiderio di vendetta, quando nella realtà fisica essa comporta un'alterazione fisiologica),4 oppure se con la definizione non si giunge ai princìpi stessi della cosa, ma ci si limita ad alcune condizioni comuni (per es. quando si definisce la sostanza come ciò che non si predica di un soggetto, ma che riceve le altre predicazioni),5 allora la definizione non porta alla conoscenza degli accidenti propri di una cosa; la parte logica (pars logica) dell'essenza, cioè il genere prossimo e la differenza, quando le parti naturali sono la materia e la forma.

B) Nella linea dell'argomentazione, invece, la ragione o prova logica (ratw sive probatio logica) si oppone alla prova dimostrativa o analitica (analytica), giacché procede da princìpi comuni e probabili, e non da princìpi propri. Per es., se si argomenta la superiorità della dimostrazione universale rispetto alla particolare, per il fatto che ciò che è universale è più conoscibile, si da una ragione logica, basata su un medio dimostrativo comune a tutta la conoscenza e non proprio della conoscenza dimostrativa. Se invece si adduce come motivo il fatto che ciò che è universale, portando in sé immanente la propria passio (proprietà) ne è la causa, allora si da una ragione analitica o dimostrativa, perché riguarda propriamente la struttura tipica del sapere dimostrativo.7

II. Determinazione essenziale

Entitativamente, la logica si pone in stretta relazione con l'opera-jiyità tipicamente razionale dell'uomo, il quale non agisce per istinto naturale come gli altri animali, ma attraverso il giudizio direttivo della ragione. Tale giudizio non si limita alla dirczione delle operazioni di

2) Cfr. I, 88, 2, ad 4; 66, 2, ad 2.

3) Cfr. I, 76, 3, ad 4; 1 Sent. 2, 1, 3.

4) Cfr. I De Anima, 1. 2.

5) Cfr. 7 Met., 1. 2.

7) Cfr. I Post., 1. 38.

20

L'ambiente logico della, razionalità,

ordine sensitivo, ma si estende riflessivamente alle operazioni della ragione stessa, perché ne sia facilitato e rigorizzato l'esercizio intrinseco.8

Essenzialmente, i_la logica è quella parte della filosofia che^ stu^ diando l'ordine proprio della ragione, lq_applica poi regolativamente all'operato della ragione stessa.]9

Essa e insieme una scienza e un'arte.

Come scienza, la logica scopre e insegna scientificamente le regole per dirigere l'intelletto nella conoscenza scientifica. Per es., essa mostra le leggi del discorso sillogistico a partire dalla natura dello stesso, e risolve nel principio di identità-non contraddizione e in quello di convenienza e discrepanza il dinamismo di ogni mediazione inferen-ziale. Essa ha per oggetto proprio l'ente di ragione, cioè il pensato, non in quanto reale (= oggetto delle varie scienze), ma in quanto pen;

J>ato, conseguente alla considerazione del pensiero. Tali sono, per es.^, i concetti di genere e di specie che, non avendo un corrispondente formale nella realtà, esprimono il modo di essere della realtà nel nostro pensiero. E grazie alla riferibilità del pensiero a se stesso che si costituisce la possibilità di questa concettualizzazione della concettualiz-zazione (intentio secunda).10 L'ente di ragione, così costituito, ha la stessa estensione dell'ente reale, perche ogni ente^ reale pu^nentrare nella considerazione della ragione."

In questo senso, S. Tommaso parla di scienza razionale (rationalis sdentia),12 perché è fatta dalla ragione e riflette syll'pperato_della^ stessa; oppure parla di filosofia razionale: (rationalis philosophia)," o di logica docens nel suo aspetto formale.14

Come arte, la logica dirige l'attività stessa della ragione, perché l'uomo possa procedere nel pensare con ordine, facilità e senza errore.15 Così, essa è strumento del procedimento scientifico, dirigendo formalmente l'operato di ogni scienza come qualcosa da farsi.16

8) Cfr. Post., Pro.

") Cfr. Ethic., Pro.

10) Cfr. I, 85, 2.

") Cfr. 4 Met., 1. 4.

") Cfr. 1 Perih., 1. 1; Post. Pro.; In B. Trin., 2, 2, 1.

") Cfr. 3 Physic., 1. 8; Ethic., Pro.

") Cfr. 4 Met., I. A; In B. Trin., 2, 2, 1.

") Cfr. Post. Pro.

16) Cfr. In B. Trin., 2, 1, 1.

21

parte prima

E la logica docens nel suo aspetto quasi obiettivo di compless.ó.nietQ:

dologico che viene per sé usata in ogni scienza nel rispetto dei contenuti materiali propri di ogni settore.

III. Caratterizzazione qualitativa

Qualitativamente, la logica può essere descritta nelle sue caratteristiche radicali (come un tutto), oppure secondo i suoi modi speciali o parziali (parti o modi). ;

Come totalità complessiva, la logica si caratterizza: i in quanto scienza, come essenzialmente speculativa, perché riguarda l'operato speculativo, per sé finalizzato alla conoscenza, e ha una certa comunanza d'oggetto con la metafisica^7 in quanto arte, ,come arte liberale (del Trivio), perché è speculativa e la sua fattività (costruire sillogismi) riguarda la parte libera, cioè spirituale, dell'uomo^18

Le caratteristiche quasi speciali della logica risultano dalla divisione della totalità complessiva nelle sue parti potenziali o modi. Il termine logica, infatti, indica un tutto potenziale, giacché si dice, per analogia di attribuzione intrinseca, dell'abito scientifico (primariamente) e dell'abito artistico (secondariamente); per analogia di attribuzione estrinseca, invece, dell'atto considerativo e dell'oggetto.

L'ulteriore divisione del tutto epistemologico rappresentato dalla logica come abito, avviene sulla base del diverso grado di rigore secondo il quale si articola l'attività della ragione. Allo sviluppo dell'attività razionale secondo il processo necessario presiede la logica Giudicativa, o Analitica, o Dimostrativa, la quale risolve ogni asserto nell'evidenza dei primi princìpi, sia badando al semplice rigore della correttezza formale (logica formale), sia considerando la necessità connettiva dello stesso contenuto (logica materiale). Al procedimento contingente presiede la logica Inventiva, che si articola ulteriormente secondo tré gradi di certezza relativa: alla opinabilità del probabile risponde la Topica, o Dialettica, o Tentativo; alla tendenzialità del sospetto presiede la Retorica; alla persuasività rappresentativa, invece, la Poetica. Il campo di azione della Sofistica, infine, è il procedimento difettoso ed erroneo.20

17) Cfr. 4 Met., 1. 4; In B. Trin., 2, 2, 1.

") Cfr. II-II, 47, 2, ad 3.

20) Post., Pro.

22

L'ambiente logico della razionalità

A. II^LOfflOWrCfDK'ATIVA «D,@(3TOS».$

La logica Giudicativa, o Analitica, o Dimostrativa si dice docens, quando possiede la scienza e la dottrina circa la correttezza o necessità formale del pensato in quanto pensato (logica formale), e circa la necessità delle connessioni materiali dello stesso (logica materiale), nelle tré diverse operazioni dell'intelletto.

1. Aspetto formale

Come logica formale, essa studia: a) nella prima operazione dell'intelletto (intelligentia indivisibilium = concepimento dell'essenza), il nome e il verbo quali parti integrali della enunciazione, cioè come voci per sé significative (dictiones);21 b) nella seconda operazione dell'intelletto (compositio vel divisto = giudizio) l'enunciazione; e) nella terza operazione dell'intelletto {discursus = ragionamento) l'argomentazione.

- Il nome, voce per sé significativa senza tempo,22 soggiace a una duplice considerazione: assoluta e relativa. Assolutamente parlando, se ne evidenziano la comprensione, cioè che cosa esso dice (es. uomo = vivente, senziente, intelligente), e ^-estensione, o il numero dei soggetti dei quali si dice (es. uomo = Pietro, Paolo, i Cinesi ecc.).

Quanto alla comprensione, se si considera il modo di significare, il nome si distingue in sostantivo, cioè indicativo del modo sostanziale, e in aggettivo, indicativo del modo accidentale. Il sostantivo concreto significa il soggetto sussistente (es. uomo), connotando la forma; il sostantivo astratto significa la forma determinante (es. umanità). L'aggettivo concreto significa la forma connotando il soggetto (es. bianco); {'astratto significa per sé la forma (es. bianchezza).23 Se si considera il contenuto significato, il nome diviene strumento della definizione, o discorso preenunciativo che esprime l'essenza.24

Quanto all'estensione, se si considera il modo di significare, il nome è universale, quando indica distributivamente molti individui (es. ogni uomo); particolare, quando indica disgiuntivamente una parte di individui (es. alcuni uomini); singolare, quando indica l'individuo in-

21) Cfr. 1 Perih., 1. 6.

22) Cfr. 1 Perih., 1. 4.

23) Cfr. I, 39 passim.

24) Cfr. De ente, 1; 1 Perih., 1. 8.

23

parte prima

comunicabile (es. quest'uomo, Pietro) ;4fidefìmW, quando non indica precisamente l'estensione (es. l'uomo).25 Se si considera il contenuto significato, il nome diviene strumento della divisione, o discorso risolutivo di un tutto nelle sue parti.

Le parti integrali non ricevono propriamente la predicazione del tutto integrale separatamente, perché non si trova in ciascuna di esse ne secondo tutta la sua essenza, ne secondo tutta la sua virtù (es. casa si dice complessivamente del tetto, delle pareti e delle fondamenta). Le parti soggettive, invece, ricevono la predicazione del tutto universale distintamente, perché questo si trova in ciascuna di esse secondo tutta la sua essenza e virtù (es. animale si dice dell'uomo, del cavallo;

così il genere si dice delle specie). Le parti potenziali ricevono la predicazione del tutto potenziale in modo diversificato e gerarchico, perché si trova in ciascuna di esse secondo tutta la sua essenza, ma non secondo tutta la sua virtù (es. anima si dice primariamente dell'anima razionale, poi della sensitiva e della vegetativa).26

In senso relativo, il nome può essere assunto come parte materiale dell'enunciazione, e così occupa il posto del soggetta; (ciò di cui si dice qualcosa),27 oppure come pane formale della stessa, e così tiene il posto del predicato (ciò che si dice del soggetto).28

Proprietà del nome come soggetto è la suppositivi,, cioè l'indicazione di ciò per cui sta il nome nella proposizione.29 Essa può essere materiale, quando il nome sta per se stesso (es. uomo è una parola), o formale, quando il nome indica altro da sé. In questo caso, la supposi-tio si dice logica se il nome sta per un ente di ragione (es. uomo è una specie); si dice reale se indica l'ente reale (es. l'uomo è un animale razionale).

Proprietà del nome come predicato è la significazione (significano), cioè l'indicazione del contenuto obiettivo del nome (essenza-definizione).30 Essa può essere: univoca, quando indica un contenuto assolutamente identico per i diversi soggetti dei quali è predicabile (es. uomo detto di Pietro, Paolo ecc.); equivoca, quando indica un contenuto totalmente diverso per i diversi soggetti dei quali è predicabile (es. cane detto dell'animale e del grilletto); analogica, quando indica

25) Cfr. 1 Perih., 1. 10; I, 11, 3.

26) Cfr. I, 77, 8.

27) Cfr. 1 Perih., 1. 8.

28) Cfr. ibid..

29) Cfr. 3 Sent., 6, 1, 3.

M) Cfr. Quodl., 3, 2, 2, ad 1.

24

L'ambiente logico della razionalità

un contenuto assolutamente diverso e relativamente uguale per i diversi soggetti dei quali è predicabile (es. sano detto dell'animale e della medicina).

- Il verbo (voce per sé significativa, consignificante il tempo), assolutamente parlando significa l'azione a modo di azione, la quale è misurata dal tempo.31 Così esso può fungere sia da soggetto (es. correre è muoversi), sia da predicato (es. l'uomo corre). In senso relativo, il verbo si pone sempre dalla parte del predicato, perché per sé esso implica la composizione del soggetto con il predicato, e d'altra parte l'azione inerisce sempre al soggetto.

^'enunciazione è l'orazione perfetta, nella quale si da verità o falsità come nel proprio luogo segnaletico.32

Si tratta dell'orazione indicativa, finalizzata alla dimostrazione secondo le proprietà delle cose. Essa si struttura sulla relazione copulativa del soggetto e del predicato attraverso il verbo essere,33 e si dice «de tertio adiacente» quando il verbo essere è una terza dictio nell'enunciazione (es. Socrate è bianco); si dice «de secundo adiacente^ quando il verbo essere è il sold predicato, e origina il giudizio di esistenza (es. Socrate è = esiste).34

Le proprietà assolute dell'enunciazione si determinano sulla base della sua forma, materia, quantità è unità.

Rispetto alla forma, l'enunciazione può essere affermativa (es. Socrate è bianco), assumendo il predicato secondo tutta la sua comprensione (particolare), oppure negativa (es. Socrate non è bianco), assumendo il predicato secondo tutta la sua estensione (universale).

Rispetto alla materia, l'enunciazione può essere necessaria, se indica ciò che è e non può non essere; impossibile, se indica ciò che non è e non può essere; contingente, se indica ciò che è ma può non essere;

possibile, se indica ciò che non è ma può essere. In tutti questi casi, poi, l'enunciazione si dice modale o assertoria, a seconda che espliciti o meno il modo (è necessario... ecc.) oltre al detto.

Rispetto alla quantità, l'enunciazione può essere universale (es. ogni uomo ride), particolare (es. qualche uomo ride), singolare (es. Socrate ride), inde finita-ics, l'uomo ride).

31) Cfr. 1 Perih., 1. 5.

") Cfr. 1 Perih., 1. 7.

") Cfr. 1 Perih., 1. 3.

34) Cfr. 1 Perih., 1. 2.

25

parte prima

Rispetto all'unità, l'enunciazione si dice'semplice o wmposfa se è costituita da una o più proposizioni. Nel secondo caso essa può essere ipotetica (se c'è x - condizione -, c'è y - condizionato), vIisgMWtivsf (o c'è x, o c'è y), copulativa (e c'è x e c'è y).

Le proprietà relative o interproposizionali dell'enunciazione si fondano sulla combinazione della forma e dell'estensione, per cui si hanno: {'universale affermativa (simbolo: A), Y universale negativa (£), la particolare affermativa (i) e la particolare negativa (o).

Esse sono {'opposizione, cioè la reciproca esclusione di proposizioni con medesimo soggetto e predicato, e la conversione, o inversione d'ordine tra soggetto e predicato, mantenendo la forma e la verità dell'enunciazione. Se l'opposizione consente una soluzione intermedia, abbiamo la contrarietà: A ed E non sono entrambe vere ma possono essere entrambe false; oppure la sub contrarietà: i e. o non sono entrambe false, ma possono essere entrambe vere. Se non si consente alcuna soluzione intermedia, siamo nel caso della contraddittorietà : i rapporti A-o, E-i indicano l'opposizione massima; una proposizione è vera, l'altra necessariamente falsa (principio di non contraddizione).

Si convertono semplicemente, cioè senza variare la quantità: E (in E), perché il soggetto universale e il predicato di una negativa hanno la medesima estensione; i (in ;'), perché il soggetto particolare e il predicato di una affermativa hanno la stessa estensione. Si convertono accidentalmente, cioè variando la quantità, A (in ;'), perché il predicato di una affermativa è particolare; tuttavia A può convenirsi semplicemente se soggetto e predicato hanno la medesima estensione (es. se il pred. è la definizione del sogg.). Per contrapposizione, cioè rendendo infiniti i termini anteponendo un non, si convertono: A (in A), es. ogni uomo è libero = ogni non libero è non uomo; o (in o), es. qualche uomo non è sapiente = qualche non sapiente non è non uomo.

— L''argomentazione consiste nel rapporto consequenziale tra enunciazioni, per cui, posti alcuni dati (antecedente), risulta necessariamente qualcos'altro (conseguente), per il solo fatto che quei dati sono stati posti. Così, se l'antecedente è vero, il conseguente è vero;

se l'antecedente è falso, il conseguente può essere vero o falso.35

Se la conseguenza argomentativa si sviluppa secondo il passaggio dal più universale al meno universale (piano intelligibile), abbiamo il sillogismo o deduzione; se invece si sviluppa passando dal singolare all'universale (dal sensibile all'intelligibile), abbiamo l'induzione.36

") Cfr. 1 Post., 11. 13 e 42. 36) Cfr. 1 Post., 1. 1.

26

L'ambiente logico della razionalità.

Nel sillogismo, distinguiamo: struttura, leggi, tipologia. Si da struttura sillogistica, quando due termini (S = estremo minore; P = estremo maggiore) sono messi in relazione positiva o negativa tra loro (conseguente o conclusione), perché (antecedente o premesse) convengono entrambi o solo uno di essi (principio di convenienza e discrepanza) con un terzo (M = termine medio).

Questa struttura generale si specifica secondo la diversa disposizione dei termini nelle premesse, originando le tré figure del sillogismo, così rappresentabili:

Figura 1' 2" 3' Premessa minore S è M S non è M M è S Premessa maggiore Me P P e M M è P Conclusione S è P S non è P S è P

Secondo la diversa combinà'zione delle premesse per forma e quantità, poi, nascono i modi sillogisticP7 (es. per la sóla rfig.:

A.A.A; E.A.E.; A.i.i; E.i.o).

Anche le leggi sillogistiche si distinguono in generali e speciali.

Le leggi generali riguardano distintamente i termini e le proposizioni.

Quanto ai termini: L. 1) devono essere solo tré, altrimenti non si da mediazione; L. 2) gli estremi devono avere la stessa estensione nelle premesse e nella conclusione, altrimenti implicherebbero nascostamente un quarto termine contro L. 1 ; L. 3) il termine medio non deve ovviamente comparire nella conclusione; L. 4) almeno una volta, il medio deve essere preso universalmente, per evitare lo sdoppiamento in particolari e la conseguente moltiplicazione dei termini (L. 1).

Quanto alle proposizioni: L. 5) due premesse negative non danno conclusione, perché manca la mediazione; L. 6) due premesse affermative non danno ovviamente una conclusione negativa; L. 7) due premesse particolari non danno conclusione, perché se entrambe affermative si va contro L. 4, se entrambe negative si va contro L. 5, se una sola è negativa si va contro L. 2, giacché il predicato della conclusione negativa sarebbe universale; L. 8) la conclusione segue la parte peggiore; è negativa se una premessa è tale, è particolare se una premessa è particolare.

") Ch. 1 Post., U. 8 e 26.

27

parte prima

Per la F fig. : la minore deve essere affermativa, altrimenti P della conclusione negativa (L. 8) implicherebbe (L. 2) la negatività della maggiore contravvenendo a L. 5; la maggiore deve essere universale, altrimenti M sarebbe particolare come nella minore, contro L. 4.

Per la T fig. : una premessa deve essere negativa, altrimenti M non è mai preso universalmente (L. 4); la maggiore deve essere universale, perché P della conclusione negativa (L. 8) deve avere la stessa estensione nella maggiore (L. 2).

Per la 3" fig. : la minore deve essere affermativa, per la stessa ragione data nella 1" fig. ; la conclusione deve essere particolare, perché S nella minore affermativa è particolare, e così deve essere nella conclusione (L. 2)

Facile è quindi dedurre i quattordici modi possibili, rispettando le esigenze delle singole figure. '

II tipo perfetto di sillogismo si ritrova nel categorico (sopra descritto), nell'ipotetico e nel disgiuntivo.

Nel sili. ipotetico, la premessa maggiore è un'ipotetica: se X (condizione) allora Y (condizionato); la premessa minore afferma {ponens) O nega (tollens) la condizione o il condizionato. Se afferma la condizione, segue il condizionato; se nega il condizionato, nega la condizione. Se nega la condizione o afferma il condizionato, non segue nulla.

Nel sili. disgiuntivo, la premessa maggiore è una disgiuntiva:

o X è, oppure Y è; la premessa minore afferma o nega un membro dell'alternativa. Se i mèmbri non possono essere entrambi veri, ne entrambi falsi, l'affermazione o la negazione di un membro implica assolutamente la negazione o l'affermazione dell'altro.

Il tipo imperfetto di sillogismo si trova nell'entimema, che tace, una premessa (es. l'anima è spirituale, dunque è immortale).

^'induzione, quanto a struttura, si sviluppa con l'attribuzione di un estremo al termine medio, attraverso l'altro estremo: es. l'uomo, il cavallo e il mulo (S) sono longevi; l'uomo, il cavallo e il mulo (S) sono animali privi di bile (M); tutti gli animali privi di bile (M) sono longevi (P).38 Quanto alla legge, il suo perno argomentativo è la divisione e l'enumerazione dei singolari. Se è completa, cioè se S è tale da esaurire l'estensione di M, l'induzione è rigorosa.

ls) Cfr. aristotele, Anal. Primi, 1, 23.

28

L'ambiente logico della razionalità

2. Aspetto materiale

Come logica materiale, la logica Giudicativa studia: a) nella prima operazione dell'intelletto, l'essenza astratta, considerandola non come obiettivamente è in sé (assolute) prescindendo dalle sue realizzazioni, ma formalmente come universale (modo di essere nel pensiero);

b) nella seconda operazione, gli assiomi; e) nella terza, la dimostrazione. ,

— Il concetto universale si riferisce per predicazione a degli inferiori, indicando il contenuto della predicazione o il ipodo, della predicazione.

Quanto al contenuto della predicazione: alle nozioni analogiche rispondono i trascendentali-^9 alle nozioni univoche rispondono j^gre-dicamenti cioè i supremi generi dei predicati.

Il predicamento che indica il soggetto per identità è la sostanza^ (es. Socrate è uomo); se invece ciò che è indicato non si identifica con H soggetto, ma inerisce a esso intrinsecamente e in modo assoluto, allora: se consegue alla materia abbiamo il predicamento delìa_guantitas se consegue alla forma, quello della qualità.

Se l'inesione intrinseca è solo^ relativa (rispetto ad altro), si ha la relazione.

Nel caso che ciò che è indicato sia estrinseco al soggetto, allora :se si tratta di estrinsecità solo parziale, giacché esso inerisce al soggetto quanto al principio, o quanto al termine, abbiamo rispettivamente l'rf,-zione e {^passione. Se l'estrinsecità è totale, allora: ciò che misura cronologicamente il soggetto è indicato dal quando; ciò che lo misura localmente è il dove (prescindendo dall'ordine delle parti nel luogo), qj;l sito (se si considera quell'ordine).

Ciò che è in posizione estrinseca e non ha neppure funzione misu-rativa è indicato dall'ago (disposizione di un corpo per il possesso di un altro corpo, es. vestito; da non confondere con la prima specie della qualità).40

Quanto al modo della predicazione, le nozioni univoche si dicono fredicabili. I termini che si predicano del soggetto in riferimento all'essenza (in quid), esprimendola completamente, sono la specie (mo-

39) I Trascendentali (res, unum, alicfytd, verum, bonum) sono dei modi speciali di significare l'e1nte~^no^elleproprl^t^coestensl^^^ come tale: con esso jijdenti-ficano realmente e'se^ne^istii^uonb ^er pura distinzione di ragione ragionata. ——TO) Cfr. 5 Met., l."9. " " """" "~ '"""

29

parte prima

do implicito, es. Pietro è un uomo) ®4a definizione" (modo esplicito, es. P. è un animale razionale); quelli che non la esprimono completamente sono il genere (in quid incomplete; es. P. è animale) e la differenza (in quale quid; es; P. è razionale). I termini che si predicano del soggetto indicando ciò che non appartiene all'essenza sono: l'accidente ^ro/'n'o, che consegue necessariamente all'essenza (in quale necessario; es. P. è libero), e {'accidente comune, che è estraneo all'essenza (m. quale contingenter; es. P. è bianco).41

- Gli assiomi sono i princìpi primi, veri, necessari, cioè fondati su una predicazione ^universale, per la quale il predicato si deve dire di tutti gli inferiori del soggetto (dici de omni; es. se animale si dice dell'uomo, si dice anche di ogni uomo) ; ~per se, nella quale il predicato si dice del soggetto, per o in ragione del soggetto, avendolo cioè come causa.

•'" Se il soggetto è la causa formale del predicato, allora di esso si dice la definizione o una sua parte (es. l'uomo è animale razionale; è animale; è razionale: primo modo dicendiper se); se ne è la causa materiale, di esso si dice l'accidente proprio, che nella sua definizione implica il soggetto di inerenza (es. l'uomo è libero: secondo modo); se rie è la causa efficiente, di esso si dice l'effetto proprio (es. il pittore dipinge; ciò che è razionale è libero: quarto modo).

Si deve notare che il terzo modo di predicazione per sé non è un modo di predicazione, ma di essere per sé (= solitario).

Ciò che non si predica per sé nei modi descritti, si predica accidentalmente (per accidens) : per es., il pittore canta; l'azione del cantare non segue alla natura del pittore.

La predicazione deve essere anche primaria, cioè secondo l'aspetto primario (universale-primo) sotto il quale il soggetto riceve l'attribuzione necessaria: per es., ogni triangolo isoscele ha la somma degli angoli interni pari a due retti, inquanto triangolo e non in quanto isoscele.42

— La dimostrazione è il sillogismo scientifico. Essa porta alla conoscenza del perché una cosa è tale (propter quid), oppure del fatto che una cosa è tale (quia). .

La dimostrazione propter quid ha lo scopo di mostrare l'inerenza al soggetto del suo accidente proprio, attraverso la causa prima e im-

•") Cfr. C. G., I, 32; 5 Afet.» 1. 12; De ente, 3; De Anima, 12, ad 7. 42) Cfr. 1 Perih., 1. 10.

30

L'ambiente logico della razionalità.

mediata di tale effetto.43 Genericamente si dice che procede dalla causa all'effetto.44 ' ,

Essa presuppone che si preconosca del soggetto: che è (esistenza) e che cos'è (definizione reale); del predicato, cioè della proprietà che si vuoi mostrare inerente al soggetto, che cosa significa il nome che la indica (definizione nominale); dei princìpi o assiomi, il fatto che sono veri.45 '

La sua articolazione inferenziale può essere così esemplificata:

(mi.) l'uomo è razionale (primo modo dicendi per se); (Ma.) ciò che è razionale è libero (quarto modo); (co.) l'uomo è libero (secondo modo).46

La dimostrazione quia, terminando all'attestazione di una fattualità, muove dall'effetto alla causa, o dalla causa remota.47

Se muove dall'effetto proprio (convertibile), essa origina un'inferenza di questo tipo: (mi.) l'uomo è soggetto a una legge imperativa;

(Ma.) chi è soggetto a una legge imperativa è libero; (co.) l'uomo è libero. La dimostrazione che parte da un effetto comune .(non convertibile) trova la sua applicazione emblematica nella prova dell'esistenza di Dio, per es. a partire dal divenire.48

Se la dimostrazione muove dalla causa remota, non mostra la ragione propria dell'effetto: es., la casa non è animale, perché non è vivente (quando non ogni vivente è animale).49

Quelle finora descritte sono dimostrazioni di tipo estensivo, cioè argomentano positivamente da princìpi veri e necessari; esiste però anche una dimostrazione indiretta o per riduzione all'assurdo, che argomenta la verità di una tesi dalla contraddittorietà dell'antitesi; es. improcedibilità all'infinito nella concatenazione delle cause dell'essere (essendi).

B. la LOGICA GIUD%t|ElVA «UTENS»

La logica Giudicativa o Analitica si dice utens in senso improprio, giacché l'uso non appartiene alla logica dimostrativa, ma alle scienze

43) Cfr. 1 Post., 11. 13 e 26.

44) Cfr. I, 2, 2.

45) Cfr. 1 Post., 1. 2.

46) Cfr. 1 Post., 1. 8.

") Cfr. 1 Post., 1. 23; I, 2, 2.

48) Cfr. I, 2, 3.

w) Cfr. 1 Post., 1. 24.

31

parte prima

che dimostrano le specifiche proprietà delle cose, partendo dai princìpi propri di esse e non dalle intenzioni logiche.50 La logica è usata nel senso che insegna il modo di procedere secondo i princìpi desunti dalle cose stesse.

Tuttavia, si parla di logica utens in senso proprio, quando in una scienza specifica si usano gli stessi princìpi logici, riguardanti le comuni proprietà del pensato in quanto pensato, per concludere in materie specifiche.51 Nasce così l'argomentazione dialettica (es., se si volesse provare che l'odio e l'amore sono nell'appetito concupiscibile, perché i contrari hanno il medismo soggetto).52

C. la LOGICA INVENTIVA

Nella logica Inventiva, che manca della certezza risolutiva, si trovano la Dialettica, la Retorica e la Poetica.

1. La Dialettica

La Dialettica o Topica è docens quando scientificamente53 tratta delle modalità argomentative puramente probabili e opinabili, tipiche delle dispute.54

Esse hanno per oggetto: il contingente operabile in generale,55 come anche quei problemi che non possono avere una soluzione scientifica o dimostrativa (es. eternità del mondo);56 tutte le problematiche che possono avere soluzione dimostrativa, ma che il dialettico si accontenta di ancorare a proposizioni non immediate (per sé), purché ammesse come evidenti dalla maggior parte degli uomini, o dai più sapienti.57 Si tratta di soluzioni per autorità,58 o per segni probabili.59

Queste problematiche hanno l'estensione di quelle metafisiche, perché relative all'ente e alle sue proprietà; tuttavia non hanno lo stesso rigore risolutivo.60

50) Cfr. 4 Met., 1. 4.

51) Cfr. In B. Trin., 2, 2, 1.

52) Cfr. 1 Post., 1. 20.

53) Cfr. 4 Met., 1. 4.

54) Cfr. 3 Sent., 33, 3, 1.

55) Cfr. I, 83, 1.

56) Cfr. I, 46, 1.

57) Cfr. I, 12, 7; 1 Post., 1. 31.

58) Cfr. De Ver., 14, 2.

'"') Cfr. Ili, 9, 3.

60) Cfr. 4 Met., 1. 4.

32

L'ambiente logico della razionalità

Tali argomentazioni procedono a modo di ricerca61 e di tentativo,62 ponendo interrogativi sulle stesse premesse, giacché non assumono incontrovertibilmente l'una o l'altra parte della contraddizione.63

I princìpi che assumono sono estraneirispetto alle nature delle cose,64 perché appartengono comunemente al pensato in quanto pensato : sono i luoghi comuni, come quello del genere, della specie, del tutto e della parte (es., se dal fatto che Socrate è uomo si prova che è animale, perché di ciò di cui si predica la specie, si predica il genere).65

Sono perciò meramente probabili,66 per contrapposizione ai princìpi propri, cioè dimostrativi.

La Dialettica è utens quando esecutivamente fa uso di questi princìpi e regole per concludere non scientificamente una verità in qualche scienza particolare (cfr. sopra l'es. dell'odio e dell'amore).

2. La Retorica

La Retorica è la scienza o l'arte del ben dire e del persuadere.67 E scienza quando teorizza circa le modalità della argomentazione retorica.68 Questa ha per oggetto l'operabile69 deliberabile70 ed è finalizzata alla persuasione.71

Suo strumento e la congettura, che si fonda formalmente sulle orazioni: deprecativa, impetrativa, interrogativa, vocativa, che conducono all'assenso non solo attraverso ciò che compete alle cose trattate, ma anche attraverso la mozione delle disposizioni passionali dell'uditorio,72 al fine di renderlo benevolo, docile e attento.73 La loro movenza tipica è {'entimema (sillogismo tronco) e {'esempio (induzione tronca).74

") Cfr. II-II, 51, 2 e 4; I-II, 57, 6, ad 3.

62) Cfr. 4 Met., 1. 4.

") Cfr. 1 Pori., 11. 5 e 21.

M) Cfr. 1 Post., I. 13; 4 Met., 1. 4.

65) Cfr. De Fall., 4.

66) Cfr. II-II, 48.

67) Cfr. 3 Sent., 33, 3, 1, 4.

68) Cfr. 4 Sent., 15, 4, 3, 2.

69) Cfr. II-II, 49, 4, ad 3.

70) Cfr. I, 83, 1.

") Cfr. II-II, 48.

") Cfr. I Perih., 1. 7.

") Cfr. 4 Sent., 15, 4, 3, 2; es. In B. Trin., Pr. 6 Exp.

74) Cfr. 1 Post., 1. 1.

33

parte prima

Materialmente l'argomentazione retorica si fonda sulle nozioni di bene e male, che ne specificano i tré generi: giudiziario (premio-pena), dimostrativo o epidittico (lode-biasimo), deliberativo (utile-dannoso).75

La Retorica è arte quando, applicata esecutivamente al dire, comporta simultaneamente un insegnamento dilettevole e persuasivo.76

3. La Poetica

La Poetica è scienza, secondo quell'aspetto per cui teorizza la mozione all'assenso77 e lo stimolo alla virtù,78 attraverso rappresentazioni decenti e seducenti (favole, metafore), a causa del difetto di verità e di incomprensibilità razionale delle cose trattate.79

Essa è allontanamento dalla scienza, o comunque il grado infimo,80 in quanto l'uso di metafore non indica la natura e le proprietà delle cose81 ed è il modo primitivamente filosofìco d'avvicinamento alle meraviglie del reale.82

D. la sofistica

La logica Sofistica riguarda il sapere puramente apparente. E do-cens, quando scientificamente dimostra i procedimenti di prova o di contestazione puramente apparenti,83 cioè sulla base di paralogismi o errori nella forma argomentativa (Fallaciae).^

Tali inganni (fallaciae) si possono dare sia a livello grammaticale (in dictione), sia a livello reale (extra dictionem).

f: A livello grammaticale, si da inganno per i molteplici sensi di una espressione. Se si tratta di una molteplicità attuale, cioè senza variazioni nell'espressione, allora: rispetto al nome si da l'equivoco (es. chi ride è uomo; il prato ride; il prato è uomo);85 rispetto all'enunciato si

75) Cfr. 4 Sent., 16, 3, 1, 1, ad 1.

7(-) Cfr. II-II, 177, 1, ab. 1.

77) Cfr. 1 Perih., 1. 7.

78) Cfr. 1 Post. Pro.

7") Cfr. 4 Sent. Prol.

80) Cfr. I, 1, 9 ad. 1.

") Cfr. 1 Met. 1. 15; 1 Physic., 1. 15; 2 Meteor., 1. 5.

82) Cfr. 1 Met. 1. 3.

83) Cfr. 4 Met. 1. 4.

84) Cfr. 1 Post. 1., 22; I, I, IO, ab. 1.

85) Cfr. 1 Post. 1. 22; I, 1, 13, 5; De Pot., 7, 7.

34

L'ambiente logico della razionalità

da Y anfibologia (es. questo libro è di Aristotele: scritto da..., oppure posseduto da...?). Se si tratta di molteplicità potenziale, cioè con variazioni dell'espressione, allora: rispetto al nome si da la fallacia d'accento (es. mi piace la pesca: pésca = sport; oppure pèsca = frutto?);

rispetto all'enunciato si da fallacia per composizione o divisione (es. posso dormire e vegliare - senso diviso -; ma dormire e vegliare - senso composto - è impossibile; posso l'impossibile).

Se la molteplicità è solamente apparente, cioè per pura somiglianzà tra due espressioni che sono identiche accidentalmente, abbiamo la fallacia per figura della dizione (es. ho mangiato ciò che ho comprato;

ho comprato carne cruda; ho mangiato carne cruda).86 *} A livello reale, si da inganno per una certa convenienza di cose divergenti, o per divergenza di cose per altro convenienti tra loro.

Secondo l'angolatura della perseità e dell'accidentalità, si da la fallacia dell'accidente (es. uomo è una specie; Socrate è uomo; Socrate è una specie). Oppure: altro è Socrate e altro è uomo; Socrate è uomo;

Socrate è altri da se stesso. In entrambi i casi, varia la suppositio di uomo: da per accidens a per se, cioè da ente di ragione a sostanza prima.87

Secondo la prospettiva del perfetto e dell'imperfetto, si da la fallacia dell'assoluto e del relativo (es. questi è un buon pittore - secundum quid -, dunque è buono - simpliciter).**

Secondo l'opposizione e la non opposizione, abbiamo la fallacia per apparente contraddizione (ignorantia elenchi), quando si vuoi concludere una contraddizione dove contraddizione non c'è (es. la casa è chiusa di notte e non chiusa di giorno; dunque è chiusa e non chiusa).89

Secondo ^identità e la diversità, l'inganno tipico è la petizione di principio, cioè si suppone ciò che si intende provare (es. Plafone è discepolo di Socrate, perché Socrate è maestro di Fiatone).

Nella prospettiva dell'antecedente e del conseguente, si può cadere nella fallacia del conseguente, quando nella 2 "fig. sillogistica si contravviene alla L. 4 (es. chi corre si muove, dunque chi si muove corre).90

M) Cfr.I, 36, 4, ad 4; III, 3, 6, ad 3; De Fall. 10.

87) Cfr. 6 Met., 1. 2; 4 Physic., 1. 18; I, 16, 5, ad 3; III, 3, 6, ad 3.

88) Cfr. De Fall. 13.

") Cfr. De Fall. 14.

w) Cfr. 1 Physic., 1. 5; 4 Physic., 1. 3; 1 Post., 1. 22; 3 Sent., 20, 1, 1, 3, ad 1.

35

parte prima

Nell'ordine della causalità, quando si attribuisce una causa che non è tale, si cade nella fallacia della non causa, come causa. Per es. : se non ci sono numeri non c'è il pari; se non c'è il pari c'è il dispari; se c'è il dispari ci sono dei numeri; dunque se non ci sono numeri ci sono dei numeri. Ma questo è assurdo. Perciò il sofista conclude che la prima premessa è erronea, quando invece è la seconda a esser falsa, supposta la non esistenza di numeri. .

Secondo l'unicità e la molteplicità, infine, si da la fallacia dell'interrogativo, quando sotto l'apparente unicità di una domanda si trovano più quesiti, che postulano non una, ma più risposte differenziate (es. l'uomo e l'asino sono animali razionali?).91

B) La Sofistica è utens quando viene applicata, e in tal modo difetta dal vero processo dimostrativo, secondo gli esempi dati.

") Cfr. De Fall. 18.

36

NATURA E PROPRIETÀ DELLA RAZIONALITÀ FILOSOFICA IN S. TOMMASO D'AQUINO^

Ciò che comunemente viene posto sotto il nome di filosofia è un sapere piuttosto elevato, relativo alla natura e al sènso razionalmente investigabile delle cose. In S. Tommaso, tale complesso conoscitivo trova il suo centro soggettivo e propulsore nella struttura e nel dinamismo stesso della creatura umana, che ha come proprietà il vivere d'arte e di ragioni. ' II suo cardine obiettivo, invece, si situa nell'ordine universale delle cose, del quale la filosofia è rispecchiamento e progettuale imitazione completiva: proprio del sapiente, infatti, è ordinare.2

1. L'etimologia

Etimologicamente, il termine philosophia (sostantivo astratto dell'aggettivo philosophicus) deriva dal greco (piÀoooqpia: nome astratto composto, originato dall'aggettivo concreto (plÀóooqpoc;, forse coniato da Pitagora (sec. VI a. C.) per'indicare se stesso come amante della

sapienza.3

2. L'uso del termine in S. Tommaso

Usualmente, in S. Tommaso il termine viene assunto come sostantivo oppure secondo le sue flessioni aggettivale e verbale.

'•' In «Divus Thomas» 1 (1992). ') Cfr. 1 Post., Prol.

2) Cfr. I, 1, 6.

3) Cfr. 7 Met., 1. 3.

37

parte prima

Come sostantivo, esso indica la sapienza umana,4 o un insieme sa-pienziale di discipline di ordine genericamente naturale o razionale, dalla complessa articolazione.5

Secondo la flessione aggettivale (philosophicus-a-um) il termine può indicare: a) il procedimento puramente razionale in quanto fondato sulla conoscenza centrata sulla natura delle cose e guidata dal lume naturale dell'intelletto (ratio, cognitio, disciplina philosophica), e così distinto da quello fondato su una divina ispirazione, sulla rivelazione o sulla Sacra Scrittura;6 b) l'interesse diretto verso la realtà stessa è solo indirettamente attento alle opinioni umane (inquisitio philosophica);' e) l'obiettiva cautela critica negli asserti (temperamentum philosophicum).s

Secondo la flessione verbale (philosophari) il termine indica: a) la fuga dall'ignoranza per l'acquisto disinteressato del sapere;9 b) il risultato del desiderio di conoscere le cause delle cose;10 e) l'attività per sé libera e assolutamente parlando preferibile a ogni altra (melius est philosophari quam ditari),11 che può costituire il dilettevole fondamento della convivenza tra amici.12

3. La genesi del dato

La filosofia nasce dalla meraviglia o ammirazione di fronte al veri-ficarsi di fatti insoliti, che lasciano intrawedere una causa prima non conosciuta.'3

Quanto al terminus a quo : contrariamente allo stupore, che genera timore sia in riferimento al giudizio presente, come in riferimento alla ricerca, sospendendo entrambi, la meraviglia genera un duplice moto: per un verso la sospensione del giudizio nel presente, riconoscendo lo stato di ignoranza e la condizione dubitativa;14 per un altro verso il desiderio della scoperta attraverso la ricerca.15

4) Cfr. 1 Met., 1. 3.

5) Cfr. Ethic. ProL; I, 1, 1, s.c.; 1, 4. , . ,

6) Cfr. 1 Sent. 1, 1; I, 1, 1, ad 2; In B. Trin., Pro. 2, 3, s.c. 4.

7) Cfr. 1 Ethic., 1. 6; 1 Cael. Mundò, 1. 22.

8) Cfr. 3 Cael. Mundo, 1. 1; 3 Met., 1. 1.

9) Cfr. 1 Met., 1. 3.

10) Cfr. C. G. Ili, 25; 50.

") Cfr. I-II, 32, 3; 66, 3; De Malo, 12, 1; 8 Ethic., 1. 2; 1 Met., 1. 3.

") Cfr. 9 Ethic., 1. 14. . . ,

") Cfr. 1 Met., 1. 3; In Mt., 5, 2.

14) Cfr. III, 27, 4, ad 2; 30, 4, ad 2.

") Cfr. I-II, 41, 4, ad 5.

38

Natura e proprietà della razionalità filolofica

Quanto al tenninus ad quem: la ricerca filosofica trova il suo compimento nella conoscenza della eausa (perché), cosi che non ci si meravigli più di quegli effetti insoliti e il desiderio della conoscenza si estingua con il suo possesso.16

4. L'essenza della filosofia

Nella visione di S. Tommaso, la filosofia è descrivibile essenzialmente attraverso un riferimento argomentativo ai suoi princìpi causali, così come avviene per ogni realtà dinamicamente protesa a un fine. La filosofia ha come fine la beatitudine naturale dell'uomo (causa finale); infatti, come ogni arte e scienza, essa è ordinata alla perfezione dell'uomo che è la sua beatitudine.17 Ora, la beatitudine dell'uomo consiste nella considerazione razionale (causa efficiente) dell'ordine universale e delle sue cause.18 L'ordine, d'altra parte, è l'oggetto

16) Cfr. 1 Met., 1. 3; I-II, 3, 8.

17) Cfr. Met., Prol.

ls) La razionalità si compiace dell'ordine, perché l'ordine è l'oggetto proprio della ragione. Dice S. Tommaso: «Etsi vires sensitivae cognoscant aliquas res absolute ordinerò tamen unius rei ad aliam cognoscere est solius intellectus aut rationis» (In Ethic., Prol.). Etimologicamente il termine ordine deriva dal sostantivo latino orda, il quale viene fatto risalire o all'aggettivo greco orthos (= tetto, diritto, saggio), oppure, per la radice or, ai verbi latini orior (= nasco) e ordior (= comincio), e al greco ornymi {— faccio andare); la desinenza do determinerebbe il carattere modale del termine, così che ordine significherebbe la maniera di andare o procedere. Originariamente, il nome pare che sia stato utilizzato nell'arte tessile per indicare nel tessuto la serie dei fili paralleli in linea retta, in linea trasversale e nell'insieme, cioè la trama, o tessitura, o orditura. Ma anche la collocazione o la debita disposizione, secondo intervalli regolari, degli stessi fili e il movimento, cioè l'operazione del tessere, vennero denominati con il medesimo termine. L'ordine è descrivibile come la relazione o il rapporto tra più entità distinte e ineguali, in qualche modo gerarchicamente connesse con una entità prima e principale. Da un punto di vista metafisico, l'ordine è essenzialmente relazione (cfr. 5 Met., 1. 17). Principalmente essa si caratterizza come subordinazione a un qualcosa di primo e massimo, cioè a un principio (cfr. I, 42, 3c; 1 Sent. 20, 3, le.); secondariamente la relazione che struttura l'ordine reale è coordinamento tra le stesse molteplici entità che convergono in quella prima e principale: dove più cose si riferiscono a qualcosa di primo e principale, lì si trova anche un legame vicendevole tra le stesse, per il medesimo riferimento al primo (cfr. C. G., I, 42; 12 Met., 1. 12; De Ver. 5, 1, ad 9). Le cose o i contenuti che risultano correlati e subordinati tra loro devono essere distinti e diseguali, perché ci sia una gerarchia, cioè un maggiore e un minore (cfr. 1 Sent. 19, 1, le.) e sia garantita una reale molteplicità fondata su differenze e gradi di perfezione (cfr. C. G., Ili, 71). Evidentemente questi contenuti devono essere ordinabili reciprocamente o per riferimento ad altro (cfr. De Pot., 7, Ile.); la stessa convergenza in un medesimo punto o in qualcosa di analogicamente condiviso consente che la distinzione dei contenuti non sia per semplice disparità generatrice di caoticità, ma per unità d'ordine (cfr. In Div. Nom., 4, 1. 1). Scoprire o semplicemente vedere queste relazioni appaga la ragione, la quale si immerge in esse per connaturalità come nel suo ambiente più proprio.

39

PARit prima

proprio o la materia circa quam della sapienza (causa materiale), giacché al sapiènte compete ordinare.19 Dunque la filosofia è la sapienza umana, (causa formale).20 Essa considera le cause più elevate della

«Questa è l'ultima perfezione alla quale può arrivare l'anima secondo i Filosofi, cioè che in essa venga descritto tutto l'ordine dell'universo e delle sue cause» (De Ver., 2, 2). E in un altro passo S. Tommaso dice: «Considerando la perfezione naturale dell'uomo, i Filosofi dissero che la felicità ultima dell'uomo consiste in questo, cioè che nella sua ianima venga descritto tutto l'ordine dell'universo» (De Ver., 20, 3).

a) // livello trascendente

Tutte le realtà create sono ordinate secondo un unico ordine immanente, rispetto a un unico principio esterno e separato da esse, cioè trascendente (cfr. I, 47, 4). Secondo il livello trascendente dell'ordine cosmico, tutte le creature sono ordinate da Dio e a Dio. La radicalità di tale riferimento è a tal punto primaria e principale da essere l'origine delle conseguenti relazioni reali che si trovano immanenti nelle stesse creature (cfr. 1 Sent., 44, 2c.). L'unità ordinata dell'intero universo dipende dall'unità della mente divina che l'ha progettata; perciò si riconduce ad essa come a sua causa esemplare, efficiente e finale. Si riconduce a Dio come a causa esemplare, perché Dio porta in sé l'idea matrice di tutto l'ordine universale (cfr. I, 15, 2), che altro non è se non la sua stessa essenza, concepita come possibilità di infinite partecipazioni parziali e similitudinarie. Si riconduce a Dio come a causa efficiente, perché, essendo l'ordine universale ciò che di più perfetto si trova nelle realtà create, non può essere ricondotto che alla causa più perfetta (cfr. C. G., II, 42); d'altra parte, il bene comune di tutto l'universo, cioè l'ordine, non può che dipendere dalla causa universalmente comune. Per questo Dio ne ha somma cura (cfr. C. G., III, 64). Si riconduce aDiocomea causa finale, perché l'ordine dei fini corrisponde all'ordine degli agenti. Dio, quale causa prima universale dell'ordine cosmico, non può che esserne anche il fine ultimo. Del resto, l'unità tra cose tanto disparate non può trovare giustificazione nelle cose stesse, ma in un principio esterno finalizzatore, così come l'ordine che si riscontra tra i componenti di una squadra è determinato dal riferimento di tutta la squadra al fine inteso dal suo capitano (cfr. C. G., I, 42; De Ver., 5, 4c).

b) // livello immanente

A livello immanente, l'ordine cosmico presenta due aspetti: uno propriamente strutturale, l'altro specificativo. L'aspetto strutturale dell'ordine cosmico consiste nella sua intelaiatura causale (cfr. De Ver. 11, le.) e offre il sostegno all'aspetto scientifico, in senso lato, della meditazione filosofica: si riflette mi perché e sul senso proprio delle cose, oltre che sul loro senso profondo, radicato nella causalità trascendente di Dio. Questa intelaiatura causale si da sia per connessione e subordinazione in uno stesso genere di causa, sia per connessione e subordinazione tra cause di genere diverso. Tra le cause di uno stesso genere si da una molteplicità di ordini tra loro subordinati, tanti quante sono le cause dalle quali dipendono (cfr. I, 105, 6). Ciò è facilmente esemplificabile nelle cose umane, dove l'ordine domestico, reno dal capofamiglia, rientra nell'ordine civile, retto dall'autorità competente, e l'ordine civile rientra in quello naturale, retto da Dio. Tra le cause di diverso genere si stabilisce pure una subordinazione e una concatenazione, giacché nel diverso genere le cause sono l'una causa dell'altra (cfr. De Ver. 28, 7), soprattutto in riferimento alla causa finale. La materia è in certo modo causa della forma, in quanto la sostiene. La forma è, a sua volta, in qualche modo causa della materia, in quanto le da l'essere in atto. L'agente è causa del fine, in quanto lo realizza. Il fine è causa della causalità dell'agente, in quanto attrae la sua azione e, attraverso questa, è causa anche della causalità della materia e della forma, perché la causa efficiente, cosi attuata secondo la sua causalità, dispone la materia alla ricezione della forma e infonde la forma nella materia (cfr. 5 Met., 1. 3).

In questo senso, il fine ottiene il giusto titolo di causa di tutte le cause'(eausa causa-rum) (cfr. 1 Sent., S, 1, 3c; I, 5, 3, ad 1 ; I-II, 1, 2c. ; InDiv. Nom., 4,1. 2; C. G. Ili, 17, 2;

40

Natura, e proprietà della razionalità filosofie»

realtà e giudica e ordina ogni cosa, perché il giudizio perfetto e universale si da solo per risoluzione nelle prime cause.21

2 Physic., 1. 5) e la meditazione sul fine rappresenta in qualche modo la madre di ogni profonda meditazione. L'aspetto specifico dell'ordine cosmico consiste per l'appunto nei contenuti specifici dello stesso, cioè nei diversi ordini sostanziali. Nella sostanza si ritrovano sia gli individui che le specie: nelle sostanze corporee gli individui si distinguono dalla specie; nelle sostanze spirituali gli individui sono specie sussistenti. Nell'ordine delle sostanze corporee, l'ordine degli individui è subordinato all'ordine delle specie, perché l'individuo sta dalla parte della materia (cfr. I, 86, 3), mentre la specie sta dalla parte della forma (cfr. I, 5, 5c.) - e la materia è subordinata alla forma. Perciò l'ordine dell'universo si trova per sé nell'ambito delle diverse specie (cfr. 2 Sent., 3, 1, 4, ad 3), mentre negli individui di una specie l'ordine si trova solo accidentalmente e in funzione della conservazione della specie stessa, giacché questa nelle cose corruttibili non può conservarsi perpetuamente in un solo individuo (cfr. C. G., II, 45; 48; 93; I, 47, 2). L'ordine delle specie è staticamente determinato dalla diversità delle forme (cfr. C. G. Ili, 97) che si distinguono gerarchicamente secondo diversi gradi di perfezione (cfr. I, 47, 2), in modo tale che il grado minimo della forma più perfetta si collega con il grado massimo di quella meno perfetta (cfr. C. G. II, 68; III, 97; In Div. Nom. 7,1. 4). I corpi misti sono più perfetti dei corpi elementari; i vegetali sono più perfetti dei minerali; gli animali sono più perfetti dei vegetali e l'uomo è più perfetto di tutti gli altri animali. La stessa graduatoria si ritrova nelle singole specie contenute in questi generi. Dinamicamente, l'ordine di perfezione tra le varie forme specifiche si caratterizza per la duplice finalità genetica e operativa. Dal punto di vista genetico, la tendenza insita in ogni cosa creata è quella di raggiungere una certa somiglianzà con Dio, per essere in sé perfetta. Perciò è iscritto nella stessa materia il desiderio di raggiungere il grado di attuazione più perfetto ad essa consentito, con l'acquisizione della forma più perfetta, secondo lo sviluppo generale del cosmo. In questo modo la materia prima è orientata potenzialmente anzitutto alla forma dell'elemento; quindi, attuata in questo modo, è orientata alla forma del misto e sotto questa forma è orientata all'anima vegetativa; l'anima vegetativa è potenzialmente orientata all'anima sensitiva, come la sensitiva all'anima razionale o umana. L'uomo è quasi orizzonte e confine tra la natura corporea e quella spirituale (cfr. C. G., II, 68; IV, 55): a causa dell'anima razionale, egli è posto al vertice di tutte le creature corporee (cfr. 2 Sent., 1, 2, 3, ad 3). Dunque l'uomo è il fine di tutta l'evoluzione cosmica soggiacente alla creazione divina; verso l'uomo è tendenzialmente protesa tutta la potenzialità della materia (cfr. C. G. Ili, 22). Nell'uomo si rispecchia la stessa perfezione dell'universo. La sua struttura ripropone in sintesi tutti gli elementi e le creature dell'universo, costituendolo un microcosmo (minar rnundus) (cfr. I, 91, 1; 8 Physic., 1. 3). L'anima razionale, potendo spiritualmente divenire ogni cosa, è il luogo in cui si manifesta il vertice dell'universo sensibile: la perfezione del tutto si trova in una sua parte, per l'atto conoscitivo dell'intelletto speculativo, che descrive e spiega l'ordine dell'universo e delle sue cause (cfr. De Ver., 2, 2). Ma l'ordine delle diverse forme specifiche determina anche un diverso ordine operativo, giacché l'agire segue l'essere secondo la sua formalità specifica (cfr. C. G., Ili, 97). All'ordine di perfezione gerarchica tra le forme consegue l'ordine per il quale una creatura è mossa e diretta da un'altra (cfr. I, 103, 4, ad 1). Si danno così diversi fini, subordinati tra loro e diretti al fine ultimo. Le creature meno perfette sono subordinate all'attività di quelle più perfette, perché ad esse sono finalizzate: i minerali dicono ordine alla vita dei vegetali; questi sono ordinati alla vita degli animali, e gli animali alla vita dell'uomo (cfr. De Pot., 5, 9c.; I, 65, 2). Tutto il mondo corporeo è finalizzato all'uomo, o per il sostentamento della vita fisica, o per introdurlo alla conoscenza di Dio (cfr. 4 Sent., 48, 2, le.), perché secondo l'ordine del fine non esiste nulla di più alto e nobile dell'uomo se non Dio, sua perfetta beatitudine (cfr. I-II, 2, 8 ad 2; C. G., IV, 54).

41

parte prima 5. Le caratteristiche della filosofìa

Qualitativamente la filosofia può essere descritta secondo le sue caratteristiche radicali (come tutto), oppure attraverso i suoi modi speciali o parziali (parti o modi).

le CARATTERISTICHE RADICALI

Come unità totale, la filosofia possiede delle caratteristiche che la qualificano intrinsecamente e altre che la determinano secondo punti di riferimento estrinseci.

Intrinsecamente, la qualificazione della filosofia ha un aspetto fisico e uno psicologico.

Quanto all'aspetto fisico, essa è caratterizzabile come un complesso di habitus operativi, cioè di qualità della prima specie, che perfezionano la facoltà intellettiva nel suo esercizio conoscitivo e direttivo dell'azione.

Quanto all'aspetto psicologico, si distinguono due livelli prospettici: quello intellettivo e quello affettivo.

Dalla parte dell'intelletto, la filosofìa gode dello statuto della scientificità, cioè di una conoscenza certa del necessario attraverso le cause proprie.22 Essa, infatti, procede fondandosi semplicemente sul lume naturale della ragione," rispetto alla stessa verità naturalmente

19) Cfr. 1 Ethic., 1. 1.

20) Cfr. 1 Poi., 1. 1.

21) Cfr. I-II, 57, 2. •

22) Cfr. 1 Post., 1. 4; 4 Met., 1. 4; 2 Cael. Mundo, 1. 17. Il sapere in senso assoluto, pur nel rispetto delle diverse materie (non si possono ammettere gli stessi parametri ed esigenze metodologiche per i diversi oggetti conoscibili, cfr. In I Sent., prol. 5; In II Metaph. 1. 5, n. 334), aspira, a uno stadio di incontrovertibilità. «ErnoTCìo'frai óè oló-^lE'ft'ExaoTOv b.Jikwc,, ak\a |^t) tòv ooquoTixòv toótov tòv Mata oi)(xpEp'rixós, ótoiv tt)v T'aiTiav oicò[ie0a yivc&oxEiv 81' f\v to 7(Q<v/f}à eotiv, óti ekeivot) a'iTia eoti, xai (ir| èvóé%E(rf)ai tow' aXÀcoc; e/eiv», aristotele, Analytica Posteriore, A, 2, 716, 5-10. «De natura scientiae est quod id quod scitur existimetur esse impossibile aliter se habe-re» 5. Th., II-II, 1, 5, ad 4. Ove non si realizzi il sapere in senso assoluto, ma solo attraverso ragioni dialettiche - cioè comuni e non proprie -, non si da abito scientifico, bensì semplice opinione. Non si tratta di un vero habitus, ma di una pura disposizione, perché non gode della fermezza necessaria allo statuto di habitus. Data la contingenza del suo oggetto, l'opinione si presenta sempre con il timore della verità della tesi opposta (cum formidine appositi), cfr. S. Th. 79, 9, ad 4.

") Cfr. In B. Trin., Prol., 2, 3.

42

Natura e proprietà della razionalità filosofica

conoscibile e non alle opinioni, perché lo studio della filosofìa non è finalizzato alla conoscenza di ciò che è stato detto dagli uomini, ma alla conoscenza del vero;24 del resto, ciò che giova alla perfezione dell'intelletto non è ciò che si pensa o si desidera comunemente, ma solo il grado di verità delle cose ritenute.25 Il procedimento filosofìco, però, implica anche il confronto dialogico, sia per un aiuto diretto, giacché chi ci ha preceduti nella scoperta della verità ci pone in una posizione vantaggiosa per approfondirla,26 sia per un aiuto indiretto, perché nella ricerca della verità è molto utile cimentarsi con le ragioni delle opinioni contrarie.27 Tale cimento è certamente utile in senso positivo, perché ovunque ci sono germi di verità, non esistendo una dottrina a tal punto falsa da non contenere in sé, mescolato agli errori, qualcosa di vero.28 Ma l'utilità di tale cimento traspare anche su un piano negativo, perché la disputa dialettica ha una funzione chiarifica-trice: resistendo alle contraddizioni si confuta il falso e si mostra più nitidamente la verità.29 "

Dalla parte dell'affettività, la filosofia è perfettiva secóndo' la virtù^ e il diletto,31 mitigando la tristezza.32

Sempre colta nella sua totalità, la filosofia, come la ragione di cui è perfezionamento, si caratterizza estrinsecamente per la subordinazióne alla fede. Questa subordinazione è duplice, cioè ha una funzione positiva e una negativa.

La filosofia si subordina positivamente alla fede e alla Sacra Doc-trina perché il suo fine è subordinato al fine di queste ultime.33 La fede e la Sacra Doctrina, infatti, introducono alla conoscenza soprannaturale di Dio, con ragioni divinamente ispirate; la filosofia, invece, introduce alla conoscenza naturale di Dio, con ragioni desunte dalle creature. In questo senso, la filosofia dimostra quelle verità di ordine naturale che sono presupposte dalla fede come necessarie alla scienza che da essa nasce (praeambula fidei: es. esistenza di Dio e attributi

24) Cfr. 1 Cael. Mando, \. 22.

s) Cfr. I, 107, 2.

2<-) Cfr. 2 Met., 1. 1. .

27) Cfr. ibid.; 1 Cael. Mundo, 1. 22.

28) Cfr. I, 102, 5, ad 4; ,,

•"') Cfr. De perfect. vitae spirìt., 26. ,, 30) Cfr. l.Sent.. ProL, 1, 1, ad 2. ") Cfr. 10 Ethic., 1. 10.

32) La contemplazione anche filosofie» è annoverata da S. Tommaso tra i rimedi indiretti della tristezza: cfr. I-II, 38, 4. ") Cfr. 1 Sent., ProL, 1, 1.

43

parte prima

divini, immortalità dell'anima umana, libero arbitrio e precetti della legge morale naturale); essa coordina e notifica con analogie di ordine naturale (piano culturale) le verità soprannaturali; infine combatte le ragioni contrarie alla fede, mostrandone la falsità o la non necessità (i misteri della fede non sono evidentemente contraddittori), oppure proponendo e verificando i motivi di credibilità (es. miracoli e profezie).34 D'altra parte, la fede e la Sacra Dottrina suppliscono all'imperfezione conoscitiva della filosofia circa le cose divine soprannaturali (per se} e anche circa le cose umane (per accidens).35

La filosofia si subordina negativamente alla fede e alla Sacra Doc-trina perché la fede soprannaturale corregge l'errore della filosofia.36 Essendo infatti Dio l'unica fonte del lume naturale della ragione e del lume soprannaturale della fede, se ci fosse opposizione tra verità di fede e di filosofia, Dio stesso sarebbe assurdamente autore dell'errore.37 Dunque ciò che è contrario alla fede non è filosofia, ma suo abuso e corruzione, come quando si usano opinioni che distruggono qualche parte della stessa scienza fìlosofica (positiones extraneae): per es. negare il movimento è distruggere la filosofia naturale;38 oppure si pretende di ridurre all'argomentazione dimostrativa, propria della filosofia, ciò che si deve tenere solo per fede.39 Così lo studio della filosofia, nella sua corretta applicazione, rimane lecito e lodevole.40 Del resto,

34) Cfr. I, 1, 8, ad 2; II-II, 1, 6; 2, 10; 5, 2; In B. Trin., ProL, 2, 3.

35) Cfr. I, 1, 1; 1 Sent., I, 1, se. 2.

36) Nell'ambito generale del tema della subordinazione della filosofia alla fede si situa il problema della filosofia cristiana. Le diverse soluzioni proposte possono essere così elencate: una filosofia cristiana non esiste e non è possibile, perché autocontradditoria (E. Bréhier); il cristianesimo può influire sulla cultura, ma non sulla filosofia (L. Brunschvicg) ; la filosofia cristiana nasce da un rapporto intrinseco e positivo tra rivelazione e filosofia (E. Gilson); la filosofia cristiana è un plesso: un'essenza calata in una situazione concreta (J. Maritain) ; la filosofia, nel suo nucleo centrale, come vita e coscienza, è già cattolica prima di una mediazione rivelativa categoriale (M. Blondel); la fede approfondisce la ragione e dunque la filosofia (B. Romeyer); la filosofia cristiana non esiste, sarebbe un ibrido tra filosofia e teologia. Si ha solo un influsso psicologico ; indiretto e accidentale della rivelazione sulla filosofia (F. van Steenberghen). Cfr. L. bogliolo, La filosofia cristiana. Città del Vaticano 1986. A nostro modo di vedere la posizione del van Steenberghen sembra la più teoreticamente calibrata: il contributo 'della rivelazione nell'ordine della filosofia è sempre indiretto o per accidens e mai per se, perché la relazione tra il piano naturale e quello soprannaturale non può essere univoca o omogenea, ma solo analogica e accidentale. Cfr. G. barzaghi, Tra filosofia morale e teologia morale. Una polemica, in «Sacra Doctrina» 6 (1990), pp. 620-632.

37) Cfr. In B. Trin., ProL, 2, 3.

38) Cfr. De Malo, 6.

39) Cfr. In B. Trin., ProL, 2, 3. w) Cfr. I, 167, 1, ad 3.

44

Natura, e proprietà della razionalità filosofica

non inquinando la purezza dell'esposizione della Sacra Scrittura, la filosofia non annacqua il vino della sapienza rivelata, anzi essa stessa si vinifica a tale contatto.41

le CARATTERISTICHE QUASI SPECIALI

Le caratteristiche quasi speciali della filosofia si evidenziano con la divisione del tutto complessivo nelle sue parti potenziali o modi. Il concetto di filosofia, infatti, come ogni concetto di ordine metafisico, esprime un tutto potenziale,42 giacché si predica per analogia di attribuzione intrinseca dell'abito filosofico-scientifico (primariamente) e dell'abito filosofico-artistico-strumentale e virtuoso (secondariamente); per analogia di attribuzione estrinseca dell'atto considerativo (primariamente), in relazione alla segnalazione dell'abito, e dell'oggetto (secondariamente), in relazione alla fondazione (causaliter). L'ulteriore divisione del tutto epistemologico che sta sotto il nome filosofia, nel suo significato intrinseco di abito o complesso di abiti, viene operata sulla base della diversità dell'oggetto. La filosofia si divide nelle sue parti secondo i diversi livelli della sapienza, che a loro volta corrispondono ai diversi livelli dell'ordine, suo oggetto proprio.43

Divisione della filosofia nelle sue parti

S. Tommaso distingue due tipi di ordine: un ordine ontologico, che la ragione umana considera ma non fa, e l'ordine operativo, che la ragione umana considerando fa. A sua volta, l'ordine operativo si set-torializza secondo l'ambito dell'operazione, che può esercitarsi sulla ragione stessa, sulle azioni della volontà oppure sulle cose esterne.

All'ordine fondamentale o ontologico corrisponde la sapienza teoretica o speculativa, con diversi livelli determinati dal maggiore o minore coinvolgimento con la materia dell'oggetto considerato: la radice della conoscenza infatti consiste nell'immaterialità.44

41) Cfr. In B. Trin., Prol., 2, 3, ad 5.

42) Cfr. S. ramirez, De ipsa philosophia in universum, Madrid 1970,1, pp. 216-303. Sulla nozione di tutto potenziale cfr. id., De analogia, Madrid 1971, II, pp. 991-1030.

43) Cfr. 1 Ethic., 1. 1. ^ •

44) Cfr. 1 De anima, 1.2.1 diversi livelli dell'oggetto filosofico si evidenziano sulla base dell'astrazione, nozione importantissima e piuttosto articolata nei suoi molteplici aspetti. Usualmente, il termine astrazione ricopre, per estensione analogica, un ampio spazio semantico. Nell'ordine fisico, astrazione significa separazione reale tra due o più entità corporee prima unite; per opposizione alla aggregazione (cfr. 1 Gen. et corrupt., 1. 1 ; 1 Physic., 1. 9; 3 Physic., 1. 10); per opposizione al processo di generazione per addizione (per es. edificazione), quasi nel senso di estrazione (cfr. 1 Physic., .1 12). Nel-

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parte prima

Al livello di ciò che non dipende dalla materia secondo l'essere, si

l'ordine psicologico, S. Tommaso usa il termine astrazione per descrivere fenomeni che si realizzano sia nell'ambito strutturale della vita, sia nel settore specifico della conoscenza. Nell'ambito vitale, dal punto di vista sostanziale, la morte rappresenta l'astrazione del principio vivificante, cioè l'anima, dal corpo (cfr. De Ver. 13, 4; II-II, 175, 5). Dal punto di vista operativo, invece, \ alienazione è l'astrazione per la quale le nostre facoltà non sono più sotto il nostro deliberato dominio, ma si pongono in condizione di estraneità rispetto a noi stessi (cfr. II-II, 175, le; 4c). Quanto all'estensione, questa specie di astrazione può coinvolgere alcune facoltà, non investendone altre (per es., può riferirsi alle operazioni delle facoltà intellettive e non a quelle delle facoltà sensitive e vegetative; cfr. De Ver., 13, 4c); oppure può limitarsi a una sola facoltà. L'intensità di questa astrazione può essere profonda, cioè per concentrazione di tutta l'attenzione e l'energia dell'anima su un determinato oggetto, così che venga sottratta a tutte le altre facoltà: per es., quando si è fortemente concentrati nel vedere qualcosa di interessante, spesso non si avverte nulla uditivamente (cfr. De Ver., 13, 3). E il caso dell'estasi, che può realizzarsi al grado perfetto, secondo astrazione dalle cose e dai sensi esterni, quanto all'intenzione e all'uso di essi; al grado meno perfetto, secondo l'astrazione dalle cose e dai sensi esterni, quanto all'intenzione ma non quanto all'uso (cfr. De Ver., 13, 2). L'intensità relativa dell'astrazione nell'ambito operativo si ha per applicazione parziale del vigore psicologico a diverse facoltà, senza ottenere nell'atto loro proprio una sufficiente attenzione: è il caso della distrazione (cfr. I-II, 33, 3; 77, 1). Nell'ambito strettamente conoscitivo, specificato dall'oggetto, l'astrazione può collocarsi nell'ordine sensitivo o nell'ordine intellettivo. Nell'ordine sensitivo, sia esterno (sensi esterni) che interno (sensi interni), l'astrazione si realizza m due modi: a) per una certa smaterializza-zione alla quale va soggetta la cosa sensibile nel momento in cui si trova nel senso (si tratta di una presenza senza la materia, ma non senza le condizioni materiali individuanti e l'esercizio di un organo corporeo; cfr. 2 De Anima, 1. 24); b) per la percezione del sensibile proprio, prescindendo dagli altri aspetti sensibili riscontrabili nel medesimo oggetto: per es., della medesima mela, l'occhio vede il colore, prescindendo dal sapore percepito dal gusto, ecc. (cfr. I, 85, 2, ad 2). Nell'ordine intellettivo, l'astrazione trova la sua teorizzazione più propria, specifica e articolata, secondo i suoi aspetti generali: a) l'aspetto attivo o formale, cioè l'astrarre (cfr. I, 85, 1, ad 1); b) l'aspetto passivo, sia nel senso di pura denominazione, cioè l'astratto come termine dell'operazione astrattiva, sia nel senso fondamentale e dispositivo, cioè l'astraibilità (cfr. In B. Trin., 2, 1, 3). L'astrazione intellettiva in senso attivo si caratterizza secondo le due tipiche attività dell'intelletto: l'intelligenza per semplice apprensione e per giudizio. Secondo la prima operazione dell'intelletto (simplex apprehensio), che ha per oggetto la stessa natura delle cose, si possono astrarre o separare per modo di definizione (cfr. De Ver., 21, 1, ad 2 in contr. ; De spirit. creat., 11, ad 7) realtà che non si coimplicano essenzialmente, anche se sono congiunte come si collegano la parte e il tutto (per es., si può pensare che cos'è la lettera senza pensare che cos'è la sillaba; l'animale senza pensare le sue specie, anche se non è possibile il contrario); oppure come si collegano la forma alla materia e l'accidente al soggetto (per es., la bianchezza può essere pensata senza l'uomo e viceversa). Gli scolastici evidenziano una duplice modalità di questa astrazione: 1°) positiva o per esclusione, quando per es. penso il concetto uomo escludendo ogni altra specie animale; 2°) negativa o per non esclusione, quando penso per es. il concetto animale senza pensare alle differenze razionale e irrazionale.

Nella seconda operazione dell'intelletto (iudicium), che riguarda l'essere stesso delle cose, si possono astrarre, o meglio separare nel modo dell'enunciazione divisiva vera, quelle cose che sono realmente separate tra loro: per es., posso astrarre la bian-

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Natura, e proprietà della razionalità filosofica

da la sapienza umana in senso assoluto, cioè la Metafisica.^ In questo ambito, se l'oggetto non dipende assolutamente dalla materia (es.

chezza dall'uomo dicendo: «l'uomo non è bianco», solo se realmente l'uomo che intendo non ha tale caratteristica, altrimenti sono nel falso (cfr. In B. Trin., 2, 1, 3; I, 85, 1, ad 1). L'astrazione in senso passivo fondamentale si distingue in due livelli a partire dai due presupposti che dispongono all'astrazione stessa: la composizione e la distinguibi-lità degli astraibili (cfr. In B. Trin., 2, 1, 3).

Quanto alla composizione degli astraibili, l'astrazione segue i due tipi fondamentali di composizione, cioè secondo il tutto e le parti, oppure secondo la forma e la materia.

L'astrazione fondata sulla composizione del tutto con le parti è denominata dagli scolastici, sulla scia del Gaetano, astrazione totale. Essa è l'astrazione del tutto dalle sue parti ed è possibile quando nella definizione del tutto non rientrano essenzialmente le sue parti. Per es., non è possibile astrarre l'essenza di uomo dalle sue parti specifiche o formali - cioè l'anima razionale e il corpo organico -, perché ne costituiscono la definizione; è invece possibile astrarre totalmente la nozione di uomo dalle sue parti puramente materiali individuanti, come questa anima e questo corpo, oppure le mani, i piedi ecc. (cfr. In B. Trin., 2, 1, 3; I, 40, 3; 3 Met., 1. 7). Si tratta dell'astrazione dell'universale dal particolare, e così essa considera solo il termine di arrivo (terminus ad quem) dell'atto astrattivo, prescindendo dal contenuto di partenza {terminus a quo; per es. prescindendo dalla differenza razionale nel concetto di uomo, non rimane più il concento della specie uomo, ma solo quello del genere prossimo animale. Cfr. I, 40, 3). E un'astrazione di ordine puramente logico (intentici secando), in quanto opposto a reale, giacché significa in modo indistinto e confuso tutto ciò che è nella specie, e la specie tutto ciò che è nell'individuo (cfr. De ente et ess., 3; 1 Physic., 1. 1). Questa astrazione garantisce l'universalità che è condizione di ogni scientificità, come di ogni intelligibilità per noi (^aoafi? noi; cfr. 1 Post., 1. 4;InB. Trin., 2, 1, 3; 2 Physic., 1. 1; 1 Met., 1. 2;!, 85, 3). L'astrazione fondata sulla composizione della forma con la materia viene denominata astrazione formale. Essa è infatti l'astrazione della forma dalla materia ed è possibile solo nel caso in cui la materia non rientri nella definizione della forma. Le forme sostanziali non possono essere concepite senza le rispettive materie sensibili: l'uomo non può essere concepito senza il corpo, senza carne e ossa in universale, anche se si prescinde da questo corpo, questa carne e queste ossa in individuo. Tuttavia, poiché gli accidenti si riferiscono alla sostanza con un certo ordine, è possibile concepire la quantità indipendentemente dalla qualità che la segue: si può concepire la sostanza con la quantità, cioè la materia intelligibile universale (numero, dimensione, figura), senza le qualità sensibili. Alcuni dati infine possono essere astratti dalla stessa materia intelligibile universale, rientrando nell'ambito della pura immaterialità, come l'ente, l'uno, la potenza e l'atto e gli altri concetti metafisici (cfr. I, 85, 1, ad 2; In B. Trin., 2, 1, 3). L'astrazione formale coglie direttamente l'essenza (intentici prima) di una cosa. Perciò essa considera sia il punto di arrivo che il punto di partenza dell'atto astrattivo (per es., se si astrae la forma circolare da un cerchio di bronzo, sono presenti nel nostro intelletto sia il concetto di cerchio che quello di bronzo; e così sono possibili le scienze medie (come l'astronomia) (cfr. I, 40, 3). Si tratta di un'astrazione di ordine propriamente reale, in quanto indica in modo distinto e perfetto l'attualità nei suoi diversi gradi di perfezione (quanto più un oggetto è semplice e astratto, tanto più è per sé nobile e elevato; cfr. I, 82, 3c). L'astrazione formale è specificativa delle diverse scienze, m quanto determina le diverse prospettive nelle quali traspare il medio formale dimostrativo (rado propter quid) delle conclusioni. Infatti le diverse scienze si distinguono specificamente secondo il diverso modo di definire (cfr. 1 De Anima, 1. 2; 6 Met., 1. 1 ; 11 Met., 1. 7; 1 Physic., 1. 1; I, 1, 1, ad 2; 1-11, 54, 2, ad I e ad 2), che consegue ai diversi modi o livelli di astrazione dalla materia (cfr. In B. Trin., 2, 1, 2). Quanto alla distinguibilità degli astraibili, l'astrazione assume la denominazione e le caratteristiche della distinzione. Due sono i tipi

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parte prima

Dio), abbiamo la Teologia filosofica* o naturale, come sarà poi chiamata per distinguerla da quella soprannaturale che appartiene a un genere totalmente diverso.47 Se invece l'oggetto dipende solo relativamente dalla materia, perché può realizzarsi anche indipendentemente da essa (per es. la sostanza, la qualità, la potenza e l'atto, l'uno e i molti), allora abbiamo quella parte della metafisica che successivamente sarà chiamata Ontologia.

Al livello di ciò che dipende dalla materia sensibile, si da la sapienza umana relativa o puramente scientifica.

fondamentali di distinzione: quella reale e quella di ragione (cfr. 1 Sent., 34, 1, 1, ad 2;

I, 41, 4, ad3). La distinzione reale e quella che si istituisce tra cose tra loro essenzialmente separate prima di un intervento di ordine intellettivo (per es., tra questo foglio di carta e la mia matita). La distinzione di ragione o intelligibile si istituisce tra due o più concetti o definizioni di una stessa realtà (per es., distinguiamo nell'uomo l'animalità e la razionalità). Gli scolastici articolano questa distinzione in due livelli, sulla base di una fondazione prossima nell'eminente perfezione della stessa realtà (cfr. 1 Sent., 2, 2 e 3; De Pot., 7, 5 e 6), inesauribile quanto a comprensione da un semplice atto del nostro intelletto finito (cfr. 1 Sent., 2, 3c; 22, 3c), oppure sullo stesso intervento dell'intelletto sul suo elaborato concettuale, pur sempre remotamente fondato sulla realtà oggettiva (cfr. De Pot., 7, de; 4 Met., 1. 4; 1 Sent., 2, 3c). La distinzione fondata prossimamente nell'eminenza o profonda virtualità della realtà è classificata come distinzione di ragione ragionata. Essa si dice perfetta quando di una medesima realtà si possono formare due o più concetti completamente autonomi e indipendenti tra loro. Per es., nell'uomo possiamo distinguere il concetto di animalità da quello di razionalità, i quali non si includono, non si complicano: posso pensare l'animalità senza pensare la razionalità e viceversa. La precisazione di tale distinzione è massima, di tipo non inclusivo o quasi esclusivo, appunto per le ragioni addotte. Essa si dice invece imperfetta, quando i diversi concetti o definizioni che si possono formare della stessa cosa non sono indipendenti tra loro, ma uno è incluso nell'altro, come le nozioni di sostanza e di accidente o dei trascendentali sono incluse in quella di ente. Ente, infatti, è ciò che ha l'essere in qualunque modo: nel modo della sostanza e nel modo dell'accidente; quindi include nella propria nozione, in modo implicito, le nozioni di sostanza e di accidente. La precisione di questa distinzione è detta maggiore, o di tipo inclusivo, nel senso che in questo caso si distingue per non esplicitazione. La distinzione di ragione fondata remotamente nella realtà e prossimamente nell'atto intellettivo è classificata come distinzione di ragione ragionante. Si dice perfetta, quando si effettua tra l'intenzione prima (intenti» prima) e l'intenzione seconda (intendo secunda) di una stessa realtà. Per es., se distinguiamo tra il concetto diretto di animale, secondo la sua definizione essenziale, e il concetto logico dello stesso, cioè come genere prossimo. La precisione che caratterizza questo tipo di distinzione è detta minore e quasi per esclusione o non inclusione. La distinzione di ragione ragionante si dice imperfetta, se si effettua tra due o più intenzioni seconde di una medesima realtà. Per es., sempre nel caso del concetto di animale, si da questa distinzione tra la sua nozione logica di genere prossimo e quella di specie subalterna; oppure si può dare il caso della distinzione tra la nozione di soggetto e quella di predicato rispetto allo stesso termine, come si da nei giudizi tautologici: Pietro è Pietro. La precisione che caratterizza questo tipo di distinzione è detta minima, perché è per quasi inclusione.

45) Cfr. In B. Trin., 2, 1.

•"i) Cfr. In B. Trin., 2, 1, 4.

47) Cfr. I, 1, 1, ad 2.

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Natura, e proprietà della razionalità filosofici

Se l'oggetto dipende dalla materia secondo l'essere ma non secondo la considerazione intellettiva (definizione), allora abbiamo la Matematica, che si sottodivide in pura e applicata. La matematica pura. considera la quantità in quanto misurabile:48 alla quantità discreta (numero) corrisponde \'Aritmetica; alla quantità continua (esteso) corrisponde la Geometria. La matematica applicata, che considera formalmente ciò che è propriamente matematico e solo materialmente ciò che è fisico e naturale, applica i princìpi matematici alla realtà naturale. Per es., nella musica teorica si studiano i suoni non in quanto tali, ma in quanto numericamente proporzionali; nelF'astronomia si studiano le orbite dei pianeti secondo i princìpi dell'aritmetica e della geometria.49

Se l'oggetto dipende dalla materia sensibile sia secondo l'essere che secondo la considerazione intellettiva, abbiamo la Filosofia naturale o Fisica. Essa considera in genere la natura del moto e delle cose mobili, cioè corporee.50 In specie:51 quando si occupa delle cose mobili per moto locale, o per generazione e corruzione, che suppongono l'alterazione, terminano all'accrescimento e si fondano sugli elementi, essa ricopre la competenza di quella che oggi chiamiamo Cosmologia;

quando studia i composti inanimati abbiamo la Mineralogia; quando invece studia i composti animati o viventi essa è specificamente Scienza dell'anima.'31 In questo caso essa considera, sotto l'aspetto filosofì-co cioè razionale o universale, ciò che sperimentalmente è oggetto di quelle scienze che oggi chiamiamo biologia, botanica, zoologia, antropologia e scienze umane; il suo vertice si situa nello studio dell'anima umana:53 il termine moderno con il quale si indica questo livello della scienza è Psicologia razionale o filolofica.

All'ordine operativo corrisponde la sapienza in senso relativo-pratico.

Se l'ordine della ragione è posto dalla ragione nella ragione stessa, abbiamo la Filosofia razionale o Logica, che è scienza del procedimento razionale e arte che guida il processo scientifico. Allo sviluppo dell'attività razionale secondo il processo necessario e rigoroso presiede la logica Giudicativa, o Analitica, o Dimostrativa, la quale risolve

48) Cfr. 11 Met., 1. 4.

49) Cfr. In B. Trin., 2, I, 3, ad 6.

50) Cfr. 8 Physic., I. 5.

51) Cfr. De gen. corrupt., Prol.

''•') Cfr. 1 De anima, \. 1.

") Cfr. 1 Physic., 1. 1.

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parte prima

ogni asserto nell'evidenza dei primi principi, sia badando al semplice rigore della correttezza formale (logica formale), sia considerando la necessità connettiva dello stesso contenuto (logica materiale). Al procedimento contingente presiede la logica Inventiva, che si articola ulteriormente secondo tré gradi di certezza relativa: alla opinabilità del probabile risponde la Topica, o Dialettica, o Tentativo; alla tenden-zialità del sospetto presiede la Retorica; alla persuasività rappresentativa, invece, si dedica la Poetica. Il campo di azione della Sofistica, infine, è il procedimento difettoso ed erroneo.54

A questo livello della razionalità possono collocarsi anche le altre Arti liberali che riguardano l'attività spirituale dell'uomo.55

Se l'ordine della ragione è posto nelle azioni volontarie, abbiamo la Filosofia morale. Essa riguarda le azioni umane ordinate al fine, considerando l'uomo come singolo (morale monistica), oppure come parte della società domestica (morale economica) o civile (politica)."*

Se l'ordine della ragione è posto nelle cose esterne, infine, abbiamo le Arti meccaniche, cioè la sapienza poietica, che si avvale della corporeità e dell'operatività transitiva, perfettiva di ciò che è altro dal soggetto agente in quanto tale.57

Le caratteristiche delle parti della filosofia i. Là metafìsica

La metafisica ha tré caratteristiche distintive: l'intellettualità, l'ar-chitettonicità, il metodo insieme razionale e intellettuale.

La metafisica è scienza sommamente intellettuale. Infatti essa ha come soggetto proprio l'ente in quanto ente,58 o ente comune,59 cioè tutte le cose60 dal punto di vista della loro semplice entità (ratto uni-versalis entis), prescindendo da qualsiasi connotazione particolare e astraendo da ogni contenuto materiale: non solo individuale e sensibile, ma anche intelligibile.61 Essa mette rigorosamente a tema ciò che è

54) Cfr. Post., Prol.

55) Cfr. In B. Trin., 2, 1, 1, ad 3; 1 Met., 11. 1 e 3; I-II, 57, 3, ad 3.

'"•) Cfr. I Ethic., 1. 1.

57) Cfr. In B. Trin., 2, 1, 1, ad 3.

58) Cfr. 11 Met., 1. 3.

5") Cfr. Met., Prol.

60) Cfr. Comp. Theol., 1. 22.

") Cfr. 1 De anima, 1. 2; 1 Physic., 1. 1; 11 Met., I. 7.

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Natura e proprietà della razionalità filosofica.

implicito nella conoscenza comune: l'ente infatti è ciò che viene concepito per primo dall'intelletto, e in esso vengono risolti tutti i principi conoscitivi.62 Perciò spetta alla metafisica trattare della natura e delle proprietà dell'ente.

Quanto alla natura, l'ente è descritto come ciò che (soggetto) da-per-in un'essenza ha l'essere.63 Se si assume il termine ente in senso nominale, esso indica l'essenza e connota l'essere: si divide analogicamente secondo i dieci generi supremi o categorie64 e fonda la metafisica come ontologia. Se invece si assume il termine ente in senso partici-piale, esso indica l'essere o l'atto di essere: si predica essenzialmente di Dio (Ipsum esse per se subsistens) e, per partecipazione, della creatura, nella quale si trova come accidente.65 Letto in questa prospettiva, l'ente fonda la metafisica come teologia filosofica.

Quanto alle proprietà, nell'ente si distinguono due aspetti: uno trascendentale e uno predicamentale; secondo entrambi gli aspetti la metafisica studia ciò che appartiene per sé all'ente come tale.66

Secondo l'aspetto trascendentale, se si considera l'ente dal punto di vista logico-ontologico, la metafisica mette in evidenza i primi princìpi (assiomi), riducibili al principio di non contraddizione e fondati sul concetto stesso di ente. Tali princìpi comuni sono applicabili analogicamente nelle materie proprie delle singole scienze.67 La metafisica individua poi l'ordine analogico tipico del concetto di ente.68 Se si considera l'ente dal punto di vista propriamente ontologico, la metafisica mette in evidenza le caratteristiche trascendentali dell'ente, cioè quelle proprietà coestensive all'ente stesso con il quale si identificano, pur distinguendosene per un particolare modo di significarlo (res, uniim, aliquid, veruni, bonum); w essa segnala anche i gradi di

") Cfr. De Ver., 1, 1.

") Cfr. De ente et ess., 1.

M) Cfr. 1 Sent., 19, 5, 1, ad \;De Malo, 1, 1, ad 19;De Pot.,7, 2, ad 1; C. G., Ili, 9; De Ver., 1, 1; I, 48, 2, ad 2.

65) Cfr. Quodl., II, 2, 1.

") Cfr. 4 Met., 1. 1.

«7) Cfr. 11 Met., 1. 2.

68) II concetto di ente è analogo perché esprime un contenuto semplicemente diverso e relativamente uguale per tutti i soggetti dei quali si predica. Esso esprime tutta la realtà e totalmente secondo tutti i suoi valori o modalità differenziali, giacché questi si trovano inclusi intrinsecamente in esso in modo attuale, anche se implicito e confuso, e secondo relazione gerarchica. Il concetto di ente indica ciò che ha l'essere in qualunque modo : a modo della sostanza (ciò alla cui essenza compete l'essere in sé) o a modo dell'accidente (ciò alla cui essenza compete l'essere in altro o nella sostanza).

^) Cfr. De Ver., 1, 1.

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parte prima

perfezione, secondo l'attualità e potenzialità, nella loro varietà analogica.

Secondo l'aspetto predicamentale, la metafisica tratta dei modi quasi speciali di essere, che rispondono ai dieci supremi generi di ente.

A questo livello di indagine, la presente scienza è detta propriamente metafisica o transfìsica perché l'individuazione di queste caratteristiche comuni avviene per risoluzione a partire da quelle meno comuni.70

Ma la metafisica è scienza sommamente intellettuale anche perché ha come termine della sua ricerca la scoperta delle cause dell'ente comune, le quali sono principio della certezza intellettuale.

Nell'ambito intrapredicamentale, la metafìsica individua analogicamente le cause intrinseche dell'ente: a modo di causa formale, giacché l'essenza, cioè l'ente reale comune alle dieci categorie, viene significata secondo la causa formale (es. umanità = ciò per cui l'uomo è uomo);71 a modo di causa quasi materiale in qua, 72 giacché la sostanza è il soggetto quod di tutti gli altri accidenti, tra i quali gli anteriori fungono da soggetto quo dei posteriori.73 Quanto alle cause estrinse-che: la causa efficiente è presente nel rapporto tra l'accidente naturale o proprio e i princìpi intrinseci del soggetto che lo causano;74 la causa finale, invece, è individuata nell'orientamento perfettivo degli accidenti verso la sostanza.75

Nell'ambito extrapredicamentale, la metafisica considera le cause analogicamente intrinseche: a modo di causa formale, sempre perché l'essenza è significata a modo di causa formale; a modo di causa quasi materiale, perché l'essenza finita viene comparata all'essere (esse) partecipato, come la potenza all'atto e la materia alla forma.76 Quanto alle cause estrinseche: il Dio creatore è scoperto come causa efficiente della realtà finita, perché ciò che ha l'essere per partecipazione è causato dall'essere per essenza;77 il Dio creatore è anche il fine ultimo della realtà creata. Poiché Dio è la prima causa o principio incausato di

7t>) Cfr. Met., Prol.; In B. Trin., 2, 1, 4.

71) Cfr. 3 Met., 1. 4.

") Si parla di materia in qua intendendo ciò in cui si trova una data forma accidentale come nel suo soggetto di inerenza.

") Cfr. 3 Sent., 33, 2, 4, 1; I, 77, 7, ad 2; I-II, 56, 1, ad 3; II, 77, 2, ad 1.

74) Cfr. De Malo, 4, 2, ad 9.

") Cfr. C. G., Ili, 75.

7') Cfr. In De Causis, prop. 9; I, 90, 2, ad 1.

77) Cfr. I, 44, 1; 61, 1; C. G., II, 15; De Pot., 3, 5.

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Natura e proprietà della razionalità filosofica

tutta la realtà finita, questa scienza è detta filosofia prima;79 in quanto invece Dio è la sostanza sussistente in modo assolutamente Separato dalla materia, essa (anche se non lo considera come suo soggetto proprio, ma come principio del mondo) è detta teologia.79'

La metafisica è anche scienza architettonica per eccellenza.80 Secondo la causa finale, essa subordina al proprio fine tutte le altre parti della filosofia, perché in essa si raggiunge il vertice della contemplazione81 e le altre parti della filosofia sono in un certo modo a essa finalizzate,82 così che i loro stessi princìpi vengono usati in alcune sue argomentazioni (per es. la metafisica usa l'analisi del modo per dimostrare l'esistenza di Dio).83

Secondo la causa efficiente, la metafisica partecipa alle scienze dimostrative più particolari i princìpi comuni (assiomi), per applicazione analogica o proporzionale al genere-soggetto di ogni singola scienza.84 Per es., l'assioma metafisico: «se da oggetti uguali tolgo rispettivamente oggetti uguali, gli oggetti rimanenti sono uguali» diviene in matematica: «se da grandezze uguali sottraggo uguali grandezze, le rimanenti sono uguali».85 Essa conferisce alle singole scienze anche i princìpi loro propri:86 quanto all'essere del soggetto (an sit), perché tutte le scienze suppongono che il loro soggetto proprio sia, compe-tendo tale diagnosi alla metafisica che ha per oggetto l'ente in quanto ente;87 quanto all'essenza del soggetto (quid su), perché le scienze particolari non trattano della essenza delle cose (quidditas) come la metafisica ma si affidano a descrizioni fenomeniche (per id quod appa-ret sensui; per es. la zoologia), oppure suppongono come principio dimostrato che cos'è il proprio soggetto, desumendolo da un'altra scienza. Per es. la geometria deriva dalla metafisica la nozione di grandezza,88 perché è proprio della metafisica considerare la quantità in quanto quantità.89 Solo dai diversi modi di definire delle varie scienze

78) Cfr. Met., Prol.

7') Cfr. ibid.; In B. Trin., 2, 2, 4.

80) Cfr. 1 Post., 1. 17; 1 Met., 1. 2.

") Cfr. In Jo., Prol.

82) Cfr. C. G., I, 4; 6 Ethic., 1. 7; 1 Met., 1. 2.

83) Cfr. In B. Trin., Prol., 2, 3, ad 7; C. G., II, 4.

84) Cfr. C. G., Ili, 25.

85) Cfr. 1 Post., I, 18.

86) Cfr. 6 Ethic., 1. 6; 1 Post., 1. 5.

87) Cfr. 6 Met., 1. 1; 1 Post., 1. 18.

88) Cfr. 6 Met., 1. 1.

s9) Cfr. 11 Met., 1. 4.

53

parte prima

.nascono i diversi modi dimostrativi propn, per i quali vengono argomentate le proprietà (passiones) dei diversi soggetti studiati.90 .,.;

La metafisica giudica anche i primi princìpi:91 li riporta per via di chiarificazione al primo concetto di ente, sul quale si fondano,92 e disputa contro chi li nega, attraverso la riduzione all'assurdo.93

La metafisica procede con metodo razionale-intellettuale. Procede con metodo razionale quanto ai princìpi, come la logica con la quale ha una certa comunanza analogica di soggetto (i princìpi comuni a Ogni cosa),94 anche se argomenta dimostrativamente, cioè senza cadere nell'opinabilità dialettica.95 Più tipicamente, però, la metafisica possiede un metodo intellettuale o risolutivo: passando di nozione in nozione, giunge a risolvere analogicamente i concetti trascendentali in quello di ente;96 passando di cosa in cosa, giunge alla risoluzione analogica dell'ente comune predicamentale, accidentale nella sostanza finita, e dell'ente comune sostanziale, finito e creato nella sostanza increata e creatrice.97

In entrambi i casi il discorrere metafisico prescinde da ogni riferimento terminale all'immaginazione.98

2. La, matematica

La matematica è scienza astratta per eccellenza e procede con me-,todo disciplinare.

La matematica è scienza astratta in senso forte perché considera formalmente le proprietà della quantità non in quanto accidente (oggetto della metafisica e della fisica), ma in quanto misurabile, cioè come corpo matematico caratterizzato dalle tré dimensioni.99 In altre parole, essa studia le relazioni di proporzione (ratio) o di proporzionalità (proportio) tra le diverse quantità dimensionali, secondo uguaglianza o disuguaglianza per eccesso o difetto. Materialmente, la ma-

'°) Cfr. 1 Post., 1. 18. ") Cfr. I-II, 57, 2, adi. 92) Cfr. 1 Post., 1. 20.

") Cfr. I, 1, 8; C. G., I, 1; III, 25; 4 Met., 1. 17; 2 Physic., 1.2; 3 Sent., 35, 2, 1, 1, ad 1.

94) Cfr. In B. Trin., 2, 2, 1.

<15) Cfr. 1 Post., 1. 20; 4 Met., 1. 4.

%) Cfr. In B. Trin., 2, 2, 1.

97) Cfr. 6 Met., 1. 1; In B. Trin., 2, 1, 4; v. Logica.

w) Cfr. In B. Trin., 2, 2, 2. Si è nell'ambito dell'immaterialità.

") Cfr. 5 Met., 1. 17.

54

Natura, e proprietà della, razionalità filolofica

tematica può considerare anche le realtà fisiche, in quanto viene ad esse applicata. Le matematiche applicate sono perciò scienze subalterne alla matematica pura, perché assumono come propri principi le conclusioni della matematica e le applicano alle realtà fisiche, come la forma alla materia.'°° Esse si limitano alla conoscenza di una fattualità (sapere che una cosa è = quia est); per es. nella musica le altezze e le tonalità sonore ricevono la ragione regolatrice e giustificatrice (prop-ter quid) dalla scienza superiore subalternante, che determina le distanze proporzionali e frazionarie tra le quantità numeriche.101

La matematica procede con metodo disciplinare: le matematiche sono discipline per eccellenza.102 Infatti il tipo di considerazione scientifica che le caratterizza è il più facile e il più certo. E il più faci-fe103 perché la matematica definisce e dimostra attraverso la sola causa formale,104 astraendo non solo dalla materia individua, ma anche da quella sensibile e limitandosi a quella puramente intelligibile;105 poi perché termina a un giudizio che implica il riferimento all'immaginazione;'06 quindi perché ha quasi una funzione introduttiva alle altre parti della filosofia, come fa la logica.107 Ma la matematica è il tipo di considerazione scientifica/';» certo, perché, astraendo da ogni mobilità, possiede una conoscenza più ferma: al soggetto della matematica non è possibile che accada, in qualche caso, di essere diversamente da come è.108 In questo modo, la matematica rappresenta la scienza esatta in senso stretto,109 la cui necessità e a priori: data la causa, segue necessariamente l'effetto (es., posta la somma in base decimale 2+2, segue ex necessitate il risultato 4).110

3. La filosofia naturale

La filosofìa naturale o fisica, o filosofìa seconda è eminentemente sperimentale e segue un metodo razionale quanto allo stesso sviluppo.

100) Cfr. 1 Sent., Prol., 3, 2.

101) Cfr. 1 Post., 1. 25.

102) Cfr. 1 Post., 1. 42.

103) Cfr. In B. Trin., 2, 2, 1.

104) Cfr. 1 Post., 1. 4; De Pot., 6, 1, ad 11; In B. Trin., 2, 2, 1.

105) Cfr. 1 De anima, 1. 2; 1 Physic., I. 1; 11 Met., 1. 7.

106) Cfr. In B. Trin., 2, 2, 2.

107) Cfr. In B. Trin., 2, 1, 1, ad 3.

108) Cfr. In B. Trin., 2, 2, 1.

109) Cfr. 2 Met., 1. 5; 1 Post., 1. 1.

"°) Cfr. 1 Post., 1. 43.

55

parte prima

La filosofia naturale è una scienza eminentemente sperimentale111 non solo quanto al principio - il che vale per tutte le scienze particolari non subalterne e altre quanto ai princìpi propri -,112 ma anche quanto al processo inquisitivo e al termine.

Quanto al processo inquisitivo, la filosofia naturale è sperimentale perché il suo soggetto proprio è la realtà sensibile coinvolta strutturalmente nella mobilità, e le cui leggi non godono di una necessità assoluta, ma si manifestano secondo la maggior frequenza (ut frequenter) dei casi constatati. Essa fornisce cioè una certezza scientifica solo a •posteriori, mai a priori. Per es., è necessario (a posteriori) che preesista il seme specifico se si genera una determinata pianta; ma non è detto (a priori) che, dato il seme specifico, la pianta si generi: può intervenire un impedimento generativo.113 Nel suo processo di ricerca, la filosofia naturale avanza in due modi. Attraverso la dimostrazione assegna a un dato fenomeno la sua causa reale. Così essa, che nel suo proprio modo di definire prescinde dalla materia individua, ma non da quella sensibile,114 dimostra secondo tutte le quattro cause:115 secondo la causa formale, quando per es. si dimostrano i prerequisiti della generazione a partire dal suo termine (se deve nascere un uomo occorrono un seme e un agente umani); secondo la causa materiale, quando per es. si dimostra la mortalità dell'uomo dal fatto che egli è dotato di un corpo corruttibile; secondo la causa efficiente, quando per es. si prova che l'eclissi di sole è dovuta all'interposizione della luna tra la terra e il sole; secondo la causa finale, quando per es. si argomenta circa la struttura del corpo umano e la conveniente disposizione delle sue parti in funzione dell'anima razionale, oppure intorno alla conveniente disposizione e complessità delle facoltà dell'anima in funzione della ragione."6 Ma la filosofia della natura procede anche attraverso congetture, cioè ipotesi o spiegazioni puramente probabili. Tali congetture riescono a spiegare alcuni fenomeni, anche se non sono necessariamente vere; perciò possono essere sostituite da altre, dopo la scoperta di fenomeni non più interpretabili con le prime (per es., il sistema tolemaico è stato sostituito con quello copernicano).117

lu) Cfr. In B. Trin., 2,2,2.

"2) Cfr. 1 Met., 1. 1.

113) Cfr. 1 Post., 1. 42.

1H) Cfr. 1 De anima, 1. 1; 1 Physic., 1. 1.

"5) Cfr. 1 De anima, 1. 2; 2 Physic., 11. 11 e 15.

lu) Cfr. De anima, 8; I, 65, 2; 78, 3; 91, 3.

"7) Cfr. I, 32, 1, ad 2; 2 De Cael. Mundo, \. 17.

56

Natura e proprietà della razionalità filostìfica.

Quanto al termine della ricerca, la filosofìa della natura è scienza sperimentale perché occorre giudicare delle cose naturali secondo quanto consta al senso.118

La filosofia della natura procede con metodo razionale per connaturalità al dinamismo conoscitivo della ragione umana,119 la quale passa dal sensibile all'intelligibile, cioè da ciò che è più noto a noi a ciò che è più noto per natura, attraverso argomentazioni per segno, o per effetto (dall'effetto alla causa). La ragione umana procede anche dalla conoscenza di una cosa alla conoscenza di un'altra attraverso l'ordine della causalità estrinseca efficiente e finale. Occorre però notare che, tra le parti della filosofia naturale, la scienza dell'anima (psicologia), in quanto studia l'anima umana come unica forma sostanziale del corpo umano, appartiene a pieno titolo al settore del sapere naturale così descritto; in quanto invece studia l'anima umana come entità spirituale separabile dal corpo e sussistente, essa sfocia nella metafisica.120 L'anima umana, infatti, essendo nello stesso tempo sostanza spirituale e forma sostanziale del corpo, è orizzonte e confine tra il corporeo e l'incorporeo.121

4. La logica

La logica è una scienza-arte razionale o speculativa e procede con metodo razionale quanto ai princìpi.

La logica è una scienza-arte razionale o speculativa perché studia l'operato della ragione, cioè il pensato in quanto pensato e introduce Strumentalmente a ogni altra scienza reale, indicandone le modalità e guidandone formalmente l'esercizio.122

La logica procede con metodo razionale quanto ai princìpi perché usa come princìpi le leggi del pensato in quanto pensato, cioè i rapporti o le relazioni di ragione tra genere, specie, differenza ecc., nelle definizioni, nei giudizi e nelle argomentazioni. Definisce e dimostra secondo la sola causa formale,'23 ottenendo un assoluto rigore nel proprio ambito™ e mostrando una certa affinità con la metafisica: coestensione dei soggetti propri e analoga modalità di predicazione.125

118) Cfr. In B. Trin., 2, 2, 2.

119) Cfr. In B. Trin., 2, 2, 1.

120) Cfr. 2 Physic., 1. 4. u1) Cfr. C. G., II, 68.

122) Cfr. In B. Trin., 2, 1, 1. Per lo sviluppo di questo tema cfr. L'ambiente logico della razionalità in S. Tommaso, in questo volume.

123) Cfr. In B. Trin., 2, 2, 1.

124) Cfr. De Fot., 6, 1, ad 11.

57

parte prima

5. La filosofia morale

La filosofìa morale è una scienza speculative-pratica e segue un metodo che si dice razionale quanto al termine.

La filosofia morale è scienza speculativa-pratica.

In quanto speculativa essa è subalterna ad altre due scienze: alla psicologia, dalla quale trae i principi relativi alla libertà dell'atto umano126 e alle inclinazioni connaturali alla natura dell'uomo;127 alla metafisica, dalla quale desume la nozione obiettiva del fine ultimo beatificante (Dio). Tutto questo perché la filosofia morale ha per soggetto l'uomo in quanto agisce liberamente per il fine. Così, dalla libertà dell'uomo e dalla riferibilità ai fini obiettivi intermedi (autoconservazione, sessualità, amicizia, conoscenza: conclusioni psicologiche) e dal fine ultimo (Dio: conclusione metafisica), nascono la nozione di re-sponsabilità-moralità e il giudizio valutativo e direttivo dell'azione umana. La filosofia morale dimostra principalmente attraverso la causa finale;128 ma anche attraverso la causa efficiente, cioè l'agente, la causa quasi formale, cioè l'oggetto specificante l'atto e le circostanze completive, e la causa quasi materiale, ossia la volontarietà dell'atto.

In quanto pratica, la scienza morale dirige l'azione particolare e contingente. Essa offre la motivazione della premessa maggiore del sillogismo pratico, che spetterà poi alla prudenza portare imperativamente a conclusione.

Il procedimento della filosofia morale si dice razionale quanto al termine, cioè non rigorosamente risolutivo, così da rimanere in una certa opinabilità, dovuta all'assoluta contingenza e infinita variabilità della materia considerata.129

6. Le arti meccaniche

Le arti meccaniche, nel loro aspetto teorico, sono scienze subalterne alla filosofia naturale e alle sue diramazioni, perché l'arte imita la natura supponendola. "° Nel loro aspetto pratico, esse sono l'intervento sulla natura per supplirne i difetti13' e orientarla alle esigenze e utilità dell'uomo.132

125) Cfr. 7 Met., 1. 2.

126) Cfr. 2 Sent., 24, 3, 2.

127) Cfr. I-II, 94, 2.

12») Cfr. 5 Met., 1. 1.

12<)) Cfr. In B. Trin., 2, 2, 1, 1, ad 3.

»°) Cfr. 2 Physic., 1. 4; C. G., II, 75; III, 10.

"') Cfr. 4 Sent., 42, 2, 1.

58

Natura e proprietà della razionalità filosofica

6. Conclusione

Dalla presente analisi di struttura del concetto di filosofia in S. Tommaso risulta in qualche modo la teoretica coestensione della filosofia con il dato più propriamente culturale della vita dell'uomo.

La filosofia, o sapienza umana, secondo S. Tommaso, coinvolge tutta la vita dell'uomo, dall'ordine della contemplazione e della spiritualità a quello tecnico della abilità manuale, a testimonianza della concezione realisticamente unitaria della sua antropologia. L'uomo, infatti, vive di arte e di ragioni, giacché, come è dotato di un'anima intellettiva per la quale diviene conoscitivamente ogni cosa ed è in certo modo tutto l'ente, così è dotato delle mani, che sono lo strumento per eccellenza (organa, organorum) attraverso il quale può costruire altri infiniti strumenti, per infiniti effetti133 perfettivi della natura.

132) Cfr. C, G.,m, 112. "3) Cfr. I, 76, 5, ad 4; 3 De anima, 1. 13.

59

LA TEOLOGIA COME SCIENZA:

ESPLICITAZIONI E APPROFONDIMENTI DEL CONCETTO TOMISTICO

Introduzione

Non c'è niente di più fastidioso teoreticamente di un'affermazione discutibile non motivata razionalmente; d'altra parte esistono delle affermazioni che per loro intrinseca natura trascendono l'ordine della motivazione rigorosamente razionale.

Diciamo infatti di avere scienza di qualcosa o di conoscere con certezza obiettiva la verità di un enunciato, quando ne riconosciamo immediatamente la ragione o sappiamo ricondurlo alle sue cause, mostrandone cioè il perché. Ogni ostacolo che si frapponga a questa risoluzione è perciò inteso come preclusivo di una vera conoscenza, e l'intelletto si sente offeso e mortificato.

Altrettanto indiscutibilmente riconosciamo però un altro fatto: gli enunciati di fede soprannaturale non soggiacciono a una tale verifica, eppure godono anch'essi di una certezza ferma, tanto da essere all'origine di una vera e propria conoscenza che si pretende altresì scientifica.

E la situazione tipica della scienza teologica.

Ora, la questione che ci proponiamo è la seguente: questa scientificità della teologia è una pura denominazione estrinseca al discorso teologico, oppure è una reale qualità intrisecamente appropriabile al medesimo? In altri termini: quando parliamo o sentiamo parlare di teologia come scienza, intendiamo questo concetto in modo semplicemente reverenziale e pietistico nei confronti della conoscenza del sacro, oppure riteniamo a ragion veduta che si possa e si debba ammettere una vera e rigorosa epistemologia sacra?

E ancora: se esiste una scienza teologica in senso stretto, qual è il suo statuto teoretico?

60

La. teologia, come scienza

E nota la posizione assunta da S. Tommaso d'Aquino e dalla sua scuola speculativa a questo riguardo: la teologia è una scienza a pieno titolo anche se nella forma secondaria della subalternazione.

In questo breve studio intendiamo presentare e approfondire, nella linea del realismo speculattivo, questa tesi tomista. Il nostro assunto non vuole essere perciò una pura ripetizione del dettato di S. Tommaso, ma una rielaborazione della tematica tendente ad esplicitare ed espandere l'argomento certamente oltre la lettera, ma al contempo nel medesimo spirito.

Ambientazione speculativa

Nel panorama teologico contemporaneo, il tema della teologia come scienza occupa uno spazio decisamente importante.

La riflessione degli studiosi si articola sulla base di differenti prospettive generali o di carattere ideologico, pur convergendo nel medesimo quadro tematico.

Fondamentalmente, si possono ricondurre a tré tipologie generali gli ambiti di riflessione epistemologica riguardanti la teologia.

Esiste una tipologia della frattura radicale, caratteristica della riflessione protestante, che si coaugula attorno all'idea della cosiddetta teologia dialettica.1 Il modello epistemologico che sottosta a questa prospettiva è evidentemente quello equivocistico : c'è un'assoluta disparità e disomogeneità tra la parola di Dio e la parola dell'uomo;

contenuti assolutamente diversi soggiacciono ad un linguaggio apparentemente comune.

Non esiste una vera e propria possibilità di discorso su Dio e di approfondimento critico del senso globale della sua Rivelazione, accolta nella fede, perché la fede stessa implica una rottura radicale di qualsiasi rapporto mediativo tra l'uomo e Dio.

La seconda tipologia può essere catalogata secondo il quadro ten-denziale dell'univocità: si tratta della teologia trascendentale. Nella teologia di K. Rahner, per esempio, con la teorizzazione deì\'esisten-

l) II caposcuola di questa tendenza è Karl Barth, soprattutto nella sua prima riflessione, consegnata al suo commento alla Lettera ai Romani (Der Ròmerbrief, Mùn-chen 1922). La teologia dialettica trova il centro nel "no" di Dio all'umano: Dio è il non essere del mondo (cfr. L'Epistola ai Romani, tr. it. Milano 1962, p. 56). Il discorso teologico si riduce solo a "una testimonianza resa alla verità di Dio": La, parola di Dio e la teologia, tr.it. Milano 1924, p. 173.

61

parte prima

•itale soprannaturale e un impianto gnoseologico di timbro kantiano, le linee del naturale e del soprannaturale vengono a omogeneizzarsi.

resistenziale soprannaturale è appunto la condizione che accompagna sempre ogni uomo, come capacità di accogliere la grazia.2 Questa situazione soprannaturale si colloca a un livello trascendentale, in un'esperienza che non può essere compiutamente tematizzata sul piano categoriale. D'altra parte, essa è già Rivelazione prima ancora del contatto storico con dei contenuti categoriali (Rivelazione categoriale), che pervengono al soggetto a posteriori.1'

Ciò che occorre notare è che tale rivelazione originaria e apnon-ca, collocata nella pura dimensione formale della trascedentalità del soggetto, è mediata a se stessa da qualsiasi contenuto categoriale (anche non «sacrale»), attraverso il quale il soggetto «perviene a se stesso» (= prende coscienza di sé di fronte al mistero della trascendenza, senza poterlo adeguatamente esprimere).4

A queste condizioni, la teologia trascendentale, ponendosi come riflessione sulla natura dell'uomo, quale condizione di possibilità della grazia (e conscguentemente come interpretazione trascendentale dei dogmi cristiani), non sembra «teologia che appare come filosofia»,5 ma una filosofia vera e propria. Lo statuto di scientificità della teologia è perciò lo stesso della filosofia.

La terza tipologia si colloca nel quadro logico-metafisico dell'analogia: non si da cioè un'assoluta e semplice alternativa radicale tra i contenuti soprannaturali della Rivelazione e quelli naturali della ragione filosofica (equivocità), ma neppure una perfetta omogeneità tra i medesimi (univocità) ; il rapporto tra i due contenuti è quello di una

2) Cfr. K. rahner, Saggi di antropologia soprannaturale, tr. it. Roma 1965, pp. 66-77. "L'autocomunicazione da parte di Dio come offerta deve essere anche la condizione necessaria della possibilità della sua accettazione", id., Corso fondamentale sulla. fede, tr. it. Roma 1977, p. 177. . .

3) Cfr. id., Corso fondamentale sulla fede, cit., pp. 201-204; lo.. Uditori della Parola, tr. it. Roma 1977, pp. 149-160. La rivelazione categoriale, storica e particolare, è nel suo vertice e nella sua compiutezza il Cristo. Questa rivelazione in senso tradizionale avrebbe però la funzione di "evocare" la profondità dell'esperienza trascendentale soprannaturale: "essa manifesta all'uomo la sua propria autocomprensione da sempre già attuata (anche se in maniera irriflessa)", id., Corso fondamentale sulla fede, cit., p. 175.

4) Secondo la gnoseologia rahneriana, i contenuti concettuali sono un tentativo di oggettivizzazione "cosale" dell'esperienza trascendentale, nella quale il soggetto sarebbe originariamente "presso-se-stesso" in una dimensione esistenzialmente emotiva. Cfr. Corso fondamentale sulla fede, cit., p. 34.

5) id., Teologia trascendentale, in K. rahner (a cura di), Sacramentum murtdi, tr. it. Brescia 1977, voi. 8, p. 347.

62

La teologia come scienza,

somiglianzà proporzionale. L'analogia esprime appunto quell'ordine di somiglianzà che si da tra contenuti assolutamente diversi eppure relativamente proporzionali.6

Proprio per questa caratteristica complessità del quadro analogico, diverse sono le impostazioni teologiche che si collocano al suo interno e con esiti sistematici anche alternativi.7

L'impianto tipico di una teologia come quella di B. Forte, per esempio, si rispecchia nell'orizzonte semantico ed epistemologico dell'analogia di proporzionalità metaforica e in quello dell'analogia di attribuzione estrinseca: le due analogie che maggiormente si appressano all'estremo dell'equivocità.

') Sul concetto di analogia, le sue divisioni e proprietà cfr. B. montagnes, La doctrine de l'analogie de l'étre d'après Saint Thomas dAquin, Louvain 1963; S. rami-rez, De analogia, Madrid 1972; Origine e sviluppi dell'analogia. Da Parmenide a S.Tommaso, Vallombrosa 1987; G. barzaghi, Analogia, ordine e il fondamento della sintesi tomista, in «Sapienza» 1 (1987), pp. 65-97; G. barzaghi, Materia e forma. Senso metafisico ed espansioni analogiche dell'ilemorfismo m S.Tommaso d'Aquino, in «Divus Thomas» 3 (1993), pp. 9-61

7) L'analogia è in se stessa analoga. In quanto intermedia tra l'equivocità e l'univocità, essa ha al suo interno diverse modalità espressive, che si distinguono tra loro secondo il diverso grado di distanza con il quale si appressano o si allontanano dai due estremi ricordati.

Dalla parte dell'estremo dell'univocità, si da un'analogia di ineguaglianza o fisica, cioè tale solo a livello ontologico ma non logico {secundum esse tantum et non secun-dum intentionem). E il caso del rapporto tra genere e specie: il genere animale, per es., si predica univocamente di tutte le specie animali; ma queste ultime sono tra loro diverse come l'animale razionale (l'uomo) e l'animale irrazionale.

Dalla parte dell'estremo opposto, cioè dell'equivocità, abbiamo l'analogia di attribuzione estrinseca, nella quale, alla assoluta identità ontologica della res significata, corrisponde una molteplicità diversificata di attribuzioni puramente denominative (secun-dun intentionem tantum et non secundum esse). Per es., il termine sano detto dell'uomo, nel quale risiede formalmente la salute, e del suo colorito o della medicina, o del cibo ecc., nei quali la salute non si trova realmente, ma che con essa stringono una certa relazione causale o simbolica, tanto da poterne assumere la denominazione qualitativa.

Sempre dalla parte dell'estremo dell'equivocità abbiamo anche l'analogia di proporzionalità metaforica, nella quale la somiglianzà proporzionale viene presa in senso proprio solo in una delle sue due proporzioni costitutive, mentre nell'altra ha solo carattere di immagine evocativa: per es. si pensi all'espressione prato ridente o all'immagine di Dio quale sole dell'anima.

Nel cuore dell'analogia troviamo però le sue due espressioni tecnicamente più precise, cioè l'analogia di proporzionalità propria, nella quale tutti i termini vengono presi in senso proprio in entrembe le proporzioni paragonate, per es. l'intelletto sta all'intell-gibile come il senso al sensibile; e l'analogia di attribuzione intrinseca, nella quale l'ordine di partecipazione non riguarda soltanto il piano denominativo, ma anche quello reale: per es. la nozione di bene viene attribuita a Dio in modo assoluto e alle creture per partecipazione reale.

Questi tipi di analogia sono qualificabili, secondo il linguaggio di S.Tommaso, come analogia secundum esse et intentionem simul. Cfr. 1 Sent-, 19,5,2,adi; S. ramirez, En torno a un famoso texto de Santo Tomas sabre la, analogia, in «Sapientia» (Buenos Aires) 8 (1953), pp. 166-192.

63

parte piuma

La teologia, per evitare gli estremi della pura oggettività - tipico delle sintesi deduttivistiche classiche e del positivismo biblico - e quello della soggettività moderna, dovrebbe seguire - secondo questo autore - la via intermedia della «ragione storica» aperta alla circolarltà tra soggetto e oggetto. Le linee di questa riflessione percorrono le vie della narratività (racconto-storia-esperienza) e dell''analogia (sottolineatura della distinzione tra «Avvento» e «Esodo», cioè tra Dio e storia umana).8

Si può così dire - a nostro avviso interpretativo - che, mentre il quadro della narrazione esperienziale delinea in termini di metafora il senso globale dell'esistenza e dell'esistenza cristiana,9 il quadro analogico, invocato più in funzione differenziale che assimilativa, corrisponde al modello dell'attribuzione estrinseca. In questo caso la teologia presenta un telaio argomentativo basato più sull'evocazione poetica che non sulla determinazione concettuale filosofica.10

Secondo i modi concettualmente più precisi, ma non per questo meno ricchi, dell'analogia di proporzionalità propria e di attribuzione intrinseca si struttura la tipologia teologica della scuola speculativa che si richiama a S. Tommaso d'Aquino."

Il modo analogico dell'attribuzione intrinseca è la segnalazione logica dell'ordine ontologico strutturato secondo causalità e partecipazione: si tratta del fondamento metafisico dell'epistemologia teologica tomista.

Il modo analogico della proporzionalità propria, invece, è lo Strumento investigativo-argomentativo per eccellenza di questa stessa teologia.12

8) Cfr. B. forte, La teologia come compagnia, memoria e profezia, Cinisello Balsamo (MI) 1987, pp. 185-197.

9) Per Forte, l'oggetto formale della teologia è investito dal dinamismo dell'apertura storica, nel quale la prospettiva del tempo scardina la chiusura sistematica dei concetti metafisici. E quindi esplicito il richiamo reverenziale a M. Heidegger. Cfr. B. forte, Gesù di Nazaret, storia di Dio, Dio della storia, Cinisello Balsamo (MI) 1985, pp. 47-48. ; . ,

lc) Cfr. a conferma di ciò B. forte, La teologia come compagnia..., cit., pp. 189-193.

") Per citare solo i principali autori di questa scuola, con le opere nelle quali si ritrovano le riflessioni epistemologiche riguardanti la teologia, ricordiamo: M. D. che-NÙ, La teologia come scienza. La teologia nel XIII secolo, tr. it. Milano 1971; id., La teologia è una scienza?, tr. it. Catania 1958; Y. congar, La Foi et la Théologie, Tour-nai 1962; S. ramirez, De hominis beatitudine, Salamanca 1942, Prolegomeno primo, voi. I, pp. 5-87.

12) Cfr. G. barzaghi, Analogia, ordine e il fondamento della sintesi tomista, cit.

Per quanto riguarda l'analogia di ineguaglianza o fisica, a noi pare che possa raccogliere sotto il proprio emblema teoretico la funzione teologica dell'esegesi. Quest'ultima, infatti, si occupa della parola rivelata dal punto di vista della parola, per penetrare

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La teologia, come scienza

Attraverso queste due modalità analogiche, natura e soprannatura si rapportano con equilibrio, salvaguardandosi reciprocamente: non Soltanto la ragione e la filosofìa, nella loro perfetta autonomia e consistenza, si inseriscono nella riflessione di fede per una sua più profonda comprensione, ma la stessa fede, oltre a presupporre un quadro di comprensione naturale, lo stimola e lo arricchisce - in certo modo -nel suo stesso ordine. Questo è il senso più completo del celebre assioma tomistico, secondo il quale la grazia non toglie la natura ma la suppone e la perfeziona.

La dottrina di S. Tommaso

Ma vediamo in modo più dettagliato i termini teoretici dell'impostazione di S. Tommaso.

A) il CONCETTO DI SCIENZA

II termine scienza in S. Tommaso ha un duplice significato. In senso lato, esso indica semplicemente la qualità di un sapere che è certo - per opposizione all'opinione - ed evidente - per opposizione alla fede -, prescindendo dal processo dimostrativo o anche dal puro ragionamento.13 In questo senso il verbo scire è usato in modo generico tanto da equivalere a intelligere, cioè intendere senza bisogno di mediazione argomentativa, come nella conoscenza immediata dei primi principi, o a cognoscere, cioè conoscere in generale.14

In senso stretto, il termine scienza indica la qualità di una conoscenza che si caratterizza per certezza ed evidenza in forza di un'argomentazione dimostrativa.15 Per questo motivo, la conoscenza scientifica possiede la verità attraverso la mediazione del ragiona-

e mettere il luce il suo senso più esatto, lavorando su un materiale di semplice ordine culturale. L'esegesi, ammessa l'ispirazione (iudicium de rebus acceptis), è concentrata sul suo materiale (acceptio rerum): discorre quindi univocamente (con metodologie letterarie) su un testo che significativamente pretende una trascedenza sul semplicemente letterario. /

") Cfr. 1 Post., 1. 7.

M) Cfr. De Ver., 2,2; C.G., I, 47; S. Th., I, 14,2.

") Cfr. 1 Post., 1. 44.

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parte prima

mento: si conosce qualcosa attraverso la sua causa o perché1^, a modo di una conclusione tratta da principi per sé noti.17

In quanto abito delle conlusioni relative a un determinato genere di cose, la scienza si distingue precisamente dn\V intelletto come abito dei primi principi e dalla sapienza, che invece abbraccia la totalità, non solo quanto alle conclusioni dedotte dai principi, ma anche quanto alla valutazione degli stessi principi.18

- La scienza è il fine del sillogismo dimostrativo, e il sillogismo dimostrativo è il mezzo necessario per acquistare la scienza.

La dimostrazione è un'argomentazione che parte da una preconoscenza (antecedente) ben determinata, si sviluppa con rigore (inferenza) e giunge a una conclusione (conseguenza) che si pretende incontrovertibile.19

Dunque, la conclusione è l'oggetto proprio della scienza.20 Ciò che si cerca attraverso la dimostrazione è la conclusione nella quale si predica di un certo soggetto la sua proprietà (propria passio).

La conclusione, proprio perché oggetto e termine della scienza, deve essere necessaria: «Pensiamo di conoscere un singolo oggetto assolutamente - non già in modo sofistico, cioè accidentale - quando riteniamo di conoscere la causa in virtù della quale l'oggetto è, sapendo che essa è causa di quell'oggetto, e crediamo che all'oggetto non possa accadere di comportarsi diversamente».21 Dice in modo significativo S. Tommaso : «De ratione scientiae est quod id quod scitur existime-tur esse impossibile aliter se habere».22

Ora, l'incontrovertibilità della scienza, cioè della conclusione dimostrata, risiede nella forza della sua causa, che la precontiene virtualmente: l'antecedente.

") Cfr. C.G., I, 94.

17) Cfr. 1 Post., 1. 36.

18) Cfr. S. Th., I-II, 57,2. La scienza è quell'abito che perfeziona l'intelletto possibile, conferendogli quell'abilità nel ritrovare, collegare, ordinare e utilizzare le diverse specie intelligibili sulle quali si impernia la dimostrazione; "scientia importai ordinario-nem specierum intelligibilium, seu facultatem et habilitatem quandam ipsius intellectus •ad utendum huiusmodi speciebus", De Fot., 4,2, ad 20.

19) Per un quadro del linguaggio tecnico e dei contenuti logici del pensiero tomistico cfr. G. barzaghi, L'ambiente logico della razionalità in S.Tommaso d'Aquino, in «Divus Thomas» 2 (1993), pp. 11-31 e in questo volume.

20) "Scire nihil aliud est quam intelligere veritatem alicuius conclusionis per de-monstrationem", 1 Post., 1. 4.

21) aristotele, Analitici secondi. A, 2, 716, 5-10.

22) S. Th., II-II, 1,5, ad 4.

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La teologia come scienza

L'antecedente è la causa, il perché o dice il perché della conclusione:23 si tratta della ragione dell'enunciato conclusivo. E tanto più è rigorosa la conoscenza della verità dell'enunciato conclusivo, quanto più è adeguata, prossima e propria la ragione giustificatrice.24 Se le premesse sono causa della conclusione, occorre che siano i suoi principi propri, cioè propri dell'oggetto provato: le cause devono essere sempre proporzionate ai loro effetti.

L'ambito dell'antecedente è l'ambito del preconosciuto o meglio della conoscenza prescientifica, cioè preconclusiva perché sua condizione.

a) E importante notare che il punto di partenza dell'indagine scientifica è sempre un interrogativo, e questo investe sempre ciò che nella dimostrazione sarà poi la conclusione. Si potrebbe dire che l'inizio e il termine della ricerca coincidono, distinguendosi per semplice segno di interpunzione. Per es. : che l'uomo sia libero è un enunciato mediatamente evidente, cioè accertabile attraverso una mediazione dimostrativa. Originariamente, dunque, detto enunciato suona in termini problematici: l'uomo è libero?;

al termine della prova il medesimo enunciato suona in termini perentorii l'uomo è libero !

La ragione o perché di questo mutamento sta appunto in quel complesso di enunciati che chiamiamo antecedente dimostrativo: il razionale è libero; l'uomo è razionale. Per essere ancora più elementari nell'esposizione, potremmo dire che la ricerca dimostrativa si svolge cosi: l'uomo è libero? (domanda); si, l'uomo è libero! (conclusione) perché (ragione dimostrativa) ogni soggetto razionale è libero, e l'uomo è razionale.

24) Distinguiamo questi diversi gradi della ragione probativa o giustificatrice per mostrare come il meccanismo mediativo o discorsivo sia tipico della razionalità e quindi pervada ogni risoluzione problematica, ma non sempre porti alla soluzione scientifica o dimostrativa. Per inadeguata intendiamo quella ragione che si presenta come assolutamente disomogenea alla materia trattata: per es., se alla domanda circa il perché si ritiene che il triangolo ha la somma degli angoli interni pari a due reni, si rispondesse che è così perché lo si è sentito dire dai più; ci si trova di fronte a una pura opinione o ragione dialettica culturale, priva di riflessione. Per ragione adeguata, allora, intendiamo quella omogenea alla materia trattata.

Ma a questo riguardo si presentano due possibilità. Parliamo di una ragione adeguata remota, quando è omogenea ma esterna ai criteri di verifica proposizionale: per es., se al medesimo interrogativo si rispondesse che è così perché lo dice chi insegna la matematica; avremmo un semplice enunciato di fede umana che riflette l'autorità del proponente. Parliamo di ragione adeguata prossima, invece, quando all'omogeneità essa aggiunge anche l'intrinsecità di verifica dell'enunciato.

Anche in questo caso abbiamo due livelli. Il primo è quello della ragione comune, cioè di un principio che giustifica ma non esclude l'appropriazione ad altro: per es., se si rispondesse dicendo che è così perché il triangolo è una figura piana; avremmo una ragione dialettica in senso tecnico.

Il secondo livello è quello della ragione propria, cioè di un principio che giustifica appropriandosi esclusivamente; sempre nell'esempio ricordato, la risposta sarebbe questa: il triangolo ha la somma degli angoli interni pari a due retti perché - verifica grafica alla mano, trattandosi di enunciato geometrico - l'angolo esterno di un triangolo è uguale alla somma degli angoli interni ad esso non adiacenti (un angolo corrispondente + un angolo alterno interno) ; se si aggiunge l'angolo comune, nasce un angolo piatto, cioè di 180 gradi.

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parte prima

Questa conoscenza riguarda il soggetto della predicazione scientifica, la sua passio o proprietà-predicato, i principi.25

Del soggetto occorre preconoscere che è {quia est) e che cosa è (quid est). Il soggetto, in quanto è, è il fondamento obiettivo e realistico della problematicità: non è problema, ma è la materia attorno alla quale si investiga problematicamente, in modo realistico e non fitti-zio.26 Occorre preconoscere del soggetto anche che cosa sia, cioè la definizione, perché è proprio dall'essenza del soggetto che si ricava l'eventuale ragione di inerenza della proprietà al soggetto (almeno nella dimostrazione per eccellenza, quella detta propter quid, cioè in forza dell'essenza, della quidditas).27

Della passio, o proprietà, della quale si ricerca problematicamente l'inerenza o meno al soggetto, occorre preconoscere solo che cosa significhi il nome che la indica (quid est quod dicitur), perché, prima che si conosca se una data cosa è (an sit), non se ne può propriamente conoscere l'essenza (quid sit); d'altra parte non si può dimostrare l'esistenza di una cosa se non si sa almeno che cosa si intenda con il suo nome. Del resto, è dalla definizione del soggetto e della proprietà (passio) che si assume il medium demonstrationis.

Dei principi si deve preconoscere che sono veri. E il modo di questa conoscenza deve essere incontrovertibile, per poter essere causa della pretesa incontestabilità della verità della conclusione. Occorre essere certi della falsità delle proposizioni contrapposte ai principi: in qualche modo i principi devono presentarsi con l'evidenza della con-traddittorietà del loro contraddittorio. Sebbene il vero, accidentalmente, possa essere concluso anche da un antecedente falso, tuttavia, la rigorosa dimostrazione per sé esige che il vero sia necessariamente tratto dal vero necessario.

Di qui l'importanza della perseità di questi principi, il loro essere rigorosamente primi e universali - almeno in un determinato genere -, ed evidenti.

Perseità è sinonimo di necessità, perché si oppone perfettamente all'accidentalità. Si dice che una proposizione è per sé in quanto il rap-

25) Cfr. a questo proposito 1 Post., 11. 2. e 3.

26) E importante notare che ogni scienza presuppone l'esistenza del proprio soggetto, eccetto la teologia. L'esistenza di Dio non è immediatamente evidente ed è compito della teologia naturale o filosofica proporne una rigorosa dimostrazione.

27) Cfr. G. barzaghi, L'ambiente logico della razionalità in S. Tommaso d'Aqui-no, in questo volume. Nel caso della dimostrazione quia, del soggetto si preconosce il quid est nominis, perché questa dimostrazione non parte dall'essenza del soggetto, la quale non può dunque fungere da medio. In questo caso la scienza dimostra l'esistenza del suo stesso soggetto, come si è detto della teologia (cfr. S. Th., I, 2,2 e 3).

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La. teologia come scienza.

porto tra soggetto e predicato rispecchia il legame necessario della causalità intrinseca: la preposizione per indica proprio il legame di causalità; la riflessività del dice che tale legame è in forza degli stessi termini costituenti la proposizione.

Si dice per sé la proposizione nella quale il soggetto è causa del predicato. E ciò può essere verificato in una triplice prospettiva: secondo la caratteristica della causa formale abbiamo il primo modo di-cendiper se, cioè quando il predicato è la definizione essenziale o una parte della definizione essenziale del soggetto (per es., l'uomo è un animale razionale); secondo la caratteristica della causa materiale abbiamo il secondo modo dicendi per se, cioè quando dalla definizione del predicato si ricava il soggetto proprio, come la materia in qua dell'accidente proprio (per es., l'uomo è libero); secondo le caratteristiche della causa efficiente abbiamo il quarto modo dicendi per se, cioè quando il predicato è visto come effetto proprio emanante dall'essenza del soggetto (per es., ciò che è razionale è libero; oppure, con un esempio più elementare, il pittore dipinge).28

In ogni caso, la perseità proposizionale è indice di rigore analitico;

tuttavia il vertice o, se si preferisce, il cuore di questa analiticità si trova nel primo modo e, per partecipazione graduale, nel secondo e poi nel terzo.

Ma la perseità non è ancora sufficiente al darsi di un vero principio scientifico. Occorre anche \'immediatezza tipica dell'evidenza e di ciò che è primo.

Se la scienza è conoscenza rigorosa del mediato, dovrà partire da un rigoroso immediato, pena un vano quanto assurdo processo all'infinito nella mediazione, elisivo della stessa scienza.

L'evidenza di ciò che è primo e immediato sta nel fatto che la sua verità consta dalla semplice analisi dei termini costitutivi l'enunciazio-

28) Esiste anche un terzo modo dicendi per se, il quale però, più che un modo di. predicazione, è un modo di essere. In questo caso la preposizione per non indica la relazione causale, ma il sito: come quando diciamo che qualcuno è per sé, intendendo dire che è da solo. Il terzo modo indica dunque la perseità tipica dell'individuo sussistente .liei genere della sostanza. Cfr. 1 Post., 1. 10.

Per quanto riguarda l'articolazione delle proposizioni o principi per sé della dimostrazione, S.Tommaso nota: "Poiché nella dimostrazione si prova l'appartenenza della proprietà al suo soggetto, attraverso il medio che è la definizione, occorre che la premessa maggiore - il cui predicato è appunto la proprietà (passio) e il cui soggetto è la definizione (medio), che contiene i principi della proprietà - sia nel quarto modo della predicazione per sé; la premessa minore, invece - il cui soggetto è lo stesso soggetto della conclusione e il cui predicato è la definizione - occorre che sia nel primo modo. La conclusione infine, nella quale si predica la proprietà del soggetto, è per sé nel secondo modo", 1 Post., 1. 13.

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parte prima

ne stessa, senza ricorso a un termine medio connettivo. Per es., la proposizione che dice: «il tutto è superiore a ogni sua parte» è immediatamente evidente, perché appena inteso che cosa è «tutto» e che cosa è «parte» risulta l'incontestabile verità di quella loro relazione. Negare tale verità implica contraddizione: eguagliare o sminuire il tutto rispetto alla parte, significa azzerare concettualmente le due nozioni.

I principi primi in assoluto sono gli assiomi {dignitates vel maxi" mae propositiones). Sono i principi comuni a tutte le scienze, in quanto fondativi e regolativi di ogni sapere, come il principio di identità e non contraddizione. Essi vengono applicati analogicamente in ogni singola scienza, in quanto cioè proporzionati al genere-soggetto di quella scienza. Es. di principio comune: «se da oggetti eguali sotraggo Oggetti eguali, gli oggetti rimanenti saranno eguali»; applicazione proporzionale alla matematica: «se da quantità eguali sottraggo quantità eguali, le quantità rimanenti saranno eguali».

I principi primi in senso relativo o propri, sono le nozioni del genere-soggetto e della proprietà (passio) così come sonò definibili in una determinata scienza.

- Ed è proprio la nozione digenere-soggetto che rappresenta il principio specificativo e unificatore di una scienza. Infatti il gènere-soggetto sta alla scienza come l'oggetto specificativo sta alla potenza e all'abito rispettivo.29

Non ogni diversità di oggetti determina una nuova specificazione scientifica, ma solo quella diversità che si colloca dal punto di vista formale. Nella scuola tomista si è soliti distinguere, con un linguaggio più dettagliato di quello di S. Tommaso - ma con lo stesso contenuto concettuale -, due ordini all'interno di questa formalità specificativa:

un ordine relativo direttamente all'oggetto conosciuto e un ordine relativo al soggetto conoscente.

Dalla parte dell'oggetto conosciuto, si da la formalità dell'oggetto come cosa (ratto formalis quae, o biectum formale quod), cui termina l'atto conoscitivo scientifico.

Questa formalità è ciò che primariamente (primo et per se) viene considerato dalla scienza, poiché in essa vengono coordinati tutti gli altri oggetti che materialmente possono cadere nell'obiettivo della stessa scienza. Per es., nella scienza metafìsica, il soggetto di indagine o oggetto formale quod è Vente in quanto ente: la metafìsica considera tutte le cose che sono (queste pagine, gli uomini, gli animali, gli oc-

29) Cfr. S. Th., I, 1, 7c.

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La teologia come scienza,

chiali, Dio ecc.), ma non nella indeterminata loro materialità specifica (cioè come pagine, uomini, animali, occhiali, Dio ecc.), bensì nel loro possibile coordinamento formale sotto la nozione di ente come tale.

Si tratta della formalità reduplicativa del soggetto della scienza, il soggetto in quanto è tale - intendendo sempre il termine soggetto nel senso scolastico di soggetto di indagine o di predicazione e non in senso moderno evidentemente -; si tratta della ragione per la quale, come per condizione adeguata della causa propria, si dimostrano le proprietà del genere-soggetto :30 è il medium della prima o fondamentale dimostrazione che si da in una scienza.31

Dalla parte del soggetto conoscente, si da propriamente la formalità dell'oggetto in quanto oggetto, cioè in quanto conoscibile.

Essa è il principio, la luce, la ragione particolare (ratio formalis sub qua, obiectum formale quo) sotto la quale si staglia l'oggetto formale quod. Si è detto che l'oggetto formale quod e il medio dimostrativo, dunque la definizione del genere-soggetto, la quale è il principio fondamentale nella dimostrazione propter quid. Perciò, la ragione formale sotto la quale si delinea l'oggetto formale quod è il modo stesso di definire, strettamente legato ai tré diversi gradi di «astrazione formale».32

E da questa ratio scibilitatis, da questo modo di definire, che si desume il principio diversificatore delle scienze. «Diversa ratio cogno-scibilis, diversitatem scientiarum inducit».33 Per es., nella metafisica, al fine di considerare ogni cosa non in quanto è di tale specie, ma in quanto è ente, occorre porsi a quel livello astrattivo (terzo grado) nel

30) Cfr. 1 Post., 1. 12.

31) Cfr. gaetano, In S. Th., I, 1,3.

32) Se l'oggetto formale della scienza dipende dalla materia sensibile sia quanto all'essere che quanto alla definizione, abbiamo la fisica (primo grado di astrazione formale, che prescinde solo dalla materia individua). Se l'oggetto dipende dalla materia sensibile quanto all'essere ma non quanto alla definizione, che accoglie semplicemente I? materia intelligibile, abbiamo la matematica (secondo grado). Se infine l'oggetto non dipende assolutamente dalla materia, ne sensibile ne intelligibile, sia quanto all'essere sia quanto alla definizione, oppure almeno quanto alla definizione - per nozioni che possono realizzarsi sia nella materia che fuori di essa -, abbiamo la metafisica (terzo grado). Per una descrizione più articolata del concetto di astrazione e della sua funzione discretiva tra le scienze, cfr. G. barzaghi, Natura e proprietà della razionalità filoso-fica in S.Tommaso d'Aquino, in «Divus Thomas» 1 (1992), pp. 74-79, ora qui alle pp. 45-48.

33) S. Th; I, 1, ad2; cfr. 1 De anima, 1. 2; 5 Met., 1. i.joannes^a S. thoma, Cursus Phil., logica II, 27,1 (ed. Reiser), pp. 821-825.

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parte prima

quale la si può definire appunto prescindendo da qualsiasi materia, giacché l'ente è ciò che ha l'essere in qualunque modo (sia materiale, sia immateriale).

B) scienza PRIMA E SCIENZA SUBALTERNA

Sebbene la scienza debba partire da principi per sé primi, immediatamente evidenti, tuttavia non ogni scienza è tenuta di per se stessa a un tale statuto.

Vi sono infatti scienze che procedono da principi per sé immediatamente evidenti; vi sono altre scienze, invece, che procedono da principi evidenti alla luce di qualche scienza a loro superiore. Nel primo caso ci troviamo di fronte a scienze prime; nel secondo a scienze subalterne.

Nell'un caso come nell'altro, la scientificità di una proposizione ha il suo fondamento in una mediazione che la riconduce a una proposizione prima per sé evidente.

Si da una duplice modalità di subalternazione tra le scienze.

Quando la scienza subalterna è una parte della scienza superiore, perché il suo soggetto è una perte del soggetto della scienza superiore, come la specie lo è del genere. Per es., la zoologia è una parte specifica della scienza della natura e, come tale, scienza ad essa subalterna.

Quando il soggetto della scienza inferiore si rapporta a quello della scienza superiore, come ciò che è materiale a ciò che è formale. Per es., la musica è scienza subalterna all'aritmetica, perché il suo soggetto, il numero sonoro, è un'applicazione del numero formale, soggetto dell'aritmetica, a quella materia che è il suono. Sonoro aggiunge una differenza accidentale a numero; diferenza accidentale che comunque è tale da essere principio di particolari proprietà (passiones) e verità scientifiche.

Con questa seconda modalità, nella scienza superiore si determina la ratto pròif'ter quid di ciò che nella scienza inferiore è conosciuto soltanto secondo la ratio quia o fattuale.34 In questo caso si parla anche

") Quando il soggetto di una scienza rientra a modo di specie nel soggetto di un'altra, per dimostrare che i predicati propri del genere-soggetto della scienza superiore appartengono al soggetto della scienza inferiore, la scienza generica o superiore rappresenta la premessa maggiore della dimostrazione della scienza inferiore o specifica. La scienza superiore, infatti, deve mostrare la ragione dell'inerenza o non inerenza del predicato al soggetto; la scienza inferiore, invece, considera se tale predicato appartiene o no al suo proprio genere-soggetto. Così, le scienze speculative, più universali, determinano la ratio propter quid di quei predicati dei quali le scienze particolari, ad esse proporiamente subordinate, mostrano la ratio quia. Cfr. M. mignucci, La teoria aristotelica della scienza, Firenze 1965, 141-143.

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La teologia, come scienza

di subalternazione quanto agli stessi principi: nella scienza subalterna si assumono come principi le conclusioni della scienza superiore.35

La scienza subalternante e la scienza subalterna devono appartenere allo stesso ordine di conoscibilità, devono avere lo stesso genere soggetto e lo stesso grado di astrazione. Esse devono avere lo stesso oggetto formale quod, anche se nella scienza subalterna questo riceve la connotazione di una differenza accidentale, che lo rende - in certo modo - specie dell'oggetto della scienza subalternante. Questo rapporto è richiesto dal fatto che la scienza subalternante deve mostrare appunto la ratio propter quid delle conclusioni della scienza subalterna; deve cioè procedere dalle cause adeguate, prossime e proprie delle conclusioni.

I principi della teoria musicale, per esempio, non sono evidenti al teorico musicale in quanto tale, ma al matematico in quanto tale, che li riconduce all'evidenza propria dei principi dell'aritmetica. Il teorico musicale si limita a credere veri quei principi e da essi parte per concludere altre verità in modo rigorosamente scientifico; il matematico, invece, li conosce con evidenza scientifica in quanto li dimostra come conclusioni della propria scienza.

E quindi chiaro che il cultore di una scienza subalterna, per possedere scientificamente la verità della propria disciplina, deve possedere e coltivare entrambe le formalità scientifiche : sia quella subalternante, che quella subalterna. Egli conoscerà dunque scientificamente come matematico quei principi che crederà veri come teorico musicale.

35) Cfr. In B. Trin., 2, 1,1, ad5; 1 Post., 1. 25; S. Th., I, 1,2. Occorre, a questo punto, una precisazione. Distinguiamo una subordinazione diretta e una subordinazione indiretta.

La subordinazione diretta si ha quando la realtà inferiore o subordinata non ha alcuna indipendenza o autonomia rispetto alla realtà superiore, ma ne è una partecipazione stretta, così che la superiore ha una propria e immediata giurisdizione sull'inferiore e su tutta la materia ad essa soggetta.

La subordinazione indiretta (per accidens), invece, si ha quando la realtà subordinata è veramente autonoma e suprema nel proprio ambito, cosi da non dipendere come tale dalla subordinante. Tuttavia la realtà superiore ha, sopra la subordinata, una precisa supervisione e dirczione.

Una scienza è subordinata direttamente a un'altra quando è una parte soggettiva o integrale di quella stessa, e assume perciò da essa non solo i principi generali, comuni (assiomi), ma anche quelli specifici e propri: è il caso della subalternazione.

Una scienza è invece subordinata indirettamente quando, possedendo in sé i propri principi e il proprio autonomo metodo, desume tuttavia dalla scienza superiore la difesa dei propri principi contro chi li negasse e, nel contempo, la dirczione e la supervisione. Il rapporto tra la metafisica e le altre scienze e parti della filosofia (parti potenziali) è di questo tipo. Lo stesso modello si applica al rapporto teologia-filosofia. Cfr. S. ramirez, De ipsa. pbilosophia. in universum, Madrid 1970, II, pp. 792-799.

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parte prima

Un altro caso emblematico di scienze subalterne è quello che si verifica tra la psicologia razionale e la filosofia morale. Il filosofo morale non dimostra la libertà e la responsabilità dell'agire umano; questa infatti è una verità dimostrata dalla psicologia razionale. Il filosofo morale, supponendo la libertà-resposabilità dell'uomo - e tutto ciò che concorre ad aumentarla o attenuarla, come per esempio le passioni - prova la bontà o malizia delle sue azioni. Il filosofo morale non considera l'atto libero in quanto libero, ma in quanto relato alla norma etica. Ma anche in questo caso, sempre sotto le ben distinte formalità epistemologiche, non esiste un buon filosofo morale che non sia anche un buon psicologo razionale.

C) lo STATUTO SCIENTIFICO DELLA TEOLOGIA

Secondo S. Tommaso, la teologia è una scienza; o per essere più precisi secondo il suo linguaggio, la sacra dottrina è una scienza.

La nozione di sacra doctrina è assai articolata nel pensiero di S. Tommaso e copre un'estensione concettuale non semplicemente delimitabile dalla competenza che noi attribuiamo alla teologia in senso stretto.

D'altra parte, lo stesso S. Tommaso riconosce che la teologia in senso più tecnico è un aspetto della sacra doctrina. Rispondendo infatti all'obiezione secondo la quale è perfettamente inutile una disciplina che si aggiunga a quelle filosofiche, giacché queste trattano di ogni ente compreso Dio, egli distingue la teologia che appartiene alla sacra doctrina da quella che è parte della filosofia (teologia filosofica o razionale, o naturale) e che è di genere diverso.36

La sacra doctrina, o insegnamento sacro e divino, comprende la Rivelazione, la Scrittura-Tradizione, la teologia in senso tecnico. «Sacra doctrina è l'insegnamento che procede dalla rivelazione: con tutto le risorse che ne derivano, con tutti i trattamenti che essa può comportare nello spirito umano, dalla lettura della bibbia alla deduzione teologica. Quindi diversità relativa di oggetti, di funzioni, di metodi».37

•") Cfr. I, 1,1, ad2.

37) M. D.' chenu, La teologia come scienza. La teologia nel XIII secolo, tt. it. Milano 1971, p. 92.

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La teologia come scienza

Essa non è semplicemente la fede, ma neppure solo là teologia. Nella prima questione della Summa Theologiae, essa è intesa genericamente come la conoscenza rivelata da Dio, sia a livello formale sia a livello virtuale, prescindendo da una deterministica caratterizzazione come insegnamento o come disciplina, e perciò dall'implicare un puro assenso di fede o una conoscenza dimostrativa.38

Questa semantizzazione consente poi la qualificazione funzionale come scienza della sacra doctrina, quando si riferisce alle conclusioni

in senso tecnico.39

Al livello generico della nozione, nello scritto sulle Sentenze, S. Tommaso elenca una molteplicità di modalità attraverso le quali si esprime la sacra doctrina.^

La scientificità della sacra, doctrina si limita al parallelismo: articoli di fede = principi primi e alla proporzione: luce della fede == intelligenza dei principi.41

I modi della sacra doctrina si possono schematicamente raggnippare sotto due punti di vista generali: rispetto alla accoglienza dei primi principi e rispetto a ciò che da essi può derivare.

Siccome i principi di questa scienza sono appresi attraverso la rivelazione, il modo di apprenderli è revelativus (Profezia), dalla parte di chi li infonde, e orativus (Salmi), dalla parte di chi li accoglie. Poiché la rivelazione è confermata dai miracoli, la sacra doctrina comprende anche un modo narrativus {signorum). Data poi la sproporzione di questi principi rispetto alla mente dei viatori, viene assunto un modo metaphoricus, symbolicus,, parabolicus, per la loro esposizione.

Da questi principi poi si procede: a) per distruggere gli erróri, il

che implica il modo argumentativus (sia per autorità che per ragione);

b) per guidare il comportamento, con modo praeceptivus (Legge), comminatorius e promissivus (Profeti), narrativus (exemplorum: libri storici); e) per contemplare la verità nelle questioni scritturistiche, con modo argumentativus, sondando il senso storico, morale, allegorico o anagogico della sacra pagina.

38) "[Saci-a doctrina] sumitur prò cognitione a Deo revelata, swe fórmaliter sive virtualiter, ut habet rationem disciplinae et doctrinae, abstrahendo a ratione crediti et sciti": caietanus, In I S. Th., 1,1.

39) Cfr. caietanus, In I S. Th., 1,2.

40) 1 Sent., prol., 5.

41) Cfr. 1 Sent., prol., 3,2, ad2.

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parte prima

II passo decisivo verso la chiarificazione della condizione di scienza della sacra dottrina si ha con il commento al De Trinitate di Boe-zio42 e con gli articoli 2 (Utrum sacra doctrina sit sdentici) e 8 (Utrum haec doctrina sit argumentativa) della prima questione della prima parte della Summa Theologiae."

La sacra doctrina è una scienza subalterna alla scienza di Dio e dei beati. Essa desume per fede i propri principi dalla scienza di Dio, nella quale si situa l'evidenza originaria richiesta allo statuto della scientificità. La continuità tra la scienza di Dio e la teologia come scienza subalterna è data appunto dalla fede con la quale il teologo accoglie i propri principi-articoli di fede da Dio che li rivela.

E la fede infusa che assicura il legame epistemologico tra la scienza di Dio subalternante e la scienza teologica subalterna. In questo modo la teologia è in certo modo una «quaedam impressio divinae scien-

aa

tiae».44

42) Cfr. In B. Trin., 2,2, ad5.

43) E interessante notare come si sia venuta sviluppando la nozione di teologia nel medioevo fino a S.Tommaso, per comprendere il senso e il valore della svolta epistemo-logica operata dall'ingresso degli Analitici secondi e dalle altre opere filosofiche di Ari-stotele nell'occidente cristiano tra la metà del secolo XII e il secolo XIII. Eccone uno schema riassuntivo.

1) Fase testuale: la teologia è la Sacra Pagina. .

a) Metodo: Lectio = lettura e cemento dei testi:

- interpretazione letterale (grammaticale)

- interpretazione del senso (i quattro sensi)

- sententia = interpretazione profonda del testo.

b) Strumenti: Trivium

- grammatica (Alcuino)

- retorica allegorizzante (Ugo di S. Vittore)

- dialettica (Abelardo). .

2) Fase metatestuale: la teologia è la Sacra Dottrina.

a) Metodo : '

- Quaestio: problemauzzazione speculativa (Utrum...).

Per es., esiste Dio? Perché sette sacramenti?

La sententia diviene la conclusione di una dimostrazione.

- Disputatio: confronto di opinioni.

La sententia diviene la soluzione del maestro.

b) Strumenti:

- Logica vetus = Isagoge di Porfirio, Categorie di Aristotele Dialettica dello Ps.Agostino, Topici di Cicerone (Abelardo)

- Logica nova = Analitici, Topici ed Elenchi di Aristotele, cui si aggiungono la fisica, la metafisica, la psicologia, l'etica e la politica sempre di Aristotele (S. Tommaso).

Con S. Tommaso la Scrittura e gli articoli di fede non sono più la "materia" di indagine come nel secolo XII, ma sono il "principio" dimostrativo di una nuova scienza. Cfr. M. D. chenu, La théologie comine science au XIII siede , in "Archives d'histoire doctrinale et littéraire du Moyen Age", 2 (1927), p. 33.

-4) S. Th., I, 1,3, ad2.

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La teologia come scienza

Dunque la scienza teologica non è che un caso particolare di scienza subalterna. Come si vede, questa tesi è una vera soluzione «scientifica», cioè giustificata attraverso una ragione adeguata, prossima e propria.

Occorre comunque notare con maggior precisione che la teologia è una scienza quasi-subalterna.45 In questo caso, infatti, si da semplicemente subalternanza di principi, ma non di oggetto: quest'ultimo resta perfettamente identico a quello della scienza di Dio,, senza subire le modifiche accidentali che invece caratterizzano - come abbiamo detto sopra - l'oggetto della scienza subalterna. .

L'oggetto formale quod o soggetto della teologia è Dio in se stesso, Dio in quanto Dio, nella sua stessa deità. Tutto quanto cade materialmente sotto la considerazione del teologo è inteso in ordine a Dio, così come tutto ciò che è materialmente oggetto di considerazione visiva è termalmente colto sotto l'aspetto del colore, oggetto formale quod della vista.46

L'oggetto formale quo o la ratio scibilitatis della scienza teologica è il «rivelabile» o il rivelato implicito virtuale. Dice S. Tommaso:

«Omnia quaecumque sunt divinitus revelabilia communicant in una ratione formali obiecti huius scientiae».47

E proprio la nozione di «rivelabile» che distingue la teologia dalla fede, dalla visione beatifica, dall'esperienza mistica e dall'ispirazione profetica, conoscenze che con essa condividono il riferimento al medesimo oggetto formale quod: Dio nella sua deità. Ed è proprio su questa nozione che si concentra tutta la pregnanza della mediazione tipica della scienza teologica.

La fede e la visione beatifica hanno come oggetto formale quo rispettivamente l'autorità di Dio che rivela (JDeus prima veritas in lo-quendo) e la stessa deità che funge quasi da specie intelligibile della

45) Cfr. M. D. chenu, La teologia come scienza, cit., pp. 93-99. Occorre anche notare la particolare imperfezione della scienza teologica rispettò alle altre scienze subalterne. In queste ultime, infatti, è possibile la perfetta "risoluzione" scientifica nei principi primi della scienza subalternante, in quanto il cultore della scienza subalterna può essere cultore anche della scienza subalternante o comunque ha le capacità naturali per acquisire l'evidenza delle ragioni prime che giustificano, in modo subalternante, le sue conclusioni; il teologo, invece, non può avere l'evidenza comprensiva che è propria di Dio: perciò non può attuare una perfetta "risoluzione" scientifica nei primi principi del mistero soprannaturale.

46) "Omnia autem pertractantur in sacra doctnna sub ratione Dei vel quia sunt ipse Deus; vel quia habent ordinem ad Deum, ut ad principium et finem": S. Th., I, 1, 7c.

") S. Th., I, 1, 3c.

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parte prima

stessa visione: accomunate nell'azione illuminatrice di Dio e nella stessa conoscenza propria di Dio, si distinguono rispettivamente per l'inevidenza e l'evidenza del risultato conoscitivo.

Dal punto di vista della risultanza passiva dell'illuminazione divina nel soggetto e quindi secondo le modalità partecipative, abbiamo:

a) il lume immediato formalmente soprannaturale della profezia, caratterizzato dall'aspetto inevidente e speculativo del giudizio ispirato, e b) quello sempre immediato formalmente soprannaturale dei doni dello Spirito Santo di ordine intellettivo, caratterizzato dall'esperien-zialità affettiva (mistica); e) il lume mediato della teologia: lume radicalmente soprannaturale e formalmente naturale w

La teologia è una scienza radicalmente soprannaturale perché i suoi principi primi sono gli articoli di fede, comunicati e accolti con la rivelazione soprannaturale (il rivelato), è tuttavia scienza formalmente naturale perché dal dato rivelato essa parte per concludere altre verità che in esso sono contenute in modo implicito e virtuale: questo è appunto il rivelabile.

«Haec doctrina non argumentatur ad sua principia probanda, quae sunt articuli fidei; sed ex eis procedit ad aliquid aliud ostenden-dum».49

Il rivelabile è il rivelato implicito virtuale e non formale, giacché è guadagnato attraverso un'argomentazione razionale e non semplicemente accolto in un assenso di fede. Questa inferenza è opera della ragione naturale, che usa i propri strumenti naturali: perciò la scienza teologica, che consiste formalmente in tale mediazione, è'una scienza formalmente naturale.

Esplicitazione o interpretazione espansiva

L'abito della scienza teologica è naturale, perché acquisito attraverso una considerazione delle realtà soprannaturali secondo il modo tipico della metafisica e il rigore inquisitivo-connetivo della logica.50

48) Cfr. S. ramirez, De hominis beatitudine, Salamanca 1942, I, pp. 73-74.

49) S. Th., I, 1, 8c. - !

50) L'abito della scienza teologica è naturale, "quia bene stat aliquas veritates esse notas supernaturaliter quoad assensum, et tamen per discursum naturalem penetrar! ea quae dependentiam et connexionem habent cum tali ventate; et tunc talis inquisitio erit ordinis naturalis, et ipse discursus et ordo consequentiarum fundatur in principiis natu-ralibus. Unde apud theologum bonitas consequentiae eisdem principiis regulatur, sicut aliae consequentiae logicales. Itaque res supernaturales ad modum metaphysicae scien-

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La, teologia come scienza

Certo l'esemplificazione argomentativa tipica della teologia proposta da S. Tommaso è totalmente immersa nella rivelazione: si tratta dell'argomento della 1 Cor 15,12 ss con il quale si prova la resurrezione di tutti gli uomini a partire da quella di Cristo.51 Tuttavia occorre osservare che tale esemplificazione è tratta dalla stessa Scrittura per investire di autorità il metodo argomentativo nell'ambito delle verità rivelate: è chiaro infatti che appartenendo alla rivelazione, quell'argomento non è precisamente teologico in senso stretto, giacché la teologia scritturistica è ispirata e quindi profetica.

D'altra parte, se si va a considerare in concreto (in actu exercito);ìa, tipologia argomentativa della teologia di S. Tommaso ci si trova di fronte a delle vere e proprie mediazioni di carattere filosofìco o s comunque culturale.52

A) la MEDIAZIONE FILOSOFICA

Dunque il «rivelabile» è l'oggetto formale qua della scienza teologica. Perciò le conclusioni teologiche sono degli enunciati che presentano delle verità non esplicitamente espresse nelle fonti della rivelazione, eppure connesse necessariamente con le verità esplicitamente rivelate. Esse enunciano appunto il rivelato implicito virtuale.

Non si tratta, in altri termini, della dimostrazione del dato rivelato - il che sarebbe assurdo, perché non si può dare dimostrazione di ciò che è oggetto di fede soprannaturale -, ma chiarificazione dimostrativa di ciò che si crede. La nuova verità dedotta con il sillogismo teologico non è nuova in senso assoluto e quindi giustapposta estrinsecamente a quella creduta, ma è contenuta implicitamente e virtualmente nelle verità rivelate: la novità sta nella chiarezza con la quale si comprende in modo teoreticamente più profondo ciò che comunque si continua a credere.

tiae tractatae, et discursu naturali collatae, generant habitum scientificum naturalis ordinis, quia modus sciendi et discurrendi naturalis est":JoANNES A S. thoma, Cursus theologicus, d. 2, a. 8, n. 6.

") Cfr. S. Th., I, 1, 8c.

52) Solo per citare un esempio, si veda la funzione della riflessione filosofica sulla natura dell'amore, dell'odio e del piacere per la trattazione della carità (3 Sent.), oppure quella sulla concupiscenza, la speranza e la disperazione per capire la speranza teologale

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parte prima

1. La formalità naturale.

Spesso la «novità» apportata dalla scienza teologica al dato rivelato consiste semplicemente in un «ricollegamento» razionale tra le verità cristiane in sistema."

Ciò non toglie che la mediazione operata attraverso Pargometa-zione teologica sia opera della ragione filosofica. Secondo S. Tomma-so, è proprio della teologia investigare tutte le verità che derivano dai principi-articoli di fede e che servono alla loro difesa,54 come anche tutte le verità che accompagnano, precedono o seguono la fede.55

Stando a questa tesi di S. Tommaso, si possono raccogliere nel seguente schema i diversi tipi di argomentazione usati in teologia:

A) Per le verità che precedono la fede: argomentazioni estrinseche all'esplicitazione del dato rivelato e prerequisite alla fede:

a) Praeambula fidei (esistenza di Dio e suoi attributi, immortalità dell'anima umana, libertà, legge morale naturale).

b) Motivi di credibilità circa la possibilità e storicità della rivelazione divina.

B) Per le verità conseguenti alla spiegazione del dato rivelato: argomentazioni di carattere apologetico : ,

a) Incontraddittorietà del dogma o sua non evidente contrad-dittorietà.

b) Consonanza del mistero rivelato con la natura umana.

C) Per le verità che accompagnano la spiegazione del dato rivelato: argomentazioni intrinseche al rivelato stesso:

a) Con nozioni storico-filologiche: teologia biblica: con spie-gazioni nozionali (es. regno dei cieli, cf. Kittel) o elaborazione di tipologie (metodo scritturistico, es. : 1 Cor 10,1-6).

b) Con nozioni e argomentazioni razionali o filosofiche:

1) Interpretazione del rivelato con concetti più precisi: es. la nozione di Persona nella Trinità; la nozione di amicizia per la carità.

2) Comprensione o notificazione analogica del mistero:

con argomenti di convenienza.

3) Sistemazione architettonica del dato rivelato: nesso tra i misteri.

53) Cfr. Y. congar, in «Bullettin Thomiste», 1938, p. 500.

54) Cfr. 1 Sent., ProL, 3,2, ad2.

55) Cfr. 3 Sent., d. 24,1,2, 2.

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La teologia, come scienza

4) Ragionamenti o dimostrazioni in senso vero e proprio:

- da due premesse di fede

- da una premessa di fede e una di ragione.56

Ebbene, proprio l'ultimo tipo di argomentazione menzionato, cioè quello fondato su una premessa di fede e una premessa di .ragione filosofica, rappresenta l'argomentazione teologica per eccellenza. Siamo di fronte alla conclusione teologica in senso stretto. ,

Ecco un esempio assai sfruttato nella manualistica e molto chiarificatore:

Cristo è il Figlio di Dio fatto uomo (premessa minore);

ogni uomo è libero (premessa maggiore);

dunque Cristo è libero (conclusione).

Come si vede, la premessa minore è un articolo di fede, è una verità che può essere solo oggetto di fede teologale. La premessa maggiore, invece, è una verità naturale o razionale o filosofica: non è oggetto di fede, perché è chiara al lume naturale dell'intelletto. La conclusione enuncia una verità che è insieme di fede e di ragione; è appunto una conclusione teologica: è un «opus fidei et rationis».57

La teologia è appunto un approfondimento razionale del dato rivelato, per evidenziare ciò che in esso vi è di implicito: la verità della proposizione che dice che Cristo è libero è contenuta implicitamente

56) Per un recupero di queste modalità argomentative in S.Tommaso cfr. In B. Trin., Pro., 2,3; C.G., 1,8; 2, 3 e 4. Per quanto concerne gli argomenti di convenienza, come quelli relativi al perché della creazione o dell'incarnazione ecc., misteri tutti fondati su una libera decisione di Dio e nel suo amore, si tengano presenti le seguenti parole di S.Tommaso: "Ad aliquam rem dupliciter inducitur ratio. Uno modo, ad proban-dum sufficienter aliquam radicem: sicut in scientia naturali inducitur ratio sutficiens ad probandum quod motus caeli semper sit uniformis velocitatis. Alio modo inducitur ratio, non quae sufficienter probet radicem, sed quae radici iam positae ostendat con-gruere consequentes effectus : sicut in astrologia ponitur ratio excentricorum et epicy-clorum ex hoc quod, hac positione facta, possunt salvari apparentia sensibilia circa motus caelestes: non tamen ratio haec est sufficienter probans, quia etiam forte alia posinone facta salvari possent", S. Th., I, 32,1, ad2.

A proposito della nozione di senso tipico e di metodo tipologico cfr. P. bonati -C.M. martini, Ermeneutica, in id., // messaggio della salvezza, Torino 1964, I, pp. 204-215.

57) Vorremmo segnalare subito come errore quello nel quale cadono alcuni autori, quando attribuiscono il ruolo di premessa maggiore all'articolo di fede e il ruolo di premessa minore alla verità di filosofia: forse confondono il valore logico di questa terminologia con un vago senso reverenziale, preepistemologico, nei confronti della premessa di fede, che per dignità sembra dover essere maggiore. Non è così. La premessa minore è di fede, la premessa maggiore è di filosofia, perché quella funge da presupposto e quasi materia di analisi, mentre quest'ultima è il principio universale dell'analisi esplicativa che porta alla conclusione teologica. Si vedano come esempi dell'errore segnalato:

S. ramib.ez, De hominis beatitudine, cit., I, pp. 75-76; A. patfoort, Teologia, in «Sacra Doctrina», 1 (1989), p. 86.

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parte prima

nella verità di fede che vede in Cristo l'uomo - Dio; il mezzo esplicativo è dato dalla verità filosofìca che attribuisce la proprietà della libertà a ogni uomo.58

La competenza teologica si limita al rivelato implicito virtuale, ma proprio per ottenere tale competenza il teologo non può prescindere dalla competenza filosofica: la premessa maggiore del sillogismo teologico, quella sulla quale pesa tutta la responsabilità del medium de-monstratioms, è di indole prettamente filosofica o razionale e ha appunto la funzione di esplicitare il contenuto virtuale della premessa minore del medesimo sillogismo, la quale è di ordine rivelato, è un articolo di fede.

E evidente che la scienza teologica, per garantirsi come tale, non solo si deve caratterizzare come scienza subalterna alla scienza di Dio e dei beati mutuandone le conclusioni a modo di principi primi alla luce della fede teologale - questa condizione da la certezza incontrovertibile circa la premessa minore del sillogismo -, ma deve anche certificarsi con una conoscenza non semplicemente opinabile (ove è possibile perché consentito o esatto dall'intrinseco grado di verificabilità dell'enunciato) circa la verità filosofica, cioè naturale o razionale, della premessa maggiore. Questa condizione esige dunque che il teologo, non in quanto tale cioè formalmente, ma materialmente, cioè in forza dello strumento razionale del quale si serve, abbia anche una profonda competenza filosofica.

Non occorre strutturalmente la teologia per fare filosofìa; ma non esiste teologia senza filosofia: si può dare un buon filosofo senza che sia teologo, ma non si da un buon teologo che non sia un buon filosofo. Un teologo che non sia in pari tempo un buon filosofo non fa della teologia una scienza, ma un vago esercizio letterario!

Lo ripetiamo: teologia è una scienza radicalmente soprannaturale, in forza dei suoi principi primi (articoli di fede), ma è formalmente naturale sia in forza della sua razionalità inferenziale, sia in ragione

5S) Per ribadire come l'argomentazione teologica sia propriamente un approfondimento chiarificatore della verità rivelata o di fede, ecco un altro esempio:

La carità è amore di Dio (premessa minore - di fede);

l'amore è unitivo (premessa maggiore - di filosofia);

dunque la carità è unione con Dio (conclusione - di teologia). Questo sillogismo conduce, attraverso l'approfondimento ulteriore della premessa di filosofia circa la natura e le proprietà dell'amore, alla spiegazione e all'approfondimento dell'affermazione scritturistica: "Qui manet in charitate, in Deo manet, et Deus in eo" (1 Gv, 4,16).

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La teologia, come scienza.

della strutturale esigenza di una premessa che appartiene a tale orizzonte di comprensione.

Tornando all'esempio proposto, vorremmo fare osservare il fatto che se anche la premessa maggiore di filosofia fosse semplicemente creduta dal teologo, alla pari di quella minore - che almeno è creduta con fede soprannaturale e non per semplice opinione umana -, la conclusione tratta non sarebbe per nulla scientifica, al di là di un puro collegamento formale.

E così il teologo, per poter dare consistenza scientifica al suo argomentare nella fede, deve essere competente, altamente competente,59 nell'uso di quella scienza che gli consente la mediazione teologica. Nel momento in cui cioè gli si chiedesse la risoluzione dimostrativa della verità della premessa maggiore, deve essere pronto a riagganciare la proposizione che dice: «ogni uomo è libero» ai suoi principi giustificativi: ogni uomo è libero perché porta strutturalmente in sé la radice della libertà, cioè la ragione.

In questo senso, il teologo è cultore di una scienza che si impernia contemporaneamente su due ragioni propter quid: una nascosta all'evidenza del suo intelletto, ma certissima per l'evidenza che essa gode nella scienza stessa di Dio e dei beati; l'altra evidente alla luce del suo intelletto e certa per il rigore con la quale egli la sa dimostrare, per poterla impegnare incontestabilmente nel proprio ufficio.

Verrebbe quasi da dire che il parlare di una superiorità della teologia su tutte le altre scienze, che quindi starebbero al suo servizio, e nella prospettiva di un linguaggio assiologico: certamente quanto al fine e quanto all'oggetto, che pescano nel soprannaturale, la teologia è più degna delle altre scienze.60 Tuttavia, nella prospettiva forse più obiettivamente cruda o, se si preferisce, realistica del linguaggio epi-stemologico, la teologia non è scienza subalterna alla sola scienza di Dio e dei beati (per il principio enunciato nella premessa minore), ma anche alle altre scienze che entrano nella sua struttura e dinamica me-diativa: quindi in forza della forma (discorso sillogistico) e della materia (competenza dei principi enunciati nella premessa maggiore).

Non bisogna però dimenticare che la competenza del teologo, proprio perché così complessa, deve prestare una grande attenzione

59) E chiaro che non esiste un buon teologo moralista che non già anche un buon antropologo o psicologo razionale e quindi filosofo morale; così come un buon dogmatico che non sia anche un buon metafisico.

60) Cfr. S .Th., I, 1,5.

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parte prima

anche a tutto il quadro della rivelazione e non basta semplicemente la pura capacità banalmente inferenziale.

Il rigore della mediazione teologica, della dimostrazione teologica, sta nell'assumere sempre il medio dimostrativo nel suo senso for-"male e essenziale, badando cioè alle connessioni essenziali e non esistenziali.61 Vogliamo dire che, certo se Cristo è uomo possiede l'esercizio della passionalità (moto dell'appetito sensitivo tipico dell'animale e quindi anche dell'animale razionale), ma questo non significa ammettere che Cristo potesse essere sconvolto dalle passioni come un qualsiasi uomo: la persona di Cristo è la persona del Verbo!

Questo secondo controllo critico proviene alla teologia ò^K analogia della fede, sempre comunque assistita all'analogia entis per non cadere nel buio dell'equivocità.

Il discorso fin qui fatto riguarda l'argomentare teologico preso quasi nella sua quintessenza; non è infatti possibile non richiamare alla mente le parole di un grande teologo come il P. Chenu, che ci ricorda come il lavoro del teologo non raggiunga sempre la precisione di questo impianto ideale.

«Se è vero che tutta la forza della dimosrtazione si fonda sulla scoperta della "causa propria" a partire dai principi "propri"..., il compito del teologo sarà quello di seguire il filo di tale scoperta. Ma questo schema ideale è raro e il più delle volte la dimostrazione abbraccerà parecchi argomenti, secondo i diversi aspetti degli oggetti in causa e sviluppandosi sia come semplice giustapposizione, sia come conseguenza; bisogna allora garantire il valore autonomo degli argomenti e la loro interferenza, con una esatta determinazione del loro punto di partenza».62

61) Molto sottilmente si distinguono una ratio metaphysica e una ratio physica. La prima indica la struttura essenziale intangibile e invariabile (es. uomo = anima razionale e corpo), e come tale medio dimostrativo rigorosissimo; la seconda, invece, indica lo stato esistenziale di tutto il complesso che costituisce Tisicamente una realtà e la sua situazione (es. uomo =- dotato di tutte le potenze che gli competono, ma che possono variare quanto a perfezione e quanto a modo di uso), e come tale non è sempre e comunque allo stesso modo, quindi non può essere assunta sempre nel medesimo senso. Cfr. M. sola, L'évolution homogène du dogme catholique, Fribourg 1925, I, pp. 24-167.

62) M. D. chenu, La teologia è una scienza?, cit., p. 104. Per dare un'idea schematica di un impianto argomentativo,, utilissimo sia in sede di indagine come anche - e soprattutto - in sede espositiva di una qualsiasi conoscenza teoreticamente acquisibile, vorremmo proporre la seguente traccia di sviluppo concettuale o anche specchio riassuntivo. Si tratta di un telaio da noi elaborato sulla base di una metodologia "realistica".

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La teologia come scienza

2. Ancillarìtà della filosofia?

La filosofia è dunque essenziale al discorso teologico, tanto da rientrare di diritto nel suo stesso autocostituirsi.

Non vi possono essere al riguardo dubbi seriamente ponderati. Già S.Alberto Magno reagiva con violenza e sdegno nei confronti di coloro che nel suo stesso Ordine - l'Ordine dei predicatori - ostacolavano lo studio della filosofia e quindi l'entrata della competenza filo-sofica all'interno dell'insegnamento sacro: «tamquam bruta animalia blasphemantes in iis quae ignorant».63

Del resto, anche l'enciclica Aeterni Patris di Leone XIII (1879), oltre alle classiche funzioni che il servizio filosofico svolge nei confronti della fede (dimostrazione dei praeambula fidei, chiarificazione per quanto possibile delle verità di fede, difesa delle stesse verità di fede), ricorda esplicitamente l'uso della filosofia perché la teologia assuma la forma di una vera scienza: «Solidissimis ita positis fundamentis, perpetuus atque multiplex adhuc requiritur philosophiae usus, ut sà-crae Theologiae naturam, habitum ingeniumque verae scientiae susci-piat atque induat».

I) TESI = conclusione sinteticamente articolata onde facilitare la memorizzazione.

II) ESPLICITAZIONE:

A) ARTICOLAZIONE = quanto al nomen, alla res, ìlleproprietates. Istanze e risposte. . :

B) SVILUPPO:

1) ANALISI = via resolutionis generale

a) NOMINALE = definizione nominale

- INIZIALE = definizione etimologica

- TERMINALE = definizione usuale

b) SOSTANZIALE = definizione reale

- INVENTIVA = an sit (demonstratio quia)

- REALE = quid sit (def. essenziale e inventici medii)

2) CONCLUSIONE = via compositionis o Sintesi circa le proprietà (demonstratio propter quid)

a) RADICALE = del tutto (via compositionis generale)

b) SPECIALE = delle parti

- INDIVIDUAZIONE DEL TUTTO: integrale, soggettivo, potenziale.

- DIVISIONE DEL TUTTO = via resolutionis speciale . ATTRIBUZIONE delle proprietà parziali = via compositionis speciale. . ISTANZE = obiezioni-difficoltà

. RISPOSTE = soluzioni (reductio ad absurdum ; demonstratio ad ho-minem) secondo l'ordine:

>:- ONTOLOGICO = struttura

* LOGICO = predicazione • ,

* GENETICO = produzione e sviluppo. 63) albertus magnus, In Epistolas Dionysù Areop., Vili, 2.

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parte prima

In quale senso deve essere dunque intessa la formula «.Philosophia andila Theologiae», che tanta fortuna ha avuto nel corso della storia della teologia cristiana?64 ,

Diverse sono le opinioni al riguardo ed evidentemente contrastand. .,, .

La posizione potremmo dire estrema è quella in linea agostiniana65 e più apertamente quella degli antidialettici (S. Pier Damiani66) fideisti, secondo i quali la filosofìa si risolve totalmente nell'essere al servizio della fede: non esisterebbe uno statuto di autonomia di dignità per la filosofia e le scienze profane; esse devono essere usate solo nella mi^ sura del servizio - qualora risulti utile - alla sola vera conoscenza, quella che proviene dalla rivelazione.,

Sostenitore della metafora è E. Gilson, con la sua concezione particolarissima di filosofia cristiana: dopo la rivelazione la filosofia deve orientarsi secondo tutta se stessa alla verità cristiana.

Altri autori, con il desiderio di mostrare una maggiore sensibilità verso la bontà e l'importanza del discorso filosofico relativo alla teologia, usano immagini meno servili. Così P. Brin, A. Farges, D. Bar-bedette aggiungono l'espressione «amica»;67 D. M. Lacordaire chiama la filosofia «sorella minore» della teologia;68 H. Bonamartini usa l'espressione «cognata», cioè parente.69

M. De Wulf, il card. Mercier e tutta la scuola di Lovanio non ardano l'allegoria della formula, perché per le sue origini e la sua equivocità induce .a una falsa comprensione: la filosofia è autonoma e indipendente, non semplice ancella della teologia.70

64) Cfr. M. grabmann, Geschichte der Scholastischen Methode, Freiburg (Br) 1909, I, p .109; E. gilson, Etudes de philosophie medieval, Strasburgo 1921, pp. 30-50; M. de wulf, Histoire de la philosophie medievale, Paris-Louvain 1934, I, p. 161;

B. baudoux, Philosophia anelila theologiae, in «Antonianum» 12 (1937), pp. 293-326;

M. seckler, Philosophia andila Theologiae. Vber die Ursprunge und Sinn einen anstos-sig geivordener Formel, m «Theologische Quartalschrift» 171 (1991), pp. 161-187.

65) Cfr. augustinus, Retractationes, I, 3, nn. 4 e 10. . ") Cfr. De divina omnipotentia, 5 (PL 145, 595-622).

") Cfr. Philosophia Scolastica, Parigi 1932, I, p. 9.

68) Cfr. Discours sur les études philosophiques, in id. , Ouvres philosophiques et politiques, Paris 1872, VII, p. 253. . •

) Utrum et quid conveniat inter scientiam, philosophiam et religionem, in Acta secundi Congressus thomistici internationalis, Romae 1937, p. 430.

70) Cfr. M. de wulf, in «Rev. néoscol. de phil.» 28 (1926), p. 101. Il senso dell'espressione sarebbe quello ristretto di S.Pier Damiani e degli antidialettici, come anche quello dettato dalle finalità politiche dei Pontefici romani nel sostenere l'università di Parigi. Cfr. de wulf, op. cit., II, p. 9.

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La. teologia come' scienza

Non possiamo non riconoscere che un certo fastidio lo provano anche le nostre orecchie e ancor più la nostra cultura di fronte al malinteso servizio che la conoscenza filosofìca o il complesso delle scienze profane attuano nei confronti del sapere sacro.

Certo è scontato che «il contatto inevitabile fra scienza sacra e scienze profane non è intrusione di quella nei domini! propri di queste, pretesa di dominarle e renderle schiave; ma collaborazione amica, anche se il primato di dignità, a causa della nobiltà del suo oggetto e della fonte da cui attinge, spetta alla teologia».71 Tuttavia sembra opportuno mettere in evidenza alcuni aspetti a nostro avviso importanti per intendere - a nostro parere - più correttamente il senso della formula in questione.

Anzitutto, anche a nostro avviso l'espressione «philosophia ancil-la theologiae» non sembra molto felice. Si gioca infatti attorno all'equivoco della situazione di servilità e quella di ministerialità.

E evidente, da quanto abbiamo detto, che la flosofia non può essere assolutamente intesa come la schiava o serva della teologia.72 Ammesso e non concesso che la filosofia sia semplicemente assunta nell'attività teologica, questo certo non avviene per compiti secondari, ma piuttosto per un ruolo di estrema competenza: ci si rivolge alla filosofia, cioè alla ragione naturale, come ad un dotto per essere aiutati ad approfondire.

In secondo luogo, la filosofia non sembra affatto strumento della teologia. Ciò supporrebbe infatti che la teologia fosse già in sé costituita e si servisse alla bisogna della filosofia. Ma se in senso più tecnicamente esatto riconosciamo che non c'è teologia senza filosofia, cosi come non c'è inferenza sillogistica se alla premessa minore non si accompagna la premessa maggiore, allora la formula va in disarmo. Più corretto sarebbe parlare allora di una «theologia anelila fidei».

La filosofia è fondamento della teologia a pari titolo con la fede. Anzi si potrebbe anche dire che la filosofia è fondamento della teologia, come la natura è fondamento della grazia.73

71) M. daffara, Introduzione al primo volume de La somma teologica, Firenze 1964, p.,15.

72) E il senso con il quale la formula viene bandita con pappagallesca microcefalia da certo fideismo, incapace della fatica e della gioia del vero concepimento teoretico e immerso nelle nebbie verbali di uno spiritualismo fumoso.

73) Cfr. G. pécsi, Cursus brevis philosophiae, Esztergom 1907, I, p. XIV. Assai suggestiva per contrapposizione dialettica, ma a nostro avviso anche non difforme dalla verità, è la l'esclamazione che questo autore proferisce nella medesima pagina, come ideale del buon teologo: "O philosophia theologiae dux".

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parte prima

Del resto, S. Tommaso ha il senso ben preciso dell'autonomia della filosofia e delle altre discipline scientifiche rispetto al sapere soprannaturale, giacché, ponendosi la domanda circa l'opportunità di un insegnamento ulteriore rispetto a quello da queste proposto,74 riconosce la loro consistenza e validità nell'ordine loro omogeneo - cioè quello naturale.

E quando usa l'immagine delle ancelle7'' o dei vassalli711, per descrivere la qualifica delle scienze filosofiche nei confronti del sapere sacro, S. Tommaso si riferisce rispettivamente alla sacra doctrina nel senso generale ricordato o alla theologia nel senso equivalente a quello di sacra doctrina appunto,77 non alla teologia stricto sensu. - cioè a quella forma, o funzione, o parte della sacra doctrina che «differì se-cundum genus ab illa theologia quae pars philosophiae ponitur».78

Da ultimo, si potrebbe riconoscere alla formula in questione il valore di un'indicazione pedagogica. Ma ciò è evidentemente un rimando a un significato remoto e non prossimo della stessa. In questo senso, infatti, la filosofia è ancella della teologia perché ne rappresenta una propedeutica, un'introduzione per una conoscenza precisa del bagaglio tecnico che si deve preconoscere per fare teologia.

B) la MEDIAZIONE CULTURALE

• Procedere dalle cause proprie è difficile'in teologia.79 Le argomentazioni sono il più delle volte dialettiche neLsenso aristotelico del termine, cioè porcedono da cause o luoghi comuni e analogici. ,

Assai frequente è il ricorso all'autorità e alle persuasioni culturali d'ambiente, certamente ben valutate almeno nella loro non contrarietà alla fede.. . ,

Ma questo non è disdicevole alle caratteristiche della teologia, anche nel suo aspetto tipicamente speculativo.

Lo stesso S. Tommaso, oltre che produrre il più delle volte degli argomenti di ordine dialettico nel senso precisato (se si eccettuano gli argomenti di carattere metafisico e quindi di teologia filosofica e non rivelata), riconosce questa particolare possibilità.

74) Cfr. S. Th., I, 1,1; 1 Sent., prol. 1,1.

") Cfr. S. Th., I, 1,5, ad2. ,

76) Cfr. 1 Sent., prol., l,lc. . ,

77) Secondo il Patfoort (cfr. op. dt.) il termine theologia in 1 Sent., prol., 1-5 non è preso in senso specifico, bensì generico, equivalente a quello di sacra doctrina.

7S) S. Th., I, 1,1, ad2. . . . . .

") Cfr. M.D. chenu, La teologia è una scienza?, cit., p. 80.

La, teologia come scienza.

Una delle funzioni che egli attribuisce alla ragione e alla filosofia nei confronti della fede è quella di elaborare delle analogie o similitudini che portino, per quanto è possibile, alla comprensione del mistero'rivelato.

Dice S. Tommaso: «...ad notificandum per aliquas similitudines ea quae sunt fidei, sicut Augustinus in libris de Trinitate utitur multis similitudinibus ex doctrinis philosophicis sumptis ad manifestandum Trinitatem».80

Ciò che va sottolineato è l'esempio che S. Tommaso usa per indicare concretamente il valore di questo compito. Egli, infatti, dice : come Agostino usa le dottrine filosofiche per notificare i contenuti di fede rivelata. Abbiamo già avuto modo di sottolineare in altre occasioni il senso e la pregnanza di queste affermazioni,81 osservando che S. Agostino usa le dottrine psicologiche dei neoplatonici per descrivere la Trinità. E sappiamo che S. Tommaso non riconosce valore assoluto a tali dottrine. Questo allora vuoi dire che per S. Tommaso esiste nella cultura ambiente un complesso di contenuti che, anche se non sono sostenuti da dimostrazioni rigorosamente filosofiche, sono comunque delle opinioni positive e non errori deleteri per la fede.

Questo discorso vale sia per l'aspetto dogmatico della teologia sia e soprattutto per quello morale, dove il modo di procedere è razionale quanto al termine: la contingenza dell'agire umano non consente alla scienza che lo ha ad oggetto una perfetta risoluzione nei principi primi, ma la costringe ad un'irrequieta probabilità o a una convinzione dialettica.82

D'altra parte, il tema deVi'inculturazione,^ tema centrale del magistero della Chiesa in questi ultimi dieci anni, non può non investire prepotentemente la stessa teologia.

80) In B. Trin., Pro., 2,3.

81) Cfr. G. barzaghi, Le basi e i metodi della persuasione. Tra coscienza moderna e nuova evangelizazionie, in AA.W., La coscienza morale e l'evangelizzazione oggi. Tra valori obiettivi e tecniche di persuasione, Bologna 1992, pp. 147-171 ; G. barzaghi, // Catechismo della Chiesa Cattolica. Le basi dottrinali della "nuova evangelizzazione", in «Vita e Pensiero» die. 1992, pp. 802-810; G. barzaghi, Chiesa e cultura. Lineamenti teoretici di un rapporto, in «Sacra Dottrina» 6 (1993), pp. 926-957 e in questo volume.

82) Cfr. In B. Trin., 2, 2,1, le e ad 3.

83) "L'inculturazione è l'incarnazione del Vangelo nelle culture autoctone e insieme l'introduzione di esse nella vita della Chiesa": giovanni paolo II, Slavorum Apostoli (2.6.1985), n. 21.

Sul problema àe\\'inculturazione della fede e la proposta di un'analogia con il meccanismo dell'ispirazione cfr. G. barzaghi, Metafisica della cultura cristiana, Bologna 1990, pp. 169-174.

89

parte prima

C'è un impegno e un compito importante per i credenti: la comprensione dei bisogni e delle attese tipici della cultura moderna, come anche l'accoglienza critica dei suoi lineamenti caratterizzanti.

Questo non significa evidentemente un camuffamento della teologia sotto le vesti di una visione del mondo situazionalmente determinata. Si tratta piuttosto di veicolare la comprensione delle verità di fede attraverso gli elemementi positivi dell'autocomprensione dell'uomo contemporaneo.

Se il cosmo è creato nel Verbo e tutto sussiste in lui, non v'è nulla nel mondo e nella sua storia che non possa essere preparazione al Vangelo dell'incarnazione o principio di approfondimento di ciò che la grazia rivela. E d'altra parte, l'incarnazione del Verbo non snatura con la sua grazia la struttura fondamentale del cosmo : le realtà terrene rimangono salde nella loro autonomia e nella loro significatività indipendentemente dalla fede cristiana, che anzi le presuppone, così Come la grazia presuppone la natura.

Lo stesso Concilio Vaticano II invita a riconoscere l'«autonomia» di consistenza dell'ordine temporale rispetto all'ordine dello Spirito:

naturalmente intendendo con ciò l'autonomia relativa al possesso da parte delle realtà temporali di leggi e valori propri, ma non nel senso erroneo di una non riferibilità o non dipendenza da Dio creatore.84

Sempre il Concilio Vaticano II aggiunge che la destinazione ultima di tutte le cose, naturali e soprannaturali, in Cristo - affinchè egli abbia il primato su tutte le cose (Co/ 1,18) - non menoma assolutamente il mondo in questa sua autonomia; al contrario «lo perfeziona nella sua consistenza e nella propria eccellenza, e nello stesso tempo lo adegua alla vocazione totale dell'uomo sulla terra».85

E questi significati riteniamo possano essere maggiormente garantiti nella loro fondatezza quanto più si insisterà nella precisa determi-

Documentazione generale: Fede e cultura alla luce della Bibbia. Atti della sessione plenaria 1979 della Pontificia commissione biblica, Torino 1981 ; A. amato, Incultura-zione. Teologia in contesto. Elementi di bibliografia scelta, in «Salesianum» 45 (1983), pp. 79-111; N. standaert, L'histoire d'un neologismo. Le tenne "inculturation" dans les documenti romains, in «Nouvelle Revue Théologique» 110 (1988), pp. 555-570; Fe-de e inculturazione, documento della commissione teologica internazionale, sessione plenaria 1988, in «II Regno-documenti» 9 (1989), pp. 275-279; G. colombo, La fede e Ì'inculturazione, in «Teologia» 15 (1990), pp. 172-182.

s4) Cfr. Gaudium et spes, n. 36. Il principio metafisico che fonda questa relativa autonomia delle realtà terrene rispetto a Dio è da ricercarsi nella distinzione reale in creaturis tra essenza e atto di essere: cfr. G. barzaghi, La nozione di creazione in S. Tommaso d'Aquino, in «Divus Thomas» 3 (1992), p. 78 e in questo volume.

85) Cfr. Apostolicam actuositatem, n. 7.

90

La teologia come scienza

nazione del cristianesimo nella sua essenza quale vita soprannaturale partecipata alla creatura ragionevole. Il cristianesimo per essenza, prima di essere la vera religione, è partecipazione alla vita stessa di Dio attraverso la grazia santificante. • •'.

L'insistenza, a volte eccessiva, sulla caratterizzazione puramente religiosa del cristianesimo porta a quella opposizione radicale tra cristianesimo e mondo quale è quella che separa il sacro dal profano: due orizzonti esclusivamente diversi.

La caratterizzazione del cristianesimo come partecipazione della natura umana alla vita divina, distingue semplicemente due ordini senza contrapporli, anzi creando le condizioni concettuali dell'implicazione metafisica della realtà naturale da parte di quella soprannaturale partecipata. In altri termini: si può dare natura senza grazia santificante, ma non si può dare grazia santificante senza il supposito naturale in tutta la sua ricchezza e valenza. '

Dunque, la mediazione teologica può avvalersi, nel suo stesso au-tocostituirsi, anche dei principi positivi situazionalidella cultura contemporanea. ••';

Per precisare meglio questa posizione; vorremmo però prendere le distanze da una certa concezione di teologia che, con il riferimento globale alla cultura contemporanea, smarrisce la caratterizzazione scientifica del teologare, così come lo abbiamo descritto sopra.

Intendiamo riferirci alla cosiddetta «teologia narrativa».

Con questo termine si intende indicare quella teologia che, assumendo come paradigma le istanze antimetafisiche del «pensiero debole», dissolve nella pura narratio la fisionomia epistemica del fare teologia.

«La dimensione narrativa del teologare non dice soltanto premessa, riferimento agli eventi salvifici, trasmessi nel kerygma narrativamente e riflettuti, poi, speculativamente, dalla teologia (dogmatica), ma importa una vera e propria configurazione del teologare medesimo; ne segna, cioè, il linguaggio, nelle sue più diverse espressioni».86

La storicità è il plesso della significanza e lo stesso cristianesimo non può oltrepassare le regole del suo essere «evento». In questo modo, la teologia è strutturalmente narrazione dell'evento ed evento narrativo, perché non solo ha l'evento come suo materiale, ma dal-

86) S. lanza, Teologia speculativa e teologia narrativa, in I. sanna (a cura di), II sapere teologico e il suo metodo^ Bologna 1993, p. 188.

91

parte prima

l'evento trae quella struttura che la rende veicolo del criterio ermeneutico dell'esistenza.87

La teologia narrativa verrebbe a situarsi - secondo i suoi cultori o teorizzatori - in quella che - sempre a loro dire - è la natura «esperien-ziale e testimoniale» della fede cristiana.

Tale indole sarebbe così in grado di «fare esplodere la schematicità delle configurazioni culturalmente disponibili del rapporto uomo-Dio, per introdurre la novità di Cristo, in cui la verità è parola, certo, ma Parola fatta carne».88 ,,

A nostro avviso, una simile impostazione del discorso teologico, che ricalca certamente nella sua essenza il modello scritturistico, non può oltrepassare i limiti ovviamente pastorali dell'annuncio.89 Ma allora dove sta l'elaborazione riflessiva che non può non qualificare la teologia come tale? Dove sta la vera mediazione culturale se ciò che ci si propone - a nostro avviso un po' ingenuamente - è la semplice rottura escatologica con lo status quoì Che valore ha un linguaggio puramente evocativo disancorato dalla solida prospettiva critica e. rigoriz-zatrice dell'ontologia?

Fatto salvo il dovuto rispetto ai grandi autori e alla fatic.a di una seria e certamente appassionata ricerca, non vorremo cadere nella trappola di una teologia narrativa che, stringi stringi, ha i lineamenti di una novellistica agiografìca da esercizi spirituali per novizie.

87) Si veda per es. la funzione paradigmatica dell'Esodo nella teologia A.T.

8S) S. lanza, op. cit., p. 190.

89) Lo stesso Jungel nota che la teologia narrativa potrebbe avere "il proprio Sitz im Leben nell'annuncio", E. jungel, Dio mistero dell'uomo, ve. it. Broscia 1982, p. 13. Essa non ha le caratteristiche della riflessione critica: cfr. G. colombo, La teologia politica di }. B. Metz, in "Teologia" 4 (1979), p. 364.

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Parte seconda

Metafisica

MATERIA E FORMA

SENSO METAFISICO ED ESPANSIONI ANALOGICHE DELL'ILEMORFISMO IN S. TOMMASO D'AQUINO"

introduzione

L'importante dicotomia metafisica tra l'ente in potenza e l'ente in atto, che anima da cima a fondo l'intelaiatura speculativa della sintesi tomista, trova la sua principale applicazione nell'ambito cosmologico con la distinzione tra i due princìpi costitutivi dell'ente sensibile: la materia e la forma.

Se la materia indica la potenzialità dell'ente sensibile, la forma ne rappresenta l'attualità, e come tale essa è sinonimo di principio strutturante, di fonte di operatività e di aspetto intelligibile.

Tuttavia, l'estensione semantica di questi due termini supera analogicamente questa loro prima contestualizzazione cosmologica.

Proprio in questa prospettiva, il linguaggio ilemorfico - così spesso avversato dai sostenitori di un pensiero deellenizzato e deellenizza-tore - rientra in un uso comune assai generalizzato e anche standardizzato.

Noi tutti parliamo usualmente di materie di studio, di materiali di costruzione, di formazione, di informazione, di buona forma fisica ecc. Si potrebbe quasi dire - con tutta l'evidente esagerazione della battuta - che l'ilemorfismo è una dottrina di senso comune.

Ma, pensando le cose un po' più a fondo, ci si accorge che una simile affermazione non è poi del tutto esagerata: essa contiene un'anima di verità che va debitamente chiarita e precisata.

Se per senso comune non si intende il semplice insieme delle opinioni e delle espressioni generali ammesse in una determinata epoca,

*) In «Divus Thoriias» 6 (1993).

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parte seconda

ma quel complesso di certezze spontanee dell'intelligenza umana, comuni a tutti gli uomini perché fondate - seppur ancora in modo confuso - sulla nozione prima di ente e sui suoi principi, ' allora le nozioni di materia e di forma possono essere in certo modo ad esso attribuite o ricondotte.

E nell'ambito specifico della filosofia realista, quale riflessione critica sul senso comune o fondativa e rigorizzatrice delle verità spontanee dell'intelligenza, che tale operazione viene attuata: in essa vengono tematizzati con rigore i primi principi dell'ente e sulla loro base si elabora la giustificazione critica e l'approfondimento preciso di quell'ontologia rudimentale che è appunto il senso comune.

A modo di restituzione riflessa, la teorizzazione filosofica si ricontestualizza nell'uso comune del pensare attraverso il veicolo culturale.

Il presente studio intende presentare, appunto sul piano della riflessione filosofica, la dottrina aristotelico-tomista dell'ilemorfismo, non soltanto nella sua fondazione metafisica e cosmologica, ma anche nella sua interessantissima espansione analogica in altri settori del sapere.

I. Le nozioni metafisiche di sostanza e di accidente

Nel quadro formale dell'ente in quanto ente, ambito specifico dell'indagine metafisica, il concetto di sostanza riveste una dignità di primo piano. Esso indica il significato analogicamente principale dell'ente per sé, cioè secondo le diverse figure di categorie, e costituisce il fondamento obiettivo delle principali soluzioni speculative del realismo aristotelico-tomista.

1) il QUADRO SEMANTICO

II termine sostanza2 presenta due livelli di significazione. In senso stretto, esso può avere un significato comune o generico,

') Cfr. G. barzaghi, Metafisica della Cultura cristiana, Bologna 1990, p.106. Il senso comune è quasi la prima risposta «confusa» alle principali problematiche metafisiche, morali e religiose operata in modo quasi spontaneo, istintivo e non criticamente riflesso, sulla base dell'oggetto formale dell'intelligenza che è l'ente: cfr. R. garrigou lagrange, Le sens commun, Paris 1922.

2) Etimologicamente, il termine sostanza deriva dal latino substantia, sostantivo dal verbo substare (= esser sotto). La radice Sta- si ricollega a quella sanscrita Stha-, che indica l'essere o il render termo. Esso corrisponde al concetto aristotelico di ouoici,

96

Materia e forma.

quando indica indifferentemente ciò che Aristotele chiama sostanza prima (ouola JtQOTq) e sostanza seconda (ovaia Seutéoa),3 come un concetto analogante contiene i suoi modi analogati;4 può invece avere

il quale, derivando dal participio presente di eljai ((róoa), può essere reso con il vocabolo italiano entità, ma con notevole diminuzione di intensità del significato tecnico.

s) Cfr. Categorie, 2a, 11.

4) Cfr. S. tommaso d'aquino, De Fot., 9, 2, ad 6; 1 Sent., 25, 1, 1, ad 7. (D'ora innanzi si tenga presente che le opere citate senza riferimento all'autore sono quelle di S.Tommaso e che le abbreviazioni usate sono quelle comunemente adottate negli studi tomistici). Analogo (ó(M&vi)aov mo óiàvoiac; = aequivocum a consilio) è quel nome che indica un significato in parte uguale e in parte diverso rispetto ai diversi soggetti dei quali si predica. Si tratta di un significato diverso per i diversi modi di relazione che esprime; uguale, per l'unico riferimento che è termine di quelle relazioni. Perciò, il nome analogo partecipa positivamente dei due estremi contrari che sono l'univocità (significato assolutamente identico) e l'equivocità (significati assolutamente diversi), avvicinandosi volta a volta più all'equivocità o più all'univocità (cfr. 1 Sent., 21, 1, 1, 2c).

Tuttavia, assolutamente parlando, l'analogia si appressa maggiormente all'estremo dell'equivocità (molto spesso Aristotele usa il termine equivocità in senso largo per indicare l'analogia, come pure S.Tommaso, cfr. I, 13, 10, ad 4; De Malo, 1, 1, ad 9; 1 Ethic., 1. 7), così che la si può descrivere come la caratteristica di quei nomi che esprimono un contenuto assolutamente (simpliciter) diverso e solo relativamente, o per un certo aspetto (secundum quid), uguale.

Quanto alla definibilità, il concetto analogo è, senza alcuna giustapposizione, unico e molteplice, cioè ha una e più definizioni. E relativamente unico per l'unità d'ordine (formale!) di tutte le attribuzioni analoghe: gli analogati e l'analo^ante in quanto analogante sono correlativi, e i correlativi come tali sono cointelleti. E relativamente molteplice, perché gli analogati sono diversi (materialmente!) e molteplici: hanno ciascuno la propria definizione. Per es., il termine sano (analogante) si definisce come ciò che ha la salute (aspetto unitario) in qualunque modo (aspetto pluralizzante), perché un modo è l'essere sano dell'animale (analogato principale; di ordine entitativo), altro modo è quello proprio della medicina (causativo), del colorito (segnalativo) e del cibo (conservativo), che sono gli analogati secondari. Ancora: l'analogia per la quale il senso sta al sensibile come l'intelletto all'intelligibile, implica più concetti e definizioni quanti sono gli analogati, ma indica una sola proporzione comune: il rapporto oggetto proprio-facoltà.

Quanto alla precisione, il concetto analogo è imperfetto, secondo la caratteristica posizione intermedia tra le due perfette distinzioni: quella per differenze specifiche, tipica del concetto univoco, e quella per diversità delle cose stesse significate, tipica del nome equivoco. Il concetto analogo si divide secondo modalità (cfr. I Sent., 22, 3, ad 2).

Il concetto univoco, infatti, si divide per differenze perfettamente distinguibili ed esclusive tra loro e non incluse attualmente nello stesso concetto univoco (cfr. I, 3, 4, ad 1 ; 1 Sent., 8, 4, 1, ad 1). Le differenze specifiche sono contenute solo potenzialmente nel genere prossimo (cfr. De Ver., 21, 1 e; 1 Sent., 8, 4, 1, ad 2), e si aggiungono ad esso estrinsecamente (cfr. I, 3, 5 e; 11 Met., 1. \;De Ver., 1, 1 e; De Fot., 3, 16, ad 4), in modo da dividerne solo l'universalità e non la stessa comprensione. Per es., il concetto di animale (genere prossimo) non include se non potenzialmente le differenze razionale e irrazionale, le quali si escludono perfettamente tra loro. Esse, sopraggiungendo estrinsecamente, non toccano la comprensione stessa del concetto generico, ma la sua semplice estensione: le specie uomo e cavallo sono perfettamente animali (soggetti viventi sensitivi), anche se non tutti gli animali sono uomini o, viceversa, cavalli. La totalità espressa dal concetto univoco è di tipo universale: le parti ricevono la predicazione del

97

parte seconda

un significato proprio e specifico, quando indica esplicitamente questi suoi due modi analogici: la sostanza prima, appunto, e la sostanza seconda.

Il significato principale, o l'analogato primo del concetto di sostanza è quello di sostanza prima, cioè di individuo sussistente nel genere della sostanza. L'espressione latina che descrive questo concetto è hoc aliquid (= questo qualcosa), e traduce l'espressione aristotelica tóóe ti.

Dal punto di vista concettuale o intenzionale, la sostanza prima può essere comunemente detta su-pposito (suppositum); per riferimento alla predicazione logica, invece, si dice soggetto (subiectum). Anche se il termine della predicazione non è necessariamente un individuo (per es., posso dire che Socrate è uomo, ma anche che l'uomo è ani-tutto secondo assoluta identità di essenza e perfezione; il genere animale, per es., si predica essenzialmente e con identica intensità di perfezione dell'uomo, del cavallo ecc. (specie del genere animale). Il tutto universale o univoco è presente tutto e totalmente nelle sue singole parti (cfr. 1 Sent., 3, 4, 2, ad 1 ; 2 Sent., 9, 3, ad 1 ; De spirit. creai., 11, ad 2; I, 77, 1, ad 1).

Il nome equivoco si divide secondo le cose stesse, perfettamente distinte le une dalle altre, perché assolutamente disparate. Le cose realmente separate tra loro costituiscono il tutto per composizione. Il risultato è un'essenza completamente diversa dalle singole essenze parziali così combinate. Per es., la casa è composta dalle fondamenta, il tetto, le pareti ecc. Tipologicamente, si tratta di un tutto integrale, il quale non è in ogni sua parte ne secondo l'essenza, ne - afortiori - secondo la perfezione. Non è possibile una predicazione corretta del tutto rispetto a ogni sua parte singolarmente presa, ne della parte in riferimento al tutto (cfr. 2 Sent., 9, 3, ob. 1 e ad 1; 3 Sent., 22, 1, 1; 5 Met.,\. 21; De spirit. creai., 11, ad 2). Tuttavia è possibile predicare, anche se impropriamente, il tutto di tutte le parti comulativamente prese (cfr. I, 77, 1, ad 1), oppure predicare una parte del tutto, ma per sineddoche (per es., chiamare la casa tetto, o anima l'uomo; cfr. 2 Sent., 18, 2, 1, ad 1; I, 118, 1, ad 1).

Il concetto analogo, invece, si divide secondo modi non perfettamente distinguibili tra loro e dallo stesso concetto analogo, perché non estrinseci ad esso. Tali modalità, infatti, sono incluse intrinsecamente in modo attuale, anche se implicito e confuso, nel concetto analogo (cfr. 5 Met., 1. 9; 8,1. 5; 11,1. \;De Pot., 3, 16, ad 4; De Ver., 21, 1 e) e lo dividono quanto alla stessa comprensione (cfr. De Ver., 1, 1 e; 1 Sent., 8, 4, 1, ad 1;

5 Met.2,1. 9; 3 Physic., 1. 5). Per es., il concetto di ente indica ciò che ha l'essere in qualunque modo: a modo della sostanza, della quantità, della qualità ecc. La totalità espressa dal concetto analogo è di tipo potenziale: le parti ricevono la predicazione del tutto non per assoluta identità, ma secondo una certa gerarchla proporzionale (secun-dum prius etposterius: cfr. 2 Sent., 42, 1, 3 e; 3 Sent., 33, 2, 1, 1, ad 2; De Malo, 7, 1, ad 1;I, 5, 6, ad 3; 77, 4, 3 e; I-IL 29, 2; 27, 4; 61, 1, ad 1,88, 1, ad I). Ente si dice prima della sostanza e poi dell'accidente; così come sano si dice prima dell'animale e poi della medicina. La sostanza e l'accidente sono essenzialmente enti, ma il modo di essere della sostanza è più perfetto del modo di essere dell'accidente. Il tutto potenziale è presente tutto secondo la sua essenza in ogni sua singola parte, ma non totalmente, cioè secondo l'intensità di perfezione (cfr. 1,77,1,adi): esso è perfettamente presente nella sua parte principale, mentre è presente nelle altre solo per partecipazione (per es., la pienezza di perfezione dell'anima si trova nell'anima razionale; nella sensitiva e nella vegetativa si ha una certa sua partecipazione, cfr. 4 Sent., 38,1,2,2).

98

Materia e forma

male), tuttavia l'ultimo termine della predicazione è sempre l'individuo, che non è mai detto di altro.

Dal punto di vista reale, la sostanza prima può essere valutata nel suo aspetto integrale o di tutto costituito, oppure nel suo aspetto parziale.

Come tutto, essa è detta sussistenza (subsistentia), quanto all'indipendenza nell'essere. Quanto all'essere intesa come sottoposta a una natura comune, essa è detta res naturae (per es., quest'uomo rispetto alla natura umana) ; se invece è intesa come soggiacente agli accidenti, essa è detta ipostasi (hypostasis), soggetto e sostanza.

Secondo l'aspetto parziale, possono essere dette sostanza, per riduzione (reductive), sia la materia che la forma, in quanto princìpi costitutivi del composto sostanziale corporeo - come vedremo.

Il significato secondario o l'analogato secondo del concetto di sostanza è quello di sostanza seconda, cioè di essenza.

Le espressioni latine che la descrivono sono : quod quid erat esse o quid est, che traducono le espressioni aristoteliche tò ti t|v elvai e tò ti éoxi.5 In senso stretto e proprio, la sostanza seconda è la quidditas, come genere della sostanza.6 Ad essa si riducono i generi e le specie della sostanza e la sostanza come universale: sebbene quest'ultima si predichi di un soggetto, non sussista per sé, ma sia comunicabile a più soggetti, tuttavia sottosta agli accidenti.7 In senso improprio, sostanza seconda è la quiddità come essenza o natura di una cosa, intesa come principio strutturale comune a tutti i predicamenti.8

In senso più lato, il termine sostanza è impiegato per indicare il principio o il primo avvio di ogni cosa, soprattutto quando questa è contenuta virtualmente nel suo principio. In questo modo S. Tomma-so dice che i primi princìpi indimostrabili sono sostanza della scienza, che in essi è virtualmente precontenuta; allo stesso modo, la fede è sostanza delle cose che si sperano, secondo la celebre descrizione di Eb

11, I.9 ....

Altro ambito di applicazione lato sensu del termine sostanza è quello economico: proprietà e ricchezze, o comunque i beni esterni che l'uomo possiede sono detti appunto sostanze.10

5) Per tutti questi diversi significati cfr. I, 29, 2; 5 Met., 1. 10.

6) Cfr. 1 Sent., 25, 1, 1, ad 7; 5 Met., 1. 10; 7, 1. 1; 10, 1. 3.

7) Cfr. 7 Met., 1. 10.

8) Cfr. Ibid.

") Cfr. II-II, 4, 1.

10) Cfr. II-II, 86, 3; C.G., Ili, 131; 132; 4 Ethic., 1. 1.

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parte seconda

Anche dal punto di vista della flessione avverbiale del termine sostanza è importante segnalare qualche osservazione speculativamente utile.

L'avverbio substantialiter (sostanzialmente) si semantizza per opposizione ad accidentaliter (accidentalmente), o per opposizione a es-sentialiter (essenzialmente); nell'ordine sopraccategoriale, per opposizione a supersubstantialiter (soprassostanzialmente).

Nell'ordine categoriale, quando si oppone ad accidentalmente, l'avverbio è sinonimo di essenzialmente. Esso indica la modalità ontologica tipica dell'essenza; sul piano logico è in parallelo con \a.perseità della predicazione secondo il primo, secondo e quarto modo dicendi per se, cioè la modalità per la quale il soggetto, o ciò che gli compete per essenza, è causa del predicato che gli viene attribuito nell'enunciazione.11

Quando invece si oppone a essenzialmente, l'avverbio indica la modalità ontologica tipica della sostanza prima e equivale a hypostati-ce (ipostaticamente), come nel caso dell'unione della natura umana e di quella divina nell'unica persona del Verbo incarnato.12 Sul piano logico, esso è in parallelo alla perseità della predicazione secondo il terzo modo dicendi per se, cioè la modalità che segnala l'individuo sussìstente nel genere della sostanza: per la sua isolata sussistenza, non è in altro, ne si dice di altro.13

Nell'ordine sopracategoriale, l'avverbio supersubstantialiter, di chiara matrice neoplatonica, indica la modalità increata dell'essenza divina, che sorpassa, per eminenza di perfezione, ogni sostanza creata.14

2) la POSIZIONE ONTOLOGICA

Sul piano entitativo, la sostanza si impone alla rilevazione intellettiva come un dato assolutamente evidente, giacché è lo stesso ente che sta a fondamento di ciò che constatiamo come semplice modificazione: ogni variazione è sempre variazione di qualcosa.

Diciamo che ente è ciò che ha l'essere, e questo è la sostanza che sola sussiste.15

") Cfr. 1 Post., 1. 10.

12) Cfr. De unione Verbi ine., 1.

") Cfr. 1 Post., 1. 10,

*4) Cfr. In Div. Nom., I, 1. 1; IX, 1. 4; I, 57, 1.

") Cfr. 12 Met., 1. 1.

100

Materia e forma

Del resto, il modo di essere della sostanza, pur non essendo l'unico, è quello fondamentale. Il termine ente indica qualcosa che propriamente è in atto rispetto alla potenza o capacità d'essere. L'ente che esprime attualità, distinguendosi da ciò che è puramente potenziale, è ente in senso assoluto (simphciter) e si denomina appunto sostanza; l'ente che invece esprime attualità per distinzione da una potenza secondaria, cioè appartenente a qualcosa di già sostanzialmente attuale, è ente in senso relativo (secundum quid) e si denomina accidente.16

") Cfr. I, 5, 1, ad 1. Etimologicamente, il termine accidente deriva dal latino acci-dens, participio presente del verbo uccidere (accadere). Esso corrisponde al termine greco aup.peprixós, divenuto filosoficamente tecnico con la riflessione aristotelica.

In S. Tommaso, il termine accidente può avere due significati. In senso lato, accidente equivale a accadimento, evento casuale (cfr. 1 A/et., 1. 3; C.G., Ili, 5); in senso stretto, il termine accidente riceve il proprio significato da una duplice opposizione. Quando si oppone a sostanza, esso significa il modo di essere tipico dei nove predica-menti o categorie, che ad essa fanno seguito; quando si oppone ad essenza, esso significa l'accidente logico o predicabile (cfr. I, 77, 1, ad 5).

Secondo le sue flessioni aggettivale (accidentalis) e avverbiale (accidentaliter), il senso del termine indica tutto ciò che è in opposizione a sostanzialità. In questo modo, l'espressione predicazione accidentale o per accidens sta ad indicare:

A) secondo un'accezione più ampia, il fatto che il predicato ne appartiene alla definizione del soggetto, ne il soggetto è posto nella definizione del predicato (per es., l'uomo è bianco), come invece avviene nella predicazione per se;

B) secondo un'accezione più ristretta, invece, il fatto che il predicato si dice di un soggetto in forza di un altro soggetto, come quando un accidente si predica di un altro accidente (per es., il bianco cammina; il colto è bianco), oppure il soggetto stesso viene predicato dell'accidente (per es., il bianco è legno). In entrambi questi ultimi casi, l'attribuzione non è mai giustificata dal soggetto di predicazione, ma da ciò che si suppone sotto il termine che funge da soggetto. Negli esempi dati, dire che il colto è bianco significa dire che quell'uomo particolare, al quale accade di essere colto, accade anche di essere bianco; dire che il bianco è legno equivale a dire che quel particolare soggetto, cui accade di esser bianco, è legno. Di tale soggetto supposto, l'accidente si predica accidentalmente, mentre la specie del soggetto si predica essenzialmente (cfr. 1 Post., 1. 33).

E da notare che la distinzione aristotelica tra ente per se e ente per accidens non discrimina la sostanza dall'accidente, perché nell'ente per se rientrano le nove categorie successive alla sostanza, che sono propriamente gli accidenti. Tale distinzione riguarda la pura predicazione, per cui il tutto complessivo espresso dal giudizio - per es. - «l'uomo è bianco» è un ente per accidens, cioè accidentalmente. Invece l'accidente, come naturalmente distinto dalla sostanza, è ente per se, nel senso che significa l'accidente ma non a modo di accidente: indica il quanto, il quale ecc., senza consigmficare il soggetto di inerenza. Per es., bianco, così come è assunto nei predicamenti, indica la sola qualità, la bianchezza, che significa un accidente, ma a modo di sostanza. Tuttavia, esso consignifica, conscguentemente, il soggetto, perché bianco è un soggetto che ha la bianchezza (cfr. 5 Met., 1. 9). In altri termini, si potrebbe dire che, nell'accidente predicamenta-le, si deve fare distinzione tra la ragione di genere o predicamento, e la ragione di accidente (cfr. 1 Sent., 8, 4, 3). La ragione di genere o predicamento appartiene all'accidente preso in astratto (per es., bianchezza); l'accidente preso in concreto invece (per es., bianco) rientra nel predicamento solo per riduzione (cfr. De ente et ess., 7).

101

parte seconda

Dal punto di vista ontologico, la sostanza precede l'accidente, cioè ogni sua modificazione, perché mentre non esistono accidenti che non dicano ordine di inerenza alla sostanza, si può dare una sostanza che non richieda accidenti. .

L'accidente in senso fisico o predicamentale viene constatato come una determinazione aggiunta alla sostanza, cioè all'ente in senso forte. Tale determinazione conferisce soltanto l'essere in tale o tal altro modo, e non l'essere in senso assoluto; essa modifica la sostanza supponendola come ente primo.17 Per questo motivo, l'accidente fisico, più che ente, è qualcosa dell'ente:19 per es., la bianchezza si dice ente per il fatto che per essa qualcosa (la sostanza) è bianco, e non perché essa abbia una sua propria sussistenza.

D'altra parte, la molteplicità di caratteristiche, che l'ascia trasparire una certa unità, manifesta l'essere della sostanza, perché dove c'è qualcosa di uno, lì c'è un ente,

Dal punto di vista gnoseologico, l'incontestabile primato della sostanza risulta dal fatto che una cosa è maggiormente conosciuta quando ne è nota la natura, piuttosto che la quantità, la qualità ecc. Per es., diciamo di conoscere una cosa quando sappiamo che è un uomo/o un cavallo, e non che è alta un metro e ottanta centimetri, o che è di colore bianco ecc. '

Anche per quanto riguarda la definizione, la sostanza precede l'accidente, perché nella definizione di ogni accidente si deve porre il suo proprio soggetto, cioè la sostanza, così come nella definizione di camuso (=naso schiacciato) si pone il naso, che soggiace a tale caratteristica.19

3) la DESCRIZIONE ESSENZIALE

Secondo il significato comune del termine, la sostanza si descrive come ciò alla cui essenza compete l'essere in sé e per sé, e non l'essere in altro, cioè in un soggetto - come invece conviene all'accidente. L'accidente predicamentale, infatti, viene descritto corte ciò alla cui essenza compete l'essere in altro, cioè in uri soggetto o sostanza.20

17) Cfr. De prindp. nat., 2; I,. 76, 4.,

") «Dicitur magis entis quam ens», I, 45, 4; 90, 2- e; 17 Met. 2, 1. 1.

") Cfr. 7 Met., 1.1.

20) Cfr. I, 3, 5, ad 1; III, 77, 1, ad 2; C.G., I, 25; De Fot., 7, 3, ad 4; Quodl., 9, 3,

(5), ad 2. .

102

Materia e forma

Nella ragione analogica di ente reale, secondo le diverse figure di categorie, i due modi analogici che ne esprimono compiutamente l'essenza si distinguono per l'opposizione tra il sussistere e ['inerire.

Come alla sostanza compete il sussistere, cioè l'avere l'essere come un soggetto, così all'accidente compete l'inerire, cioè l'avere l'edere in un soggetto. Nell'ordine delle realtà finite, nelle quali l'essere è ricevuto in un'essenza dalla quale si distingue realmente,21 non è data una terza modalità.

La sostanza seconda, in senso stretto, è il primo predicamento, la prima categoria, il supremo genere dei predicati che indicano ciò che è il soggetto:22 non è in altro, ma si può predicare di altro.

; La sostanza prima, invece, è descrivibile come l'individuo sussistente nel genere della sostanza.23 E esattamente l'ipostasi, il supposi-to, che sussistendo nella natura razionale si dice persona, secondo la celebre definizione di Boezio: «ratiònalis naturae individua substantia».24 Non è in altro come in un soggetto, ne si predica di un soggetto.25

21) La distinzione reale tra essenza e essere nelle realtà diverse da Dio viene argomentata, appunto, sulla base della unicità dell'Essere per sé sussistente.

Dio, essendo semplicissimo, privo di ogni potenzialità, è lo stesso Essere per sé sussistente, cioè incomposto quanto allo stesso rapporto tra l'essenza e l'essere. Ora, l'Essere per sé sussistente non può essere che unico, poiché ogni moltiplicazione risulta: a) o da addizioni differenziali (per es., il genere si moltiplica nelle specie attraverso le differenze specifiche), e allora l'Essere per sé sussistente non sarebbe più puro essere, ma essere più una certa forma; b) o da ricezione nella materia (per es., come la specie si moltiplica negli individui), e allora l'Essere per sé sussistente non sarebbe più sussistente, ma materiale; e) oppure da separazione, per la quale ciò che è assolutamente per sé è separato da ciò che è ricevuto per partecipazione, il che sarebbe ancora sconveniente allo statuto della sussistenza dell'Essere puro, che come tale è incomunicabile. Dunque l'ente diverso da Dio non è il proprio essere, ma ha l'essere per partecipazione, essendo composto quanto allo stesso rapporto tra essenza e essere. Cfr. De ente et esseri., 4.

22) Cfr. 2 Sent., 37, 1, 1 e. I predicamenti o categorie possono essere considerati da un punto di vista logico o da un punto di vista ontologico. Nella prima prospettiva essi sono definibili come i supremi generi dei predicati; nella seconda prospettiva, invece, essi si configurano come i supremi generi della realtà, che si distinguono tra loro in ragione del diverso modo di essere. Essi sono appunto la sostanza e i nove generi di accidente, cioè: quantità, qualità, relazione, azione, passione, quando, dove, sito e abito. Cfr. 5 Met., 1. 9. Vedremo tra breve come essi si articolino per riferimento alla sostanza. • .

Il predicamento sostanza, se dal punto di vista ontologico è quello che esprime il modo di essere in sé, dal punto divista logico è quello che indica il soggetto per identità: per es., Socrate è uomo.

23) Cfr. 1 Sent., 25, 1, 1, ad, 7, C.G., IV, 49.

24) Cfr. I, 29, 1; 31, 2, ad 1.

•"') Cfr. 5 Met., 1. 10; De Pot., 9, 1.

103

parte seconda

sere di un soggetto e in un soggetto:26 per es., il mio pensare non è la mia sostanza, ma ad essa inerisce, pur distinguendosene. ,

Questo implica, dal punto di vista ontologico, la dipendenza dal soggetto e la composizione con il soggetto stesso;27 dal punto di vista gnoseologico, il riferimento al soggetto nella definizione dell'accidente.28 " - '

Infatti, l'accidente ne ha un'essenza completa come la sostanza, ne è parte di un'essenza completa, perché è ente soltanto in modo secondario. Esso non ha neppure una definizione completa. Nella definizione dell'accidente preso in astratto, il soggetto di inerenza rientra quasi a modo di differenza, mentre la stessa determinazione accidentale tiene quasi il posto del genere (per es., la bianchezza è ciò per cui qualcosa è bianco; la camusità è lo schiacciamento del naso); nella definizione dell'accidente preso in concreto, invece, il soggetto di inerenza occupa quasi il posto del genere (per es., diciamo che bianco è ciò che ha la bianchezza; camuso è il naso schiacciato).29 , :

E da notare, tuttavia, che il soggetto non rientra come costitutivo nell'essenza dell'accidente, ma compare nella sua definizione per indicarne la dipendenza. Ciò vale non solo per gli accidenti semplici (es. schiacciato), nei quali non si da riferimento a un soggetto determinato, ma anche per gli accidenti copulati, nei quali si da, invece, un intrinseco riferimento a un soggetto determinato. Per es., camuso e schiacciato indicano essenzialmente la stessa cosa; camuso aggiunge a schiacciato la relazione a un determinato soggetto (il naso), che compare nella sua definizione, per addizione alla medesima essenza.

Perciò, quando parliamo di naso camuso, per intenderci basta sostituire all'aggettivo camuso l'aggettivo schiacciato, e non occorre ripetere il riferimento al soggetto: non si dice che il naso camuso è il naso naso schiacciato^ Gli accidenti hanno dunque, in qualche modo (secundum quid), un'essenza, cioè per una certa somiglianzà proporzionale con la sostanza, che sola la possiede in modo primario.31

26) Cfr. C.G., IV, 14.

27) Cfr. 1 Sent., 8, 4, 3.

2S) Cfr. De ente et ess., 7.

29) Cfr. I-II, 53, 2, ad 3; C.G., IV, 14; De ente et ess., 7.

x) Cfr. 7 Met., 1. 4.

") Quanto fin qui detto vale per l'accidente predicamentale.

L'accidente logico o predicabile, in senso forte (quinto predicabile), fa la sua comparsa nell'ordine degli enunciabili come relazione attributiva non implicante necessità, giacché non rientra nella comprensione di una cosa concepita secondo la sua sostanza (cfr. De Pot., 7, 4, ad 8), ne secondo le sue proprietà specifiche.

104

Materia e forma, 4) le QUALIFICAZIONI CARATTERIZZANTI

a) La prospettiva ontologica

Dal punto di vista ontologico, due sono le proprietà della sostanza: il sussistere e il sottostare.1'2

Il sussistere, o la sussistenza, compete al supposito w significato come tutto individuale concreto per sé (per es., Socrate), nel quale e dal quale si distinguono, almeno concettualmente, il principio determinante o essenza (per es., umanità) e il principio attuante o essere (per il quale il soggetto esiste).

Tale distinzione però è reale nell'ordine finito o creato, perché solo Dio è assolutamente semplice; d'altra parte, se in un ente si riscontra qualcosa che non appartiene alla sua essenza, alla sua natura cioè alla sua specie, alla sostanza seconda, in tale ente il supposito si distingue dalla natura: è il caso degli accidenti, dell'essere, dell'operare e dei princìpi individuanti nelle realtà corporee; tutte cose che non rientrano nell'essenza delle creature.34

L'accidente predicabile, in senso meno forte (quarto predicabile), cioè l'accidente proprio, implica una necessità di predicazione non per l'intelligibilità del soggettp, ma solo per il suo imprescindibile riferimento al soggetto stesso.

L'accidente predicabile è descrivibile come ciò che non appartiene all'essenza di una cosa, cioè non si predica di essa ne a modo di genere (primo predicabile), ne di specie .(secondo predicabile), ne di differenza (terzo predicabile).

Se è causato dai princìpi intrinseci dell'essenza, cioè della specie, così da accompagnarla sempre e necessariamente, si dice accidente proprio (quarto predicabile) e si descrive come ciò che conviene sempre a tutti gli individui di una sola specie (cfr. De Pot., 10, 4, ad 7; 1 Post., 1. 14). Per es., la capacità di ridere nell'uomo.

Se non è causato dai princìpi essenziali specifici, ma da quelli individuali, allora abbiamo l'accidente cosiddetto comune (quinto predicabile). Esso si definisce come ciò che, unito a un soggetto, ne può essere separato senza corruzione del soggetto stesso (cfr. C.G., II, 80). Nel caso di princìpi permanenti, abbiamo l'accidente inseparabile (per es., il maschile e il femminile); nel caso di princìpi non permanenti, abbiamo l'accidente separabile (per es., il camminare, il sedere ecc. ; cfr. De Anima, 12, ad 7; De spi-rit. creai., 11).

Occorre notare che la separabilità e l'inseparabilità, descritte in questi due sottocasi, riguardano il riferimento al soggetto come individuo, mentre la separabilità tipica dell'accidente quinto predicabile si riferisce al soggetto come specie. Perciò, sia l'accidente inseparabile, come l'accidente separabile non sono implicati nell'intelligibilità della specie, ne con ciò che le è proprio; conscguentemente sono l'accidente in senso più forte. .

32) Cfr. De Pot., O, le..

") E da rilevare che nel linguaggio tomistico, .come nello stesso linguaggio di S. Tommaso, il termine supposito viene sempre preso come equivalente del termine sostanza individua e quindi in un senso ontologico, méntre nella nomenclatura inizialmente proposta, sulla stessa scia di una precisazione di S.Tommaso, il termine supposito avrebbe una valenza essenzialmente logica. ;

34) Cfr. I, 3, 3; III, 2, 2.

105

parte seconda

L'essenza o natura sostanziale individua (per es., questa umanità) è significata come principio determinante,35 rispetto al supposito significato come quel tutto che ha tale essenza. Per questo motivo, nelle realtà finite non si può predicare l'essenza del suo supposito: per es., non si può dire che Socrate è la sua umanità; cosi si dice che l'umanità e ciò per cui l'uomo è uomo, o ciò per cui Socrate è uomo.

L'essenza conferisce la perseità individuata, cioè la completezza specifica e l'individualità, perché è orientata attitudinalmente al supposito che da essa viene sostantifìcato.36

L'essere è il principio attuante, che riceve la propria determinazione dall'essenza sostanziale, ma si riferisce al supposito quanto al suo esercizio.

E a partire da esso, o meglio dalla sua partecipabilità, che si istituisce la distinzione reale tra natura o essenza individua e supposito. Infatti, nelle cose che si dicono per sé, il supposito e la sua essenza si identificano, mentre nelle cose che si dicono in modo accidentale (per accidens), il supposito e la sua essenza non si identificano totalmente. Poiché l'essere delle cose create non rientra per sé nella loro essenza, ma si aggiunge estrinsecamente (accidit), occorre ammettere un recet-tore, cioè il supposito, distinto dall'essenza:37 l'essere appartiene al supposito e non alla natura.38

35) Cfr. Ili, 2, 2, ad 3; Quodl., 2, 4, ad s.c. A questo riguardo occorre far notare che l'espressione più esatta sarebbe parte formale, ma preferiamo non anticipare contestualmente nozioni che esporremo solo successivamente.

31;) Cfr. De unione Verbi ine., 4. Anticipando applicativamente anche in questo caso un discorso che è successivo, diciamo che, nella sostanza corporea, dalla forma deriva la determinazione distinguente, dalla materia, invece, l'individuazione. Nell'ambito spirituale angelico (sostanza separata), è la stessa forma che è per sé individuata e completa specificamente; in quello umano, l'anima separata dal corpo ha una sua sussistenza, ma incompleta dal punto di vista della specie, in quanto per sé essa è forma sostanziale del corpo umano.

37) Cfr. Quodl., 2, 4 e e ad 2.

38) Proprio su questa appartenenza dell'essere al supposito («suppositum intelligi-tur ut habens esse, non autem natura» Quodl., 2, 4, ob. 2), si aprono, all'interno della scuola tomista, due diverse soluzioni speculative circa il problema del costitutivo determinante (formale) del supposito, cioè di ciò per cui il supposito è tale.

Giovanni Capreolo (f 1444) sostiene che ciò che costituisce il supposito, terminando positivamente la natura individua, è la partecipazione dell'essere per sé (cfr. Deferì" siones theologiae Divi Thomae Aquinatis, III, 5, 3, 3 [ed. Paban-Pègues], Tours 1900).

Se si assume il supposito in senso denominativo, cioè come individuo che sussiste per sé, o individuo sostanziale che ha l'essere per sé e non in altro, l'atto di essere è consignificato o connotato dal supposito indirettamente.

Se si assume invece il supposito in senso formale, cioè come l'individuo più il suo essere per sé, allora l'essere risulta un suo costitutivo.

Il Cardinal Tommaso de Vio, detto il Gaetano (1468-1534) indica, invece, in una «pura terminazione della natura della sostanza» (In S. Th., Ili 4, 2 [ed.Leonina], Roma

106

Materia e forma

II sottostare compete alla sostanza in quanto fondamento di inerenza degli accidenti fisici, che, oltre a modificarla conferendo ,un essere secondario, sono suo principio di riconoscimento.39

L'accidente fisico, infatti, si rapporta in qualche modo alla sostanza secondo il modello della causa efficiente, nel senso che la sostanza funge da soggetto attivo nella produzione dell'accidente naturale.

1903), che chiude la natura individua e la costituisce capace di acquistare l'atto di essere senza mutare la propria struttura, il costitutivo del supposito. Tale terminazione viene solitamente classificata dai seguaci di questo commentatore come «modo sostanziale».

A nostro modo di vedere, entrambe le prospettive presentano dei limiti. La definizione del supposito in senso formale del Capreolo va assunta come significato più debole del supposito stesso. Essa non indica uà'aggregazione di componenti reali, ma di semplici ragioni o concetti, così come se dicessimo che bianco è il composto di soggetto più la bianchezza; denominativamente, invece, bianco è ciò che ha la bianchezza.

L'atto di essere non può essere principio costitutivo reale del supposito, perché, come la natura, è un principio quo (= per cui), e insieme ad essa non può costituire un quod, cioè un tutto concreto.

La pura terminazione del Gaetano, o il modo sostanziale dei gaetanisti, come ciò per cui (quo) l'essenza o natura individua (quo) si costituisce come quod, cioè supposito, soggiace alla medesima aporia: come agevolmente si rileva anche in questo caso, due quo non possono dare origine a un quod.

Una via che sembra essere percorribile, come tentativo di soluzione non aporerica, è quella dell'approfondimento della nozione denominativa di supposito proposta dal Capreolo: in essa, l'essere è visto come ciò che si riferisce al supposito in modo complementare (cfr. C.G., II, 53) e perciò non costitutivo («non est de ratione suppositi», Quodl., 2, 4, ad 2).

Il supposito sarebbe l'ente perfettissimo, descrivibile come ciò che da, per, in un'essenza sostanziale individuale completa, ha l'essere (cfr. A. boccanegra, L'uomo in quanto persona, centro della metafisica tomistica, in «Sapienza» 22 [1969], pp. 491-507). Il supposito, come id quod, non è risultanza sintetica di due quo, cioè dell'essenza più l'essere, ma il loro fondamento: attuabile dall'essere e determinabile dall'essenza. Come tale, esso non ha un costitutivo formale. L'essere (id quo) ne è l'atto ultimo. L'essenza sostanziale, individuale, completa specificamente (id quo) ha un aspetto passivo per il quale è sorretta dall'io quod ed è attuata dall'essere; ha anche un aspetto attivo, per il quale sostantifica il soggetto e l'essere, conferendo la perseità.

A rincalzo di questa tesi boccanegriana, potremmo aggiungere che effettivamente essa risulta congrua sul piano speculativo giacché si pone come la proposta risolutrice per oltrepassamento di un'alternativa aporerica. La proposta teoreticamente plausibile -a nostro avviso - consiste nell'evidenziare e sostituire il presupposto che determina inevitabilmente la detta aporia. In altri termini, occorre cambiare prospettiva di indagine. Quella costruttivistico-sintetica, sia del Capreolo che del Gaetano, implicati Non ci si può dunque chiedere come si venga a costituire il supposito, anche se è spontaneo porsi tale quesito, che poi risulta teoreticamente impertinente. Rimane perciò come sola proponibile la prospettiva alternativa, cioè quella risolutivo-analitica : il supposito è dato originario; su di esso si riflette mettendone in luce, non i princìpi costitutivi, ma la determinazione specificante e il principio attuante. L'opinione proposta riconosce comunque umilmente di doversi sempre inchinare di fronte a questa vera crux philo-sophorum.

3") Cfr. De Pot., 9, 1 e.

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parte seconda

Questo tipo di accidente scaturisce quasi per emanazione dai princìpi intrinseci della stessa sostanza.40 Dai princìpi specifici scaturisce l'accidente proprio; dai princìpi individuali, invece, scaturisce l'accidente comune, sia inseparabile che separabile - come abbiamo già visto. • •

Tuttavia, alcuni accidenti provengono estrinsecamente alla sostanza, la quale, nei loro riguardi si rapporta come semplice soggetto di inerenza, per quell'aspetto di potenzialità, o di ulteriore attuabilità che porta in sé in quanto finita.

In questo caso, si danno due eventualità: o l'accidente indotto è contrario ai princìpi intrinseci del soggetto (per es., il calore nell'acqua), oppure l'accidente indotto non contrasta, anzi perfeziona i princìpi del soggetto ricevente (per es., la luce nell'aria).41

Nella seconda eventualità si collocano anche gli accidenti soprannaturali, i quali hanno come causa propria soltanto Dio. Essi non coartano il soggetto naturale spirituale (angelo o anima umana), ma Io perfezionano, pur elevandolo al di sopra delle sue capacità intrinse-che: la grazia non toglie la natura, ma la perfeziona.42

Ma l'accidente fisico si rapporta alla sostanza anche secondo il modello della causa finale : gli accidenti sono ordinati alla sostanza in vista della sua attuazione perfettiva.43

Nell'ordine dell'attualità, infatti, la sostanza primeggia, come ente in senso forte (ens simpliciter), sull'accidente (ens secundum quid).

E nella sostanza che l'accidente riceve l'essere per partecipazione. Tuttavia, nell'ordine della perfezione, cioè della bontà ontologica, l'ente sostanziale finito trova il completamento connaturale nel possesso di quell'attualità ultima, anche se meno perfetta, che è l'accidente.

In questa prospettiva, S. Tommaso dice che secondo la prima attualità, cioè quella sostanziale, una cosa è ente in modo assoluto e bene solo in modo imperfetto o parziale; secondo l'attualità ultima, invece, cioè quella conferita dall'accidente, una cosa è ente in modo imperfetto, ma bene in senso assoluto.44

40) Cfr. I, 77, 6 e e ad 3.

41) Cfr. 1 Sent., 17, 1, 2, ad 2. •") Cfr. I, 1, 8, ad 2. .

43) Cfr. C.G., Ili, 75.

44) Cfr. I, 5, 1, ad 1. A modo di esempio: certo la cultura, intesa come complesso di habitus buoni che perfezionano secondo il meglio la persona umana sia nell'ordine fisico che spirituale (dianoetico ed etico), non costituisce il soggetto umano nella sua sostanza naturale, anzi la suppone; tuttavia, meglio un uomo colto di uno incolto. Per una semantizzazione in questo senso e non equivoca di cultura ci permettiamo di rinviare a G. barzaghi, Metafisica della cultura cristiana, cit.

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Materia e forma

b) La prospettiva logica

Dal punto di vista logico, la sostanza viene espressa direttamente dai nomi sostantivi, che indicano il soggetto per opposizione all'accidente (aggettivo).

I sostantivi concreti indicano il supposito di una data natura, perché significano il modo sostanziale (per es., uomo, Dio ecc.).

Perciò, nel caso delle attribuzioni trinitarie - dove per la particolare costituzione metafisica del soggetto risulta con più evidenza, quanto ad esemplificazioni, il particolare valore logico dei termini implicati -, i sostantivi essenziali si predicano, quanto al numero, al singolare delle tré persone divine, perché hanno numero da se stessi, cioè dalla natura che esprimono: per es., diciamo che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono un unico Dio.45 Quanto alla supposizione, essi possono stare sia per l'essenza, secondo una supposizione assoluta (per es., Dio crea), sia per la persona, secondo una supposizione personale(per es., Dio genera = il Padre genera).46

Sempre nel caso delle attribuzioni trinitarie, i sostantivi personali si possono predicare dei nomi essenziali per la sola identità metafìsica della cosa, ma non per il modo specifico di significare (per es., si dice che Dio è il Padre), perché in Dio essenza e persona sono la stessa cosa.47 ! „ ',;„•. , : . . ,

Nel caso delle attribuzioni cristologiche, i sostantivi concreti, che indicano la natura umana e la natura divina, sono predicabili di Cristo, perché l'unico supposito, cioè la persona, del Verbo, sussiste nelle due nature.

Così diciamo con tutta verità di predicazione, oltre che di termini, che Cristo è uomo e che Cristo è Dio; che Dio è uomo, in quanto il termine Dio suppone per la persona del Verbo, e che l'uomo è Dio, in quanto il termine uomo suppone per la medesima persona del Verbo, sussistente nella natura umana.48

I sostantivi astratti, invece, indicano la natura significata a modo di principio determinante (per es., umanità, divinità ecc.).49

Perciò, nelle attribuzioni trinitarie, i sostantivi essenziali non possono supporre per la persona: non si può dire che la deità generi o che sia generata; possono invece ricevere la predicazione dei nomi perso-

45) Cfr. I, 36, 4, ad 7.

46) Cfr. I, 39, 4.

") Cfr. I, 39, 6.

4S) Cfr. Ili, 16, 1; 2; 4.

49) Cfr. I, 39, 5, ad 3.

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parte seconda

naii sostantivi concreti, soltanto per l'identità metafisica della cosa significata, ma non per il modo preciso di significare: per es., si può dire che la deità è il Padre.50 Sempre i sostantivi essenziali possono ricevere la predicazione dei nomi personali e nozionali aggettivi, solo per l'aggiunta di un sostantivo: per es., si può dire che la deità è u-na cosa che genera, se cosa in questo caso suppone per persona.^

I sostantivi personali astratti (=nozioni, che nella Trinità indicano le relazioni distinguenti e costitutive le persone divine) possono ricevere la predicazione dei sostantivi personali ed essenziali concreti, per l'identità metafisica della cosa significata, anche se quanto al modo di significare non esprimono ne l'essenza divina, ne la persona, ma la sua ragione distintiva (qua): per es., possiamo dire che la paternità è Dio, o che la paternità è il Padre.52

Nel caso delle attribuzioni cristologiche, i sostantivi astratti che indicano la natura umana non possono essere predicati della natura divina e viceversa:53 non si può dire che la divinità è l'umanità.

II. La struttura fisica della sostanza sensibile

Abbiamo detto in esordio che materia e forma sono i due princìpi costitutivi dell'ente sensibile: ciò equivale a dire che essi sono i princìpi strutturanti la sostanza corporea.

In termini speculativi si deve dire che materia e forma rappresentano le condizioni di intelligibilità e dunque di incori traddittorietà metafisica dell'ente empiricamente rilevabile.

1) la DETERMINAZIONE DELLA COSTITUZIONE ILEMORFICA DELL'ENTE SENSIBILE

La materia e la forma,54 intese in termini ontologici generali come causa materiale e causa formale, vengono diagnosticate come costi-

50) Cfr. Ibid., 6.

51) Cfr. I, 39, 5, ad 5.

52) Cfr. I, 32, 2, ad 2.

53) Cfr. Ili, 16, 5.

") Etimologicamente, il termine materia deriva dal latino materia, forse ricondu-cibile a sua volta al vocabolo latino mater, nel designare ciò da cui si origina qualcosa (cfr. 1 Physic., 1. 15). Tecnicamente esso corrisponde all'aristotelico dàt).

Dal canto suo, il termine forma deriva dal latino/orma, la cui origine incerta viene fatta risalire per metatesi dal greco [ioo(pr| (forcellini) ; oppure alla radice del verbo (popeìv, che significa portare (curtius); oppure alla radice sanscrita Dhar (=- tenere, sostenere, contenere), risolta solitamente nella radice latina Far, For (anderson-

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\ Materia e forma

turivi dell'ente naturale sensibile a partire dal dinamismo che caratterizza quest'ultimo.

Constatiamo sensibilmente l'esistenza dell'ente diveniente, il quale ha come condizioni intrinseche del proprio essere: dalla parte dell'essere e del divenire la potenzialità, cioè l'essere in potenza, il poter essere, e ['attuazione, cioè ciò per cui l'ente in potenza si attua; dalla parte del solo divenire, invece, il non essere ancora in atto, cioè ^privazione. Per es., un pezzo di ferro può acquistare diverse fogge (atto), non solo perché ne è capace (potenza), ma anche perché ne è privo (privazione).

Infatti, dal nulla non viene nulla, e dell'ente in atto non si da attuazione, perché già realizzata (per es., non si può accendere una candela già accesa): perciò solo dall'ente in potenza viene l'ente in atto.55

Le condizioni estrinseche dell'ente diveniente sono: la presenza di un agente attuante, perché ciò che è in potenza non può darsi autonomamente l'atto del quale è privo (nemo dat quod non habet);^ {'intenzione finalizzata dell'agente, come determinazione della sua inclinazione ad attuare qualcosa.57 ,

Ora, ciò che è in potenza nell'ordine stesso dell'essenza - come è evidente nel mondo sensibile -, si dice materia o causa materiale, la quale ha come suo accidente proprio la privazione, ed è ciò da cui (ex quo) procede il moto generativo.

La materia che funge da sostrato nelle trasformazioni sostanziali, cioè nella generazione e nella corruzione delle entità sensibili, si dice materia prima.5* Essa è pura potenzialità.

Ciò che, nello stesso ordine, conferisce l'atto o l'essere alla materia si dice forma, la quale è appunto il principio attuante.

meyer). Esso corrisponde ai termini eléoc; e èvreÀ.éxElOt del vocabolario filosofico di Aristotele.

w) Cfr. De princ. nat., 1 e 2.

56) Ciò che è in potenza, in quanto è in potenza, non raggiunge l'atto da sé (== per il semplice fatto che è in potenza), altrimenti la potenza si identificherebbe assurdamente con l'atto. Per es., non è per la capacità o potenza di scrivere, che attualmente sto scrivendo; se così fosse, la mia capacità di scrivere - che precedeva il mio scrivere in atto - sarebbe il mio stesso scrivere attuale e si negherebbe come capacità: se io scrivessi attualmente per il semplice fatto che potevo scrivere, in realtà quel potevo è uno scrivevo:

che perdura attualmente, cioè il mio scrivere inattuato. Dunque, ciò che è in potenza acquista l'atto da un altro ente già in atto, che ne è la causa. Questo significa che l'attuazione di una potenzialità è sempre un effetto, un causato.

57) Cfr. De princ. nat., 3.

58) Cfr. 12 Met., 1. 2.

Ili

parte seconda

Essa è ciò a cui (ad quod) si termina il moto generativo dell'ente sensibile: se conferisce l'essere propriamente sostanziale in riferimento alla materia prima, si dice forma sostanziale. '

La materia che gode già di un'attualità sostanziale, ma è ancora aperta a ulteriori attuazioni di ordine accidentale, che non conferiscono l'essere in senso assoluto, ma solo in tale o tal altro modo, si dice soggetto o materiaseconda: è il caso del ferro nell'esemplificazione sopra proposta.

Queste ulteriori attuazioni di ordine accidentale si dicono/orme accidentali: sono appunto le diverse fogge (vaso, piatto, sfera ecc.) che quel pezzo di ferro può assumere. Il ferro è materia seconda, cioè è già un soggetto costituito con una sua specifica forma sostanziale, rispetto a una materia prima che funge da sostrato nella sua corruzione.

Il principio agente e il suo termine intenzionale si dicono rispettivamente causa efficiente o movente, o agente, e causa finale o fine.

Dunque, la forma si presenta quale principio d'attuazione nell'ente sensibile, entrando in composizione con la materia e costituendo con essa l'essenza della sostanza corporea, o modificando completivamente questa sostanza.

2) descrizione DEI DUE COPRINCÌPI

a) La materia

La materia prima è un principio costitutivo (id quo} dell'essenza dell'ente sensibile e, come tale, non ha essa stessa un'essenza.59

Essa è pura potenza passiva; è la sua stessa potenza passiva, cosi come Dio è la sua stessa potenza attiva,60 perché è ciò che è primo e principale nell'ordine della recettività: soggiace a ogni forma sostanziale di ordine sensibile e alla privazione che consente la trasformazione, senza includere in se stessa ne le forme, ne la privazione.61

In questo senso, S. Tommaso può affermare che «comunemente viene denominata materia prima ciò che, nel genere della sostanza, è come una certa potenza, intesa al di là di ogni specie, forma e privazione, e tuttavia recettiva di forme e privazioni».62

''•') Cfr. De Ver., 3, 5.

60) Cfr. 1 Sent., 3, 4, 2, ad 4; De Anima, 12, ad 12.

61) Cfr. De princ. nat.,2. ---•--—————•-

°) De spirit. creat., 1; cfr. I, 3, 8; 7, 2, ad 3; 1 Physic., 1. 13.

112

Materia e forma

Naturalmente va precisato che la materia prima è nel genere della sostanza non nel senso di qualcosa di in sé attualmente sussistente, ma come ciò che è in potenza a essere qualcosa in atto sostanziale:63 essa entra nella costituzione sostanziale di ogni corpo naturale.64

Il soggetto è la sostanza sensibile che soggiace alle trasformazioni accidentali, e ha come sostrato e costitutivo della sua generazione e corruzione sostanziale la materia prima.

Esso ha una grande importanza dal punto di vista, della descrizione della materia prima. Dalla funzione del soggetto,, si risale per analogia alla funzione della materia prima, giacché quest'ultima non è per sé intelligibile.

Come riconosciamo - per es. - che il legno è qualcosa di diverso dalla forma del sedile e del letto, perché può trovarsi sotto l'una o l'altra, così giungiamo alla nozione di materia prima quando osserviamo che dall'unione dell'idrogeno e dell'ossigeno si produce una nuova sostanza: l'acqua. Ciò che funge da sostrato di tale mutazione è appunto la materia prima.65

b) La forma

La forma è descrivibile come ciò per cui (id quo) una cosa è determinata a essere ciò che è. E il principio determinatore relativo alla materia che viene ad essere determinata, in quanto a sua volta principio di indeterminazione o potenzialità.

In modo più specifico, la forma sostanziale «è ciò per cui la materia prima viene costituita ente in atto e questo qualcosa {hoc ali-quici)».^ Per questo essa è detta atto della materia; come tale non è l'essenza di una cosa, ma rientra con la materia stessa nell'essenza di una cosa come suo principio.

In questo senso, la forma sostanziale non può mai esistere senza la materia, come la materia senza la sua forma sostanziale, perché ciò che esiste è il composto.

E il caso della forma corporea, cioè di quell'atto formale non sussistente, ma per riduzione appartenente all'ordine sostanziale, che conferisce essere e unità al corpo naturale.

") Cfr. 8 Met., 1. 1.

") Cfr. 1 Physic., 1. 15; 2 Physic., 1. 2.

65) Cfr. 1 Physic., 1. 13.

") Cfr. De ente et ess., 2.

113

parte seconda

Tuttavia, in quanto atto, la forma sostanziale può assumere la stessa fisionomia della sostanza, cioè dell'atto formale sussistente, anche se non è pura e semplice attualità (solo Dio è atto puro).

E il caso della forma spirituale. In modo completo si dice sussistente l'angelo; in modo incompleto, invece, si dice sussistente l'anima umana, perché è una certa sostanza spirituale e nel contempo forma sostanziale del corpo umano. /

La/orma accidentale, dal canto suo, è ciò per cui la materia seconda o soggetto riceve una modificazione completiva, non costitutiva dell'essenza. • •

Mentre la forma sostanziale fa essere la materia in senso assoluto (simpliciter), la forma accidentale fa essere la materia in modo secondario (secundum quid), cioè sotto un certo aspetto aggiunto. Il calore, per es., non fa essere il suosoggetto in senso assoluto, ma lo fa essere caldo: fa sì-che l'acqua sia calda, i non che sia acqua.67

3) la CARATTERIZZAZIONE SPECIFICA

a) La materia

Dal punto di vista ontologico, la materia prima e ingenerabile e incorruttibile, perché non è qualcosa di sussistente, un ente, ma un semplice principio privo di ogni attualità, di ogni forma.

Se fosse generabile e corruttibile, occorrerebbe supporre un soggetto precedente dal quale provenga o nel quale si risolva, il che è assurdo: la materia prima precederebbe se stessa, mentre per definizione essa è il soggetto primo dal quale (ex quo) si genera qualcosa per sé.68

Tuttavia, essa è creata - o meglio concreata - d_a Dio,69 insieme alle forme che la determinanq_specificamente:70 anche ciò che sta dalla parte della potenza è creato, se tutto ciò che riguarda l'ente finito è creato.

Se la fórma è principio di specificazione della materia, o della sua individuazióneSpecifica, la materia, a sua volta, in quantosoggiacente

67) Cfr. I, 76, 4.

68) Cfr. / Physic., 1. 15.

69) Cfr. I, 44, 3.

70) Cfr. I, 44, 3, ad 4; 45, 5. G. barzaghi, La nozione di creazione in S. Tommaso d'Aquino, in «Divus Thomas» 3 (1992), pp. 62-81 e in questo volume.

114

Materia e forma

a certe dimensioni, è principio di individuazione^ numerica della forma.71 La materia quantitate signata, cioè la materia determinata dalla quantità, è il principio di individuazione all'interno di una stessa natura specifica: ciò che distingue un individuo corporeo da un altro, per es. quest'uomo da quell'altro, sono «questa carne e queste ossa».72

Dal punto di vista gnoseologico, la materia prima, in quanto pura potenzialità, è inintelligibile per sé e può essere concepita solo in rapporto alla forma cui soggiace73 e alla quale dice ordine.74

In riferimento ai diversi livelli di concettualizzazione, la materia già formata è caratterizzabile come sensibile e come intelligibile.

La materia, sensibile è la materia corporea che soggiace alle qualità sensibili quali il freddo, il caldo, il secco, l'umido ecc.75 Essa si dice comune, quando rientra nella concettualizzazione universale come elemento essenziale: per es., carne e ossa appartengono ài concetto specifico di uomo.

La materia sensibile è individuale quando è determinata dalla quantità dimensiva (questa carne e queste ossa): non rientra nella definizione della specie, ma in quella dell'individuo, supposto che se ne dia una definizione.76

La materia intelligibile è la sostanza in quanto soggiacente alla quantità. Poiché la quantità precede le qualità sensibili nell'inerire alla sostanza - come vedremo -, può essere concettualizzata senza di esse.77 E il tipico grado di concettualizzazione o di astrazione della matematica.

Nella determinazione della materia intelligibile, si può prescindere dalla materia intelligibile individuale (questa o quella sostanza), ma non dalla materia intelligibile comune, cioè dal riferimento alla sostanza cui inerisce la quantità come accidente.78

b) La forma

La forma è caratterizzabile secondo i diversi livelli o gradi ontologici nei quali essa si presenta.

71) Cfr. De ente et ess., 2, I, 75, 4.

72) Cfr. Ibid., I, 86, 3.

73) Cfr. 1 Physic., 1. 13.

74) Cfr. 2 Physic., 1. 4; I, 15, 3, ad 3; 87, 1; 8 Met., 1. 1.

75) Cfr. I, 85, 1, ad 2. •. '

7') Cfr. De ente et ess., 2.

") Cfr. I, 85, 1, ad 2.

7S) Cfr. De Ver., 2, 6, ad 1.

115

parte seconda

- La forma si dice estrinseca o esemplare79 quando è intesa come ciò a somiglianzà del quale qualcosa si genera. Infatti, l'esemplato si rapporta al suo esemplare secondo la forma.80

- La forma si dice intrinseca quando, in senso stretto, è lo stesso principio strutturante e determinante una cosa,81 giacché appartiene alla natura stessa della forma essere nel soggetto del quale è forma.82

La forma sostanziale, dal punto di vista statico, è principio dell'essere sostanziale e, come tale, è unica, perché uno è l'ente che da tale attuazione risulta.83 Essendo la materia finalizzata alla forma,84 giacché riceve da essa la propria determinazione, deve esserle proporzionata,85 cosi come la forma sostanziale materiale non oltrepassa la proporzione della materia:86 ogni atto, infatti, corrisponde alla propria potenza.87

Per sé la forma subisce una duplice limitazione: individuale, da parte della materia rispetto alla forma specifica; specifica, da parte della differenza rispetto alla forma del genere.88 In questo secondo modo, le forme si differenziano sempre secondo una scala gerarchica, giacché le differenze formali si fondano su una certa contrarietà che, a sua volta, implica il più e il meno, come il possesso e la privazione.89

La forma è anche principio di intelligibilità, perché una cosa è conoscibile secondo l'attualità che le proviene dalla forma.90 Dal punto di vista dinamico, la forma sostanziale, in senso attivo, è principio dell''operazione, perché ogni agente agisce in forza della sua forma, della sua attualità.91 In senso passivo, la forma sostanziale è edotta dalla potenza della materia,92 dalla quale non può separatamente sus-

79) Cfr. 5 Met., 1. 2.

80) Cfr. I, 18, 4, ad 2; 56, 1, ad 3.

81) Cfr. 5 Met., 1. 2.

82) Cfr. I, 40, 1.

83) Cfr. I, 76, 8.

8<) Cfr. I, 47, 2.

85) Cfr. I-II, 37, 4 e; 4 Sent., 17, 1, 2, 2 e.

86) Cfr. II-II, 24, 3, ad 2.

87) Cfr. C.G., II, 81; 83; IV, 84. -

88) Cfr. De spirit. creai., 1, ad 2.

s9) Cfr. In De causis, 4; I, 47, 2. Considereremo tra poco, in modo più approfondito e articolato, questo tema che si riferisce all'ordine e alla intelligibilità.

90) Cfr. I, 87, 1. '

•») Cfr. I, 3, 2; 76, 1.

92) Cfr. C.G., II, 86.

116

Materia e forma

sistere - come si è detto -, fatta eccezione per l'anima umana, che è creata immediatamente da Dio. ;,

Non essendo qualcosa di sussistente (quod), ma ciò per cui (quo) qualcosa è, alla forma sostanziale come tale non spetta ne il divenire, ne l'essere creata, perché ciò compete al soggetto o sostanza:93 quando si parla di produzione della forma, in realtà si intende parlare della cosa o soggetto che è prodotto per mezzo di essa.94

La forma accidentale ha la caratteristica di attuare solo modalmente il soggetto, cioè im una dimensione semplicemente completiva e non costitutiva.

In questa prospettiva, la sostanza funge da materia in qua, in quanto è appunto il soggetto di inerenza delle forme accidentali.

- Se si considera l'aspetto metafisico o essenziale dell'inerire, cioè le sue determinazioni specificanti, la forma accidentale si qualifica per le diverse modalità con le quali caratterizza la sostanza stessa. Si tratta dei nove predicamenti successivi alla sostanza, con la quale costituiscono i supremi generi dei predicati (punto di vista logico), o i supremi generi di realtà.95

Quando la forma accidentale inerisce intrinsecamente alla sostanza, si possono dare due modalità: una assoluta e l'altra relativa.

Secondo la modalità assoluta: se la forma accidentale segue la materia del soggetto, essa si esprime come quantità:, se invece segue la forma del soggetto, si esprime come qualità.

La quantità predicamentale96 è l'accidente proprio della sostanza

93) Cfr. I, 45, 8.

94) Cfr. De virt. in comm., 11.

n) Cfr. 5 Met., 1. 9.

9') In S.Tommaso, il termine quantità ha un significato analogico assai esteso, indicando, in certo modo, tutto ciò che dice grandezza, numero, estensione e perfezione.

In senso proprio, esso indica la quantità per sé o secondo la sua essenza, cioè la grandezza in quanto tale.

Se si pone l'accento sull'intensità di tale grandezza, S. Tommaso usa l'espressione quantità di virtù (cfr. 5 Met., 1. 18). Essa si identifica con la stessa perfezione ontolgica di una cosa e ha come criterio o misura la natura o forma della cosa stessa. In questo senso, possiamo parlare - per es. - di una grande scienza, di maggiore o minore carità ecc. (cfr. I-II, 52, 1). Gli scolastici la chiamano anche quantità trascendentale.

Se si pone l'accento sulla estensione in senso stretto della grandezza, S. Tommaso parla di quantità dimensiva. Essa appartiene all'ordine predicamentale: è il primo dei nove predicamenti successivi alla sostanza (cfr. De Ver., 29, 3 e), conseguendo direttamente - cioè in modo proprio - al principio materiale del complesso ilemorfico (cfr. 5 Met., 1. 9; 1 Physic., 1. 3; 3 Physic., 1. 5; De Fot., 9, 7c; I, 76, 1, ad 3; 77, 6).

In senso improprio, il termine quantità può essere applicato alla designazione di ciò che è quantità solo in modo accidentale (per accidens], cioè non in forza di se stesso,

117

parte seconda

corporea (composto sostanziale ilemorfico). Constatiamo, infatti, che le realtà corporee sono estese, hanno cioè grandezza, dimensioni, .tutina in forza del modo proprio del suo termine di riferimento. Il moto e il tempo si dicono quantità, per il fatto che subiscono una divisione quantitativa, cóme conseguenza della divisione della quantità alla quale si riferiscono : per es., una distanza da percorrere (cfr. 5 Met., 1. 15). . , ,

La quantità predicamentale è descrivibile come posizione o ordine delle parti nel tutto (cfr. C.G., IV, 65). Essa, infatti, da dimensione o estensione alla sostanza corporea, secondo altezza, lunghezza e profondità (cfr. De ente et ess., 2).

Da un punto di vista quasi materiale (ecco già a questo punto una applicazione per estensione analogica della terminologia ilemorfica a un contenuto di ordine puramente teoretico e non fisico ! Ma la sua precisa elaborazione avverrà più avanti in questo sta-' dio), la quantità implica la distinzione diparti, l'avere parti fuori delle parti: per es., nel corpo umano la testa non è il tronco, il tronco non è una gamba ecc.

Da un punto di vista quasi formale, la quantità implica Verdine (cfr. I, 14, 12, ad 1) di queste parti, cioè una certa misurabilità, così che S. Tommaso può anche definirla come misura della sostanza (cfr. 9 Met., 1. 1 ; De ente et ess., 7; I, 28, 2 e). Nella quantità si danno sempre un prima e un poi, cioè una sequenza nelle parti.

Duplice è l'angolo prospettico sotto il quale si può caratterizzare la quantità: quello metafisico e quello conoscitivo. ;

- Sul piano metafisico, la quantità predicamentale, come primo accidente della sostanza corporea, ha il carattere della sensibilità. Essa conferisce la divisibilità alla sostanza corporea, la quale, priva della quantità, risulterebbe indivisibile come una realtà spirituale (cfr. C.G., IV, 65). Se la sostanza corporea, dotata della propria quantità, non è divisibile all'infinito, giacché un corpo naturale richiede un minimo specifico di grandezza (cfr. 1 Physic., 11. 9 e 15; De Fot., 4, 1, ad 5), la quantità estesa, come tale, implica una divisibilità all'infinito (cfr. I, 3, 1; 1 Sent., 19, 3, 1, ad 2).

Si dice divisibile e non divisa, in quanto le sue parti non sono attualmente presenti nel continuo esteso, ma solo potenzialmente (cfr. 7 Met., 1. 13), altrimenti l'esteso non sarebbe uno, ma una molteplicità di unità estese, più o meno unite tra loro. Le parti potenzialmente divisibili nel continuo sono infinite, perché sono sempre estese e dell'esteso si da sempre divisione (cfr. 1 Physic., 1. 9).

In quanto capace di individuazione per sé (cioè indipendentemente da un soggetto di inerenza, come invece avviene per gli altri accidenti), la quantità concorre con la materia - come si è già visto - all'individuazione dei corpi (cfr. C.G., IV, 65; In B. Trin. 1, 2, 2, ad 3).

Astraendo dalla materia sensibile, la quantità si individua da sé, come vediamo nelle figure geometriche, che possiamo semplicemente immaginare come individue (per es., una linea, una circonferenza). La quantità, infatti, implica posizione, come si è detto, cioè sito, non come ordine delle parti nel luogo, ma come ordine delle parti nel tutto (così esso è la differenza della quantità: cfr. 4 Physic., 1. 7).

La materia, cioè il soggetto primario non ricevuto in altro, m quanto segnata dalla quantità (quantitate signata) si costituisce come principio di individuazione - come abbiamo già accennato.

Si dice segnata dalla quantità, in quanto soggiace alle dimensioni quantitative. Tuttavia non si tratta di dimensioni terminate, cioè con figura e misure determinate : al frequente variare di tali determinazioni, infatti, varierebbe lo stesso individuo, che non sarebbe più numericamente uno. Tali dimensioni sono perciò interminate (cfr. In B.Trin., 1, 2, 2 e).

Poiché la quantità è un accidente e l'essere accidentale non può precedere quello sostanziale (cfr. 1 Sent., 8, 5, 2), la condizione di individuazione dei corpi prevede non solo la materia, ma anche la sua attuazione attraverso la forma sostanziale della corporeità; a questa seguono come accidenti propri le dette dimensioni interminate (cfr. I, 76, 4, ad 4).

tl8

Materia, e forma

tavia non sono la loro propria estensione. Esse possono variare nelle loro dimensioni, rimanendo immutate nella loro struttura, sia specifica che individuale. Per es., un uomo cresce in statura secondo le normali tappe di sviluppo fisico dell'età, eppure resta sempre lo stesso individuo di natura umana. Questo significa che la quantità non è costitutivo della sostanza corporea, ma ne è appunto l'accidente proprio, realmente distinto da essa.

La qualità predicamentale può essere complessivamente descritta come quella forma accidentale che modifica o dispone la sostanza in se stessa: per es., la sapienza si aggiunge qualitativamente all'uomo e lo costituisce intrinsecamente sapiente.97

In questo modo, il principio di individuazione segue sempre la forma sostanziale generica della corporeità, nel suo distinguersi e precedere concettualmente la forma sostanziale specifica. Ogni genere, infatti, ha i propri accidenti, i quali fungono da disposizioni per la forma più specifica o superiore. Perciò, da un punto di vista genetico dei concetti, la forma generica della corporeità precede e si appropria la quantità dimensiva interminata individuante, la quale - a sua volta - è intesa come dispositiva della materia in diverse parti per la ricezione delle singole forme di un'unica specie (cfr. I, 76, 6, ad 1). In realtà, però, è la stessa forma sostanziale specifica che, contenendo in sé virtualmente le perfezioni generiche inferiori, conferisce i diversi gradi di perfezione alla materia (cfr. Ibid., ad 2).

La quantità dimensiva interminata conferisce alla sostanza corporea anche la localizzazione (cfr. Ili, 76, 5) e la rilevabilità per indicazione (segnaliamo l'individuo indicandolo con il dito: cfr. De nat. mat., 3).

- Sul piano conoscitivo, abbiamo la quantità matematica (cfr. Ili, 77, 2, ad 4).

Essa risulta per astrazione dalla materia sensibile sia individuale che comune, ma non dalla materia intelligibile. Quest'ultima, infatti, non è altro che la sostanza in quanto soggiace alla quantità. Poiché la quantità, come primo accidente della sostanza, precede le qualità sensibili nell'inerire alla sostanza (cfr. Ili, 77, 2 e), può essere pensata prescindendo da quelle stesse qualità (cfr. I, 85, 1, ad 2; 8 Met., 1. 5).

Nella tipica divisione della quantità matematica si distinguono : una quantità continua, cioè estensiva, fatta di linee, superfici e corpi matematici (=• tré dimensioni); una quantità discreta o numerica (cfr. 3 Physic., 1. 7), che scaturisce dalla divisione della quantità continua (cfr. In B. Trin., 1, 2, 2, ad 6) ed è la molteplicità misurata o misurabile attraverso l'unità (cfr. 10 Met., 1. 8).

<)7) Cfr. I, 28, 2 e; I-II, 49, 2 e; 5 Met., 1. 9.

In S. Tommaso, il termine qualità è sinonimo di determinazione distintiva o differenziale di una cosa, secondo la tipicità propria di un principio formale. Esso può indicare - in senso lato - il principio differenziale del genere, cioè la differenza sostanziale, secondo la quale è attuata e determinata la potenzialità della materia prima (cfr. 5 Met., 1. 16); oppure esso si riferisce a ciò che attua il soggetto sostanziale m modo secondario, cioè all'accidente in generale. In senso stretto, però, il termine qualità indica il secondo dei nove predicamenti successivi alla sostanza (cfr. I-II, 49, 2 e), i

Proprio in questo senso predicamentale, la qualità si caratterizza secondo i diversi modi con i quali si rapporta alla sostanza.

Dal punto di vista della connaturalità al soggetto di inerenza, la qualità si dice naturale, quando non eccede, anzi segue le capacità e le esigenze della natura specifica del soggetto; si dice, invece, soprannaturale, quando le sue finalità o i suoi orientamenti

119

parte seconda

Secondo la modalità relativa, la forma accidentale si esplica come riferimento del soggetto ad altro, cioè come relazione.

Quando la forma accidentale inerisce estrinsecamente alla sostanza, si verificano altre due modalità.

Se l'estrinsecità è solo parziale, perché la forma accidentale si riferisce al soggetto almeno come a principio, oppure come a termine, allora abbiamo rispettivamente Vagire e il subire.

superano le inclinazioni specificamente connaturali al medesimo soggetto: la grazia santificante è una qualità soprannaturale (cfr. I-II, 49, 2 e).

Dal punto di vista della specifica funzione dispositiva, le caratteristiche speciali della qualità segnalano le sue diverse specie (cfr. I-II, 49, 2 e). •

- Se modifica la sostanza o dispone accidentalmente il soggetto rispetto alla sua stessa essenza, abbiamo l'abito e la disposizione (prima specie della qualità). Queste qualità dispongono bene o male il soggetto rispetto alla sua natura, giacché quest'ultima ha sempre ragione di fine e dunque di bene. Per es., la salute è un abito che dispone bene il soggetto in se stesso; la malattia, invece, lo dispone male in se stesso. Ciò che distingue, ancora modalmente, l'abito dalla disposizione è la maggiore o minore transitorietà con la quale esercitano la loro azione: la natura, infatti, è il fine del moto generativo. Così, l'abito è difficilmente mobile (per es., la malattia); la disposizione, invece, è facilmente mobile (per es., la salute cagionevole).

- Se la modifica qualitativa riguarda l'attività o la passività del soggetto, in rispondenza ai suoi princìpi naturali, cioè alla forma e alla materia, allora abbiamo rispettivamente la potenza e {'impotenza (seconda specie della qualità), la passione e la qualità sensibile (terza specie della qualità). In questi due casi, la modalità dispositiva non riguarda il fine, ma solo il grado di facilità di esercizio (potenza-impotenza), o il maggiore o minore grado di stabilità (passione-qualità sensibile).

Li potenza dispone il soggetto all'operazione. Si tratta della facoltà operativa, che può essere: attiva, come l'intelletto agente, nell'ordine spirituale, o la facoltà nutritiva, l'accrescitiva, la generativa e la motoria nell'ordine corporeo; oppure può essere passi-va, come l'intelleto possibile e la volontà, nell'ordine spirituale, o i sensi e l'appetito sensitivo, nell'ordine corporeo. ,, .

L'impotenza si oppone alla potenza come semplice in'debeilimento (per es,, una vista debole). , .. • ;

La passione e la qualità sensibile sono qualità che implicano un'alterazione nell'ordine sensibile. I colori, i suoni, gli odori, i sapori, la mollezza, la durezza ecc. appartengono a questa classe. La passione indica una situazione facilmente transitoria, rispetto alla stabilità segnalata dalla qualità sensibile {patibdis qualitas). Si è soliti.esemplificare tale diversità con il rossore del viso dovuto a pudore (passione), opposto, al carattere somatico tipico del temperamento sanguigno (qualità sensibile). :.

- Se la determinazione qualitativa si rapporta al soggetto secondo la quantità dello stesso, essa non implica ne la disposizione buona o cattiva, ne una situazione più o meno transitoria. La quantità, infatti, per sua natura non include il carattere di cene o di male, ne è coinvolta nel moto. i

In questo caso abbiamo Informa e Sfigura. Queste qualità sono delle terminazioni della quantità (cfr. I, 7, 1, ad 2). La forma si riferisce all'essere specifico dell'artefatto. La figura, invece, è la terminazione della quantità corporea naturale ed è il segno principale per il quale distinguiamo le diverse specie appartenenti a quest'ordine. Per es., alle diverse specie animali corrispondono diverse figure corporee (cfr. I, 35, 1 e).

120

Materia e forma

Se l'estrinsecità è totale, allora la forma accidentale può esprimersi come misura del soggetto quanto al tempo, o quanto al luogo. Rispetto al tempo, abbiamo il quando; rispetto al luogo, invece, abbiamo il dove, se non si considera l'ordine delle parti nel luogo, il giacere o sito, se si considera tale ordine.

La forma accidentale estrinseca, che si rapporta al soggetto senza esprimere alcuna misura, è V abito, cioè l'essere rivestito - da non confondere con la prima specie della qualità.

- Se si considera l'aspetto fisico o entitativo dell'inerire, cioè il generico aver l'essere in un soggetto, la forma accidentale presenta caratteristiche ordinarie e straordinarie.

In via ordinaria, essa ha l'essere in un soggetto, che è in modo primario la sostanza (subiectum quod); tuttavia, secondariamente, cioè in virtù della sostanza alla quale inerisce, una forma accidentale può essere soggetto (subiectum quo) di un'altra forma accidentale. Per es., il colore inerisce alla sostanza corporea attraverso la superficie quantitativa.98

Dal soggetto sostanziale di inerenza, la forma accidentale riceve la propria individuazione" e, conscguentemente, V incomunicabilità ad altro soggetto: la forma accidentale, numericamente una, non passa da soggetto a soggetto, altrimenti non sarebbe più numericamente una.100

In via straordinaria, la forma accidentale può esistere senza soggetto di inerenza, per l'onnipotenza di Dio, come nel caso delle specie eucaristiche in forza del miracolo della transustanziazione. Infatti, Dio è la causa prima dalla quale dipendono tutte le altre cause e i loro effetti: Egli può quindi ottenere, in via straordinaria, lo stesso effetto delle cause seconde, non supponendole.101

D'altra parte, in questa eventualità, non si contravverrebbe alla natura della forma accidentale, perché questa non implica l'attuale esistenza in un soggetto, ma l'essenziale attitudine ad avere l'essere in un soggetto; tale attitudine non viene minimamente intaccata.

4) il RIFLESSO LOGICO

Come abbiamo detto poco più sopra, l'intelligibilità degli enti sensibili ha come suo principio la forma. In questo senso la forma è

w) Cfr. I, 77, 7, ad 2; I-II, 7, 1, ad 3.

") Cfr. I, 77, 7, ad 2; I-II, 7, 1, ad 3.

100) Cfr. Ili, 77, 1.

101) Cfr. Ibid.

121

parte seconda

sinonimo - anche se in modo piuttosto lato e non preciso - di essenza e di specie.102

a) Inquadramento tematico

Specie (lat. species dal verbo spedo = guardare, osservare) significa in generale apparenza, aspetto visibile, forma, figura.

S. Tommaso usa questo termine con diversi significati.

In senso attivo, specie sta per visione.m In senso passivò, il termine specie è vocabolo chiave sia nell'ordine ontologico , sia nell'ordine logico.

Nell'ordine ontologico, se ci si colloca sul piano sensibile, specie può indicare la semplice apparenza esterna, come nel caso delle specie sacramentali;104 oppure è sinonimo di bellezza.10'1 Se ci si colloca sul piano intelligibile, specie ricorre - come si è appena detto - come sinonimo di essenza e di forma.

Nell'ordine gnoseologico, se si considera la conoscenza dal punto di vista psicologico, la specie intelligibile è sia principio dell'atto conoscitivo, come suo elemento informativo (è la species impressa; ciò per cui si conosce), sia termine dello stesso, come concetto nel quale si conosce la realtà (è la species expressa; id in quo cognoscitur)1^

Se ci si situa Sul piano logicò, invece, la specie è una nozione astratta, un puro ente di ragione, che indica ciò che è intermedio tra l'individuo e il genere.

Esattamente in quest'ultima accezione, la specie è un predicabile, cioè uno dei cinque modi con i quali un predicato si dice di un soggetto: genere, specie, differenza, proprio e accidente.

Così, quando dico di Socrate che è uomo, predico del soggetto la specie; quando dico che Socrate è animale, predico del soggetto il genere; quando dico che Socrate è razionale, predico del soggetto la differenza specifica; quando dico che è bianco, predico del soggetto l'accidente.

Essi si distinguono secondo il riferimento all'essenza di una cosa.

102) Cfr. 5 Met., 1. 2; 1 De gen. et coir., 1. 4.

103) Cfr. I-II, 4, 5.

104) Cfr. Ili, 76, 7.

105) Cfr. I, 39, 8.

106) Cfr. I, 85, 2; In Joann., 1, 1. 1.

122

Materia, e forma

Se il predicato indica l'essenza della cosa esprimendola in modo indeterminato, cioè non del tutto completo, abbiamo il genere, che si dice predicabile, appunto, in quid (essenza) incomplete. Se la esprime in modo determinato e completo, abbiamo la specie, che si dice predicabile in quid complete.

Se il predicato esprime l'essenza nel suo aspetto più formale e determinante, abbiamo la differenza, che si dice predicabile in quale quid (è la qualità essenziale).

Se il predicato non indica l'essenza, ma ciò che con essa è collegato necessariamente, abbiamo il proprio, che si dice predicabile in quale necessario (qualità necessaria), perché consegue ai principi intrinseci dell'essenza.

Se il predicato ne indica l'essenza, ne ciò che ad essa consegue necessariamente, abbiamo l'accidente, che si dice predicabile in quale contingenter (qualità necessaria).

La specie converge con il genere e, con la differenza nel designare la stessa essenza come un tutto,107 esplicitandolo in modo diverso. La specie, rispetto al genere e alla differenza, si costituisce come la loro coalizione complessiva implicita, perché è il risultato della contrazione del genere per mezzo della differenza.108

Dal canto suo, la definizione non è altro che la esplicitazione della specie secondo le sue due componenti concettuali, cioè il genere e la differenza specifica. In questo senso, animale razionale è la definizione della specie uomo, in quanto quest'ultima risulta appunto dalla determinazione del genere prossimo animale per mezzo della differenza specifica razionale, che ne limita l'estensione per esclusione della differenza contraria (irrazionale), specificante l'animale bruto.109

La specie, nella sua situazione intermedia tra il genere e l'individuo, per contrazione del genere stesso mediante differenze, è caratte-rizzabile come suprema, subalterna e infima o specialissima. Questa nomenclatura scolastica rispecchia il coordinamento che intercorre tra i generi e le specie, così come è schematizzato dal filosofo neoplatonico Porfirio (Isagoge).

Suprema è la specie che, non ammettendo altre specie superiori a sé, ma solo inferiori, si colloca sotto il genere superiore e coincide con il primo genere subalterno.

107) Cfr. 2 Sent., 3, 1, 5.

108) Cfr. I-II, 35, 8; II-II, 17, 5; 1 Perih., 1. 8; De Fot., 8, ad 5.

1M) Cfr. 3 Physic., 1. 1. .

123

parte seconda

Subalterna è la specie che ammette sia superiori che inferiori a sé, identificandosi con il secondo genere subalterno e il genere prossimo o infimo.

Infima o specialissima è la specie che ammette specie superiori, ma non inferiori: è la specie in senso stretto, sopra descritta, che sta tra il genere prossimo e gli individui.

Ecco la celebre esemplificazione schematica:

sostanza (gen.supr.) composta semplice (aiti. costit. ) (diff. divisiva)

corpo (1 gen.sub./spec-supr.) animato inanimato

vivente , (2 gen.sub./l spec.sub.) sensitivo non sensitivo

animale' (gen.pross.72 spec.sub.) razionale non razionale

uomo (spec. infima) Sacrate (individuo)

Da questo schema appare evidente il parallelo che, sulla scia di Aristotele, S. Tommaso e gli scolastici istituiscono tra le specie e i numeri (species sunt sicut numeri). Infatti, come questi ultimi variano per addizione o sottrazione di unità, così le specie variano per addizione o sottrazione di una differenza.110

b) .La problematica

Secondo una certa proporzione, la specie corrisponde al composto naturale, cosi come proporzionalmente il genere si rapporta alla materia e la differenza alla forma.111

La radice della composizione logica, infatti, è la composizione metafisica della potenza e dell'atto, che si riscontra nell'ente fiito.

110

111'

') Cfr. 8 Met., 1. 3; I, 50, ad 1. ') Cfr. 1 Sent., 19, 4, 2, 2, s.c.; De ente et ess., 3.

124

Materia e forma

In ambito endtativo, essa è la composizione dell'essenza e dell'essere, riscontrabile in tutte le creature, sia corporee che spirituali.

In ambito quidditativo o essenziale, essa è la composizione della materia e della forma, riscontrabile nelle sole creature corporee.112 In questo senso, la definizione, rigorosamente composta dal genere e dalla differenza, segnala la composizione reale del definito.113

Tuttavia, la corrispondenza della specie al composto, così come quella del genere alla materia e della diferenza alla forma, è solo proporzionale, perché trova in quelle parti solo una radice, ma non il suo pieno fondamento, che è di ordine intellettivo. Genere, specie e differenza specifica sono enti di ragione (intentiones secundae).

Materia e forma, nelle creature corporee, sono parti integrali, dalla cui composizione risulta una terza realtà, che è il tutto sostanziale (per es., corpo organico + anima razionale = uomo). Come tali, esse non sono predicabili del tutto: non è possibile dire che l'uomo sia corpo organico, oppure che sia anima razionale.114

Il genere e la differenza, dal cui rapporto invece nasce la specie, non ne sono parti integrali; non sono due princìpi reali dalla cui sintesi si origina una terza realtà, ma due concetti che stanno alla base di un terzo. Come tali, essi esprimono lo stesso tutto, la stessa totalità della quale perciò sono predicabili: posso dire che l'uomo è animale e posso dire che è razionale.115 Ciò che li distingue è appunto la proporzionale corrispondenza alla materia e alla forma nelle sostanze corporee, e all'essenza e all'essere in quelle spirituali.116

Perciò, il genere e la differenza devono fondarsi sullo stesso tutto composto, in quanto tutto, denominandolo però a partire dalle sue componenti. Il genere viene così desunto da ciò che è materiale nella sostanza; la differenza da ciò che è formale.117

I termini materiale e formale, infatti, indicano rispettivamente il tutto connotando la materia o la forma, dalle quali traggono denominazione. In questo senso, S. Tommaso dice che «la natura sensitiva, dalla quale si desume la nozione di animale, è materiale nell'uomo rispetto alla natura intellettiva, dalla quale si desume la differenza specifica dello stesso, cioè razionale».118

112) Cfr C.G II 54

113) Cfr. 1 Sent., 25, 1, 1, ad 2; 7 Met., 1. 9.

114) Cfr. De ente et ess., 3.

"5) Cfr. Ibid.

lró) Cfr. De nat. generis, 5; C.G., II, 95.

"7) Cfr. De ente et ess., 6.

118) Cfr. C.G., II, 95.

125

parte seconda III. Espansioni analogiche

1) L'ANALOGIA

Nella filosofia realista, l'attenzione al reale in tutte le sue singole e dettagliate espressioni si manifesta con la dottrina dell'analogia.119 Per essa, non soltanto è possibile salvaguardare la molteplicità e ricchezza dei contenuti senza riduzionistiche semplificazioni, ma è anche possibile estendere la conoscenza in riferimento a contenuti assai diversi tra loro, per quella legge di proporzione e di proporzionalità che anima la struttura dell'essere.

a) Descrizione

L'analogia si presenta come il riflesso logico dell'ordine ontologico. La molteplicità organizzata secondo partecipazione gerarchica e causalità sul piano metafisico, viene espressa logicamente con concetti

119) II termine analogia deriva dal greco avaXoyla. Si tratta di un termine astratto, composto dalla proposizione ava, che nei composti indica un confronto di somiglianzà, e dal sostantivo Xóvoc;, che significa ragione, misura, rapporto o relazione. I Latini (Cicerone, Varrone) resero il termine àvaKoyia con l'equivalente proportio (proporzione). Dal punto di vista usuale, il termine analogia ebbe una tipica applicazione di ordine matematico. Infatti, mentre il termine ^óyos presso i matematici greci (Euclide) indicava la ragione e la ragione o relazione di commisurazione tra due quantità omogenee (per es., il 6 si riferisce al 3 secondo la ragione del doppio), il termine àvaXoyia indicava la relazione di commisurazione tra due o più ragioni (per es., 6:3 = 8:4). La stessa distinzione terminologica viene mantenuta anche nell'applicazione filosofica.

In S. Tommaso, si assiste a un'oscillazione. Per un verso, egli conviene con i Classici nel chiamare l'àvaXoYLCt proporzione (proportio sive analogia, cfr. J Sent., 1,1,1;

3 Met., 1. 10;4Physic., 1. 12; 2 Pori., 11. 17 e \3;1 Cael.et Mundo, \. 14; De Ver. 2, 11;

De princ. nat., 6; In B. Trin., I, 2, 2; I, 13, 5). Per un altro verso, egli se ne distingue, facendo rientrare sotto il significato del termine proporzione anche il 'kóyoc, dei Classici (ratio idest proportio, cfr. 1 De anima, 1. 9; 11 Met., \. 3) e riservando il termine proporzionalità (proportionalitas) per indicare la tipicità dell'avaXoyia (cfr. 5 Ethic., 1. 5; 1 Post., 1. 12; 4 Sent., 49, 2, 1, ad 6; De Ver., 2, 3, ad 4; 23, 7, ad 9; I, 12, 1, ad 4; 14, 3, ad 29). Da ciò consegue che l'unico termine analogia viene ad esprimere sia il Àóyoc; che l'avaKoyia, per poi distinguersi in analogia di proporzione o attribuzione (kóyoc,-ratio) e analogia di proporzionalità (avako^ia-proportio), cfr. De Ver., 2, 11; 2, 3, ad 4. Sul tema dell'analogia e sulle sue problematiche cfr. G. barzaghi, Analogia, ordine e il fondamento della sintesi tomista, in «Sapienza» 1 (1987), pp. 65-97; AA. VV., Origine e sviluppi dell'analogia. Da Parmenide a S. Tommaso, Vallombrosa 1987; B. mon-tagnes, La doctrine de l'analogie de l'otre d'après Saint Thomas d'Aquin, Louvain 1963; S. ramirez, De analogia, Madrid 1972.

126

Materia e forma

che si predicano analogicamente, cioè per contenuti relativamente somiglianti. Infatti, il concetto analogo indica simultaneamente, anche se in confuso, più cose diverse coordinate in certo modo tra loro. Per es., il termine sano indica sia il fisico dell'uomo, sia la medicina, sia il cibo, l'ambiente vitale e tutto ciò che a qualsiasi titolo dice ordine alla salute dell'uomo.120

Sul piano logico, l'analogia rappresenta la soluzione di predicabi-lità intermedia tra l'estremo dell'univocità e quello dell'equivocità. Infatti, un nome comune può riferirsi a più cose in un triplice modo:

univocamente, equivocamente e analogicamente.

Univoco è quel nome che esprime un significato assolutamente identico rispetto ai diversi soggetti dei quali si predica (per es., uomo detto di Pietro, Paolo ecc.); equivoco è quel nome che indica un significato assolutamente diverso rispetto ai diversi soggetti dei quali si predica (per es., gallo detto dell'animale e dell'antico abitante delle Gallie); analogo è quel nome che esprime un significato in pane uguale e in parte diverso rispetto ai diversi soggetti dei quali si predica - come abbiamo già notato ed esemplificato.

A livello metafisico, l'analogia si configura, nei suoi due aspetti di proporzione e di proporzionalità, rispettivamente come una qualsiasi relazione di una cosa a un'altra, senza considerare l'entità dell'eccedenza in perfezione dell'una rispetto all'altra,121 o come una qualsiasi relazione o somiglianzà tra due o più proporzioni convergenti in uno stesso ordine.122

La fondazione di questa descrizione si articola in due fasi.

- Dalla ragione e proporzione matematica, si passa alla proporzione e proporzionalità metafisica. Oltrepassando il genere della pura quantità predicamentale, che dice ordine delle parti nel tutto ed è principio della uguaglianza e ineguaglianza secondo una misura determinata, si giunge alla nozione di pura relazione d'ordine, che non implica una misura determinata e precisa di rapporto.123 Per es., si passa dalla ragione del doppio, per la quale il 6 si rapporta al 3, oppure dalla proporzione per la quale 4:2 = 10:5, e si arriva alla proporzione tutta

12Ù) Cfr. la nota n. 4 di questo studio.

121) Cfr. I, 12, 1, ad 4; 3 Sent., 1, 1, 1, ad 3; 4 Sent., 49, 2, 1, ad 6; De Ver., S, 1, ad 6; 23, 7, ad 9; 26, 1, ad 7; In B. Trin., Pro., 1, 2, ad 3; De Pot., 6, 7, ad 6; 7, 10, ad 9;

C.G., III, 54.

122) Cfr. 5 Ethic., 1. 5; De Ver., 2, 11; 23, 7, ad 9.

123) Cfr. De Ver., 2, 11; I, 12, 1, ad 4.

127

parte seconda

metafìsica tra la sostanza e l'accidente come enti, oppure tra il Creatore e la creatura secondo la dipendenza dell'effetto dalla causa, sorpassando ogni limitazione di misura, giacché Dio sta a ciò che gli compe-te per natura come la creatura sta a ciò che le è proprio.124

- La struttura ontologica fondamentale sulla quale si innesta la possibilità della concettualizzazione analogica è dunque l'ordine, secondo i tipici rapporti di dipendenza dell'effetto dalla causa, della materia dalla forma, della potenza dall'atto.125

b) Articolazione e caratterizzazione

Si danno divèrsi tipi di analogia, i quali partecipano, più o meno intensamente, la natura di relativa somiglianzà e relativa diversità, o di intermedio tra l'equivocità e l'univocità, propria dell'analogia come tale. '

S. Tommaso situa l'analogia all'interno dell'equivocità. Egli distingue tra l'equivocità assoluta, aperta e casuale dei nomi che indicano attualmente e esplicitamente più cose disparate,126 e l'equivocità relativa o secondo analogia, nascosta e imperfetta, dei nomi che indicano attualmente più cose diverse, ma implicitamente coordinate per somiglianzà con qualcosa di principale.127

Questa equivocità secondo analogia è la stessa analogia. Essa si sottodistingue in analogia in senso lato e analogia in senso stretto.

L'analogia in senso lato è quella che si da solo secondo l'essere e non secondo l'intenzione logica (secundum esse et non secundum in-tentionem) o la predicazione.129 Si tratta dell'analogia che gli Scolastici denominano analogia di ineguaglianza o fisica.

L'analogia in senso stretto è quella che si da secondo la stessa intenzione logica, cioè la definizione e la predicazione, nelle quali si verifica propriamente la formalità dell'analogia.

Se la relazione di somiglianzà o convenienza si realizza tra più cose per riferimento a una prima e principale, allora abbiamo l'analogia di proporzione o di attribuzione,m o per ordine, comparazione, relazione di una o più cose a un'altra.132

124) Cfr. De Ver., 23, 7, ad 9.

125) Cfr. In B. Trin., Pro., 1, 2, ad 3; C.G., Ili, 54.

"6) Cfr. I, 13, 5; 1 Ethic., 1. 7; 5 Ethic., 1. 1; De fall., 4.

127) Cfr. 1 Ethic., 1. 7; 5 Ethic., 1. 1; 1 Sent., 31, 2, 1, ad 2; 7 Physic., 1. 8.

1M) Cfr. I Sent., 35, 4, ad 5; I, 77, 4, ad 1.

131) Cfr. De princ. nat., 6; De Fot., 3, 5; Comp. Theol., I, 27.

"2) Cfr. I, 13, 5; I-II, 20, 3, ad 3; 4 Met.,.\. 1.

128

Materia e forma

Questo tipo di analogia prevede due modi di riferibilità tra gli analogati: secondo la sola predicazione e non secondo l'essere [secun-dum intentionem tantum et non secundum esse), e così abbiamo l'analogia di attribuzione per denominazione estrinseca; secondo la predicazione e l'essere nello stesso tempo (secundum intentionem et secundum esse simul), e così appare la figura dell'analogia di attribuzione intrinseca e formale.m

Se invece la relazione di somiglianzà o convenienza è tra due o più proporzioni, allora abbiamo l'analogia di. proporzionalità."4 Questa analogia conosce due gradi: uno proprio, nel quale il nome analogo si dice di tutti gli analogati secondo il significato proprio, in modo proporzionale; l'altro improprio o metaforico, quando il nome analogo si dice secondo il significato proprio solo in una delle proporzioni e nell'altra simbolicamente.135

- L'analogia di ineguaglianza o fisica si dice secondo l'essere e non secondo la predicazione perché la diversità relativa che caratterizza l'analogia è riscontrabile, in questo caso, solo a livello della realtà nella sua consistenza naturale e non a livello della sua definizione logica:

qui infatti vige la più rigorosa univocità.

Questa analogia indica il rapporto che intercorre tra le specie reali di un medesimo genere logico. Si consideri, per es., il rapporto tra le specie uomo, cavallo ecc. e il genere animale. Animale si predica univocamente dell'uomo e del cavallo per assoluta identità; ma, dal punto di vista reale, il modo di essere animale dell'uomo è più perfetto di quello del cavallo. Entrambi sono animali, ma non allo stesso modo.136 Così, il termine animale è analogo per analogia di ineguaglianza.

- L'analogia di proporzione o di attribuzione e generalmente ca-ratterizzabile come il tipo di predicazione che nasce dalla riferibilità di più cose a una prima e principale, la quale è sorgente della denominazione.

Questo analogato principale contiene perfettamente la forma, la cui denominazione viene attribuita agli analogati secondari per una certa dipendenza: l'analogato principale rientra nella definizione degli analogati secondari.137 Per es., sano si dice principalmente dell'anima-

133) Cfr. S. ramirez, En tomo a un famoso texto de Santo Tomas sabre analogia, in «Sapienria» (BA) 8 (1953), pp. 166-192. "4) Cfr. De Ver., 2, 11. "5) Cfr. I, 13, 3, ad 1. "6) Cfr. De Malo, 2, 9, ad 16. "7) Cfr. I, 13, 6.

129

parte seconda

le, perché in esso si trova formalmente la salute; nel caso della medicina e del cibo si ha solo l'attribuzione per una certa riferibilità alla salute dell'animale.

Tale riferibilità è di ordine causale: secondo la causa finale, come nell'esempio riportato, perché la medicina si dice sana in quanto è fatta per ricostituire la salute; secondo la causa efficiente, come medico si dice dello strumento usato dall'uomo esperto in medicina; secondo la causa quasi materiale, come ente si dice della quantità, della qualità ecc., perché si riferiscono all'ente sostanziale come a soggetto di inerenza; secondo la causa esemplare, come le diverse verità create si dicono tali per imitazione della verità increata.138

In modo particolare, l'analogia di attribuzione estrinseca si struttura sul semplice riferimento per pura denominazione di una o più realtà a un'altra principale, nella quale sola si da la forma reale che è principio d'essere e di denominazione. La salute si trova solo nel corpo dell'animale, non nel cibo, ne nella medicina, ne nel colorito; questi ultimi analogati si dicono sani per una pura relazione estrinseca: ristabiliscono, mantengono o segnalano la salute.

L'analogia di attribuzione intrinseca, invece, si istituisce non soltanto sulla base del riferimento denominativo, ma anche in base alla partecipazione gerarchica della stessa forma reale, presente in modo eminente nell'analogato principale. Per es., ogni cosa è detta buona per la bontà divina, che ne è principio esemplare, efficiente e finale, ma anche perché intrinsecamente ogni cosa è partecipe realmente di quella bontà.139

- L'analogia di proporzionalità si istituisce sulla base di almeno quattro analogati che garantiscono la similitudine tra due proporzioni. Per es., possiamo dire che l'intelletto sta all'intelligibile, come la

"8) Cfr. Deprinc. nat., (,; 1 Ethic., 1. 7; 4 Met., 1. 1; 11, 1. 3; 1 Sent., 19, 5, 1 e 2;

De Ver., I, 4; I, 16, 6.

Se il riferimento è secondo una proporzione finita, tale per cui gli analogati convengono nello stesso genere o sono perfettamente commensurabili (per es., il colorito sano è strettamente commensurabile alla salute dell'uomo, tanto da segnalarla), abbiamo l'analogia di proporzione o attribuzione in senso stretto (cfr. De Ver., 2, 11;

Quodl., 10, 17, ad 1); se invece il riferimento non si istituisce sulla base di una distanza finita e di commensurabilità perfetta tra gli analogati, allora abbiamo l'analogia di proporzione o attribuzione in senso largo (per es., tra il Creatore e la creatura).

E da notare che, in ragione di questa distinzione, S.Tommaso a volte nega l'analogia di proporzione tra Dio e la creatura (cfr. De Ver., 2, 11 e, supponendo la distanza finita), a volte l'afferma (cfr. I, 12, 1, ad 4; 13, 5; C.G., I. 34; 1 Sent., Pro., 2, ad 2; 2 Sent., 16, 1, ad 3, supponendo la distanza infinita).

"9) Cfr. I, 6, 4; De Ver., 21, 4, ad 2.

130

Materia e forma

vista al visibile. In questo caso, la forma analoga non risiede in un primo analogato, ma è immersa in tutti gli analogati, così che l'uno non rientra nella definizione dell'altro. Si può comunque dire che l'analo-gato principale nell'analogia di proporzionalità consiste nel rapporto di proporzione, formalmente partecipato dai mèmbri dell'analogia:

nell'esempio riportato, si tratta del rapporto che lega la facoltà al proprio oggetto.140

L'analogia di proporzionalità metaforica, sviluppandosi sopra una certa traslazione dei termini, consente di trattare delle difficili cose dello spirito con la semplicità delle immagini sensibili a noi più usuali. In questo senso possiamo parlare di Dio come sole dell'anima, per la sua attività illuminatrice a livello spirituale : Dio sta all'anima, come il sole all'aria.141

2) applicazione TEMATICA

Se sul piano ontologico l'analogia fondamentale è quella di proporzione o di attribuzione,142 è però l'analogia di proporzionalità quella che consente la vera espansione conoscitiva. Attraverso una sintesi razionale, l'analogia di proporzionalità abbina la profonda e tecnica analisi teoretica dell'ordine con la vivacità espositiva tipica dell'esemplificazione.

Ed è proprio attraverso l'analogia di proporzionalità propria che si verifica l'espansione delle nozioni di materia e di forma dall'ambito tipicamente cosmologico ad altri ambiti dell'essere.

L'aspetto più generale sotto il quale possono essere rappresentate la materia e la forma è rispettivamente quello dell'indeterminato determinabile e della determinazione determinante. Perciò, ogni volta che ci imbattiamo in un ordine nel quale due termini si rapportino tra loro secondo i detti parametri, è possibile istituire una nomenclatura di carattere ilemorfico e un'analisi teoreticamente proporzionale a quella principalmente cosmologica.

140) In particolare, l'analogia di proporzionalità propria, articolandosi sul significato proprio dei nomi, prevede una duplice possibilità di formulazione: una diretta e ordinata, l'altra inversa o commutata. La proporzionalità propria diretta si ha, per es., quando diciamo che l'essenza sta all'essere come il poter agire sta all'agire; la proporzionalità propria commutata, invece, risulta dall'inversione dei termini proporzionali, collegando il primo al terzo e il secondo al quarto: l'essere sta all'agire come l'essenza al poter agire (cfr. De Anima, 12, s.c. 1).

"") Cfr. lSent.,4, 1, 1; Ibid., 22, 2; C.G., I, 30; DePot., 7, 5, ad 8; I, 13, 3, adi. 142) Cfr. G. barzaghi, Analogia, ordine e il fondamento della sintesi tomista, cit.

131

parte seconda

a) La materia

La nozione di materia, cosi come è stata sin qui presentata e analizzata dal punto di vista metafisico e cosmologico, si è configurata in termini tecnici come materia ex qua e materia in qua.

Si parla di materia ex qua, o di cui una cosa è fatta, per indicare il sostrato appunto potenziale che nelle realtà sensibili viene attuato o determinato dalla forma, con la quale entra in composizione.

Se l'attuazione compositiva è di ordine sostanziale, allora - come si è detto - la materia che viene ad essere informata si dice materia prima ed è un semplice costitutivo. Se l'attuazione formale non è di ordine sostanziale, ma accidentale, allora materia è lo stesso soggetto già costituito. Si parla di materia in qua o in cui si trova una determinata forma accidentale, proprio per indicare il soggetto di inerenza.

Sul piano gnoseologico troviamo la prima espansione analogica del concetto di materia.

Si tratta della materia circa quam, cioè intorno alla quale si esercita un certo atto conoscitivo, una certa indagine scientifica, o comunque si opera.143

Essa ha come sinonimi: soggetto in ambito epistemologico e oggetto in campo psicologico.144

Anche in questo caso si distinguono : a) un soggetto o oggetto materiale primario, che riveste un aspetto maggiormente unitario e unificante, in quanto termine principale della considerazione e, a sua volta, ragione considerativa di tutto ciò che in qualche modo con esso si connette (gli scolastici lo chiamano obiectum formale quod: per es., il colore per la vista; Dio nella sua essenza per la teologia; l'ente in quanto ente per la metafisica); b) un oggetto materiale in senso stretto, che comprende la diversità e la pluralità di quegli oggetti che in modi diversi si riferiscono all'oggetto materiale primario e, sotto questa prospettiva, possono essere considerati da un'unica facoltà o da un'unica scienza: per es., nella teologia si studiano anche le creature in quanto dicono ordine a Dio.145

Nel settore più precisamente logico, materia dell'enunciazione o del sillogismo (materia enuntiationis; materia syllogismi) sono il soggetto, il predicato e il termine medio dell'argomentazione.146

143) Cfr. I-II, 55, 4; 2 Sent., 36, 1, 5, ad 4.

144) Cfr. I, 1, 7.

145) Cfr. I, 1, 3 e 8.

146) Cfr. 1 Post., 11. 1; 4; 22; 1 Perih., 1. 13.

132

Materia e forma

L'aggettivo materiale indica ciò che è connesso con la materia, in quanto ha un essere nella materia, come le realtà sensibili;147 oppure in quanto esprime un certo soggetto come tutto, connotandone il principio materiale intrinseco (per es., la natura sensitiva, dalla quale si desume la nozione di animale, è ciò che è materiale nell'uomo, rispetto alla natura intellettiva).148

L'avverbio materialmente (materialiter), nel suo contrapporsi all'avverbio formalmente (formaliter), indica il modo della considerazione, che assume in un oggetto ciò che non è specificamente determinante.

Sul piano psicologico, per es., nella considerazione visiva rientra una molteplicità di oggetti visibili diversificati tra di loro.

Il loro elemento o principio unificante e specificante nella visibilità è il colore (sono visibili in quanto sono colorati), che rappresenta la ragione formale del loro essere oggetto della vista. L'essere pietra, cavallo, uomo, ecc. di questi diversi oggetti visibili è, invece, la loro condizione materiale, rispetto alla visibilità: sono molteplici e indeterminati nelle diversità specifiche delle loro nature, mentre sono qualcosa di unitario e specificamente uno nella considerazione dell'aspetto per il quale sono comunque tutti visibili, cioè colorati.149

Considerarli dunque materialmente significa coglierli nella loro irrelata molteplicità.

Sul piano ontologico, parlare materialmente dell'uomo, per es., significa considerarlo nella prospettiva della sua natura sensibile, per la quale vengono esercitate le operazioni che si classificano come azioni dell'uomo (respirare, camminare, vedere ecc.); parlare formalmente dell'uomo, invece, significa considerarlo nell'ottica della sua differenza specifica, la razionalità, fonte di quelle operazioni classificate come propriamente umane, o dell'uomo in quanto uomo (deliberare, scegliere, ecc.).150

k) La forma

Secondo l'analisi metafisica proposta, la nozione di forma è indicativa, a diversi livelli, dell'aspetto strutturalmente determinante l'ente sensibile.

"7) Cfr. I, 43, 2; C.G., II, 56.

14S) Cfr. C.G., II, 95.

149) Cfr. I-II, 54, 4.

150) Cfr. I-II, 1, 3, ad 3; 7, 4; 10, 1; C.G., III, 2.

133

parte seconda

Abbiamo visto che con il termine forma si può intendere la causa formale, sia come forma sostanziale, sia come forma accidentale, ma anche come essenza, natura o specie, quando viene intesa come un certo grado di perfezione ontologica e principio non solo strutturante l'ente sensibile, ma costitutivo di una cosa nella sua specie.

Se consideriamo la dimensione artificiale dell'ente, si profilano due possibili settori di applicazione terminologica: quello dell'attività immanente di ordine spirituale e conoscitivo, e quello dell'attività transitiva.

Nel settore dell'attività immanente conoscitiva, sono situabili -per es. - espressioni come forma syllogismi, forma argumentandi, forma arguendi.151 Esse indicano l'aspetto strutturale e necessario di un'inferenza, prescindendo dai suoi contenuti di verità.

Nell'ambito dell'attività transitiva, cioè perfettiva di una realtà diversa dall'operazione del soggetto agente, possiamo rintracciare due zone dell'artefatto: quella nella quale la forma artifìcialis o forma artificiati, per opposizione alla forma naturalis, si aggiunge come accidente152 alla natura della cosa, apportando una modifica in linea naturale, rispondente a\\a. forma artis presente nella mente dell'artefice;153 quella nella quale l'azione artificiale diviene veicolo di una perfezione soprannaturale: nei sacramenti, la forma sacramenti, rappresentata dalle parole del ministro, determina una materia di ordine sostanzialmente naturale, costituendo una realtà assolutamente nuova di indole simbolico-strumentale, capace di produrre la grazia che significa.154

A livello intenzionale o conoscitivo, forma diviene sinonimo di idea, species, imago, exemplar, e le espressioni che segnalano detta sinonimia sono: forma intellecta seu. intelligibilis;1^ forma imaginabilis Seu imaginata;156 forma exemplaris seu idealis.157 ;

La dimensione completiva della forma si colloca sempre nell'ordine accidentale, ma in modo speciale il termine viene ad indicare in quest'ordine anche un tipo particolare di accidente: la quarta specie della qualità. In questa accezione, forma è ciò che da l'essere specifico, debitamente proporzionato, all'artefatto (per es., parliamo di for-

151) Cfr. 1 Post., 11. 4; 22; 26; 27; 1 Physic., 1. 5.

152) Cfr. / Post., 11. 4; 22; 26; 27; 1 Physic., 1. 5.

153) Cfr, I, 45, 7; III, 78, 2.

154) Cfr. III, 72, 4.

155) Cfr. I, 14, 5, ad 3; 47, 7.

156) Cfr. I, 78, 4.

157) Cfr. 3 Sent., 27, 2, 4, 3, ad 1.

134

Materia e forma

ma della statua) e si distingue dalla figura, che indica la terminazione quantitativa di un ente corporeo, secondo la disposizione delle parti.158

L'aggettivo formale sottolinea l'aspetto di principalità o essenzialità che si riscontra o si evidenzia in una cosa, in quanto relativo alla forma costitutiva della cosa stessa, alla attualità, unità, determinazione che da tale forma deriva.

Così - per es. - ciò che è formale nell'uomo è la ragione, perché sua differenza specifica. •

La stessa qualificazione, applicata all'oggetto della conoscenza (obiectum formale), indica a un tempo l'oggetto principale o specifico di una facoltà o di una scienza, e la prospettiva o il punto di vista sotto il quale ci si colloca per considerarlo e considerare in relazione ad esso tutti gli altri oggetti.159

L'avverbio formalmente (formaliter) ricopre lo stesso valore ed estensione semantica dell'aggettivo, indicando una modalità essenziale, specifica, determinante.

Sul piano logico della predicazione, parlare termalmente significa usare i termini nel loro senso stretto, preciso; esclusivo.160

Sul piano ontologico, formalmente può indicare la rispondenza reale o entitativa di un'attribuzione, come quando diciamo - per es. -che sano si dice termalmente dell'animale, in quanto la salute è una qualità che ad esso inerisce intrinsecamente. In questo modo formalmente si contrappone a efficientemente o causalmente, avverbi che sottolineano una relazione denominativa puramente estrinseca (per es., la medicina non si dice formalmente sana, ma causalmente, perché è capace di causare la salute dell'animale, pur non possedendola intrinsecamente), come ad ogni altro avverbio su questa medesima linea (obiettivamente, terminalmente, dispositivamente).

Sempre sul piano ontologico, formalmente indica la modalità con la quale un effetto è precontenuto nella sua causa, secondo la sua stessa natura. Per es., in questo modo l'uomo generato è precontenuto nell'uomo generante, con il quale è in continuità specifica. In questa

15S) Cfr. 7 Physic., 1. 5. Secondo un significato improprio, il termine forma viene usato come equivalente a figura (cfr. 4 Sent., 1, 1, 1, 3, ad 2). Per es., quando S. Tom-maso si riferisce alle apparizioni angeliche sotto sembianze umane, descritte nella Sacra Scrittura, usa l'espressione «in forma hominum», dove forma sta evidentemente per figura (cfr. C.G., Ili, 57).

15i>) Cfr. I, 1, 3 e 8.

160) Cfr. 1 Sent., 18, 1,-4.

135

parte seconda

prospettiva, l'avverbio si contrappone a eminentemente (eminenter), che esprime la presenza della perfezione dell'effetto nella sua causa, tolto ogni difetto e limite: è il modo con il quale le perfezioni create sono precontenute in Dio.161

3) un INTERESSANTE ESEMPIO DI ORDINE PSICOLOGICO

Una stimolante e interessante espansione concettuale del rapporto ilemorfico, per analogia di proporzionalità propria, è rappresentata da una finissima analisi psicologica dell'unione d'amore, proposta da S. Tommaso.

Dice S. Tommaso: «Vi sono due tipi di unione. L'una produce un'unità relativa, come l'unione di elementi aggregati, che si toccano solo superficialmente; e questa non è l'unione -d'amore, giacché l'amante viene condotto nell'intimo dell'amato, come si è detto. L'altra è l'unione che produce un'unità assoluta, come l'unione dei continui, e della forma e della materia; e questa è l'unione d'amore, perché l'amore fa sì che l'amato sia forma dell'amante».162

L'amante, dunque, sta all'amato come la materia alla forma.

In questa tesi, in virtù del realismo analogico, parametri di ordine metafisico divengono criterio ermeneutico di un fatto e di una dinamica di ordine psicologico, così come, in altre circostanze, parametri di ordine psicologico divengono criterio'interpretativo o esplicativo della struttura metafisica.163

Tale è la radicalità dell'unione d'amore da essere paragonabile alla composizione ontologica dell'ente sensibile, cioè ilemorfico, e così alta è la sua intensità di perfezione da assumere la fisionomia dell'ente sostanziale.

L'amore è una passione, cioè un moto dell'appetito sensitivo. Ora, l'appetito sensitivo è una potenza passiva e, come ogni realtà passiva, trova il proprio perfezionamento quando viene ad essere determinato dalla forma del principio attivo suo proprio, cioè ad esso proporzionato.

L'oggetto appetibile è infatti ciò che muove e determina l'appetito e ne costituisce il termine di acquietamento, come per altro verso la

161) Cfr. I, 4, 2.

162) 3 Sent., 27, 1, 1, ad 5.

163) Spesso S. Tommaso esprime in termini di «desiderio» la relazione trascendentale che lega la materia alla forma: cfr. C.G-, III, 22.

136

Materia e forma.

forma intelligibile è il principio motivo e determinante l'intelletto: la ricerca e il dubbio cessano quando l'intelletto viene informato cioè determinato dalla forma intelligibile, cosi da fissarsi nel possesso della conoscenza.

Allo stesso modo, l'appetito, una volta imbevuto o impregnato dalla forma del bene che è il suo oggetto, si fissa in esso amandolo. L'amore è appunto questa specie di trasformazione dell'affetto nella cosa amata: l'appetito concupiscibile riceve dal bene appreso una prima trasformazione di armonizzazione (coaptatia) o proporzione al bene stesso, come compiacimento e affascinamento, che è appunto l'amore.164

In questo senso il bene amato diviene forma dell'affetto, «e poiché tutto ciò che diviene forma di qualcosa diviene uno con esso, l'amante, attraverso l'amore, diviene una cosa sola con l'amato, che si è costituito come forma dell'amante».165

L'unità a modo sostanziale, che si viene a creare tra l'amante e l'amato, fa sì che l'amante percepisca l'amato come un alter ego.166

Sempre in forza di questa unità quasi sostanziale prodotta dall'amore, l'amato diviene criterio o regola delle azioni dell'amante, perché la forma di una cosa è il principio e la regola del suo agire: l'amante viene inclinato dall'amore ad agire secondo le esigenze dell'amato. E tutto ciò che l'amante fa o sopporta per l'amato risulta perciò piacevole: l'agire in conformità alla propria natura-forma è sempre sommamente piacevole e spontaneo.

E interessante notare come l'analogia o la proporzione tra la materia e la forma sia adeguata a descrivere anche le caratteristiche più tipiche dell'amore nei suoi stessi effetti,167 anche se si passa a una significazione metaforica.

1M) Cfr. I-II, 26.

165) 3 Sent., 27, I, 1 e.

'") Cfr. 9 Ethic., 1. 4.

167) Gli effetti dell'amore sono nove: quattro di ordine psichico o formale e cinque di ordine fisiologico o materiale. Nell'ordine psichico, {'unione dell'amante all'amato e la mutua inerenza dell'amante e dell'amato rappresentano gli effetti inferiori e formali giacché si identificano in qualche modo con l'amore stesso. L'estasi è l'effetto esterno, mentre lo zelo rappresenta un effetto indiretto o secondario perché si colloca nell'irascibile.

Gli effetti fisiologici o organici, che cioè si avvertono nel corpo, sono: la ferita d'amore (vulneratio) - si è colpiti quasi nel cuore con forti palpitazioni cardiache -, {'ardore o fervore (ebullitio} - desiderio intenso di raggiungere l'amato -, lo struggimento (li-quefactio) - quasi ci si scioglie per la ricezione del bene amato -, il languore (deliquium} - tristezza per l'assenza dell'amato -, il gaudio o fruizione (fruitio) - quando l'amato è presente. Cfr. I-II, 28.

137

parte seconda

Si dice infatti che l'amóre produce una ferita, perché come la forma raggiunge l'intimo di ciò che essa informa e viceversa, così l'amante e l'amato si compenetrano, quasi restando vicendevolmente trafitti.

Siccome poi la trasformazione di un soggetto implica la perdita della sua forma originaria per acquisirne una nuova, in forza della penetrazione d'amore l'amante perde in qualche modo la sua forma e separandosi in certo modo da se stesso tende all'amato: in questo senso si dice che l'amore produce l'estasi e il fervore.

D'altra parte, come un'entità naturale non perde la propria forma se non in quanto vengono a mancare quelle disposizioni per le quali la forma era ricevuta nella materia, così occorre che l'amante in qualche modo perda quelle condizioni terminali che lo costituivano come entità autonoma o originaria, ben determinata e chiusa in sé; in questo senso si dice che l'amore causa uno struggimento, una liquefactio: il cuore si scioglie, si liquefa e come liquido non Sta dentro i propri limiti.168

Ma l'aspetto, per così dire, più crudelmente esaltante dell'analogia nell'ilemorfismo d'amore è il parallelismo con la morte. L'innamoramento postula una duplice morte metaforica: una di fatto e una possibile.

Di fatto, l'amante spira dolcemente in certo senso, quasi a modo sacrificale, perdendo - come si è detto - le proprie connotazioni per assumere la nuova forma dell'affiato. Ma la condizione tragica della morte d'amore si da nel caso della non corrispondenza dell'amato: il sottrarsi dell'amato all'amante è come la separazione dell'anima dal corpo, è la morte dell'amante.

In questa linea, l'analisi teoretica Ofilosofica realistica trova perfetta sintonia con le sublimazioni affettive del canto poetico;

I' vo come colui ch'è fuor di vita

che pare, a chi lo sguarda, ch'orno sia

fatto di rame o di pietra o di legno,

che si conduca sol per maestria

e porti ne lo core una ferita

che sia, com'egli è morto, aperto segno.169

168) Cfr. 3 Sent., 27, 1, 1, ad 4.

169) G. cavalcanti, Canzoniere, «Tu m'hai sì piena di dulor la mente» Vili, 9-14, in G. contini (a cura di). Poeti del duecento,- Milano-Napóti 1960, Voi. 2, p. 499.

138

LA NOZIONE DI CREAZIONE IN S. TOMMASO D'AQUINO^

La nozione di creazione è il grande concetto che assesta speculativamente i rapporti metafisici tra Dio e il mondo. Esso esprime una verità che appartiene alla rivelazione ebraico-cristiana. Tuttavia, quanto al suo valore teoretico, rientra di diritto nell'ordine delle verità sondabili razionalmente e dunque filosofiche. Nella creazione, riletta sapienzialmente con gli occhi della fede cristiana, si riverberano le perfezioni del Dio trinitario, il cui mistero è al centro della medesima fede.

Ambientazione semantica

II termine creazione deriva dal latino creatio, da creo (creo, procreo, eleggo), in qualche caso causativo da cresco (crescere, nascere da, svilupparsi).

Nell'A. T. il termine creare traduce i verbi greci jtoieiv (fare) e xn^eiv (fondare), che i Settanta utilizzarono per esprimere l'ebraico bara' (creare, come azione riservata a Dio e diversa da quella dell'uomo). Se in Gen 1, 1 non si ha ancora la chiara o terminologicamente esplicita formulazione della creazione dal nulla, in 2 Mac 7, 28 essa fa la sua inequivocabile comparsa. Nel N. T. è il verbo %Ti£,eiV, con i suoi derivati, che indica con più marcata frequenza l'attività creatrice di Dio.1

"•) In «Divus Thomas» 3 (1992).

') Cfr. peres. Rm 1, 20; 8, 23; 1 Pt4, 19;£Z>4, 13. Per una informazione più dettagliata si vedano : W. foerster, Ktizo, in Grande lessico del Nuovo Testamento, tr. it. Brescia 1969, coli. 1235-1329; H. H. esser, Creazione/Ktizo, m Dizionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento, tr. it. Bologna 1986, pp. 399-409.

139

parte seconda

In S. Tommaso, creazione e creare, in senso lato, indicano il fare in generale,2 o l'eleggere.3 In senso stretto, invece, essi indicano Fazione propriamente divina per la quale l'ente finito è tratto dal nulla. In questa prospettiva, abbiamo le espressioni più generali come produzione (productio), processione (processio)* o emanazione (emanatio) delle creature da Dio.5 Creazione significa anche la relazione che da tale azione risulta, per la quale la realtà creata è in rapporto con il Creatore.6

Il guadagno inferenziale

S. Tommaso assume per fede il fatto della creazione dell'universo dalla rivelazione, ma la inferisce anche metafisicamente sulla base della dottrina della partecipazione. L'impianto generale della sua argomentazione si articola in due fasi fondamentali: una via di risoluzione e una via di composizione.7

Secondo la via di risoluzione, da alcuni segni di relatività8 riscontrati nel mondo (moto, concatenazioni causali, contingenza, imperfe-

2) Cfr. De Pot., 3, 8, ob. 2.

3) Cfr. I, 45, 1, adi; I-II, 97, 1.

4) Cfr. I, 44, intr.

5) Cfr. I, 45.

6) Cfr. I, 45, 3, adi e ad2.

7) II movimento discorsivo della ragione si sviluppa secondo due vie: quella di invenzione o composizione (via inventionis vel compositionis), e quella di giudizio o di risoluzione (via iudicii vel resolutionis). La via di invenzione, che da origine al processo discorsivo partendo dall'intelligenza dei primi princìpi e proiettando la ricerca alla scoperta del novum, si caratterizza per il metodo sintetico. Dal semplice si passa al complesso: dalla causa all'effetto (es. dall'essenza si passa alle proprietà; dall'aseità di Dio alla partecipazione del mondo), dalla nozione più universale a quella più particolare (es. dal genere alla specie). La via di risoluzione, che termina il processo discorsivo con l'intelligenza dei primi princìpi, alla luce dei quali esamina, valuta e controlla le scoperte fatte, si caratterizza per il metodo analitico. Dal complesso si passa al semplice: dall'effetto alla causa (es. dalla proprietà all'essenza; dal mondo a Dio), dalla nozione più particolare a quella più universale (es. dalla specie al genere, ai trascendentali); cfr. I, 79, 8 e 9; In B. de Trin., 2, 2, 1, ad3; I Post., 11. 1 e 35; De Ver., 15, 1.

8) A proposito del punto di partenza delle vie tomistiche per la prova dell'esistenza di Dio, preferiamo parlare di segni di relatività piuttosto che di contingenza, giacché la dipendenza da altro - punto cruciale della prova - appartiene più all'ordine della relatività che all'ordine della contingenza. Tutto ciò che è contingente è certamente relativo, ma non tutto ciò che è relativo è contingente: si da anche un necessario che ha in altro la causa della sua necessità. D'altra parte, proprio nelle vie tomistiche la contingenza è solo uno dei segni della dipendenza del mondo, e non ne rappresenta la caratteristica principale. E interessante notare, a questo riguardo, il preciso pensiero di S. Tommaso. Sul piano ontologico, la contingenza è la modalità di ciò che può essere e non essere (I, 86,3). Contingente, infatti, è ciò che per sé è indifferente all'essere e al non essere (C.G., I, 15), mentre necessario è ciò che non può essere diversamente da come è

140

La nozione di creazione

zione, finalità) si passa all'affermazione dell'esistenza di Dio come primo motore immobile, causa prima incausata, essere necessario per sé, essere perfettissimo, intelligenza finalizzatrice,9 il quale, per queste sue prerogative di perfezione, si configura co'me la pura attualità, lo stesso Essere per sé sussistente.10

Attraverso la via di composizione o di invenzione, da Dio si passa nuovamente al mondo, scoprendolo come creato, perché non è possibile a priori pensare un ente diverso da Dio, se questi è già tutto l'essere nella sua perfezione. Se però si constata a posteriori l'esistenza di un tale ente diverso da Dio, esso non può che avere l'essere per partecipazione da Dio, cioè essere da lui creato."

In modo più specifico, questa seconda fase (compositivo-inventi-va), che porta alla creazione, si sviluppa attraverso due tappe speculative. Anzitutto occorre verificare l'integrale dipendenza causale del mondo da Dio;12 in secondo luogo occorre evidenziare la modalità di questa dipendenza integrale del mondo da Dio.13

A) Quanto all'integrale dipendenza causale del mondo da Dio, l'argomentazione di S. Tommaso può essere sillogisticamente formalizzata nel modo seguente.

(non contingit aliter se habere: 1 Post., 1. 44). Poiché la disposizione all'essere e al non essere proviene dalla materia, che è pura potenza (De Fot., 5, 3c), contingenti sono le realtà composte di materia e forma, soggiacenti alla generazione e alla corruzione (I, 2, 3; 86, 3). Necessarie, invece, sono quelle realtà che non sono coinvolte nei processi di generazione e corruzione. Secondo S. Tommaso, a tale classe appartengono: a) nell'ordine corporeo : la materia prima, che permane sotto il variare della forma, e i corpi celesti, nei quali - secondo la cosmologia medievale - la possibilità della materia è completamente terminata da una sola forma, a differenza dei corpi terrestri, nei quali la materia è soggetta all'acquisto di forme diverse (De Pot., 5, 3c); b) nell'ordine spirituale, abbiamo Vangelo e Vanirmi umana. Come pure forme non soggiacciono alla generazione e alla corruzione. Tuttavia la necessità che è legata a queste realtà non esclude la loro dipendenza causale da un ente necessario per sé (Dio). Nessuna di esse è il suo proprio essere: solo Dio è il suo stesso essere. Perciò non è assurdo che il Creatore, come può conferire loro l'essere, così possa anche sottrarlo, senza contraddizione.

Sotto questo aspetto, nella manualistica tomistica (cfr,. per es. T. M. zigliara, Summa philosophica, Paris 1902, I, pp. 423-426; S. vanni rovighi, Elementi di filosofia, Broscia 1974, I, pp. 107-110) si è soliti ampliare il concetto di contingenza estendendolo anche all'ente che S. Tommaso definisce come necessario «che ha altrove là causa della sua necessità» (I, 2, 3; C.G., I, 15). Questo, però, non è certo m sintonia. con il pensiero dell'Aquinate, il quale propone come «più ragionevole» la sopraesposta tesi di matrice averroista, rispetto a quella di Avicenna, per il quale contingente è tutto ciò che è diverso da Dio (De Pot.c 5, 3c). '') Cfr. I, 2, 3.

10) Cfr. I, 3, 4.

") Cfr. I, 44 e 45.

") Cfr. I, 44, 1.

") Cfr. I, 45, 1. .

141

parte seconda

Maggiore: tutto ciò che ha l'essere per partecipazione è causato, quanto allo stesso essere, da ciò che e l'essere per essenza.14 Infatti, tutto ciò che partecipa (= prende parte)15 è composto dal partecipante (ciò che ha... ) e dal partecipato (l'essere), come dalla potenza e dall'atto: o perché una parte è in potenza rispetto all'altra, o perché le parti sono in potenza rispetto al tutto.16 Ora, ciò che è in potenza non riceve l'atto da se stesso, pena l'assurdo d'essere già in atto in quanto in potenza,17 dunque lo riceve da altro; il che equivale a dire che il composto è causato.18 D'altra parte, la causa non può risultare a sua volta

") Cfr. I, 3, 4.

") Cfr. In B. de Hebd., 1. 2.

") Cfr. I, 3, 7.

17) Cfr. I, 2, 3; 3, 1.

18) Causato è sinonimo di effetto (2 Post., 1. 7): il composto è sempre un effetto. Due sono i modi attraversò i quali viene rilevato un effetto: uno quasi richiesto per il costituirsi della nozione; l'altro è a un livello diagnostico tipico della criticità filosofica, ed è il nostro caso. .^

A) Nel costituirsi della nozione, l'effetto è colto come ciò che dipende da altro nel proprio essere, in quanto se ne scorge immediatamente l'origine produttiva, la novità di essere e la relazione di produzione. Ciò avviene — per es. — nell'esperienza introspettiva con la quale cogliamo il nostro agire transitivo come fonte e ragione di alcune trasformazioni artificiali, che non appaiono come semplicemente successive a tale agire, ma da esso prodotte (io sto scrivendo una lettera e la lettera è scritta da me). Questa minimale esperienza è sufficiente per semantizzare, a livello di senso comune, le due nozioni correlative di causa ed effetto, e per l'originaria formulazione del principio di causalità in generale (ogni effetto dipende dalla sua causa: cfr. I, 104, 1; perciò, posto l'effetto deve preesistere la causa: cfr. I, 2, 2). Infatti la conoscenza di tutti i primi princìpi proviene dalla particolare natura dell'intelletto, che nell'ispezione delle nozioni coglie i loro rapporti reciproci universali (per es., conosciuto che cosa è il tutto e che cosa è la parte, l'intelletto riconosce che ogni tutto è superiore a ogni sua parte). Tuttavia il serbatoio di tali nozioni è l'esperienza sensibile, dalla quale l'intelletto le ricava per via astrattiva (l'intelletto non può sapere che cosa sia il tutto e che cosa sia la parte, che cosa sia la causa e che cosa sia l'effetto, se non attraverso le specie intelligibili ricavate dall'esperienza: per es. quella di un tavolo — tutto —, con le sue gambe, il suo piano ecc. - parti. Cfr. I-II, 51, 2c; 2 Post., 1. 20; C.G. II, 78; 4 Met. 1. 6).

B) A livello critico filosofico, l'effetto viene inteso come ciò che implica una causa, perché ha tutte le caratteristiche metafisiche del derivato e non primario. La mobilità, la composizione, il possesso partecipativo di qualche perfezione sono aspetti che segnalano, per un determinato ente, la tipica dimensione dell'effetto (cfr. I, 2, 3c; 3, 7; C.G. II, 15). Tutti, infatti, sono riducibili al fondamentale rapporto che lega la potenza all'atto: ciò che è mobile passa dalla potenza all'atto; gli elementi sono in potenza il composto; il partecipante sta al partecipato come la potenza all'atto. Ora ciò che è in potenza, in quanto è in potenza non raggiunge l'atto da sé (•— per il semplice fatto che è in potenza), altrimenti la potenza si identificherebbe assurdamente con l'atto (per es., non è per la capacità o potenza di scrivere, che attualmente sto scrivendo; se così fosse, la mia capacità di scrivere - che precedeva il mio scrivere in atto — sarebbe il mio stesso scrivere attuale e si negherebbe come capacità : se io scrivessi attualmente per il semplice fatto die potevo scrivere, in realtà quel potevo è uno scrivevo che perdura attualmente, cioè il mio scrivere inattuato); dunque ciò che è in potenza acquista l'atto da un altro ente già in atto, che ne è causa. Questo significa che l'attuazione di una potenzialità è sempre un

142

La nozione di creazione

da composizione, pena il processo all'infinito in questo ordine causale, il che condurrebbe all'assurdo di un composto incausato. Dunque ciò che è l'essere per essenza, cioè secondo pura attualità, è causa di ciò che ha l'essere per partecipazione.19

Minore: l'ente diverso da Dio ha l'essere per partecipazione, e Dio è l'essere per essenza. Infatti, Dio è l'essere semplicissimo giacché, come primo ente incausato e perfettissimo,20 è privo di ogni potenzialità,21 è atto purissimo, è lo stesso Essere per sé sussistente, cioè iri-composto quanto allo stesso rapporto tra l'essenza e l'essere.22 L'Essere per sé sussistente non può essere che unico,23 poiché ogni moltiplicazione risulta: a) o da addizioni differenziali (per es., il genere si moltiplica nelle specie attraverso le differenze specifiche), e allora. l'Essere per sé sussistente non sarebbe più puro essere, ma essere più una certa forma; b) o da ricezione nella materia (per es., come la specie si moltiplica negli individui), e allora l'Essere sussistente non sarebbe più sussistente, ma materiale; e) oppure da separazione, per la quale ciò che è assolutamente per sé è separato da ciò che è ricevuto per partecipazione, il che sarebbe ancora sconveniente allo statuto della sussistenza dell'Essere puro, che come tale è incomunicabile.24 Dunque l'ente diverso da Dio non è il proprio essere, ma ha. l'essere per partecipazione.

effetto, un causato. Per questa via, lo stesso principio di causa assume una formulazione più specifica e criticamente vagliata: nulla passa dalla potenza all'atto se non per un altro ente già in atto (cfr. I, 2, 3c).

") Cfr. C.G., II, 15; De ente et essenzia, 4.

20) Cfr. I, 2, 3.

21) Cfr. I, 3, 1.

22) Cfr. I, 3, 4. Privilegiamo il termine essere rispetto a esistenza in quanto metafisicamente più preciso e più consono al vocabolario filosofico di S. Tommaso. Infatti, nella terminologia dell'Aquinate, esistenza in senso proprio indica il fatto di esistere o di essere, cioè il fatto che un'entità è posta fuori delle sue cause o dal nulla (cfr. I, 7, pr. ;

De Ver., 3, 3, ad8; 11,3, ad6; C.G., IV, 63), e non il principio attuante. D'altra parte, l'esistenza non va intesa nel senso di una mera presenzialità fenomenologica, ma come una consistente attualità (Cfr. De div. Nom., 4, 1. 14). In questo modo, l'esistenza è il dato cui si indirizza la domanda fondativa di ogni scienza: se il soggetto d'indagine sia (quaestio an sit), cui segue la ricerca sulla natura e le proprietà del medesimo soggettò (quaestio quid sit: cfr. 2 Post., 1. 1). L'esistenza è perciò il fondamento realissimo della verità del giudizio o enunciazione con la quale affermiamo o neghiamo qualcosa circa la realtà (cfr. 1 Perih., '1. 14), e si contrappone alla mera apparenza (cfr. 1 De gen. et cor-rupt., 1. 4; C.G., IV, 29; De sensu et sensato, 1. 8). In senso meno proprio, poi, il termine esistenza è usato da S. Tommaso come sinonimo di sussistenza, quando cita e interpreta la definizione di persona divina data da Riccardo di S. Vittore: esistenza incomunicabile di natura divina (cfr. 1 Sent., 34, 1, 1, ad3); I, 29, 3, ad4; De Fot., 9, 2, adl2).

23) Cfr. De ente et essentia, 4.

24) Cfr. I, 13, 9 e 11; In div. nom. 2, 1. 3.

143

parte SEC0NDA

Conclusione: perciò l'ente diverso da Dio è causato quanto allo stesso essere da Dio.

B) Quanto alla modalità della dipendenza integrale del mondo da Dio, l'argomento tomistico può essere sillogisticamente formalizzato nel modo seguente.

Maggiore: tutto ciò che è causato da Dio quanto allo stesso essere è creato. Infatti la dipendenza radicale del mondo da Dio quanto allo stesso essere, cioè di ogni ente in quanto è ente e non in quanto è questo particolare ente (hoc ens) o di tale particolare natura (tale ens), implica un'emanazione universale da Dio, che è la causa universale.25 Ora, come ciò che procede da una causa particolare secondo un'emanazione particolare non è presupposto alla stessa emanazione (per es., perché si generi un uomo occorre presupporre antecedentemente il non-uomo), cosi ciò che procede dalla causa universale secondo un'emanazione universale non è presupposto da essa: l'ente viene dal nonente, cioè l'entità del mondo viene dal nulla.26 Questo è ciò che indichiamo con il termine creazione.

Minore: da quanto concluso nella prima argomentazione, l'ente diverso da Dio è causato quanto allo stesso essere da Dio.

Conclusione: dunque l'ente diverso da Dio è creato.27

25) Cfr. I, 44, 2.

26) Cfr. I, 45, 1.

27) II teorema della creazione ha avuto una formulazione rigorizzatrice nel pensiero di un grande maestro di metafisica: Gustavo Bontadini. La sua «protologia», o discorso metafisico essenziale, si propone come guadagno speculativo della figura teoretica della creazione con la stessa dimostrazione che porta al riconoscimento dell'esistenza di Dio. Ebbene, la «protologia» si presenta come una sintesi a priori metafisico-dialettica, che manda incontrovertibilmente in sé la verità del protocollo logico (= tesi:

l'essere è e non può non essere) e del protocollo fenomenologico (= antitesi: il divenire implica il non essere dell'essere). La reciproca contestazione della tesi e dell'antitesi viene risolta nella sintesi con l'invenzione speculativa del Dio creatore. Se il divenire, come non essere dell'essere, è contraddittorio (tesi) eppure è un dato (antitesi), occorre rimuovere la contraddittorietà (apparente) del divenire e non il divenire stesso. La sinergia di queste due istanze genera appunto il principio di Parmenide ad honorem: «l'essere non può essere originariamente annullato, il divenire non può essere originario» (G. bontadini, Per una teoria del fondamento, in id.. Metafisica e deellenizzazione, Milano 1975, p. 28), che è l'equivalente del principio di creazione. Si ha così il rinvio a un Ulteriore, vero Essere totale, immutabile, non semplicemente giustapposto al divenire, ma sua causa integrale. Il divenire viene così salvato perché è «.posto e tolto» «posto come tolto» dalla potenza creatrice: il non essere dell'essere, il divenire che compare nella sfera empirica, è metempiricamente sanato dall'atto creatore-annullatore che lo pone come tolto. L''annullamento ha come risultanza empirica quel non essere che serve da trampolino di lancio per inferire quella sua dimensione metempiricamente positiva (['annullare, come atto, è un positivo), che io integra nell'essere immutabile di Dio. In questo senso, il divenire non è nulla fuori dell'atto creatore-annullatore: è identico nel modo di essergli diverso (cfr. ibid., pp. 18-24).

144

La. nozione di creazione

L'essenza della creazione

In sintesi, la creazione viene descritta da S. Tommaso come un'emanazione (emanatio),29 un'uscita (exitu-s) dal primo principio, una produzione (productio) assoluta dell'essere29 o di una cosa nell'essere secondo tutta la sua sostanza.30

Analiticamente, alla creazione competono due condizioni metafisiche strutturali:

A) Anzitutto essa implica la non presupposizione di una materia31 o di un soggetto preesistente,32 altrimenti verrebbe meno l'aspetto di

Per parte nostra, condividiamo l'esigenza di rigore inferenziale sulla base della reductio in primum principium. Il trampolino di lancio è senza dubbio l'apparente con-traddittorietà del divenire, sia come originario che come tale, giacché dire divenire originario è dire divenire senz'alerò, cioè divenire e basta o, appunto, come tale. La «pro-tologia» dice l'intelaiatura minimale rigorosa, ma va integrata perché a noi pare che sfumi la consistenza ontologica del mondo. Il divenire è solo {'aspetto per il quale si esige l'inferenza dell'Ulteriore, di Dio, ma non è il mondo. Occorre, secondo noi, porre l'accento sull'ente diveniente: non c'è il divenire, ma dei soggetti divenienti; il divenire è sempre divenire di qualcosa! Questi^soggetti, in quanto divenienti rimandano all'Ulteriore; in quanto enti non rimandano. E chiaro poi che la partecipazione, l'avere in parte l'essere risulta dal divenire del diveniente: acquisire e perdere l'essere sono segni del possesso parziale e della non identità totale. D'altra parte, se il ricorso al binomio potenza-atto sembra non pienamente rigoroso o inessenziale — giacché è la dialettica essere-non essere che fa scattare la molla infarenziale secondo il minimo -, tuttavia esso salva i diritti di consistenza del diveniente, dell'ente che diviene. La potenza soggettiva passiva è l'aspetto per cui un ente è capace di ricevere ulteriori attuazioni; essa salva appunto la consistenza ontologica del mondo: segna il consistere del soggetto diveniente, non risolvibile simpliciter nel divenire come tale. Perciò si ribadisce: quanto al minimo di impianto per andare al Dio creatore, la «protologia» è essenzialmente vincente. Quanto all'integralità del discorso ontologico, essa è limitata, perché non salva la specificità del creato: discorrendo sulla creaturalità reduplicative, smarrisce la creatura-lità in senso specifico (specificative). L'essere creato, che nella via lunga (= secondo la dicotomia potenza-atto) è un aspetto accidentale (si veda più avanti il testo della nostra indagine) dell'ente diverso da Dio, nella via breve (= secondo la dicotomia essere-non essere) diventa quell'essenziale, che è nulla come essere perché è nulla fuori dell'atto creatore. Il concetto di soggetto e di potenza passiva è la prima soluzione speculativa che dirime la contraddittorietà del divenire, salvaguardandone la consistenza (è divenire di qualcosa) e realizzando la possibilità della distinzione-diversità costitutiva rispetto a Dio creatore. Dal punto di vista speculativo, la distinzione dell'ente m potenza e atto è il primo livello della conciliazione teoretica tra il protocollo empirico (divenire: incre-mento-decremento) e il protocollo logico («Ex ente non fit ens quia iam est ens»; «ex nihilo nihil fit»): la soluzione è appunto l'ente in potenza, «ex ente in potentia fit ens actu» (cfr. 1 Physic., 1. 14). Il secondo livello della conciliazione è l'inferenza dell'Atto puro e conseguentemente del rapporto creativo. A riguardo dell'intera problematica, cfr. Atti del IV Congresso nazionale A.D.I.F. (1972), in «Sapienza» 3-4 (1973); A. gnemmi, La protologia nel pensiero di Gustavo Bontadini, Trento 1976.

28) Cfr. I, 45, 1.

2") Cfr. I, 45, 5.

30) Cfr. 2 Seni., 1, 1, 2.

31) Cfr. I, 44, 2. ") Cfr. I, 45, 3.

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parte seconda

assolutezza o di incondizionatezza della produzione secondo l'integrante dell'essere. In questo senso, la creazione non è una mutazione.33 Non è una mutazione in senso stretto,34 perché la generazione e la corruzione assolute suppongono un soggetto comune puramente potenziale,35 che è la materia prima rispetto alla forma sostanziale e alla privazione; d'altra parte, i moti di alterazione, di aumento, decremento e moto locale, suppongono un soggetto comune come ente completo e attuale. Non è neppure una mutazione in senso largo o si-militudinario, per cui si avrebbe la continuità o comunanza di tempo (come per es. si dice che il giorno viene dalla notte), perché prima della creazione del mondo il tempo non c'era. Per questo si dice che la creazione è dal nulla (ex nihilo), perché viene a essere negato un soggetto preesistente: dal nulla significa non da qualcosa.^

33) II termine mutazione, in S. Tommaso, indica genericamente il semplice variare di uno stesso soggetto, che si trova in condizioni diverse in momenti diversi (cfr. I, 45, 2, ad 2). Si può parlare di mutazione secondo il nostro modo di significare o di intendere, oppure secondo la stessa realtà delle cose. Secondo il nostro modo di significare, possiamo applicare il termine mutazione alla creazione e siWannichilazione in senso passivo. Infatti, nell'uno come nell'altro caso non si ha un medesimo soggetto che si presenti in modo diversi secondo il prima e il poi. Nella creazione si ha l'integrale produzione dell'ente che prima non era; nell'annichilazione se ne da la totale riduzione al nulla. Tuttavia, secondo il nostro modo di esprimerci, diciamo che nella creazione una medesima cosa che prima non era assolutamente ora è, anche se la sua consistenza e il suo significato entitativo sono soltanto ora e non prima. La stessa riflessione si estende proporzionalmente all'annichilazione. Secondo la realtà stessa delle cose, si può dare un duplice tipo di mutazione. Se il soggetto permanente è la stessa natura comune di ente (cfr. Ili, 75, 4, ad3), mentre ciò che varia è tutta la sostanza secondo la materia e la forma, abbiamo la transustanziazione (cfr. Ili, 75,6). Se il soggetto permanente si pone nell'ordine della sostanza, si verificano due sottotipi di mutamento. Al permanere della materia prima e al variare della forma sostanziale corrisponde la mutazione sostanziale:

se si passa dalla privazione della forma al suo acquisto, abbiamo la generazione sostanziale; se si passa dal possesso della forma sostanziale alla sua privazione, abbiamo la corruzione sostanziale (cfr. 11 Al et., 1. 11). Al permanere invece della stessa forma sostanziale e al variare delle sole forme accidentali, corrisponde la mutazione accidentale. In questa linea, nel caso che la variazione sia istantanea, cioè senza successione -come avviene nel modello della mutazione sostanziale - abbiamo la generazione accidentale (cioè l'acquisto di un accidente), oppure la corruzione accidentale (cioè la perdita di un accidente). Nel caso, invece, che la variazione si venfichi secondo una successione temporalmente misurabile, abbiamo il moto in senso stretto: atto di ciò che esiste in potenza, in quanto in potenza (cfr. 3 Physic., 1. 2), che implica progresso e continuità nella variazione (cfr. 1 Sent. 8, 3, 3). La gradualità tra estremi, che consente la maggiore o minore intensità di uno stesso dato, e che si riscontra in tré categorie o generi supremi, determina tré tipi di moto. Secondo la qualità sensibile (terza specie della qualità) abbiamo \'alterazione (per es. nel colore, nel sapore, ecc.); secondo la quantità, abbiamo 1''aumento e la diminuzione; secondo il luogo, abbiamo il moto locale (cfr. 5 Physic., 1. 3).

34) Cfr. De Pot., 3, 2.

35) Cfr. C.G., II, 17.

36) Cfr. I, 45, 1, ad3; De Pot., 3, 1, ad7.

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La nozione di creazione

B) In secondo luogo, nella cosa che si dice creata, si riscontra una priorità del non essere rispetto all'essere. Si tratta di una priorità di natura e non cronologica. In questo senso, se la cosa creata fosse la-

I sciata a se stessa, si ridurrebbe al nulla, giacché essa ha l'essere solo per l'influsso della causa creatrice. Così la creazione differisce dalla generazione eterna intratrinitaria, perché il Figlio riceve dal Padre lo stesso essere assoluto senza dipendenza, e quindi senza riconducibili-

' tà al nulla originario.37 Perciò, in questo caso, il dal nulla della creazione indica il semplice ordine di anteriorità del non essere sull'essere.

Come si è detto, per sé si tratta di un'anteriorità di natura; tuttavia la fede cristiana ci fa supporre38 anche un'anteriorità di durata o cronologica, non nel senso per cui ci sarebbe un tempo nel quale c'è il nulla e un tempo nel quale è creato il mondo (questa è pura immaginazione),39 ma nel senso che il mondo ha avuto origine nel tempo, non è eterno: anche il tempo ha avuto un iniziò.

Le proprietà della creazione

La creazione presenta delle caratteristiche generali e altre più specifiche. Le caratteristiche generali conseguono alla sua natura complessa rispetto al nostro modo di conoscerla. In questa prospettiva, infatti, la creazione è un mistero insieme accessibile e inaccessibile alla ragione umana.40 Le caratteristiche più specifiche, invece, risultano dai due modi con i quali può essere assunta significativamente la nozione di creazione: in senso attivo e in senso passivo.

le CARATTERISTICHE GENERALI

a) La creazione è un mistero accessibile alla ragione umana, in quanto la dipendenza radicale nell'essere stesso del mondo da Dio, secondo S. Tommaso, storicamente sarebbe stata scoperta da alcuni filosofi dell'antichità pagana, anche se a fatica, dopo molto tempo e con la mescolanza di molte imprecisioni.

Si deve tuttavia notare che S. Tommaso non è molto chiaro o certo nell'identificazione di questi autori. Nel De Potentia (q. 3, a. 5),

37) Cfr. 2 Sent., 1, 1, 2.

38) Cfr. ibid..

w) Cfr. De Pot., 3, 2.

40) Cfr. 2 Sent., 1, 1,2.

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parte seconda

dopo una carrellata sui filosofi che ricercavano le ragioni del sorgere delle cose distinte specificamente, egli afferma che Fiatone e Aristotele sono giunti alla considerazione dello stesso essere universale e, in base a ciò (implicitamente), alla nozione di creazione. Nella Summa (I, 44, 2), invece, Fiatone e Aristotele sono ridimensionati; infatti considerando l'ente come questo o come il tale e non in quanto ente, si sono anch'essi limitati all'indagine sulle cause particolari delle cose. Altri pensatori arrivarono alla considerazione più universale e, dunque, alla nozione di creazione: si allude ai filosofi cristiani, o ad altri autori pagani? Forse S. Tommaso qui si riferisce proprio ai Dottori cristiani.41

Dal punto di vista teoretico, la creazione del mondo è dimostrabile per l'esigenza metafisica che l'ente finito ha di essere ancorato radicalmente all'essere infinito, pena contraddizione, come si è visto. Il dal nulla della creazione indica l'inconsistenza fondamentale dell'ente finito se separato dalla causa del suo essere (causa essendi): esso non suppone un soggetto o materia originaria di derivazione; da sé è puro nulla.

D'altra parte, la concezione creazionistica non è contraddittoria, non contravvenendo all'assioma ex nihilo nihil (dal nulla non viene

41) Certamente il problema non è di facile soluzione. Le proposte che si possono avanzare al riguardo sono di ordine semplicemente congetturale. L'edizione canadese della Summa (Ottawa 1941) ritiene che questi autori siano i Dottori cristiani e forse Mosè Maimonide. Così ritengono anche l'ed. spagnola (Madrid 1948) e Garrigou Lagrange, il quale si limita però ai soli filosofi cristiani (cfr. De Dea trino et creatore, Torino 1944, p. 237). Th. Pègues(cfr. Commentaire Francois Litteral de la Somme Theologique^oulou-se 1908, III, p. 15), invece, ritiene che si tratti comunque di Fiatone e Aristotele; e sulla stessa linea si colloca il P. Centi nell'ed. italiana della Somma Teologica (ESD), adducen-do come ragione che, per escludere Plafone e Aristotele dall'ipotesi, occorrerebbe sostenere che essi, secondo S. Tommaso, non sarebbero giunti alla considerazione dell'ente in quanto ente: il che non sarebbe assolutamente vero, stando alle affermazioni di S. Tommaso, soprattutto nel Commento alla Metafisica del Filosofo.

Per parte nostra riteniamo che l'opinione del P. Centi offre un argomento per un certo aspetto convincente: almeno Aristotele, nella sua concezione metafisica dell'ente, ha raggiunto la vetta speculativa della forma reduplicativa dell'ente in quanto ente, secondo

10 stesso riconoscimento di S. Tommaso (cfr. 4 M et. 1.1). Tuttavia la nozione di creazione non è esplicitamente un guadagno aristotelico: secondo S. Tommaso, essa è semplicemente non contraria ai princìpi di Aristotele (cfr. 8 Physic., 1. 2). In questo senso, questo passo della Somma è virtualmente conciliabile con quello del De Potentia, perché anche in quel caso non si dice apertamente che Plafone e Aristotele e i loro seguaci siano giunti in modo chiaro alla nozione di creazione, ma a ciò che la implicherebbe. Perciò sembra si debba effettivamente propendere per la soluzione che vede in quegli aliqui i filosofi cristiani ed ebrei (come Mosè Maimonide), precisando comunque che tale ambito genetico della nozione - così strettamente legato alla rivelazione divina — non inficia minimamente

11 valore filosofico della stessa. Nella rivelazione divina sono presenti alcune verità che possono essere provate anche dalla ragione umana, giacché sono soprannaturali solo quanto al modo e non quanto alla sostanza.

148

La nozione di creazione

nulla). Infatti, la preposizione da non deve essere intesa in senso causale, quasi che il nulla fosse una causa;42 ne si deve supporre un'inter-pretazione mutazionistica della creazione, per la quale si richiederebbe effettivamente una materia o un soggetto d'intervento preesistenti,43 oppure la paralogistica alternativa tra una simultaneità di essere e non essere, e la scansione temporale tra i due contraddittori. La preposizione da (ex) non indica anteriorità o posteriorità di tempo, ma di natura o d'ordine:44 nella creatura non c'è nulla che non sia da Dio;

tutto è da Dio perché la creatura da se stessa è nulla, cioè dal nulla di se stessa (ex nihilo sui).

b) La creazione, però, è anche mistero inaccessibile alla ragione umana, alla pari del mistero trinitario, se si fa rientrare nella sua essenza il cominciamento nel tempo, cioè la durata temporale del mondo e la sua non coeternità con il Dio creatore. In questo senso, la creazione del mondo, intesa come non eternità del mondo, è un articolo di fede.45

Che il mondo abbia avuto un inizio è credibile, ma non è dimostrabile. E credibile perché è rivelato: in Gen 1, 1 si legge: «In principio Dio creò il cielo e la terra». L'espressione «in principio» può indicare: 1°) che la creazione è avvenuta nel Figlio come principio esemplare,46 per escludere il dualismo manicheo; 2°) che è avvenuta senza intermediar!, perciò prima di tutto; 3°) che è avvenuta al principio del tempo, cioè che il tempo è creato con il cielo e la terra,47 per escludere appunto l'eternità del mondo. Ma la creazione nel tempo è altrettanto credibile perché non è impossibile: in senso assoluto, Dio vuole necessariamente solo se stesso; dunque non è necessario che voglia l'altro da sé.48 Non è necessario che il mondo sia sempre stato.49

Non si può dare una dimostrazione di un inizio o creazione nel tempo del mondo perché, razionalmente parlando, è del tutto plausibile la sua eternità.50 Certo non si tratta di un'eternità indipendente da

42) Cfr. De Pot., 3, 1, ad7.

43) Cfr. De Pot., 3, 1, adi.

44) Cfr. De Pot., 3, 1, adIO.

45) Cfr. I, 46, 2.

46) Cfr. Col 1, 16. Non esistono due principi delle cose: uno buono e l'altro cattivo, come sostengono le dottrine manichee, o anche semplicemente dualistiche nel senso che nell'ordine creato si separino gli aspetti positivi e quelli negativi dello stesso. La creazione è tutta buona, tutta interessante, tutta apprezzabile perché fondata nel suo sapientissimo principio che è il Verbo di Dio.

47) Cfr. I, 46, 3c e adi.

48) Cfr. I, 19, 3.

w) Cfr. I, 46, 1.

50) Cfr. De aetemitate mundi.

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parte seconda

Dio: ciò sarebbe contro la fede (eretico) e contro la filosofia (falso). Sarebbe però possibile una creazione ah aeterno, cioè dall'eternità secondo un'integrale dipendenza dal Dio creatore.

Se si considera la cosa dalla parte di Dio, la possibilità scaturisce dalla sua infinita onnipotenza. Se ci si pone dal punto di vista del creato, l'impossibilità potrebbe risultare o dalla mancanza della potenza passiva come condizione della generazione, o per evidente contrad-dittorietà dell'assunto. Quanto alla mancanza della potenza passiva, si tratta di un postulato della stessa creazione dal nulla, come si è visto. Quanto alla presunta contraddittorietà, si deve dire che dalla parte della causa efficiente non è assurdo perché non è necessario che essa preceda cronologicamente l'effetto. Dio produce il suo effetto instan-taneamente e non attraverso la successione del moto (prima-poi), con la supposizione di potenza passiva (il moto è atto di ciò che è in potenza in quanto in potenza); del resto, se è possibile che un agente finito, produttore di una semplice forma, la faccia essere simultaneamente a sé (per es. il sole rispetto al fenomeno dell'illuminazione), a. fortiori ciò si deve ammettere per un agente che produce Finterà sostanza con la creazione.

Dalla parte dell'effetto non è assurdo perché, come si è già detto, il dal nulla non implica una scansione di anteriorità-posteriorità temporale, bensì di natura; cioè la natura della creatura è tale che sarebbe nulla se fosse lasciata a se stessa, senza l'influsso causale di Dio. In secondo luogo, si aggiunga che non è assurdo il processo all'infinito nella concatenazione delle cause della generazione e non dell'essere, così che le generazioni degli uomini, potendo essere infinite, implicherebbero la possibilità dell'eternità del mondo.51 In terzo luogo, il mondo non sarebbe coeterno a Dio per identità di durata: la differenza qualitativa sta nel fatto che l'eternità di Dio è per durata simultanea (tota simul); altra sarebbe invece l'eternità come durata successiva del mondo nel tempo. Dunque non è contraddittoria l'idea di un mondo creato dall'eternità.

Si dimostra rigorosamente la creazione del mondo, ma non si può dimostrare ne che sia ab aeterno, ne che sia avvenuta nel tempo: questo rimane un problema puramente dialettico, cioè risolvibile con ragioni soltanto probabili o sofistiche.52

51) Cfr. I, 46, 2 e adi.

52) Cfr. I, 46, 1.

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La nozione di creazione

le CARATTERISTICHE SPECIFICHE

a) La creazione, presa in senso'•attivo (active sumpta), è la creazione considerata prospetticamente dalla parte di Dio.53 Da questo punto di vista, essa si identifica sostanzialmente con la stessa essenza divina e con l'aggiunta di una relazione di ragione verso le creature.

Si identifica con la stessa essenza divina perché, essendo Dio semplicissimo, egli è il suo stesso agire;54 implica l'aggiunta di una relazione di ragione verso le creature, perché significa un rapporto di produzione tra l'agente e l'effetto, ma non reale da parte di Dio, giacché in Dio non si danno mutazioni, ne a lui ineriscono accidenti. Dio si dice in relazione con le creature non perché si riferisca ad esse, ma perché le creature si riferiscono a Dio. Allo stesso modo parliamo ~ per es. -di colonna destra e di colonna sinistra non perché intrinsecamente esse sostengano realmente tali relazioni, ma soltanto in rapporto alla posizione che noi realmente assumiamo rispetto ad esse spostandoci nello spazio.55 In questo modo il titolo di creatore può convenire a Dio nel tempo e non dall'eternità, non implicando in lui tale relazione una reale modificazione.56

. Creare è proprio di Dio. Non è possibile una mediazione causale-strumentale, perché si presupporrebbe una creatura alla creazione.57

Creare compete a Dio in forza del suo essere, cioè della sua essenza comune alle tré Persone trinitarie, perché la produzione dell'essere delle creature deve venire dall'Essere sussistente in quanto tale; però questo non significa che essa sia un'azione necessaria, perché Dio agisce liberamente, cioè per intelligenza e volontà.58 Nell'onnipotenza divina, infatti, sono racchiuse come possibili infinite diverse modalità del creato, compossibili con le attuali eppure non attuate.59

Tuttavia, per appropriazione, è possibile attribuire al Padre la creazione per la sua potenza, al Figlio-Verbo per la sua sapienza, allo Spirito Santo per l'amore, così come in ogni operazione deliberata l'artefice (Padre) agisce per l'intelletto (Figlio) e la volontà (Spirito Santo).60 '

") Cfr. I, 45, 3, adi.

") Cfr. I, 3, 4 e 6.

") Cfr. 5 Mef., 1. 17.

54) Cfr. I, 13, 7.

57) Cfr. I, 45, 6: C.G., II, 21; De Fot., 3, 4.

58) Cfr. I, 14, 8; 19, 4.

5") Cfr. C.G., II, 23.

w) Cfr. I, 45, 7.

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parte seconda

b) la creazione in senso passivo (Passive sumpta) è la creazione considerata prospetticamente dalla parte della creatura. Da questo punto di vista, essa consiste in una pura relazione reale predicamenta-le (secundum esse) della creatura al creatore. Sottratto ogni moto dalla natura della creazione, rimane soltanto la relazione61 reale62 dalla parte della creatura, perché essa è ciò che dipende dal creatore.

Si tratta di una relazione reale predicamentale perché il rapporto con la causa creatrice non rientra nella definizione o nell'essenza dell'ente causato, ma si aggiunge conseguendo a ciò che appartiene alla sua natura. Dal fatto che un ente ha l'essere per partecipazione, segue che sia causato.63 L'essere che è partecipato dall'ente creato non è pienamente intelligibile se non in quanto ricondotto all'essere divino.64 In questo modo, dal punto di vista dell'essenza si fonda l'autonomia della realtà creata, mentre dal punto di vista dell'essere se ne vede la dipendenza assoluta da Dio.65 Per il fatto poi che l'essere viene attribuito per partecipazione all'essenza, non solo si dice che l'essere è creato, ma anche l'essenza, giacché essa, prima di ricevere quell'essere, non è nulla al di fuori dell'essenza creatrice.66 L'essenza creata è nell'essenza divina come un suo possibile modo di partecipazione si-militudinaria e non di comunicazione reale,67 e si rapporta ad essa come l'esemplato all'esemplare ideale, così come è pensato progettualmente dall'intelligenza divina.68

Rispetto alla sostanza creata, cui sola spetta propriamente l'essere e dunque l'essere creata (gli accidenti e i princìpi sostanziali, come la materia prima e la forma sostanziale, si dicono concreati),69 la creazio-

61) Cfr. I, 45, 2, ad2.

") Cfr. I, 13, 7.

") Cfr. I, 44, 1, adi.

M) Cfr. De Pot., 3, 5, adi.

65) Con quest'analisi profondamente metafisica del rapporto tra creatura e Creatore, si mette in luce il fondamento anche dell'atteggiamento pratico che l'uomo deve assumere nei confronti del creato. E proprio da questa lettura metafisica della creazione che può per esempio essere giustificato il richiamo del Concilio Vaticano II alla legittima «autonomia delle realtà terrene» (cfr. Gaudium et spes, n. 36); le creature hanno una loro propria consistenza, delle loro proprie leggi. Tuttavia ciò non deve essere inteso nel senso che le cose create non dipendano da Dio. Dal punto di vista dell'essenza, la creatura è autonoma: ogni creatura nella sua essenza specifica è conoscibile, definibile senza riferimento a Dio. Dal punto di vista dell'essere partecipato, la creatura dipende da Dio: l'essere partecipato ericevuto e come tale rinvia per sé a chi lo conferisce, e non è intelligibile indipendentemente da tale rinvio.

<•'•) Cfr. De Fot, 3, 5, ad2.

") Cfr. In Dw. Nom., 2, I. 3.

68) Cfr. I, 44, 3c e adi.

69) Cfr. I, 45, 4.

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La nozione di creazione

ne come relazione può essere intesa come antecedente o conseguente alla sostanza creata. Quanto all'inerire (esse in), essa è posteriore alla sostanza creata, giacché la suppone come ogni altro accidente suppone la sostanza. Quanto all'essenza della relazione creativa (esse ad), invece, la creazione precede la sostanza creata e la fonda:70 in questo senso, a noi pare che si possa ritenere che la relazione tra la creatura e il creatore sia di ordine trascendentale.71 La creatura in quanto creatura, esprime un rapporto essenziale con il Creatore.72

70) Cfr. I, 45, 3, ad3.

71) È la relazione secundum dici, cfr. I, 13, 7, adi; De Fot., 3, 3, ad3; 7, 9, ad4 e ad5.

72) Se il rapporto di creazione è estrinseco all'essenza dell'ente creato preso in senso specificativo (= soggetto di una determinata natura), giacché l'essenza specifica non rinvia, come si è detto, a Dio, rispetto all'ente creato inteso in senso reduplicativo - in quanto creato, cioè comprendendo la sua struttura entitativa complessiva, coallzzante l'essenza specifica e l'essere per assemblaggio partecipativo (= soggetto che in una determinata essenza specifica ha l'essere; ente completo) — tale rapporto diviene intrinseco. Nel primo caso, la relazione è predicamentale e si aggiunge alla struttura specifica del soggetto. Nel secondo caso, essa è trascendentale: non rientra nell'essenza specifica però, bensì nella struttura dell'ente creato come tale. In questo senso, si accettano evidentemente le osservazioni critiche che tomisticamente sono sollevate a una troppo semplicistica concezione della relazione creativa passiva in senso trascendentale, di certa manualistica (cfr. S. giuliani, Nota critica a proposito della questione se la creazione passiva Sta relazione trascendentale o predicamentale, in «Angehcum» 38 (1961), pp. 36-72). E chiaro cioè che la relazione trascendentale si colloca nell'ordine dei princìpi intrinseci. Essa si riscontra tra la materia (potenza-determinabile) e la forma (atto-determinante); si riscontra anche nei princìpi estrinseci coimplicati in qualche modo con la struttura dell'essenza specifica, come l'esemplare e il fine: l'esemplare opera intrinsecamente nell'essenza dell'immagine, perché è la stessa forma in quanto è nella mente dell'artefice che la concepisce per produrla; il fine invece struttura la potenza o il soggetto a esso finalizzato (l'occhio è fatto per vedere) in quanto il fine è l'esemplarità della forma tradotta nell'ordine di intenzione. L'ordine dell'efficienza, invece, «è estrinseco all'ordine dell'essenza» (ibid., p. 62): la forma dipende dall'esemplare che è nella mente dell'artefice e non dalla sua efficienza. Ciò vale anche nel caso dell'efficienza divina: l'essenza possibile esiste già costituita, nell'ordine stesso dell'essenza, nell'intelletto divino che pensa l'essenza divina come partecipabile, e non dipende dall'efficienza di Dio: anzi questa dipende da quella. «Perché vi siano ordine e conseguente-mente dipendenza essenziali, è necessario che l'essenza dipenda in quanto essenza» (ibid., p. 67). Tuttavia ciò vale per l'essenza dell'ente creato in senso specificativo (l'essenza specifica), non invece dell'essenza dell'ente creato in senso reduplicativo: l'assemblaggio di cui si è detto non è metafisicamente originario e implica intrinsecamente l'ordine dell'efficienza. Perciò si ribadisce: 1) dal punto di vista dell'essenza, la dipendenza è nulla, è estrinseca; la creabilità è una proprietà dell'essenza del possibile. 2) Dal punto di vista dell'edere: a) come attuante, esso è il proprio o l'attuazione della proprietà (creabilità) dell'essenza possibile attuata- esso viene specificato dall'essenza-; b) come partecipabile o partecipato creazionisticamente, esso è in se stesso essenzialmente da altro: è la creaturalità, seguendo la cui linea la creatura per se stessa è nulla, cioè e nulla da se stessa. Da questo ultimo punto di vista, a nostro parere si manifesta la relazione trascendentale come tipica della creazione passiva. In questo modo si evitano anche gli errori metafisici dei sostenitori di una relazione trascendentale tra creatura e

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parte seconda

Avendo Dio creato non per acquistare, ma per comunicare la propria bontà e perfezione,73 nelle creature si trova una somiglianzà della Trinità.74 Nelle creature razionali, cioè dotate di intelligenza e volontà, si trova in particolar modo una somiglianzà per immagine, perché esse rappresentano la causa secondo una certa similitudine quanto alla stessa sua forma (per es. l'uomo generato somiglia all'uomo generante; oppure, la statua di Mercurio somiglia a Mercurio); d'altra parte, le processioni delle Persone intratrinitarie si realizzano secondo gli atti dell'intelletto e della volontà, giacché il Figlio procede dal Padre come il verbo o concetto dell'intelletto, e lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio come l'amore che è nella volontà.

In tutte le creature, poi, si trova una somiglianzà a modo di traccia (vestigium), perché tutte rappresentano la causa secondo la sua sola causalità e non secondo la sua stessa forma (per es., il fumo rappresenta la causalità del fuoco e non la sua natura). D'altra parte, ogni creatura è qualcosa di sussistente, ha una forma che la specifica e un certo ordine o relazione ad altre cose. Come sostanza o fondamento essa rappresenta il Padre, che è causa non causata; per la forma o specie, rappresenta il Verbo di Dio, artefice sapiente di ogni cosa; per l'ordine, infine, rappresenta lo Spirito Santo, in quanto amóre, perché l'ordine universale è effetto della volontà del Creatore.

creatore dal punto di vista dell'essenza specifica, cioè: l'univocismo scotistico, per il quale in ultima analisi il creari o il creatum esse diverrebbero l'essenza della creatura (si veda il nostro rilievo critico alla posizione bontadiniana alla nota 27); l'arbitrarismo teologico di Ockham, per il quale le essenze dei possibili, proprio in quanto essenze avrebbero per causa l'onnipotenza divina; l'emenazionismo, per il quale Dio opererebbe ex necessitate naturile immergendosi nell'essenza stessa dell'emanato.

73) Cfr. I, 44, 4.

74) Cfr. I, 45, 7.

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ANALISI TEORETICA DEL CONCETTO DI PREMOZIONE FISICA

SECONDO I PRINCÌPI DI S. TOMMASO D'AQUINO"

1. Il termine premozione (dal latino praemotio, composto risultante dall'avverbio prae = innanzi, e dal sostantivo motio =: movimento, influsso) non appartiene al vocabolario di S. Tommaso.

La sua formulazione nasce in ambito tomistico, nel contesto polemico che oppose la scuola tomistica, appunto, alla scuola molinista a riguardo della dottrina della predestinazione e del rapporto tra la grazia divina e la libertà dell'uomo.1

Tuttavia il concetto metafisico che tale termine esprime è, senza ombra di dubbio, rintracciabile nel pensiero di S. Tommaso.

Il concetto di premozione sta a indicare l'assoluto primato della causalità divina rispetto alla stessa azione libera della causa seconda, non limitandosi Dio a un semplice concorso simultaneo.

Mentre per Molina, Dio (causa prima) e la libertà umana (causa seconda) sono due cause parziali coordinate tra loro, che concorrono per influsso vicendevole all'unico effetto (atto libero), come due cavalli posti sulle due sponde di un canale trainano un unico battello,2 per i tornisti, Dio e la libertà umana sono entrambi cause totali dell'atto libero, ma con una coordinazione che subordina la causalità della causa seconda alla causalità prima e principale della causa prima. Premozione significa, dunque, primato di causalità efficiente, per oltrepassare il concetto di semplice influsso o mozione per concomitanza sul medesimo effetto.

*) In «Divus Thomas» 4 (1993).

') Controversia De auxiliis: cfr. DS 1997; 2008; 2170; 2564.

2) Cfr. Concardia, XVI, 13, 26.

155

parte seconda

2. La premozione, insieme al concorso simultaneo, è inferita speculativamente come modello causale che rende intelligibile il rapporto tra due cause che sono, insieme e distintamente, cause totali di un unico atto libero.

Dio, infatti, non solo da forma alle cose, ma anche le conserva nell'essere, le applica all'azione ed è fine di ogni azione.31 princìpi basilari di tale inferenza sono riconducibili al primato universale della causalità divina: sia dal punto di vista dell'efficienza, che dal punto di vista della modalità operativa.

Secondo l'efficienza, Dio è la prima causa incausata, il motore immobile che sta all'origine di ogni moto,4 perché tutto ciò che è in

3) Cfr. I, 105, 5, ad 3. _

4) II termine moto deriva dal latino motus, participio passato', del Verbo movere (muovere). Nella lettura participiale del termine, esso ha una valenza dinamica passivo-effettuale (mosso); nella lettura sostantiva, invece, la valenza del termine è semplicemente cinematica: moto come puro movimento o divenire. '

In S. Tommaso il termine moto, nella sua lettura sostantiva, ha una duplice accezione.

1) In senso improprio, moto è sinonimo di operazione (cfr. 2 Sent.., 15, 3, 2c). Moto è qui inteso come atto di ciò che è perfetto, cioè già in atto, per opposizione all'attuazione di una potenza, cioè l'atto di ciò che è imperfetto (cfr. I-II, 31, 2, ad 1). Si tratta, in altre parole, dell'atto vitale, per il quale il vivente, appunto, è visto come ciò che opera per sé e in sé, o muove se stesso (cfr. De Pot. 10, le; 3 De Anima, 12). In questo modo il termine moto può designare: in genere tutte le operazioni di ordine immanente della creatura, sia spirituali, come il conoscere e il volere (secondo la processione del concetto dall'intelligente e l'amore dall'amante; cfr. De Pot., 10, le); sia sensitive (cfr. I-II, 31, 2, adi). A quest'ordine appartengono tutti i moti appetitivi della sensibilità. Il moto dell'appetito naturale è proprio della facoltà vegetativa, che esercita la sua tendenza (per es., aver fame e aver sete) indipendentemente dalla conoscenza (cfr. II-II, 8, 1, ad3): si tratta dei cosiddetti moti primo-primi, cioè completamente involontari (cfr. 2 Sent., 24, 3, 2c). Il moto dell'appetito animale, invece, suppone il conoscere sensitivo, che è così all'origine dei suoi stessi atti: le passioni, cioè i moti dell'animo (motus animi;

cfr. I, 17, 7, ad 2), come l'amore, il desiderio, il piacere ecc. ; (cfr. I-II, 22, 2) sono questi gli atti della sensualità (motus sensualitatis), detti anche moti secondo-primi. Essi possono essere soggetti a un dominio incompleto della volontà, nel senso che pur non essendo comandati dalla ragione, tuttavia possono essere impediti nel loro sorgere dalla volontà (cfr. 2 Sent., 24, 3, 2c). La modalità impropria dell'uso del termine moto può designare anche la stessa attività divina, nella quale per eccellenza è da escludersi ogni imperfezione e potenzialità. Secondo il modello dell'agire immanente, troviamo in Dio le processioni del Figlio dal Padre e dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio, come il concetto procede dall'intelligente e l'amore dall'amante (cfr. De Pot., 10, le). Secondo il modello dell'agire transitivo, la creazione — m senso attivo - esprime la processione o il moto della bontà e della sapienza divina che si comunicano alle creature (ctr. I, 73, 2c;

Div. Noni., II, 1. 2; IX, 1. 4; De Pot., 10, le; G. barzaghi, La nozione di creazione in S. Tommaso d'Aquino, in «Divus Thomas» 3 (1992), pp. 62-81 e in questo volume.

2) In senso proprio, si danno ancora due accezioni del termine moto: una comune e l'altra specifica.

Secondo l'accezione comune, il termine moto equivale a mutamento (mutatio). Con esso si indica genericamente il semplice variare di uno stesso soggetto che si trova

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Analisi teoretica del concetto di premozione

moto è mosso da altro, e nell'ordine delle cause o motori per sé subordinati non è possibile procedere all'infinito, ma occorre giungere a un primo, dunque non mosso cioè causante incausato.

Dal punto di vista della modalità operativa, la causalità di Dio opera intimamente in ogni agente creato, perché il Dio creatore produce lo stesso essere della creatura.

in condizioni diverse in momenti diversi;(cfr< I,. 45» 2, ad2). Si può parlare di mutamento secondo il nostro modo di significare o diintendere, oppure secondo la stessa realtà delle cose.

Secondo il nostro modo di significare, possiamo parlare della creazione e deQ'anni-chilazione, in senso passivo. Infatti, nell'uno come nell'altro caso non si ha un medesimo soggetto che si presenti in modi diversi secondo il prima e il poi. Nella creazione si ha l'integrale produzione dell'ente che prima non era; nell'annichilazione se ne da la totale riduzione al nulla. Tuttavia, secondo il nostro modo di esprimerci, diciamo che nella creazione una medesima cosa che prima non era assolutamente ora è, anche se la sua consistenza e il suo significato entitativo è soltanto ora e non prima (cfr. I, 45, 2, ad2). La stessa riflessione si estende proporzionalmente all'annichilazione.

Secondo la realtà stessa delle cose, si può dare un duplice tipo di mutamento. Se il soggetto permanente è la stessa natura comune di ente (cfr. Ili, 75, 4, ad3), mentre ciò che varia è tutta la sostanza secondo la materia e la forma, abbiamo la transustanziazio-ne (cfr. Ili, 75, 6). Se il soggetto permanente si pone nell'ordine della sostanza, si verifi-cano due sottotipi di mutamento. Al permanere della materia prima e al variare della forma sostanziale corrisponde il mutamento sostanziale: se si passa dalla privazione della forma al suo acquisto, abbiamo la generazione sostanziale; se si passa dal possesso della forma sostanziale alla sua privazione, abbiamo la corruzione sostanziale (cfr. 11 Met., 1. 11). Al permanere della stessa forma sostanziale e al variare delle sole forme accidentali, corrisponde il mutamento accidentale. Nel caso che la variazione sia istantanea, cioè senza successione - come avviene nel modello del mutamento sostanziale -, abbiamo la generazione accidentale (cioè l'acquisto di un accidente), oppure la corruzione accidentale (cioè la perdita di un accidente). Nel caso, invece, che la variazione si verifichi secondo una successione temporalmente misurabile, abbiamo il moto in senso stretto.

Quindi, l'accezione specifica del termine moto indica proprio quella specie di mutamento reale, che esclude l'istantaneità e implica progresso e continuità nella variazione.

Il moto è constatato attraverso l'esperienza che noi abbiamo del nostro mondo: «è certo e consta anche al senso che qualcosa in questo mondo è in moto» (I, 2, 3). Vediamo - per es. - una pianta che cresce e fruttifica, un uccello che vola, un masso che rotola; riconosciamo l'incremento continuo della nostra scienza ecc.

Essenzialmente, il moto si definisce come atto di ciò che esiste in potenza, ili quanto in potenza (cfr. 3 Physic., 1. 2; I, 9, le).

I) Analisi metafisica o formale della definizione. Il moto, come atto di ciò che è imperfetto (cfr. I, 18, le), ha un duplice aspetto.

A) Dal punto di vista della perfezione, il moto si dice atto, perché ciò per cui una cosa, prima esistente in potenza, si attua è l'atto; ora, questa attuazione si da con il moto (per es., una casa in costruzione si distingue dal suo essere semplicemente costruibile, come l'atto si distingue dalla potenza), dunque il moto è atto.

B) Dal punto di vista dell'imperfezione, si danno due livelli nel moto, i quali stanno tra loro come il generico allo specifico. 1) Secondo il livello generico, il moto è atto di ciò che esiste in potenza, perché si trova sempre in ciò che subisce una certa riduzione

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parte seconda

La volontà divina permea causalmente tutto l'ente in ogni sua differenza; così Dio opera in ogni ente rispettandone la natura e le proprietà specifiche. Se così non fosse, le forme naturali sarebbero prive di una propria consistenza e densità ontologica e operativa, rappre-

all'atto, cosa impossibile in ciò che invece è già completamente in atto (per es., l'acqua bollente è in potenza rispetto al suo raffreddamento, ma non all'ebollizione). 2) Secondo il livello specifico, il moto è atto di ciò che esiste in potenza in quanto in potenza, perché è sempre relativo a un soggetto che ha già della attualità, riferendosi ad esso per quell'aspetto che ha ancora di potenziale (per es., il bronzo in atto è in potenza la statua, cioè è ulteriormente attuabile quanto all'essere statua, non quanto all'essere bronzo).

II) Analisi fisica o materiale della definizione. Il moto, come atto del mobile in quanto è mobile, è un atto imperfetto, perché intermedio tra la pura potenza e l'atto terminale. Con un'espressione sinonima e imprecisa si potrebbe dire che il moto è il passare dalla potenza all'atto. Come atto, il moto si rapporta a qualcosa di più imperfetto, che lo precede come punto di partenza; ma è esso stesso potenziale in riferimento a un ulteriore atto al quale tende. Per es., l'atto dell'edificabilc in quanto edificabilc (potenza) non è l'edificio già concluso in atto, ma l'essere edificato, cioè il divenire edificio (cfr. 3 Physic., 1. 3). L'edificabilc è in atto quando viene edificato in atto (cfr. 11 Met. 1. 9).

Il moto esprime, dunque, continuità e successione (cfr. 1 Sent., 8, 3, 3), per opposizione alla istantaneità che caratterizza la semplice mutazione. Esso, infatti, si sviluppa attraverso due termini positivi: è «da soggetto a soggetto», intendendo per soggetto non il sostegno della forma, ma un dato positivo (cfr. 5 Physic., 1. 2). Il punto di partenza (terminus a quo) e il punto di arrivo (terminus ad quem) devono essere tra loro contrari, così da ammettere qualcosa di intermedio, che consenta la gradualità, cioè la continuità e la successione nel passaggio (per es., l'acqua, nel riscaldarsi, prima è fredda, poi tiepida, quindi calda). Il mutamento, invece, si realizza all'istante, cioè senza progresso, perché i due termini della sua attuazione (la partenza e il traguardo) sono tra loro contraddittori (l'uno nega semplicemente ciò che l'altro afferma) e non ammettono perciò una via intermedia: al cessare dell'uno, subentra per questo stesso fatto l'altro. E il caso della generazione (da non soggetto a soggetto) e della corruzione (da soggetto a non soggetto). Nella generazione e nella corruzione della sostanza, non c'è un momento nel quale ci sia qualcosa di medio tra la sostanza e la non sostanza: o la sostanza c'è tutta, o non c'è affatto (cfr. De Ver., 28, le).

(Qualitativamente, il moto può essere cartatterizzato sotto un duplice angolo prospettico.

I) Dal punto di vista tipologico, si danno tré specie di moto, secondo le tré categorie, o generi supremi, che ammettono una contrarietà non solo tra le differenze specifiche (cosa comune ad ogni genere, perché le differenze sono sempre opposte tra loro come l'affermazione e la negazione: per es. razionale e irrazionale), ma tra le stesse specie, così da comportare maggiore o minore intensità e massima distanza tra due determinati estremi (cfr. 5 Physic., 1. 3).

A) Secondo le qualità della terza specie (qualità sensibili), come il colore, il sapore ecc., che implicano una gradazione continua tra gli estremi (per es., tra il bianco e il nero si da tutta la gamma dei colori) si sviluppa il moto di alterazione.

B) Secondo la quantità si da il moto di aumento e diminuzione, rispetto agli estremi specifici di una determinata cosa alla quale ci si riferisce (per es., una determinata specie animale o vegetale ha un minimo e un massimo di altezza).

C) Secondo il luogo abbiamo il moto locale, sempre assumendo due estremi determinati per un determinato moto (per es., andare da casa a scuola; cfr. ibid.).

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Analisi teoretica del concetto di premozione

sentando una semplice occasione dell'unica azione di Dio; l'azione creatrice stessa di Dio sarebbe impotente a produrre, per partecipazione similitudinaria, l'essere creato e l'operare che ne consegue.

Nel primo caso, si contesterebbe la testimonianza dei sensi, che nel giudizio circa il sensibile proprio non errano (quando il senso tat-

II) Dal punto di vista del soggetto che diviene, la legge fondamentale del moto è quella della causalità: tutto ciò che è in moto è mosso da altro (cfr. I, 2, 3c).

Se infatti il moto è atto di ciò che è in potenza in quanto in potenza, esso ha sempre le caratteristiche dell'effetto, cioè del derivato. Ciò che è in potenza non passa all'atto se non per un altro ente già in atto: l'ente in potenza, in quanto in potenza, non acquista l'atto da sé, cioè per il semplice fatto di essere in potenza, altrimenti si darebbe un'assurda identità della potenza con l'atto. Per questo motivo, è contraddittoria l'idea di un soggetto che nello stesso tempo e sotto lo stesso aspetto sia movente e mosso, cioè che muova se stesso (cfr. C. G., I, 13). Per es., l'acqua di una bacinella non può essere nello stesso tempo e sotto lo stesso aspetto calda e fredda, ma sarà fredda in atto e calda in potenza. Che l'acqua, prima fredda, poi sia calda, non può essere dovuto al suo semplice esser fredda (il suo esser in potenza calda), altrimenti l'esser fredda e l'esser calda sarebbero identici. Perciò l'esser fredda, cioè priva di calore, è la condizione del riscaldamento, è la capacità (potenza) di ricevere il calore, ma non la sua causa. Il riscaldamento dell'acqua è dovuto a una fonte estrinseca - per es. il fuoco — già attualmente calda.

Questo principio del moto si chiama motore o movente.

Motore per se è quello che produce direttamente la mozione (cfr. 8 Physic., 1. 7).

Se si considera il motore avendo come punto prospettico il moto, esso si divide in mobile e immobile. Motore mobile o mosso è quello attuato da un altro motore per lo svolgimento della sua azione causale: così - per es. - la mano, nell'atto di scrivere, è movente o motore rispetto alla penna, ma è mossa rispetto alla volontà dello scrivente. Motore immobile, invece, è quello che non viene attuato da un altro motore per il suo esercizio operativo, ma è già da sé in atto. La necessità di un motore immobile è data dal principio della improcedibilità all'infinito dei motori mossi e tra sé coordinati (cfr. I, 46, 2, ad 7). Se non ci fosse un primo movente, quindi non mosso, i motori intermedi non muoverebbero (cfr. I, 2, 3c); d'altra parte, si può anche osservare che se non ci fosse un primo motore già in atto per se stesso e non attuato o attuabile, il moto sarebbe originario: il moto non sarebbe semplicemente dalla potenza, ma per o a. causa della potenza, con l'evidente contraddizione più sorpa segnalata. Dio è il motore immobile che è all'origine di ogni moto: in quanto immobile, nell'esercizio della sua causalità, è atto puro.

Se si considera il motore in relazione al mobile, si prospettano due eventualità.

Quando il motore è all'interno dello stesso mobile, si dice motore intrinseco ed è il tipico principio del moto vitale: così l'animale muove se stesso; naturalmente non nel senso che tutto l'animale muova totalmente se stesso (sarebbe in potenza e m atto nello stesso tempo e sotto lo stesso aspetto), ma nel senso che nell'animale l'anima muove il corpo, la parte attiva muove la parte passiva (cfr. 8 Physic., 1. 10). Se la mozione prodotta è conforme alla natura del soggetto, il moto è sempre naturale. Se si rapporta la mozione alla sola parte corporea del soggetto, allora si può anche dare un moto relativamente (secundum quid) violento: il contrasto è con l'inclinazione naturale del corpo, ma non con la natura totale del soggetto. Per es., un saltatore in alto costringe il proprio corpo a vincere la gravita nell'elevarsi sopra l'asticella, ma rispetto alla capacità, intrinseca alla natura dell'uomo, di effettuare tale impresa, l'atto è naturale (cfr. I-II, 6, 5, ad3).

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parte seconda

tile è vicino al fuoco, per es., sente il calore del fuoco, o che il fuoco è caldo; tale giudizio non si darebbe se altro fosse l'agente che è causa del calore sentito). Si darebbe, inoltre, scandalo per la ragione, per la quale nulla della natura è invano: sarebbero perfettamente mutili le forme e le forze naturali, se le cose non fossero dotate di una propria operatività (sarebbe inutile appiccare il fuoco alla legna, se Dio bruciasse la legna senza il fuoco).

Se il principio del moto non è nello stesso mobile, allora si parla di motore estrinseco. Anche in questa prospettiva si devono distinguere una mozione e un moto naturale e una mozione e un moto violento. Nel primo caso, il moto naturale è dovuto alla presenza strutturale nel soggetto mobile del principio intrinseco passivo, che rende capace il soggetto di ricevere la mozione: per es., ciò che è caldo in atto (il fuoco) muove naturalmente ciò che per sua natura è in potenza caldo, cioè può naturalmente ricevere il riscaldamento (l'acqua). Nel secondo caso, invece, si colloca il tipico motore violento estrinseco, come - per es. - il braccio che lancia un sasso (cfr. 8 Physic., 1. 8).

Motore per accidens è quello che produce indirettamente la mozione del mobile. Dal punto di vista della predicazione, si parla di motore per accidens nel caso dell'attribuzione della mozione a un aspetto accidentale del movente (per es., diciamo che il pittore risana, ma non perché pittore, bensì per il fatto che quel soggetto che è pittore ha in sé anche la capacità di guarire, che non gli deriva dall'essere capace di dipingere), oppure nel caso dell'attribuzione della mozione al tutto, mentre appartiene alla parte (per es., diciamo che l'uomo percuote, perché la sua mano percuote; cfr. 8 Physic., I. 7).

Dal punto di vista dell'essere, si parla di motore per accidens nel caso del removens prohibens, cioè della causa che non si rapporta produttivamente all'effetto, ma toglie gli ostacoli che si oppongono alla sua produzione. Per es., il moto verso il basso, proprio dei corpi gravi e loro attitudine naturale, è causato per se dalla causa stessa che ha generato il grave (chiedersi perché il corpo grave tenda verso il basso, è chiedersi perché il grave è grave; così ciò che produce il grave produce anche il suo moto verso il basso;

cfr. 8 Physic., 1. 8). Tuttavia, tale moto può trovare degli impedimenti: ciò che rimuove detti impedimenti funge da suo motore solo indirettamente. Per es., i pali che sostengono un edificio pericolante impediscono che per se stesso crolli. Chi abbatte questi pali, rimuove l'impedimento al crollo, ma non ne è la sua causa diretta.

Il moto è atto del movente e del mosso, perché ciò che il movente causa con la sua azione e ciò che il mosso riceve passivamente è realmente la stessa cosa, così come identica è la distanza coperta da chi sale e da chi scende da un medesimo pendio: solo per riferimento al punto di partenza e al punto d'arrivo si distinguono la salita e la discesa (cfr. 3 Physic., 1. 4). In quanto il moto procede dal motore verso il mobile, esso è atto del movente; in quanto è nel mosso, come ricevuto dal motore, è atto del mobile. Per es., il riscaldare è atto del movente; il riscaldarsi è atto del mobile (cfr. C.G., Ili, 22).

Dalla parte del movente o motore, si colloca il predicamento azione, cioè l'atto per il quale l'agente è termalmente tale ed è principio o origine del moto (cfr. I, 41, 1, ad2). Poiché il moto è atto di ciò che è in potenza in quanto in potenza, non compete per sé al motore, il quale dice attualità. Supposto che il motore sia a sua volta mosso, il moto gli compete direttamente in quanto è mosso e solo indirettamente (per accidens) in quanto è motore. Il moto non è mai propriamente atto del movente, ma del mosso (cfr. 3 Physic., 1. 4).

Dalla parte del mobile, si colloca il predicamento della passione, cioè la ricezione della mozione del soggetto agente da parte del soggetto mobile, che si costituisce, perciò, come mosso (cfr. I, 41, 1, ad2). Per la definizione data di moto, risulta evidente che esso è per se stesso atto del mobile (cfr. 3 Physic., 1. 4).

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Analisi teoretica, del concetto di premozione

Nel secondo caso, si contesterebbe la stessa bontà e onnipotenza di Dio.5

3. La premozione può essere descritta secondo i suoi due-aspetti, o meglio dimensioni metafisiche, cioè; nel suo significato iattivo (ac-tive sumpta) e nel suo significato passivo (passive sumpta)^

A) In senso attivo, la premozione divina è la stessa azione divina, cioè Dio stesso, in quanto muove la causa seconda all'emissione della sua propria azione, prima dell'azione stessa. In altri termini, essa è l'azione per la quale Dio attua la causa seconda in atto primo, perché passi all'atto secondo, cioè all'operazione stessa.

Per es., nell'ordine corporeo, l'azione con la quale il fuoco riscalda l'acqua, prima che essa stessa, riscaldata, sia a sua volta fonte di riscaldamento per un altro soggetto, è appunto il riscaldamento in senso attivo.

In questo modo, la premozione si distingue dal concorso simultaneo - sempre in senso attivo - giacché questo è l'azione divina con la quale Dio partecipa alla creatura l'entità dell'operazione e del suo termine. :

Tale azione si riferisce alla causa seconda in atto secondo (cioè agente), la quale, sotto detto influsso, è causa strumentale rispetto all'essere dell'operazione, perché agisce in virtù della càusa principale che è Dio movente, come il pennello (strumento) riceve tutta la virtù della sua azione - quanto all'esercizio - dall'azione del pittore (causa principale).

La causa seconda funge però da causa principale quanto all'essenza dell'operazione, così da specificare, secondo la propria natura, l'operazione stessa: il pennello, per es., determina il risultato dell'azione causale del pittore sulla tela con quei tratti che sono tipici del suo proprio agire e si distinguono nettamente da quelli di una matita o di un semplice pastello.

B) In senso passivo, la premozione divina è il venir attuata della stessa causa seconda, cioè la ricezione della azione motiva divina nella causa seconda: nell'unico moto che nella mozione lega la causa prima alla seconda, l'atto del mobile si distingue, per distinzione di ragione e non reale, dall'atto del motore, e si qualifica come esser mosso.7

5) Cfr. 1 Perih., 1. 14; I, 105, 5c; De Fot., 3, 7; C.G., Ili, 67.

6) Cfr. 1 Sent. 40, 1, 1, ad 1.

7) Cfr. 3 Physic., 1. 4; C.G., II, 57; III, 150.

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parte seconda

Si tratta di un complemento della causalità della causa seconda (com-plementum causalitatis o complementum virtutis agentis secundi)3 un'entità cosiddetta viale o transitiva, applicativa della causa seconda in atto primo all'atto secondo, cioè alla sua propria operazione.

In questo modo, la premozione si distingue ancora dal concorso simultaneo in senso passivo, in quanto quest'ultimo è l'essere partecipato all'effetto prodotto dalla causa seconda, diverso dall'essere partecipato all'agente in vista della sua costituzione in atto secondo.

C) Dalla premozione, sia attiva che passiva, va nettamente distinta {'operazione prodotta dalla causa seconda sotto l'influsso causale dell'agente principale (nell'es. sopra proposto, il riscaldamento prodotto dall'acqua precedentemente riscaldata).

E l'azione che consegue al congiungimento del ricevente e del ricevuto, cioè del soggetto e della mozione passiva in esso risultante dall'influsso della causa agente principale.

Se si considera il soggetto che esercita l'operazione, allora ogni agente particolare è immediatamente legato al suo effetto; se si considera la virtù operativa per la quale si esercita l'operazione, allora la virtù operativa della causa principale (Dio) è più immediatamente legata all'effetto, rispetto alla virtù della causa seconda, perché «la virtù inferiore non si collega all'effetto se non per la virtù del superiore».9

4. Possiamo caratterizzare la premozione Secondo un duplice livello: quello dell'azione stessa di Dio e quello dell'azione della libertà umana.

A) Al livello dell'azione divina la premozione si caratterizza come predeterminante e infallibile.

La premozione è predeterminante, dicono i tornisti, perché attuazione di un decreto eterno della volontà di Dio. La volontà, come anche la scienza divina, si identifica con Dio stesso, che in quanto atto puro non può subire modificazioni.10

In questa stessa linea, la premozione è infallibile, perché infallibile è l'ordine della provvidenza e della predestinazione: tutto l'effetto della predestinazione viene da Dio, causa prima, che muove le cause seconde non solo con volontà antecedente universale (non necessaria-

8) Cfr. C.G., Ili, 66; De Fot., 3, 7, ad 7.

9) De Fot., 3, 7c.

10) Cfr: I, 19, 4 e 7.

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Analisi teoretica del concetto di premozione

mente si realizza), ma anche conseguente, cioè del particolare concreto, che si realizza infallibilmente sotto tale mozione." ,

La volontà divina antecedente non è assoluta, perché considera semplicemente in astratto il suo termine (per es.. Dio vuole in universale che tutti gli uomini siano salvi); solo la volontà conseguente si rapporta concretamente e realisticamente al suo termine, perché considera tutte le circostanze per le quali, per es., chi rifiuta Dio è dannato.

E quasi superfluo ricordare che tra volontà antecedente e volontà conseguente si da solo una distinzione di ragione, e non vanno supposte in sequenza cronologica. L'infallibilità della premozione è fondata sulla certezza di causalità e non di semplice prescienza.12

B) Al livello dell'azione libera della creatura razionale, la premozione è fìsica e non necessitante.

La premozione si dice fisica per opposizione a morale, nel senso che il suo influsso riguarda l'esercizio dell'atto libero e non la sua specificazione. Dal fatto che la volontà sia mossa da Dio secondo un'inclinazione intcriore, non si esclude che essa si muova da sé, sotto tale mozione, così che resti salva la ragione stessa del merito e del demerito."

Nel senso dell'influsso fisico, la volontà creata perde la propria indifferenza passiva, in quanto viene attuata, ma non perde l'indifferenza attiva di dominio sul proprio agire.14

La premozione non è necessitante, dunque, perché per l'efficacia assoluta della volontà divina, non solo le cose che Dio vuole che avvengano si realizzano, ma anche si attuano secondo il modo che egli vuole: alcune in modo necessario, altre in modo contingente.

Così, l'azione di Dio sulla volontà non sottrae a essa l'attività volontaria, ma ne è la stessa efficacissima garanzia.15

L'essenza stessa della libertà consiste proprio in quell'indifferenza attiva dominatrice dell'atto che si rapporta a un bene finito e, perciò, non necessitante attrattivamente.

L'azione libera, attuata dalla premozione a volere un dato oggetto, nel volerlo rirnane ancora libera, per quella medesima indifferenza di dominio attivo, che caratterizza la stessa libertà di Dio.

") Cfr. I, 19, 6c; 22, 4; 23, 6; De Ver., 23, 2.

") Cfr. I, 19, 6, ad 1; De Ver., (,, 3.

") Cfr. I, 105, 4; I-II, 10, 2.

") Cfr. I-II, 10, 4.

15) Cfr. C.G., Ili, 90; I, 19, 8; 83, 1, ad 3.

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parte seconda

L'assoluta immutabilità di Dio non inficia minimamente la sua libertà, perché la perfetta attualità del suo volere non è necessitata da ciò che è voluto ma non ha un ordine necessario alla bontà divina: allo stesso modo diciamo possibile un enunciato, non nel senso che indichi una certa potenzialità suscettibile di attuazione, ma nel senso che esprime una relazione tra soggetto e predicato che non è necessaria ne impossibile (per es., che un triangolo abbia due lati uguali è un enunciato possibile). In questo stesso senso, Dio vuole non necessariamente ciò che immutabilmente vuole.16

In modo proporzionalmente analogo, la libertà creata è infallibilmente mossa da Dio, ma non necessitata. La sapienza divina regge con potenza l'universo, disponendo ogni cosa dolcemente.17

16) Cfr. C.G., I, 82; 5 Met., 1. 14.

17) Sap 8, 1; I, 22, 2, s.c.

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Parte Terza

Antropologia e cultura

LA PASSIO TRISTITIAE SECONDO S. TOMMASO. UN ESEMPIO DI ANALISI REALISTA*

La tristezza o malinconia, nelle sue diverse forme ed espressioni,' è una passione dell'anima umana che da sempre ha attratto l'interesse di psicologi, filosofi, teologi, poeti e maestri di spiritualità. Sia la sua generale interpretazione negativa nell'età medievale, sia la sua esaltazione nell'età moderna2 sono sintomo inconfondibile del misterioso fascino che circonda questo fondamentale stato emotivo-psicologico.

Degna di assoluto rilievo è l'analisi che di tale passione propone S. Tommaso. In essa gli aspetti positivi e quelli negativi si armonizza-

*) In «Sacra Dottrina» 1 (1991).

') In modo piuttosto generale si potrebbe dire che per sé siamo soliti chiamare dolore la sofferenza puramente fisica; tristezza, invece, la sofferenza spirituale. Fatica o pena è il dolore che coinvolge sia lo spinto che il corpo. Dal punto di vista degli effetti esterni, se si considera la sofferenza rispetto al male che affligge gli altri - soprattutto la morte - parliamo di lutto; se si considera invece quella sofferenza che deriva dal male che ci affligge personalmente siamo soliti parlare di mestizia - quanto all'aspetto che assumiamo - e di pianto, in tutte le sue diverse sfumature e gradazioni; se si considera infine quella sofferenza che deriva da un qualsiasi male, proprio o altrui, parliamo di tedio. Cfr. S. ramirez, De passionibus animae, Madrid 1975, pp. 294-295.

2) Tristezza e temperamento malinconico hanno subito nel corso della storia diverse interpretazioni e valutazioni. Nella Sacra Scrittura si racconta degli stati di depressione di Saul alleviati dalla musica di Davide (cfr. 1 Sam 16, 23). Aristotele notò una certa connessione tra il temperamento malinconico e la genialità nell'ambito artistico e scientifico (cfr. Problemata, 30, 1). Nel medioevo, tale stato d'animo e condizione temperamentale non godettero di grande stima, anzi la loro prossimità all'accidia (vizio capitale) li rese oggetto di valutazioni fortemente negative. Così anche nel periodo della Controriforma il giudizio fu veramente negativo: S. Teresa vide nella malinconia uno strumento del demonio (cfr. Fondazioni e. 7). Nel rinascimento, invece, come anche nell'età moderna, malinconia, pazzia e genialità furono pareggiate in un connubio che divenne per i secoli successivi l'emblema di ogni personalità artistica di una certa levatura. Cfr. panofski-saxl, Diirers «Melancholia» I, Leipzig-Berlin 1923. rudolf e mar-got wittkower, Nati sotto Saturno, London 1963, tr. it. Torino 1968; R. klibanski, E. panofski F. saxl, Saturn and Melancholy, London 1964.

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parte terza

no nell'equilibrato realismo dell'antropologia dell'Aquinate; soprattutto in riferimento al livello più elevato dell'esercizio dell'attività spirituale: la contemplazione.

L'aspetto psicologico della tristezza (I-II, qq. 35-38)

1. la NATURA DELLA TRISTEZZA (Q. 35, 1-2)

Dal punto di vista della struttura psicologica, la tristezza è una passione dell'appetito concupiscibile, cioè un moto dell'anima a livello sensitivo, che si innesta nella tendenza al piacere sensibile e che consegue alla percezione o rappresentazione del male fisico presente.

Essa presuppone due requisiti fondamentali: una certa unione del soggetto con qualche male e la coscienza di tale unione. Secondo la facoltà che presenta o rappresenta il male al soggetto e la natura dello stesso male che lo affligge, si distinguono tré diversi aspetti di questa passione.

Il dolore è di ordine fisico esterno e nasce dall'unione del soggetto con il male fisico presente, percepito tattilmente.

La tristezza sensitiva è di ordine sensitivo interno: nasce dalla rappresentazione immaginativa di un male fisico che può essere presente, passato o futuro.

La tristezza spirituale ha un'estensione superiore a quella sensitiva, giacché può riferirsi a qualsiasi tipo di male.

Gli aspetti che maggiormente interessano il nostro discorso sono ovviamente il secondo e il terzo.

2. le PROPRIETÀ DELLA TRISTEZZA (Q. 35, 3-7)

Dalla trattazione tomistica, due risultano essere le proprietà fondamentali della tristezza: l'essere contraria al piacere (aa. 3-6) e l'ammettere una certa gradualità di intensità (a. 7).

La tristezza è per sé contraria al piacere perché ha un oggetto formale contrario: la tristezza è relativa al male, mentre il piacere si riferisce al bene.

Tuttavia non ogni tristezza è contraria a ogni piacere. Infatti il moto passionale è specificato dall'oggetto. Se l'oggetto di due moti

168

La passio tristitiae secondo S. Tommaso

passionali contrari è identico, le due passioni sono tra loro direttamente e specificamente contrarie: per es. compiacersi o rattristarsi per la presenza di una certa persona. Ma se gli oggetti dei due moti sono tra loro diversi, anche le due passioni non risultano contrarie tra loro. In questo senso, se i due oggetti sono disparati, anche le due passioni risulteranno tali e non contrastanti: per es. rattristarsi per la sofferenza di una persona amica e godere per la bellezza della contemplazione; se i due oggetti sono poi contrari tra loro, i moti passionali della tristezza e del piacere non solo non contrastano ma hanno una certa affinità e convenienza reciproca: per es. godere del bene e rattristarsi del male.3

Anzi, indirettamente (per accidens) la tristezza può essere fonte di piacere, cosi come il piacere può causare la tristezza.

La tristezza può causare il piacere o la gioia in una duplice prospettiva.

Dal punto di vista dell'oggetto, spesso si sopporta il dolore in vista della gioia: «per aspera ad astra»;4 oppure per l'ammirazione che accompagna la conoscenza della sofferenza: l'ammirazione infatti è un desiderio unito alla speranza, che sempre è motivo di gioia per la certezza della reale presenza del bene.5

Dal punto di vista del soggetto, diversi sono i modi nei quali la tristezza causa la gioia.

Anzitutto essa spinge alla ricerca di ciò che la può alleviare. Poi perché attualmente essa fa ricordare ciò che si ama e per la cui assenza cisi rattrista: l'amore è fonte di gioia, e così tutto ciò che da esso deriva, compreso il dolore e la tristezza, perché in essi lo si percepisce.6

Anche il ricordo di una cosa triste passata aumenta la gioia, in ragione dello scampato pericolo.7

Il piacere può essere a sua volta fonte indiretta di dolore, come nel caso dell'eccesso nel cibo ecc.8

La tristezza ammette al suo interno diversi livelli di intensità.

3) Riferirsi ai contrari allo stesso modo comporta contrarietà, per es. avvicinarsi al male e avvicinarsi al bene; riferirsi ai contrari in modo contrario implica una certa somiglianzà, per es. avvicinarsi al bene e allontanarsi dal male. Cfr. I-II, 35, 4 e.

4) Cfr. I-II, 35, 3, ad 1.

5) Cfr. I-II, 32, 3, ad 3.

') Cfr. I-II, 32, 4 e; 35, 3, ad 2.

7) «Nam carere malo accipitur in ratione boni», I-II, 32, 4 e.

8) Cfr. I-II, 32, 2.

169

parte terza

Anzitutto rispetto al piacere, se la tristezza gode di un'intensità psicologica inferiore, giacché non si può mai dare un male che sia assolutamente ripugnante e non implichi una certa relazione di convenienza con il soggetto,9 tuttavia indirettamente e occasionalmente si può dare un maggiore istinto di fuga dalla tristezza che di desiderio del piacere: per es. nel caso che la tristezza impedisca ogni piacere, oppure se essa ha una causa più radicale di quella che suscita il piacere, o ancora quando nasce dalla percezione dell'amore che si nutre per qualcuno che è assente.10 ;

In secondo luogo, l'intensità della tristezza o dolore intcriore può essere valutata rispetto al dolore fisico o esterno.

In termini assoluti, la tristezza dell'animo è superiore al dolore fisico, perché l'anima è superiore al corpo così come la ragione e l'immaginazione - che presiedono alla percezione del male rattristante -sono superiori al tatto. Il dolore esterno dipende da un male che colpisce direttamente il corpo e solo indirettamente il desiderio del bene;

la tristezza invece proviene da un male che contrasta direttamente il desiderio del bene secondo tutta l'estensione rappresentativa propria della ragione o dell'immaginazione."

3. I DIVERSI TIPI DI TRISTEZZA (Q. 35, 8)

La divisione proposta da S. Tommaso12 non enuclea vere e proprie specie di tristezza perché detta divisione non è di un genere secondo le sue differenze specifiche, ma per applicazione della stessa tristezza a diverse materie a essa estranee, così come l'astronomia si dice specie della matematica perché è il risultato dell'applicazione dei princìpi matematici in un ambito cosmologico.

La tristezza ha per oggetto il male proprio; ora tale materia diviene estranea in due modi: o perché il male non è proprio, oppure perché non solo non è proprio ma non è neppure un male.

Nel primo caso, cioè quando il male non è proprio, ma altrùi, si ha la misericordia, che è la tristezza per il male altrui stimato come

9) Cfr. I-II, 35, 6. Il bene invece, oggetto del piacere, può essere assolutamente conveniente; e così il piacere gode di una certa perfezione.

10) Cfr. Ibid. ") Cfr. I-II, 35, 7.

12) E una divisione mutuata dal Damasceno, De Fide orth., II, 14 (PG 94, 932) e dal Nemesio (Ps. Nisseno), De fiat. hom., 19 (PG 40, 688).

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La. passio tristitiae secondo S. Tommaso

proprio. Nel secondo caso, invece, quando si considera il bene altrui come proprio male si ha l'invidia, se quel bene è un bene posseduto onestamente; si ha invece V indignazione se si tratta di un bene posseduto disonestamente. ,

Dal punto di vista degli effetti, la tristezza assume un'ulteriore tipologia. Supposto che effetto principale della tristezza sia un certo istinto alla fuga, se la tristezza non trova tale sbocco abbiamo l'ansietà o angustia; se invece essa è tanto intensa da togliere persino l'istinto e l'attività esterna abbiamo l'accidia.

4. le CAUSE DELLA TRISTEZZA (Q. 36)

Per sé, i princìpi dinamici del moto passionale hanno una duplice dimensione: una oggettiva e una soggettiva.

Dal punto di vista dell'oggetto o del fine, la causa formale della tristezza è il male che affligge il soggetto. Infatti la tristezza è in qualche modo un moto di fuga o di allontanamento, il quale si riferisce più alla ragione di male che a quella di bene perduto, anche se materialmente le due cose poi coincidono (a. 1).

Dal punto di vista del soggetto si danno due livelli di causalità:

una prossima e l'altra remota.

Siccome il moto desiderativo si rapporta principalmente al bene e conscguentemente al male per evitarlo, la causa soggettiva prossima, a modo di terminus a quo della tristezza, è il desiderio del bene.

Infatti noi ci rattristiamo in quanto il nostro desiderio di bene è contrastato da un ostacolo che ne ritarda l'esaudimento, o che addirittura lo impedisce in modo assoluto (a. 2).

Ma d'altra parte, poiché l'amore è la causa prima di tutte le passioni e ha come propria dinamica essenziale la tendenza unitiva,13 esso rappresenta la causa remota della tristezza. La separazione, la divisione da ciò che costituisce in qualche modo la perfezione di un soggetto è avvertita con dolore (a. 3).

Dispositivamente, a modo di conditio sine qua non, causa della tristezza è la forza maggiore contrastante l'inclinazione naturale del

") Cfr. I-II, 28, 1.

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parte terza

soggetto a un determinato bene (a. 4), la quale determina l'applicazione o il congiungimento del soggetto con il male.14

5. gli EFFETTI DELLA TRISTEZZA (Q. 37)

L'aspetto più interessante di un moto passionale è rappresentato dai suoi effetti, giacché è proprio a partire da essi che noi avvertiamo le sue caratteristiche differenziali.

Dal punto di vista psicologico, S. Tommaso evidenzia tré effetti importanti della tristezza: due di questi si collocano nell'ordine dell'agire intcriore o spiritualmente immanente al soggetto, il terzo invece riguarda l'ordine dell'agire transitivo, cioè dell'operare esterno.

Il primo effetto spirituale è sul piano intellettivo. La tristezza o dolore inferiore può essere a tal punto intensa da assorbire l'attenzione del soggetto così da impedire l'acquisto di una nuova conoscenza, anche se non può giungere a impedire completamente la contemplazione come il dolore esterno - soprattutto quello negli organi che servono alla conoscenza quali la testa, gli occhi, le orecchie ecc. (a. 1, ad 3).

Il secondo effetto spirituale è sul piano affettivo. In senso metaforico, l'anima si dice aggravata per il fatto che la volontà è impedita nel suo moto verso il bene dalla presenza di un male che l'appesantisce e le impedisce la fruizione del bene (a. 2). E proprio l'effetto contrario del piacere, il quale «dilata» l'animo.15

Tale appesantimento dell'animo e del principio di ogni azione può determinare anche l'assoluta immobilità dell'operare - terzo effetto -, se manca la speranza di riuscire ad allontanare il male: l'uomo profon-

") E interessante notare come da un punto di vista strutturale la causa della tristezza si trova connaturalmente nel temperamento malinconico. Si danno però anche altre condizioni acquisite che la possono alimentare, quali la vecchiaia, la nostalgia, la nevrastenia; oppure le semplici esigenze elementari della natura corporea come la fame, la sete o la monotonia di una situazione che è innaturale per un soggetto che è per natura coinvolto nel moto come l'uomo: come dice l'adagio: «variationes delectant». Cfr.

ramirez, op. cit., p. 310. 15) Cfr. I-II, 33, 1.

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La passio tristitiae secondo S. Tommaso

damente triste è solito restare immobile a fissare senza interesse il suolo o il vuoto. Le cose fatte con tristezza sono sempre imperfette.

Tuttavia, se si considera la tristezza come causa dell'agire, permanendo la speranza di riuscire nel tentativo di debellare il male che affligge il soggetto, allora l'azione a tal fine ordinata è fortemente incrementata: vengono aumentate l'audacia e l'ira (a. 3).

Dal punto di vista fisiologico (a. 4), la tristezza sortisce l'effetto più deleterio.

Mentre le altre passioni che implicano un moto desiderativo risultano nocive in ragione dell'eccesso che le può accompagnare, la tristezza è nociva per sua natura, perché è contraria al moto vitale espansivo tipico dell'uomo.

La tristezza è molto più grave, in questo senso, del timore o della disperazione in quanto si riferisce a un male già presente e non soltanto futuro.

L'aspetto morale della tristezza (q. 39)

Nonostante la sua specifica gravita, la tristezza non è però il male più grande e, d'altra parte, essa riveste un aspetto di bene sia utile che onesto che la rende, in qualche caso, moralmente buona.

Se parlando in termini assoluti la tristezza è male perché è presenza del male che impedisce la quiete del desiderio nel possesso del bene conveniente, in termini relativi - cioè per riferimento o considerazione delle circostanze - essa è un bene.

Supposto infatti ciò che è doloroso o male, è bene riconoscerlo come tale e rattristarsene (a. 1). Se non lo si avvertisse, ci si troverebbe di fronte a un male psicologico del soggetto; il riconoscimento invece del male come tale è segno del buono stato della natura del soggetto senziente.

Se non si stimasse riprovevole il male, saremmo di fronte al male morale del soggetto; stimare invece riprovevole il male è indice della bontà morale dello stesso soggetto.

Perciò, a condizione della corretta valutazione del male in concreto, la tristezza assurge a valore di bene onesto (a. 2).

Rispetto al moto di fuga o di ripulsa del male, la tristezza è utile se è relativa a ciò che deve essere fuggito (per es. il peccato) o comunque cautamente evitato (per es. le occasioni di peccato) (a. 3).

173

parte terza

E dunque impossibile che la tristezza sia il peggiore dei mali. Se essa nasce dalla presenza di un vero male è un buon sintomo:

peggio sarebbe non giudicarlo tale o addirittura non rifiutarlo. Se anche nascesse dalla presenza di un male solo apparente - e

quindi un vero bene - peggio sarebbe la completa alienazione dal vero

bene (a. 4).

I rimedi alla tristezza (q. 38)

Se la tristezza è un male, ma non assoluto e insormontabile, è in qualche modo possibile porvi rimedio. In questa prospettiva si evidenzia l'ottimismo equilibrato di S. Tommaso che sembra voler evitare l'eccessivo pessimismo anche ai suoi discepoli o lettori.16

In cinque articoli sono raccolte le riflessioni che S. Tommaso propone come possibili indicazioni di rimedi alla tristezza. La prima indicazione è di ordine generale, le altre quattro sono più specifiche e si possono raggruppare sotto due distinte classi fondamentali: rimedi di ordine prettamente psico-fisiologico e rimedi di ordine spirituale.

In modo generico ogni piacere mitiga qualsiasi tristezza (a. 1). Quest'ultima, infatti, è una specie di fatica dell'inclinazione al bene in quanto ostacolata dal male; il piacere invece è una sorta di quiete della medesima inclinazione nel possesso del bene e perciò è, in certo modo, ristoro a quella fatica innaturale.

Dal punto di vista delle disposizioni soggettive, qualsiasi tristezza può essere mitigata da qualsiasi piacere, cioè da un piacere di qualsiasi ordine (ad I): il piacere infatti agisce assorbendo l'attenzione e distogliendo o distraendo l'animo dal motivo del dolore.

In questo modo, per es., l'ascolto di una bella musica, il vedere cose belle, il cantare ecc. sono motivo di letizia anche dello spirito, pur appartenendo all'ordine dell'esercizio fisico, così come del resto si possono dare gioie spirituali che sanno mitigare il dolore fisico (per es. una grave fatica o sofferenza fisica viene in qualche modo alleviata dal motivo sacrificale di un'offerta a Dio per le persone che si amano di più).

") Cfr. P. lumbreras, El dolor en Sto. Tomasy en los clasicos, in «Angelicum» 29 (1952), p. 341. È interessante notare il fatto che S. Tommaso, trattando delle undici passioni in particolare, consacri solo alla tristezza ben cinque articoli, comprendendo anche il tema dei rimedi che stiamo per esaminare.

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La. passio tristitiae secondo S. Tommaso

In modo più specifico o in dettaglio, S. Tommaso considera appunto quattro rimedi.

Nell'ordine psico-fisiologico abbiamo il pianto, come rimedio proprio e diretto, il sonno e i bagni come rimedi indiretti.

Il pianto (a. 2) è il rimedio più appropriato e diretto per la tristezza, in quanto è il suo effetto conveniente.17 L'operazione che è conveniente alle condizioni o allo stato del soggetto è infatti ad esso connaturale e dunque dilettevole: cosi è il pianto per chi è triste. Tutto ciò che arreca diletto mitiga la tristezza.

D'altra parte, un'eccessiva chiusura introspettiva, concentrata sul male che affligge, è più dolorosa rispetto alla possibilità di un'effusione esterna. L'attenzione psicologica - in questo secondo caso - viene in qualche modo smorzata rispetto all'eccessiva concentrazione, per es. con il parlare, oppure proprio con il semplice pianto: quasi ci si scarica del peso della tristezza e se ne è alleviati.

Il sonno e i bagni (a. 5) sono rimedi mediati o indiretti della tristezza perché agiscono immediatamente sul corpo del soggetto.

La buona disposizione fisica, che avvertita sensibilmente desta diletto (ad 1), consiste in un fondamentale moto vitale connaturale alla corporeità dell'uomo; moto vitale che viene oppresso dalla tristezza e alimentato connaturalmente dal riposo equilibratore, dai bagni e da altri esercizi ginnico-sportivi, o anche semplicemente turistici.

Nell'ordine spirituale si possono collocare gli altri due rimèdi considerati da S. Tommaso: la. compassione delle persone amiche e la

contemplazione. •• • • '

La compassione degli amici (a. 3) appartiene all'ambito dei rimedi esterni, coinvolgendo, seppur spiritualmente, gli altri e la loro attività.

La compassione delle persóne amiche ci è di grande conforto e consolazione per due ragioni. Da una parte, infatti, il compatire, cioè il soffrire con chi soffre, la solidarietà nel dolore, è in qualche modo avvertito spiritualmente come una condivisione del medesimo peso, il quale risulta così meno gravoso.

17) La relazione tra il soggetto triste e il male che lo affligge è evidentemente di sconvenienza; la relazione invece che lega l'effetto della tristezza - come è appunto il pianto - e il soggetto triste è di convenienza; cfr. caietanus, In S. Th., I-II, 38, 2, ad 2 et ad 3.

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parte terza

D'altra parte, la compassione è effetto e segno dell'amore. Il sentirsi amati è fonte di gioia, perché ci fa percepire un bene che in qualche modo è in noi, e siamo spinti a riamare la bontà e l'amore altrui con naturale diletto.18

La contemplazione (a. 4) infine, anche se appartiene a un ordine disomogeneo a quello della passionalità, è tuttavia un valido rimedio d'ordine interiore. , ;

Anzitutto alla contemplazione è legato il diletto più alto, perché essa riguarda l'esercizio fine a se stesso della facoltà più nobile e specifica della creatura razionale rispetto a ciò che è più degno di considerazione.19

La contemplazione congiunge per sé al bene connaturale all'intelletto, che è il vero, e da questo punto di vista muove perciò l'affettività: così il sapersi conoscente, in qualsiasi genere di materia, reca diletto, e questo è tanto più intenso quanto più forte è l'amore che si nutre per la scienza.20

D'altra parte, se è vero che si può dare una tristezza obiettiva contraria alla contemplazione, cioè in ragione dell'oggetto o della materia considerata (per es. meditare sul male, sulla sofferenza ecc.), tuttavia non esiste per se o direttamente una tristezza che ostacoli il piacere dell'atto contemplativo, dal punto di vista del soggetto contemplante. Nella contemplazione ci si compiace del contemplare in quanto tale: è il gusto del contemplare per il contemplare, nel quale l'oggetto non ha un vero e proprio contrario, perché nel conoscere le nozioni che rappresentano i contrari non si da contrasto ma coimplicazione.21

Solo indirettamente (o per accidens) si può affiancare una forma di tristezza alla contemplazione, ma che non la può scalfire direttamente e intrinsecamente. Tale tristezza, infatti, riguarda l'affaticamento degli organi corporei sensoriali che in diversi modi devono amministrare il materiale sensibile che è punto di partenza e di appoggio per la considerazione intellettiva dell'uomo.22 Ciò significa che questa tristezza

18) Cfr. I-II, 32, 5. Dal punto di vista della compassione e del consolare si evidenzia l'importanza e, nel contempo, la profondità del mistero che circonda la passione della tristezza. Proprio una delle opere di misericordia spirituale la riguarda: «consolare gli afflitti». Nell'ambito dei difetti della passionalità o dell'affettività, la tristezza rappresenta in qualche modo il livello di intensità più elevato. Cfr. II-II, 32, 2.

19) Cfr. I-II, 3, 5; 31, 5; II-II, 180, 7.

20) Cfr. caietanus, In S. Th., I-II, 38, 4, ad 2.

21) Cfr. I, 14, 8.

22) Cfr. I, 84, 7.

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La passio tristitiae secondo S. Tommaso

è di genere completamente disparato rispetto al diletto della contemplazione oppure è indirettamente affine a esso, in quanto rattristarsi per l'impedimento della contemplazione è in qualche modo compiacersi della stessa.23

Anzi, sebbene l'intelletto speculativo - il quale esercita la contemplazione - non muova l'affettività dal punto di vista dell'oggetto considerato, tuttavia la muove dal punto di vista della stessa attività contemplativa, che è un bene connaturale all'uomo: m questo modo, per il principio della «ridondanza» delle attività di ordine superiore su quelle di ordine inferiore, il diletto contemplativo si riversa anche sulle attività sensoriali, rriitigandone il dolore.

Conclusione

Dalla presente esposizione del pensiero di S. Tommaso a proposito della passio tristitiae emerge, con sufficiente chiarezza, l'indole unitaria dell'antropologia tomista e la complessiva articolazione dell'analisi realista di un dato antropologico. Sensibilità e spiritualità, emotività e razionalità, dinamismi psico-fisiologici e valori morali si compenetrano prospetticamente in un quadro critico di indiscutibile pregio.

E importante rilevare che, proprio in un tale quadro, la passione della tristezza non viene tratteggiata con lineamenti assolutamente negativi. Esistono circostanze psicologiche e morali nelle quali essa ha un valore nettamente positivo.

Vorremmo così osservare come una moderata inclinazione malinconica faciliti un'introspezione silente e profonda che sa valutare le cose secondo la loro radicazione ontologica, favorendo lo spirito metafìsico. La tristezza per il limite del bene presente e la nostalgia della sua illimitata pienezza sono appunto il segno emotivo della differenza ontologica tra l'ente per partecipazione e l'Essere per sé sussistente.

La stessa vita di fede implica una situazione esistenziale nella quale la tristezza ha un ruolo di primo piano. Nelle tribolazioni della vita i cristiani sono chiamati a essere «quasi tristes, semper autem gauden-tes» (2 Cor 6, 10).

La moderata tristezza, che accompagna il momento presente, caratterizza il luogo della prova purificatrice e perfezionatrice dell'uomo nella grazia, sotto l'azione dello Spirito Santo {Gv 15, 1-8); essa è sostenuta e alleviata dalla certezza gioiosa del premio futuro: «Beati gli afflitti, perché saranno consolati» {Mt 5, 4).

") Cfr. I-II, 35, 5 e et ad 4.

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parte terza

ARTE E MALINCONIA. PUNTI CARDINALI DI UN RAPPORTO PSICOLOGICO'

Ambientazione problematica

A prima vista, arte e malinconia sembrano termini tra i quali non si possa dare una qualche composizione. Una cosa infatti è il piano estetico e altro è l'ordine della passionalità. Diversi sono anche i rispettivi riferimenti specifici: il bello nel caso dell'arte e il male nel caso della malinconia.

Tuttavia, nella storia della cultura, l'abbinamento dei due termini non solo compare con una certa costanza, ma sembra addirittura codificato. Esperienza e teoria convergono nel rintracciare un legame certamente importante e significativo tra queste due espressioni umane.

In modo piuttosto sintetico si potrebbe dire che il rapporto tra arte e malinconia è di tipo circolare: per alcuni versi la malinconia è fonte di creatività artistica di eccezionale levatura e profondità di ispirazione; per altri versi è l'arte che si rivolge alla malinconia svolgendo una funzione terapeutica.

Nell'uno come nell'altro caso, l'arte manifesta la duplice dimensione della sua anima, il suo essere realtà di «confine» tra il sensibile e l'intelligibile, o se si preferisce tra il mondo visibile e il mondo invisibile: essa è segno di una genialità che sembra sorpassare le condizioni normali dell'umano, ma per far questo si immerge nella pura dimensione della materialità e della sensibilità; sublimando le energie e le tensioni più profonde della stessa sensibilità, si affaccia in modo mi-

» In «Sacra Doctrina» 2 (1991).

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Arte e malinconia

sterioso agli spazi di ciò che è superlativo, assoluto e perciò fonte di liberazione.

In questa breve indagine vorremmo evidenziare questa duplice portata del fenomeno arte, precisamente in riferimento alla condizione emotivo-passionale della malinconia. Prima consideriamo l'aspetto per così dire creativo e ispiratore della malinconia; poi prenderemo in esame l'aspetto in certo senso terapeutico dell'arte in riferimento alla malinconia.

A) Malinconia e genialità

1. il CONCETTO DI MALINCONIA E LE SUE INTERPRETAZIONI

La tristezza o malinconia, nei suoi diversi moduli espressivi, è una passione dell'anima umana che ha sempre attratto l'interesse di psicologi, filosofi, letterati e anche maestri di spiritualità.

Da un punto di vista tecnico essa è descrivibile come un moto dell'animo umano a livello sensitivo, che si innesta nella tendenza al piacere sensibile che consegue alla percezione o rappresentazione del male fisico presente.' Essa è il corrispondente sul piano dell'interiorità, sia emotiva che spirituale, del dolore fisico esterno.

Se il termine tristezza indica propriamente questo dinamismo passionale, il termine malinconia invece sembra più adeguato a descrivere la situazione temperamentale di un soggetto nel quale tale moto passionale ha una significativa prevalenza.

Ma tanto grande è il fascino che circonda il; mistero di questo fondamentale stato emotivo-psicologico che nel corso della istoria ha subito diverse interpretazioni e valutazioni.

Nella Sacra Scrittura si racconta degli stati di depressione di Saul alleviati dalla musica di Davide.2 ,

Aristotele notò una certa connessione tra il temperamento malinconico e la genialità nell'ambito artistico-scientifico: tutti gli uomini che hanno dimostrato una certa eccellenza nel campo della filosofia,

') Cfr. G. barzaghi o. p.. La «passio tristitiae» secondo S. Tommaso. Un esempio di analisi realista, in «Sacra Doctrina» 1 (1991), pp. 56-71 e in questo volume, pp. 171-184.

2) Cfr. 1 Sam 16, 23.

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parte terza

della politica, della poesia e dell'arte in generale appartengono a quella classe temperamentale nella quale prevale l'umore malinconico. Ma se il malinconico è capace di tali altezze, egli può anche essere soggetto ad alterazioni depressive vicine alla pazzia.3

Ippocrate, il grande medico del V sec. a. C., fu il teorico della divisione in quattro umori fondamentali delle sostanze fluide che compongono il corpo umano: sangue, flegma, bile gialla e bile nera. Al prevalere della bile nera corrisponderebbe il temperamento malinconico, così come al sangue il sanguigno, al flegma il flemmatico e alla bile gialla il collerico.4 La patologia nascerebbe appunto dall'eccedenza dell'una o dell'altra sostanza, mentre la salute dipenderebbe dal loro armonico equilibrio.

Questa teoria della patologia umorale passò al Medioevo e al Rinascimento attraverso l'opera del medico Galeno (II sec. d. C.).

Nel Medioevo, il temperamento malinconico non godette di grande stima, anzi la sua prossimità all'accidia (vizio capitale) lo rese oggetto di valutazioni fortemente negative. Così anche nel periodo della Controriforma il giudizio fu veramente negativo: S. Teresa d'Avila vide nella malinconia uno strumento del demonio.5

Nel Rinascimento, invece, come anche nell'età moderna, malinconia, pazzia e genialità furono pareggiate in un connubio che divenne per i secoli successivi l'emblema di ogni personalità artistica di una certa levatura.6 ' ;

L'idea rinascimentale detl'«artista pazzo» o il legame romantico di «genio e sregolatezza», al di là di una semplice vox populi per la quale l'artista è sempre «matto»,'folle, stravagante, eccentrico; venne teorizzata sulla base dello stesso pensiero classico.

Due furono gli influssi fondamentali: quello platonico e quello se-necano - anche se per il secondo si trattò di un travisamento. A Seneca risalirebbe la tradizione che collega la genialità e la pazzia come malattia mentale. Ma il detto dell'autore latino - tanto spesso citato - :

«Nullum magnum ingenium sine mixtura dementiae fuit»7 (Nessun grande ingegno fu mai senza mistura di pazzia), debitamente conte-

3) Cfr. aristotele, Problemi, 30, 1.

4) Per la descrizione dei temperamenti cfr. le senne, Trattato di caratterologia, Roma 1960.

5) Cfr. S. teresa, Fondazioni, e. 7.

6) Cfr. panofski-saxl, Durers «Melancholia» I, Leipzig-Berlin 1932; R. kli-banski, E. panofski, F. saxl, Saturn and Melancholy, London 1964.

7) seneca, De tranquillitate animi, 17, 10-12.

180

Arte e malinconia.

stualizzato, rimanda alla visione platonica del fuoco dell'ispirazione divina.8

Nella tradizione platonica, infatti, la pazzia che sembra caratterizzare l'autore ispirato non è quella «cllnica», ma quella «creativa». Il pensatore greco si riferisce a quella mania o sacra follia dell'entusiasmo e dell'ispirazione dalla quale sono presi poeti e veggenti.

A dire il vero. Plafone non aveva un'opinione favorevole all'espressione artistica - è assai nota la sua condanna dell'arte formulata nella Repubblica - perché fonte di illusione e di erroneità nel campo della conoscenza. Tuttavia non si deve dimenticare un aspetto importante della dottrina estetica di Fiatone: l'idea del bello è l'unica realtà del mondo intelligibile che riesce a comunicarsi con una certa vivacità al sensibile e suscitare quindi un'attrazione verso il divino in modo misterioso ma irresistibile.9

Marsilio Ficino, grande filosofo umanista e commentatore dei Dialoghi platonici, operò una conciliazione tra le idee di Fiatone e quelle di Aristotele: egli sostenne che la malinconia dei grandi spiriti non era altro che una «metonimia» della mania entusiastica di cui parlava Fiatone. Così il Rinascimento accolse la conclusione del Ficino:

«solo il temperamento malinconico era capace dell'entusiasmo creativo descritto da Fiatone».10

Il Ficino, in perfetta linea con lo spirito del tempo, operò anche un collegamento della sua tesi con teorie astrologiche. L'astrologia vedeva una connessione tra pianeti, costellazioni e le qualità e i destini dell'uomo sulla terra. Così - per es. - il pianeta rossiccio al quale veniva attribuito il nome di Marte (il dio della guerra) influenzava tutti coloro che erano nati sotto il suo dominio: tali uomini sarebbero stati collerici e predestinati a essere soldati. Il pianeta più veloce nei suoi movimenti era chiamato Mercurio, come il lesto messaggero degli dei olimpici: sotto il suo influsso sarebbero nati gli uomini più industriosi, dediti al commercio, alle arti, allo studio. Ebbene, nel Rinascimento il patrono degli artisti e degli studiosi non fu più Mercurio, ma Saturno, il dio meditabondo e solitario, e i soggetti malinconici vennero qualificati come saturnini. Tutto questo fu opera del Ficino.

8) II detto di Schopenhauer secondo il quale «il genio è più prossimo alla pazzia dell'intelligenza media» è un tipico esempio di un'interpretazione decontestualizzata del detto di Seneca. Cfr. R. e M. wittkower, Nati sotto Saturno, tr. it. Torino 1968, p. 113. -

9) Si veda al riguardo l'erotica platonica esposta nel Fedro.

10) R. e M. wittkower, op. cit., p. 117.

181

parte terza 2. le INDICAZIONI DELL'ESPERIENZA

Se si considerano le opinioni degli psicologi e degli psichiatri a riguardo del rapporto malinconia-follia-genialità, si riscontrano pareri assai discordi. Da un lato vi sono i sostenitori della connessione stretta," dall'altro gli oppositori, che vedono nel gemo in qualche modo il culmine dell'equilibrio e della perfezione morale e intellettuale, mentre la psicosi non è creativa di nulla.12 . ,

E dunque spontaneo ricondurre tale rapporto a un semplice assemblaggio di ordine culturale in qualche modo ormai assurto a mito;

ma non bisogna neppure dimenticare che il mito stesso ha sempre una funzione rappresentativa, intensificatrice di un qualche dato di fatto. Così è anche per il rapporto tra genialità - o comunque eccellenza nell'ordine artistico e intellettuale e malinconia. Evidentemente non si tratta di una relazione necessaria, di stretta dipendenza causale - per così dire -, ma di semplice disposizione.

Un'indole pensosa, meditativo-contemplativa, è in un certo senso l'aspetto temperamentale e materiale richiesto, quasi a modo di condizione ad melius esse, dello stesso spirito metafisico, che ha poi diverse modalità espressive: teoretiche ed estetiche. Il sapere metafisico, infatti, (intendendo con questo termine una conoscenza importante della struttura globale e del senso profondo delle cose) unisce in sé con equilibrio il rigore inquisitivo della ricerca e la profondità dell'interesse. ;. .

E un sapere meditativo, animato dalla véra curiosità, cioè dalla ricerca del sapere per il sapere e non del sapere per «aver-saputo».13 E un sapere contemplativo, cioè interessato alla profondità del contenuto, il che è sempre accompagnato da un invincibile stupore ammirativo.^ • • : :

Ebbene, tale indole è riscontrabile principalmente in un soggetto malinconico, caratterizzato appunto da una certa introversione silente (meditativo), moderatamente malinconica (contemplativo^ tristezza

") Moreau, Lombroso, Moebius.

12) Pelman, Frankl. Cfr. R. e M. wittk.otor, op. cit., pp. 113-114.

") Cfr. M. heidegger, Essere e tempo, tr. it. Torino 1970, § 36.

H) «Prima et maxima contemplatio est admiratio maiestatis», S. bernardq, De

Consideratione, 5, 14; eh. S. tommaso D'Ao., S. Th., I-II, 41, 4, ad 5; II-II, 180, 3,

ad 3.

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Arte e malinconia

per il limite del bene presente e nostalgia della sua illimitata pienezza.15

Al di là di questa valutazione, più frutto di esperienza che di rigorosa analisi teorica, non pare si possa effettivamente e onestamente andare.

Anche la casistica, che solitamente viene elencata a testimonianza dell'abbinamento in questione - casistica che già sul piano dei termini implicati è evidentemente equivoca per le variazioni semantiche culturalmente o ambientalmente determinate -, è più una rassegna oggetti-vamente suggestiva che un vero e proprio argomento.

E così Dùrer fu definito da Melantone come Melancholicus, perfèttamente raffigurato dalla sua incisione dal titolo Melancholia I: un angelo meditabondo, circondato da strumenti di precisione geometrica e di un valore profondamente allegorico.16

La malinconicità di Michelangelo fu addirittura oggetto di riflessione dello stesso artista che la immortalò in questo sonetto autobiografico: «La mia allegrez'è maninconia/ E '1 mio riposo son questi disagi».17

Lo stesso Raffaello ci offre una sua interpretazione della malinconia di Michelangelo, dipingendolo raccolto in meditazioni solitàrie nella sua Scuola d'Atene, secondo i canoni iconografici della Malinconia.18

Autori come Ugo Van der Goes, Annibale Carracci, il Mastelletta sono oggetto di descrizioni che mescolano l'argomento «topico» e la vera e propria patologia,19 e la loro considerazione ci porterebbe troppo lontano dall'assunto.

Ciò che qui conta rilevare è che un animo moderatamente malinconico - e quindi non patologicamente squalificato - è in una condizione privilegiata quanto all'intuitività e al rigore che devono guidare l'espressione artistica.

") Un esempio estetico di questo si può trovare - a nostro parere - nel contrappunto XVIII de L'arte della fuga di J. S. Bach: una fuga incompiuta o tronca (casualmente o volontariamente tale?), il cui terzo soggetto inizia con le note che nella nomen» datura musicale tedesca formano il nome bach, e che evoca un anelito metafisico all'infinito, per cui si autotrascende.

16) Cfr. panofski-saxl, Durer's «Melancholia» I, cit.

17) Cit. in wittkower, op. cit., p. 38.

18) Cfr. redig de campos, Raffaello e Michelangelo, Roma 1946. ") Cfr. wittkower, op. cit., pp. 123-133.

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parte terza B) Arte e tristezza

1. la FUNZIONE CATARTICA DELL'ARTE

«Secondo noi la musica non va praticata per un unico tipo di beneficio che da essa può derivare, ma per usi molteplici, perché può servire per l'educazione, per procurare la catarsi ... e in terzo luogo per il riposo, il sollevamento dell'animo e la sospensione dalle fatiche».20

Così si esprime Aristotele nell'ottavo libro della Politica, descrivendo gli effetti che la musica ottiene sull'animo dell'ascoltatore. Tra di essi quello che va sottolineato, in relazione al nostro tema, è indicato dal termine catarsi.11 Con questo termine Aristotele vuole indicare la purificazione che l'opera d'arte compie nello spirito di colui che la contempla. , , .

Ma in che cosa consiste questa purificazione e qua! è la ragione del potere catartico dell'arte?

Nel libro della Poetica, Aristotele definendo la tragedia ne rileva l'effetto di sollevare e purificare l'animo dalle passioni.22 Gli studiosi hanno messo in evidenza l'ambiguità dell'espressione aristotelica. Essa ha una caratterizzazione di ordine morale, oppure di tipo semplicemente fisiologico?23 E una purificazione delle passioni o una purificazione dalle passioni?

20) aristotele, Politica, 8, 7, 1341 b 32 (tr. it. A. Viano).

21) II termine greco kàtharsis significa appunto purificazione. Nell'uso classico vengono distinti ben tré livelli di applicazione. 1) A livello magico-religioso la k. consiste nella liberazione dal male, inteso come impurità, attraverso la partecipazione ai culti misterici che consentono di ottenere la salvezza (si vedano al riguardo i culti orfici dell'antica Grecia); 2) a livello filosofico-razionale la k. è di ordine puramente intellettivo:

il sapere filosofìco è la vera purificazione che introduce alla felicità (così Fiatone nel Fedone 69, a-b); 3) a livello poetico-estetico, la k. è la purificazione prodotta dall'arte e si colloca su un piano evidentemente emotivo-passionale (è questo il livello considerato da Aristotele); cfr. il termine Catarsi in G. reale, Storia della filosofia antica, Milano 1980, V (Lessico), pp. 45-46. Anche nel periodo moderno la catarsi estetica è stata teorizzata da diverse angolature prospettiche e con differenti interpretaziom. 1) La catarsi artistica come liberazione dal sensibile verso la pura razionalità è l'ideale estetico di Schiller. 2) La catarsi artistica come immersione metafisica e contatto con l'assoluta in-seità delle cose è la proposta del misticismo schopenhaueriano. 3) La sublimazione degli istinti è la versione psicanalitica della catarsi artistica. Cfr. G. flores D'ARCAR, Catarsi, in Enciclopedia filosofica, Firenze 1968.

n) Cfr. aristotele, Poetica, 6, 1449 b 24-28.

23) Cfr. W. J. verdenius, Kàtharsis tòn pathemàton, in AA. W., Autour i'Ari-state, Louvain 1955, pp. 367-373.

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Arte e malinconia

In altri termini: si tratta di una sublimazione delle passioni per eliminazione di ciò che in esse c'è di negativo in senso morale, oppure una rimozione delle passioni stesse in senso fisiologico?

A giudizio di G. Reale, la catarsi aristotelica non può essere ridotta totalmente a questi due estremi interpretativi. In certo modo sarebbe possibile che «Aristotele intravvedesse in quella piacevole liberazione operata dall'arte qualcosa di analogo a quello che noi oggi chiamiamo "piacere estetico"».24 E in effetti, se si prende in considerazione lo sviluppo contestuale dell'affermazione aristotelica della Politica - sopra riportata -, si nota come il filosofo cerchi di operare una certa distinzione tra la catarsi e i due piani menzionati.

Una cosa è la funzione pedagogica dell'arte, altra cosa quella fisiologica, come il sollevamento dell'animo, altra ancora è la funzione catartica.

«Da tutte queste considerazioni evidentemente risulta che bisogna far uso di tutte le armonie, ma non di tutte allo stesso modo, impiegando per l'educazione quelle che hanno un maggior contenuto morale, per l'ascolto di musiche eseguite da altri quelle che inclinano all'azione o ispirano la commozione. E queste emozioni come pietà, paura, entusiasmo, che in alcuni hanno una forte risonanza, si manifestano però in tutti, sebbene in alcuni di più e in altri di meno. E tuttavia vediamo che quando alcuni, che sono fortemente scossi da esse, odono canti sacri che impressionano l'anima, allora si trovano nelle condizioni di chi è stato risanato o purificato. Ea stessa cosa vale necessariamente per i sentimenti di pietà, di paura e in genere per tutti i sentimenti e gli affetti di cui abbiamo parlato, che possono prodursi in chiunque per quel tanto per cui ciascuno ne ha bisogno: perché tutti possono provare una purificazione e un piacevole alleggerimento. Analogamente, le musiche particolarmente adatte a produrre purificazione danno agli uomini una innocente gioia».25

D'altra parte però non si deve neppure trascurare il fatto che comunque le passioni non sono per sé contrarie alle virtù morali nella concezione aristotelica. Esse sono infatti la materia che riceve la pro-

24) G. reale, Storia della filosofia antica, cit., II, p. 452.

25) aristotele, Politica, 8, 8, 1341 b 35-1342 a 16 (tr. A. Viano). La stessa distinzióne si può rintracciare anche in questo altro passo: «II flauto non è strumento che favorisca le qualità morali, ma suscita piuttosto emozioni sfrenate, tanto che lo si deve usare soltanto in quelle occasioni in cui l'ascolto di esso produce catarsi più che accrescimento di sapere», Politica, 8, 6, 1341 a 21-24 (tr. A. Viano).

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parte terza

pria informazione dalla razionalizzazione intrinseca apportata dalle virtù morali.

In questo senso si può, anche rintracciare una dimensione morale di questa, purificazione dei sentimenti: nella passione razionalmente purificata dall'esperienza estetica rifulge quella universalità e, dignità evocatrice della virtù.26

E proprio in questa dimensione di universalità, in certo modo concretizzata o sensibilmente mediata, che si radica il potere terapeutico dell'arte. . ,

Per Aristotele l'arte non è semplicemente l'imitazione di cose reali, ma comprende in sé il possibile e in questo senso supera la pura dimensione empirica.

Mentre lo storico descrive le cose accadute,il poeta descrive le cose che possono accadere (cioè le cose possibili), «secondo le leggi della verisimiglianza o della necessità».27 In qualche modo la poesia rappresenta l'universale nel particolare, attraverso una logica interna, una necessità che rendono verosimili le cose narrate.

Per questo motivo la poesia partecipa del carattere della filosofia, che si occupa dell'universale. «E proprio in questo sollevare la cosa all'universale che risiede il valore dell'arte e la sua funzione chiarificatri-ce e purificatrice».28

Ebbene, l'arte come tale - anche se non consta che Aristotele abbia esteso o applicato il suo concetto di catarsi anche alle arti figurative -, in forza della sua simmetria, è generatrice di purificazione.29

Si può anche osservare che l'effetto catartico dell'arte si radica certamente nel potere universalizzante dell'espressione artistica, ma non va trascurato neppure il meccanismo per così dire riflessivo dello strumento estetico. L'arte in qualche modo purifica le passioni in quanto sostituisce all'oggetto dell'emozione l'emozione stessa: essa fa riflettere l'emozione su se stessa.

Se la passione si dirige immediatamente alla cosa o alla persona che suscitano amore o odio, timore o speranza, gioia 9 tristezza, l'arte pilota con la sua razionalità concreta (insieme dì eventi collegati tra

26) Cfr. C. mazzantini, L'estetica nel pensiero classico, in Grande antologia filo-sofica, Milano 1970, II, p. 187. , , ...-. . -, • ,

27) aristotele, Poetica, 7, 1451 a-b (tr. M. Valgimigli). . :

2S) U. spirito, Estetica, in Enciclopedia universale dell'drtei Venezia-Roma 1963,

V,,col. 72. . , , ., ,. ^ !

29) Cfr. B. gentili, A. plebe, La critica dell'arte nel mondo occidentale, in Encicl.

univ. dell'arte, cit., IV, col. 1134. . . ,

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Arte e malinconia

loro in modo logico e verosimile — come nella tragedia; oppure con suoni aritmeticamente armonizzati ed evocativi sul piano dell'immaginazione - come nella musica) la passione verso la sua stessa essenza rappresentandola, oggettivandola.30

Evidentemente, anche nel caso della tristezza, la purificazione può verificarsi attraverso il piacere estetico.

Tra i vari rimedi che S. Tommaso d'Aquino propone come terapia per la tristezza - oltre al pianto, il sonno e i bagni - si trovano la compassione degli amici e la contemplazione.^

La compassione, come solidarietà nel dolore, è in un certo senso una condivisione del medesimo peso, il quale risulta perciò meno gravoso; come segno dell'amore che altri nutrono per noi, ci fa avvertire un bene che in qualche modo è in noi, il che è fonte di gioia.32

Ma non soltanto la compassione altrui allevia la malinconia; la nostra stessa compassione può essere generatrice di quel diletto che purifica la tristezza rendendola indirettamente fonte di piacere. «Lo stesso dolore può essere indirettamente piacevole, in quanto è accompagnato dall'ammirazione, come negli spettacoli; oppure perché fa ricordare una cosa amata e fa sentire l'amore di essa, per la cui mancanza si prova dolore. Quindi, siccome l'amore è piacevole, anche il dolore e tutte le altre cose che dall'amore derivano sono piacevoli, in quanto in essi si percepisce l'amore. E per questo motivo può essere piacevole anche il dolore negli spettacoli, giacché in esso si fa sentire un qualche amore concepito verso i personaggi ricordati».33

Dal punto di vista dell'oggetto, la tristezza può essere dunque fonte di piacere per l'ammirazione che accompagna la conoscenza della sofferenza: l'ammirazione infatti è un desiderio unito alla speranza, che sempre è motivo di gioia per la certezza della reale presenza del bene.34

La rappresentazione tragica, dunque, - secondo S. Tommaso — svolge in questo modo la sua funzione catartica. Si può dire così che l'esperienza estetica è una cura della passione attraverso lo stesso materiale passionale razionalmente controllato, o meglio ancora subli-

30) Cfr. N. abbagnano, Aristotele, in id., Storia della filosofia, Torino 1982, I, pp. 177-179.

") Cfr. S. Th., I-II, 38, 3-4.

32) Cfr. G. barzaghi, La «passio tristitiae»..., cit. p. 68 e in questo volume. . 33) S. Th., I-II, 35, 3, ad 2.

34) Cfr. S. Th., I-II, 32, 3, ad 3. G. barzaghi, La «passio tristitiae»..., cit., pp. 57-58 e in questo volume.

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parte terza

mato : la terapia per la tristezza, in qualche caso, può essere la stessa tristezza come occasione dell'amore, o più precisamente la profondità dell'amore scoperta da una simpatia malinconica.

2. il BELLO E LA CONTEMPLAZIONE

Come abbiamo detto, anche la contemplazione è, secondo S. Tommaso, uno dei rimedi per la tristezza, perché il piacere che l'accompagna, in qualche misura, ridonda dallo spirito sulla sensibilità.35 ' '' ;

E siccome la contemplazione ha un orientamento radicalmente estetico, per mezzo di essa si può sviluppare la funzione catartica dell'arte nei confronti della tristezza.

Per contemplazione si intende un semplice compiacimento conoscitivo rispetto a un oggetto immediatamente dato, cioè senza ispezione discorsiva: è un indugiare spontaneo e senza tedio nella considerazione di ciò che si percepisce come conveniente.

Per questo motivo non c'è contemplazione che non abbia per oggetto il bello, o, se si vuole, l'aspetto per il quale le cose sono belle. La bellezza, infatti, è il segno per eccellenza della pura gratuità, e la contemplazione non è una ricerca dell'utile, un giudizio di valore sul bene onestamente conseguibile, o il desiderio del piacevole come tale, ma il puro compiacimento nel riconoscimento del bene perché è tale.

Il bello ha, per cosi dire, un'ossatura metafisica ben ancorata alla struttura del reale, tanto da esserne una proprietà trascendentale - come dicono i filosofi scolastici -: il bello è cioè una caratteristica o proprietà dell'ente in quanto ente, è un modo speciale di significare l'ente, e come tale è coestensivo a ogni cosa.36

Il bello ha tré condizioni: integrità, debita proporzione e chiarezza.

^'integrità è sinonimo di perfezione, la debita proporzione è la consonanza che lega le diverse parti di un tutto tra loro, per riferimento a ciò che in esso è primo e principale (è la razionalità del bello);

la chiarezza (claritas) è il livello formale del bello. Il pulchrum si distingue dagli altri trascendentali (ente, uno, cosa, vero, bene) proprio perché è il riconoscimento chiaro della perfezione e della bontà dell'ente.

35) Cfr. S. Th:, I-II, 38, 4.

36) G. bakzaghi, Metafisica della cultura cristiana, Bologna 1990, pp. 189-190.

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Arte e malinconia

«Belle sono quelle cose che viste piacciono» dice S. Tommaso;37 il bello è lo stesso bene in quanto presente a una facoltà conoscitiva e non al desiderio. Proprio per questo esso implica una razionalità intrinseca: quella debita proporzione che è l'ordine oggettivo apprezzato dalla facoltà dell'ordine che è l'intelligenza.

Dice J. Maritain: «Se la bellezza da diletto ai sensi, è perché essa è essenzialmente una certa eccellenza o perfezione nella proporzione delle cose all'intelligenza. Da ciò le tré condizioni che S. Tommaso le attribuiva: integrità, perché l'intelligenza ama l'essere, proporzione, perché l'intelligenza ama l'ordine e ama l'unità, infine, e soprattutto, splendore o chiarità, perché l'intelligenza ama la luce e l'intelligibilità».38

Così S. Tommaso insegna che nella «vita contemplativa, che consiste nell'atto della ragione, la bellezza si trova essenzialmente e di per sé», perché la bellezza consiste in una certa chiarezza e debita proporzione.39

Ebbene, il bello connaturale all'uomo è quello che attrae l'intelligenza attraverso i sensi. E l'arte, l'arte del bello, plasma la materia sensibile per infondervi quella forma di integrità, proporzione e chiarezza che causa la gioia dello spirito.

Anche le proprietà dell'arte bella sono la gratuità e il puro diletto, perché la bellezza ha natura di fine e non di mezzo.

Così, secondo i suoi diversi livelli (liberale e meccanico),40 l'arte bella o del bello - come i suoi prodotti -, esprime nelle diverse mate-

37) S. Th, I, 5, 4 ad 1.

3S) J. maritain, Arte e Scolastica, tr. it. Broscia 1980, p. 25.

39) S. Th., II-II, 180, 2, ad 3.

w) Le arti belle o del bello si dicono liberali perche richiedono il semplice lavoro dell'anima e sono finalizzate al puro diletto; esse si distinguono dalle arti servili o meccaniche, le quali richiedono il lavoro del corpo, che è a servizio dell'anima, e sono finalizzate alla utilità vitale (es. medicina, ginnastica, agricoltura, zootecnia, industria, arti-gianato ecc.). Ma le arti liberali non si identificano semplicemente con le arti del bello. Le arti liberali sono quelle che perfezionano l'esercizio della ragione in due modi; direttamente e indirettamente.

I) In modo diretto, abbiamo le arti liberali che perfezionano intrinsecamente la ragione nel suo esercizio, oppure quelle che la perfezionano per estensione all'operazione della fantasia. A) Intrinsecamente sono arti liberali le arti scientifiche, come la logica (rispetto al rigore dell'argomentare), la grammatica (rispetto alla correttezza dell'espressione), la retorica (rispetto alla persuasività dell'argomentare), e le discipline matematiche pure, cioè {'aritmetica e la geometria (rispetto alla facilità dell'argomentare). B) Per estensione all'operazione della fantasia, abbiamo le vere arti belle.

II) Sono indirettamente arti liberali quelle che perfezionano l'esercizio della ragione rispetto alle facoltà sensitive che dispongono alla conoscenza razionale e in dipendenza da essa. A questa classe appartengono la metodologia o topica, che si riferisce in-

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parte TER2A

rie, con rigore (razionalità) e fantasia (profondità evocativa), quell'%-niversale concreto — l'opera d'arte - che è sintesi di valori spirituali e riflesso dell'assoluto.

E proprio questo contatto con l'assoluto che libera l'animo da quel gravame (tristezza) nato dall'impedimento della fruizione del bene da parte della volontà.41

In perfetto connubio e senza antagonismo, l'elemento apollineo (solarità) e quello dionisiaco (oscurità) si coallzzano in questa operazione terapeutica. . ; ,

Quanto all'elemento apollineo, abbiamo la condizione di universalità dell'opera d'arte. L'arte, quanto al concepimento, è l'estensione dell'ordine logico alla fantasia: è questa l'espressione del rigore, della

sieme alla fantasia e alla cogitativa (ragione particolare), e la mnemotecnica, che riguarda la memoria sensitiva.

Ma le arti belle si rapportano al bello connaturale all'uomo, cioè al bello di ordine sensibile, e quindi implicano una traduzione fìsica o - come si è detto - meccanica..- In questo senso si distingue tra arti belle che sono liberali per sé e meccaniche per estensione, e arti belle che sono meccaniche per sé e liberali quanto al concepimento e alla finalità.

I) L'arte bella liberale per sé e meccanica per estensione può riguardare la parola o i suoni.

A) Quanto alla parola abbiamo la poesia, che descrive appunto con parola ritmata, immaginosa, carica d'affetto e di pensiero, la vita del poeta stesso o la vita altrui. 1) Nel caso della vita dello stesso poeta abbiamo la poesia lirica. 2) Nel caso della vita di altri si possono dare: a) la.p. narrativa e b) la.p. drammatica, cioè con azione rappresentata: la tragedia (grandi passioni e grandi caratteri) e la commedia (piccole passioni e caratteri medi).

B) Quanto ai suoni, abbiamo la musica, che descrive e suscita gli affetti attraverso una disposizione ritmica, cioè simmetrica, di suoni diversi successivi (^melodia, che da il disegno del componimento) e simultanei (= armonia, che da il colore alla composizione). Dal punto di vista teorico, la musica è una scienza subalterna all'aritmetica, perché ne applica le leggi al mondo dei suoni.

II) L'arte bella meccanica per sé e liberale quanto al concepimento e alla finalità si realizza secondo la forma e la figura visiva nel colore, nella massa e nello spazio.

A) Nel colore abbiamo la. pittura e la. fotografia (dal punto di vista statico) e la cinematografia (dal punto di vista dinamico), che ritraggono il reale su superficie piana e colorata, investendolo di un aspetto ideale e emotivo.

B) Nella massa si sottodistinguono: 1) la scultura, che ne sfrutta l'aspetto statico, ritraendo la persona umana nel solido, secondo un aspetto ideale; 2) la dama, che sfrutta l'aspetto dinamico della massa, aggiungendo alla funzione della scultura la carica drammatica (azione).

C) Nello spazio si da Y architettura, che abbraccia lo spazio situandolo, cioè stabilendo il giusto ordine delle parti nel luogo.

Occorre notare che queste arti, quanto alla teoria, si subalternano alla geometria, applicandone le conclusioni e le leggi alle tré materie indicate.

41) In senso metaforico, l'anima si dice aggravata per il fatto che la volontà è impedita nel suo moto verso il bene dalla presenza di un male che l'appesantisce e le impedisce la fruizione del bene.

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Arte e malinconia

scientificità e della sistematicità (aspetto formale dello spirito artistico).

Quanto all'elemento dionisiaco, abbiamo la condizione di concretezza dell'opera d'arte. La fantasia immerge lo spirito nel particolare concreto, creando le premesse di una conoscenza per connaturalità e simpatia: è questa l'espressione dell'interesse, della problematicità, dell'ispirazione (aspetto materiale dello spirito artistico).

In questo modo, nella contemplazione estetica la passione della tristezza è purificata e non soppressa, perché diviene essa stessa strumento, quasi dispositivo, di vera liberazione: la mistica tellurico-dionisiaca della malinconia introduce, attraverso la mistica solare-apollinea della razionalità, all'accoglienza dell'umano come tale, in una specie di redenzione estetica naturale.

Conclusione

Da questo breve studio risulta in sintesi quanto segue.

1) Tra arte e malinconia si da un rapporto importante, anche se dai contorni non sempre evidenti, anzi in certo modo misteriosi, come misteriosa è la profondità dell'animo umano che presiede ad entrambe le espressioni.

2) Anche se non è possibile determinare in senso rigoroso sul piano psicologico le precise modalità dell'influsso della malinconia sulla genialità, o comunque eccellenza, dell'ispirazione artistica, tuttavia esistono delle ragioni di convenienza che mostrano la plausibilità di ciò che i classici avevano empiricamente constatato. In un certo qual modo, il temperamento malinconico è una condizione privilegiata dello spirito metafisico dell'artista.

3) E tanto profondo il legame tra situazione emotiva e espressione artistica, che la prima può ricevere, per la guarigione dei suoi eccessi, un'azione terapeutica da parte della seconda, senza essere per nulla cancellata e squalificata. Esiste una purificazione della malinconia attraverso la pura contemplazione estetica.

4) Solo in un'analisi di tipo realista, che tenga fermi tutti gli elementi che costituiscono l'integralità dell'umano — cioè senza sbandamenti di tipo spiritualistico o materialistico - è possibile cogliere e delineare con sufficiente pertinenza la ricchezza del rapporto psicologi-co-estetico - nel caso proposto - tra passione della tristezza e bellezza artistica.

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parte terza

E proprio nell'umile realismo filosofico di S. Tommaso d'Aquino che si possono rintracciare i princìpi fondamentali di questa indagine, perché in esso l'anima umana è vista come il confine e {'orizzonte tra il materiale e lo spirituale. «Si dice che l'anima intellettuale è quasi un certo orizzonte e confine tra le cose corporee e quelle incorporee, perché è sostanza incorporea, eppure forma del corpo».42

42) Contro Gentes, II, 68.

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LE BASI E I METODI DELLA PERSUASIONE.

TRA COSCIENZA MODERNA E NUOVA EVANGELIZZAZIONE»

Aspetto teorico fondativo

la COSCIENZA

Non c'è convinzione che non richieda evidenza e non c'è evidenza che non susciti convinzione; eppure i nostri convincimenti non sono sempre persuasivi e la persuasione provoca o accresce l'assenso della mente più di quanto possa a volte l'evidenza teoretica.

Per questo esistono opinioni epocali che tengon testa alla scientificità più rigorosa e anzi, non di rado, la fondano e la sostengono: così che la sensibilità, da antagonista oscura della ragione, se ne fa all'occasione culla o stimolo impellente.

E quanto più la scienza o la razionalità scientifica si approssimano per via obiettiva a ciò che è appannaggio della deliberazione e della scelta - o di ciò che in qualche modo può rientrare nel loro orizzonte -dimettono per forza o per avvedutezza il connaturale rigore, per declinarsi in ciò che è contingente o probabile con fantasia dialettica.

E questo l'alveo tipico della coscienza, cioè dell'applicazione della scienza (nel senso generale di conoscenza) all'agire.' In esso, il testificare, il sollecitare, il legare o obbligare, l'accusare, rimordere o scusare si sviluppano quasi come in una quintessenza che aleggia tra la necessità della norma, la libertà del progetto, le determinazioni dell'ente e le varianti situazionali.

La coscienza è un giudizio valutativo della ragione che esprime una «sintesi personale» fatta di esperienza, temperamento, convincimenti critici e soprattutto persuasioni radicali.

*) In «Divus Thomas» 2 (1992). ') Cfr. S. tommaso d'aquino, 5. Th., I,. 79, 13.

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parte terza

Come tale, essa non rappresenta una facoltà, ma è quasi il risultato attuale e sintetico dell'attività di diverse facoltà, unite in un giudizio assiologico.

La coscienza morale è propriamente un giudizio valutativo circa il bene o il male in concreto, la bontà o malizia di un atto.2 La diversa intensità e valenza di tale giudizio da individuo a individuo e, nello stesso individuo, secondo le tappe della sua evoluzione psicologica, fatta di forza temperamentale, educazione, consuetudini ambientali, esperienza storica, intense intuizioni spirituali e violente emozioni, è dovuta al condensamento vitale di tali diverse istanze.

E perciò evidente che la coscienza morale è in qualche modo il cuore della cultura di una persona, perché è proprio la cultura, nel senso passivo o possessivo del termine,3 che realizza formalmente detto condensamento.

La cultura è il complesso degli habitus, cioè di quelle qualità della prima specie, che affinano le varie facoltà (o anche l'organismo generale dell'uomo, come habitus entitativi) che sono perfettibili nel com-

2) II giudizio di coscienza ha più le caratteristiche di una «definizione» che di una «intimazione»; è più un vedere imparziale che un comando. In questo modo, esso si distingue dal giudizio di scelta o dall'imperium prudenziale. Cfr. P. noble, La coscienza morale e le leggi del suo sviluppo morale, Torino 1926, p. 16, n. 1. Per i diversi modi con i quali viene concepita la coscienza morale, si veda la seguente letteratura: A. moli-naro-a. valsecchi, La coscienza, Bologna 1971; C. E. nelson (ed. by), Conscience. Theological and Psychological Perspective, New York 1973; L. elders, La doctrine de la conscience de S. Thomas d'Aquin, in «Revue Thomiste», 83 (1983), pp. 533-557; S. privitera, La coscienza. Temi etici nella storia, Bologna 1986; E. kaczynski, La coscienza morale nella teologia cattolica, in «Angelicum» 1 (1991), pp. 65-94.

3) Distinguiamo tré significati del termine cultura: 1) Attivo = Cultura come lavoro di coltivazione della natura umana, in vista del suo perfezionamento (causa efficiente). 2) Passivo = Cultura dal punto di vista soggettivo, cioè la perfezione stessa o lo stato di possesso dell'insieme di quelle perfezioni che è termine della cultura come azione. In questo senso, la cultura è, a un tempo, a) il risultato, il possesso ontologico di ordine qualitativo (causa formale intrinseca); b) la meta (causa finale) e e) il modello ideale dell'azione culturale (causa esemplare estrinseca o esemplare). 3) Obiettivo-strumentale = Insieme dei mezzi e degli oggetti attraverso i quali si acquista, si conserva, si manifesta, si comunica e si trasmette la perfezione umana. La concezione classica di cultura racchiude implicitamente in sé questi tré significati; la concezione moderna aggiunge la caratterizzazione sociale; la concezione dell'antropologia contemporanea si innesta nel punto di vista sociologico e assume esclusivamente il terzo di questi significati, prescindendo però dalla qualificazione assiologica che esso desume dalla presenza del termine «perfezione umana». Il significato completo e esauriente di cultura deve dunque comprendere l'integralità di questi fattori, anche se quello principale è quello passivo-soggettivo. Cfr. G. barzaghi, Metafisica della cultura cristiana, Bologna 1990.

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Le basi e i metodi della persuasione

pimento delle loro operazioni e indeterminate quanto alla diversificata varietà di queste stesse (molteplici per numero e secondo il modo).4

Ebbene, gli habitus sono la cultura umana non soltanto perché perfezionano l'uomo nella sua integralità di anima e di corpo, ma anche perché rappresentano il «tesoro» dell'attività umana, coimplicandone la duplice dimensione di tradizione e di progresso. Essi infatti si propongono, a un tempo, come sintesi della vita umana e comeprinci-.pio del suo vero progresso, sia nell'ordine individuale, che in quello sociale.

Gli habitus contengono tutta la vita umana: passata, presente e futura.5

- Rispetto al passato gli habitus acquisiti fungono da condensatori: in essi si trova condensata tutta l'attività passata perché si generano per ripetizione degli atti corrispondenti, i quali si trovano perciò condensati e accumulati in essi.

- Rispetto al presente, gli habitus sono usati attraverso la deliberazione (si usano quando si vuole), che controlla hic et nunc tutta l'attività umana in quanto tale.

- Rispetto al futuro, gli habitus attuano il progressivo perfezionamento dell'attività umana, conferendo ad essa prontezza, costanza, diletto, perché contengono sinteticamente tutta la perfettibilità dell'uomo: ad essi compete la sua vera evoluzione.6

La coscienza non è dunque semplicemente l'applicazione all'atto della scienza, ma di una scienza che ha una fisionomia culturale, nel senso precisato.

La formazione e la guida della coscienza non è dunque una pura rigorosa istruzione nozionale e neppure un'imposizione coercitiva. La disciplina razionale deve essere sempre accompagnata dalle inclinazioni emotive e dalle flessioni temperamentali di fondo, che fungono da plesso connaturalizzante.

L'intimità più segreta e psicologicamente feconda della personalità è educata attraverso un'opera di persuasione radicale, dove la pura probabilità di ciò che è interessante e profondo prevale, a volte, sul termalmente incontrovertibile.7

4) Per un esame fondativo di questa tesi e un'analisi in dettaglio del complesso culturale secondo le diverse facoltà, cfr. G. barzaghi, of. cit..

5) Cfr. S. ramirez, De habitibus in communi, Madrid 1973, I, p. 5. ") Cfr. Ibid.; G. barzaghi, Cultura y orden. Virtualidades y perspectivas delpen-samiento ramireziano, in «Ciencia Tomista», t. 118, 385 (1991), pp. 331-347.

7) Per es. si possono dare delle argomentazioni dimostrative metafisicamente incontrovertibili dell'esistenza del Dio creatore, cioè intellettualmente cogenti, ma meno persuasive di alcune esperienze esistenziali al riguardo.

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parte terza

S. Tommaso dice che il procedimento della scienza morale è razionale quanto al termine, cioè non rigorosamente risolutivo e tale da rimanere in una certa opinabilità, dovuta all'assoluta contingenza e all'infinita variabilità della materia considerata.8

Questo è l'ambito tipico della dialettica9 o dell'argomentazione probabile.

L'argomentare dialettico ha per oggetto: il contingente operabile in generale,10 come anche quei problemi che non possono avere una soluzione scientifica o dimostrativa (es. eternità del mondo);" tutte le problematiche che possono avere una soluzione dimostrativa, ma che il dialettico si accontenta di ancorare a proposizioni non immediate (o per se), perché ammesse come evidenti dalla maggior parte degli uomini, o dai più sapienti. "Si tratta di soluzioni per autorità13 o per segni probabili.14

L'argomentare dialettico procede a modo di ricerca15 e di tentativo,16 ponendo interrogativi sulle stesse premesse, giacché non assume incontrovertibilmente l'una o l'altra parte della contraddizione.'7

8) «Alio modo dicitur processus rationalis ex termino, in quo sistitur procedendo. Ultimus enim terminus ad quem rationis inquisitio perducere debet, est intellectus principiorum, in quae resolvendo iudicamus; quod quidem quando fit, non dicitur processus vel probatio naturalis, sed demonstratio. Quandoque autem inquisitio rationis usque in ultimum terminum non perducit, sed sistitur in ipsa inquisitione, quando scilicet quaerenti adhuc manet via ad utrumlibet; et hoc contingit, quando per probabi-les rationes proceditur, quae natae sunt tacere opinionem et fidem, non autem scien-tiam, sic rationalis processus distinguitur contra demonstrativum». In B. Trin. 2, 2, 1, 1. S. Tommaso precisa poi che questa modalità del processo razionale è propria della scienza morale (cfr. Ibid., ad 3).

9) II termine dialettica è semanticamente polivalente e quindi tendenzialmente equivoco. Esso può indicare {a. prova per assurdo o confutazione (Zenone-Aristotele);

l'arte del contendere (Sofisti); il dialogo ironico-maieutico (Socrate); la legge che regge il pensare e l'essere (Fiatone); la parte della logica che si occupa delle argomentazioni probabili (Aristotele); la triadicità dello sviluppo dell'essere con la legge della manenza-uscita-ritorno (Proclo) ; l'ambito della antinomicità della pura ragione (Kant) ; la teoria dell'oltrepassamento (Hegel). In questo caso assumiamo il termine secondo la valenza aristotelica di logica del probabile.

10) Cfr. S. tommaso D'Ao., S. Th.,1, 83, 1.

") Cfr. id., S. Th., I, 46, 1.

") Cfr. id., S. Th., I, 12, 7; 1 Post., 1. 31.

3) Cfr. id. De Ver., 14, 2.

4) Cfr. id. S. Th., Ili, 9, 3. ,

5) Cfr. id. S. Th., 11-11, 51, 2 e 4; I-II, 57, 6, ad 3.

6) Cfr. id. 4 M et., 1.4.

7) Cfr. id. 1 Post., 11. 5 e 21.

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Le basi e i metodi della persuasione

I princìpi assunti nell'argomentare dialettico sono estranei alla natura delle cose,18 perché appartengono comunemente al pensato in quanto pensato: sono i luoghi comuni - di cui si parlerà più avanti -19 in contrapposizione a quelli propri e dimostrativi.

D'altra parte, questo tipo di argomentazione è anche quello più adeguato all'ambiente riflessivo o di fluire spirituale tipico della coscienza. E il metodo più tipico del meditare, nel quale si sintetizzano, appunto, profondità di interesse e una certa ricerca e valutazione coinvolgenti non solo il ragionare, ma anche la sensibilità umana in tutte le sue forme: soprattutto la memoria, oltre che l'immaginazione, la cogitativa e il fascio temperamentale-passionale.20

18) Cfr. id., 1 Post., 1. 13; 4 Met., 1. 4.

") Per es. si argomenta dialetticamente secondo il luogo del genere e della specie quando dal fatto che Socrate è uomo si prova che è animale, perché ciò di cui si predica la specie si predica il genere; cfr. id., De fall., 4.

E interessante notare come nel vocabolario tecnico di S. Tommaso l'uso del termine logicus non stia a indicare la qualificazione rigorosa di un asserto o di un'argomentazione, quanto invece la genericità degli stessi in opposizione a una valutazione naturale o ontologica. Così si ha una definizione logica (definitio logica vel dialettica} se si definisce attraverso la sola forma ciò che per sé ha l'essere nella materia (per es. se si definisce la passione dell'ira come desiderio di vendetta, quando nella realtà fisica essa comporta un'alterazione fisiologica; cfr. 1 De anima, I. 2); oppure se non si giunge con la definizione ai princìpi stessi della cosa, ma ci si limita ad alcune condizioni comuni (per es. quando si definisce la sostanza come ciò che non si predica di un soggetto, ma che riceve le altre predicazioni; cfr. 7 Met., 1. 2), allora la definizione non porta alla conoscenza degli accidenti propri di una cosa (cfr. 1 De anima, 1. 1). Nella linea dell'argomentazione invece, la ragione o prova logica (ratio sive probatio logica) si oppone alla prova dimostrativa o analitica, giacché procede da princìpi comuni o probabili e non da princìpi propri. Per es. se si argomenta la superiorità della dimostrazione universale rispetto alla particolare per il fatto che ciò che è universale è più conoscibile, si da una ragione logica, basata su un medio comune a tutta la conoscenza e non proprio della conoscenza dimostrativa. Se invece si adduce come motivo il fatto che ciò che è universale, portando in sé immanente la propria passio (proprietà), ne è la causa, allora si da una ragione analitica o dimostrativa, perché riguarda propriamente la struttura tipica del sapere dimostrativo (cfr. 1 Post., 1. 38).

Un altro esempio più evidente di prova logica o dialettica si ha nel caso in cui si vo-. lesse provare che l'odio e l'amore sono nell'appetito concupiscibile, perché i contrari hanno il medesimo soggetto. Ci si trova di fronte a un argomento dialettico anche nel caso in cui si usi un medio dimostrativo contingente per concludere a ciò che è necessario, perché non si da omogeneità, e corrotto il medio cessa la ragione della conoscenza della conclusione necessaria, così che neppure precedentemente poteva essere considerata tale (cfr. 1 Post., 1. 13): per es, dimostrare l'esistenza di Dio dalla bellezza dei fiori.

20) Cfr. G. barzaghi, La meditazione, Bologna 1992.

197

parte terza

la PERSUASIONE

II persuadere, come la divinità greca che lo simboleggia (Peitho),11 è la forza argomentativa della parola che «avvince senza costringere», che «obbliga senza necessitare»:22 è il connubio di pathos e di logos che fa breccia, a modo di innovazione, negli stretti meccanismi ermeneutici della precomprensione.

Non che la persuasione si riduca a un camuffamento sofistico di ragioni personali o emotive, sotto la veste argomentativa;23 ma certamente nell'argomentazione persuasiva ha grande importanza la conte-stualizzazione particolare del discorso, il quale viene quindi sempre più permeato o sorretto da fattori extrateoretici.

Secondo Perelman e OIbrechts-Tyteca, si dice persuasiva «un'argomentazione che pretende di valere soltanto per un uditorio particolare», convincente invece «è quella che si ritiene possa ottenere l'adesione di ogni essere ragionevole».24

La retorica è appunto l'arte e la scienza che si occupa della persuasione: Aristotele la definisce come «la facoltà di scoprire in ogni argomento ciò che è in grado di persuadere».25

Le basi dell'argomentazione

Le basi dell'argomentazione persuasiva sono rappresentate appunto dalla precomprensione del soggetto,26 cioè dall'orizzonte di significanza all'interno del quale viene filtrata o valutata la sensatezza e la comprensibilità di un contenuto, insieme alla sua accettabilità. In questo contesto, con il termine precomprensione intendiamo rife-

21) Peitho e la dea della persuasione. Figlia di Oceano e Teti, è catalogata tra le Oceanidi (cfr. esiodo, Teogonia, 349). Essa rappresenta specialmente la persuasione d'amore e perciò è abbinata spesso ad Afrodite. Cfr. F. W. hamdorf, Griechische Kultpersonifikationen der Vorhellenistischen Zeit, Mainz 1964, pp. 63-64.

22) G. carchia, Che cosa significa "persuaderei?, in AA. W., Gli stili (fell'argo-mentazione, «Quaderni della Fondazione S. Carlo», 3 (1989), p. 39.

23) Cfr. G. dumas, Traité de psychologie, Paris 1924, II, p. 740.

24) ch. perelmann e olbrechts-tyteca, Tratte de l'argumentation. La nouvelle rhétorique, Paris 1958, tr. it. Torino 1976, I, p. 30. Con questa descrizione si intende superare la rigida opposizione kantiana soggettivo-oggettivo che distingue nella credenza la persuasione (soggettivo) dalla convinzione (oggettivo): cfr. I. kant, Critica della ragion pura, tr. it. Bari 1975, II pp. 622-623.

25) aristotele, Retorica, tr. it. Bari 1973, I, 1, 1355b, pp. 25-26.

26) Sul tema dell'ermeneutica si vedano: H. G. gadamer, Verità e metodo, ti. it. Milano 1972; L. pareyson, Verità e interpretazione, Milano 1971.

198

Le basi e i metodi della persuasione

rirci a ciò che Aristotele intende con il plesso dei mezzi argomentativi tecnici sui quali ci si deve fondare per persuadere.27

Nella precomprensione distinguiamo due livelli: uno preculturale o naturale e uno culturale.

Il livello pre-rculturale o naturale, o di senso comune, è l'ambito d,elle convinzioni. , . , .

Si tratta del primitivo livello di contatto tra l'intelligenza umana e l'ordine delle, cose, neLquale avviene la scoperta dei primi princìpi di ordine logica-ontologico: tutti radicati analiticamente nella nozione di ente,28 quanto al loro statuto teoretico, ma geneticamente connessi con l'esperienza, quanto ai termini sui quali si articolano.29

27) Ecco un breve schema espositivo circa la nozione di retorica in Aristotele.

I) La sua natura, è analoga a quella della dialettica;

A) Quanto all'oggetto: essa si occupa di ciò che è proprio di tutù gli uomini conoscere e non di una scienza specifica.

B) Quanto al\a funzione: essa elabora argomenti probabili o opinabili/vedendo i mezzi di persuasione in ciascun argomento probante (pistis) tecnico (cioè condotto con metodo e non fattualmente dato).

II) II suo metodo tipico:

A) Genericamente parlando assume due classi di mezzi persuasivi:

1) per V ambientazione condizionale del discorso retorico: a) Yethos dell'oratore:

egli deve presentarsi come saggio, onesto e benevolo per esser persuasivo; b) il pathos dell'uditorio: sono le passioni da suscitare o da sfruttare per la persuasione.

2) per la strutturazione dello stesso discorso retorico:

a) a livello formale:

— \'entimema o sillogismo retorico: espressione concisa e sintetica (massima), a modo di sillogismo tronco (si tace una premessa) che assume come princìpi i luoghi comuni (princìpi che possono essere dialetticamente applicati a diverse materie e senza proprietà).

L'esempio o induzione retorica: induzione tronca. L'esempio può essere storico o inventato, come la parabola o la favola.

b) a livello materiale con i momenti elaborativi del discorso retorico: heuresis (inventio), oikonomia (dispositio), lexis (elocutio), hypokritike (pronuntiatio). La memoria, come quinto elemento, verrà aggiunta in epoca latina.

B) In modo specifico il metodo si determina situazionalmente;

1) Nelle assemblee giudiziarie: genere giudiziario, circa il giusto e l'ingiusto nel passato, difendendo e accusando.

2) Nelle assemblee deliberative: genere deliberativo, circa l'utile e il dannoso nel futuro, consigliando e sconsigliando.

3) Nelle assemblee celebrative: genere epidittico, circa il bello e il turp'e nel presente, lodando e biasimando.

2S) Cfr. S. tommaso, C.G., II, 83; .De Ver. 1, 1; 8, 15; 11, 1 ad 12; 24, 1, ad 20;

S. Th., I, 55, 2; 1-11, 51, 1; 2 Sent.,,24, 2, 3.

—"') Cfr. id., 1 Post., 1. 30 (si veda anche la nota dell'ed. Leonina a p. 259); 4 Met., 1. 6.

199

parte terza

Questi primi princìpi di ordine speculativo (identità-non contraddizione; ragion sufficiente; causa efficiente e finale) sono, per così dire, l'intelaiatura intelligibile e perciò la chiave di lettura dell'ordine.

L'intelletto possibile riceve la sua prima determinazione perfettiva dall'abito di questi princìpi, che accompagnano ogni intelligenza in modo naturale e quindi, assolutamente parlando, pre-culturale.

Questo rapporto di spontanea immediatezza tra l'ordine e la ragione umana ha un primo diretto sbocco in quella originaria sapienza e cultura irriflessa, sintetizzata nel senso comune. Con questa espressione intendiamo quel complesso di certezze spontanee dell'intelligenza umana, comuni a tutti gli uomini,30 e che costituiscono in modo confuso una prima risposta alle principali problematiche metafisiche, morali e religiose.31

Si tratta di uno stadio culturale primitivo, in quanto nella sua naturalezza ha un che di istintivo.32 La stessa cosa vale per l'ambito pratico, termalmente racchiuso nella sinderesi, o abito dei primi princìpi morali, o abito della coscienza.

Dialetticamente parlando, a questo livello appartengono i quadri argomentativi o luoghi comuni (topoi) universali, o schemi all'interno dei quali sono virtualmente contenute le argomentazioni che possono essere sviluppate comunemente - appunto - in qualsiasi materia data.

Si tratta dei serbatoi da cui trarre (inventio) le premesse per i sillogismi retorici. A questo livello, la loro applicazione è ancora generale, pre-critica o pre-filosofica: questi princìpi possono avere cioè un'applicazione generale e quindi dialettica - come appunto nel senso comune -, oppure specifica e di riflessione, rispetto all'ente come tale, e quindi di carattere filosofico e metafisico rigoroso.

Dal punto di vista della catalogaziene, nella Retorica Aristotele elenca ventotto luoghi per gli entimemi reali e nove per quelli apparenti.33 Nei Topici, egli raccoglie i luoghi sotto cinque schemi o luoghi generali: genere, proprietà, accidente, definizione, identità; perché questi sono i modi con i quali un attributo si rapporta al soggetto di predicazione in una qualsiasi giustificazione persuasiva.34

30) Cfr. id., C.G., II, 84.

31) Cfr. R. garrigou-lagunge, Le sens commun, Paris 19.22, p. 86.

32) Cfr. T. M. zigliara, Summit philosophica, Paris 1902, I, p. 257.

33) Retorica, II, 23-24.

34) Topici, I, 4-8.

200

Le basi e i metodi della, persuasione

Nella teoria dell'argomentazione contemporanea - Perelman -sono i luoghi che Aristotele raccoglie sotto lo schema dell'accidente a richiamare l'attenzione: ciò che può appartenere o non appartenere a un medesimo oggetto è anche la base per la comparazione tra oggetti, e quindi è il fondamento delle gerarchle e delle valutazioni (es. se sia più desiderabile il bello o l'utile).35

Perelman e OIbrechts-Tyteca operano un raggruppamento dei luoghi comuni sotto sei idee o quadri più generali, distinguendo i luoghi della quantità («quando una cosa vale più di un'altra per ragioni quantitative»), della qualità (primato dell'unicità), dell'ordine (primato del precedente sul successivo), dell'esistente (primato dell'attuale sul possibile: «meglio un uovo oggi che una gallina domani»), dell'es-senza (preminenza di ciò che raccoglie tutte le caratteristiche tipologiche di un certo genere, per es. essere un Pico della Mirandola per la memoria), della persona (preferibilità di ciò che indica autosufficienza, merito).36

Sempre a questo livello universale appartengono i mezzi persuasivi legati alla caratterizzazione etica di chi propone i contenuti: condizione indispensabile per ottenere udienza è {'autorevolezza, la quale raccoglie in sé le caratteristiche della saggezza (nessuno ascolta chi vuole ingannare) e della benevolenza (nessuno ascolta chi non desta il senso di disposizione all'amicizia).37

Il livello culturale o di senso ambientale, differenziato progettualmente secondo diversi modelli o ideali, è l'ambito delle persuasioni.

L'ideale o modello è l'esemplare a imitazione del quale l'agente produce la forma nella materia conveniente. La forma intrinseca della cultura umana è il complesso degli habitus che perfezionano l'uomo nella sua totalità; dunque la causa esemplare o modello della cultura umana {in fieri) deve trovarsi nell'ideale obiettivo di perfezione umana. Esso corrisponde all'ideale umano.

Tuttavia, distinguendo tra l'ideale assunto nella sua astrattezza formale e la sua concreta o materiale identificazione, è possibile comprendere il costituirsi di diverse culture, nel senso di diversi parametri ideali di comportamento, dettati da diverse «visioni del mondo».

35) Cfr. Ibid.; perelman e olbrechts-tyieca, op. cit.. I, p. 90.

36) Cfr. perelman e olbrechts-tyteca, op. cit., I, pp. 91-104.

37) Cfr. la nota n. 27 di questo studio.

201

parte terza

L'ideale della cultura umana in astratto è Yhumanitas nella sua accezione assiologica: non l'essenza umana, ma la dignità della persona umana.

Nella concretezza della storia si danno poi diversi modi di realizzare questo ideale di umanità: si danno diversi umanesimi.

In questo senso esistono anche princìpi o luoghi comuni tipici o specifici delle diverse culture, situazionalmente e storicamente privilegiati.

A modo di esemplificazione si potrebbe riprendere la distinzione perelmaniana tra spirito classico e spirito romantico, come ambiti culturali emblematicamente distinti dai rispettivi luoghi comuni' della quantità e della qualità..'1"'

Stabilità, universalità, immutabilità, eternità, estensione' nella condivisione sono i segni tipici della mentalità e della cultura classica;

originalità, novità, unicità, precarietà, progresso sono invece i caratteri della mentalità e della cultura romantica.

L'uso dell'uno o dell'altro luogo comune consente di penetrare argomentativamente nella precomprensione classica o romantica senza dover ricorrere a dimostrazioni rigorose e forse inefficaci. Così - se ci si consente una esemplificazione - volendo persuadere un uditorio di cultura classica e tradizionalista allo studio della filosofia, basterebbe ricorrere al luogo della quantità, presentando la filosofia come la somma delle verità perenni. Al contrario, ma con lo stesso intento e sortendo il medesimo effetto, se si volesse persuadere un uditorio di cultura romantica e progressista allo studio della filosofia, basterebbe ricorrere al luogo della qualità, presentando la filosofia come ciò che ha pilotato le grandi scoperte e le geniali innovazioni nello sviluppo storico.

Oltre a questi luoghi tipici, occorre anche considerare i fattori emotivi e temperamentali del destinatario o recettore dei contenuti: si tratta delle passioni da suscitare o da sfruttare come mezzo di persuasione.39 Rimangono sempre veri gli adagi aristotelico-scolastici:

«Qualis unusquisque est talis finis videtur ei» e «Unusquisque secun-dum quod est dispositus sic iudicat».

Esistono sentimenti che qualificano particolari uditorii in modo stabile: per esempio l'esuberanza tendente all'esagerazione nei giovani; il compiacimento nel ricordo del passato nelle persone anziane.

3S) Cfr. perelman e olbrechts-tyteca, op. cit.. I, pp. 101-104. 39) Cfr. la nota n. 27.

202

Le basi e i metodi della, persuasione

Esistono anche determinazioni emotive di ordine situazionale: per esempio l'indignazione in un corteo di protesta.

// metodo persuasivo

II metodo persuasivo consiste dunque nel veicolare contenuti importanti e impegnativi (valori e verità più profonde) attraverso lo strumento dialettico o l'uso dialettico - nel senso precisato - della cultura ambiente e personale, o dei suoi luoghi tipici, e della fisionomia tem-peramentale o emotivamente situazionale del destinatario-interlocù-tore.

E dall'insieme di logos, pathos e ethos che viene a costituirsi il meccanismo della persuasione.

Ma è soprattutto ì'inventio (heuresis} - ricerca e ritrovamento delle argomentazioni o dei mezzi più adeguati a render accettabile una tesi - che rappresenta il cuore del metodo retorico. L'inventio è il vero crogiuolo logico, psicologico, culturale nel quale metodicamente prende vita la persuasione.

Certo, gran parte della sua efficacia è dovuta alla grazia personale, alle doti di natura, ma ciò non toglie il suo aspetto più propriamente critico o, se si preferisce, scientifico: la retorica docens, cioè nel suo momento formalmente speculativo di studio e teoria dell'argomentazione persuasiva, è scienza.40 E scienza rigorosa dell'assenso opinativo.

Determinazioni specifiche o applicative a proposito della «nuova» evangelizzazione

quanto ALLA PLAUSIBILITÀ DEL METODO

L'evangelizzazione come tale è un'«incarnazione culturale»:41 il Figlio di Dio, facendosi uomo, ha assunto tutte le condizioni storico-etno-geografìche della situazione, anche correggendo e contestando le idee che quella cultura alimentava.

40) Cfr. S. tommaso, 4 M et., 1. 4.

41) Fede e incutturazione. Documento della commissione teologica internazionale, in «II Regno-documenti» 9 (1989), p. 277.

203

parte terza

«L'ammirabile "condiscendenza" dell'eterna sapienza»42 si realizza in modo proprio attraverso la dinamica dell'inculturazione.

L'antico popolo di Israele mutuò le sue più antiche istituzioni (circoncisione; sacrificio di primavera; riposo sabbatico) dai popoli vicini. La stessa cosa si deve dire per gran pane della sua cultura generale, anche se gli elementi così assunti hanno subito profondi mutamenti, una volta innestati nella sua fede.

«Gli autori biblici hanno utilizzato e insieme trasformato le culture del loro tempo per narrare, attraverso la storia di un popolo, l'azione salvifica che Dio farà culminare in Gesù Cristo, e per unire i popoli di ogni cultura, chiamati a formare un solo popolo, di cui Cristo è il capo».43

Il messaggio salvifico si è «incarnato» fin dall'inizio in forme culturali ben determinate, secondo il suo stesso contenuto essenziale. E difficile ritrovarlo allo stato puro, poiché già nella stessa Sacra Scrittura è immerso in una cultura determinata: strutture linguistiche;

rappresentazioni simboliche già strutturate dal punto di vista letterario; civiltà seminomade.44

«Poiché Dio nella Sacra scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana, l'interprete della Sacra Scrittura, per vedere bene ciò che egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi in realtà hanno inteso significare e che cosa a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole».45 Così il Vaticano II mette in luce questa problematica tanto delicata.

42) Dei Verbum, n. 13.

43) Fede e inculturazione, cit., p. 277.

44) Cfr. J. D. barthelemy, Introduzione al volume Fede e cultura alla luce della Bibbia. Atti della sessione plenaria 1979 della Pontificia commissione biblica, Torino 1981, pp. 11-15. I criteri per poter determinare una certa specificità del messaggio rivelato sono le reazioni positive o negative ai modelli culturali con i quali si confrontano gli autori ispirati.

A) La reazione negativa indica ciò che è essenziale e intangibile nel messaggio.

B) La reazione positiva segnala l'accettazione dei modelli: è il fenomeno dell'acculturazione, cioè «l'insieme dei fenomeni di interpenetrazione tra culture differenti».

Esempio del secondo tipo di reazione è l'accettazione della lista delle virtù secondo la catalogaziene ellenistica (Cfr. Col 3, 12). Esempio di assimilazione dialettica - cioè per negazione e successiva accettazione - è sul tema della sedentarizzazione e l'esperienza primitiva del deserto. In Osea la terra di Canaan è «dono nuziale», ma anche «occasione di adulterio». Tornare alla fedeltà è tornare al deserto. Tuttavia la conversione consente, anche nella stanzialità cananaica, di poter ricevere il vero dono nuziale: la giustizia. Cfr. Ibid..

45) Dei Verbum, n. 12.

204

Le basi e i metodi della persuasione

Grande importanza deve perciò essere riconosciuta ai generi lette-rari, perché la verità rivelata è proposta in modi assai diversi (storico, profetico, poetico ecc.), secondo moduli espressivi storicamente ed etnicamente determinati.

Anche la «nuova» o «seconda» evangelizzazione46 deve assumere i

46) Per un minimale approccio al dato magisteriale cfr. giovanni paolo II, Discorso a Nowa Huta, 9.6.79;lD., Christifideles laici, 1988; id., Redemptoris missio, 1990. Dichiarazione della Assemblea speciale per l'Europa del Sinodo dei vescovi, 14.12.91.

a) A nostro avviso, il dato va anzitutto ben calibrato semanticamente. Parlare di «nuova» evangelizzazione non significa parlare di rievangelizzazione. La nuova o «seconda» evangelizzazione si distingue dalla semplice opprima evangelizzazione proprio perché non consiste nel puro annuncio kerygmatico. E infatti sufficientemente agevole capire che il destinatario della nuova evangelizzazione non si trova nelle condizioni ricettive del destinatario della primitiva evangelizzazione. Una cosa infatti è il mondo non cristiano nel quale risuona per la prima volta l'annuncio evangelico e altra cosa è il mondo scristianizzato o secolarizzato nel quale l'annuncio è già risuonato ed è in certa misura semanticamente squalificato.

b) In secondo luogo, ma sempre in forza della prima precisazione, la nuova evangelizzazione deve certamente confrontarsi con il clima ateistico, indifferentistico, seco-rarisrico e soprattutto di sincretismo religioso e settario, ma avendo come termine operativo i cristiani, cioè i battezzati che hanno perso il senso vivo della fede. E infatti esperienza pastoralmente comune il fatto di constatare una mentalità, assai generalizzata anche tra gli stessi fedeli cosiddetti praticanti, di indeterminazione: indeterminazione sul piano della conoscenza, perché non v'è quasi la minima chiarezza sui contenuti dottrinali della fede cristiana; indeterminazione sul piano pratico delle decisioni, perché si ci trova più o meno consapevolmente combattuti tra le istanze provenienti dalla cultura ambiente, che sembrano o sono realmente in contrasto con la fede cristiana, e un vago senso religioso che di quella fede rappresenta quasi l'ultima traccia.

e) E proprio questa nebulosa identificazione della fede cristiana con questo vago e tendenzialmente asettico senso religioso che rappresenta il bersaglio negativo della nuova evangelizzazione. Occorre ricondurre la coscienza cristiana alla verità di se stessa:

occorre, in altri termini, ridestare il senso cristiano della vita secondo {'integrità dei suoi fattori soprannaturali (cioè essenzialmente tipici e differenziali) e naturali (cioè essenziali a modo di presupposto e di conseguenza).

Da una parte si deve combattere uno strano manierismo cerimoniale e devoziom-Stico - che da sempre accompagna in modo quasi parassitano l'anima ben più realistica della vita cristiana - tendente a camuffare la fede nel Cristo dietro i paramenti di una religione «debole» e inefficace: troppo spesso un ritualismo ornamentale dal sapore fol-kloristico, proprio di una religiosità etnica, sembra farla da padrone. Non soltanto le celebrazioni liturgiche sono più attente all'aspetto coreografico del movimento rappresentativo piuttosto che al significato ripresentativo del mistero cristiano, ma la stessa omiletica geme sotto le coltri di un pensare da tempo in letargo: il linguaggio metaforico, che l'uso classico aveva consacrato a simbolo di genialità innovativa come sostegno alla difficoltà del concetto dottrinale, mortifica il gusto del vero concepimento meditativo in una ripetitività di immagini stereotipe e anodine. Alla serena profondità del chiaro-scuro metafisico dell'esperienza teologale e della sua seria razionalità si e sostituito il vago e aproblematico intuizionismo sperimentale, fatto di balugini! onirici e ta-bulistici o di dubbie apparizioni ed esaltanti miracolismi.

D'altra parte, si deve riaccogliere l'integralità dei fattori che costituiscono 1 umano. Occorre lasciarsi avvincere dal richiamo dell'umano in quanto umano, per comprendere in modo più pieno il senso profondo della condiscendenza di Dio e non^svihre l'inesauribile ricchezza del divino comunicato all'umano. Del resto, scriveva già leil-

205

parte terza

connotati metodologici dell''inculturazione della fede. La seconda evangelizzazione si rende infatti necessaria in forza della variante culturale, la quale può presentare aspetti positivi e aspetti negativi. Per inculturazione della fede si intende appunto «un'incarnazione del Vangelo nelle culture autoctone e insieme l'introduzione di esse nella vita della Chiesa»,47 secondo uno spirito di accoglienza, ma anche di discernimento critico.

La Chiesa, sposa del Cristo, nella sua azione evangelizzatrice, è profondamente attenta al rapporto con le diverse culture ambientali. L'inculturazione, infatti, può definirsi anche come «lo sforzo della Chiesa per far penetrare il messaggio di Cristo in un determinato ambiente socio-culturale, invitandolo a credere secondo tutti i suoi valori propri, dato che questi sono conciliabili con il Vangelo. Il termine inculturazione include l'idea di crescita, di reciproco arricchimento delle persone e dei gruppi, in virtù dell'incontro del Vangelo con un ambiente sociale».48

Spazi importanti per tale attuazione sono rappresentati dalle forme di pietà o religiosità popolare e dai rapporti con le religioni non cristiane, evitando settarismi e sincretismi.

Altro grande settore è quello dell'incontro con il mondo moderno. Accoglienza e discernimento critico, sensibilità alle aspirazioni spirituali di fondo, capacità di analisi culturale, sono le condizioni metodologiche che possono obiettivamente guidare gli sforzi di evangelizzazione in questo settore.49

Se si considerano i contenuti, è evidente che quelli direttamente o termalmente cristiani nella loro densità soprannaturale hanno il primato propositivo, e soprattutto devono essere accompagnati da una sapiente e precisa padronanza teologica della dottrina. Può sembrare un'affermazione inutile questa, ma quante prediche dottrinalmente

hard de Chardin nel lontano 1949: «II Cristianesimo, nella misura in cui eessa (...) di abbracciare l'umano, perde il mordente della su» vitalità e il fiore della sua attrattiva»

(Le Coeur du Problème}. ,

47) giovanni paolo II, Slavorum Apostoli, a. 21..

48) Fede e inculturazione, cit., p. 277.

49) Cfr. Ibid., p. 281. La Chiesa è convinta di poter essere aiutata in diversi modi dal mondo contemporaneo nella «preparazione del Vangelo» (Gaudium et spes, n. 40), denunciando tuttavia i gravi errori che il nostro tempo alimenta (Cfr. Apostolicam ac-tuositatem, n. 6) e considerando con benevolenza, promuovendo e tutelando - nei limiti del possibile - tutto ciò che «non è indissolubilmente legato a superstizioni o a errori» (Pio XII, Summipontificatus, in AAS 31 (1939), pp. 413-414. Cfr. Sacrosanctum conci-lium, a. 37.

206

Le basi e i metodi della persuasione

insipide si sentono: tra un cappello di circostanza e una chiusa maldestramente mariologica si dipanano banali riflessioni sociologiche anti-consumistiche, o di un'ascetica demotivata e demotivante!

Ma sono soprattutto i contenuti che solo indirettamente rientrano nello specifico cristiano a essere di primaria importanza nel metodo della nuova evangelizzazione. Si tratta di quei contenuti che appartengono all'ambito della precomprensione naturale o culturale dell'uomo.

Alla precomprensione naturale si possono ricondurre la funzione preambolare e la funzione apologetica della razionalità filosofica di fronte al dato rivelato. E importantissimo presentare agli occhi della cultura contemporanea la dimensione di razionalità che accompagna la proposta cristiana, sia per difesa della sua plausibilità, sia per convenienza dei suoi contenuti, sia per precisazione di quelle verità di ordine naturale che fungono da presupposto alla fede, ma che sono per sé in-scindibili da un contesto di sensatezza naturale per l'esistenza umana (esistenza di Dio creatore; immortalità dell'anima umana; libertà e responsabilità dell'agire umano; precetti di legge morale naturale).50

5C) II pensiero contemporaneo, almeno tendenzialmente - cioè non per aperta formulazione concettuale - ripropone un'apertura al discorso metafisico, per dissolvimento dialettico (nel senso di confutazione dell'antitesi contraddittoria per la sua intrinseca contraddittorietà: l'incontrovertibilità per la contraddittorietà del contraddittorio di bontadmiana memoria) dell'istanza antimetafisica del pensiero moderno. Se ne propone una ricostruzione schematica storico-speculativa, con uno sviluppo personale dell'idea di «intero storico» del compianto prof. Bontadini. La storia della filosofia si articola speculativamente in tré movenze dialettiche, per le quali il nostro periodo contemporaneo segnerebbe ^possibilità di un ritorno critico positivo al valore metafisico della riflessione classico-medievale per dissolvimento dell'antitesi gnoseplogistico-antimetari-sica della modernità.

Tesi: Periodo classico medievale . ,

Supposta l'identità intenzionale tra pensiero ed essere, si cimenta nella soluzione del problema ontologico circa l'uno, il molteplice, il divenire in due momenti:

1) Momento premetafisico o di metafisica implicita: lo spirito naturalmente religioso dell'uomo tenta una spiegazione in termini immaginosi del problema, attraverso il mito e Ispoesia : «Philosophus est aliqualiter philomythes, idest amator fabulae, quod proprium est poètarum... quia uterque circa miranda versatur» (S. tommaso, 1 Met. ,1.3).

2) Momento esplicitamente metafisico : lo spirito naturalmente religioso dell'uomo si orienta verso soluzioni razionali del problema:

- Intuendo l'esigenza di un pnncipio-fondamento (arche) di tutte le cose (Milesi).

- Constatando empiricamente l'aspetto dinamico e molteplice dell'essere (Era-difo).

- Affermando logicamente l'aspetto statico e unitario dell'essere (Eleati).

- Postulando la duplice dimensione della realtà: una empirica, immanente e transeunte; l'altra metempirica, trascendente e immutabile (Fiatone).

- Argomentando la trascendenza del fondamento della realtà esperita, attraverso il principio di causalità (Aristotele) o la nozione di creazione (filosofia cristiana).

207

parte terza

Alla precomprensione culturale può essere, a mio avviso, ricondotta quella funzione della razionalità filosofica che S. Tommaso de-

Antitesi: Periodo moderno-contemporaneo

Presupposta l'assoluta alterila tra pensiero ed essere, si procede allo smantellamento critico del sapere metafisico, concentrandosi sul problema gnoseologico :

Si tratta di un ciclo autorisolventesi, per dissolvimento del presupposto, in tré momenti:

1) Momento incoativo:

a) indiretto: come riflesso dell'andare in sé del metodo della nuova scienza fisicomatematica: dalla qualità alla quantità, perché tentar l'essenza è cosa vana (Galileo).

b) diretto: quanto alla stessa teoria filosofica della conoscenza. Con Cartesio il soggetto {cogito) è originariamente chiuso in se stesso e solo mediatamente aperto alla realtà: \'id quod cognoscitur non è più immediatamente l'essere, ma Videa; il recupero dell'essere avviene in modo mediato attraverso l'idea di Dio (metafisica razionalista, ontologismo, occasionalismo). Ma è una via senza sbocco!

2) Momento tematico: con Kant il dualismo gnoseologico viene teorizzato, con la diagnosi critica preclusiva del «ponte» teologico (idea di Dio) verso la realtà. Noi abbiamo scienza solo del fenomeno e non della cosa in sé, perché le condizioni di possibilità dell'esperienza sono le stesse della possibilità degli oggetti dell'esperienza. Dunque la problematica metafisica diviene problematica critica: V unità fondamentale è data dall'azione sintetizzatrice del soggetto sul materiale molteplice e diveniente delle intuizioni empiriche; la metafisica non ha valore scientifico perché pretende di oltrepassare l'ambito dell'esperienza possibile.

3) Momento risolutivo secondo due prospettive:

a) Quanto al toglimento della cosa in sé: il pensiero del fenomeno è intrascendibile:

la cosa in sé, essendo inattingibile, non è un dato, ne può essere inferita, perché pensarla come esterna al pensiero è contraddittorio (=pensata e non pensata insieme!).

- Argomento: (Ma.) Il fenomeno è lo stesso essere; (mi.) il pensiero è pensiero del fenomeno producendolo; (co.) il pensiero è pensiero dell'essere producendolo (Idealismo).

- N. B. Il recupero dell'identità tra pensiero ed essere non è sulla base deli't'nten-zionalità, ma sulla base della identità fisica'.

b) Quanto al recupero dell'intenzionalità: la causalità produttiva del pensiero rispetto all'essere non consta, ne è dimostrabile.

- Ciò che consta è la presenza eidetica dell'essere come distinto dall'atto di pensare (= intenzionalità secondo la Fenomenologia).

- Ciò che consta è la presenza esistenziale dell'essere come essere-nel-mondo secondo l'unità del vissuto esistenziale (= intenzionalità secondo l'Esistenzialismo).

Sintesi

Ritorno alla metafìsica classico-medievale (tesi), riconoscendone il valore di posizione incontrovertibile, per autonegazione della sua negazione (antitesi), in due momenti:

1) Momento pre-metàfisico: l'intenzionalità all'essere nell'esistenzialismo si ferma all'evocatività del linguaggio poetico-metaforico. Ma l'intenzionalità, come tale, non può bloccarsi a un solo aspetto dell'essere (il vissuto esistenziale); essa si dirige di diritto e di fatto alla totalità dell'essere, fino a tenìatizzarne il soggetto: l'ente in quanto ente. . , ' '

2) Momento esplicitamente metafisico: ricostituita la base gnòseologica, si riapre la possibilità della teoresi metafisica.

208

Le basi e i metodi della, persuasione

scrive come notificazione analogica dei misteri della fede.1'1 S. Tom-maso porta come esempio al riguardo ciò che S. Agostino fa nel De Trinitate per chiarire il mistero della Trinità usando le dottrine filoso-fiche del suo tempo. Ora, S. Agostino usa con questa finalità la dottrina psicologica platonica, che S. Tommaso non condivide; se dunque S. Tommaso propone comunque come esempio di tale mediazione ciò che dice S. Agostino, questo significa che anche i contenuti di cultura ambiente, non sanciti da rigorose dimostrazioni fondative, eppure positivamente opinabili o non erroneamente deleteri,52 possono essere valido veicolo per l'evangelizzazione.

Da un punto di vista tecnico, si potrebbe anche dire che il metodo della seconda evangelizzazione ripropone in termini non più sostanziali, ma semplicemente accidentali il meccanismo dell'ispirazione nella, rivelazione, con l'assemblaggio di acceptio rerum (cultura) e w-dicium de rebus acceptis (opportunità critica).53

Come nella rivelazione il pensiero di Dio viene a essere veicolato sostanzialmente dai contenuti della cultura ambiente valutati criticamente dal giudizio ispirativo, diventando parola di Dio, così nella seconda evangelizzazione i contenuti della cultura ambiente, che positivamente si prestano a una maggiore comprensione situazionale e storica della parola di Dio, sono giudicati validi ai fini di una più piena autocomprensione della coscienza cristiana, senza per questo essere vincolanti: non sono contenuti rivelati.

51) Cfr. In B. Trin., Pro., 2, 3c. In questo compito della ragione, S. Tommaso aveva già a suo modo determinato il livello della funzione veicolare della cultura ambiente nei confronti dell'evangelizzazione.

52) Dice S. Tommaso: «Ad sciendum veritatem multum valet videre rationes con-trariarum opinionum» (1 De Cael. et mund., 1. 22). E ancora: «Nullo enim modo me-lius quam contradicentibus resistendo aperitur veritas et falsitas confutatur» (De per-fect. vitae spirit., 26). S. Tommaso riconosce anche un aspetto più positivo nel confronto con posizioni dottrinali dialetticamente contrastanti: «Nulla falsa doctrina est quae vera falsis non admisceat» (S. Th. I-II, 102, 5, ad 4). Questa apertura per così dire dialogica del filosofare realista non è però fine a se stessa; il termine di riferimento ultimo del dialogo rimane sempre la verità: «non enim pertinet ad perfectionem intellectus mei quid tu velis vel quid tu intelligas cognoscere, sed solum quid rei veritas habeat» (S. Th., I, 107, 2).

53) Come è noto, l'aspetto principale dell'ispirazione divina, nell'ambito della rivelinone, si colloca sul piano del giudizio (iudicium de rebus acceptis), con il quale si valutano speculativamente e anche praticamente i contenuti che devono veicolare la rivelazione.

Proprio questi contenuti (acceptio rerum) non necessariamente sono di diretta provenienza divina. Dio può servirsi anche di immagini o concetti tipici dell'ambiente culturale storico per comunicare le verità trascendenti. Cfr. S. tommaso, S. Th., 1I-II, 173, 2c e adi; P. benoit, Rivelazione e ispirazione, tr. it. Brescia 1966.

209

parte terza

E chiaro che il giudizio discretivo, in questo caso, non è guidato dal?'ispirazione divina in senso stretto o costitutivo, ma dalla grazia e dalla cultura personali, oltre che da una solida dottrina.

quanto AI LUOGHI DIALETTICI

I luoghi comuni tipici o privilegiati del mondo contemporaneo sono quelli della qualità e della persona. • '

I luoghi della qualità sono tipici della cultura contemporanea tutta permeata dallo spirito di cambiamento e di novità. Anche il senso della irripetibilità dell'individuo, della sua situazione esistenzialmente decisionale e dell'apertura problematica verso il futuro appartiene al luogo della qualità.

Il luogo della persona è altrettanto rilevante nella coscienza_con-temporanea. Per usare l'espressione di Aristotele che in qualche modo può rappresentare enunciativamente questo luogo, diciamo che «ciò che non può esserci fornito dall'esterno è preferibile a ciò che possiamo procurarci anche dall'esterno».54 Anche in questo caso è il primato della persona e della sua interiorità che è messo in risalto.

Che cosa vuoi dire che la nuova evangelizzazione deve passare attraverso questi schemi? Forse che deve rinunciare a tutto il complesso delle verità sue tipiche, oggettive e immutabili?

Evidentemente no. Ciò che si vuoi dire è che tutta la dottrina cristiana deve essere presentata nella sua valenza dogmatica, ma attraverso il filtro presentativo dell'interiorità, della spiritualità, mettendo cioè in luce le verità e i valori cristiani dal punto di vista qualitativo e soggettivo e non semplicemente quantitativo e obiettivo, come nella cultura classica.,La teologia dogmatica può essere perfettamente e con tutto rigore esposta secondo un'ambientazione che potremmo dire mistica.

In altri termini, non si tratta di soggettivizzare il dogma, ma di veicolarlo obiettivamente alla coscienza attraverso i suoi riflessi o le sue valenze soggettive.

L'obiettività del dogma deve, d'altra parte, restare intatta e profondamente calibrata nella sua espressione dottrinale, non solo perché è la materia comunicata, ma anche perché diviene a sua volta principio

54) aristotele, Topici, tr. it.. Bari 1973, III, 118a.

210

Le basi e i metodi della persuasione

ermeneutico materiale di quella soggettività, che funge da principio ermeneutico formale situazionale del medesimo dogma.

Scolasticamente parlando, potremmo dire che in via inventionis la soggettività della coscienza contemporanea e dei suoi meccanismi di persuasione è il criterio precomprensivo dell'obiettività dogmatica; in via iudicii vel resolutionis è invece l'obiettività dogmatica che fonda criteriologicamente la soggettività.55

Il circolo ermeneutico, in questo caso, non patisce alcuna petizione di principio, perché il criterio soggettivo e quello oggettivo non sono sullo stesso piano, ma occupano rispettivamente il piano formale e quello materiale.

quanto AL PATHOS

Ci si può richiamare al senso malinconico o nostalgico o di smarrimento della nostra cultura contemporanea.

La cultura e la coscienza contemporanee sentono in modo assai indeterminato - per conseguenze storiche e filosofiche della crisi del pensiero moderno e della sua cultura -56 un certo orientamento all'As-soluto, sotto forma di «nostalgia del totalmente Altro»57 o di «scommessa dell'angelo».58

Questo fatto indica come la situazione ermeneutica dell'uomo contemporaneo sia caratterizzata da una certa qual tristezza che può essere interpretata in modi diversi e indirizzata a bersagli altrettanto diversificati e con risultati anche dannosi perché patologici - come insegna lo stesso Aristotele -59 non solo individualmente, ma anche sul piano collettivo.

55) La via inventionis vel compositionis ha una movenza sintetica, orientata al no-vum; la via resolutionis vel iudicii, invece, ha una movenza analitica, cioè di ritorno al principio alla luce del quale valutare il novum. Cfr. S. tommaso, S. Th., I, 79, 8 e 9; In B. Trin., 2, 2, 1, ad 3; 1 Post., 11. 1 e 35; De Ver., 15, le e ad 4; G. barzaghi, La meditazione, cit. pp. 49-50. Il giudizio di fede, diventando rritico e sistematico, origina una «nuova ermeneutica capace di redimere la cultura» : così Giovanni Paolo II nell'omelia del 9.12.1984 («Osservatore Romano»).

56) Cfr. G. barzaghi, Metafisica della cultura cristiana, cit., pp. 15-22.

57) Cfr. M. horkheimer, La nostalgici del totalmente Altro, tr. it., Brescia 1972.

58) I «nouveaux philosophes» postulano un mondo altro dal presente, per rompere la «struttura di dominio» che caratterizzerebbe quest'ultimo. Cfr. AA. W., In rivolta contro i maestri-padroni, Milano 1978.

59) Cfr. aristotele, Problemi, 30, 1. G. barzaghi, Arte e malinconia. Punti cardinali di un rapporto psicologico, in «Sacra Doctrina» 2 (1991), pp. 212-231.

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parte terza

Ebbene, l'interpretazione positiva che si può dare di questa situazione malinconica è di carattere metafisico.

Una moderata inclinazione malinconica favorisce l'introspezione silente e profonda, capace di valutare le cose secondo la loro radice metafisica, alimentando lo spirito metafisico dell'uomo. La tristezza per il limite del bene presente e la nostalgia della sua illimitata pienezza sono il segno emotivo della differenza ontologica tra l'ente per partecipazione e l'Essere per sé sussistente (Dio).60

In questa prospettiva, la coscienza contemporanea trova nella sua situazione emotiva quasi una nuova «potenza obbedienziale» per essere riorientata al senso cristiano della vita.

La persuasione «penultima» della coscienza umana è nascosta in quel chiaro-scuro del senso del tempo informato dalla speranza teologale, che fa della promessa della Gloria, anticipata dalla Grazia, il fulcro di un'ansia per il compimento del bene. «Quasi tristes semper au-tem gaudentes» (2 Cor 6, 10).

6Q) Cfr. G. barzaghi, La «passio tristitiae» secondo S. Tommaso. Un esempio di analisi realista, in «Sacra Doctrina» 1 (1991), pp. 56-71 e in questo volume.

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CHIESA E CULTURA. LINEAMENTI TEORETICI DI UN RAPPORTO"

Introduzione

II rapporto Chiesa-cultura può essere analizzato secondo una duplice prospettiva.

Da un lato, assumendo la Chiesa come soggetto attivo di cultura, •tale rapporto verrebbe interpretato secondo la sua massima estensione significativa e - conscguentemente - al livello più complesso della sua articolazione. Su questo piano, infatti, la cultura ricopre un orizzonte semantico, ontologico e operativo di ampio raggio: v'è una cultura naturale e una cultura soprannaturale, e tra le due vige un mutuo scambio operativo di inculturazione e acculturazione.

Dall'altro lato, se si assume la Chiesa come soggetto passivo della cultura, cioè come soggetto che si perfeziona in forza del possesso culturale, il rapporto studiato subisce una precisazione o determinazione secondo la supposizione soprannaturale del termine Chiesa e -conscguentemente - del termine cultura.

Il concetto di cultura

A. breve AMBIÈNTAZIONE PROBLEMATICA

La nozione di cultura - a dispetto dell'uso assai divulgato del termine che la significa - non è di semplice accesso. Il largo spettro semantico che essa coinvolge favorisce un'oscillazione definitoria molto spesso al limite dell'equivoco.

*) In «Sacra Doctrina» 6 (1993).

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parte terza

Due studiosi americani - C. Kluckhohn e A. L. Kroeber -,1 agli inizi degli anni cinquanta, raccolsero e classificarono ben 164 diverse definizioni di cultura, scelte nell'arco di tempo che va dal 1871 al 1950 e limitandosi al, solo ambito specifico di scienze quali l'etnologia e l'antropologia - omettendo cioè le cosiddette definizioni «umanisti-che».

La cultura è, in questo senso, a un tempo l'insieme dei documenti della vita umana associata, un complesso di modelli di comportamento, una eredità sociale, lo spirito di una società.2 Il concetto di cultura, che appare dal vocabolario dell'antropologia contemporanea, ruota attorno all'idea di un insieme di modelli di comportamento, acquisiti e trasmessi simbolicamente, caratterizzanti e distintivi degli aggregati umani fin nella dimensione tecnologica degli artefatti.

Dal punto di vista umanistico, invece, la cultura non può essere limitata a un semplice dato fenomenologico, ma deve essere intesa come «consapevole ideale di umana perfezione».3 Il concetto di cultura implica una dimensione assiologica essenziale, in funzione di una qualificazione secondo il meglio sul piano ontologico.

In questa linea, l'accento è posto sul concetto di perfezione o perfezionamento della persona umana; perfezione che implica, a livello ideale, un'immagine impegnativa, un modello assiologicamente normativo, un dover essere, una finalità.

L'accezione antropologico-etnologica della cultura, evitando l'implicito richiamo semantico alla nozione di perfezione dell'uomo, si limita a connotare la cultura come prodotto dell'uomo. Questa re-lativizzazione è a fondamento del discorso sulle culture, più che sulla

') Cfr. C. kluckhohn-a. L. kroeber, Culture. A Criticai Review of Concepts and Definitions, New York 1963, tr. it. Bologna 1982.

2) Cfr. E. B. tylor, Thè Primitive Culture, London 1&71, tr. it. parziale Torino 1970; C. wissler, An Introduction to Social Anthropology, New York 1929; F. boas, Thè Minii o/Primitive Man, New York 1938, tr. it. Bari 1972; B. malinowski, A Scientific Theory of Culture, Chapel-Hill 1944, tr. it. Milano 1962; A. R. redcliffe-brown, White's Vieiv of Science of Culture, in «American Anthropologist» 51 (1950).

3) W. jaeger, Paideia. Die Formung des griechischen Menschen, Berlin-New York 1936-1945, tr. it. Firenze 1953, voi. I, p. 29 n. 5. In questo caso si sottolinea l'aspetto pedagogico della cultura, nel senso della paideia e dell'arete dei Greci, evitando -per altro - esplicitamente l'equivoco della cultura-erudizione. Anche perJ. Maritain «la cultura consiste nell'espansione della vita propriamente umana, la quale non comprende soltanto lo sviluppo naturale necessario e sufficiente per permetterci di condurre quaggiù un'esistenza retta, ma anche e soprattutto lo sviluppo morale, lo sviluppo delle attività speculative e delle attività pratiche (artistiche e anche etiche) che merita d'essere propriamente chiamato sviluppo umano» : Religion et culture, Paris 1946, tr. it. Brescia 1973, p. 18.

214

Chiesa e cultura

cultura. A ciò si aggiunga che anche nella concezione relativistica di cultura si può menzionare la scala dei valori, ma ciò è pur sempre da un punto di vista descrittivo: cultura è semplicemente modo di comportamento o interpretazione del mondo, sulla base di modelli o valori arbitrariamente stabiliti dai vari gruppi sociali, che da tali modelli vengono, appunto, qualificati (es. cultura marxista, cultura liberale, cultura cattolica ecc.). "

La definizione, o meglio descrizione, di cultura che viene proposta dal Concilio Vaticano II sembra essere un compromesso tra queste due istanze. «Con il termine generico di "cultura" si vogliono indicare tutti quei mezzi con il quali l'uomo affina ed esplica le molteplici sue doti di anima e di corpo; procura di ridurre in suo potere il cosmo stesso con la conoscenza e il lavoro; rende più umana la vita sociale sia nella famiglia che in tutta la società civile, mediante il progresso dei costumi e delle istituzioni; infine, con l'andar del tempo, esprime, comunica e conserva nelle sue opere le grandi esperienze e aspirazioni spirituali, affinchè possano servire al progresso di molti, anzi di tutto il genere umano. Di conseguenza la cultura presenta necessariamente un aspetto storico e sociale, e la voce "cultura" assume spesso un significato sociologico ed etnologico. In questo senso si parla di pluralità di culture».4

B. • proposta DI UNA DEFINIZIONE

A nostro avviso, una buona definizione di cultura non può prescindere dalle esigenze definitorie della stringatezza, ma anche della completezza.5

Tali esigenze, nel caso del termine cultura, che è tipicamente analogico e non univoco - come le stesse descrizioni sopra riportate stanno a testimoniare con la loro complessità -, possono essere rispettate presupponendo una sufficiente analisi realista del complesso denominato cultura, al fine di cogliere l'elemento di sintesi.

4) Gaudium et spes, 53. Per un commento a questo testo si veda A. F. bednarski, La cultura, Torino 1981.

5) Per un'analisi più dettagliata dell'indagine definitoria sul concetto di cultura, comprensiva anche dello sviluppo nell'uso della nozione, dell' articolazione intrinseca e delle proprietà del dato, rimandiamo al nostro studio: G. barzaghi, Metafisica della cultura cristiana, Bologna 1990, P. II, sez. 1.

2Ì5

parte terza

Ciò significa determinare l'analogato principale della nozione investigata e, in forza di esso, ricostruire la sintesi d'ordine che lega ad esso e tra loro tutti i diversi elementi del complesso (analogati secondari) : la nozione analoga (l'analogo analogante) può quindi essere definita nel rispetto delle esigenze ricordate, consignificando, nel suo modo tipico, l'unità del dato essenziale e la molteplicità delle sue espressioni.6

Il termine cultura può essere assunto, a partire dal suo primo senso etimologico (dal verbo latino colere = coltivare), secondo tré livelli di significazione:

1) in senso attivo = cultura come lavoro ài coltivazione della persona umana, in vista del suo perfezionamento (causa efficiente);

2) in senso passivo = cultura dal punto di vista soggettivo, cioè la perfezione stessa o lo stato di possesso dell'insieme di quelle perfezioni che è termine della cultura come azione. In questo senso la cultura è, a un tempo, a) il risultato, il possesso ontologico di ordine qualitativo (causa formale intrinseca); b) la meta (causa finale) e e) il modello ideale dell'azione culturale (causa formale estrinseca o esemplare);

3) in senso obiettivo-strumentale = insieme dei •me'z.'ii e degli oggetti attraverso i quali si acquista, si conserva, si manifèsta, si comunica e si trasmette la perfezione umana.

La concezione classica di cultura racchiude implicitamente in sé questi tré significati; la concezione moderna aggiunge o esplicita la caratterizzazione sociale; la concezione dell'antropologia contemporanea si innesta nel punto di vista sociologico e assume esclusivamente il terzo di questi significati, prescindendo però dalla qualificazione as-siologica che esso desume dalla presenza del termine «perfezione umana».

; Il significato completo ed esauriente di cultura deve comprendere l'integralità di questi fattori.

Risulta poi evidente che il significato principale del termine cultura si colloca nel livello passivo-possessivo, al quale appartiene formal-mente la res culturae: la perfezione upiana. Si tratta dell'analogato principale. L'attività culturale (primo significato) e i mezzi di questa attività o segni del possesso della perfezione culturale (terzo signifi-

. . '') Sulla nozione di analogia cfr. S. ramirez, De analogia, Madrid 1970; G. bar-zaghi, Analogia, ordine e il fondamento della sintesi tomista, in «Sapienza» 1 (1987), pp. 65-97; id., Materia e forma. Senso metafisico ed espansioni analogiche dell'ilemor-fismo in S. Tommaso d'Aquino, in «Divus Thomas» 3 (1993), pp. 9-61. . .

216

Chiesa, e cultura

to)sono rispettivamente gli analogati secondari per denominazione estrinseca causativa e simbolico-segnalativa della cultura.

Perciò la definizione della cultura ha come suo soggetto il significato passivo-possessivo o soggettivo.

Questa definizione, nella sua caratterizzazione ontologica, prevede due prospettive di formulazione: una secondo l'essenza fisica e l'altra secondo l'essenza metafisica.

- Secondo l'essenza fisica, l'accento viene posto sulla nozione di perfezione. La cultura è la perfezione umana, come si è evidenziato più sopra. Tuttavia non pare sufficiente tale semplice determinazione, giacché l'ontologia della perfezione è assai articolata e, conseguente-mente, anche l'ontologia della perfezione umana.7

La cultura come perfezione umana non consiste certamente nella perfezione prima o sostanziale, perché la sostanza non è termine o risultato dell'attività culturale, ma suo presupposto.8

7) A questo proposito risultano assai poco precise le determinazioni con le quali alcuni autori di impostazione classica si limitano a qualificare la cultura come perfezione umana o perfezionamento della vita umana (sic!): cfr. B. reiser, De cultura et de philosophia culturae, in «Angelicum» 14 (1937), pp. 355-416; A. fisher, Quid S.Tho-mas de cultura cioccati, in Xenia thomistica. Roma 1925, I, pp. 533-549; A. F. bed-narski, op. cit. ; id., Il problema della specificità della cultura cattolica alla luce del Concilio Vaticano li. Roma 1980; id., La bellezza della cultura morale, in «Attualità della teologia morale», Roma 1987, pp. 191-209.

8) La perfezione prima è nell'ordine sostanziale, ed è fondamentalmente costituita dal supposito di natura umana, nella sua complessità essenziale di corpo e di anima. In questa prima struttura, il primato formale va attribuito all'anima, in quanto «atto primo di un corpo organico» (aristotele, De anima, II, 1 412b 4).

Nell'ordine della perfezione seconda, si apre l'ampio arco dell'accidentalità predi-camentale. La perfezione seconda per eccellenza è l'operazione, l'atto secondo. Rispetto ad essa le potenze operative e gli habitus sono rispettivamente la perfezione seconda in atto primo quasi sostanziale (subiectum quo dell'operazione) e la perfezione seconda in atto primo modale.

D'altra parte, l'operazione può essere di ordine immanente, cioè perfettiva dello stesso soggetto agente, o transitiva, cioè perfettiva di un soggetto esterno all'agente come tale. Nel primo caso abbiamo la vera azione beatificante, che si colloca, come gli habitus, nella prima specie della qualità (l'azione metafisica è infatti una qualità, un habitus lato sensu, Cfr. J. gredt, Elemento philosophiae aristotelico-thomisticae, Friburgo (Br) 1922, I, pp. 146; 157; 223). Nel secondo caso, l'azione è di ordine strettamente predicamentale (quinto predicamento), è l'azione fisica, produttiva di un effetto distinto da se stessa.

Infine, si da un ulteriore perfezionamento : per addizione (aumento estensivo o per accidens dell'habitus, quanto ai suoi contenuti; per es. più nozioni scientifiche) e, più radicalmente, per intensificazione di radicazione o partecipazione nel soggetto (aumento di intensità o per se dello stesso habitus).

Nella prospettiva di questo ulteriore perfezionamento, si deve affermare che la cultura in fieri (dinamica) non cessa una volta acquisito l'habitus (cultura in facto esse). La disciplina faticosa dell'acqisto continua, mescolandosi al diletto e alla maggiore cele-

217

parte terza

La perfezione culturale si collocherà dunque nell'ambito della perfezione seconda, cioè nell'ampio ambito degli accidenti. Ma anche in questo caso occorre un'ulteriore determinazione precisiva.

In quest'ordine, infatti, troviamo l'operazione, che è la perfezione seconda in atto secondo e che non può essere la cultura in facto esse, ma soltanto in fieri - cioè la cultura nel senso dell'attività di perfezionamento.

Sempre nell'ordine dell'accidentalità perfettiva, troviamo le facoltà operative, che sono la perfezione seconda in atto primo quasi sostanziale, nel senso che sono la radice quasi sostanziale dell'operazione di una sostanza finita (quindi non immediatamente operativa): essendo date da natura come principio di operazione non possono essere il risultato dell'attività culturale, bensì suo principio.

Tra la perfezione seconda in atto secondo (operazione) e la perfezione seconda in atto primo quasi sostanziale (facoltà operative) si da un'accidentalità intermedia, che non è semplice frutto della struttura e spontaneità naturali, ma oggetto e termine di un'attività progettuale e costitutiva. Si tratta degli habitus, cioè della perfezione seconda in atto primo modale.

Gli habitus sono appunto quella prima specie della qualità, che af^ fina le varie facoltà che sono perfettibili nel compimento delle loro operazioni e indeterminate quanto alla diversificata varietà di queste stesse (molteplici per numero e secondo il modo).9 Gli habitus conferiscono quella modalità per la quale un'operazione risulta pronta, facile e dilettevole.

rità e facilità derivante dal grado di possesso dell'habitus già acquisito. Astrattamente parlando, potremmo visualizzare, in modo generale, il rapporto che intercorre tra i due aspetti della cultura nei seguenti termini:

1) Cultura in fieri ad esse = azione disciplinare - fatica;

2) Cultura in facto esse = possesso abituale della beatitudine, e che consente un'operazione pronta, facile e dilettevole; . '

3) Esercizio dell'abito culturale: , :

a) operazione beatificante - diletto;

b) cultura in fieri ad melius esse - fatica.

i>) Cfr. S. tommaso d'aquino, I-II, 49, 3, ad 3. La natura è determinata ad unum;

l'azione culturale si fonda su di essa energeticamente, ma trova la sua propria radice nella libertà, nella determinazione volontaria. Cfr. I, 41, 2; I-II, 10, 2, ad 2. D'ora in poi le opere citate senza riferimento all'autore sono quelle di S. Tommaso d'Aquino.

Gli habitus sono una «disposino secundum quam aliquis disponitur bene vel male» (5 Met., 1. 20), o meglio una «dispositio quaedam perfecti ad optimum» (7 Physic., 1. 5;

I-II, 49, 2). Se tale disposizione modale riguarda l'essere, abbiamo gli habitus entitativi (per es. la bellezza, la salute, il vigore); se invece riguarda l'operare, abbiamo gli habitus operativi (le scienze, le arti, le virtù).

218

Chiesa, e cultura.

Perciò, quando parliamo della cultura come perfezione umana intendiamo riferirci con precisione a questa perfezione seconda in atto primo modale, cioè al complesso degli habitus buoni. E la cultura, dal punto di vista dell'essenza fisica, sarà definibile appunto come il complesso degli habitus buoni.

E da notare che gli habitus rappresentano effettivamente l'analo-gato principale della cultura giacché rappresentano la sintesi di tutta la vita umana sia individuale che associata: essi sono la concretizzazione qualitativa dell'attività umana passata, presente e futura; sono il tesoro della tradizione e del progresso.10

Questa interpretazione ontologica della cultura permette di intendere in modo correttamente teoretico - e non semplicistico, quasi soltanto letterariamente evocativo - la celebre descrizione di cultura che ha dato Giovanni Paolo II: la cultura «è ciò per cui l'uomo in quanto uomo diventa più uomo, "è" di più, accede più all'essere»." Il maggior accesso ontologico non è assurdamente collocabile nell'ambito della sostanza, ma degli accidenti e di quei particolari accidenti che sono gli habitus.

Nell'ente finito, infatti, la pienezza di perfezione, che si esprime nel bonum simpliciter, non è coestensiva all'era^ simpliciter (atto sostanziale), ma all'ente completato dalle ultime attuazioni accidentali:

«secundum primum actum est aliquid ens simpliciter; et secundum ultimum bonum simpliciter».12

1Q) «Habitus sunt revera quasi synthesis humanae vitae individualis et socialis. Habitus enim continent in se totam vitam humanam, hoc est, praeteritam, praesentem et futuram; praeteritam quidem quia per actus causantur seu producuntur habitus, et ideo actus omnes praeteriti sunt veluti conservati in habitu generato, et ita habitus po-test dici quasi consideratio vel condensator vel accumulator totius humanae activitatis praeteritae; praesentem, quia habitus est quo quis utitur cum voluerit, et sic humanam activitatem veluti in manu habet; futuram etiam, quia habitus generatus prompte, con-stanter, delectabiliter prorumpit in actus perfectiores, qui nati sunt corroborare et au-gere illos et sic quasi in succo continent totam humanam perfectibilitatem, et evolutio-nem. (...) Sunt itaque habitus veluti thesaurus quidam totius humanae activitatis, tradi-tionem et progressum simul involventes», S. ramirez, De habitibus in communi, Madrid 1973, I, pp. 5-6.

. ") Allocuzione all'UNESCO, in «La traccia» 6 (1980), p. 473.

12) I, 5, 1, ad 1. Sebbene ente e bene si identifichino realmente, tuttavia si distinguono secondo il modo della considerazione razionale: non è lo stesso il senso nel quale parliamo di ente in senso assoluto e di bene in senso assoluto. Ente dice propriamente attualità, la quale dice ordine alla potenzialità: si dice perciò ente in senso assoluto ciò che si distingue originariamente dalla potenzialità in senso assoluto; e questo è l'essere sostanziale. Il bene, invece, dice perfezione, cioè appetibilità, che ha sempre ragione di ultimo: perciò si dice buono in senso assoluto ciò che è ultimamente perfetto. Ciò che invece non ha la perfezione ultima che può e deve avere non può essere considerato buono in senso assoluto, anche se possiede la perfezione dell'attualità sostanziale.

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parte terza

- Secondo l'essenza metafìsica, la cultura si definisce come sapienza umana (speculativa-pratica) posseduta in modo abituale.

Questa definizione scaturisce da un approfondimento specificativo della riflessione precedente, ricondotta alla base causale finalistica che è principio determinante nelle cose dinamicamente protese al fine."

Il fine della cultura è l'ultima e completa perfezione che l'uomo può acquisire naturalmente con le sue sole forze: è la beatitudine naturale, possibile in questa vita. Essa consiste complessivamente nella considerazione speculativa attuale dell'ordine universale - di cui Dio è causa prima e fine ultimo - e nell'esercizio attuale delle virtù etiche -che ordinano prudenzialmente la prassi umana. Ora, l'ordine come tale è l'oggetto formale proprio della sapienza, e, in quanto considerato da un punto di vista umano, della sapienza umana.

Dunque la perfezione ultima naturalmente possibile in questa vita per l'uomo, la sua beatitudine, consiste nell'esercizio speculativo-pratico della sapienza. Questo esercizio sapienziale sarà, perciò, il fine della stessa cultura.

In questo senso, nell'ente finito, la perfezione ultima si pone nell'ordine dell'accidentalità e non della semplice sostanza. . , , .

L'habitus, per sua stessa definizione, implica un radicale riferimento ad un soggetto presupposto cui inerire a guisa di determinazione perfettiva. Questo soggetto, già dato come base sulla quale si innesta la cultura, è ciò che chiamiamo natura. La cultura in facto esse è così il risultato di un intervento operativo sul dato naturale, il quale è di per sé finalizzato a tale compimento e dunque non opponibile ad esso per contrarietà. Tra natura e cultura si da continuità quanto all'attuazione delle virtualità della prima nella seconda, e discontinuità quanto alla modalità d'attuazione (cultura in fieri). La natura procede per pura spontaneità, la cultura invece secondo deliberata progettualità.

Tuttavia, il primato appartiene all'aspetto di continuità, giacché è naturale per l'uomo la modalità culturale (deliberata progettualità) dell'autoperfezionamento. Del resto, volendo sottodistinguere all'interno della stessa modalità culturale un duplice livello del progetto razionale, cioè: 1) una progettualità ausiliare rispetto ai principi attivi della natura (ed è la cultura in senso stretto, nella quale l'artificialità dell'intervento razionale è solo relativa al modo dell'esphcitazione; è l'artificiale quoad modum, cioè quanto al processo ma non quanto al suo termine), e 2) una progettualità costitutiva (che corrisponde alla cultura in senso più lato e comprensivo del livello oggettuale-strumentale, nella quale l'artificialità non solo è procedurale, ma anche terminale; è l'artificiale quoad substantiam, cioè sia quanto al processo che al termine prodotto), ebbene anche in questo secondo livello la cultura si porrebbe di per sé in continuità con la natura.

13) Dalla definizione o, meglio, descrizione attraverso la causa finale si possono dedurre le definizioni che si costituiscono sulla base delle altre cause - soprattutto quella materiale e formale (definizione essenziale)-; questo avviene perché ci troviamo in un ordine di cose in cui ha estrema rilevanza la nozione, appunto, di fine: «Potissime de-monstrationes sumuntur a fine in illis in quibus agitur aliquid propter finem.sicut in naturalibus, in moralibus et artificialibus», 5 Met., 1. 3.

220

Chiesa e cultura

E poiché la perfezione della beatitudine aggiunge alla perfezione della cultura la semplice attuazione seconda dell'esercizio (atto secondo),, la cultura sarà la stessa sapienza umana, colta nella sua dimensione dispositivo-abituale (perfezione seconda in atto primo modale).

L'articolazione specifica della cultura si evidenzia sempre sulla base dell'oggetto della sapienza, cioè dell'ordine: ai diversi livelli dell'ordine corrispondono le diverse parti o espressioni della cultura nel suo senso principale.

' All'ordine ontologico, che la ragione considera ma non fa,14 corrisponde la cultura intellettuale o speculativa; all'ordine che la ragione, considerando, fa, corrisponde la cultura pratica.

Se l'ordine viene posto dalla ragione in se stessa, abbiamo la cultura logica, delle arti liberali e in genere delle arti belle quanto al concepimento {cultura estetica).

Se l'ordine viene posto dalla ragione nelle operazioni della volontà, abbiamo la cultura morale.

Se l'ordine viene posto dalla ragione nelle cose esterne all'agente in quanto agente, abbiamo la cultura poietica in genere, comprensiva delle arti servili o meccaniche: sia utili (cultura fisica, cultura igienica, cultura tecnologica in tutta la sua espansione), sia belle quanto all'esecuzione (cultura estetica).

Il concetto di cultura cristiana

Da quanto abbiamo visto, la cultura, a livello ontologico, si colloca nell'ordine degli accidenti. Essa è il complesso degli habitus buoni o delle qualità che perfezionano la persona umana in se stessa e nel suo operare.

Anche la soprannatura, in quanto partecipata alla creatura^razio-naie, si situa nello stesso ambito dell'accidentalità perfettiva.15 E dun-

H) Cfr. 1 Ethic., 1. 1. Per l'articolazione completa delle parti della cultura, cfr. G. barzaghi, op. cit., pp. 105-114.

15) La grazia è il soprannaturale in senso stretto.

Essa si distingue dalla natura perché, nella sua costituzione essenziale, è la stessa vita divina, il mistero del Dio uno e trino.

Per questo motivo, essa trascende assolutamente l'ordine naturale. Anche se la stessa creazione si colloca ad un livello di gratuità, perché è un'iniziativa libera da parte di Dio, tuttavia essa non è la comunicazione della vita divina, giacché questa comunicazione si attua sostanzialmente a livello delle processioni intratrinitarie.

Dunque, una possibile partecipazione alla vita intima di Dio è concepibile solo a livello accidentale e in modo non dovuto, o gratuito in senso forte. In quanto comum-

221

parte terza

que agevole concludere che anche per la soprannatura si da una dimensione culturale, nel senso precisato. Come esiste un complesso di habitus buoni di ordine naturale, così esiste un complesso di habitus di ordine soprannaturale. Questo complesso qualitativo, che perfe-

cata alla creatura intelligente (unico suo possibile destinatario), la grazia è un accidente creato, che qualifica in modo assolutamente nuovo il soggetto che la riceve.

Naturalmente, la dimensione accidentale della grazia ed il suo aspetto di finitezza riguardano il suo modo di essere; quanto all'essenza, invece, essa è la stessa partecipazione della vita di Dio e gode di un'ampiezza infinita. L'intenzionalità del conoscere e dell'amare rendono possibile questa seconda dimensione essenziale della grazia: è Dio che si rende presente in modo totalmente nuovo e libero allo spirito della creatura, come oggetto di conoscenza e di amore.

In questo modo, la grazia è una partecipazione finita di un bene infinito. Quanto all'essenza, dunque,la grazia è perfettamente disomogenea rispetto alla natura. Quanto invece al modo d'essere accidentale, sotto il quale solo può essere conferita, essa suppone un soggetto già costituito nell'ordine sostanziale naturale. Un dono, per essere tale, richiede qualcuno che lo possa ricevere senza esigerlo.

Non esiste perciò simpliciter un'esigenza della grazia da parte del soggetto naturale, ma c'è l'esigenza assoluta di un soggetto sostanziale da parte della grazia. La priorità della natura rispetto alla soprannatura non si impone solo a livello entitativo, ma anche a livello operativo: «La fede suppone la conoscenza naturale, come la grazia suppone la natura e la perfezione il perfettibile» (I, 2, 2, ad 1). La conoscenza d'ordine naturale, circa le verità metafisiche (esistenza di Dio; spiritualità e immortalità dell'anima umana;

libertà, ecc.) e la legge morale naturale, è presupposta a modo di preambolo o prerequisito alla conoscenza soprannaturale.

Le nozioni che entrano nel campo del soprannaturale, secondo le combinazioni oscure degli enunciati di fede, devono essere note quanto ai loro contenuti puramente naturali (per es. che cosa significa persona, natura), perché l'atto di fede o il giudizio di fede (per es. Cristo è vero uomo e vero Dio secondo l'unità della persona divina e la diversità della natura umana e di quella divina) sia ragionevolmente ammissibile.

Perché il credere non sia un atto irragionevole, inumano e dunque immorale, occorre valutare la non evidente contraddittorietà dell'asserto proposto.

Ciò implica la conoscenza dei contenuti concettuali e della loro compossibilità metafisica.

Lo stesso discorso vale per la conoscenza della legge soprannaturale: occorre una preconoscenza circa il senso della legge morale, la natura della norma, i contenuti della legge morale naturale, perché si possa valutare la ragionevolezza del comandamento soprannaturale. Il perfezionamento apportato dalla grazia alla natura ha una duplice finalità: una elevante ed una sanante.

La finalità principale della grazia è quella elevante, proprio perché essa è per se stessa la partecipazione alla vita divina. La finalità risanatrice della grazia (supposta la situazione di ferimento della natura umana dopo il peccato originale) è invece secondaria e direttamente funzionale alla prima.

Sebbene il soprannaturale sia disomogeneo rispetto alla natura, superandone la proporzione, tuttavia ad essa conviene secondo la potenza obbedienziale.

Non esiste nella creatura un'esigenza del soprannaturale, ne v'è in essa una capacità attiva per esso.

Esiste però una potenza passiva. Non si tratta evidentemente della semplice potenza passiva che si rapporta all'agire naturale ad essa proporzionato (per es. la capacità della combustione legata al legno e attuata dal fuoco). Nella creatura intelligente si da anche una potenza passiva che si rapporta direttamente al primo agente, cioè a Dio, il quale può condurre la creatura ad un'attuazione più alta di quella che le è connaturale.

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Chiesa e cultura

ziona la persona umana secondo la dimensione divina della grazia, è la cultura soprannaturale. Grazia santificante, virtù teologali, virtù morali infuse, doni dello Spirito Santo sono appunto il complesso degli habitus buoni soprannaturali che costituiscono la cultura soprannaturale.

La qualificazione cristiana di questa cultura deriva dalla mediazione del Cristo. E vero che la chiamata al soprannaturale e il dono della grazia, in senso assoluto, prescindono dal Cristo; ma nella presente condizione della storia dell'umanità, successiva al peccato originale, la grazia viene soltanto attraverso Gesù Cristo.

L'economia attuale è un'economia salvifica,, di redenzione, che passa attraverso il mistero dell'incarnazione, della passione, della morte, della risurrezione e ascensione di Cristo. Il Cristo è l'unico mediatore tra Dio e gli uomini, perché è vero Dio e vero uomo, e ha in sé tutte le cose.

A. L'ESSENZA -METAFISICA DELLA CULTURA CRISTIANA

In perfetta analogia di proporzionalità con la cultura umana, la cultura cristiana si definisce essenzialmente come sapienza cristiana speculative-pratica posseduta in modo abituale.

1) E sapienza perché ha per oggetto l'ordine soprannaturale, considerato dal punto di vista stesso di Dio che è la causa suprema. Il fine della cultura cristiana sta nella perfezione soprannaturale dell'uomo, che si realizza nella comunione gloriosa e santa con la vita di Dio. Ora, tale traguardo è consentito dalla carità, che ci unisce a Dio in modo specialissimo e ottiene la sua piena espansione e sviluppo attraverso il dono connesso della sapienza. D'altra parte, essendo la carità

Questa è la potenza obbedienziale. La sua ampiezza è perciò superiore a quella dei principi attivi immanenti.

La potenza obbedienziale è la condizione metafisica per la quale il rapporto tra natura e soprannatura è di trascendenza della seconda sulla prima, ma nello stesso tempo non di esclusione. L'attuazione soprannaturale non distrugge l'identità sostanziale della creatura, perché si colloca nell'ordine dell'accidentalità e - d'altra parte - l'apertura generica delle facoltà spirituali a tutto l'ente e a tutto il bene in communi mostra la non indifferenza della natura verso la proposta soprannaturale.

Tra i due ordini c'è distinzione reale, ma anche armonia, così che la grazia sia realmente un perfezionamento conveniente anche se non dovuto.

Per un approfondimento della tematica cfr. A. galli, La teologia della grazia secondo S.Tommaso e nella storia, Bologna 1987.

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parte terza

la forma di ogni altra virtù, è sulla sua base che deve compaginarsi l'intero organismo culturale cristiano. 2) La cultura cristiana è insieme speculativa e pratica, non solo perché copre l'estensione del conoscere e dell'agire, ma anche - e soprattutto - perché, nell'intima unione con Dio, trova in Dio stesso l'oggetto della contemplazione e il motivo dell'azione: «Per lo stesso fatto che la sapienza che è dono è più alta della sapienza che è virtù intellettuale, in quanto raggiunge Dio più da vicino attraverso una certa unione dell'anima con lui, non solo ha la capacità di guidare nella contemplazione, ma anche nell'azione».16 La sapienza divina infusa contempla le cose divine in se stesse e le considera come regola per ordinare le cose umane.

3) Si aggiunge: posseduta in modo abituale, per segnalarne il preciso livello ontologico distintivo. La cultura è per sé un complesso di habitus buoni ; cosi anche la cultura cristiana. Essa si distingue in questo modo dalla beatitudine mistica, che ne è l'esercizio attuale.

Potremmo precisare meglio l'asserzione distinguendo tré aspetti della cultura.

a) La cultura cristiana in fieri ad esse consiste nel moto della giustificazione, per la quale si costituisce il possesso abituale radicale dell'organismo soprannaturale: grazia santificante, virtù infuse e doni dello Spirito Santo.

b) La cultura cristiana in facto esse è il possesso abituale in modo formale dell'organismo soprannaturale, come complesso di habitus soggetti a sviluppo e perfezionamento.

e) La cultura cristiana in fieri ad melius esse, per un verso può coincidere con l'atto mistico, se nell'esercizio degli habitus soprannaturali -soprattutto dei doni- si considera solo l'effetto prossimo (la dolcezza beatificante dell'atto virtuoso); per un altro verso essa è l'a-zione che tende finalisticamente allo sviluppo dell'organismo soprannaturale, ordinandosi a traguardi di perfezione ulteriore.

B. il DUPLICE LIVELLO DELLA CULTURA CRISTIANA

Certamente la fede cristiana trascende sia l'ordine della natura, sia quello della cultura umana, perché frutto di rivelazione soprannaturale. Ma proprio per questo motivo essa è a un tempo «compatibile» con ogni cultura umana, in tutto ciò che questa ha di «conforme alla

16) II-II, 45, 3, ad 1.

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Chiesa e cultura,

retta ragione e alla buona volontà», ed è essa stessa «un fatto dinamizzante di cultura» per eccellenza.17 Ciò significa che la grazia di Cristo suppone la natura umana; elevandola la guarisce dalle ferite del peccato, la corrobora rispettandone i dinamismi.

«La sopraelevazione alla vita divina è la finalità specifica della grazia, ma essa non può realizzarsi senza che la natura sia guarita e senza che l'elevazione all'ordine soprannaturale conduca la natura, nella sua linea propria, a una pienezza di perfezione».18

Da questo rilievo risultano, in complesso, due possibili livelli di qualificazione cristiana della cultura. , i

- Il livello della cultura cristiana che è tale quanto alla sostanza o in senso strettamente essenziale (per se).

- Il livello della cultura cristiana che è tale solo quanto al modo o in senso indiretto ed estrinseco (per accidens) e quindi come presupposto o conseguenza.

a) II livello essenzialmente cristiano di una cultura coincide con una certa perseità culturale del cristianesimo, intesa in modo corretto.

E profondamente vero che il cristianesimo trascende l'ordine della cultura umana, perché, pur rientrando nella storia, è un fatto e una dottrina di origine divina. Esso non è storicamente relativizzabile.

Tuttavia, nel suo intimo, è la comunicazione della vita divina all'uomo: la natura umana viene coinvolta in un dinamismo, in una finalità che la portano sopra se stessa.

Il Cristianesimo è dunque essenzialmente coltivazione dell'uomo secondo questa nuova dimensione.

b) II livello indiretto o accidentale della cultura cristiana comprende presuppositivamente le sue condizioni di possibilità nell'ordine naturale.

Si tratta delle nozioni o verità di ordine .metafìsico o semplicemente culturale, che fungono da sostegno al contenuto rivelato, o lo veicolano attraverso l'ispirazione.

A modo di conseguenza appartengono al livello indiretto della cultura cristiana quelle verità o quelle nozioni che fanno la propria

17) Cfr. Fede e inculturazione. Documento preparato dalla commissione teologica internazionale nella sessione plenaria del dicembre 1987, approvato in forma specifica nella sessione plenaria dell'ottobre 1988 e pubblicato con il placet di s. era. il Card. Rat-zinger, presidente della commissione; in «II Regno-documenti» 9 (1988), p. 276.

18) Ibid.

225

parte terza

comparsa sulla scena fìlosofica o culturale della storia umana, solo dopo o in conseguenza della rivelazione cristiana.

Tali nozioni, intrinsecamente naturali, nascono dalla riflessione razionale sul mistero rivelato, per un'esigenza di plausibilità o di chiarificazione della sua proposta, ma con un campo di applicazione successiva più esteso. Tale è, per esempio, il caso della nozione di persona.

La Chiesa e la cultura umana

I. il LIVELLO PRESUPPOSITIVO

Abbiamo visto còme la grazia cristiana si innesti sulla natura, senza cancellarla o sostituirla. Ciò significa che la natura come tale rientra nel disegno ricapitolativo di Dio in Cristo.

In un senso perciò strutturale, essa appartiene al progetto cristiano sull'uomo, tuttavia non in termini strettamente formali. Una cosa è il discorso sull'uomo; altra cosa è il discorso sul cristiano, anche se il discorso sul cristiano non può integralmente prescindere dal discorso sull'uomo.

Il messaggio evangelico è rivolto all'uomo ed è per l'uomo, ma perché si elevi a ciò che lo supera infinitamente, senza annientarsi.

a) II piano ontologico

Dal punto di vista ontologico, appartengono al livello indiretto della cultura cristiana tutte le perfezioni abituali, l'insieme degli habitus buoni, che costituiscono la cultura umana, con i loro specifici dinamismi.

Evidentemente, si tratta di ciò che il cristianesimo auspica e stimola, pur riconoscendo la sua autonomia.19

«L'attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell'umanità nuova, che già riesce ad offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo. Pertanto, benché si debba accuratamente distinguere il pro-

19) Cfr. Gaudium et spes, n.36.

226

Chiesa e cultura.

gresso terreno dallo sviluppo del regno di Cristo, tuttavia nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l'umana società, tale progresso è di grande importanza per il regno di Dio».20

b) II piano gnoseologico

Dal punto di vista gnoseologico, appartengono al livello indiretto della cultura cristiana tutti quei contenuti di verità razionale che pre^ ludono a quelle rivelate, oppure quei contenuti di cultura-ambiente, che sono coinvolti nel meccanismo dell''ispirazione divina e servono a veicolare le verità rivelate.

1) Se consideriamo le verità razionali, ad esse viene riconosciuta una triplice funzione: preambolare, strumentale e apologetica.

Il ruolo preambolare delle verità razionali è già stato evidenziato:21 esso consiste in una introduzione ragionevole al credere sulla base, della dimostrazione dell'esistenza di Dio creatore, della libertà umana, dell'immortalità dell'anima razionale, dell'esistenza e determinazione della legge morale naturale ecc.

Il ruolo strumentale si sviluppa all'interno della fede stessa, per l'approfondimento teologico del dato rivelato, in vista di una sua analogica comprensione e sistemazione. Tutte le scienze umane sono coinvolte in tale approfondimento, ma prima di ogni altra la filosofia.22

Il ruolo apologetico è per sé prettamente negativo: è la difesa contro le contestazioni rivolte alla fede, mostrando la loro falsità, o almeno la non cogente necessità. Tuttavia lo sforzo speculativo per la solu-

20) Ibid., a. 39.

21) Cfr. la nota n.l5 del presente studio.

22) Questo livello o funzione della razionalità filosofica viene descritto da S. Tom-maso come notificazione analogica dei misteri della fede (cfr. In B. Trin., Pro., 2,3 e.). Questa notificazione può essere realizzata anche attreverso i concetti o le immagini culturali usualmente comuni ad un determinato ambiente purché presentino, pur nella loro semplice opinabilità e non incontrovertibile fondazione, una certa plausibilità - cioè non siano erroneamente deleteri. S.Tommaso addita come esempio ciò che fa S. Agostino nel De Trin.ita.te, quando usa le dottrine filosofiche del suo tempo (neoplatonismo) per chiarire analogicamente il mistero della SS.Trinità. Questa mediazione rappresenta il tipico processo dell'inculturazione, cioè dell'introduzione della fede in una cultura, e dell'acculturazione, cioè dell'uso di certi contenuti culturali per un arricchimento situazionale della conprensione della fede. A questo riguardo mi sia concesso rinviare a G. barzaghi, Le basi e i metodi della persuasione. Tra coscienza moderna, e nuova evangelizzazione, in AA. VV., La coscienza morale e l'evangelizzazione oggi. Tra valori obiettivi e tecniche di persuasione, Bologna 1992, pp. 147-170; G. barzaghi, 77 Catechismo della. Chiesa cattolica. Le basi dottrinali della fnitova. evangelizzazione», in «Vita e Pensiero» die. 1992, pp. 802-810.

227

parte terza

zione delle istanze sollevate può riconvertirsi positivamente, con approfondimenti importanti nell'ordine della funzione strumentale.

2) Se si considerano i contenuti della cultura-ambiente, nella quale si inserisce la rivelazione, anche in questo caso ci troviamo di fronte a ciò che solo indirettamente appartiene al patrimonio cristiano.

Come è noto, l'aspetto principale dell'ispirazione divina, nell'ambito della rivelazione, si colloca sul piano del giudizio (iitdicwm de rebus acceptis), con il quale si valutano speculativamente ed anche praticamente i contenuti che devono veicolare la rivelazione.

Proprio questi contenuti (acceptio rerum) non necessariamente sono di diretta provenienza divina. Dio può servirsi anche di immagini o concetti tipici dell'ambiente culturale storico per comunicare le verità trascendenti.23

«Poiché Dio nella sacra scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana, l'interprete della sacra scrittura, per vedere bene ciò che egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi in realtà hanno inteso significare e che cosa a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole».24 Cosi il Vaticano II mette in luce questa problematica tanto delicata.

Grande importanza deve perciò essere riconosciuta ai generi lette-rari, perché la verità rivelata è proposta in modi assai diversi (storico, profetico, poetico ecc.), secondo moduli espressivi storicamente ed etnicamente determinati.25

II. il LIVELLO CONSEGUENTE

La presenza del messaggio cristiano nella storia dell'uomo non solo suppone delle condizioni di recettibilità, ma -in loro assenza- essa stessa le costituisce e le promuove. La cultura soprannaturale, la cultura cristiana quanto alla stessa sostanza ha un riflesso sensibile nell'ordine della cultura umana.

") Cfr. II-II, 173, 2c e ad 1; P. benoit, Rivelazione e ispirazione, tr. it. Brescia 1966.

24) Dei Verbum, n. 12.

25) Ibid., n. 13. Per uno sviluppo di questa problematica cfr. G. barzaghi, Le basi e i metodi della persuasione. Tra coscienza moderna e nuova evangelizzazione, cit.

228

Chiesa e cultura

a) II piano ontologico

Dal punto di vista ontologico, il messaggio cristiano «non distòglie dal compito di edificare il mondo, ma impegna ad esso con un obbligo ancor più stringente».26

Nonostante la specifica finalità salvifica soprannaturale, con la comunicazione della vita divina all'uomo, la luce della verità cristiana si riverbera su tutto il mondo: risana ed eleva la «dignità della persona umana», consolida la compagine sociale, arricchisce di un significato più profondo il lavoro quotidiano dell'uomo, rendendo «più umana la famiglia degli uomini e la sua storia».27

In questo senso, tra evangelizzazione e promozione umana intercorrono legami profondi.28

A livello antropologico: l'uomo che è soggetto dell'evangelizzazione è concretamente situato in un contesto economico-sociale.

A livello teologico: il piano della creazione non è dissociabile da quello della redenzione: il Cristo redentore è lo stesso Verbo per mezzo del quale ogni cosa è stata fatta e nel quale tutto sussiste (Gv 1, 3; Col 1, 16-17); d'altra parte la redenzione «arriva fino alle situazioni molto concrete dell'ingiustizia da combattere e della giustizia da restaurare».29

A livello evangelico: la proclamazione della carità ed il suo esercizio promuovono - e non possono non promuovere - «l'autentica crescita dell'uomo» nella vera giustizia e nella vera pace.30

Dove è necessario, la Chiesa stessa può e deve suscitare opere di misericordia, destinate al servizio di tutti, specie dei più bisognosi.31

Il motivo soprannaturale della loro produzione consente anche alle attività di ordine economico un orientamento cristiano.

b) II piano gnoseologico

Dal punto di vista gnoseologico la rivelazione contiene delle verità che appartengono, per sé all'ordine naturale (revelata per accidens).

Sempre legate alla rivelazione, ma con una modalità diversa, si danno anche altre verità di ordine puramente filosofico.

26) Gaudium et spes, n. 34.

27) Ibid., n. 40.

2S) Cfr. paolo VI,. Evangelii nuntiandi, n. 31.

2") Ibid.

30) Ibid.

") Cfr. Gaudium et spes, n. 42.

229

parte terza

Mentre il primo tipo di verità è contenuto nella rivelazione stessa, questo secondo tipo non v'è contenuto, ma è estrinsecamente collegato con il mistero rivelato.

L'entrata del dogma cristiano sulla scena della riflessione filosofì-ca stimola la ragione all'approfondimento del suo stesso apparato concettuale, per una determinazione più precisa della possibilità e non evidente contraddittorietà del vero rivelato.

In questo modo le nozioni filosofiche di essenza ed essere, di sostanza ed accidente, di natura e persona nei loro reciproci rapporti, di mutamento e produzione, subiscono un approfondimento e un assestamento teoretico, grazie all'occasione della rivelazione del mistero trinitario, dell'incarnazione e dell'eucaristia.

La Chiesa e la cultura cristiana

II soggetto primario della.cultura cristiana è la persona umana. Il soggetto secondario (nel senso parziale) fondamentale e immediato formalmente è l'anima, alla cui essenza inerisce come abito enthativo la grazia santificante abituale.

Materialmente anche il corpo partecipa a tale dimensione. Evidentemente esso non riceve la grazia per inerenza come l'anima, ma è il «tempio» dello Spirito Santo (7 Cor 6, 19). La gloria di Dio deve rna-nifestarsi anche nel corpo (1 Cor 6, 20).

«Principalmente lo Spirito Santo è nel cuore degli uomini, nel quale, per suo mezzo, è infusa la carità - come si dice in Rm 5, 5. Tut-' tavia, secondariamente egli è anche nelle membra corporee, in quanto esercitano le opere della carità».32

La gloria di Dio deve manifestarsi anche nel corpo (1 Cor 6,20): in questa vita, attraverso il servizio delle cose di Dio - il che non esclude, anzi comporta anche il valore soprannaturale di una certa educazione fisica, arricchita di motivazioni teologali e ascetiche -;33 nell'altra vita, con la trasformazione gloriosa della resurrezione. Allora il corpo sarà impassibile, cioè non patirà dolori, malattie, morte;34 sarà sottile, nel senso che acquisterà una certa spiritualità;35 sarà agile e pienamente

32) Super Primam Ep. ad Cor. lect., VI, 1. 3.

33) Cfr. A. F. bednarski, Cultura ed educazione fisica alla luce del pensiero di S. Tommaso d'Aquino, Roma 1972, pp. 31-33. 3") Cfr. Suppl., 82, 1. 35) Ibid., 83, 1.

230

Chiesa e cultura,

obbediente allo spirito;36 sarà chiaro, cioè pieno della bellezza e splendore della gloria dell'anima.37

Le facoltà formalmente interessate alla ricezione degli abiti operativi soprannaturali sono l'intelletto, la volontà e l'appetito sensitivo. Le altre facoltà possono ricevere mozioni préternaturali attraverso la grazia attuale.

Per quanto riguarda il soggetto secondario fondamentale mediato, cioè la società, nell'ordine soprannaturale abbiamo la Chiesa. Essa è infatti una società perfetta con una vita e un fine soprannaturali.38 In ultima analisi le diverse immagmi bibliche che la evocano come \'ovile (Gv 10, 1-10), il campo o ì'edificio (1 Cor 3, 9), ^famiglia di Dio (Ef 2, 19-22), la sposa dell'Agnello (Ap 19, 7), il corpo mistico (1 Cor 12;

Col 1, 24) mettono metaforicamente in evidenza diversi particolari aspetti della sua natura,39 ma molto realisticamente sono tutte ricon-ducibili a un'obiettiva determinazione in termini sociali.

La Chiesa è una società perfetta.

Nella riflessione ecclesiologica, si è soliti distinguere due aspetti di questa congregatio ecclesiale, cioè dell'unica Chiesa:40 un aspetto passivo e un aspetto attivo.

La Chiesa congregata (aspetto passivo) rappresenta l'insieme dei fedeli che, radunati dal Padre, incorporati al Cristo, vivificati dallo Spirito Santo, tendono al perfezionamento della santità.

La Chiesa congregante (aspetto attivo) rappresenta l'insieme dei mezzi gerarchicamente compaginati, che consentono la vita di santità.

La Chiesa congregata è soggetto mediato della cultura cristiana, in quanto sono i singoli fedeli che costituiscono il soggetto immediato degli abiti soprannaturali infusi, e sono personalmente chiamati a perfezionarsi.41

La Chiesa congregante è propriamente l'apparato gerarchico-ma-gisteriale-sacramentale che, essendo finalizzato strumentalmente alla santificazione della Chiesa congregata, gode di un certo grado di sussistenza entitativa rispetto alle sue parti.42 In questo senso la Chiesa è

3<i) Ibid., 84, 1. i

37) Ibid., 85, 1.

38) Cfr. Lumen gentium, e. S. Si veda anche Y. congar, L'idee de l'Eglise chez S. Thomas d'Aquin, in id., Esquisses du Mystère de l'Eglise, Paris 1941, pp. 59-92.

39) Cfr. Lumen gentium, nn. 6-7.

40) Cfr. Ibid., nn. 8; 10; 11.

41) Cfr. Ibtd., e. 5.

") Cfr. De Ver., 29, 4; II-II, 39, 1.

231

parte terza

sacramento di salvezza,43 e in un certo modo è un soggetto primario della cultura cristiana, a livello degli strumenti.

Il magistero della Chiesa, attraverso un'assistenza particolarissima dello Spirito Santo, sviluppa l'interpretazione autentica della parola di Dio nell'esplicitazione dogmatica44 e nella capacità di approfondimento pastorale dei problemi e delle modalità di annuncio del Vangelo (ufficio profetico).45 ;

Anche la funzione di governo (ufficio regale) e di santificazione (ufficio sacerdotale) conoscono un arricchimento sotto l'impulso e l'assistenza dello Spirito Santo: nel promulgare leggi adatte alla regolamentazione della vita della Chiesa, nell'amministrazione dei sacramenti a «carattere»46 e nel perfezionamento di ciò che concerne il culto divino.

In un certo senso la Chiesa è soggetto primario della cultura cristiana anche in quanto complessivamente è corpo mistico. Così infatti esprime un'unità sussistente non riconducibile alla semplice somma dei singoli mèmbri. Tuttavia occorre riconoscere che la coltivazione cristiana di questo soggetto riguarda il suo aspetto creato e non quello increato. Il primo, infatti, comprende l'anima creata della Chiesa: le virtù teologali, i sacramenti e la gerarchla; il secondo invece comprende l'anima increata cioè lo Spirito Santo, che non va soggetto a perfezionamento, ma è il principio efficiente di esso.

Nell'ordine dei mezzi, che sono a un tempo, ma sotto diversi aspetti, strumento e segno della cultura cristiana, si collocano i sacramenti. Essi non sono un reale soggetto di inerenza, ma semplice veicolo della grazia santificante, nell'azione sacramentale.

Per altro verso, tutta la dimensione simbolica della liturgia e la sua ambientazione artistica sono atte a significare e richiamare la vita soprannaturale.47 L'arte sacra ha una funzione importantissima nell'e-sprimere la bellezza divina attraverso gli strumenti offerti nella creazione e investiti dei criteri della razionalità.

43) Cfr. Lumen gentium, n. 1.

44) Cfr. Dei verbum, n. 10.

45) Cfr. Gaudium et spes.

46) II carattere sacramentale è una potenza spirituale soprannaturale, inerente all'intelletto pratico, la quale conferisce un potere attivo (ordine) o passivo (battesimo, cresima) in ordine alla santificazione. E uno strumento che abilita al culto cristiano. Cfr. Ili, 63, 2.

47) Cfr. Sacrosanctum condlium, n. 2.

232

237

della STESSA COLLANA:

1 - E. zoffoli,

Galileo: fede nella Ragione, ragioni della Fede, pp. 188, L. 18.000.

2 - G. barzaghi,

Metafisica della cultura cristiana, pp. 222, L. 25.000.

3 - T. tyn,

Metafisica della sostanza. Partecipazione e analogia entis, pp. 976, L. 100.000.

4 - S. parenti,

Comunicazione, credibilità di Cristo, fede, pp. 160, L. 18.000.

5 - R. spiazzi,

Natura e grazia,

fondamenti dell'antropologia cristiana secondo S. Tommaso d'Acquino, pp. 252, L. 22.000.

6 - C. pandolfi,

S. Tommaso filosofo nel commento ai Salmi,

interpretazione dell'essere nel modo «esistenziale» dell'invocazione,

pp. 368, L. 36.000.

7 - A. stagnitta,

La fondazione medievale della psicologia, pp. 192, L. 18.000.

8 - M. forlivesi,

Conoscenza e affettività.

L'incontro con l'essere secondo Giovanni di San Tommaso,

pp. 432, L. 45.000.

9 - G. Di nola,

Tommaso Campanella, il nuovo Prometeo, pp. 272, L. 27.000.

10 - G. Di nola, Simone Weil.

Una voce profetica per i nostri tempi, pp. 208, L. 20.000.

 

 

INDICE

Prefazione

PARTE PRIMA RAGIONE E TEORESI

Senso e valore della ratio tomistica

9-1. L'ETIMO

9-2. L'USO IN S. tommaso 13 - 3. la POSIZIONE ONTOLOGICA 13 - 4. L'ESSENZA 13 - 5. le CARATTERISTICHE

L'ambiente logico della razionalità

19 - I. situazione TERMINOLOGICA

20 - II. determinazione ESSENZIALE

22 - III. caratterizzazione QUALITATIVA

23 - A. La logica giudicativa «docens» 23 - 1. Aspetto formale 29 - 2. Aspetto materiale

31 - B. La logica giudicativa «utens»

32 - C. La logica inventiva

32 - 1. La Dialettica

33 - 2. La Retorica

34 - 3. La Poetica 34 - D. La Sofistica

Natura e proprietà della razionalità filosofica in S. Tommaso d'Aquino p. 37

37-1. L'ETIMOLOGIA

37 - 2. L'USO DEL TERMINE IN S. tommaso

38 - 3. la GENESI DEL DATO

39 - 4. L'ESSENZA DELLA FILOSOFIA

42 - 5. le CARATTERISTICHE DELLA FILOSOFIA

42 - Le caratteristiche radicali

45 - Le caratteristiche quasi speciali

45 - Divisione della filosofia, nelle sue parti

50 - Le caratteristiche delle parti della filosofia

50 - 1. La metafìsica

54 - 2. La matematica

55 - 3. La filosofia naturale

57 - 4, La logica

58 - 5. La filosofìa morale

58 - 6. Le arti meccaniche

59 - 6. conclusione

La teologia come scienza:

esplicitazioni e approfondimenti del concetto tomistico p. 60

60 - introduzione

61 - ambientazione SPECULATIVA 65 - la DOTTRINA DI S. tommaso

65 - a) II concetto di scienza

72 - b) Scienza prima e scienza subalterna

74 - e) Lo statuto scientifico della teologia

78 - esplicitazione O INTERPRETAZIONE ESPANSIVA

79 - a) La mediazione filosofica

80 - 1. La formalità naturale. 85 - 2. Ancillarità della filosofia? 88 - b) La mediazione culturale

PARTE SECONDA METAFISICA p. 93

Materia e forma.

Senso metafisico ed espansioni analogiche

dell'ilemorfismo in S. Tommaso d'Aquino p. 95

95 - introduzione 234

96 - I. le NOZIONI METAFISICHE DI SOSTANZA E DI ACCIDENTE

96 - 1) II quadro semantico 100 - 2) La posizione ontologica 102 - 3) La descrizione essenziale 105 - 4) Le qualificazioni caratterizzanti 105 - a) La prospettiva ontologica

109 - b) La prospettiva logica

110 - II. la STRUTTURA FISICA DELLA SOSTANZA SENSIBILE

110 - 1) La determinazione della costituzione

ilemorfica dell'ente sensibile 112 - 2) Descrizione dei due coprincìpi

112 - a) La materia

113 - h) La forma

114 - 3) La caratterizzazione specifica

114 - a) La materia

115 - b) La forma

121 - 4) II riflesso logico

122 - a) Inquadramento tematico 124 - b) La problematica

126 - III. espansioni ANALOGICHE

126 - 1) L'analogia

126 - a) Descrizione

128 - b) Articolazione e caratterizzazione

131 - 2) Applicazione tematica

132 - a) La materia

133 - b) La forma

136 - 3) Un interessante esempio di ordine psicologico

La nozione di creazione in S. Tommaso d'Aquino p. 139

139 - ambientazione SEMANTICA

140 - il GUADAGNO INFERENZIALE 145 - L'ESSENZA DELLA CREAZIONE 147 - le PROPRIETÀ DELLA CREAZIONE

147 - Le caratteristiche generali 151 - Le caratteristiche specifiche

Analisi teoretica del concetto di premozione fisica secondo i princìpi di S. Tommaso d'Aquino p. 155

235

PARTE TERZA ANTROPOLOGIA E CULTURA p. 165

La passio tristitiae secondo S. Tommaso. Un esempio di analisi realista p. 167

168 - L'ASPETTO PSICOLOGICO DELLA TRISTEZZA

(I-II, qq. 35-38)

168 - 1. La natura della tristezza (q. 35, 1-2) 168 - 2. Le proprietà della tristezza (q. 35, 3-7)

170 - 3. I diversi tipi di tristezza (q. 35, 8)

171 - 4. Le cause della tristezza (q. 36)

172 - 5. Gli effetti della tristezza (q. 37)'

173 - L'ASPETTO MORALE DELLA TRISTEZZA (q. 39)

174 - I RIMEDI ALLA TRISTEZZA (q. 38)

177 - conclusione

Arte e malinconia. Punti cardinali di un rapporto psicologico p. 178

178 - ambientazione PROBLEMATICA

179 - A) malinconia E GENIALITÀ

179 - 1. Il concetto di malinconia e le sue interpretazioni 182 - 2. Le indicazioni dell'esperienza

184 - B) arte E TRISTEZZA

184 - 1. La funzione catartica dell'arte 188 - 2. Il bello e la contemplazione

191 - conclusione

Le basi e i metodi della persuasione. Tra coscienza moderna e nuova evangelizzazione p. 193

193 - aspetto TEORICO FONDATIVO

193 - La coscienza

198 - La persuasione

198 - Le basi dell'argomentazione

203 - // metodo persuasivo

203 - determinazioni SPECIFICHE O APPLICATIVE

A PROPOSITO DELLA «NUOVA» EVANGELIZZAZIONE

203 - Quanto alla plausibilità del metodo

210 - Quanto ai luoghi dialettici

211 - Quanto al pathos

236

Chiesa e cultura. Lineamenti teoretici di un rapporto p. 213

213 - introduzione

213 - il CONCETTO DI CULTURA

213 - A. Breve ambientazione problematica

215 - B. Proposta di una definizione

221 - il CONCETTO DI CULTURA CRISTIANA

223 - A. L'essenza metafisica della cultura cristiana

224 - B. Il duplice livello della cultura cristiana

226 - la chiesa E LA CULTURA UMANA

226 - I. Il livello presuppositivo

226 - a) II piano ontologico

227 - b) II piano gnoseologico

228 - II. Il livello conseguente

229 - a) II piano ontologico

229 - b) II piano gnoseologico

230 - la chiesa E LA CULTURA CRISTIANA

 

 

 

 

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