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GIUSEPPE BARZAGHI
L'ESSERE LA RAGIONE LA PERSUASIONE
edizioni studio domenicano
TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI
© 1994 - PDUL
Edizioni Studio Domenicano Via dell'Osservanza 72 - 40136 Bologna - ITALIA
- Tei. 051/582034
Finito di stampare nel mese di settembre 1994 presso le
Grafiche Dehoniane - Bologna
PREFAZIONE
Gratia pulchrificat sicut lux si adest exsto si ahest
morior
II presente volume si propone come una raccolta di saggi
su alcuni temi centrali del pensiero tomistico.
L'intento è quello di offrire, per alcuni versi, una
introduzione tematica al realismo filosofico-teologico. Nello
stesso tempo, però, si vuole sviluppare un contributo applicativo del
metodo realistico, per presentarne in actu etterato la fisionomia.
Gli argomenti che vengono presi in esame coprono così
diversi quadri teoretici: l'epistemologia filosofico-teologica, alcune
problematiche metafisiche fondamentali e il settore più tipicamente
antropologico della cultura. L'idea madre che mi ha spinto alla
pubblicazione di questa raccolta è, perciò, principalmente di carattere
didattico. Ma si tratta di quella didattica che vuole allearsi con quelle
istanze di «seconda evangelizzazione» che vedono nella obiettiva
competenza della ragione metafisica l'insostituibile guida per una
competente incultura-zione della fede.
Proprio per il carattere didattico, a volte ci si potrà
imbattere in ripetizioni di medesime formulazioni di pensiero trattando,
con diversità prospettiche, uno stesso argomento. Questo è dovuto, per
un verso, all'esigenza di rigore nel campo teoretico, d'altra parte
all'efficacia didattica della ripetizione: repetita mvant.
Giuseppe Barzaghi
Parte Prima
Ragione e teoresi
SENSO E VALORE DELLA RATIO TOMISTICA^
II termine ratio nel vocabolario filosofico di S.
Tommaso copre un'area semantica assai ampia e solo contestualmente
delimitabile. Tuttavia il suo significato primario è quello di facoltà
conoscitiva specificamente umana e, come tale, si articola a sua volta in
una complessa gamma di sfaccettature e proprietà, conseguenti alla
posizione metafisicamente intermedia della creatura umana.
L'uomo infatti è in certo modo confine tra la natura
spirituale e quella corporea.'
1. L'etimo
Etimologicamente il termine ratio è una forma
verbale da reor, che significa stimo, credo, penso; ma anche
calcolo, almeno al partici-pio ratus. Esso ha come corrispondente
nella lingua greca il sostantivo logos, da légein (=dire,
raccogliere, scegliere in senso critico; contare, calcolare, spiegare).
2. L'uso in S. Tommaso
Usualmente S. Tommaso riconosce a questo termine ben
quattro gruppi di significati fondamentali.2
*) In «Divus Thomas» 1 (1992).
*) Cfr. 3 Sent., Prol. ; C. G., 1., 68; IV, 58,
ad3;De causis, 11. 2 e 9; S. Th., I, 77, 2c.
2 ) Cfr. De div. nom., 7, 1.5.
parte prima
1. Ratio può significare la facoltà
conoscitiva (virtus cognoscitiva).
In senso stretto, cioè intesa come mente o intelligenza,
essa può avere due livelli di applicazione. Se indica semplicemente un
conoscere non legato alla materialità, essa conviene comunemente a Dio,
all'angelo e all'uomo. Se invece implica una certa discorsività, essa
conviene in senso proprio soltanto all'uomo.3
In senso lato, esistono ancora due livelli di
applicazione. Per semplice opposizione alla sensorialità, ratto
indica la parte intellettiva dell'uomo, comprensiva sia della conoscenza
che dell'affettività-volontà.4
Per opposizione all'appetitività, essa indica invece ogni
facoltà conoscitiva, compreso il senso.5
2. Ratio può significare anche il perché,
il motivo o la causa.
In riferimento alla conoscenza, la ragione-perche può
essere intesa in due modi.
Può essere intesa come principio, e in questo
senso si dice che Un contrario è principio della conoscenza (ratio
cognoscendi) dell'altro.6
Può essere intesa anche come argomentazione, prova o
dimostrazione, e così vanno intesi i concetti complessi quali:
ragione argomentativa o dimostrativa,7 ragione comune e ragione
propria,8 ragione logica e ragione analitica,9
ragione probabile e ragione necessaria,10 ragione filosofica,
sofìstica ecc.11 Anche espressioni come: «addurre una
ragione; desumere una ragione; la ragione procede da ,..», appartengono a
quest'area di significato.12
3) Cfr. S. Th., I, 29, 3,.ad4; 1 Sent.,
25, 1, 1, ad4.
4 ) Cfr. 2 Sent., 33, 2, 1, 1; 3, ad3; 41, 2,
2, adi. '') Cfr. S. Th., I, 5, 4, adi; C. G., II, 69.
6 ) Cfr. S. Th., I-II, 35, 5, ad2.
7 ) Cfr. De Fot., 2, 4, ad6.
8 ) Cfr. 8 Physic., 1.19.
9 ) Questa opposizione comprende la precedente. La
ragione o prova logica, infatti, si oppone alla prova dimostrativa o
analitica in quanto procede da princìpi comuni e probabili e non da
princìpi propri. Per es., se si argomenta la superiorità della
dimostrazione universale rispetto alla particolare, per il fatto che ciò
che è universale è più conoscibile, si da una ragione logica, basata su
un medio dimostrativo comune a tutta la conoscenza e non proprio della
conoscenza dimostrativa. Se invece si adduce come motivo il fatto che ciò
che è universale, portando immanente in sé la propria passio
(proprietà), ne è la causa, allora si da una ragione analitica o
dimostrativa, perché riguarda propriamente la struttura tipica del sapere
dimostrativo. Cfr. 1 Post., 1.38.
'°) Cfr. S. Th., I, 12, 7; In B. de Tnn.,
Pro., 2, 1, ad5. Anche questa opposizione si pone nella linea delle due
precedenti.
") E l'opposizione tra un'argomentazione realmente
probativa e una solo apparentemente tale. Cfr. 4 Met., 1.4;
C. G., I, 4 e 7; 1 Cael., 1.15.
") Cfr. S. Th., I, 10, 4, adi; 30, 2, ad4; 39,
5, ad4; 82, 3, ad3.
10
Senso e valore della ratio tomistica
In riferimento alla volontà, si dice che il fine è la
ragione-mótivo della scelta dei mezzi.13 '
In riferimento alla natura, ratio indica la causa,
sia di ordine corporeo che di ordine ideale. Nell'ordine corporeo, sono
ragioni i princìpi attivi e passivi che presiedono alla generazione dei
viventi; princìpi denominati appunto rationes seminales.
Nell'ordine ideale, sono le ragioni ideali presenti nel Verbo divino, che
stanno all'origine delle ragioni seminali contenute nelle realtà corporee
viventi.14
3. Ratio vuoi dire pure calcolo (supputatio),15'
come anche proporzione in ambito matematico-geometrico.16
4. Infine, ratio significa il contenuto
concettuale di un'essenza astratta dai singolari, r • •
Dal punto di vista speculativo, la semantizzazione del
termine avviene sulla base di un duplice riferimento.
Se si usa il termine ratio in riferimento
all'oggetto, allora esso indica la definizione cioè il discorso
che esprime l'essenza di una cosa;17 oppure il semplice significato
concettuale indicato dal nome, per quelle realtà che non sono
strettamente definibili in quanto generi (es. sostanza) o metageneriche
(es. Dio); oppure il senso di una parola (ratto nominis), in
quanto segue il nostro modo di concettualizzare, che va dall'effetto alla
causa o dal complesso al semplice. Così i nomi concreti (es. uomo)
indicano il soggetto sussistente; i noriii astratti, invece, indicano il
principio formale (es. umanità).18
Se si usa il termine ratto in riferimento al
soggetto conoscente, esso indica il punto di vista, {'aspetto, la formalità
sotto la quale viene considerato l'oggetto della conoscenza. In questo
senso S. Tommaso parla di ragione formale dell'oggetto (ratio formalis
obiectt) e di ragione di conoscibilità o del conoscibile (ratio
cognoscibilis), nella distinzione delle scienze, sulla base dei
diversi modi di definire la materia di indagine,19 e nella
distinzione delle facoltà.20
") Cfr. S. Th., I-II, 19, 4. . H)
Cfr. S. Th., I, 115, 2. Questo concetto, di derivazione stoica, è
mutuato da S. Tommaso dal pensiero di S. Agostino (cfr. De Trin.,
Ili, 8). ' 15) Cfr. S. Th., I-II, 18, 9; II-II, 43, 7.
"•) Cfr. 11 Met., 1.3.
17 ) Cfr. 1 Sent. 2, I, 3; 2 Post.,
11.6 e 8; IPhylic., 1I>2 e 5; 7 Met., 11.3 e 15; 8, 1.5.
18 ) Cfr. S. Th., I, 13, 9; 33, 3; 79, 13;
1-11, 102, 2 e 3; C. G., I, 34.
11
parte prima
Dal punto di vista pratico, il termine, ratio può
avere ancora un duplice significato.
Può indicare [[piano o progetto che sta nella
mente dell'artefice e che viene da questi attuato.21
Può significare la modalità esecutiva di un'azione.
Nel caso dell'azione transitiva, cioè perfettiva di un
oggetto esterno all'agente, S. Tommaso parla dell'arte come regola o
retta ragione delle cose da farsi (recto, ratio factibilium).
Nel caso, invece, dell'azione immanente, cioè perfettiva
dello stesso soggetto agente, troviamo due flessioni prospettiche.
In prospettiva etica, abbiamo la prudenza come retta
regola delle azioni (recto, ratio agibilwm).
In prospettiva epistemologica, abbiamo la scienza quale
regola dell'attività speculativa (recto ratio speculabilium.).21
19 ) Cfr. S. Th., I, 1,3; II-II, 1, 1; 1 Post.,
1.41; 1 Physic., 1.1. È importante notare che la specificazione e
diversificazione delle scienze è stabilita sulla base degli oggetti,
giacché ogni atto e ogni abito conoscitivi desumono appunto da tale fonte
la loro determinazione specifica. Ma non ogni diversità di oggetti
determina una nuova specificazione scientifica, ma solo quella diversità
che si colloca dal punto di vista formale. Secondo i tornisti questa
formalità specificativa è di duplice ordine: uno relativo direttamente
all'oggetto, e uno relativo al soggetto conoscente. Ex parte obiecti,
si da la formalità dell'oggetto come cosa (ratio formalis quae,
obiectum formale quod), nel quale termina l'atto conoscitivo
scientifico. Questa formalità è ciò che primariamente (primo et per
se) viene considerato dalla scienza, poiché in essa vengono
coordinati tutti gli altri oggetti che materialmente possono cadere
nell'obiettivo della stessa scienza. Essa è la formalità reduplicativa
del soggetto della scienza (— il soggetto in quanto è tale); la ragione
per la quale, come per propria causa, si dimostrano le proprietà
del genere-soggetto (cfr. In I Post., 1, 12): è il medium
nella prima dimostrazione (cfr. gaetano, In S, Th., I, 1, 3). Ex
parte subiecti, si da propriamente la formalità dell'oggetto come
oggetto, cioè in quanto conoscibile. Essa è il principio, la
luce, la ragione particolare (ratio formalis sub qua, obiectum formale
quo) sotto la quale si staglia l'oggetto formale quod. Si è
detto che l'oggetto formale quod è il medio dimostrativo, dunque,
la definizione del genere-soggetto, la quale è il principio fondamentale
nella dimostrazione propter quid. Perciò, la ragione formale sotto
la quale si delinea l'oggetto formale quod è il modo stesso di
definire, strettamente legato ai tré diversi gradi di astrazione formale,
sopra evidenziati. E proprio da questa ratio scibilitatis, da
questo modo di definire, che si desume il principio diversificatore delle
scienze. «Diversa ratio cognoscibilis, di-versitatem scientiarum inducit»,
S. Th., I, 1, 1, ad2. Cfr. In I De Anima, 1.2; In VI
Metaph. 1.1; J. a S. thoma, Cursus Phil., logica II, 27, 1, ed.
REISER, pp. 821-825.
& )
Cfr. S. Th., I, 77, 3.
21 ) Cfr.
S. Th., I, 22, li; 23, 1; I-II, 93, 1.
22 ) Cfr. ^ Th., I-II, 56, 3; 57, 4 e 5; II-II,
47, 8; 55, 3.
12
Senso e valore della ratio tomistica
3. La posizione ontologica
Endtativamente la ratio (secondo il suo significato
primario) viene inferita come una distinta potenza o facoltà
(seconda specie della qualità) dell'anima umana, rispetto alla sua
operazione conoscitiva semplicemente spirituale. L'anima dell'uomo,
infatti, non è immediatamente, cioè per essenza, operativa, ma solo
mediante facoltà. Soltanto in Dio (Atto puro) l'operazione si identifica
con la stessa essenza.23 D'altra parte, nell'anima umana si da
un'operazione conoscitiva che non si esercita attraverso un organo
corporeo e che ha per oggetto l'ente in universale.
4. L'essenza
Essenzialmente la ratio si definisce per
distinzione dall'intelletto in senso stretto. Essa è la stessa facoltà
intellettiva umana, in quanto caratterizzata da un procedimento discorsivo
nella scoperta della verità. Essa è lo stesso intelletto considerato dal
punto di vista del suo atto di indagine o di moto argomentativo.
Intelletto in senso stretto (nous), invece, è il termine con il
quale si indica la facoltà conoscitiva secondo il suo atto di
penetrazione immediata della verità.24
5. Le caratteristiche
Qualitativamente è possibile descrivere la ratio
sulla base di quelle quasi-proprietà che la caratterizzano radicalmente
(come tutto), o nelle sue speciali modalità espressive (parti o modi).
Come tutto la ratio si caratterizza secondo una
duplice prospettiva: intrinseca alla stessa facoltà ed estrinseca, per
riferimento a valori che la trascendono.
Intrinsecamente i valori della ratio si evidenziano
prospetticamente dalla parte dell'oggetto e dalla parte del soggetto.
23 )
Cfr. S. Th., I, 77, 1.
24 ) Cfr. S. Th., I, 79, 8; 59, 1; 64, 2; 81,
3; IMI, 8, 1, ad 2; 49, 5, ad3; C. G., Ili, 89 e 147; 1 Sent. 24,
3, 3, ad 2; 3 De anima, 1. 14.
13
parte prima
Dalla parte dell'oggetto, la ragione ha come
caratteristica sua propria la conoscenza dell'ordine, cioè della
relazione che lega più cose tra loro, rapportandole a una prima e
principale.
Dalla parte del soggetto, proprietà della ratio è
quel movimento discorsivo del pensiero che consegue alla considerazione
dell'ordine. Questa discorsività razionale non è altro che il moto
argomentativo, cioè l'atto del ragionare (ratiodnatio) o il
processo per il quale il pensiero passa da una cosa a un'altra o da una
nozione a un'altra, dando origine al sillogismo o argomentazione.26
Il movimento razionale si sviluppa secondo due vie: quella
di invenzione o composizione {via inventionis vel compositionis) e
quella di giudizio o di risoluzione (via iu.cl.icii seu resolutionis).
La via di invenzione, che da origine al processo
discorsivo partendo dalla intelligenza dei primi princìpi e proiettando
la ricerca alla scoperta del novum, si caratterizza per il metodo
sintetico. Dal semplice si passa al complesso; dalla causa all'effetto
(es. dall'essenza si passa alle proprietà; dall'aseità di Dio alla
partecipazione del mondo), dalla nozione più universale a quella più
particolare (es. dal genere alla specie). .
La via di risoluzione, che conclude il processo discorsivo
con l'intelligenza dei primi princìpi, alla luce dei quali esamina,
valuta e controlla le scoperte fatte, si caratterizza per il metodo
analitico. Dal complesso si passa al semplice: dall'effetto alla causa
(es. dalla proprietà all'essenza; dal mondo a Dio), dalla nozione più
particolare a quella più universale (es. dalla specie al genere, ai
trascendentali).27
Estrinsecamente la ratio si subordina propriamente
alla fede soprannaturale, con tutta la ricchezza e l'autonoma consistenza
dei suoi contenuti. Tale subordinazione, infatti, include altre due
proprietà, ricavabili dall'assioma tomistico: «La grazia non toglie la
natura, ma la suppone e la perfeziona» :28 l'autonomia della
procedura d'indagine e l'armonia con il dato di fede.
In questa prospettiva, la ratio è investita di una
triplice funzione:
dimostrazione di ciò che è presupposto alla fede {praeambula
fidei.
2 ")
Cfr. 1 Ethic., prol.
26 ) Cfr. S. Th., I-II, 9, 1, ad2; 1 Post.,
Pro.; Peri Herm., prò.
27 ) Cfr. S. Th., I, 79, 8 e 9; In B. de
Trin., 2, 2, 1, ad3; 1 Post., 11.1 e 35; De Ver., 15, 1.
Per uno sviluppo più in dettaglio delle rispettive competenze sulle due
vie meto-dologiche cfr. F. E. dolan, Resolution and composition in
speculative and, practical di-scourse, in «Lavai Philosophique et
Théologique» 6 (1950), pp. 9-62.
2S ) Cfr. S. Th., I, 1, 8, ad2; 2, 2, adi.
14
Senso e valore della. Ratio Tomistica
Es. esistenza di Dio e suoi attributi; immortalità
dell'anima razionale;
precetti di legge naturale ecc.); esemplificazione
analogica dei contenuti di fede per sé trascendenti l'umana comprensione;
ruolo apologetico o di difesa contro le contestazioni rivolte alla fede,
mostrando la loro falsità o, almeno, non necessità.29
Le qualità parziali della ratto si evidenziano
attraverso la divisione di quel tutto potenziale che è appunto la ratio
nei suoi modi.
Il termine ratio infatti si dice per analogia di
attribuzione intrinseca delle facoltà (primariamente) e dell'habitus
(secondariamente);
per analogia di attribuzione estrinseca dell'operazione e
dell'oggetto terminale (vedi significati usuali), in ordine alla
segnalazione della facoltà.
All'interno degli analogati intrinseci, si da un'ulteriore
divisione per analogia di proporzionalità propria, sulla base dei diversi
modi che la ratio esprime rispetto a oggetti che appartengono a
ordini for-malmente distinti. Così, se l'oggetto è di ordine
intellettivo, S. Tom-maso parla di ragione universale o intellettiva, che
è la facoltà conoscitiva spirituale; se l'oggetto è di ordine
sensitivo, S. Tommaso parla di ragione particolare o cogitativa, o
intelletto passivo, che è una facoltà conoscitiva di ordine sensitivo
interno e che ha come organo proprio la parte mediana del cervello.30
Nell'ambito della ragione universale, si distinguono i
diversi modi di esercizio della stessa facoltà rispetto alla natura
semplicemente spe-culabile (ragione speculativa), oppure operabile
(ragione pratica), eterna (ragione superiore), o temporale (ragione
inferiore) dell'oggetto. ; •• ::':
La ragione universale o intellettiva ha due
caratterizzazioni.
Si dice ragione speculativa quando ha come fine la
semplice considerazione della verità in'se stessa,31 e come
oggetto generale il necessario o il contingente, non come è nel
particolare, ma come è in universale.32 . '
Se essa assume come oggetto speciale l'eterno, Dio
conosciuto per se stesso (esistenza e attributi divini inferibili dalle
realtà create; l'ambito della sapienza metafisica nella sua funzione
conoscitiva), oppure come mezzo e criterio di giudizio sulle verità e
realtà temporali (am-
•"') Cfr. In B. de Trin., Pro., 2.
30 ) Cfr. S. Th., I, 78, 4; De anima,
13.
") Cfr. S. Th., I, 79, 11.
32 ) Cfr. 6 Ethic., 1.1.
15
parte prima
bito della sapienza metafisica nella sua funzione
architettonica e giudicativa rispetto ai principi delle altre scienze),
allora essa è qualificata come ragione superiore.n
Se invece essa considera come oggetto speciale ciò che è
temporale, il mondo creato, conosciuto in se stesso (le nature create, i
primi principi e le loro conclusioni; ambito delle scienze teoretiche come
la fisica e la matematica), oppure come mezzo per raggiungere la
conoscenza dell'eterno secondo la via di invenzione, in questo caso la
ragione viene qualificata come ragione inferiore.
I concetti di ragione superiore e inferiore, che indicano
rispettivamente {'habitus sapienziale e quello scientifico, vengono
mutuati da S. Tommaso dal pensiero di S. Agostino e reinterpretati
aristotelicamente.34
Si deve poi notare che la ragione speculativa discorre di
nozione universale in nozione universale, secondo un metodo che si
dice razionale, sia per i princìpi utilizzati, sia per il modo di
conoscere proprio dell'anima umana.35 Si parla di metodo
razionale rispetto ai princìpi utilizzati, perché in essi si può
effettuare la perfetta risoluzione delle conclusioni comuni, come avviene
nella logica (scienza razionale) e nella metafisica, scienze che
analogicamente si riferiscono a ciò che è comune a ogni ente. Si parla
di metodo razionale per riferimento al modo di conoscere dell'anima umana,
perché si passa dal sensibile all'intelligibile e dall'effetto alla
causa, come avviene nella scienza naturale, e solo accidentalmente nella
metafisica.
La ragione universale si dice ragion pratica,
quando ha come fine la dirczione dell'azione,36 sia transitiva
che immanente.37
Essa ha come oggetto l'operabile, considerato in
universale e soprattutto in particolare. L'operabile in universale è la
regola del fare (arte); oppure la norma dell'agire, la legge morale
conosciuta attraverso la ragione superiore (legge eterna, divina) o la
ragione inferiore (legge naturale) nella loro funzione pratica.
L'operabile in, particolare è il contingente operabile.38
La ragione pratica discorre di nozione universale
in nozione particolare,39 secondo uno sviluppo analogamente
proporzionale a quello
") Cfr. S. Th., I, 79, 9; 2 Sent. 24,
2, 2.
34 ) Cfr. De Ver. 15, 2c e ad3.
") Cfr. In B. de Trin., 2, 2, 1, adi.
3]s ) Cfr. S. Th., I, 79, 11.'
37 ) Cfr. S. Th., I-II, 57, 4.
3S ) Cfr. S. Th., II-II, 47, 3.
w ) Cfr. 3 De anima, 1.16.
16
Senso e valore della Ratio Tomistica
della ragione speculativa: nell'ambito pratico, il fine
sta ai mezzi come nell'ambito speculativo i principi stanno alle
conclusioni.40 La novità differenziale apportata dalla ragion
pratica sta nella maggior complessità di articolazione del suo sviluppo,
che comprende due fasi.
Nella prima fase, prevalentemente
considerativo-progettuale (speculative-pratica), supposto l'imperativo
generale della sinderesi (il bene è da farsi e il male da evitarsi) e le
inclinazioni naturali dell'uomo a determinati fini (che hanno sempre
ragione di bene), si passa alla formulazione delle norme o leggi speciali
universali (precetti affermativi e negativi). Queste norme devono regolare
l'azione libera dell'uomo nel suo concreto esercizio.41
La seconda fase è prevalentemente applicativa
(pratico-pratica). Supposta la norma universale (es. si devono onorare i
genitori), motivata dal principio generale (il bene è da farsi) e dal
giudizio di valore specifico (onorare i genitori è un bene), secondo la
ragione superiore (perché è conforme al comando di Dio), o secondo la
ragione inferiore (perché è un'azione onesta e dignitosa),42
si passa alla formulazione particolare del riconoscimento dell'operabile
situato qui e ora (questi sono i miei genitori; quest'azione è
.una concreta testimonianza di onore).43 . , ^ ,, .;,
Quindi scatta conclusivamente la presa dicoscienza qui
e ora del dovere (devo onorarli!), e la decisione imperativa
dell'esecuzione libera, qui e ora, della norma.44
La ragione pratica sviluppa il proprio discorso attraverso
il metodo che si dice razionale secondo il termine.45
Nella scienza morale, infatti, non si giunge mai alla certezza dei primi
princìpi, ma si resta sempre in una specie di certezza opinativa o di
ricerca, data la particolare contingenza dell'ambito applicativo. Ciò che
è formale nella scienza morale è la dirczione dell'azione libera, nella
sua concreta par -ticolarità, e non tanto l'aspetto universale e
deduttivo.46
La ragione particolare o cogitativa (intelletto
passivo)47 si caratterizza secondo due livelli di
considerazione: in se stessa e per riferimento alla ragione universale.
40 ) Cfr.
S. Th., I, 83, 4; I-II, 9, 3.
41 ) Cfr. S. Th., I-II, 94, 2.
42 ) Cfr. 2 Sent., 24, 2, 2.
43 ) Cfr. De anima, 1.16; 6 Ethic.,
11.1 e 2.
44 ) Cfr. 2 Sent., 24, 2, 4c e ad2.
45 ) Cfr. In B. de Trin., 2, 2, 1, adi e ad4.
46 ) Cfr. S. Th., II-II, Prol.; I, 22, 4 adi.
47 ) Cfr. C. G., II, 60.
17
parte prima
In se stessa, la ragione particolare si caratterizza per
il raffronto discorsivo (collatio) fra. gli oggetti individuali;
per l'elaborazione del phantasma (schema percettivo della
sensibilità), con la cooperazione dell'immaginazione e della memoria; per
la percezione della sostanza individuale, come ciò che esiste in una
natura comune (es. quest'uomo; questo legno), che risulta così essere
sensibile indirettamente o per accidens.^ • ' ' .'
Tutto questo è possibile per un certo influsso
partecipativo (re-fluentia) della ragione universale, il che basta
a distinguere la cogitativa umana dalla estimativa dell'animale bruto.49
Rispetto alla ragione universale, la cogitativa si
caratterizza per una funzione dispositiva mediana, sia quanto alla
conoscenza dell'universale, sia quanto alla conoscenza del particolare.
Quanto alla conoscenza dell'universale e dei primi
princìpi, la cogitativa elabora Vexperimentum. Esso nasce dal
confronto di più dati singolari simili, colti sensibilmente e raccolti
nella memoria, e dispone il materiale conoscitivo sul quale la ragione
universale interviene con la sua azione umversalizzatnce. In questo modo
l'uomo coglie ciò che è comune nei casi particolari, senza più
considerare il particolare.50
Quanto alla conoscenza del particolare, la cogitativa
fornisce la premessa minore del sillogismo che conclude in particolare
ciò che vale in universale, oppure applica la norma universale
all'operazione particolare qui e ora.51 .
Nella ragione particolare o cogitativa, si realizza così
il confine tra la parte sensitiva e quella intellettiva dell'anima;
perciò essa si trova solo nell'uomo.52 '
48 ) Cfr.
2 De anima, 1.13.
4 ") Cfr. S. Th., I, 78, 4, ad5.
x ) Cfr. 1 Met. 1.1; 2 Post., 1.20.
") Cfr. De Ver., 10, 5c, ad2, ad4.
52 ) Cfr. 3 Sent., 23, 2, ad3.
18
L'AMBIENTE LOGICO DELLA RAZIONALITÀ*
La logica riveste un ruolo assai importante tra le
discipline filoso-fiche che forniscono l'intelaiatura razionale e le
solide basi speculative alla Somma Teologica di S. Tommaso d'Aquino. La
rilevanza del discorso logico si manifesta sotto due aspetti: 1) nel
rigore architettonico e dimostrativo con il quale viene articolato ogni
contenuto e l'intero piano dell'opera; 2) nell'esplicita consacrazione di
alcune questioni, nelle tematiche più ardue del mistero cristiano, alla
pura analisi logica (es. nomi di Dio I, 13; rapporto Persone trinitarie ed
essenza divina I, 29 e 39; unione ipostatica III, 16).
I. Situazione terminologica
Etimologicamente, il termine logica, aggettivo
sostantivato dal latino logicus-a-um, risponde al termine greco
XoyiXT) (té/vr)), derivante dall'aggettivo Àoyixóg (= riguardante il
Àóyog = ragione, discorso, ragionamento, parola).
Usualmente, in S. Tommaso il termine indica: come
sostantivo l'arte o scienza che si occupa dell'operato della ragione; come
aggettivo, invece, logico si oppone a naturale o fisico (=
ontologico).'
In questo senso:
A) nella linea dell'apprensione si distinguono 1) secondo
l'atto, la considerazione logica (consideratio logica) per
opposizione alla consi-' derazione reale: per es., dal punto di vista
logico le sostanze immateriali create e quelle materiali convengono nello
stesso genere della
») In «Divus Thomas» 5 (1993). ') Cfr. Ili, 90, 2; De
Spirit. Creat., 4; De Fot., 7, 7.
19
parte prima
sostanza, implicando la distinzione reale di essenza e di
essere, non convengono invece dal punto di vista naturale o fisico;2
2) secondo il risultato: l'intenzione logica (intentio vel ratio
logica), come il concetto di genere, di specie, di differenza ecc.,
che appartengono al pensato in quanto pensato;3 la definizione
logica (definitio logica vel dialec-tica), se si definisce
attraverso la sola forma ciò che per sé ha l'essere nella materia (per
es. se si definisce la passione dell'ira come desiderio di vendetta,
quando nella realtà fisica essa comporta un'alterazione fisiologica),4
oppure se con la definizione non si giunge ai princìpi stessi della cosa,
ma ci si limita ad alcune condizioni comuni (per es. quando si definisce
la sostanza come ciò che non si predica di un soggetto, ma che riceve le
altre predicazioni),5 allora la definizione non porta alla
conoscenza degli accidenti propri di una cosa; la parte logica (pars
logica) dell'essenza, cioè il genere prossimo e la differenza, quando
le parti naturali sono la materia e la forma.
B) Nella linea dell'argomentazione, invece, la ragione o
prova logica (ratw sive probatio logica) si oppone alla prova
dimostrativa o analitica (analytica), giacché procede da princìpi
comuni e probabili, e non da princìpi propri. Per es., se si argomenta la
superiorità della dimostrazione universale rispetto alla particolare, per
il fatto che ciò che è universale è più conoscibile, si da una ragione
logica, basata su un medio dimostrativo comune a tutta la conoscenza e non
proprio della conoscenza dimostrativa. Se invece si adduce come motivo il
fatto che ciò che è universale, portando in sé immanente la propria passio
(proprietà) ne è la causa, allora si da una ragione analitica o
dimostrativa, perché riguarda propriamente la struttura tipica del sapere
dimostrativo.7
II. Determinazione essenziale
Entitativamente, la logica si pone in stretta relazione
con l'opera-jiyità tipicamente razionale dell'uomo, il quale non agisce
per istinto naturale come gli altri animali, ma attraverso il giudizio
direttivo della ragione. Tale giudizio non si limita alla dirczione delle
operazioni di
2 ) Cfr.
I, 88, 2, ad 4; 66, 2, ad 2.
3 ) Cfr. I, 76, 3, ad 4; 1 Sent. 2, 1, 3.
4 ) Cfr. I De Anima, 1. 2.
5 ) Cfr. 7 Met., 1. 2.
7 ) Cfr. I Post., 1. 38.
20
L'ambiente logico della, razionalità,
ordine sensitivo, ma si estende riflessivamente alle
operazioni della ragione stessa, perché ne sia facilitato e rigorizzato
l'esercizio intrinseco.8
Essenzialmente, i_la logica è quella parte della
filosofia che^ stu^ diando l'ordine proprio della ragione,
lq_applica poi regolativamente all'operato della ragione stessa.]9
Essa e insieme una scienza e un'arte.
Come scienza, la logica scopre e insegna
scientificamente le regole per dirigere l'intelletto nella conoscenza
scientifica. Per es., essa mostra le leggi del discorso sillogistico a
partire dalla natura dello stesso, e risolve nel principio di
identità-non contraddizione e in quello di convenienza e discrepanza il
dinamismo di ogni mediazione inferen-ziale. Essa ha per oggetto proprio
l'ente di ragione, cioè il pensato, non in quanto reale (= oggetto delle
varie scienze), ma in quanto pen;
J>ato, conseguente alla considerazione del pensiero.
Tali sono, per es.^, i concetti di genere e di specie che, non avendo un
corrispondente formale nella realtà, esprimono il modo di essere
della realtà nel nostro pensiero. E grazie alla riferibilità del
pensiero a se stesso che si costituisce la possibilità di questa
concettualizzazione della concettualiz-zazione (intentio secunda).10
L'ente di ragione, così costituito, ha la stessa estensione dell'ente
reale, perche ogni ente^ reale pu^nentrare nella considerazione della
ragione."
In questo senso, S. Tommaso parla di scienza razionale (rationalis
sdentia),12 perché è fatta dalla ragione e riflette syll'pperato_della^
stessa; oppure parla di filosofia razionale: (rationalis philosophia),"
o di logica docens nel suo aspetto formale.14
Come arte, la logica dirige l'attività stessa della
ragione, perché l'uomo possa procedere nel pensare con ordine, facilità
e senza errore.15 Così, essa è strumento del procedimento
scientifico, dirigendo formalmente l'operato di ogni scienza come qualcosa
da farsi.16
8) Cfr. Post., Pro.
") Cfr. Ethic., Pro.
10 ) Cfr. I, 85, 2.
") Cfr. 4 Met., 1. 4.
") Cfr. 1 Perih., 1. 1; Post. Pro.; In
B. Trin., 2, 2, 1.
") Cfr. 3 Physic., 1. 8; Ethic., Pro.
") Cfr. 4 Met., I. A; In B. Trin., 2, 2, 1.
") Cfr. Post. Pro.
16 ) Cfr. In B. Trin., 2, 1, 1.
21
parte prima
E la logica docens nel suo aspetto quasi obiettivo
di compless.ó.nietQ:
dologico che viene per sé usata in ogni scienza nel
rispetto dei contenuti materiali propri di ogni settore.
III. Caratterizzazione qualitativa
Qualitativamente, la logica può essere descritta nelle
sue caratteristiche radicali (come un tutto), oppure secondo i suoi modi
speciali o parziali (parti o modi). ;
Come totalità complessiva, la logica si caratterizza: i
in quanto scienza, come essenzialmente speculativa, perché
riguarda l'operato speculativo, per sé finalizzato alla conoscenza, e ha
una certa comunanza d'oggetto con la metafisica^7 in quanto
arte, ,come arte liberale (del Trivio), perché è speculativa e la
sua fattività (costruire sillogismi) riguarda la parte libera, cioè
spirituale, dell'uomo^18
Le caratteristiche quasi speciali della logica risultano
dalla divisione della totalità complessiva nelle sue parti potenziali o
modi. Il termine logica, infatti, indica un tutto potenziale, giacché si
dice, per analogia di attribuzione intrinseca, dell'abito scientifico
(primariamente) e dell'abito artistico (secondariamente); per analogia di
attribuzione estrinseca, invece, dell'atto considerativo e dell'oggetto.
L'ulteriore divisione del tutto epistemologico
rappresentato dalla logica come abito, avviene sulla base del diverso
grado di rigore secondo il quale si articola l'attività della ragione.
Allo sviluppo dell'attività razionale secondo il processo necessario
presiede la logica Giudicativa, o Analitica, o Dimostrativa, la
quale risolve ogni asserto nell'evidenza dei primi princìpi, sia badando
al semplice rigore della correttezza formale (logica formale), sia
considerando la necessità connettiva dello stesso contenuto (logica
materiale). Al procedimento contingente presiede la logica Inventiva,
che si articola ulteriormente secondo tré gradi di certezza relativa:
alla opinabilità del probabile risponde la Topica, o Dialettica, o
Tentativo; alla tendenzialità del sospetto presiede la Retorica;
alla persuasività rappresentativa, invece, la Poetica. Il campo di
azione della Sofistica, infine, è il procedimento difettoso ed
erroneo.20
17) Cfr. 4 Met., 1. 4; In B. Trin., 2,
2, 1.
") Cfr. II-II, 47, 2, ad 3.
20 ) Post., Pro.
22
L'ambiente logico della razionalità
A. II^LOfflOWrCfDK'ATIVA «D,@(3TOS».$
La logica Giudicativa, o Analitica, o Dimostrativa si
dice docens, quando possiede la scienza e la dottrina circa la
correttezza o necessità formale del pensato in quanto pensato (logica
formale), e circa la necessità delle connessioni materiali dello stesso
(logica materiale), nelle tré diverse operazioni dell'intelletto.
1. Aspetto formale
Come logica formale, essa studia: a) nella prima
operazione dell'intelletto (intelligentia indivisibilium =
concepimento dell'essenza), il nome e il verbo quali parti integrali della
enunciazione, cioè come voci per sé significative (dictiones);21
b) nella seconda operazione dell'intelletto (compositio vel divisto
= giudizio) l'enunciazione; e) nella terza operazione dell'intelletto {discursus
= ragionamento) l'argomentazione.
- Il nome, voce per sé significativa senza tempo,22
soggiace a una duplice considerazione: assoluta e relativa. Assolutamente
parlando, se ne evidenziano la comprensione, cioè che cosa esso
dice (es. uomo = vivente, senziente, intelligente), e ^-estensione, o
il numero dei soggetti dei quali si dice (es. uomo = Pietro, Paolo, i
Cinesi ecc.).
Quanto alla comprensione, se si considera il modo di
significare, il nome si distingue in sostantivo, cioè indicativo
del modo sostanziale, e in aggettivo, indicativo del modo
accidentale. Il sostantivo concreto significa il soggetto
sussistente (es. uomo), connotando la forma; il sostantivo astratto
significa la forma determinante (es. umanità). L'aggettivo concreto
significa la forma connotando il soggetto (es. bianco); {'astratto
significa per sé la forma (es. bianchezza).23 Se si considera
il contenuto significato, il nome diviene strumento della definizione,
o discorso preenunciativo che esprime l'essenza.24
Quanto all'estensione, se si considera il modo di
significare, il nome è universale, quando indica distributivamente
molti individui (es. ogni uomo); particolare, quando indica
disgiuntivamente una parte di individui (es. alcuni uomini); singolare,
quando indica l'individuo in-
21 ) Cfr.
1 Perih., 1. 6.
22 ) Cfr. 1 Perih., 1. 4.
23 ) Cfr. I, 39 passim.
24 ) Cfr. De ente, 1; 1 Perih., 1. 8.
23
parte prima
comunicabile (es. quest'uomo, Pietro) ;4fidefìmW,
quando non indica precisamente l'estensione (es. l'uomo).25 Se
si considera il contenuto significato, il nome diviene strumento della divisione,
o discorso risolutivo di un tutto nelle sue parti.
Le parti integrali non ricevono propriamente la
predicazione del tutto integrale separatamente, perché non si
trova in ciascuna di esse ne secondo tutta la sua essenza, ne secondo
tutta la sua virtù (es. casa si dice complessivamente del tetto, delle
pareti e delle fondamenta). Le parti soggettive, invece, ricevono la
predicazione del tutto universale distintamente, perché questo si
trova in ciascuna di esse secondo tutta la sua essenza e virtù (es.
animale si dice dell'uomo, del cavallo;
così il genere si dice delle specie). Le parti potenziali
ricevono la predicazione del tutto potenziale in modo diversificato
e gerarchico, perché si trova in ciascuna di esse secondo tutta la sua
essenza, ma non secondo tutta la sua virtù (es. anima si dice
primariamente dell'anima razionale, poi della sensitiva e della
vegetativa).26
In senso relativo, il nome può essere assunto come parte
materiale dell'enunciazione, e così occupa il posto del soggetta;
(ciò di cui si dice qualcosa),27 oppure come pane formale
della stessa, e così tiene il posto del predicato (ciò che si
dice del soggetto).28
Proprietà del nome come soggetto è la suppositivi,,
cioè l'indicazione di ciò per cui sta il nome nella proposizione.29
Essa può essere materiale, quando il nome sta per se stesso (es.
uomo è una parola), o formale, quando il nome indica altro da sé.
In questo caso, la supposi-tio si dice logica se il nome sta
per un ente di ragione (es. uomo è una specie); si dice reale se
indica l'ente reale (es. l'uomo è un animale razionale).
Proprietà del nome come predicato è la significazione
(significano), cioè l'indicazione del contenuto obiettivo del nome
(essenza-definizione).30 Essa può essere: univoca,
quando indica un contenuto assolutamente identico per i diversi soggetti
dei quali è predicabile (es. uomo detto di Pietro, Paolo ecc.); equivoca,
quando indica un contenuto totalmente diverso per i diversi soggetti dei
quali è predicabile (es. cane detto dell'animale e del grilletto); analogica,
quando indica
25 ) Cfr.
1 Perih., 1. 10; I, 11, 3.
26 ) Cfr. I, 77, 8.
27 ) Cfr. 1 Perih., 1. 8.
28 ) Cfr. ibid..
29 ) Cfr. 3 Sent., 6, 1, 3.
M ) Cfr. Quodl., 3, 2, 2, ad 1.
24
L'ambiente logico della razionalità
un contenuto assolutamente diverso e relativamente uguale
per i diversi soggetti dei quali è predicabile (es. sano detto
dell'animale e della medicina).
- Il verbo (voce per sé significativa,
consignificante il tempo), assolutamente parlando significa l'azione a
modo di azione, la quale è misurata dal tempo.31 Così esso
può fungere sia da soggetto (es. correre è muoversi), sia da predicato
(es. l'uomo corre). In senso relativo, il verbo si pone sempre dalla parte
del predicato, perché per sé esso implica la composizione del soggetto
con il predicato, e d'altra parte l'azione inerisce sempre al soggetto.
— ^'enunciazione è l'orazione perfetta, nella
quale si da verità o falsità come nel proprio luogo segnaletico.32
Si tratta dell'orazione indicativa, finalizzata
alla dimostrazione secondo le proprietà delle cose. Essa si struttura
sulla relazione copulativa del soggetto e del predicato attraverso il
verbo essere,33 e si dice «de tertio adiacente» quando
il verbo essere è una terza dictio nell'enunciazione (es. Socrate
è bianco); si dice «de secundo adiacente^ quando il verbo essere
è il sold predicato, e origina il giudizio di esistenza (es. Socrate è =
esiste).34
Le proprietà assolute dell'enunciazione si determinano
sulla base della sua forma, materia, quantità è unità.
Rispetto alla forma, l'enunciazione può essere affermativa
(es. Socrate è bianco), assumendo il predicato secondo tutta la sua
comprensione (particolare), oppure negativa (es. Socrate non è
bianco), assumendo il predicato secondo tutta la sua estensione
(universale).
Rispetto alla materia, l'enunciazione può essere necessaria,
se indica ciò che è e non può non essere; impossibile, se indica
ciò che non è e non può essere; contingente, se indica ciò che
è ma può non essere;
possibile, se indica ciò che non è ma può essere.
In tutti questi casi, poi, l'enunciazione si dice modale o assertoria,
a seconda che espliciti o meno il modo (è necessario... ecc.) oltre al
detto.
Rispetto alla quantità, l'enunciazione può essere universale
(es. ogni uomo ride), particolare (es. qualche uomo ride), singolare
(es. Socrate ride), inde finita-ics, l'uomo ride).
31 ) Cfr. 1 Perih.,
1. 5.
") Cfr. 1 Perih., 1. 7.
") Cfr. 1 Perih., 1. 3.
34 ) Cfr. 1 Perih., 1. 2.
25
parte prima
Rispetto all'unità, l'enunciazione si dice'semplice o
wmposfa se è costituita da una o più proposizioni. Nel secondo caso
essa può essere ipotetica (se c'è x - condizione -, c'è y -
condizionato), vIisgMWtivsf (o c'è x, o c'è y), copulativa
(e c'è x e c'è y).
Le proprietà relative o interproposizionali
dell'enunciazione si fondano sulla combinazione della forma e
dell'estensione, per cui si hanno: {'universale affermativa
(simbolo: A), Y universale negativa (£), la particolare
affermativa (i) e la particolare negativa (o).
Esse sono {'opposizione, cioè la reciproca
esclusione di proposizioni con medesimo soggetto e predicato, e la conversione,
o inversione d'ordine tra soggetto e predicato, mantenendo la forma e
la verità dell'enunciazione. Se l'opposizione consente una soluzione
intermedia, abbiamo la contrarietà: A ed E non sono
entrambe vere ma possono essere entrambe false; oppure la sub
contrarietà: i e. o non sono entrambe false, ma possono essere
entrambe vere. Se non si consente alcuna soluzione intermedia, siamo nel
caso della contraddittorietà : i rapporti A-o, E-i indicano
l'opposizione massima; una proposizione è vera, l'altra necessariamente
falsa (principio di non contraddizione).
Si convertono semplicemente, cioè senza variare la
quantità: E (in E), perché il soggetto universale e il
predicato di una negativa hanno la medesima estensione; i (in ;'),
perché il soggetto particolare e il predicato di una affermativa hanno la
stessa estensione. Si convertono accidentalmente, cioè variando la
quantità, A (in ;'), perché il predicato di una affermativa è
particolare; tuttavia A può convenirsi semplicemente se soggetto e
predicato hanno la medesima estensione (es. se il pred. è la definizione
del sogg.). Per contrapposizione, cioè rendendo infiniti i termini
anteponendo un non, si convertono: A (in A), es. ogni
uomo è libero = ogni non libero è non uomo; o (in o), es. qualche uomo
non è sapiente = qualche non sapiente non è non uomo.
— L''argomentazione consiste nel rapporto consequenziale
tra enunciazioni, per cui, posti alcuni dati (antecedente), risulta
necessariamente qualcos'altro (conseguente), per il solo fatto che quei
dati sono stati posti. Così, se l'antecedente è vero, il conseguente è
vero;
se l'antecedente è falso, il conseguente può essere vero
o falso.35
Se la conseguenza argomentativa si sviluppa secondo il
passaggio dal più universale al meno universale (piano intelligibile),
abbiamo il sillogismo o deduzione; se invece si sviluppa passando
dal singolare all'universale (dal sensibile all'intelligibile), abbiamo l'induzione.36
") Cfr. 1 Post., 11. 13 e 42. 36)
Cfr. 1 Post., 1. 1.
26
L'ambiente logico della razionalità.
Nel sillogismo, distinguiamo: struttura, leggi,
tipologia. Si da struttura sillogistica, quando due termini (S =
estremo minore; P = estremo maggiore) sono messi in relazione positiva o
negativa tra loro (conseguente o conclusione), perché (antecedente o
premesse) convengono entrambi o solo uno di essi (principio di convenienza
e discrepanza) con un terzo (M = termine medio).
Questa struttura generale si specifica secondo la diversa
disposizione dei termini nelle premesse, originando le tré figure
del sillogismo, così rappresentabili:
Figura 1' 2" 3' Premessa minore S è M S non è M M
è S Premessa maggiore Me P P e M M è P Conclusione S è P S non è P S
è P
Secondo la diversa combinà'zione delle premesse per forma
e quantità, poi, nascono i modi sillogisticP7 (es. per
la sóla rfig.:
A.A.A; E.A.E.; A.i.i; E.i.o).
Anche le leggi sillogistiche si distinguono in
generali e speciali.
Le leggi generali riguardano distintamente i termini e le
proposizioni.
Quanto ai termini: L. 1) devono essere solo tré,
altrimenti non si da mediazione; L. 2) gli estremi devono avere la stessa
estensione nelle premesse e nella conclusione, altrimenti implicherebbero
nascostamente un quarto termine contro L. 1 ; L. 3) il termine medio non
deve ovviamente comparire nella conclusione; L. 4) almeno una volta, il
medio deve essere preso universalmente, per evitare lo sdoppiamento in
particolari e la conseguente moltiplicazione dei termini (L. 1).
Quanto alle proposizioni: L. 5) due premesse negative non
danno conclusione, perché manca la mediazione; L. 6) due premesse
affermative non danno ovviamente una conclusione negativa; L. 7) due
premesse particolari non danno conclusione, perché se entrambe
affermative si va contro L. 4, se entrambe negative si va contro L. 5, se
una sola è negativa si va contro L. 2, giacché il predicato della
conclusione negativa sarebbe universale; L. 8) la conclusione segue la
parte peggiore; è negativa se una premessa è tale, è particolare se una
premessa è particolare.
") Ch. 1 Post., U. 8 e 26.
27
parte prima
Per la F fig. : la minore deve essere affermativa,
altrimenti P della conclusione negativa (L. 8) implicherebbe (L. 2) la
negatività della maggiore contravvenendo a L. 5; la maggiore deve
essere universale, altrimenti M sarebbe particolare come nella minore,
contro L. 4.
Per la T fig. : una premessa deve essere
negativa, altrimenti M non è mai preso universalmente (L. 4); la maggiore
deve essere universale, perché P della conclusione negativa (L. 8) deve
avere la stessa estensione nella maggiore (L. 2).
Per la 3" fig. : la minore deve essere
affermativa, per la stessa ragione data nella 1" fig. ; la conclusione
deve essere particolare, perché S nella minore affermativa è
particolare, e così deve essere nella conclusione (L. 2)
Facile è quindi dedurre i quattordici modi
possibili, rispettando le esigenze delle singole figure. '
II tipo perfetto di sillogismo si ritrova nel categorico
(sopra descritto), nell'ipotetico e nel disgiuntivo.
Nel sili. ipotetico, la premessa maggiore è
un'ipotetica: se X (condizione) allora Y (condizionato); la premessa
minore afferma {ponens) O nega (tollens) la condizione o il
condizionato. Se afferma la condizione, segue il condizionato; se nega il
condizionato, nega la condizione. Se nega la condizione o afferma il
condizionato, non segue nulla.
Nel sili. disgiuntivo, la premessa maggiore è una
disgiuntiva:
o X è, oppure Y è; la premessa minore afferma o nega un
membro dell'alternativa. Se i mèmbri non possono essere entrambi veri, ne
entrambi falsi, l'affermazione o la negazione di un membro implica
assolutamente la negazione o l'affermazione dell'altro.
Il tipo imperfetto di sillogismo si trova nell'entimema,
che tace, una premessa (es. l'anima è spirituale, dunque è immortale).
^'induzione, quanto a struttura, si sviluppa con
l'attribuzione di un estremo al termine medio, attraverso l'altro estremo:
es. l'uomo, il cavallo e il mulo (S) sono longevi; l'uomo, il cavallo e il
mulo (S) sono animali privi di bile (M); tutti gli animali privi di bile
(M) sono longevi (P).38 Quanto alla legge, il suo perno
argomentativo è la divisione e l'enumerazione dei singolari. Se è
completa, cioè se S è tale da esaurire l'estensione di M, l'induzione è
rigorosa.
ls ) Cfr.
aristotele, Anal. Primi, 1, 23.
28
L'ambiente logico della razionalità
2. Aspetto materiale
Come logica materiale, la logica Giudicativa
studia: a) nella prima operazione dell'intelletto, l'essenza astratta,
considerandola non come obiettivamente è in sé (assolute)
prescindendo dalle sue realizzazioni, ma formalmente come universale (modo
di essere nel pensiero);
b) nella seconda operazione, gli assiomi; e) nella terza,
la dimostrazione. ,
— Il concetto universale si riferisce per
predicazione a degli inferiori, indicando il contenuto della predicazione
o il ipodo, della predicazione.
Quanto al contenuto della predicazione: alle nozioni
analogiche rispondono i trascendentali-^9 alle nozioni
univoche rispondono j^gre-dicamenti cioè i supremi generi dei
predicati.
Il predicamento che indica il soggetto per identità è la
sostanza^ (es. Socrate è uomo); se invece ciò che è indicato non
si identifica con H soggetto, ma inerisce a esso intrinsecamente e in modo
assoluto, allora: se consegue alla materia abbiamo il predicamento delìa_guantitas
se consegue alla forma, quello della qualità.
Se l'inesione intrinseca è solo^ relativa (rispetto ad
altro), si ha la relazione.
Nel caso che ciò che è indicato sia estrinseco al
soggetto, allora :se si tratta di estrinsecità solo parziale,
giacché esso inerisce al soggetto quanto al principio, o quanto al
termine, abbiamo rispettivamente l'rf,-zione e {^passione.
Se l'estrinsecità è totale, allora: ciò che misura cronologicamente il
soggetto è indicato dal quando; ciò che lo misura localmente è
il dove (prescindendo dall'ordine delle parti nel luogo), qj;l sito
(se si considera quell'ordine).
Ciò che è in posizione estrinseca e non ha neppure
funzione misu-rativa è indicato dall'ago (disposizione di un corpo per il
possesso di un altro corpo, es. vestito; da non confondere con la prima
specie della qualità).40
Quanto al modo della predicazione, le nozioni univoche si
dicono fredicabili. I termini che si predicano del soggetto in
riferimento all'essenza (in quid), esprimendola completamente, sono
la specie (mo-
39 ) I
Trascendentali (res, unum, alicfytd, verum, bonum) sono dei modi
speciali di significare l'e1nte~^no^elleproprl^t^coestensl^^^ come tale:
con esso jijdenti-ficano realmente e'se^ne^istii^uonb ^er pura distinzione
di ragione ragionata. ——TO) Cfr. 5 Met., l."9.
" " """" "~ '"""
29
parte prima
do implicito, es. Pietro è un uomo) ®4a definizione"
(modo esplicito, es. P. è un animale razionale); quelli che non la
esprimono completamente sono il genere (in quid incomplete; es. P.
è animale) e la differenza (in quale quid; es; P. è razionale). I
termini che si predicano del soggetto indicando ciò che non appartiene
all'essenza sono: l'accidente ^ro/'n'o, che consegue necessariamente
all'essenza (in quale necessario; es. P. è libero), e {'accidente
comune, che è estraneo all'essenza (m. quale contingenter; es.
P. è bianco).41
- Gli assiomi sono i princìpi primi, veri,
necessari, cioè fondati su una predicazione ^universale, per la
quale il predicato si deve dire di tutti gli inferiori del soggetto (dici
de omni; es. se animale si dice dell'uomo, si dice anche di ogni uomo)
; ~per se, nella quale il predicato si dice del soggetto, per o in
ragione del soggetto, avendolo cioè come causa.
•'" Se il soggetto è la causa formale del
predicato, allora di esso si dice la definizione o una sua parte (es.
l'uomo è animale razionale; è animale; è razionale: primo modo dicendiper
se); se ne è la causa materiale, di esso si dice l'accidente proprio,
che nella sua definizione implica il soggetto di inerenza (es. l'uomo è
libero: secondo modo); se rie è la causa efficiente, di esso si dice
l'effetto proprio (es. il pittore dipinge; ciò che è razionale è
libero: quarto modo).
Si deve notare che il terzo modo di predicazione per sé
non è un modo di predicazione, ma di essere per sé (= solitario).
Ciò che non si predica per sé nei modi descritti, si
predica accidentalmente (per accidens) : per es., il pittore canta;
l'azione del cantare non segue alla natura del pittore.
La predicazione deve essere anche primaria, cioè
secondo l'aspetto primario (universale-primo) sotto il quale il soggetto
riceve l'attribuzione necessaria: per es., ogni triangolo isoscele ha la
somma degli angoli interni pari a due retti, inquanto triangolo e
non in quanto isoscele.42
— La dimostrazione è il sillogismo scientifico.
Essa porta alla conoscenza del perché una cosa è tale (propter
quid), oppure del fatto che una cosa è tale (quia). .
La dimostrazione propter quid ha lo scopo di
mostrare l'inerenza al soggetto del suo accidente proprio, attraverso la
causa prima e im-
•") Cfr. C. G., I, 32; 5 Afet.» 1. 12; De ente,
3; De Anima, 12, ad 7. 42) Cfr. 1 Perih., 1. 10.
30
L'ambiente logico della razionalità.
mediata di tale effetto.43 Genericamente si
dice che procede dalla causa all'effetto.44 ' ,
Essa presuppone che si preconosca del soggetto: che è
(esistenza) e che cos'è (definizione reale); del predicato, cioè
della proprietà che si vuoi mostrare inerente al soggetto, che cosa
significa il nome che la indica (definizione nominale); dei princìpi
o assiomi, il fatto che sono veri.45 '
La sua articolazione inferenziale può essere così
esemplificata:
(mi.) l'uomo è razionale (primo modo dicendi per se);
(Ma.) ciò che è razionale è libero (quarto modo); (co.) l'uomo è
libero (secondo modo).46
La dimostrazione quia, terminando all'attestazione
di una fattualità, muove dall'effetto alla causa, o dalla causa remota.47
Se muove dall'effetto proprio (convertibile), essa origina
un'inferenza di questo tipo: (mi.) l'uomo è soggetto a una legge
imperativa;
(Ma.) chi è soggetto a una legge imperativa è libero; (co.)
l'uomo è libero. La dimostrazione che parte da un effetto comune .(non
convertibile) trova la sua applicazione emblematica nella prova
dell'esistenza di Dio, per es. a partire dal divenire.48
Se la dimostrazione muove dalla causa remota, non mostra
la ragione propria dell'effetto: es., la casa non è animale, perché non
è vivente (quando non ogni vivente è animale).49
Quelle finora descritte sono dimostrazioni di tipo estensivo,
cioè argomentano positivamente da princìpi veri e necessari; esiste
però anche una dimostrazione indiretta o per riduzione
all'assurdo, che argomenta la verità di una tesi dalla
contraddittorietà dell'antitesi; es. improcedibilità all'infinito nella
concatenazione delle cause dell'essere (essendi).
B. la LOGICA
GIUD%t|ElVA «UTENS»
La logica Giudicativa o Analitica si dice utens
in senso improprio, giacché l'uso non appartiene alla logica
dimostrativa, ma alle scienze
43 ) Cfr.
1 Post., 11. 13 e 26.
44 ) Cfr. I, 2, 2.
45 ) Cfr. 1 Post., 1. 2.
46 ) Cfr. 1 Post., 1. 8.
") Cfr. 1 Post., 1. 23; I, 2, 2.
48 ) Cfr. I, 2, 3.
w ) Cfr. 1 Post., 1. 24.
31
parte prima
che dimostrano le specifiche proprietà delle cose,
partendo dai princìpi propri di esse e non dalle intenzioni logiche.50
La logica è usata nel senso che insegna il modo di procedere secondo i
princìpi desunti dalle cose stesse.
Tuttavia, si parla di logica utens in senso
proprio, quando in una scienza specifica si usano gli stessi princìpi
logici, riguardanti le comuni proprietà del pensato in quanto pensato,
per concludere in materie specifiche.51 Nasce così
l'argomentazione dialettica (es., se si volesse provare che l'odio e
l'amore sono nell'appetito concupiscibile, perché i contrari hanno il
medismo soggetto).52
C. la LOGICA INVENTIVA
Nella logica Inventiva, che manca della certezza
risolutiva, si trovano la Dialettica, la Retorica e la Poetica.
1. La Dialettica
La Dialettica o Topica è docens quando
scientificamente53 tratta delle modalità argomentative
puramente probabili e opinabili, tipiche delle dispute.54
Esse hanno per oggetto: il contingente operabile in
generale,55 come anche quei problemi che non possono avere una
soluzione scientifica o dimostrativa (es. eternità del mondo);56
tutte le problematiche che possono avere soluzione dimostrativa, ma che il
dialettico si accontenta di ancorare a proposizioni non immediate (per
sé), purché ammesse come evidenti dalla maggior parte degli uomini, o
dai più sapienti.57 Si tratta di soluzioni per autorità,58
o per segni probabili.59
Queste problematiche hanno l'estensione di quelle
metafisiche, perché relative all'ente e alle sue proprietà; tuttavia non
hanno lo stesso rigore risolutivo.60
50) Cfr. 4 Met., 1. 4.
51 ) Cfr. In B. Trin., 2, 2, 1.
52 ) Cfr. 1 Post., 1. 20.
53 ) Cfr. 4 Met., 1. 4.
54 ) Cfr. 3 Sent., 33, 3, 1.
55 ) Cfr. I, 83, 1.
56 ) Cfr. I, 46, 1.
57 ) Cfr. I, 12, 7; 1 Post., 1. 31.
58 ) Cfr. De Ver., 14, 2.
'"') Cfr. Ili, 9, 3.
60 ) Cfr. 4 Met., 1. 4.
32
L'ambiente logico della razionalità
Tali argomentazioni procedono a modo di ricerca61
e di tentativo,62 ponendo interrogativi sulle stesse premesse,
giacché non assumono incontrovertibilmente l'una o l'altra parte della
contraddizione.63
I princìpi che assumono sono estraneirispetto alle
nature delle cose,64 perché appartengono comunemente al
pensato in quanto pensato : sono i luoghi comuni, come quello del
genere, della specie, del tutto e della parte (es., se dal fatto che
Socrate è uomo si prova che è animale, perché di ciò di cui si predica
la specie, si predica il genere).65
Sono perciò meramente probabili,66 per
contrapposizione ai princìpi propri, cioè dimostrativi.
La Dialettica è utens quando esecutivamente fa uso
di questi princìpi e regole per concludere non scientificamente una
verità in qualche scienza particolare (cfr. sopra l'es. dell'odio e
dell'amore).
2. La Retorica
La Retorica è la scienza o l'arte del ben dire e
del persuadere.67 E scienza quando teorizza circa le modalità
della argomentazione retorica.68 Questa ha per oggetto
l'operabile69 deliberabile70 ed è finalizzata alla
persuasione.71
Suo strumento e la congettura, che si fonda formalmente
sulle orazioni: deprecativa, impetrativa, interrogativa, vocativa, che
conducono all'assenso non solo attraverso ciò che compete alle cose
trattate, ma anche attraverso la mozione delle disposizioni passionali
dell'uditorio,72 al fine di renderlo benevolo, docile e
attento.73 La loro movenza tipica è {'entimema
(sillogismo tronco) e {'esempio (induzione tronca).74
") Cfr. II-II, 51, 2 e 4; I-II, 57, 6, ad 3.
62 ) Cfr. 4 Met., 1. 4.
") Cfr. 1 Pori., 11. 5 e 21.
M ) Cfr. 1 Post., I. 13; 4 Met., 1. 4.
65 ) Cfr. De Fall., 4.
66 ) Cfr. II-II, 48.
67 ) Cfr. 3 Sent., 33, 3, 1, 4.
68 ) Cfr. 4 Sent., 15, 4, 3, 2.
69 ) Cfr. II-II, 49, 4, ad 3.
70 ) Cfr. I, 83, 1.
") Cfr. II-II, 48.
") Cfr. I Perih., 1. 7.
") Cfr. 4 Sent., 15, 4, 3, 2; es. In B.
Trin., Pr. 6 Exp.
74 ) Cfr. 1 Post., 1. 1.
33
parte prima
Materialmente l'argomentazione retorica si fonda sulle
nozioni di bene e male, che ne specificano i tré generi: giudiziario
(premio-pena), dimostrativo o epidittico (lode-biasimo), deliberativo
(utile-dannoso).75
La Retorica è arte quando, applicata esecutivamente al
dire, comporta simultaneamente un insegnamento dilettevole e persuasivo.76
3. La Poetica
La Poetica è scienza, secondo quell'aspetto per
cui teorizza la mozione all'assenso77 e lo stimolo alla virtù,78
attraverso rappresentazioni decenti e seducenti (favole, metafore), a
causa del difetto di verità e di incomprensibilità razionale delle cose
trattate.79
Essa è allontanamento dalla scienza, o comunque il grado
infimo,80 in quanto l'uso di metafore non indica la natura e
le proprietà delle cose81 ed è il modo primitivamente
filosofìco d'avvicinamento alle meraviglie del reale.82
D. la sofistica
La logica Sofistica riguarda il sapere puramente
apparente. E do-cens, quando scientificamente dimostra i
procedimenti di prova o di contestazione puramente apparenti,83
cioè sulla base di paralogismi o errori nella forma argomentativa (Fallaciae).^
Tali inganni (fallaciae) si possono dare sia a
livello grammaticale (in dictione), sia a livello reale (extra
dictionem).
f: A livello grammaticale, si da inganno per i
molteplici sensi di una espressione. Se si tratta di una molteplicità
attuale, cioè senza variazioni nell'espressione, allora: rispetto al nome
si da l'equivoco (es. chi ride è uomo; il prato ride;
il prato è uomo);85 rispetto all'enunciato si
75 ) Cfr.
4 Sent., 16, 3, 1, 1, ad 1.
7( -) Cfr. II-II, 177, 1, ab. 1.
77 ) Cfr. 1 Perih., 1. 7.
78 ) Cfr. 1 Post. Pro.
7 ") Cfr. 4 Sent. Prol.
80 ) Cfr. I, 1, 9 ad. 1.
") Cfr. 1 Met. 1. 15; 1 Physic., 1. 15;
2 Meteor., 1. 5.
82 ) Cfr. 1 Met. 1. 3.
83 ) Cfr. 4 Met. 1. 4.
84 ) Cfr. 1 Post. 1., 22; I, I, IO, ab. 1.
85 ) Cfr. 1 Post. 1. 22; I, 1, 13, 5; De Pot.,
7, 7.
34
L'ambiente logico della razionalità
da Y anfibologia (es. questo libro è di
Aristotele: scritto da..., oppure posseduto da...?). Se si tratta di
molteplicità potenziale, cioè con variazioni dell'espressione, allora:
rispetto al nome si da la fallacia d'accento (es. mi piace la
pesca: pésca = sport; oppure pèsca = frutto?);
rispetto all'enunciato si da fallacia per composizione
o divisione (es. posso dormire e vegliare - senso diviso -; ma dormire
e vegliare - senso composto - è impossibile; posso l'impossibile).
Se la molteplicità è solamente apparente, cioè per pura
somiglianzà tra due espressioni che sono identiche accidentalmente,
abbiamo la fallacia per figura della dizione (es. ho mangiato ciò
che ho comprato;
ho comprato carne cruda; ho mangiato carne cruda).86 *}
A livello reale, si da inganno per una certa convenienza di cose
divergenti, o per divergenza di cose per altro convenienti tra loro.
Secondo l'angolatura della perseità e
dell'accidentalità, si da la fallacia dell'accidente (es. uomo è
una specie; Socrate è uomo; Socrate è una specie). Oppure: altro è
Socrate e altro è uomo; Socrate è uomo;
Socrate è altri da se stesso. In entrambi i casi, varia
la suppositio di uomo: da per accidens a per se,
cioè da ente di ragione a sostanza prima.87
Secondo la prospettiva del perfetto e dell'imperfetto, si
da la fallacia dell'assoluto e del relativo (es. questi è un buon
pittore - secundum quid -, dunque è buono - simpliciter).**
Secondo l'opposizione e la non opposizione, abbiamo la
fallacia per apparente contraddizione (ignorantia elenchi), quando
si vuoi concludere una contraddizione dove contraddizione non c'è (es. la
casa è chiusa di notte e non chiusa di giorno; dunque è chiusa e non
chiusa).89
Secondo ^identità e la diversità, l'inganno tipico è la
petizione di principio, cioè si suppone ciò che si intende
provare (es. Plafone è discepolo di Socrate, perché Socrate è maestro
di Fiatone).
Nella prospettiva dell'antecedente e del conseguente, si
può cadere nella fallacia del conseguente, quando nella 2
"fig. sillogistica si contravviene alla L. 4 (es. chi corre si muove,
dunque chi si muove corre).90
M) Cfr.I, 36, 4, ad 4; III, 3, 6, ad 3; De Fall.
10.
87 ) Cfr. 6 Met., 1. 2; 4 Physic., 1.
18; I, 16, 5, ad 3; III, 3, 6, ad 3.
88 ) Cfr. De Fall. 13.
") Cfr. De Fall. 14.
w ) Cfr. 1 Physic., 1. 5; 4 Physic.,
1. 3; 1 Post., 1. 22; 3 Sent., 20, 1, 1, 3, ad 1.
35
parte prima
Nell'ordine della causalità, quando si attribuisce una
causa che non è tale, si cade nella fallacia della non causa, come
causa. Per es. : se non ci sono numeri non c'è il pari; se non c'è
il pari c'è il dispari; se c'è il dispari ci sono dei numeri; dunque se
non ci sono numeri ci sono dei numeri. Ma questo è assurdo. Perciò il
sofista conclude che la prima premessa è erronea, quando invece è la
seconda a esser falsa, supposta la non esistenza di numeri. .
Secondo l'unicità e la molteplicità, infine, si da la
fallacia dell'interrogativo, quando sotto l'apparente unicità di
una domanda si trovano più quesiti, che postulano non una, ma più
risposte differenziate (es. l'uomo e l'asino sono animali razionali?).91
B) La Sofistica è utens quando viene applicata, e
in tal modo difetta dal vero processo dimostrativo, secondo gli esempi
dati.
") Cfr. De Fall. 18.
36
NATURA E PROPRIETÀ DELLA RAZIONALITÀ FILOSOFICA IN S.
TOMMASO D'AQUINO^
Ciò che comunemente viene posto sotto il nome di filosofia
è un sapere piuttosto elevato, relativo alla natura e al sènso
razionalmente investigabile delle cose. In S. Tommaso, tale complesso
conoscitivo trova il suo centro soggettivo e propulsore nella struttura e
nel dinamismo stesso della creatura umana, che ha come proprietà il
vivere d'arte e di ragioni. ' II suo cardine obiettivo, invece, si situa
nell'ordine universale delle cose, del quale la filosofia è
rispecchiamento e progettuale imitazione completiva: proprio del sapiente,
infatti, è ordinare.2
1. L'etimologia
Etimologicamente, il termine philosophia
(sostantivo astratto dell'aggettivo philosophicus) deriva dal greco
(piÀoooqpia: nome astratto composto, originato dall'aggettivo concreto (plÀóooqpoc;,
forse coniato da Pitagora (sec. VI a. C.) per'indicare se stesso come amante
della
sapienza.3
2.
L'uso del termine in S. Tommaso
Usualmente, in S. Tommaso il termine viene assunto come
sostantivo oppure secondo le sue flessioni aggettivale e verbale.
'•' In
«Divus Thomas» 1 (1992). ') Cfr. 1 Post., Prol.
2 ) Cfr. I, 1, 6.
3 ) Cfr. 7 Met., 1. 3.
37
parte prima
Come sostantivo, esso indica la sapienza umana,4
o un insieme sa-pienziale di discipline di ordine genericamente naturale o
razionale, dalla complessa articolazione.5
Secondo la flessione aggettivale (philosophicus-a-um)
il termine può indicare: a) il procedimento puramente razionale in quanto
fondato sulla conoscenza centrata sulla natura delle cose e guidata dal
lume naturale dell'intelletto (ratio, cognitio, disciplina philosophica),
e così distinto da quello fondato su una divina ispirazione, sulla
rivelazione o sulla Sacra Scrittura;6 b) l'interesse diretto
verso la realtà stessa è solo indirettamente attento alle opinioni umane
(inquisitio philosophica);' e) l'obiettiva cautela critica negli
asserti (temperamentum philosophicum).s
Secondo la flessione verbale (philosophari) il
termine indica: a) la fuga dall'ignoranza per l'acquisto disinteressato
del sapere;9 b) il risultato del desiderio di conoscere le
cause delle cose;10 e) l'attività per sé libera e
assolutamente parlando preferibile a ogni altra (melius est
philosophari quam ditari),11 che può costituire il
dilettevole fondamento della convivenza tra amici.12
3. La genesi del dato
La filosofia nasce dalla meraviglia o ammirazione di
fronte al veri-ficarsi di fatti insoliti, che lasciano intrawedere una
causa prima non conosciuta.'3
Quanto al terminus a quo : contrariamente allo
stupore, che genera timore sia in riferimento al giudizio presente, come
in riferimento alla ricerca, sospendendo entrambi, la meraviglia genera un
duplice moto: per un verso la sospensione del giudizio nel presente,
riconoscendo lo stato di ignoranza e la condizione dubitativa;14
per un altro verso il desiderio della scoperta attraverso la ricerca.15
4) Cfr. 1 Met., 1. 3.
5 ) Cfr. Ethic. ProL; I, 1, 1, s.c.; 1, 4. , .
,
6 ) Cfr. 1 Sent. 1, 1; I, 1, 1, ad 2; In B.
Trin., Pro. 2, 3, s.c. 4.
7 ) Cfr. 1 Ethic., 1. 6; 1 Cael. Mundò,
1. 22.
8 ) Cfr. 3 Cael. Mundo, 1. 1; 3 Met.,
1. 1.
9 ) Cfr. 1 Met., 1. 3.
10 ) Cfr. C. G. Ili, 25; 50.
") Cfr. I-II, 32, 3; 66, 3; De Malo, 12, 1; 8 Ethic.,
1. 2; 1 Met., 1. 3.
") Cfr. 9 Ethic., 1. 14. . . ,
") Cfr. 1 Met., 1. 3; In Mt., 5,
2.
14 ) Cfr. III, 27, 4, ad 2; 30, 4, ad 2.
") Cfr. I-II, 41, 4, ad 5.
38
Natura e proprietà della razionalità filolofica
Quanto al tenninus ad quem: la ricerca filosofica
trova il suo compimento nella conoscenza della eausa (perché),
cosi che non ci si meravigli più di quegli effetti insoliti e il
desiderio della conoscenza si estingua con il suo possesso.16
4. L'essenza della filosofia
Nella visione di S. Tommaso, la filosofia è descrivibile
essenzialmente attraverso un riferimento argomentativo ai suoi
princìpi causali, così come avviene per ogni realtà dinamicamente
protesa a un fine. La filosofia ha come fine la beatitudine naturale
dell'uomo (causa finale); infatti, come ogni arte e scienza, essa è
ordinata alla perfezione dell'uomo che è la sua beatitudine.17
Ora, la beatitudine dell'uomo consiste nella considerazione razionale
(causa efficiente) dell'ordine universale e delle sue cause.18
L'ordine, d'altra parte, è l'oggetto
16 ) Cfr.
1 Met., 1. 3; I-II, 3, 8.
17 ) Cfr. Met., Prol.
ls ) La razionalità si compiace dell'ordine, perché
l'ordine è l'oggetto proprio della ragione. Dice S. Tommaso: «Etsi vires
sensitivae cognoscant aliquas res absolute ordinerò tamen unius rei ad
aliam cognoscere est solius intellectus aut rationis» (In Ethic., Prol.).
Etimologicamente il termine ordine deriva dal sostantivo latino orda,
il quale viene fatto risalire o all'aggettivo greco orthos (= tetto,
diritto, saggio), oppure, per la radice or, ai verbi latini orior
(= nasco) e ordior (= comincio), e al greco ornymi {—
faccio andare); la desinenza do determinerebbe il carattere modale
del termine, così che ordine significherebbe la maniera di andare
o procedere. Originariamente, il nome pare che sia stato utilizzato
nell'arte tessile per indicare nel tessuto la serie dei fili
paralleli in linea retta, in linea trasversale e nell'insieme, cioè la trama,
o tessitura, o orditura. Ma anche la collocazione o la
debita disposizione, secondo intervalli regolari, degli stessi fili e il movimento,
cioè l'operazione del tessere, vennero denominati con il medesimo
termine. L'ordine è descrivibile come la relazione o il rapporto tra più
entità distinte e ineguali, in qualche modo gerarchicamente connesse con
una entità prima e principale. Da un punto di vista metafisico, l'ordine
è essenzialmente relazione (cfr. 5 Met., 1. 17).
Principalmente essa si caratterizza come subordinazione a un
qualcosa di primo e massimo, cioè a un principio (cfr. I, 42, 3c; 1 Sent.
20, 3, le.); secondariamente la relazione che struttura l'ordine reale è coordinamento
tra le stesse molteplici entità che convergono in quella prima e
principale: dove più cose si riferiscono a qualcosa di primo e
principale, lì si trova anche un legame vicendevole tra le stesse, per il
medesimo riferimento al primo (cfr. C. G., I, 42; 12 Met., 1. 12; De
Ver. 5, 1, ad 9). Le cose o i contenuti che risultano correlati e
subordinati tra loro devono essere distinti e diseguali,
perché ci sia una gerarchia, cioè un maggiore e un minore (cfr. 1 Sent.
19, 1, le.) e sia garantita una reale molteplicità fondata su differenze
e gradi di perfezione (cfr. C. G., Ili, 71). Evidentemente questi
contenuti devono essere ordinabili reciprocamente o per riferimento
ad altro (cfr. De Pot., 7, Ile.); la stessa convergenza in
un medesimo punto o in qualcosa di analogicamente condiviso consente che
la distinzione dei contenuti non sia per semplice disparità generatrice
di caoticità, ma per unità d'ordine (cfr. In Div. Nom., 4, 1. 1).
Scoprire o semplicemente vedere queste relazioni appaga la ragione, la
quale si immerge in esse per connaturalità come nel suo ambiente più
proprio.
39
PARit prima
proprio o la materia circa quam della sapienza
(causa materiale), giacché al sapiènte compete ordinare.19
Dunque la filosofia è la sapienza umana, (causa formale).20
Essa considera le cause più elevate della
«Questa è l'ultima perfezione alla quale può arrivare
l'anima secondo i Filosofi, cioè che in essa venga descritto tutto
l'ordine dell'universo e delle sue cause» (De Ver., 2, 2). E in un
altro passo S. Tommaso dice: «Considerando la perfezione naturale
dell'uomo, i Filosofi dissero che la felicità ultima dell'uomo consiste
in questo, cioè che nella sua ianima venga descritto tutto l'ordine
dell'universo» (De Ver., 20, 3).
a) // livello trascendente
Tutte le realtà create sono ordinate secondo un unico
ordine immanente, rispetto a un unico principio esterno e separato da
esse, cioè trascendente (cfr. I, 47, 4). Secondo il livello trascendente
dell'ordine cosmico, tutte le creature sono ordinate da Dio e a
Dio. La radicalità di tale riferimento è a tal punto primaria e
principale da essere l'origine delle conseguenti relazioni reali che si
trovano immanenti nelle stesse creature (cfr. 1 Sent., 44, 2c.).
L'unità ordinata dell'intero universo dipende dall'unità della mente
divina che l'ha progettata; perciò si riconduce ad essa come a sua causa
esemplare, efficiente e finale. Si riconduce a Dio come a causa esemplare,
perché Dio porta in sé l'idea matrice di tutto l'ordine universale (cfr.
I, 15, 2), che altro non è se non la sua stessa essenza, concepita come
possibilità di infinite partecipazioni parziali e similitudinarie. Si
riconduce a Dio come a causa efficiente, perché, essendo l'ordine
universale ciò che di più perfetto si trova nelle realtà create, non
può essere ricondotto che alla causa più perfetta (cfr. C. G., II, 42);
d'altra parte, il bene comune di tutto l'universo, cioè l'ordine, non
può che dipendere dalla causa universalmente comune. Per questo Dio ne ha
somma cura (cfr. C. G., III, 64). Si riconduce aDiocomea causa finale,
perché l'ordine dei fini corrisponde all'ordine degli agenti. Dio, quale
causa prima universale dell'ordine cosmico, non può che esserne anche il
fine ultimo. Del resto, l'unità tra cose tanto disparate non può trovare
giustificazione nelle cose stesse, ma in un principio esterno
finalizzatore, così come l'ordine che si riscontra tra i componenti di
una squadra è determinato dal riferimento di tutta la squadra al fine
inteso dal suo capitano (cfr. C. G., I, 42; De Ver., 5, 4c).
b) // livello immanente
A livello immanente, l'ordine cosmico presenta due
aspetti: uno propriamente strutturale, l'altro specificativo. L'aspetto
strutturale dell'ordine cosmico consiste nella sua intelaiatura causale (cfr.
De Ver. 11, le.) e offre il sostegno all'aspetto scientifico, in
senso lato, della meditazione filosofica: si riflette mi perché e
sul senso proprio delle cose, oltre che sul loro senso profondo,
radicato nella causalità trascendente di Dio. Questa intelaiatura causale
si da sia per connessione e subordinazione in uno stesso genere di causa,
sia per connessione e subordinazione tra cause di genere diverso. Tra le
cause di uno stesso genere si da una molteplicità di ordini tra loro
subordinati, tanti quante sono le cause dalle quali dipendono (cfr. I,
105, 6). Ciò è facilmente esemplificabile nelle cose umane, dove
l'ordine domestico, reno dal capofamiglia, rientra nell'ordine civile,
retto dall'autorità competente, e l'ordine civile rientra in quello
naturale, retto da Dio. Tra le cause di diverso genere si stabilisce pure
una subordinazione e una concatenazione, giacché nel diverso genere le
cause sono l'una causa dell'altra (cfr. De Ver. 28, 7), soprattutto
in riferimento alla causa finale. La materia è in certo modo causa della
forma, in quanto la sostiene. La forma è, a sua volta, in qualche modo
causa della materia, in quanto le da l'essere in atto. L'agente è causa
del fine, in quanto lo realizza. Il fine è causa della causalità
dell'agente, in quanto attrae la sua azione e, attraverso questa, è causa
anche della causalità della materia e della forma, perché la causa
efficiente, cosi attuata secondo la sua causalità, dispone la materia
alla ricezione della forma e infonde la forma nella materia (cfr. 5 Met.,
1. 3).
In questo senso, il fine ottiene il giusto titolo di causa
di tutte le cause'(eausa causa-rum) (cfr. 1 Sent., S, 1, 3c;
I, 5, 3, ad 1 ; I-II, 1, 2c. ; InDiv. Nom., 4,1. 2; C. G.
Ili, 17, 2;
40
Natura, e proprietà della razionalità filosofie»
realtà e giudica e ordina ogni cosa, perché il giudizio
perfetto e universale si da solo per risoluzione nelle prime cause.21
2 Physic., 1. 5) e la meditazione sul fine
rappresenta in qualche modo la madre di ogni profonda meditazione.
L'aspetto specifico dell'ordine cosmico consiste per l'appunto nei
contenuti specifici dello stesso, cioè nei diversi ordini sostanziali.
Nella sostanza si ritrovano sia gli individui che le specie: nelle
sostanze corporee gli individui si distinguono dalla specie; nelle
sostanze spirituali gli individui sono specie sussistenti. Nell'ordine
delle sostanze corporee, l'ordine degli individui è subordinato
all'ordine delle specie, perché l'individuo sta dalla parte della materia
(cfr. I, 86, 3), mentre la specie sta dalla parte della forma (cfr. I, 5,
5c.) - e la materia è subordinata alla forma. Perciò l'ordine
dell'universo si trova per sé nell'ambito delle diverse specie (cfr. 2 Sent.,
3, 1, 4, ad 3), mentre negli individui di una specie l'ordine si trova
solo accidentalmente e in funzione della conservazione della specie
stessa, giacché questa nelle cose corruttibili non può conservarsi
perpetuamente in un solo individuo (cfr. C. G., II, 45; 48; 93; I, 47, 2).
L'ordine delle specie è staticamente determinato dalla diversità delle
forme (cfr. C. G. Ili, 97) che si distinguono gerarchicamente secondo
diversi gradi di perfezione (cfr. I, 47, 2), in modo tale che il grado
minimo della forma più perfetta si collega con il grado massimo di quella
meno perfetta (cfr. C. G. II, 68; III, 97; In Div. Nom. 7,1. 4). I
corpi misti sono più perfetti dei corpi elementari; i vegetali sono più
perfetti dei minerali; gli animali sono più perfetti dei vegetali e
l'uomo è più perfetto di tutti gli altri animali. La stessa graduatoria
si ritrova nelle singole specie contenute in questi generi. Dinamicamente,
l'ordine di perfezione tra le varie forme specifiche si caratterizza per
la duplice finalità genetica e operativa. Dal punto di vista genetico, la
tendenza insita in ogni cosa creata è quella di raggiungere una certa
somiglianzà con Dio, per essere in sé perfetta. Perciò è iscritto
nella stessa materia il desiderio di raggiungere il grado di attuazione
più perfetto ad essa consentito, con l'acquisizione della forma più
perfetta, secondo lo sviluppo generale del cosmo. In questo modo la
materia prima è orientata potenzialmente anzitutto alla forma
dell'elemento; quindi, attuata in questo modo, è orientata alla forma del
misto e sotto questa forma è orientata all'anima vegetativa; l'anima
vegetativa è potenzialmente orientata all'anima sensitiva, come la
sensitiva all'anima razionale o umana. L'uomo è quasi orizzonte e confine
tra la natura corporea e quella spirituale (cfr. C. G., II, 68; IV, 55): a
causa dell'anima razionale, egli è posto al vertice di tutte le creature
corporee (cfr. 2 Sent., 1, 2, 3, ad 3). Dunque l'uomo è il fine di
tutta l'evoluzione cosmica soggiacente alla creazione divina; verso l'uomo
è tendenzialmente protesa tutta la potenzialità della materia (cfr. C.
G. Ili, 22). Nell'uomo si rispecchia la stessa perfezione dell'universo.
La sua struttura ripropone in sintesi tutti gli elementi e le creature
dell'universo, costituendolo un microcosmo (minar rnundus) (cfr. I,
91, 1; 8 Physic., 1. 3). L'anima razionale, potendo spiritualmente
divenire ogni cosa, è il luogo in cui si manifesta il vertice
dell'universo sensibile: la perfezione del tutto si trova in una sua
parte, per l'atto conoscitivo dell'intelletto speculativo, che descrive e
spiega l'ordine dell'universo e delle sue cause (cfr. De Ver., 2,
2). Ma l'ordine delle diverse forme specifiche determina anche un diverso
ordine operativo, giacché l'agire segue l'essere secondo la sua
formalità specifica (cfr. C. G., Ili, 97). All'ordine di perfezione
gerarchica tra le forme consegue l'ordine per il quale una creatura è
mossa e diretta da un'altra (cfr. I, 103, 4, ad 1). Si danno così diversi
fini, subordinati tra loro e diretti al fine ultimo. Le creature meno
perfette sono subordinate all'attività di quelle più perfette, perché
ad esse sono finalizzate: i minerali dicono ordine alla vita dei vegetali;
questi sono ordinati alla vita degli animali, e gli animali alla vita
dell'uomo (cfr. De Pot., 5, 9c.; I, 65, 2). Tutto il mondo corporeo
è finalizzato all'uomo, o per il sostentamento della vita fisica, o per
introdurlo alla conoscenza di Dio (cfr. 4 Sent., 48, 2, le.),
perché secondo l'ordine del fine non esiste nulla di più alto e nobile
dell'uomo se non Dio, sua perfetta beatitudine (cfr. I-II, 2, 8 ad 2; C.
G., IV, 54).
41
parte prima 5. Le caratteristiche della filosofìa
Qualitativamente la filosofia può essere descritta
secondo le sue caratteristiche radicali (come tutto), oppure attraverso i
suoi modi speciali o parziali (parti o modi).
le CARATTERISTICHE RADICALI
Come unità totale, la filosofia possiede delle
caratteristiche che la qualificano intrinsecamente e altre che la
determinano secondo punti di riferimento estrinseci.
Intrinsecamente, la qualificazione della filosofia ha un
aspetto fisico e uno psicologico.
Quanto all'aspetto fisico, essa è caratterizzabile come
un complesso di habitus operativi, cioè di qualità della prima
specie, che perfezionano la facoltà intellettiva nel suo esercizio
conoscitivo e direttivo dell'azione.
Quanto all'aspetto psicologico, si distinguono due livelli
prospettici: quello intellettivo e quello affettivo.
Dalla parte dell'intelletto, la filosofìa gode dello
statuto della scientificità, cioè di una conoscenza certa del
necessario attraverso le cause proprie.22 Essa, infatti,
procede fondandosi semplicemente sul lume naturale della ragione,"
rispetto alla stessa verità naturalmente
19 ) Cfr.
1 Ethic., 1. 1.
20 ) Cfr. 1 Poi., 1. 1.
21 ) Cfr. I-II, 57, 2. •
22 ) Cfr. 1 Post., 1. 4; 4 Met., 1. 4;
2 Cael. Mundo, 1. 17. Il sapere in senso assoluto, pur nel rispetto
delle diverse materie (non si possono ammettere gli stessi parametri ed
esigenze metodologiche per i diversi oggetti conoscibili, cfr. In I
Sent., prol. 5; In II Metaph. 1. 5, n. 334), aspira, a
uno stadio di incontrovertibilità. «ErnoTCìo'frai óè oló-^lE'ft'ExaoTOv
b.Jikwc,, ak\a |^t) tòv ooquoTixòv toótov tòv Mata oi)(xpEp'rixós,
ótoiv tt)v T'aiTiav oicò[ie0a yivc&oxEiv 81' f\v to 7(Q<v/f}à
eotiv, óti ekeivot) a'iTia eoti, xai (ir| èvóé%E(rf)ai tow' aXÀcoc;
e/eiv», aristotele, Analytica Posteriore, A, 2, 716, 5-10. «De
natura scientiae est quod id quod scitur existimetur esse impossibile
aliter se habe-re» 5. Th., II-II, 1, 5, ad 4. Ove non si realizzi
il sapere in senso assoluto, ma solo attraverso ragioni dialettiche -
cioè comuni e non proprie -, non si da abito scientifico, bensì semplice
opinione. Non si tratta di un vero habitus, ma di una pura
disposizione, perché non gode della fermezza necessaria allo statuto di habitus.
Data la contingenza del suo oggetto, l'opinione si presenta sempre con il
timore della verità della tesi opposta (cum formidine appositi),
cfr. S. Th. 79, 9, ad 4.
") Cfr. In B. Trin., Prol., 2, 3.
42
Natura e proprietà della razionalità filosofica
conoscibile e non alle opinioni, perché lo studio della
filosofìa non è finalizzato alla conoscenza di ciò che è stato detto
dagli uomini, ma alla conoscenza del vero;24 del resto, ciò
che giova alla perfezione dell'intelletto non è ciò che si pensa o si
desidera comunemente, ma solo il grado di verità delle cose ritenute.25
Il procedimento filosofìco, però, implica anche il confronto
dialogico, sia per un aiuto diretto, giacché chi ci ha preceduti
nella scoperta della verità ci pone in una posizione vantaggiosa per
approfondirla,26 sia per un aiuto indiretto, perché nella
ricerca della verità è molto utile cimentarsi con le ragioni delle
opinioni contrarie.27 Tale cimento è certamente utile in senso
positivo, perché ovunque ci sono germi di verità, non esistendo una
dottrina a tal punto falsa da non contenere in sé, mescolato agli errori,
qualcosa di vero.28 Ma l'utilità di tale cimento traspare
anche su un piano negativo, perché la disputa dialettica ha una funzione
chiarifica-trice: resistendo alle contraddizioni si confuta il falso e si
mostra più nitidamente la verità.29 "
Dalla parte dell'affettività, la filosofia è perfettiva
secóndo' la virtù^ e il diletto,31 mitigando la
tristezza.32
Sempre colta nella sua totalità, la filosofia, come la
ragione di cui è perfezionamento, si caratterizza estrinsecamente per la subordinazióne
alla fede. Questa subordinazione è duplice, cioè ha una funzione
positiva e una negativa.
La filosofia si subordina positivamente alla fede e alla Sacra
Doc-trina perché il suo fine è subordinato al fine di queste ultime.33
La fede e la Sacra Doctrina, infatti, introducono alla conoscenza
soprannaturale di Dio, con ragioni divinamente ispirate; la filosofia,
invece, introduce alla conoscenza naturale di Dio, con ragioni desunte
dalle creature. In questo senso, la filosofia dimostra quelle
verità di ordine naturale che sono presupposte dalla fede come necessarie
alla scienza che da essa nasce (praeambula fidei: es. esistenza di
Dio e attributi
24 ) Cfr. 1 Cael.
Mando, \. 22.
s )
Cfr. I, 107, 2.
2< -) Cfr. 2 Met., 1. 1. .
27 ) Cfr. ibid.; 1 Cael. Mundo, 1. 22.
28 ) Cfr. I, 102, 5, ad 4; ,,
•"') Cfr. De perfect. vitae
spirìt., 26. ,, 30) Cfr. l.Sent.. ProL,
1, 1, ad 2. ") Cfr. 10 Ethic., 1. 10.
32 ) La contemplazione anche filosofie» è
annoverata da S. Tommaso tra i rimedi indiretti della tristezza: cfr. I-II,
38, 4. ") Cfr. 1 Sent., ProL, 1, 1.
43
parte prima
divini, immortalità dell'anima umana, libero arbitrio e
precetti della legge morale naturale); essa coordina e notifica con
analogie di ordine naturale (piano culturale) le verità
soprannaturali; infine combatte le ragioni contrarie alla fede,
mostrandone la falsità o la non necessità (i misteri della fede non sono
evidentemente contraddittori), oppure proponendo e verificando i motivi di
credibilità (es. miracoli e profezie).34 D'altra parte, la
fede e la Sacra Dottrina suppliscono all'imperfezione conoscitiva
della filosofia circa le cose divine soprannaturali (per se} e
anche circa le cose umane (per accidens).35
La filosofia si subordina negativamente alla fede e alla Sacra
Doc-trina perché la fede soprannaturale corregge l'errore della
filosofia.36 Essendo infatti Dio l'unica fonte del lume
naturale della ragione e del lume soprannaturale della fede, se ci fosse
opposizione tra verità di fede e di filosofia, Dio stesso sarebbe
assurdamente autore dell'errore.37 Dunque ciò che è contrario
alla fede non è filosofia, ma suo abuso e corruzione, come quando si
usano opinioni che distruggono qualche parte della stessa scienza
fìlosofica (positiones extraneae): per es. negare il movimento è
distruggere la filosofia naturale;38 oppure si pretende di
ridurre all'argomentazione dimostrativa, propria della filosofia, ciò che
si deve tenere solo per fede.39 Così lo studio della
filosofia, nella sua corretta applicazione, rimane lecito e lodevole.40
Del resto,
34 ) Cfr.
I, 1, 8, ad 2; II-II, 1, 6; 2, 10; 5, 2; In B. Trin., ProL, 2, 3.
35 ) Cfr. I, 1, 1; 1 Sent., I, 1,
se. 2.
36 ) Nell'ambito generale del tema della
subordinazione della filosofia alla fede si situa il problema della filosofia
cristiana. Le diverse soluzioni proposte possono essere così
elencate: una filosofia cristiana non esiste e non è possibile, perché
autocontradditoria (E. Bréhier); il cristianesimo può influire sulla
cultura, ma non sulla filosofia (L. Brunschvicg) ; la filosofia cristiana
nasce da un rapporto intrinseco e positivo tra rivelazione e filosofia (E.
Gilson); la filosofia cristiana è un plesso: un'essenza calata in una
situazione concreta (J. Maritain) ; la filosofia, nel suo nucleo centrale,
come vita e coscienza, è già cattolica prima di una mediazione
rivelativa categoriale (M. Blondel); la fede approfondisce la ragione e
dunque la filosofia (B. Romeyer); la filosofia cristiana non esiste,
sarebbe un ibrido tra filosofia e teologia. Si ha solo un influsso
psicologico ; indiretto e accidentale della rivelazione sulla filosofia (F.
van Steenberghen). Cfr. L. bogliolo, La filosofia cristiana. Città
del Vaticano 1986. A nostro modo di vedere la posizione del van
Steenberghen sembra la più teoreticamente calibrata: il contributo 'della
rivelazione nell'ordine della filosofia è sempre indiretto o per
accidens e mai per se, perché la relazione tra il piano
naturale e quello soprannaturale non può essere univoca o omogenea, ma
solo analogica e accidentale. Cfr. G. barzaghi, Tra filosofia morale e
teologia morale. Una polemica, in «Sacra Doctrina» 6 (1990), pp.
620-632.
37 ) Cfr. In B. Trin., ProL, 2, 3.
38 ) Cfr. De Malo, 6.
39 ) Cfr. In B. Trin., ProL, 2, 3. w)
Cfr. I, 167, 1, ad 3.
44
Natura, e proprietà della razionalità filosofica
non inquinando la purezza dell'esposizione della Sacra
Scrittura, la filosofia non annacqua il vino della sapienza rivelata, anzi
essa stessa si vinifica a tale contatto.41
le CARATTERISTICHE QUASI SPECIALI
Le caratteristiche quasi speciali della filosofia si
evidenziano con la divisione del tutto complessivo nelle sue parti
potenziali o modi. Il concetto di filosofia, infatti, come ogni concetto
di ordine metafisico, esprime un tutto potenziale,42 giacché
si predica per analogia di attribuzione intrinseca dell'abito
filosofico-scientifico (primariamente) e dell'abito
filosofico-artistico-strumentale e virtuoso (secondariamente); per
analogia di attribuzione estrinseca dell'atto considerativo
(primariamente), in relazione alla segnalazione dell'abito, e dell'oggetto
(secondariamente), in relazione alla fondazione (causaliter).
L'ulteriore divisione del tutto epistemologico che sta sotto il nome
filosofia, nel suo significato intrinseco di abito o complesso di abiti,
viene operata sulla base della diversità dell'oggetto. La filosofia si
divide nelle sue parti secondo i diversi livelli della sapienza, che a
loro volta corrispondono ai diversi livelli dell'ordine, suo oggetto
proprio.43
Divisione della filosofia nelle sue parti
S. Tommaso distingue due tipi di ordine: un ordine
ontologico, che la ragione umana considera ma non fa, e l'ordine
operativo, che la ragione umana considerando fa. A sua volta, l'ordine
operativo si set-torializza secondo l'ambito dell'operazione, che può
esercitarsi sulla ragione stessa, sulle azioni della volontà oppure sulle
cose esterne.
All'ordine fondamentale o ontologico corrisponde la sapienza
teoretica o speculativa, con diversi livelli determinati dal maggiore
o minore coinvolgimento con la materia dell'oggetto considerato: la radice
della conoscenza infatti consiste nell'immaterialità.44
41) Cfr. In B. Trin., Prol., 2, 3, ad 5.
42 ) Cfr. S. ramirez, De ipsa philosophia in
universum, Madrid 1970,1, pp. 216-303. Sulla nozione di tutto
potenziale cfr. id., De analogia, Madrid 1971, II, pp.
991-1030.
43 ) Cfr. 1 Ethic., 1. 1. ^ •
44 ) Cfr. 1 De anima, 1.2.1 diversi livelli
dell'oggetto filosofico si evidenziano sulla base dell'astrazione,
nozione importantissima e piuttosto articolata nei suoi molteplici
aspetti. Usualmente, il termine astrazione ricopre, per estensione
analogica, un ampio spazio semantico. Nell'ordine fisico, astrazione
significa separazione reale tra due o più entità corporee prima
unite; per opposizione alla aggregazione (cfr. 1 Gen. et corrupt., 1.
1 ; 1 Physic., 1. 9; 3 Physic., 1. 10); per opposizione al
processo di generazione per addizione (per es. edificazione), quasi nel
senso di estrazione (cfr. 1 Physic., .1 12). Nel-
45
parte prima
Al livello di ciò che non dipende dalla materia secondo
l'essere, si
l'ordine psicologico, S. Tommaso usa il termine astrazione
per descrivere fenomeni che si realizzano sia nell'ambito strutturale
della vita, sia nel settore specifico della conoscenza. Nell'ambito
vitale, dal punto di vista sostanziale, la morte rappresenta
l'astrazione del principio vivificante, cioè l'anima, dal corpo (cfr. De
Ver. 13, 4; II-II, 175, 5). Dal punto di vista operativo, invece, \
alienazione è l'astrazione per la quale le nostre facoltà non sono
più sotto il nostro deliberato dominio, ma si pongono in condizione di
estraneità rispetto a noi stessi (cfr. II-II, 175, le; 4c). Quanto
all'estensione, questa specie di astrazione può coinvolgere alcune
facoltà, non investendone altre (per es., può riferirsi alle operazioni
delle facoltà intellettive e non a quelle delle facoltà sensitive e
vegetative; cfr. De Ver., 13, 4c); oppure può limitarsi a una sola
facoltà. L'intensità di questa astrazione può essere profonda, cioè
per concentrazione di tutta l'attenzione e l'energia dell'anima su un
determinato oggetto, così che venga sottratta a tutte le altre facoltà:
per es., quando si è fortemente concentrati nel vedere qualcosa di
interessante, spesso non si avverte nulla uditivamente (cfr. De Ver.,
13, 3). E il caso dell'estasi, che può realizzarsi al grado
perfetto, secondo astrazione dalle cose e dai sensi esterni, quanto
all'intenzione e all'uso di essi; al grado meno perfetto, secondo
l'astrazione dalle cose e dai sensi esterni, quanto all'intenzione ma non
quanto all'uso (cfr. De Ver., 13, 2). L'intensità relativa
dell'astrazione nell'ambito operativo si ha per applicazione parziale del
vigore psicologico a diverse facoltà, senza ottenere nell'atto loro
proprio una sufficiente attenzione: è il caso della distrazione
(cfr. I-II, 33, 3; 77, 1). Nell'ambito strettamente conoscitivo,
specificato dall'oggetto, l'astrazione può collocarsi nell'ordine
sensitivo o nell'ordine intellettivo. Nell'ordine sensitivo, sia esterno
(sensi esterni) che interno (sensi interni), l'astrazione si realizza m
due modi: a) per una certa smaterializza-zione alla quale va soggetta la
cosa sensibile nel momento in cui si trova nel senso (si tratta di una
presenza senza la materia, ma non senza le condizioni materiali
individuanti e l'esercizio di un organo corporeo; cfr. 2 De Anima,
1. 24); b) per la percezione del sensibile proprio, prescindendo dagli
altri aspetti sensibili riscontrabili nel medesimo oggetto: per es., della
medesima mela, l'occhio vede il colore, prescindendo dal sapore percepito
dal gusto, ecc. (cfr. I, 85, 2, ad 2). Nell'ordine intellettivo,
l'astrazione trova la sua teorizzazione più propria, specifica e
articolata, secondo i suoi aspetti generali: a) l'aspetto attivo o
formale, cioè l'astrarre (cfr. I, 85, 1, ad 1); b) l'aspetto passivo, sia
nel senso di pura denominazione, cioè l'astratto come termine
dell'operazione astrattiva, sia nel senso fondamentale e dispositivo,
cioè l'astraibilità (cfr. In B. Trin., 2, 1, 3). L'astrazione
intellettiva in senso attivo si caratterizza secondo le due tipiche
attività dell'intelletto: l'intelligenza per semplice apprensione e per
giudizio. Secondo la prima operazione dell'intelletto (simplex
apprehensio), che ha per oggetto la stessa natura delle cose, si
possono astrarre o separare per modo di definizione (cfr. De Ver.,
21, 1, ad 2 in contr. ; De spirit. creat., 11, ad 7) realtà che
non si coimplicano essenzialmente, anche se sono congiunte come si
collegano la parte e il tutto (per es., si può pensare che cos'è la
lettera senza pensare che cos'è la sillaba; l'animale senza pensare le
sue specie, anche se non è possibile il contrario); oppure come si
collegano la forma alla materia e l'accidente al soggetto (per es., la
bianchezza può essere pensata senza l'uomo e viceversa). Gli scolastici
evidenziano una duplice modalità di questa astrazione: 1°) positiva o
per esclusione, quando per es. penso il concetto uomo escludendo ogni
altra specie animale; 2°) negativa o per non esclusione, quando penso per
es. il concetto animale senza pensare alle differenze razionale e
irrazionale.
Nella seconda operazione dell'intelletto (iudicium),
che riguarda l'essere stesso delle cose, si possono astrarre, o meglio
separare nel modo dell'enunciazione divisiva vera, quelle cose che sono
realmente separate tra loro: per es., posso astrarre la bian-
46
Natura, e proprietà della razionalità filosofica
da la sapienza umana in senso assoluto, cioè la Metafisica.^
In questo ambito, se l'oggetto non dipende assolutamente dalla materia
(es.
chezza dall'uomo dicendo: «l'uomo non è bianco», solo
se realmente l'uomo che intendo non ha tale caratteristica, altrimenti
sono nel falso (cfr. In B. Trin., 2, 1, 3; I, 85, 1, ad 1).
L'astrazione in senso passivo fondamentale si distingue in due livelli a
partire dai due presupposti che dispongono all'astrazione stessa: la
composizione e la distinguibi-lità degli astraibili (cfr. In B. Trin.,
2, 1, 3).
Quanto alla composizione degli astraibili, l'astrazione
segue i due tipi fondamentali di composizione, cioè secondo il tutto e le
parti, oppure secondo la forma e la materia.
L'astrazione fondata sulla composizione del tutto con le
parti è denominata dagli scolastici, sulla scia del Gaetano, astrazione totale.
Essa è l'astrazione del tutto dalle sue parti ed è possibile quando
nella definizione del tutto non rientrano essenzialmente le sue parti. Per
es., non è possibile astrarre l'essenza di uomo dalle sue parti
specifiche o formali - cioè l'anima razionale e il corpo organico -,
perché ne costituiscono la definizione; è invece possibile astrarre
totalmente la nozione di uomo dalle sue parti puramente materiali
individuanti, come questa anima e questo corpo, oppure le
mani, i piedi ecc. (cfr. In B. Trin., 2, 1, 3; I, 40, 3; 3 Met.,
1. 7). Si tratta dell'astrazione dell'universale dal particolare, e così
essa considera solo il termine di arrivo (terminus ad quem) dell'atto
astrattivo, prescindendo dal contenuto di partenza {terminus a quo;
per es. prescindendo dalla differenza razionale nel concetto di uomo, non
rimane più il concento della specie uomo, ma solo quello del genere
prossimo animale. Cfr. I, 40, 3). E un'astrazione di ordine puramente
logico (intentici secando), in quanto opposto a reale, giacché
significa in modo indistinto e confuso tutto ciò che è nella specie, e
la specie tutto ciò che è nell'individuo (cfr. De ente et ess.,
3; 1 Physic., 1. 1). Questa astrazione garantisce l'universalità
che è condizione di ogni scientificità, come di ogni intelligibilità
per noi (^aoafi? noi; cfr. 1 Post., 1. 4;InB. Trin., 2, 1,
3; 2 Physic., 1. 1; 1 Met., 1. 2;!, 85, 3). L'astrazione
fondata sulla composizione della forma con la materia viene denominata
astrazione formale. Essa è infatti l'astrazione della forma dalla
materia ed è possibile solo nel caso in cui la materia non rientri nella
definizione della forma. Le forme sostanziali non possono essere concepite
senza le rispettive materie sensibili: l'uomo non può essere concepito
senza il corpo, senza carne e ossa in universale, anche se si prescinde da
questo corpo, questa carne e queste ossa in
individuo. Tuttavia, poiché gli accidenti si riferiscono alla sostanza
con un certo ordine, è possibile concepire la quantità indipendentemente
dalla qualità che la segue: si può concepire la sostanza con la
quantità, cioè la materia intelligibile universale (numero, dimensione,
figura), senza le qualità sensibili. Alcuni dati infine possono essere
astratti dalla stessa materia intelligibile universale, rientrando
nell'ambito della pura immaterialità, come l'ente, l'uno, la potenza e
l'atto e gli altri concetti metafisici (cfr. I, 85, 1, ad 2; In B.
Trin., 2, 1, 3). L'astrazione formale coglie direttamente l'essenza (intentici
prima) di una cosa. Perciò essa considera sia il punto di arrivo che
il punto di partenza dell'atto astrattivo (per es., se si astrae la forma
circolare da un cerchio di bronzo, sono presenti nel nostro intelletto sia
il concetto di cerchio che quello di bronzo; e così sono possibili le
scienze medie (come l'astronomia) (cfr. I, 40, 3). Si tratta di
un'astrazione di ordine propriamente reale, in quanto indica in modo
distinto e perfetto l'attualità nei suoi diversi gradi di perfezione
(quanto più un oggetto è semplice e astratto, tanto più è per sé
nobile e elevato; cfr. I, 82, 3c). L'astrazione formale è specificativa
delle diverse scienze, m quanto determina le diverse prospettive nelle
quali traspare il medio formale dimostrativo (rado propter quid)
delle conclusioni. Infatti le diverse scienze si distinguono
specificamente secondo il diverso modo di definire (cfr. 1 De Anima,
1. 2; 6 Met., 1. 1 ; 11 Met., 1. 7; 1 Physic., 1. 1;
I, 1, 1, ad 2; 1-11, 54, 2, ad I e ad 2), che consegue ai diversi modi o
livelli di astrazione dalla materia (cfr. In B. Trin., 2, 1, 2).
Quanto alla distinguibilità degli astraibili, l'astrazione assume la
denominazione e le caratteristiche della distinzione. Due sono i
tipi
47
parte prima
Dio), abbiamo la Teologia filosofica* o naturale,
come sarà poi chiamata per distinguerla da quella soprannaturale che
appartiene a un genere totalmente diverso.47 Se invece
l'oggetto dipende solo relativamente dalla materia, perché può
realizzarsi anche indipendentemente da essa (per es. la sostanza, la
qualità, la potenza e l'atto, l'uno e i molti), allora abbiamo quella
parte della metafisica che successivamente sarà chiamata Ontologia.
Al livello di ciò che dipende dalla materia sensibile, si
da la sapienza umana relativa o puramente scientifica.
fondamentali di distinzione: quella reale e quella di
ragione (cfr. 1 Sent., 34, 1, 1, ad 2;
I, 41, 4, ad3). La distinzione reale e quella che
si istituisce tra cose tra loro essenzialmente separate prima di un
intervento di ordine intellettivo (per es., tra questo foglio di carta e
la mia matita). La distinzione di ragione o intelligibile si
istituisce tra due o più concetti o definizioni di una stessa realtà
(per es., distinguiamo nell'uomo l'animalità e la razionalità). Gli
scolastici articolano questa distinzione in due livelli, sulla base di una
fondazione prossima nell'eminente perfezione della stessa realtà (cfr. 1 Sent.,
2, 2 e 3; De Pot., 7, 5 e 6), inesauribile quanto a comprensione da
un semplice atto del nostro intelletto finito (cfr. 1 Sent., 2, 3c;
22, 3c), oppure sullo stesso intervento dell'intelletto sul suo elaborato
concettuale, pur sempre remotamente fondato sulla realtà oggettiva (cfr. De
Pot., 7, de; 4 Met., 1. 4; 1 Sent., 2, 3c). La
distinzione fondata prossimamente nell'eminenza o profonda virtualità
della realtà è classificata come distinzione di ragione ragionata.
Essa si dice perfetta quando di una medesima realtà si possono
formare due o più concetti completamente autonomi e indipendenti tra
loro. Per es., nell'uomo possiamo distinguere il concetto di animalità da
quello di razionalità, i quali non si includono, non si complicano: posso
pensare l'animalità senza pensare la razionalità e viceversa. La
precisazione di tale distinzione è massima, di tipo non inclusivo
o quasi esclusivo, appunto per le ragioni addotte. Essa si dice invece imperfetta,
quando i diversi concetti o definizioni che si possono formare della
stessa cosa non sono indipendenti tra loro, ma uno è incluso nell'altro,
come le nozioni di sostanza e di accidente o dei trascendentali sono
incluse in quella di ente. Ente, infatti, è ciò che ha l'essere in
qualunque modo: nel modo della sostanza e nel modo dell'accidente; quindi
include nella propria nozione, in modo implicito, le nozioni di sostanza e
di accidente. La precisione di questa distinzione è detta maggiore, o
di tipo inclusivo, nel senso che in questo caso si distingue per non
esplicitazione. La distinzione di ragione fondata remotamente nella
realtà e prossimamente nell'atto intellettivo è classificata come
distinzione di ragione ragionante. Si dice perfetta, quando
si effettua tra l'intenzione prima (intenti» prima) e l'intenzione
seconda (intendo secunda) di una stessa realtà. Per es., se
distinguiamo tra il concetto diretto di animale, secondo la sua
definizione essenziale, e il concetto logico dello stesso, cioè come
genere prossimo. La precisione che caratterizza questo tipo di distinzione
è detta minore e quasi per esclusione o non inclusione. La
distinzione di ragione ragionante si dice imperfetta, se si
effettua tra due o più intenzioni seconde di una medesima realtà. Per
es., sempre nel caso del concetto di animale, si da questa distinzione tra
la sua nozione logica di genere prossimo e quella di specie subalterna;
oppure si può dare il caso della distinzione tra la nozione di soggetto e
quella di predicato rispetto allo stesso termine, come si da nei giudizi
tautologici: Pietro è Pietro. La precisione che caratterizza questo tipo
di distinzione è detta minima, perché è per quasi inclusione.
45 ) Cfr. In B. Trin., 2, 1.
•"i) Cfr. In B. Trin., 2, 1, 4.
47 ) Cfr. I, 1, 1, ad 2.
48
Natura, e proprietà della razionalità filosofici
Se l'oggetto dipende dalla materia secondo l'essere ma non
secondo la considerazione intellettiva (definizione), allora abbiamo la Matematica,
che si sottodivide in pura e applicata. La matematica pura. considera
la quantità in quanto misurabile:48 alla quantità discreta
(numero) corrisponde \'Aritmetica; alla quantità continua (esteso)
corrisponde la Geometria. La matematica applicata, che
considera formalmente ciò che è propriamente matematico e solo
materialmente ciò che è fisico e naturale, applica i princìpi
matematici alla realtà naturale. Per es., nella musica teorica si
studiano i suoni non in quanto tali, ma in quanto numericamente
proporzionali; nelF'astronomia si studiano le orbite dei pianeti
secondo i princìpi dell'aritmetica e della geometria.49
Se l'oggetto dipende dalla materia sensibile sia secondo
l'essere che secondo la considerazione intellettiva, abbiamo la Filosofia
naturale o Fisica. Essa considera in genere la natura del moto e delle
cose mobili, cioè corporee.50 In specie:51 quando
si occupa delle cose mobili per moto locale, o per generazione e
corruzione, che suppongono l'alterazione, terminano all'accrescimento e si
fondano sugli elementi, essa ricopre la competenza di quella che oggi
chiamiamo Cosmologia;
quando studia i composti inanimati abbiamo la Mineralogia;
quando invece studia i composti animati o viventi essa è specificamente Scienza
dell'anima.'31 In questo caso essa considera, sotto
l'aspetto filosofì-co cioè razionale o universale, ciò che
sperimentalmente è oggetto di quelle scienze che oggi chiamiamo biologia,
botanica, zoologia, antropologia e scienze umane; il suo vertice si situa
nello studio dell'anima umana:53 il termine moderno con il
quale si indica questo livello della scienza è Psicologia razionale o
filolofica.
All'ordine operativo corrisponde la sapienza in
senso relativo-pratico.
Se l'ordine della ragione è posto dalla ragione nella
ragione stessa, abbiamo la Filosofia razionale o Logica, che è
scienza del procedimento razionale e arte che guida il processo
scientifico. Allo sviluppo dell'attività razionale secondo il processo
necessario e rigoroso presiede la logica Giudicativa, o Analitica,
o Dimostrativa, la quale risolve
48 )
Cfr. 11 Met., 1. 4.
49 ) Cfr. In B. Trin., 2, I, 3, ad 6.
50 ) Cfr. 8 Physic., I. 5.
51 ) Cfr. De gen. corrupt.,
Prol.
''•') Cfr. 1 De anima, \. 1.
") Cfr. 1 Physic., 1. 1.
49
parte prima
ogni asserto nell'evidenza dei primi principi, sia badando
al semplice rigore della correttezza formale (logica formale), sia
considerando la necessità connettiva dello stesso contenuto (logica
materiale). Al procedimento contingente presiede la logica Inventiva,
che si articola ulteriormente secondo tré gradi di certezza relativa:
alla opinabilità del probabile risponde la Topica, o Dialettica, o
Tentativo; alla tenden-zialità del sospetto presiede la Retorica;
alla persuasività rappresentativa, invece, si dedica la Poetica.
Il campo di azione della Sofistica, infine, è il procedimento
difettoso ed erroneo.54
A questo livello della razionalità possono collocarsi
anche le altre Arti liberali che riguardano l'attività spirituale
dell'uomo.55
Se l'ordine della ragione è posto nelle azioni
volontarie, abbiamo la Filosofia morale. Essa riguarda le azioni
umane ordinate al fine, considerando l'uomo come singolo (morale
monistica), oppure come parte della società domestica (morale
economica) o civile (politica)."*
Se l'ordine della ragione è posto nelle cose esterne,
infine, abbiamo le Arti meccaniche, cioè la sapienza poietica, che
si avvale della corporeità e dell'operatività transitiva, perfettiva di
ciò che è altro dal soggetto agente in quanto tale.57
Le caratteristiche delle parti della filosofia i.
Là metafìsica
La metafisica ha tré caratteristiche distintive:
l'intellettualità, l'ar-chitettonicità, il metodo insieme razionale e
intellettuale.
La metafisica è scienza sommamente intellettuale.
Infatti essa ha come soggetto proprio l'ente in quanto ente,58
o ente comune,59 cioè tutte le cose60 dal punto di
vista della loro semplice entità (ratto uni-versalis entis),
prescindendo da qualsiasi connotazione particolare e astraendo da ogni
contenuto materiale: non solo individuale e sensibile, ma anche
intelligibile.61 Essa mette rigorosamente a tema ciò che è
54 )
Cfr. Post., Prol.
55 ) Cfr. In B. Trin., 2, 1, 1, ad 3; 1 Met.,
11. 1 e 3; I-II, 57, 3, ad 3.
'"•) Cfr. I Ethic., 1. 1.
57 ) Cfr. In B. Trin., 2, 1, 1, ad 3.
58 ) Cfr. 11 Met., 1. 3.
5 ") Cfr. Met., Prol.
60 ) Cfr. Comp. Theol., 1. 22.
") Cfr. 1 De anima, 1. 2; 1 Physic., 1.
1; 11 Met., I. 7.
50
Natura e proprietà della razionalità filosofica.
implicito nella conoscenza comune: l'ente infatti è ciò
che viene concepito per primo dall'intelletto, e in esso vengono risolti
tutti i principi conoscitivi.62 Perciò spetta alla metafisica
trattare della natura e delle proprietà dell'ente.
Quanto alla natura, l'ente è descritto come ciò che
(soggetto) da-per-in un'essenza ha l'essere.63 Se si assume il
termine ente in senso nominale, esso indica l'essenza e connota l'essere:
si divide analogicamente secondo i dieci generi supremi o categorie64
e fonda la metafisica come ontologia. Se invece si assume il
termine ente in senso partici-piale, esso indica l'essere o l'atto di
essere: si predica essenzialmente di Dio (Ipsum esse per se subsistens)
e, per partecipazione, della creatura, nella quale si trova come
accidente.65 Letto in questa prospettiva, l'ente fonda la
metafisica come teologia filosofica.
Quanto alle proprietà, nell'ente si distinguono due
aspetti: uno trascendentale e uno predicamentale; secondo entrambi gli
aspetti la metafisica studia ciò che appartiene per sé all'ente come
tale.66
Secondo l'aspetto trascendentale, se si considera l'ente
dal punto di vista logico-ontologico, la metafisica mette in evidenza i
primi princìpi (assiomi), riducibili al principio di non contraddizione e
fondati sul concetto stesso di ente. Tali princìpi comuni sono
applicabili analogicamente nelle materie proprie delle singole scienze.67
La metafisica individua poi l'ordine analogico tipico del concetto di
ente.68 Se si considera l'ente dal punto di vista propriamente
ontologico, la metafisica mette in evidenza le caratteristiche
trascendentali dell'ente, cioè quelle proprietà coestensive all'ente
stesso con il quale si identificano, pur distinguendosene per un
particolare modo di significarlo (res, uniim, aliquid, veruni, bonum); w
essa segnala anche i gradi di
") Cfr. De Ver., 1, 1.
") Cfr. De ente et ess., 1.
M ) Cfr. 1 Sent., 19, 5, 1, ad \;De Malo,
1, 1, ad 19;De Pot.,7, 2, ad 1; C. G., Ili, 9; De Ver., 1,
1; I, 48, 2, ad 2.
65 ) Cfr. Quodl., II, 2, 1.
") Cfr. 4 Met., 1. 1.
«7) Cfr. 11 Met., 1. 2.
68 ) II concetto di ente è analogo perché esprime
un contenuto semplicemente diverso e relativamente uguale per tutti i
soggetti dei quali si predica. Esso esprime tutta la realtà e totalmente
secondo tutti i suoi valori o modalità differenziali, giacché questi si
trovano inclusi intrinsecamente in esso in modo attuale, anche se implicito
e confuso, e secondo relazione gerarchica. Il concetto di
ente indica ciò che ha l'essere in qualunque modo : a modo della
sostanza (ciò alla cui essenza compete l'essere in sé) o a modo
dell'accidente (ciò alla cui essenza compete l'essere in altro o nella
sostanza).
^) Cfr. De Ver., 1, 1.
51
parte prima
perfezione, secondo l'attualità e potenzialità, nella
loro varietà analogica.
Secondo l'aspetto predicamentale, la metafisica tratta dei
modi quasi speciali di essere, che rispondono ai dieci supremi generi di
ente.
A questo livello di indagine, la presente scienza è detta
propriamente metafisica o transfìsica perché l'individuazione di
queste caratteristiche comuni avviene per risoluzione a partire da quelle
meno comuni.70
Ma la metafisica è scienza sommamente intellettuale
anche perché ha come termine della sua ricerca la scoperta delle cause
dell'ente comune, le quali sono principio della certezza intellettuale.
Nell'ambito intrapredicamentale, la metafìsica individua
analogicamente le cause intrinseche dell'ente: a modo di causa formale,
giacché l'essenza, cioè l'ente reale comune alle dieci categorie, viene
significata secondo la causa formale (es. umanità = ciò per cui l'uomo
è uomo);71 a modo di causa quasi materiale in qua, 72
giacché la sostanza è il soggetto quod di tutti gli altri
accidenti, tra i quali gli anteriori fungono da soggetto quo dei
posteriori.73 Quanto alle cause estrinse-che: la causa
efficiente è presente nel rapporto tra l'accidente naturale o proprio e i
princìpi intrinseci del soggetto che lo causano;74 la causa
finale, invece, è individuata nell'orientamento perfettivo degli
accidenti verso la sostanza.75
Nell'ambito extrapredicamentale, la metafisica considera
le cause analogicamente intrinseche: a modo di causa formale, sempre
perché l'essenza è significata a modo di causa formale; a modo di causa
quasi materiale, perché l'essenza finita viene comparata all'essere (esse)
partecipato, come la potenza all'atto e la materia alla forma.76
Quanto alle cause estrinseche: il Dio creatore è scoperto come causa
efficiente della realtà finita, perché ciò che ha l'essere per
partecipazione è causato dall'essere per essenza;77 il Dio
creatore è anche il fine ultimo della realtà creata. Poiché Dio
è la prima causa o principio incausato di
7t> ) Cfr. Met.,
Prol.; In B. Trin., 2, 1, 4.
71 ) Cfr. 3 Met., 1. 4.
") Si parla di materia in qua intendendo ciò in
cui si trova una data forma accidentale come nel suo soggetto
di inerenza.
") Cfr. 3 Sent., 33, 2, 4, 1; I, 77, 7, ad 2;
I-II, 56, 1, ad 3; II, 77, 2, ad 1.
74 ) Cfr. De Malo, 4, 2, ad 9.
") Cfr. C. G., Ili, 75.
7 ') Cfr. In De Causis, prop. 9; I, 90, 2, ad
1.
77 ) Cfr. I, 44, 1; 61, 1; C. G., II, 15; De Pot.,
3, 5.
52
Natura e proprietà della razionalità filosofica
tutta la realtà finita, questa scienza è detta
filosofia prima;79 in quanto invece Dio è la sostanza
sussistente in modo assolutamente Separato dalla materia, essa (anche se
non lo considera come suo soggetto proprio, ma come principio del mondo)
è detta teologia.79'
La metafisica è anche scienza architettonica per
eccellenza.80 Secondo la causa finale, essa subordina al
proprio fine tutte le altre parti della filosofia, perché in essa si
raggiunge il vertice della contemplazione81 e le altre parti
della filosofia sono in un certo modo a essa finalizzate,82
così che i loro stessi princìpi vengono usati in alcune sue
argomentazioni (per es. la metafisica usa l'analisi del modo per
dimostrare l'esistenza di Dio).83
Secondo la causa efficiente, la metafisica partecipa alle
scienze dimostrative più particolari i princìpi comuni (assiomi), per
applicazione analogica o proporzionale al genere-soggetto di ogni singola
scienza.84 Per es., l'assioma metafisico: «se da oggetti
uguali tolgo rispettivamente oggetti uguali, gli oggetti rimanenti sono
uguali» diviene in matematica: «se da grandezze uguali sottraggo uguali
grandezze, le rimanenti sono uguali».85 Essa conferisce alle
singole scienze anche i princìpi loro propri:86 quanto
all'essere del soggetto (an sit), perché tutte le scienze suppongono
che il loro soggetto proprio sia, compe-tendo tale diagnosi alla
metafisica che ha per oggetto l'ente in quanto ente;87 quanto
all'essenza del soggetto (quid su), perché le scienze particolari
non trattano della essenza delle cose (quidditas) come la
metafisica ma si affidano a descrizioni fenomeniche (per id quod
appa-ret sensui; per es. la zoologia), oppure suppongono come
principio dimostrato che cos'è il proprio soggetto, desumendolo da
un'altra scienza. Per es. la geometria deriva dalla metafisica la nozione
di grandezza,88 perché è proprio della metafisica considerare
la quantità in quanto quantità.89 Solo dai diversi modi di
definire delle varie scienze
78 )
Cfr. Met., Prol.
7 ') Cfr. ibid.; In B. Trin., 2, 2, 4.
80 ) Cfr. 1 Post., 1. 17; 1 Met., 1. 2.
") Cfr. In Jo., Prol.
82 ) Cfr. C. G., I, 4; 6 Ethic., 1. 7; 1 Met.,
1. 2.
83 ) Cfr. In B. Trin., Prol.,
2, 3, ad 7; C. G., II, 4.
84 ) Cfr. C. G., Ili, 25.
85 ) Cfr. 1 Post., I, 18.
86 ) Cfr. 6 Ethic., 1. 6; 1 Post., 1. 5.
87 ) Cfr. 6 Met., 1. 1; 1 Post., 1. 18.
88 ) Cfr. 6 Met., 1. 1.
s9 ) Cfr. 11 Met., 1. 4.
53
parte prima
.nascono i diversi modi dimostrativi propn, per i quali
vengono argomentate le proprietà (passiones) dei diversi soggetti
studiati.90 .,.;
La metafisica giudica anche i primi princìpi:91
li riporta per via di chiarificazione al primo concetto di ente, sul quale
si fondano,92 e disputa contro chi li nega, attraverso la
riduzione all'assurdo.93
La metafisica procede con metodo razionale-intellettuale.
Procede con metodo razionale quanto ai princìpi, come la logica
con la quale ha una certa comunanza analogica di soggetto (i princìpi
comuni a Ogni cosa),94 anche se argomenta dimostrativamente,
cioè senza cadere nell'opinabilità dialettica.95 Più
tipicamente, però, la metafisica possiede un metodo intellettuale o
risolutivo: passando di nozione in nozione, giunge a risolvere
analogicamente i concetti trascendentali in quello di ente;96
passando di cosa in cosa, giunge alla risoluzione analogica dell'ente
comune predicamentale, accidentale nella sostanza finita, e dell'ente
comune sostanziale, finito e creato nella sostanza increata e creatrice.97
In entrambi i casi il discorrere metafisico prescinde da
ogni riferimento terminale all'immaginazione.98
2. La, matematica
La matematica è scienza astratta per eccellenza e procede
con me-,todo disciplinare.
La matematica è scienza astratta in senso forte
perché considera formalmente le proprietà della quantità non in quanto
accidente (oggetto della metafisica e della fisica), ma in quanto
misurabile, cioè come corpo matematico caratterizzato dalle tré
dimensioni.99 In altre parole, essa studia le relazioni di
proporzione (ratio) o di proporzionalità (proportio) tra le
diverse quantità dimensionali, secondo uguaglianza o disuguaglianza per
eccesso o difetto. Materialmente, la ma-
'°) Cfr. 1 Post., 1. 18. ") Cfr. I-II, 57, 2,
adi. 92) Cfr. 1 Post., 1. 20.
") Cfr. I, 1, 8; C. G., I, 1; III, 25; 4 Met.,
1. 17; 2 Physic., 1.2; 3 Sent., 35, 2, 1, 1, ad 1.
94 ) Cfr. In B.
Trin., 2, 2, 1.
<15 )
Cfr. 1 Post., 1. 20; 4 Met., 1. 4.
% ) Cfr. In B.
Trin., 2, 2, 1.
97 ) Cfr. 6 Met., 1. 1; In B. Trin., 2,
1, 4; v. Logica.
w )
Cfr. In B. Trin., 2, 2, 2. Si è nell'ambito dell'immaterialità.
") Cfr. 5 Met., 1. 17.
54
Natura, e proprietà della, razionalità filolofica
tematica può considerare anche le realtà fisiche, in
quanto viene ad esse applicata. Le matematiche applicate sono perciò
scienze subalterne alla matematica pura, perché assumono come propri
principi le conclusioni della matematica e le applicano alle realtà
fisiche, come la forma alla materia.'°° Esse si limitano alla conoscenza
di una fattualità (sapere che una cosa è = quia est); per es.
nella musica le altezze e le tonalità sonore ricevono la ragione
regolatrice e giustificatrice (prop-ter quid) dalla scienza
superiore subalternante, che determina le distanze proporzionali e
frazionarie tra le quantità numeriche.101
La matematica procede con metodo disciplinare: le
matematiche sono discipline per eccellenza.102 Infatti il tipo
di considerazione scientifica che le caratterizza è il più facile e il
più certo. E il più faci-fe103 perché la matematica
definisce e dimostra attraverso la sola causa formale,104
astraendo non solo dalla materia individua, ma anche da quella sensibile e
limitandosi a quella puramente intelligibile;105 poi perché
termina a un giudizio che implica il riferimento all'immaginazione;'06
quindi perché ha quasi una funzione introduttiva alle altre parti della
filosofia, come fa la logica.107 Ma la matematica è il tipo di
considerazione scientifica/';» certo, perché, astraendo da ogni
mobilità, possiede una conoscenza più ferma: al soggetto della
matematica non è possibile che accada, in qualche caso, di essere
diversamente da come è.108 In questo modo, la matematica
rappresenta la scienza esatta in senso stretto,109
la cui necessità e a priori: data la causa, segue necessariamente
l'effetto (es., posta la somma in base decimale 2+2, segue ex
necessitate il risultato 4).110
3. La filosofia naturale
La filosofìa naturale o fisica, o filosofìa seconda
è eminentemente sperimentale e segue un metodo razionale quanto allo
stesso sviluppo.
100 )
Cfr. 1 Sent., Prol., 3, 2.
101 ) Cfr. 1 Post., 1. 25.
102 ) Cfr. 1 Post., 1. 42.
103 ) Cfr. In B. Trin., 2, 2, 1.
104 ) Cfr. 1 Post., 1. 4; De Pot., 6,
1, ad 11; In B. Trin., 2, 2, 1.
105 ) Cfr. 1 De anima, 1. 2; 1 Physic., I.
1; 11 Met., 1. 7.
106 ) Cfr. In B. Trin., 2, 2, 2.
107 ) Cfr. In B. Trin., 2, 1, 1, ad 3.
108 ) Cfr. In B. Trin., 2, 2, 1.
109 ) Cfr. 2 Met., 1. 5; 1 Post., 1. 1.
"°) Cfr. 1 Post., 1. 43.
55
parte prima
La filosofia naturale è una scienza eminentemente sperimentale111
non solo quanto al principio - il che vale per tutte le scienze
particolari non subalterne e altre quanto ai princìpi propri -,112
ma anche quanto al processo inquisitivo e al termine.
Quanto al processo inquisitivo, la filosofia naturale è
sperimentale perché il suo soggetto proprio è la realtà sensibile
coinvolta strutturalmente nella mobilità, e le cui leggi non godono di
una necessità assoluta, ma si manifestano secondo la maggior frequenza (ut
frequenter) dei casi constatati. Essa fornisce cioè una certezza
scientifica solo a •posteriori, mai a priori. Per es., è
necessario (a posteriori) che preesista il seme specifico se si
genera una determinata pianta; ma non è detto (a priori) che, dato
il seme specifico, la pianta si generi: può intervenire un impedimento
generativo.113 Nel suo processo di ricerca, la filosofia
naturale avanza in due modi. Attraverso la dimostrazione assegna a un dato
fenomeno la sua causa reale. Così essa, che nel suo proprio modo di
definire prescinde dalla materia individua, ma non da quella sensibile,114
dimostra secondo tutte le quattro cause:115 secondo la causa
formale, quando per es. si dimostrano i prerequisiti della generazione a
partire dal suo termine (se deve nascere un uomo occorrono un seme e un
agente umani); secondo la causa materiale, quando per es. si dimostra la
mortalità dell'uomo dal fatto che egli è dotato di un corpo
corruttibile; secondo la causa efficiente, quando per es. si prova che
l'eclissi di sole è dovuta all'interposizione della luna tra la terra e
il sole; secondo la causa finale, quando per es. si argomenta circa la
struttura del corpo umano e la conveniente disposizione delle sue parti in
funzione dell'anima razionale, oppure intorno alla conveniente
disposizione e complessità delle facoltà dell'anima in funzione della
ragione."6 Ma la filosofia della natura procede anche
attraverso congetture, cioè ipotesi o spiegazioni puramente probabili.
Tali congetture riescono a spiegare alcuni fenomeni, anche se non sono
necessariamente vere; perciò possono essere sostituite da altre, dopo la
scoperta di fenomeni non più interpretabili con le prime (per es., il
sistema tolemaico è stato sostituito con quello copernicano).117
lu ) Cfr. In B.
Trin., 2,2,2.
"2) Cfr. 1 Met., 1. 1.
113 ) Cfr. 1 Post., 1. 42.
1H ) Cfr. 1 De anima, 1. 1; 1 Physic.,
1. 1.
"5) Cfr. 1 De anima, 1. 2; 2 Physic.,
11. 11 e 15.
lu ) Cfr. De anima, 8; I, 65, 2; 78, 3;
91, 3.
"7) Cfr. I, 32, 1, ad 2; 2 De Cael.
Mundo, \. 17.
56
Natura e proprietà della razionalità filostìfica.
Quanto al termine della ricerca, la filosofìa della
natura è scienza sperimentale perché occorre giudicare delle cose
naturali secondo quanto consta al senso.118
La filosofia della natura procede con metodo razionale
per connaturalità al dinamismo conoscitivo della ragione umana,119
la quale passa dal sensibile all'intelligibile, cioè da ciò che è più
noto a noi a ciò che è più noto per natura, attraverso argomentazioni
per segno, o per effetto (dall'effetto alla causa). La ragione umana
procede anche dalla conoscenza di una cosa alla conoscenza di un'altra
attraverso l'ordine della causalità estrinseca efficiente e finale.
Occorre però notare che, tra le parti della filosofia naturale, la
scienza dell'anima (psicologia), in quanto studia l'anima umana come unica
forma sostanziale del corpo umano, appartiene a pieno titolo al settore
del sapere naturale così descritto; in quanto invece studia l'anima umana
come entità spirituale separabile dal corpo e sussistente, essa sfocia
nella metafisica.120 L'anima umana, infatti, essendo nello
stesso tempo sostanza spirituale e forma sostanziale del corpo, è
orizzonte e confine tra il corporeo e l'incorporeo.121
4. La logica
La logica è una scienza-arte razionale o speculativa e
procede con metodo razionale quanto ai princìpi.
La logica è una scienza-arte razionale o speculativa
perché studia l'operato della ragione, cioè il pensato in quanto pensato
e introduce Strumentalmente a ogni altra scienza reale, indicandone le
modalità e guidandone formalmente l'esercizio.122
La logica procede con metodo razionale quanto ai
princìpi perché usa come princìpi le leggi del pensato in quanto
pensato, cioè i rapporti o le relazioni di ragione tra genere, specie,
differenza ecc., nelle definizioni, nei giudizi e nelle argomentazioni.
Definisce e dimostra secondo la sola causa formale,'23
ottenendo un assoluto rigore nel proprio ambito™ e mostrando una
certa affinità con la metafisica: coestensione dei soggetti propri e
analoga modalità di predicazione.125
118) Cfr. In B. Trin., 2, 2, 2.
119 ) Cfr. In B. Trin., 2, 2, 1.
120 ) Cfr. 2 Physic., 1. 4. u1)
Cfr. C. G., II, 68.
122 ) Cfr. In B. Trin., 2, 1, 1. Per lo
sviluppo di questo tema cfr. L'ambiente logico della razionalità in S.
Tommaso, in questo volume.
123 ) Cfr. In B. Trin., 2, 2, 1.
124 ) Cfr. De Fot., 6, 1, ad 11.
57
parte prima
5. La filosofia morale
La filosofìa morale è una scienza speculative-pratica e
segue un metodo che si dice razionale quanto al termine.
La filosofia morale è scienza speculativa-pratica.
In quanto speculativa essa è subalterna ad altre due
scienze: alla psicologia, dalla quale trae i principi relativi alla
libertà dell'atto umano126 e alle inclinazioni connaturali
alla natura dell'uomo;127 alla metafisica, dalla quale desume
la nozione obiettiva del fine ultimo beatificante (Dio). Tutto questo
perché la filosofia morale ha per soggetto l'uomo in quanto agisce
liberamente per il fine. Così, dalla libertà dell'uomo e dalla
riferibilità ai fini obiettivi intermedi (autoconservazione, sessualità,
amicizia, conoscenza: conclusioni psicologiche) e dal fine ultimo (Dio:
conclusione metafisica), nascono la nozione di re-sponsabilità-moralità
e il giudizio valutativo e direttivo dell'azione umana. La filosofia
morale dimostra principalmente attraverso la causa finale;128
ma anche attraverso la causa efficiente, cioè l'agente, la causa quasi
formale, cioè l'oggetto specificante l'atto e le circostanze completive,
e la causa quasi materiale, ossia la volontarietà dell'atto.
In quanto pratica, la scienza morale dirige l'azione
particolare e contingente. Essa offre la motivazione della premessa
maggiore del sillogismo pratico, che spetterà poi alla prudenza portare
imperativamente a conclusione.
Il procedimento della filosofia morale si dice razionale
quanto al termine, cioè non rigorosamente risolutivo, così da
rimanere in una certa opinabilità, dovuta all'assoluta contingenza e
infinita variabilità della materia considerata.129
6. Le arti meccaniche
Le arti meccaniche, nel loro aspetto teorico, sono scienze
subalterne alla filosofia naturale e alle sue diramazioni, perché l'arte
imita la natura supponendola. "° Nel loro aspetto pratico, esse sono
l'intervento sulla natura per supplirne i difetti13' e
orientarla alle esigenze e utilità dell'uomo.132
125) Cfr. 7 Met., 1. 2.
126 ) Cfr. 2 Sent., 24, 3, 2.
127 ) Cfr. I-II, 94, 2.
12 ») Cfr. 5 Met., 1. 1.
12<) ) Cfr. In B. Trin., 2, 2, 1, 1, ad 3.
»°) Cfr. 2 Physic., 1. 4; C. G., II, 75; III, 10.
"') Cfr. 4 Sent., 42, 2, 1.
58
Natura e proprietà della razionalità filosofica
6. Conclusione
Dalla presente analisi di struttura del concetto di
filosofia in S. Tommaso risulta in qualche modo la teoretica coestensione
della filosofia con il dato più propriamente culturale della vita
dell'uomo.
La filosofia, o sapienza umana, secondo S. Tommaso,
coinvolge tutta la vita dell'uomo, dall'ordine della contemplazione e
della spiritualità a quello tecnico della abilità manuale, a
testimonianza della concezione realisticamente unitaria della sua
antropologia. L'uomo, infatti, vive di arte e di ragioni, giacché, come
è dotato di un'anima intellettiva per la quale diviene conoscitivamente
ogni cosa ed è in certo modo tutto l'ente, così è dotato delle mani,
che sono lo strumento per eccellenza (organa, organorum) attraverso
il quale può costruire altri infiniti strumenti, per infiniti effetti133
perfettivi della natura.
132 )
Cfr. C, G.,m, 112. "3) Cfr. I, 76, 5, ad 4; 3 De anima,
1. 13.
59
LA TEOLOGIA COME SCIENZA:
ESPLICITAZIONI E APPROFONDIMENTI DEL CONCETTO TOMISTICO
Introduzione
Non c'è niente di più fastidioso teoreticamente di
un'affermazione discutibile non motivata razionalmente; d'altra parte
esistono delle affermazioni che per loro intrinseca natura trascendono
l'ordine della motivazione rigorosamente razionale.
Diciamo infatti di avere scienza di qualcosa o di
conoscere con certezza obiettiva la verità di un enunciato, quando ne
riconosciamo immediatamente la ragione o sappiamo ricondurlo alle sue
cause, mostrandone cioè il perché. Ogni ostacolo che si frapponga
a questa risoluzione è perciò inteso come preclusivo di una vera
conoscenza, e l'intelletto si sente offeso e mortificato.
Altrettanto indiscutibilmente riconosciamo però un altro
fatto: gli enunciati di fede soprannaturale non soggiacciono a una tale
verifica, eppure godono anch'essi di una certezza ferma, tanto da essere
all'origine di una vera e propria conoscenza che si pretende altresì
scientifica.
E la situazione tipica della scienza teologica.
Ora, la questione che ci proponiamo è la seguente: questa
scientificità della teologia è una pura denominazione estrinseca
al discorso teologico, oppure è una reale qualità intrisecamente
appropriabile al medesimo? In altri termini: quando parliamo o sentiamo
parlare di teologia come scienza, intendiamo questo concetto in modo
semplicemente reverenziale e pietistico nei confronti della conoscenza del
sacro, oppure riteniamo a ragion veduta che si possa e si debba ammettere
una vera e rigorosa epistemologia sacra?
E ancora: se esiste una scienza teologica in senso
stretto, qual è il suo statuto teoretico?
60
La. teologia, come scienza
E nota la posizione assunta da S. Tommaso d'Aquino e dalla
sua scuola speculativa a questo riguardo: la teologia è una scienza a
pieno titolo anche se nella forma secondaria della subalternazione.
In questo breve studio intendiamo presentare e
approfondire, nella linea del realismo speculattivo, questa tesi tomista.
Il nostro assunto non vuole essere perciò una pura ripetizione del
dettato di S. Tommaso, ma una rielaborazione della tematica tendente ad
esplicitare ed espandere l'argomento certamente oltre la lettera, ma al
contempo nel medesimo spirito.
Ambientazione speculativa
Nel panorama teologico contemporaneo, il tema della
teologia come scienza occupa uno spazio decisamente importante.
La riflessione degli studiosi si articola sulla base di
differenti prospettive generali o di carattere ideologico, pur convergendo
nel medesimo quadro tematico.
Fondamentalmente, si possono ricondurre a tré tipologie
generali gli ambiti di riflessione epistemologica riguardanti la teologia.
Esiste una tipologia della frattura radicale,
caratteristica della riflessione protestante, che si coaugula attorno
all'idea della cosiddetta teologia dialettica.1 Il
modello epistemologico che sottosta a questa prospettiva è evidentemente
quello equivocistico : c'è un'assoluta disparità e disomogeneità
tra la parola di Dio e la parola dell'uomo;
contenuti assolutamente diversi soggiacciono ad un
linguaggio apparentemente comune.
Non esiste una vera e propria possibilità di discorso su
Dio e di approfondimento critico del senso globale della sua Rivelazione,
accolta nella fede, perché la fede stessa implica una rottura radicale di
qualsiasi rapporto mediativo tra l'uomo e Dio.
La seconda tipologia può essere catalogata secondo il
quadro ten-denziale dell'univocità: si tratta della teologia
trascendentale. Nella teologia di K. Rahner, per esempio, con la
teorizzazione deì\'esisten-
l )
II caposcuola di questa tendenza è Karl Barth, soprattutto nella sua
prima riflessione, consegnata al suo commento alla Lettera ai Romani (Der
Ròmerbrief, Mùn-chen 1922). La teologia dialettica trova il centro
nel "no" di Dio all'umano: Dio è il non essere del mondo (cfr. L'Epistola
ai Romani, tr. it. Milano 1962, p. 56). Il discorso teologico si
riduce solo a "una testimonianza resa alla verità di Dio": La,
parola di Dio e la teologia, tr.it. Milano 1924, p. 173.
61
parte prima
•itale soprannaturale e un impianto gnoseologico di
timbro kantiano, le linee del naturale e del soprannaturale vengono a
omogeneizzarsi.
resistenziale soprannaturale è appunto la condizione
che accompagna sempre ogni uomo, come capacità di accogliere la grazia.2
Questa situazione soprannaturale si colloca a un livello trascendentale,
in un'esperienza che non può essere compiutamente tematizzata sul piano
categoriale. D'altra parte, essa è già Rivelazione prima ancora del
contatto storico con dei contenuti categoriali (Rivelazione categoriale),
che pervengono al soggetto a posteriori.1'
Ciò che occorre notare è che tale rivelazione originaria
e apnon-ca, collocata nella pura dimensione formale della trascedentalità
del soggetto, è mediata a se stessa da qualsiasi contenuto categoriale
(anche non «sacrale»), attraverso il quale il soggetto «perviene a se
stesso» (= prende coscienza di sé di fronte al mistero della
trascendenza, senza poterlo adeguatamente esprimere).4
A queste condizioni, la teologia trascendentale, ponendosi
come riflessione sulla natura dell'uomo, quale condizione di possibilità
della grazia (e conscguentemente come interpretazione trascendentale dei
dogmi cristiani), non sembra «teologia che appare come filosofia»,5
ma una filosofia vera e propria. Lo statuto di scientificità della
teologia è perciò lo stesso della filosofia.
La terza tipologia si colloca nel quadro logico-metafisico
dell'analogia: non si da cioè un'assoluta e semplice alternativa
radicale tra i contenuti soprannaturali della Rivelazione e quelli
naturali della ragione filosofica (equivocità), ma neppure una perfetta
omogeneità tra i medesimi (univocità) ; il rapporto tra i due contenuti
è quello di una
2 ) Cfr.
K. rahner, Saggi di antropologia soprannaturale, tr. it. Roma 1965,
pp. 66-77. "L'autocomunicazione da parte di Dio come offerta deve
essere anche la condizione necessaria della possibilità della sua
accettazione", id., Corso fondamentale sulla. fede, tr. it.
Roma 1977, p. 177. . .
3 ) Cfr. id., Corso fondamentale sulla fede,
cit., pp. 201-204; lo.. Uditori della Parola, tr. it. Roma 1977,
pp. 149-160. La rivelazione categoriale, storica e particolare, è nel suo
vertice e nella sua compiutezza il Cristo. Questa rivelazione in senso
tradizionale avrebbe però la funzione di "evocare" la
profondità dell'esperienza trascendentale soprannaturale: "essa
manifesta all'uomo la sua propria autocomprensione da sempre già attuata
(anche se in maniera irriflessa)", id., Corso fondamentale sulla
fede, cit., p. 175.
4 ) Secondo la gnoseologia rahneriana, i contenuti
concettuali sono un tentativo di oggettivizzazione
"cosale" dell'esperienza trascendentale, nella quale il soggetto
sarebbe originariamente "presso-se-stesso" in una dimensione
esistenzialmente emotiva. Cfr. Corso fondamentale sulla fede, cit.,
p. 34.
5 ) id., Teologia trascendentale, in K. rahner
(a cura di), Sacramentum murtdi, tr. it. Brescia 1977, voi. 8, p.
347.
62
La teologia come scienza,
somiglianzà proporzionale. L'analogia esprime appunto
quell'ordine di somiglianzà che si da tra contenuti assolutamente diversi
eppure relativamente proporzionali.6
Proprio per questa caratteristica complessità del quadro
analogico, diverse sono le impostazioni teologiche che si collocano al suo
interno e con esiti sistematici anche alternativi.7
L'impianto tipico di una teologia come quella di B. Forte,
per esempio, si rispecchia nell'orizzonte semantico ed epistemologico
dell'analogia di proporzionalità metaforica e in quello dell'analogia di
attribuzione estrinseca: le due analogie che maggiormente si appressano
all'estremo dell'equivocità.
') Sul concetto di analogia, le sue divisioni e proprietà
cfr. B. montagnes, La doctrine de l'analogie de l'étre d'après Saint
Thomas dAquin, Louvain 1963; S. rami-rez, De analogia, Madrid
1972; Origine e sviluppi dell'analogia. Da Parmenide a S.Tommaso,
Vallombrosa 1987; G. barzaghi, Analogia, ordine e il fondamento della
sintesi tomista, in «Sapienza» 1 (1987), pp. 65-97; G. barzaghi, Materia
e forma. Senso metafisico ed espansioni analogiche dell'ilemorfismo m
S.Tommaso d'Aquino, in «Divus Thomas» 3 (1993), pp. 9-61
7 ) L'analogia è in se stessa analoga. In quanto
intermedia tra l'equivocità e l'univocità, essa ha al suo interno
diverse modalità espressive, che si distinguono tra loro secondo il
diverso grado di distanza con il quale si appressano o si allontanano dai
due estremi ricordati.
Dalla parte dell'estremo dell'univocità, si da
un'analogia di ineguaglianza o fisica, cioè tale solo a livello
ontologico ma non logico {secundum esse tantum et non secun-dum
intentionem). E il caso del rapporto tra genere e specie: il genere
animale, per es., si predica univocamente di tutte le specie animali; ma
queste ultime sono tra loro diverse come l'animale razionale (l'uomo) e
l'animale irrazionale.
Dalla parte dell'estremo opposto, cioè dell'equivocità,
abbiamo l'analogia di attribuzione estrinseca, nella quale, alla
assoluta identità ontologica della res significata, corrisponde
una molteplicità diversificata di attribuzioni puramente denominative (secun-dun
intentionem tantum et non secundum esse). Per es., il termine sano
detto dell'uomo, nel quale risiede formalmente la salute, e del suo
colorito o della medicina, o del cibo ecc., nei quali la salute non si
trova realmente, ma che con essa stringono una certa relazione causale o
simbolica, tanto da poterne assumere la denominazione qualitativa.
Sempre dalla parte dell'estremo dell'equivocità abbiamo
anche l'analogia di proporzionalità metaforica, nella quale la
somiglianzà proporzionale viene presa in senso proprio solo in una delle
sue due proporzioni costitutive, mentre nell'altra ha solo carattere di
immagine evocativa: per es. si pensi all'espressione prato ridente o
all'immagine di Dio quale sole dell'anima.
Nel cuore dell'analogia troviamo però le sue due
espressioni tecnicamente più precise, cioè l'analogia di proporzionalità
propria, nella quale tutti i termini vengono presi in senso
proprio in entrembe le proporzioni paragonate, per es. l'intelletto sta
all'intell-gibile come il senso al sensibile; e l'analogia di attribuzione
intrinseca, nella quale l'ordine di partecipazione non riguarda
soltanto il piano denominativo, ma anche quello reale: per es. la nozione
di bene viene attribuita a Dio in modo assoluto e alle creture per
partecipazione reale.
Questi tipi di analogia sono qualificabili, secondo il
linguaggio di S.Tommaso, come analogia secundum esse et intentionem
simul. Cfr. 1 Sent-, 19,5,2,adi; S. ramirez, En torno
a un famoso texto de Santo Tomas sabre la, analogia, in «Sapientia»
(Buenos Aires) 8 (1953), pp. 166-192.
63
parte piuma
La teologia, per evitare gli estremi della pura
oggettività - tipico delle sintesi deduttivistiche classiche e del
positivismo biblico - e quello della soggettività moderna, dovrebbe
seguire - secondo questo autore - la via intermedia della «ragione
storica» aperta alla circolarltà tra soggetto e oggetto. Le linee di
questa riflessione percorrono le vie della narratività
(racconto-storia-esperienza) e dell''analogia (sottolineatura della
distinzione tra «Avvento» e «Esodo», cioè tra Dio e storia umana).8
Si può così dire - a nostro avviso interpretativo - che,
mentre il quadro della narrazione esperienziale delinea in termini di
metafora il senso globale dell'esistenza e dell'esistenza cristiana,9
il quadro analogico, invocato più in funzione differenziale che
assimilativa, corrisponde al modello dell'attribuzione estrinseca. In
questo caso la teologia presenta un telaio argomentativo basato più
sull'evocazione poetica che non sulla determinazione concettuale
filosofica.10
Secondo i modi concettualmente più precisi, ma non per
questo meno ricchi, dell'analogia di proporzionalità propria e di
attribuzione intrinseca si struttura la tipologia teologica della scuola
speculativa che si richiama a S. Tommaso d'Aquino."
Il modo analogico dell'attribuzione intrinseca è la
segnalazione logica dell'ordine ontologico strutturato secondo causalità
e partecipazione: si tratta del fondamento metafisico dell'epistemologia
teologica tomista.
Il modo analogico della proporzionalità propria, invece,
è lo Strumento investigativo-argomentativo per eccellenza di questa
stessa teologia.12
8) Cfr. B. forte, La teologia come compagnia,
memoria e profezia, Cinisello Balsamo (MI) 1987, pp. 185-197.
9 ) Per Forte, l'oggetto formale della teologia è
investito dal dinamismo dell'apertura storica, nel quale la prospettiva
del tempo scardina la chiusura sistematica dei concetti metafisici. E
quindi esplicito il richiamo reverenziale a M. Heidegger. Cfr. B. forte, Gesù
di Nazaret, storia di Dio, Dio della storia, Cinisello Balsamo (MI)
1985, pp. 47-48. ; . ,
lc ) Cfr. a conferma di ciò B. forte, La teologia
come compagnia..., cit., pp. 189-193.
") Per citare solo i principali autori di questa
scuola, con le opere nelle quali si ritrovano le riflessioni
epistemologiche riguardanti la teologia, ricordiamo: M. D. che-NÙ, La
teologia come scienza. La teologia nel XIII secolo, tr. it. Milano
1971; id., La teologia è una scienza?, tr. it. Catania 1958; Y.
congar, La Foi et la Théologie, Tour-nai 1962; S. ramirez, De
hominis beatitudine, Salamanca 1942, Prolegomeno primo, voi. I, pp.
5-87.
12 ) Cfr. G. barzaghi, Analogia, ordine e il
fondamento della sintesi tomista, cit.
Per quanto riguarda l'analogia di ineguaglianza o fisica,
a noi pare che possa raccogliere sotto il proprio emblema teoretico la
funzione teologica dell'esegesi. Quest'ultima, infatti, si occupa della
parola rivelata dal punto di vista della parola, per
penetrare
64
La teologia, come scienza
Attraverso queste due modalità analogiche, natura e
soprannatura si rapportano con equilibrio, salvaguardandosi
reciprocamente: non Soltanto la ragione e la filosofìa, nella loro
perfetta autonomia e consistenza, si inseriscono nella riflessione di fede
per una sua più profonda comprensione, ma la stessa fede, oltre a
presupporre un quadro di comprensione naturale, lo stimola e lo
arricchisce - in certo modo -nel suo stesso ordine. Questo è il senso
più completo del celebre assioma tomistico, secondo il quale la grazia
non toglie la natura ma la suppone e la perfeziona.
La dottrina di S. Tommaso
Ma vediamo in modo più dettagliato i termini teoretici
dell'impostazione di S. Tommaso.
A) il CONCETTO DI SCIENZA
II termine scienza in S. Tommaso ha un duplice
significato. In senso lato, esso indica semplicemente la qualità di un
sapere che è certo - per opposizione all'opinione - ed evidente
- per opposizione alla fede -, prescindendo dal processo dimostrativo
o anche dal puro ragionamento.13 In questo senso il verbo scire
è usato in modo generico tanto da equivalere a intelligere,
cioè intendere senza bisogno di mediazione argomentativa, come nella
conoscenza immediata dei primi principi, o a cognoscere, cioè
conoscere in generale.14
In senso stretto, il termine scienza indica la qualità di
una conoscenza che si caratterizza per certezza ed evidenza
in forza di un'argomentazione dimostrativa.15 Per questo
motivo, la conoscenza scientifica possiede la verità attraverso la
mediazione del ragiona-
e mettere il luce il suo senso più esatto, lavorando su
un materiale di semplice ordine culturale. L'esegesi, ammessa
l'ispirazione (iudicium de rebus acceptis), è concentrata sul suo
materiale (acceptio rerum): discorre quindi univocamente (con
metodologie letterarie) su un testo che significativamente pretende una
trascedenza sul semplicemente letterario. /
") Cfr. 1 Post., 1. 7.
M ) Cfr. De Ver., 2,2; C.G., I, 47; S. Th.,
I, 14,2.
") Cfr. 1 Post., 1. 44.
65
parte prima
mento: si conosce qualcosa attraverso la sua causa o
perché1^, a modo di una conclusione tratta da
principi per sé noti.17
In quanto abito delle conlusioni relative a un
determinato genere di cose, la scienza si distingue precisamente dn\V
intelletto come abito dei primi principi e dalla sapienza, che
invece abbraccia la totalità, non solo quanto alle conclusioni dedotte
dai principi, ma anche quanto alla valutazione degli stessi principi.18
- La scienza è il fine del sillogismo dimostrativo, e il
sillogismo dimostrativo è il mezzo necessario per acquistare la scienza.
La dimostrazione è un'argomentazione che parte da una
preconoscenza (antecedente) ben determinata, si sviluppa con rigore
(inferenza) e giunge a una conclusione (conseguenza) che si pretende
incontrovertibile.19
Dunque, la conclusione è l'oggetto proprio della
scienza.20 Ciò che si cerca attraverso la dimostrazione è la
conclusione nella quale si predica di un certo soggetto la sua proprietà (propria
passio).
La conclusione, proprio perché oggetto e termine della
scienza, deve essere necessaria: «Pensiamo di conoscere un singolo
oggetto assolutamente - non già in modo sofistico, cioè accidentale -
quando riteniamo di conoscere la causa in virtù della quale l'oggetto è,
sapendo che essa è causa di quell'oggetto, e crediamo che all'oggetto non
possa accadere di comportarsi diversamente».21 Dice in modo
significativo S. Tommaso : «De ratione scientiae est quod id quod scitur
existime-tur esse impossibile aliter se habere».22
Ora, l'incontrovertibilità della scienza, cioè della
conclusione dimostrata, risiede nella forza della sua causa, che la
precontiene virtualmente: l'antecedente.
") Cfr. C.G., I, 94.
17 ) Cfr. 1 Post., 1. 36.
18 ) Cfr. S. Th., I-II, 57,2. La scienza è
quell'abito che perfeziona l'intelletto possibile, conferendogli
quell'abilità nel ritrovare, collegare, ordinare e utilizzare le diverse
specie intelligibili sulle quali si impernia la dimostrazione;
"scientia importai ordinario-nem specierum intelligibilium, seu
facultatem et habilitatem quandam ipsius intellectus •ad utendum
huiusmodi speciebus", De Fot., 4,2, ad 20.
19 ) Per un quadro del linguaggio tecnico e dei
contenuti logici del pensiero tomistico cfr. G. barzaghi, L'ambiente
logico della razionalità in S.Tommaso d'Aquino, in «Divus Thomas» 2
(1993), pp. 11-31 e in questo volume.
20 ) "Scire nihil aliud est quam intelligere
veritatem alicuius conclusionis per de-monstrationem", 1 Post.,
1. 4.
21 ) aristotele, Analitici secondi. A, 2, 716,
5-10.
22 ) S. Th., II-II, 1,5, ad 4.
66
La teologia come scienza
L'antecedente è la causa, il perché o dice il
perché della conclusione:23 si tratta della ragione
dell'enunciato conclusivo. E tanto più è rigorosa la conoscenza della
verità dell'enunciato conclusivo, quanto più è adeguata, prossima e
propria la ragione giustificatrice.24 Se le premesse sono causa
della conclusione, occorre che siano i suoi principi propri, cioè propri
dell'oggetto provato: le cause devono essere sempre proporzionate ai loro
effetti.
L'ambito dell'antecedente è l'ambito del preconosciuto o
meglio della conoscenza prescientifica, cioè preconclusiva perché sua
condizione.
a ) E
importante notare che il punto di partenza dell'indagine scientifica è
sempre un interrogativo, e questo investe sempre ciò che nella
dimostrazione sarà poi la conclusione. Si potrebbe dire che l'inizio e il
termine della ricerca coincidono, distinguendosi per semplice segno di
interpunzione. Per es. : che l'uomo sia libero è un enunciato
mediatamente evidente, cioè accertabile attraverso una mediazione
dimostrativa. Originariamente, dunque, detto enunciato suona in termini
problematici: l'uomo è libero?;
al termine della prova il medesimo enunciato suona in
termini perentorii l'uomo è libero !
La ragione o perché di questo mutamento sta appunto
in quel complesso di enunciati che chiamiamo antecedente dimostrativo: il
razionale è libero; l'uomo è razionale. Per essere ancora più
elementari nell'esposizione, potremmo dire che la ricerca dimostrativa si
svolge cosi: l'uomo è libero? (domanda); si, l'uomo è libero!
(conclusione) perché (ragione dimostrativa) ogni soggetto razionale è
libero, e l'uomo è razionale.
24 ) Distinguiamo questi diversi gradi della ragione
probativa o giustificatrice per mostrare come il meccanismo mediativo o
discorsivo sia tipico della razionalità e quindi pervada ogni risoluzione
problematica, ma non sempre porti alla soluzione scientifica o
dimostrativa. Per inadeguata intendiamo quella ragione che si
presenta come assolutamente disomogenea alla materia trattata: per es., se
alla domanda circa il perché si ritiene che il triangolo ha la somma
degli angoli interni pari a due reni, si rispondesse che è così perché
lo si è sentito dire dai più; ci si trova di fronte a una pura opinione
o ragione dialettica culturale, priva di riflessione. Per ragione adeguata,
allora, intendiamo quella omogenea alla materia trattata.
Ma a questo riguardo si presentano due possibilità.
Parliamo di una ragione adeguata remota, quando è omogenea ma
esterna ai criteri di verifica proposizionale: per es., se al medesimo
interrogativo si rispondesse che è così perché lo dice chi insegna la
matematica; avremmo un semplice enunciato di fede umana che
riflette l'autorità del proponente. Parliamo di ragione adeguata prossima,
invece, quando all'omogeneità essa aggiunge anche l'intrinsecità di
verifica dell'enunciato.
Anche in questo caso abbiamo due livelli. Il primo è
quello della ragione comune, cioè di un principio che
giustifica ma non esclude l'appropriazione ad altro: per es., se si
rispondesse dicendo che è così perché il triangolo è una figura piana;
avremmo una ragione dialettica in senso tecnico.
Il secondo livello è quello della ragione propria,
cioè di un principio che giustifica appropriandosi esclusivamente; sempre
nell'esempio ricordato, la risposta sarebbe questa: il triangolo ha la
somma degli angoli interni pari a due retti perché - verifica grafica
alla mano, trattandosi di enunciato geometrico - l'angolo esterno di un
triangolo è uguale alla somma degli angoli interni ad esso non adiacenti
(un angolo corrispondente + un angolo alterno interno) ; se si aggiunge
l'angolo comune, nasce un angolo piatto, cioè di 180 gradi.
67
parte prima
Questa conoscenza riguarda il soggetto della
predicazione scientifica, la sua passio o proprietà-predicato, i principi.25
Del soggetto occorre preconoscere che è {quia est)
e che cosa è (quid est). Il soggetto, in quanto è, è il
fondamento obiettivo e realistico della problematicità: non è problema,
ma è la materia attorno alla quale si investiga problematicamente, in
modo realistico e non fitti-zio.26 Occorre preconoscere del
soggetto anche che cosa sia, cioè la definizione, perché è
proprio dall'essenza del soggetto che si ricava l'eventuale ragione di
inerenza della proprietà al soggetto (almeno nella dimostrazione per
eccellenza, quella detta propter quid, cioè in forza dell'essenza,
della quidditas).27
Della passio, o proprietà, della quale si ricerca
problematicamente l'inerenza o meno al soggetto, occorre preconoscere solo
che cosa significhi il nome che la indica (quid est quod dicitur),
perché, prima che si conosca se una data cosa è (an sit), non se
ne può propriamente conoscere l'essenza (quid sit); d'altra parte
non si può dimostrare l'esistenza di una cosa se non si sa almeno che
cosa si intenda con il suo nome. Del resto, è dalla definizione del
soggetto e della proprietà (passio) che si assume il medium
demonstrationis.
Dei principi si deve preconoscere che sono veri. E
il modo di questa conoscenza deve essere incontrovertibile, per poter
essere causa della pretesa incontestabilità della verità della
conclusione. Occorre essere certi della falsità delle proposizioni
contrapposte ai principi: in qualche modo i principi devono presentarsi
con l'evidenza della con-traddittorietà del loro contraddittorio. Sebbene
il vero, accidentalmente, possa essere concluso anche da un antecedente
falso, tuttavia, la rigorosa dimostrazione per sé esige che il vero sia
necessariamente tratto dal vero necessario.
Di qui l'importanza della perseità di questi
principi, il loro essere rigorosamente primi e universali - almeno
in un determinato genere -, ed evidenti.
Perseità è sinonimo di necessità, perché si oppone
perfettamente all'accidentalità. Si dice che una proposizione è per sé
in quanto il rap-
25 )
Cfr. a questo proposito 1 Post., 11. 2. e 3.
26 ) E importante notare che ogni scienza presuppone
l'esistenza del proprio soggetto, eccetto la teologia. L'esistenza di Dio
non è immediatamente evidente ed è compito della teologia naturale o
filosofica proporne una rigorosa dimostrazione.
27 ) Cfr. G. barzaghi, L'ambiente logico della
razionalità in S. Tommaso d'Aqui-no, in questo volume. Nel caso della
dimostrazione quia, del soggetto si preconosce il quid est
nominis, perché questa dimostrazione non parte dall'essenza del
soggetto, la quale non può dunque fungere da medio. In questo caso la
scienza dimostra l'esistenza del suo stesso soggetto, come si è detto
della teologia (cfr. S. Th., I, 2,2 e 3).
68
La. teologia come scienza.
porto tra soggetto e predicato rispecchia il legame
necessario della causalità intrinseca: la preposizione per indica
proprio il legame di causalità; la riflessività del sé dice che
tale legame è in forza degli stessi termini costituenti la proposizione.
Si dice per sé la proposizione nella quale il
soggetto è causa del predicato. E ciò può essere verificato in una
triplice prospettiva: secondo la caratteristica della causa formale
abbiamo il primo modo di-cendiper se, cioè quando il predicato è
la definizione essenziale o una parte della definizione essenziale del
soggetto (per es., l'uomo è un animale razionale); secondo la
caratteristica della causa materiale abbiamo il secondo modo dicendi
per se, cioè quando dalla definizione del predicato si ricava il
soggetto proprio, come la materia in qua dell'accidente proprio
(per es., l'uomo è libero); secondo le caratteristiche della causa
efficiente abbiamo il quarto modo dicendi per se, cioè quando il
predicato è visto come effetto proprio emanante dall'essenza del soggetto
(per es., ciò che è razionale è libero; oppure, con un esempio più
elementare, il pittore dipinge).28
In ogni caso, la perseità proposizionale è indice di
rigore analitico;
tuttavia il vertice o, se si preferisce, il cuore di
questa analiticità si trova nel primo modo e, per partecipazione
graduale, nel secondo e poi nel terzo.
Ma la perseità non è ancora sufficiente al darsi di un
vero principio scientifico. Occorre anche \'immediatezza tipica
dell'evidenza e di ciò che è primo.
Se la scienza è conoscenza rigorosa del mediato, dovrà
partire da un rigoroso immediato, pena un vano quanto assurdo processo
all'infinito nella mediazione, elisivo della stessa scienza.
L'evidenza di ciò che è primo e immediato sta nel fatto
che la sua verità consta dalla semplice analisi dei termini costitutivi
l'enunciazio-
28 )
Esiste anche un terzo modo dicendi per se, il quale però, più che
un modo di. predicazione, è un modo di essere. In questo caso la
preposizione per non indica la relazione causale, ma il sito:
come quando diciamo che qualcuno è per sé, intendendo dire che è da
solo. Il terzo modo indica dunque la perseità tipica dell'individuo
sussistente .liei genere della sostanza. Cfr. 1 Post., 1. 10.
Per quanto riguarda l'articolazione delle proposizioni o
principi per sé della dimostrazione, S.Tommaso nota: "Poiché nella
dimostrazione si prova l'appartenenza della proprietà al suo soggetto,
attraverso il medio che è la definizione, occorre che la premessa
maggiore - il cui predicato è appunto la proprietà (passio) e il
cui soggetto è la definizione (medio), che contiene i principi della
proprietà - sia nel quarto modo della predicazione per sé; la premessa
minore, invece - il cui soggetto è lo stesso soggetto della conclusione e
il cui predicato è la definizione - occorre che sia nel primo modo. La
conclusione infine, nella quale si predica la proprietà del soggetto, è
per sé nel secondo modo", 1 Post., 1. 13.
69
parte prima
ne stessa, senza ricorso a un termine medio connettivo.
Per es., la proposizione che dice: «il tutto è superiore a ogni sua
parte» è immediatamente evidente, perché appena inteso che cosa è
«tutto» e che cosa è «parte» risulta l'incontestabile verità di
quella loro relazione. Negare tale verità implica contraddizione:
eguagliare o sminuire il tutto rispetto alla parte, significa azzerare
concettualmente le due nozioni.
I principi primi in assoluto sono gli assiomi
{dignitates vel maxi" mae propositiones). Sono i principi comuni
a tutte le scienze, in quanto fondativi e regolativi di ogni sapere, come
il principio di identità e non contraddizione. Essi vengono applicati
analogicamente in ogni singola scienza, in quanto cioè proporzionati al
genere-soggetto di quella scienza. Es. di principio comune: «se da
oggetti eguali sotraggo Oggetti eguali, gli oggetti rimanenti saranno
eguali»; applicazione proporzionale alla matematica: «se da quantità
eguali sottraggo quantità eguali, le quantità rimanenti saranno
eguali».
I principi primi in senso relativo o propri, sono
le nozioni del genere-soggetto e della proprietà (passio) così
come sonò definibili in una determinata scienza.
- Ed è proprio la nozione digenere-soggetto che
rappresenta il principio specificativo e unificatore di una
scienza. Infatti il gènere-soggetto sta alla scienza come l'oggetto
specificativo sta alla potenza e all'abito rispettivo.29
Non ogni diversità di oggetti determina una nuova
specificazione scientifica, ma solo quella diversità che si colloca dal
punto di vista formale. Nella scuola tomista si è soliti distinguere, con
un linguaggio più dettagliato di quello di S. Tommaso - ma con lo stesso
contenuto concettuale -, due ordini all'interno di questa formalità
specificativa:
un ordine relativo direttamente all'oggetto conosciuto e
un ordine relativo al soggetto conoscente.
Dalla parte dell'oggetto conosciuto, si da la
formalità dell'oggetto come cosa (ratto formalis quae, o biectum
formale quod), cui termina l'atto conoscitivo scientifico.
Questa formalità è ciò che primariamente (primo et
per se) viene considerato dalla scienza, poiché in essa vengono
coordinati tutti gli altri oggetti che materialmente possono cadere
nell'obiettivo della stessa scienza. Per es., nella scienza metafìsica,
il soggetto di indagine o oggetto formale quod è Vente in quanto ente:
la metafìsica considera tutte le cose che sono (queste pagine, gli
uomini, gli animali, gli oc-
29 )
Cfr. S. Th., I, 1, 7c.
70
La teologia come scienza,
chiali, Dio ecc.), ma non nella indeterminata loro
materialità specifica (cioè come pagine, uomini, animali, occhiali, Dio
ecc.), bensì nel loro possibile coordinamento formale sotto la nozione di
ente come tale.
Si tratta della formalità reduplicativa del soggetto
della scienza, il soggetto in quanto è tale - intendendo sempre il
termine soggetto nel senso scolastico di soggetto di indagine o di
predicazione e non in senso moderno evidentemente -; si tratta della
ragione per la quale, come per condizione adeguata della causa propria, si
dimostrano le proprietà del genere-soggetto :30 è il medium
della prima o fondamentale dimostrazione che si da in una scienza.31
Dalla parte del soggetto conoscente, si da
propriamente la formalità dell'oggetto in quanto oggetto, cioè in quanto
conoscibile.
Essa è il principio, la luce, la ragione particolare (ratio
formalis sub qua, obiectum formale quo) sotto la quale si staglia
l'oggetto formale quod. Si è detto che l'oggetto formale quod e
il medio dimostrativo, dunque la definizione del genere-soggetto, la quale
è il principio fondamentale nella dimostrazione propter quid.
Perciò, la ragione formale sotto la quale si delinea l'oggetto formale quod
è il modo stesso di definire, strettamente legato ai tré diversi
gradi di «astrazione formale».32
E da questa ratio scibilitatis, da questo modo di
definire, che si desume il principio diversificatore delle scienze.
«Diversa ratio cogno-scibilis, diversitatem scientiarum inducit».33
Per es., nella metafisica, al fine di considerare ogni cosa non in quanto
è di tale specie, ma in quanto è ente, occorre porsi a quel livello
astrattivo (terzo grado) nel
30 )
Cfr. 1 Post., 1. 12.
31 ) Cfr. gaetano, In S. Th., I, 1,3.
32 ) Se l'oggetto formale della scienza dipende dalla
materia sensibile sia quanto all'essere che quanto alla definizione,
abbiamo la fisica (primo grado di astrazione formale, che prescinde solo
dalla materia individua). Se l'oggetto dipende dalla materia sensibile
quanto all'essere ma non quanto alla definizione, che accoglie
semplicemente I? materia intelligibile, abbiamo la matematica (secondo
grado). Se infine l'oggetto non dipende assolutamente dalla materia, ne
sensibile ne intelligibile, sia quanto all'essere sia quanto alla
definizione, oppure almeno quanto alla definizione - per nozioni che
possono realizzarsi sia nella materia che fuori di essa -, abbiamo la
metafisica (terzo grado). Per una descrizione più articolata del concetto
di astrazione e della sua funzione discretiva tra le scienze, cfr. G.
barzaghi, Natura e proprietà della razionalità filoso-fica in
S.Tommaso d'Aquino, in «Divus Thomas» 1 (1992), pp. 74-79, ora qui
alle pp. 45-48.
33 ) S. Th; I, 1, ad2; cfr. 1 De anima,
1. 2; 5 Met., 1. i.joannes^a S. thoma, Cursus Phil., logica
II, 27,1 (ed. Reiser), pp. 821-825.
71
parte prima
quale la si può definire appunto prescindendo da
qualsiasi materia, giacché l'ente è ciò che ha l'essere in qualunque
modo (sia materiale, sia immateriale).
B) scienza PRIMA E SCIENZA SUBALTERNA
Sebbene la scienza debba partire da principi per sé
primi, immediatamente evidenti, tuttavia non ogni scienza è tenuta di per
se stessa a un tale statuto.
Vi sono infatti scienze che procedono da principi per sé
immediatamente evidenti; vi sono altre scienze, invece, che procedono da
principi evidenti alla luce di qualche scienza a loro superiore. Nel primo
caso ci troviamo di fronte a scienze prime; nel secondo a scienze subalterne.
Nell'un caso come nell'altro, la scientificità di una
proposizione ha il suo fondamento in una mediazione che la riconduce a una
proposizione prima per sé evidente.
Si da una duplice modalità di subalternazione tra le
scienze.
Quando la scienza subalterna è una parte della scienza
superiore, perché il suo soggetto è una perte del soggetto della scienza
superiore, come la specie lo è del genere. Per es., la zoologia è una
parte specifica della scienza della natura e, come tale, scienza ad essa
subalterna.
Quando il soggetto della scienza inferiore si rapporta a
quello della scienza superiore, come ciò che è materiale a ciò che è
formale. Per es., la musica è scienza subalterna all'aritmetica, perché
il suo soggetto, il numero sonoro, è un'applicazione del numero
formale, soggetto dell'aritmetica, a quella materia che è il suono. Sonoro
aggiunge una differenza accidentale a numero; diferenza accidentale
che comunque è tale da essere principio di particolari proprietà (passiones)
e verità scientifiche.
Con questa seconda modalità, nella scienza superiore si
determina la ratto pròif'ter quid di ciò che nella scienza
inferiore è conosciuto soltanto secondo la ratio quia o fattuale.34
In questo caso si parla anche
") Quando il soggetto di una scienza rientra a modo
di specie nel soggetto di un'altra, per dimostrare che i predicati propri
del genere-soggetto della scienza superiore appartengono al soggetto della
scienza inferiore, la scienza generica o superiore rappresenta la premessa
maggiore della dimostrazione della scienza inferiore o specifica. La
scienza superiore, infatti, deve mostrare la ragione dell'inerenza o non
inerenza del predicato al soggetto; la scienza inferiore, invece,
considera se tale predicato appartiene o no al suo proprio
genere-soggetto. Così, le scienze speculative, più universali,
determinano la ratio propter quid di quei predicati dei quali le
scienze particolari, ad esse proporiamente subordinate, mostrano la ratio
quia. Cfr. M. mignucci, La teoria aristotelica della scienza,
Firenze 1965, 141-143.
72
La teologia, come scienza
di subalternazione quanto agli stessi principi: nella
scienza subalterna si assumono come principi le conclusioni della scienza
superiore.35
La scienza subalternante e la scienza subalterna devono
appartenere allo stesso ordine di conoscibilità, devono avere lo stesso
genere soggetto e lo stesso grado di astrazione. Esse devono avere lo
stesso oggetto formale quod, anche se nella scienza subalterna
questo riceve la connotazione di una differenza accidentale, che lo rende
- in certo modo - specie dell'oggetto della scienza subalternante. Questo
rapporto è richiesto dal fatto che la scienza subalternante deve mostrare
appunto la ratio propter quid delle conclusioni della scienza
subalterna; deve cioè procedere dalle cause adeguate, prossime e proprie
delle conclusioni.
I principi della teoria musicale, per esempio, non sono
evidenti al teorico musicale in quanto tale, ma al matematico in quanto
tale, che li riconduce all'evidenza propria dei principi dell'aritmetica.
Il teorico musicale si limita a credere veri quei principi e da
essi parte per concludere altre verità in modo rigorosamente scientifico;
il matematico, invece, li conosce con evidenza scientifica in quanto li
dimostra come conclusioni della propria scienza.
E quindi chiaro che il cultore di una scienza subalterna,
per possedere scientificamente la verità della propria disciplina, deve
possedere e coltivare entrambe le formalità scientifiche : sia quella
subalternante, che quella subalterna. Egli conoscerà dunque
scientificamente come matematico quei principi che crederà veri come
teorico musicale.
35 )
Cfr. In B. Trin., 2, 1,1, ad5; 1 Post., 1. 25; S. Th.,
I, 1,2. Occorre, a questo punto, una precisazione. Distinguiamo una
subordinazione diretta e una subordinazione indiretta.
La subordinazione diretta si ha quando la realtà
inferiore o subordinata non ha alcuna indipendenza o autonomia rispetto
alla realtà superiore, ma ne è una partecipazione stretta, così che la
superiore ha una propria e immediata giurisdizione sull'inferiore e su
tutta la materia ad essa soggetta.
La subordinazione indiretta (per accidens), invece,
si ha quando la realtà subordinata è veramente autonoma e suprema nel
proprio ambito, cosi da non dipendere come tale dalla subordinante.
Tuttavia la realtà superiore ha, sopra la subordinata, una precisa
supervisione e dirczione.
Una scienza è subordinata direttamente a un'altra quando
è una parte soggettiva o integrale di quella stessa, e assume perciò da
essa non solo i principi generali, comuni (assiomi), ma anche quelli
specifici e propri: è il caso della subalternazione.
Una scienza è invece subordinata indirettamente quando,
possedendo in sé i propri principi e il proprio autonomo metodo, desume
tuttavia dalla scienza superiore la difesa dei propri principi contro chi
li negasse e, nel contempo, la dirczione e la supervisione. Il rapporto
tra la metafisica e le altre scienze e parti della filosofia (parti
potenziali) è di questo tipo. Lo stesso modello si applica al rapporto
teologia-filosofia. Cfr. S. ramirez, De ipsa. pbilosophia. in
universum, Madrid 1970, II, pp. 792-799.
73
parte prima
Un altro caso emblematico di scienze subalterne è quello
che si verifica tra la psicologia razionale e la filosofia morale. Il
filosofo morale non dimostra la libertà e la responsabilità dell'agire
umano; questa infatti è una verità dimostrata dalla psicologia
razionale. Il filosofo morale, supponendo la libertà-resposabilità
dell'uomo - e tutto ciò che concorre ad aumentarla o attenuarla, come per
esempio le passioni - prova la bontà o malizia delle sue azioni. Il
filosofo morale non considera l'atto libero in quanto libero, ma in quanto
relato alla norma etica. Ma anche in questo caso, sempre sotto le ben
distinte formalità epistemologiche, non esiste un buon filosofo morale
che non sia anche un buon psicologo razionale.
C) lo STATUTO SCIENTIFICO DELLA TEOLOGIA
Secondo S. Tommaso, la teologia è una scienza; o per
essere più precisi secondo il suo linguaggio, la sacra dottrina è
una scienza.
La nozione di sacra doctrina è assai articolata
nel pensiero di S. Tommaso e copre un'estensione concettuale non
semplicemente delimitabile dalla competenza che noi attribuiamo alla teologia
in senso stretto.
D'altra parte, lo stesso S. Tommaso riconosce che la
teologia in senso più tecnico è un aspetto della sacra doctrina.
Rispondendo infatti all'obiezione secondo la quale è perfettamente
inutile una disciplina che si aggiunga a quelle filosofiche, giacché
queste trattano di ogni ente compreso Dio, egli distingue la teologia che
appartiene alla sacra doctrina da quella che è parte della
filosofia (teologia filosofica o razionale, o naturale) e che è di genere
diverso.36
La sacra doctrina, o insegnamento sacro e divino,
comprende la Rivelazione, la Scrittura-Tradizione, la teologia
in senso tecnico. «Sacra doctrina è l'insegnamento che procede
dalla rivelazione: con tutto le risorse che ne derivano, con tutti i
trattamenti che essa può comportare nello spirito umano, dalla lettura
della bibbia alla deduzione teologica. Quindi diversità relativa di
oggetti, di funzioni, di metodi».37
•") Cfr. I, 1,1, ad2.
37 ) M. D.' chenu, La teologia come
scienza. La teologia nel XIII secolo, tt. it. Milano 1971, p. 92.
74
La teologia come scienza
Essa non è semplicemente la fede, ma neppure solo là
teologia. Nella prima questione della Summa Theologiae, essa è
intesa genericamente come la conoscenza rivelata da Dio, sia a livello
formale sia a livello virtuale, prescindendo da una deterministica
caratterizzazione come insegnamento o come disciplina, e perciò
dall'implicare un puro assenso di fede o una conoscenza dimostrativa.38
Questa semantizzazione consente poi la qualificazione
funzionale come scienza della sacra doctrina, quando si riferisce
alle conclusioni
in senso tecnico.39
Al livello generico della nozione, nello scritto sulle Sentenze,
S. Tommaso elenca una molteplicità di modalità attraverso le
quali si esprime la sacra doctrina.^
La scientificità della sacra, doctrina si limita
al parallelismo: articoli di fede = principi primi e alla proporzione:
luce della fede == intelligenza dei principi.41
I modi della sacra doctrina si possono
schematicamente raggnippare sotto due punti di vista generali: rispetto
alla accoglienza dei primi principi e rispetto a ciò che da essi può
derivare.
Siccome i principi di questa scienza sono appresi
attraverso la rivelazione, il modo di apprenderli è revelativus
(Profezia), dalla parte di chi li infonde, e orativus (Salmi),
dalla parte di chi li accoglie. Poiché la rivelazione è confermata dai
miracoli, la sacra doctrina comprende anche un modo narrativus
{signorum). Data poi la sproporzione di questi principi rispetto alla
mente dei viatori, viene assunto un modo metaphoricus, symbolicus,,
parabolicus, per la loro esposizione.
Da questi principi poi si procede: a) per distruggere gli
erróri, il
che implica il modo argumentativus (sia per
autorità che per ragione);
b) per guidare il comportamento, con modo praeceptivus
(Legge), comminatorius e promissivus (Profeti), narrativus
(exemplorum: libri storici); e) per contemplare la verità nelle
questioni scritturistiche, con modo argumentativus, sondando il
senso storico, morale, allegorico o anagogico della sacra pagina.
38 )
"[Saci-a doctrina] sumitur prò cognitione a Deo revelata, swe
fórmaliter sive virtualiter, ut habet rationem disciplinae et doctrinae,
abstrahendo a ratione crediti et sciti": caietanus, In I S. Th.,
1,1.
39 ) Cfr. caietanus, In I S. Th., 1,2.
40 ) 1 Sent., prol., 5.
41 ) Cfr. 1 Sent., prol., 3,2, ad2.
75
parte prima
II passo decisivo verso la chiarificazione della
condizione di scienza della sacra dottrina si ha con il commento al
De Trinitate di Boe-zio42 e con gli articoli 2 (Utrum
sacra doctrina sit sdentici) e 8 (Utrum haec doctrina sit
argumentativa) della prima questione della prima parte della Summa
Theologiae."
La sacra doctrina è una scienza subalterna
alla scienza di Dio e dei beati. Essa desume per fede i propri principi
dalla scienza di Dio, nella quale si situa l'evidenza originaria richiesta
allo statuto della scientificità. La continuità tra la scienza di Dio e
la teologia come scienza subalterna è data appunto dalla fede con
la quale il teologo accoglie i propri principi-articoli di fede da Dio che
li rivela.
E la fede infusa che assicura il legame epistemologico tra
la scienza di Dio subalternante e la scienza teologica subalterna. In
questo modo la teologia è in certo modo una «quaedam impressio divinae
scien-
• aa
tiae».44
42) Cfr. In B. Trin., 2,2, ad5.
43 ) E interessante notare come si sia venuta
sviluppando la nozione di teologia nel medioevo fino a S.Tommaso, per
comprendere il senso e il valore della svolta epistemo-logica operata
dall'ingresso degli Analitici secondi e dalle altre opere
filosofiche di Ari-stotele nell'occidente cristiano tra la metà del
secolo XII e il secolo XIII. Eccone uno schema riassuntivo.
1) Fase testuale: la teologia è la Sacra
Pagina. .
a) Metodo: Lectio = lettura e cemento dei testi:
- interpretazione letterale (grammaticale)
- interpretazione del senso (i quattro sensi)
- sententia = interpretazione profonda del testo.
b) Strumenti: Trivium
- grammatica (Alcuino)
- retorica allegorizzante (Ugo di S. Vittore)
- dialettica (Abelardo). .
2) Fase metatestuale: la teologia è la Sacra Dottrina.
a) Metodo : '
- Quaestio: problemauzzazione speculativa (Utrum...).
Per es., esiste Dio? Perché sette sacramenti?
La sententia diviene la conclusione di una
dimostrazione.
- Disputatio: confronto di opinioni.
La sententia diviene la soluzione del maestro.
b) Strumenti:
- Logica vetus = Isagoge di Porfirio, Categorie di
Aristotele Dialettica dello Ps.Agostino, Topici di Cicerone (Abelardo)
- Logica nova = Analitici, Topici ed Elenchi di
Aristotele, cui si aggiungono la fisica, la metafisica, la psicologia,
l'etica e la politica sempre di Aristotele (S. Tommaso).
Con S. Tommaso la Scrittura e gli articoli di fede non
sono più la "materia" di indagine come nel secolo XII, ma sono
il "principio" dimostrativo di una nuova scienza. Cfr. M. D.
chenu, La théologie comine science au XIII siede , in
"Archives d'histoire doctrinale et littéraire du Moyen Age", 2
(1927), p. 33.
-4) S. Th., I, 1,3, ad2.
76
La teologia come scienza
Dunque la scienza teologica non è che un caso particolare
di scienza subalterna. Come si vede, questa tesi è una vera soluzione
«scientifica», cioè giustificata attraverso una ragione adeguata,
prossima e propria.
Occorre comunque notare con maggior precisione che la
teologia è una scienza quasi-subalterna.45 In questo
caso, infatti, si da semplicemente subalternanza di principi, ma non di
oggetto: quest'ultimo resta perfettamente identico a quello della scienza
di Dio,, senza subire le modifiche accidentali che invece caratterizzano -
come abbiamo detto sopra - l'oggetto della scienza subalterna. .
L'oggetto formale quod o soggetto della teologia è
Dio in se stesso, Dio in quanto Dio, nella sua stessa deità. Tutto quanto
cade materialmente sotto la considerazione del teologo è inteso in ordine
a Dio, così come tutto ciò che è materialmente oggetto di
considerazione visiva è termalmente colto sotto l'aspetto del colore,
oggetto formale quod della vista.46
L'oggetto formale quo o la ratio scibilitatis
della scienza teologica è il «rivelabile» o il rivelato implicito
virtuale. Dice S. Tommaso:
«Omnia quaecumque sunt divinitus revelabilia communicant
in una ratione formali obiecti huius scientiae».47
E proprio la nozione di «rivelabile» che distingue la
teologia dalla fede, dalla visione beatifica, dall'esperienza mistica e
dall'ispirazione profetica, conoscenze che con essa condividono il
riferimento al medesimo oggetto formale quod: Dio nella sua deità.
Ed è proprio su questa nozione che si concentra tutta la pregnanza della mediazione
tipica della scienza teologica.
La fede e la visione beatifica hanno come oggetto formale quo
rispettivamente l'autorità di Dio che rivela (JDeus prima veritas in
lo-quendo) e la stessa deità che funge quasi da specie intelligibile
della
45 )
Cfr. M. D. chenu, La teologia come scienza, cit., pp. 93-99.
Occorre anche notare la particolare imperfezione della scienza
teologica rispettò alle altre scienze subalterne. In queste ultime,
infatti, è possibile la perfetta "risoluzione" scientifica nei
principi primi della scienza subalternante, in quanto il cultore della
scienza subalterna può essere cultore anche della scienza subalternante o
comunque ha le capacità naturali per acquisire l'evidenza delle ragioni
prime che giustificano, in modo subalternante, le sue conclusioni; il
teologo, invece, non può avere l'evidenza comprensiva che è propria di
Dio: perciò non può attuare una perfetta "risoluzione"
scientifica nei primi principi del mistero soprannaturale.
46 ) "Omnia autem pertractantur in sacra doctnna
sub ratione Dei vel quia sunt ipse Deus; vel quia habent ordinem ad Deum,
ut ad principium et finem": S. Th., I, 1, 7c.
") S. Th., I, 1, 3c.
77
parte prima
stessa visione: accomunate nell'azione illuminatrice di
Dio e nella stessa conoscenza propria di Dio, si distinguono
rispettivamente per l'inevidenza e l'evidenza del risultato conoscitivo.
Dal punto di vista della risultanza passiva
dell'illuminazione divina nel soggetto e quindi secondo le modalità
partecipative, abbiamo:
a) il lume immediato formalmente soprannaturale della
profezia, caratterizzato dall'aspetto inevidente e speculativo del
giudizio ispirato, e b) quello sempre immediato formalmente soprannaturale
dei doni dello Spirito Santo di ordine intellettivo, caratterizzato
dall'esperien-zialità affettiva (mistica); e) il lume mediato
della teologia: lume radicalmente soprannaturale e formalmente naturale
w
La teologia è una scienza radicalmente soprannaturale
perché i suoi principi primi sono gli articoli di fede, comunicati e
accolti con la rivelazione soprannaturale (il rivelato), è
tuttavia scienza formalmente naturale perché dal dato rivelato essa parte
per concludere altre verità che in esso sono contenute in modo implicito
e virtuale: questo è appunto il rivelabile.
«Haec doctrina non argumentatur ad sua principia
probanda, quae sunt articuli fidei; sed ex eis procedit ad aliquid aliud
ostenden-dum».49
Il rivelabile è il rivelato implicito virtuale e non
formale, giacché è guadagnato attraverso un'argomentazione razionale e
non semplicemente accolto in un assenso di fede. Questa inferenza è opera
della ragione naturale, che usa i propri strumenti naturali: perciò la
scienza teologica, che consiste formalmente in tale mediazione, è'una
scienza formalmente naturale.
Esplicitazione o interpretazione espansiva
L'abito della scienza teologica è naturale, perché
acquisito attraverso una considerazione delle realtà soprannaturali
secondo il modo tipico della metafisica e il rigore inquisitivo-connetivo
della logica.50
48) Cfr. S. ramirez, De hominis beatitudine,
Salamanca 1942, I, pp. 73-74.
49 ) S. Th., I, 1, 8c. - !
50 ) L'abito della scienza teologica è naturale,
"quia bene stat aliquas veritates esse notas supernaturaliter quoad
assensum, et tamen per discursum naturalem penetrar! ea quae dependentiam
et connexionem habent cum tali ventate; et tunc talis inquisitio erit
ordinis naturalis, et ipse discursus et ordo consequentiarum fundatur in
principiis natu-ralibus. Unde apud theologum bonitas consequentiae eisdem
principiis regulatur, sicut aliae consequentiae logicales. Itaque res
supernaturales ad modum metaphysicae scien-
78
La, teologia come scienza
Certo l'esemplificazione argomentativa tipica della
teologia proposta da S. Tommaso è totalmente immersa nella rivelazione:
si tratta dell'argomento della 1 Cor 15,12 ss con il quale si prova
la resurrezione di tutti gli uomini a partire da quella di Cristo.51
Tuttavia occorre osservare che tale esemplificazione è tratta dalla
stessa Scrittura per investire di autorità il metodo argomentativo
nell'ambito delle verità rivelate: è chiaro infatti che appartenendo
alla rivelazione, quell'argomento non è precisamente teologico in senso
stretto, giacché la teologia scritturistica è ispirata e quindi
profetica.
D'altra parte, se si va a considerare in concreto (in
actu exercito);ìa, tipologia argomentativa della teologia di S.
Tommaso ci si trova di fronte a delle vere e proprie mediazioni di
carattere filosofìco o s comunque culturale.52
A) la MEDIAZIONE FILOSOFICA
Dunque il «rivelabile» è l'oggetto formale qua
della scienza teologica. Perciò le conclusioni teologiche sono degli
enunciati che presentano delle verità non esplicitamente espresse nelle
fonti della rivelazione, eppure connesse necessariamente con le verità
esplicitamente rivelate. Esse enunciano appunto il rivelato implicito
virtuale.
Non si tratta, in altri termini, della dimostrazione del
dato rivelato - il che sarebbe assurdo, perché non si può dare
dimostrazione di ciò che è oggetto di fede soprannaturale -, ma
chiarificazione dimostrativa di ciò che si crede. La nuova verità
dedotta con il sillogismo teologico non è nuova in senso assoluto e
quindi giustapposta estrinsecamente a quella creduta, ma è contenuta
implicitamente e virtualmente nelle verità rivelate: la novità sta nella
chiarezza con la quale si comprende in modo teoreticamente più profondo
ciò che comunque si continua a credere.
tiae tractatae, et discursu naturali collatae, generant
habitum scientificum naturalis ordinis, quia modus sciendi et discurrendi
naturalis est":JoANNES A S. thoma, Cursus theologicus, d. 2,
a. 8, n. 6.
") Cfr. S. Th., I, 1, 8c.
52 ) Solo per citare un esempio, si veda la funzione
della riflessione filosofica sulla natura dell'amore, dell'odio e del
piacere per la trattazione della carità (3 Sent.), oppure quella
sulla concupiscenza, la speranza e la disperazione per capire la speranza
teologale
79
parte prima
1. La formalità naturale.
Spesso la «novità» apportata dalla scienza teologica al
dato rivelato consiste semplicemente in un «ricollegamento» razionale
tra le verità cristiane in sistema."
Ciò non toglie che la mediazione operata attraverso
Pargometa-zione teologica sia opera della ragione filosofica. Secondo S.
Tomma-so, è proprio della teologia investigare tutte le verità che
derivano dai principi-articoli di fede e che servono alla loro difesa,54
come anche tutte le verità che accompagnano, precedono o seguono la fede.55
Stando a questa tesi di S. Tommaso, si possono raccogliere
nel seguente schema i diversi tipi di argomentazione usati in teologia:
A) Per le verità che precedono la fede:
argomentazioni estrinseche all'esplicitazione del dato rivelato e prerequisite
alla fede:
a) Praeambula fidei (esistenza di Dio e suoi
attributi, immortalità dell'anima umana, libertà, legge morale
naturale).
b) Motivi di credibilità circa la possibilità e
storicità della rivelazione divina.
B) Per le verità conseguenti alla
spiegazione del dato rivelato: argomentazioni di carattere apologetico
: ,
a) Incontraddittorietà del dogma o sua non evidente
contrad-dittorietà.
b) Consonanza del mistero rivelato con la natura umana.
C) Per le verità che accompagnano la spiegazione
del dato rivelato: argomentazioni intrinseche al rivelato stesso:
a) Con nozioni storico-filologiche: teologia biblica:
con spie-gazioni nozionali (es. regno dei cieli, cf. Kittel) o
elaborazione di tipologie (metodo scritturistico, es. : 1 Cor
10,1-6).
b) Con nozioni e argomentazioni razionali o
filosofiche:
1) Interpretazione del rivelato con concetti più
precisi: es. la nozione di Persona nella Trinità; la nozione di
amicizia per la carità.
2) Comprensione o notificazione analogica del
mistero:
con argomenti di convenienza.
3) Sistemazione architettonica del dato rivelato:
nesso tra i misteri.
53 )
Cfr. Y. congar, in «Bullettin Thomiste», 1938, p. 500.
54 ) Cfr. 1 Sent., ProL, 3,2, ad2.
55 ) Cfr. 3 Sent., d. 24,1,2, 2.
80
La teologia, come scienza
4) Ragionamenti o dimostrazioni in senso vero e
proprio:
- da due premesse di fede
- da una premessa di fede e una di ragione.56
Ebbene, proprio l'ultimo tipo di argomentazione
menzionato, cioè quello fondato su una premessa di fede e una premessa di
.ragione filosofica, rappresenta l'argomentazione teologica per
eccellenza. Siamo di fronte alla conclusione teologica in senso stretto. ,
Ecco un esempio assai sfruttato nella manualistica e molto
chiarificatore:
Cristo è il Figlio di Dio fatto uomo (premessa minore);
ogni uomo è libero (premessa maggiore);
dunque Cristo è libero (conclusione).
Come si vede, la premessa minore è un articolo di fede,
è una verità che può essere solo oggetto di fede teologale. La premessa
maggiore, invece, è una verità naturale o razionale o filosofica: non è
oggetto di fede, perché è chiara al lume naturale dell'intelletto. La
conclusione enuncia una verità che è insieme di fede e di ragione; è
appunto una conclusione teologica: è un «opus fidei et rationis».57
La teologia è appunto un approfondimento razionale del
dato rivelato, per evidenziare ciò che in esso vi è di implicito: la
verità della proposizione che dice che Cristo è libero è contenuta
implicitamente
56 ) Per
un recupero di queste modalità argomentative in S.Tommaso cfr. In B.
Trin., Pro., 2,3; C.G., 1,8; 2, 3 e 4. Per quanto concerne gli
argomenti di convenienza, come quelli relativi al perché della
creazione o dell'incarnazione ecc., misteri tutti fondati su una libera
decisione di Dio e nel suo amore, si tengano presenti le seguenti parole
di S.Tommaso: "Ad aliquam rem dupliciter inducitur ratio. Uno modo,
ad proban-dum sufficienter aliquam radicem: sicut in scientia naturali
inducitur ratio sutficiens ad probandum quod motus caeli semper sit
uniformis velocitatis. Alio modo inducitur ratio, non quae sufficienter
probet radicem, sed quae radici iam positae ostendat con-gruere
consequentes effectus : sicut in astrologia ponitur ratio excentricorum et
epicy-clorum ex hoc quod, hac positione facta, possunt salvari apparentia
sensibilia circa motus caelestes: non tamen ratio haec est sufficienter
probans, quia etiam forte alia posinone facta salvari possent", S.
Th., I, 32,1, ad2.
A proposito della nozione di senso tipico e di
metodo tipologico cfr. P. bonati -C.M. martini, Ermeneutica,
in id., // messaggio della salvezza, Torino 1964, I, pp.
204-215.
57 ) Vorremmo segnalare subito come errore quello nel
quale cadono alcuni autori, quando attribuiscono il ruolo di premessa
maggiore all'articolo di fede e il ruolo di premessa minore alla verità
di filosofia: forse confondono il valore logico di questa terminologia con
un vago senso reverenziale, preepistemologico, nei confronti della
premessa di fede, che per dignità sembra dover essere maggiore.
Non è così. La premessa minore è di fede, la premessa maggiore è di
filosofia, perché quella funge da presupposto e quasi materia di analisi,
mentre quest'ultima è il principio universale dell'analisi esplicativa
che porta alla conclusione teologica. Si vedano come esempi dell'errore
segnalato:
S. ramib.ez, De hominis beatitudine, cit., I, pp.
75-76; A. patfoort, Teologia, in «Sacra Doctrina», 1 (1989), p.
86.
81
parte prima
nella verità di fede che vede in Cristo l'uomo - Dio; il
mezzo esplicativo è dato dalla verità filosofìca che attribuisce la
proprietà della libertà a ogni uomo.58
La competenza teologica si limita al rivelato implicito
virtuale, ma proprio per ottenere tale competenza il teologo non può
prescindere dalla competenza filosofica: la premessa maggiore del
sillogismo teologico, quella sulla quale pesa tutta la responsabilità del
medium de-monstratioms, è di indole prettamente filosofica o
razionale e ha appunto la funzione di esplicitare il contenuto virtuale
della premessa minore del medesimo sillogismo, la quale è di ordine
rivelato, è un articolo di fede.
E evidente che la scienza teologica, per garantirsi come
tale, non solo si deve caratterizzare come scienza subalterna alla
scienza di Dio e dei beati mutuandone le conclusioni a modo di principi
primi alla luce della fede teologale - questa condizione da la certezza
incontrovertibile circa la premessa minore del sillogismo -, ma deve anche
certificarsi con una conoscenza non semplicemente opinabile (ove è
possibile perché consentito o esatto dall'intrinseco grado di
verificabilità dell'enunciato) circa la verità filosofica, cioè
naturale o razionale, della premessa maggiore. Questa condizione esige
dunque che il teologo, non in quanto tale cioè formalmente, ma
materialmente, cioè in forza dello strumento razionale del quale
si serve, abbia anche una profonda competenza filosofica.
Non occorre strutturalmente la teologia per fare
filosofìa; ma non esiste teologia senza filosofia: si può dare un buon
filosofo senza che sia teologo, ma non si da un buon teologo che non sia
un buon filosofo. Un teologo che non sia in pari tempo un buon filosofo
non fa della teologia una scienza, ma un vago esercizio letterario!
Lo ripetiamo: teologia è una scienza radicalmente
soprannaturale, in forza dei suoi principi primi (articoli di fede), ma è
formalmente naturale sia in forza della sua razionalità
inferenziale, sia in ragione
5S ) Per
ribadire come l'argomentazione teologica sia propriamente un
approfondimento chiarificatore della verità rivelata o di fede, ecco un
altro esempio:
La carità è amore di Dio (premessa minore - di fede);
l'amore è unitivo (premessa maggiore - di filosofia);
dunque la carità è unione con Dio (conclusione - di
teologia). Questo sillogismo conduce, attraverso l'approfondimento
ulteriore della premessa di filosofia circa la natura e le proprietà
dell'amore, alla spiegazione e all'approfondimento dell'affermazione
scritturistica: "Qui manet in charitate, in Deo manet, et Deus in
eo" (1 Gv, 4,16).
82
La teologia, come scienza.
della strutturale esigenza di una premessa che appartiene
a tale orizzonte di comprensione.
Tornando all'esempio proposto, vorremmo fare osservare il
fatto che se anche la premessa maggiore di filosofia fosse semplicemente
creduta dal teologo, alla pari di quella minore - che almeno è creduta
con fede soprannaturale e non per semplice opinione umana -, la
conclusione tratta non sarebbe per nulla scientifica, al di là di un puro
collegamento formale.
E così il teologo, per poter dare consistenza scientifica
al suo argomentare nella fede, deve essere competente, altamente
competente,59 nell'uso di quella scienza che gli consente la
mediazione teologica. Nel momento in cui cioè gli si chiedesse la
risoluzione dimostrativa della verità della premessa maggiore, deve
essere pronto a riagganciare la proposizione che dice: «ogni uomo
è libero» ai suoi principi giustificativi: ogni uomo è libero perché
porta strutturalmente in sé la radice della libertà, cioè la ragione.
In questo senso, il teologo è cultore di una scienza che
si impernia contemporaneamente su due ragioni propter quid: una
nascosta all'evidenza del suo intelletto, ma certissima per l'evidenza che
essa gode nella scienza stessa di Dio e dei beati; l'altra evidente alla
luce del suo intelletto e certa per il rigore con la quale egli la sa
dimostrare, per poterla impegnare incontestabilmente nel proprio ufficio.
Verrebbe quasi da dire che il parlare di una superiorità
della teologia su tutte le altre scienze, che quindi starebbero al suo
servizio, e nella prospettiva di un linguaggio assiologico: certamente
quanto al fine e quanto all'oggetto, che pescano nel soprannaturale, la
teologia è più degna delle altre scienze.60 Tuttavia, nella
prospettiva forse più obiettivamente cruda o, se si preferisce,
realistica del linguaggio epi-stemologico, la teologia non è scienza
subalterna alla sola scienza di Dio e dei beati (per il principio
enunciato nella premessa minore), ma anche alle altre scienze che entrano
nella sua struttura e dinamica me-diativa: quindi in forza della forma
(discorso sillogistico) e della materia (competenza dei principi enunciati
nella premessa maggiore).
Non bisogna però dimenticare che la competenza del
teologo, proprio perché così complessa, deve prestare una grande
attenzione
59 ) E
chiaro che non esiste un buon teologo moralista che non già anche un buon
antropologo o psicologo razionale e quindi filosofo morale; così come un
buon dogmatico che non sia anche un buon metafisico.
60 ) Cfr. S .Th., I, 1,5.
83
parte prima
anche a tutto il quadro della rivelazione e non basta
semplicemente la pura capacità banalmente inferenziale.
Il rigore della mediazione teologica, della dimostrazione
teologica, sta nell'assumere sempre il medio dimostrativo nel suo
senso for-"male e essenziale, badando cioè alle connessioni
essenziali e non esistenziali.61 Vogliamo dire che, certo
se Cristo è uomo possiede l'esercizio della passionalità (moto
dell'appetito sensitivo tipico dell'animale e quindi anche dell'animale
razionale), ma questo non significa ammettere che Cristo potesse essere
sconvolto dalle passioni come un qualsiasi uomo: la persona di Cristo è
la persona del Verbo!
Questo secondo controllo critico proviene alla teologia ò^K
analogia della fede, sempre comunque assistita all'analogia entis
per non cadere nel buio dell'equivocità.
Il discorso fin qui fatto riguarda l'argomentare teologico
preso quasi nella sua quintessenza; non è infatti possibile non
richiamare alla mente le parole di un grande teologo come il P. Chenu, che
ci ricorda come il lavoro del teologo non raggiunga sempre la precisione
di questo impianto ideale.
«Se è vero che tutta la forza della dimosrtazione si
fonda sulla scoperta della "causa propria" a partire dai
principi "propri"..., il compito del teologo sarà quello di
seguire il filo di tale scoperta. Ma questo schema ideale è raro e il
più delle volte la dimostrazione abbraccerà parecchi argomenti, secondo
i diversi aspetti degli oggetti in causa e sviluppandosi sia come semplice
giustapposizione, sia come conseguenza; bisogna allora garantire il valore
autonomo degli argomenti e la loro interferenza, con una esatta
determinazione del loro punto di partenza».62
61) Molto sottilmente si distinguono una ratio
metaphysica e una ratio physica. La prima indica la struttura
essenziale intangibile e invariabile (es. uomo = anima razionale e corpo),
e come tale medio dimostrativo rigorosissimo; la seconda, invece, indica
lo stato esistenziale di tutto il complesso che costituisce Tisicamente
una realtà e la sua situazione (es. uomo =- dotato di tutte le potenze
che gli competono, ma che possono variare quanto a perfezione e quanto a
modo di uso), e come tale non è sempre e comunque allo stesso modo,
quindi non può essere assunta sempre nel medesimo senso. Cfr. M. sola, L'évolution
homogène du dogme catholique, Fribourg 1925, I, pp. 24-167.
62 ) M. D. chenu, La teologia è una scienza?,
cit., p. 104. Per dare un'idea schematica di un impianto argomentativo,,
utilissimo sia in sede di indagine come anche - e soprattutto - in
sede espositiva di una qualsiasi conoscenza teoreticamente
acquisibile, vorremmo proporre la seguente traccia di sviluppo concettuale
o anche specchio riassuntivo. Si tratta di un telaio da noi elaborato
sulla base di una metodologia "realistica".
84
La teologia come scienza
2. Ancillarìtà della filosofia?
La filosofia è dunque essenziale al discorso teologico,
tanto da rientrare di diritto nel suo stesso autocostituirsi.
Non vi possono essere al riguardo dubbi seriamente
ponderati. Già S.Alberto Magno reagiva con violenza e sdegno nei
confronti di coloro che nel suo stesso Ordine - l'Ordine dei predicatori -
ostacolavano lo studio della filosofia e quindi l'entrata della competenza
filo-sofica all'interno dell'insegnamento sacro: «tamquam bruta animalia
blasphemantes in iis quae ignorant».63
Del resto, anche l'enciclica Aeterni Patris di
Leone XIII (1879), oltre alle classiche funzioni che il servizio
filosofico svolge nei confronti della fede (dimostrazione dei praeambula
fidei, chiarificazione per quanto possibile delle verità di fede,
difesa delle stesse verità di fede), ricorda esplicitamente l'uso della
filosofia perché la teologia assuma la forma di una vera scienza:
«Solidissimis ita positis fundamentis, perpetuus atque multiplex adhuc
requiritur philosophiae usus, ut sà-crae Theologiae naturam, habitum
ingeniumque verae scientiae susci-piat atque induat».
I) TESI = conclusione sinteticamente articolata onde
facilitare la memorizzazione.
II) ESPLICITAZIONE:
A) ARTICOLAZIONE = quanto al nomen, alla
res, ìlleproprietates. Istanze e risposte. . :
B) SVILUPPO:
1) ANALISI = via resolutionis generale
a) NOMINALE = definizione nominale
- INIZIALE = definizione etimologica
- TERMINALE = definizione usuale
b) SOSTANZIALE = definizione reale
- INVENTIVA = an sit (demonstratio quia)
- REALE = quid sit (def. essenziale
e inventici medii)
2) CONCLUSIONE = via compositionis o Sintesi
circa le proprietà (demonstratio propter quid)
a) RADICALE = del tutto (via compositionis
generale)
b) SPECIALE = delle parti
- INDIVIDUAZIONE DEL TUTTO: integrale, soggettivo,
potenziale.
- DIVISIONE DEL TUTTO = via resolutionis
speciale . ATTRIBUZIONE delle proprietà parziali = via
compositionis speciale. . ISTANZE = obiezioni-difficoltà
. RISPOSTE = soluzioni (reductio ad absurdum ;
demonstratio ad ho-minem) secondo l'ordine:
>: - ONTOLOGICO = struttura
* LOGICO = predicazione • ,
* GENETICO = produzione e sviluppo. 63)
albertus magnus, In Epistolas Dionysù Areop., Vili, 2.
85
parte prima
In quale senso deve essere dunque intessa la formula
«.Philosophia andila Theologiae», che tanta fortuna ha avuto nel corso
della storia della teologia cristiana?64 ,
Diverse sono le opinioni al riguardo ed evidentemente
contrastand. .,, .
La posizione potremmo dire estrema è quella in linea
agostiniana65 e più apertamente quella degli antidialettici
(S. Pier Damiani66) fideisti, secondo i quali la filosofìa si
risolve totalmente nell'essere al servizio della fede: non esisterebbe uno
statuto di autonomia di dignità per la filosofia e le scienze profane;
esse devono essere usate solo nella mi^ sura del servizio -
qualora risulti utile - alla sola vera conoscenza, quella che proviene
dalla rivelazione.,
Sostenitore della metafora è E. Gilson, con la sua
concezione particolarissima di filosofia cristiana: dopo la rivelazione la
filosofia deve orientarsi secondo tutta se stessa alla verità cristiana.
Altri autori, con il desiderio di mostrare una maggiore
sensibilità verso la bontà e l'importanza del discorso filosofico
relativo alla teologia, usano immagini meno servili. Così P. Brin, A.
Farges, D. Bar-bedette aggiungono l'espressione «amica»;67 D.
M. Lacordaire chiama la filosofia «sorella minore» della teologia;68
H. Bonamartini usa l'espressione «cognata», cioè parente.69
M. De Wulf, il card. Mercier e tutta la scuola di Lovanio
non ardano l'allegoria della formula, perché per le sue origini e la sua
equivocità induce .a una falsa comprensione: la filosofia è autonoma e
indipendente, non semplice ancella della teologia.70
64) Cfr. M. grabmann, Geschichte der
Scholastischen Methode, Freiburg (Br) 1909, I, p .109; E. gilson, Etudes
de philosophie medieval, Strasburgo 1921, pp. 30-50; M. de wulf, Histoire
de la philosophie medievale, Paris-Louvain 1934, I, p. 161;
B. baudoux, Philosophia anelila theologiae, in
«Antonianum» 12 (1937), pp. 293-326;
M. seckler, Philosophia andila Theologiae. Vber die
Ursprunge und Sinn einen anstos-sig geivordener Formel, m
«Theologische Quartalschrift» 171 (1991), pp. 161-187.
65 ) Cfr. augustinus, Retractationes, I, 3,
nn. 4 e 10. . ") Cfr. De divina omnipotentia, 5 (PL 145,
595-622).
") Cfr. Philosophia Scolastica, Parigi
1932, I, p. 9.
68 ) Cfr. Discours sur les études philosophiques,
in id. , Ouvres philosophiques et politiques, Paris 1872, VII, p.
253. . •
) Utrum et quid conveniat inter scientiam, philosophiam
et religionem, in Acta secundi Congressus thomistici
internationalis, Romae 1937, p. 430.
70 ) Cfr. M. de wulf, in «Rev. néoscol. de phil.»
28 (1926), p. 101. Il senso dell'espressione sarebbe quello ristretto di
S.Pier Damiani e degli antidialettici, come anche quello dettato dalle
finalità politiche dei Pontefici romani nel sostenere l'università di
Parigi. Cfr. de wulf, op. cit., II, p. 9.
86
La. teologia come' scienza
Non possiamo non riconoscere che un certo fastidio lo
provano anche le nostre orecchie e ancor più la nostra cultura di fronte
al malinteso servizio che la conoscenza filosofìca o il complesso delle
scienze profane attuano nei confronti del sapere sacro.
Certo è scontato che «il contatto inevitabile fra
scienza sacra e scienze profane non è intrusione di quella nei domini!
propri di queste, pretesa di dominarle e renderle schiave; ma
collaborazione amica, anche se il primato di dignità, a causa della
nobiltà del suo oggetto e della fonte da cui attinge, spetta alla
teologia».71 Tuttavia sembra opportuno mettere in evidenza
alcuni aspetti a nostro avviso importanti per intendere - a nostro parere
- più correttamente il senso della formula in questione.
Anzitutto, anche a nostro avviso l'espressione
«philosophia ancil-la theologiae» non sembra molto felice. Si gioca
infatti attorno all'equivoco della situazione di servilità e quella di
ministerialità.
E evidente, da quanto abbiamo detto, che la flosofia non
può essere assolutamente intesa come la schiava o serva della teologia.72
Ammesso e non concesso che la filosofia sia semplicemente assunta
nell'attività teologica, questo certo non avviene per compiti secondari,
ma piuttosto per un ruolo di estrema competenza: ci si rivolge alla
filosofia, cioè alla ragione naturale, come ad un dotto per essere
aiutati ad approfondire.
In secondo luogo, la filosofia non sembra affatto strumento
della teologia. Ciò supporrebbe infatti che la teologia fosse già in sé
costituita e si servisse alla bisogna della filosofia. Ma se in senso più
tecnicamente esatto riconosciamo che non c'è teologia senza filosofia,
cosi come non c'è inferenza sillogistica se alla premessa minore non si
accompagna la premessa maggiore, allora la formula va in disarmo. Più
corretto sarebbe parlare allora di una «theologia anelila fidei».
La filosofia è fondamento della teologia a pari
titolo con la fede. Anzi si potrebbe anche dire che la filosofia è
fondamento della teologia, come la natura è fondamento della grazia.73
71) M. daffara, Introduzione al primo volume
de La somma teologica, Firenze 1964, p.,15.
72 ) E il senso con il quale la formula viene bandita
con pappagallesca microcefalia da certo fideismo, incapace della
fatica e della gioia del vero concepimento teoretico e immerso nelle
nebbie verbali di uno spiritualismo fumoso.
73 ) Cfr. G. pécsi, Cursus brevis philosophiae,
Esztergom 1907, I, p. XIV. Assai suggestiva per contrapposizione
dialettica, ma a nostro avviso anche non difforme dalla verità, è la
l'esclamazione che questo autore proferisce nella medesima pagina, come
ideale del buon teologo: "O philosophia theologiae dux".
87
parte prima
Del resto, S. Tommaso ha il senso ben preciso
dell'autonomia della filosofia e delle altre discipline scientifiche
rispetto al sapere soprannaturale, giacché, ponendosi la domanda circa
l'opportunità di un insegnamento ulteriore rispetto a quello da queste
proposto,74 riconosce la loro consistenza e validità
nell'ordine loro omogeneo - cioè quello naturale.
E quando usa l'immagine delle ancelle7'' o
dei vassalli711, per descrivere la qualifica delle
scienze filosofiche nei confronti del sapere sacro, S. Tommaso si
riferisce rispettivamente alla sacra doctrina nel senso generale
ricordato o alla theologia nel senso equivalente a quello di sacra
doctrina appunto,77 non alla teologia stricto sensu. -
cioè a quella forma, o funzione, o parte della sacra doctrina che
«differì se-cundum genus ab illa theologia quae pars philosophiae
ponitur».78
Da ultimo, si potrebbe riconoscere alla formula in
questione il valore di un'indicazione pedagogica. Ma ciò è evidentemente
un rimando a un significato remoto e non prossimo della stessa. In questo
senso, infatti, la filosofia è ancella della teologia perché ne
rappresenta una propedeutica, un'introduzione per una conoscenza precisa
del bagaglio tecnico che si deve preconoscere per fare teologia.
B) la MEDIAZIONE CULTURALE
• Procedere dalle cause proprie è difficile'in
teologia.79 Le argomentazioni sono il più delle volte
dialettiche neLsenso aristotelico del termine, cioè porcedono da cause o
luoghi comuni e analogici. ,
Assai frequente è il ricorso all'autorità e alle
persuasioni culturali d'ambiente, certamente ben valutate almeno nella
loro non contrarietà alla fede.. . ,
Ma questo non è disdicevole alle caratteristiche della
teologia, anche nel suo aspetto tipicamente speculativo.
Lo stesso S. Tommaso, oltre che produrre il più delle
volte degli argomenti di ordine dialettico nel senso precisato (se si
eccettuano gli argomenti di carattere metafisico e quindi di teologia
filosofica e non rivelata), riconosce questa particolare possibilità.
74 )
Cfr. S. Th., I, 1,1; 1 Sent., prol. 1,1.
") Cfr. S. Th., I, 1,5, ad2. ,
76 ) Cfr. 1 Sent., prol., l,lc. . ,
77 ) Secondo il Patfoort (cfr. op. dt.) il
termine theologia in 1 Sent., prol., 1-5 non è preso in
senso specifico, bensì generico, equivalente a quello di sacra
doctrina.
7S ) S. Th., I, 1,1, ad2. . . . . .
") Cfr. M.D. chenu, La teologia è una
scienza?, cit., p. 80.
La, teologia come scienza.
Una delle funzioni che egli attribuisce alla ragione e
alla filosofia nei confronti della fede è quella di elaborare delle
analogie o similitudini che portino, per quanto è possibile, alla
comprensione del mistero'rivelato.
Dice S. Tommaso: «...ad notificandum per aliquas
similitudines ea quae sunt fidei, sicut Augustinus in libris de
Trinitate utitur multis similitudinibus ex doctrinis philosophicis
sumptis ad manifestandum Trinitatem».80
Ciò che va sottolineato è l'esempio che S. Tommaso usa
per indicare concretamente il valore di questo compito. Egli, infatti,
dice : come Agostino usa le dottrine filosofiche per notificare i
contenuti di fede rivelata. Abbiamo già avuto modo di sottolineare in
altre occasioni il senso e la pregnanza di queste affermazioni,81
osservando che S. Agostino usa le dottrine psicologiche dei neoplatonici
per descrivere la Trinità. E sappiamo che S. Tommaso non riconosce valore
assoluto a tali dottrine. Questo allora vuoi dire che per S. Tommaso
esiste nella cultura ambiente un complesso di contenuti che, anche se non
sono sostenuti da dimostrazioni rigorosamente filosofiche, sono comunque
delle opinioni positive e non errori deleteri per la fede.
Questo discorso vale sia per l'aspetto dogmatico della
teologia sia e soprattutto per quello morale, dove il modo di procedere è
razionale quanto al termine: la contingenza dell'agire umano non
consente alla scienza che lo ha ad oggetto una perfetta risoluzione nei
principi primi, ma la costringe ad un'irrequieta probabilità o a una
convinzione dialettica.82
D'altra parte, il tema deVi'inculturazione,^ tema
centrale del magistero della Chiesa in questi ultimi dieci anni, non può
non investire prepotentemente la stessa teologia.
80 ) In
B. Trin., Pro., 2,3.
81 ) Cfr. G. barzaghi, Le basi e i metodi della
persuasione. Tra coscienza moderna e nuova evangelizazionie, in AA.W.,
La coscienza morale e l'evangelizzazione oggi. Tra valori obiettivi e
tecniche di persuasione, Bologna 1992, pp. 147-171 ; G. barzaghi, // Catechismo
della Chiesa Cattolica. Le basi dottrinali della "nuova
evangelizzazione", in «Vita e Pensiero» die. 1992, pp. 802-810;
G. barzaghi, Chiesa e cultura. Lineamenti teoretici di un rapporto,
in «Sacra Dottrina» 6 (1993), pp. 926-957 e in questo volume.
82 ) Cfr. In B. Trin., 2, 2,1, le e ad 3.
83 ) "L'inculturazione è l'incarnazione del
Vangelo nelle culture autoctone e insieme l'introduzione di esse nella
vita della Chiesa": giovanni paolo II, Slavorum Apostoli
(2.6.1985), n. 21.
Sul problema àe\\'inculturazione della fede e la
proposta di un'analogia con il meccanismo dell'ispirazione cfr. G.
barzaghi, Metafisica della cultura cristiana, Bologna 1990, pp.
169-174.
89
parte prima
C'è un impegno e un compito importante per i credenti: la
comprensione dei bisogni e delle attese tipici della cultura moderna, come
anche l'accoglienza critica dei suoi lineamenti caratterizzanti.
Questo non significa evidentemente un camuffamento della
teologia sotto le vesti di una visione del mondo situazionalmente
determinata. Si tratta piuttosto di veicolare la comprensione delle
verità di fede attraverso gli elemementi positivi dell'autocomprensione
dell'uomo contemporaneo.
Se il cosmo è creato nel Verbo e tutto sussiste in lui,
non v'è nulla nel mondo e nella sua storia che non possa essere
preparazione al Vangelo dell'incarnazione o principio di approfondimento
di ciò che la grazia rivela. E d'altra parte, l'incarnazione del Verbo
non snatura con la sua grazia la struttura fondamentale del cosmo : le
realtà terrene rimangono salde nella loro autonomia e nella loro
significatività indipendentemente dalla fede cristiana, che anzi le
presuppone, così Come la grazia presuppone la natura.
Lo stesso Concilio Vaticano II invita a riconoscere
l'«autonomia» di consistenza dell'ordine temporale rispetto all'ordine
dello Spirito:
naturalmente intendendo con ciò l'autonomia relativa al
possesso da parte delle realtà temporali di leggi e valori propri, ma non
nel senso erroneo di una non riferibilità o non dipendenza da Dio
creatore.84
Sempre il Concilio Vaticano II aggiunge che la
destinazione ultima di tutte le cose, naturali e soprannaturali, in Cristo
- affinchè egli abbia il primato su tutte le cose (Co/ 1,18) - non menoma
assolutamente il mondo in questa sua autonomia; al contrario «lo
perfeziona nella sua consistenza e nella propria eccellenza, e nello
stesso tempo lo adegua alla vocazione totale dell'uomo sulla
terra».85
E questi significati riteniamo possano essere maggiormente
garantiti nella loro fondatezza quanto più si insisterà nella precisa
determi-
Documentazione generale: Fede e cultura alla luce della
Bibbia. Atti della sessione plenaria 1979 della Pontificia commissione
biblica, Torino 1981 ; A. amato, Incultura-zione. Teologia in contesto.
Elementi di bibliografia scelta, in «Salesianum» 45 (1983), pp.
79-111; N. standaert, L'histoire d'un neologismo. Le tenne
"inculturation" dans les documenti romains, in «Nouvelle
Revue Théologique» 110 (1988), pp. 555-570; Fe-de e inculturazione,
documento della commissione teologica internazionale, sessione plenaria
1988, in «II Regno-documenti» 9 (1989), pp. 275-279; G. colombo, La
fede e Ì'inculturazione, in «Teologia» 15 (1990), pp. 172-182.
s4 ) Cfr. Gaudium et spes, n. 36. Il principio
metafisico che fonda questa relativa autonomia delle realtà terrene
rispetto a Dio è da ricercarsi nella distinzione reale in creaturis
tra essenza e atto di essere: cfr. G. barzaghi, La nozione di creazione
in S. Tommaso d'Aquino, in «Divus Thomas» 3 (1992), p. 78 e in
questo volume.
85 ) Cfr. Apostolicam actuositatem, n. 7.
90
La teologia come scienza
nazione del cristianesimo nella sua essenza quale vita
soprannaturale partecipata alla creatura ragionevole. Il cristianesimo per
essenza, prima di essere la vera religione, è partecipazione alla vita
stessa di Dio attraverso la grazia santificante. • •'.
L'insistenza, a volte eccessiva, sulla caratterizzazione
puramente religiosa del cristianesimo porta a quella opposizione radicale
tra cristianesimo e mondo quale è quella che separa il sacro dal profano:
due orizzonti esclusivamente diversi.
La caratterizzazione del cristianesimo come partecipazione
della natura umana alla vita divina, distingue semplicemente due ordini
senza contrapporli, anzi creando le condizioni concettuali
dell'implicazione metafisica della realtà naturale da parte di quella
soprannaturale partecipata. In altri termini: si può dare natura senza
grazia santificante, ma non si può dare grazia santificante senza il
supposito naturale in tutta la sua ricchezza e valenza. '
Dunque, la mediazione teologica può avvalersi, nel suo
stesso au-tocostituirsi, anche dei principi positivi
situazionalidella cultura contemporanea. ••';
Per precisare meglio questa posizione; vorremmo però
prendere le distanze da una certa concezione di teologia che, con il
riferimento globale alla cultura contemporanea, smarrisce la
caratterizzazione scientifica del teologare, così come lo abbiamo
descritto sopra.
Intendiamo riferirci alla cosiddetta «teologia
narrativa».
Con questo termine si intende indicare quella teologia
che, assumendo come paradigma le istanze antimetafisiche del «pensiero
debole», dissolve nella pura narratio la fisionomia epistemica del
fare teologia.
«La dimensione narrativa del teologare non dice soltanto
premessa, riferimento agli eventi salvifici, trasmessi nel kerygma
narrativamente e riflettuti, poi, speculativamente, dalla teologia
(dogmatica), ma importa una vera e propria configurazione del teologare
medesimo; ne segna, cioè, il linguaggio, nelle sue più diverse
espressioni».86
La storicità è il plesso della significanza e lo stesso
cristianesimo non può oltrepassare le regole del suo essere «evento».
In questo modo, la teologia è strutturalmente narrazione dell'evento ed
evento narrativo, perché non solo ha l'evento come suo materiale, ma dal-
86 ) S.
lanza, Teologia speculativa e teologia narrativa, in I. sanna (a
cura di), II sapere teologico e il suo metodo^ Bologna 1993, p.
188.
91
parte prima
l'evento trae quella struttura che la rende veicolo del
criterio ermeneutico dell'esistenza.87
La teologia narrativa verrebbe a situarsi - secondo i suoi
cultori o teorizzatori - in quella che - sempre a loro dire - è la natura
«esperien-ziale e testimoniale» della fede cristiana.
Tale indole sarebbe così in grado di «fare esplodere la
schematicità delle configurazioni culturalmente disponibili del rapporto
uomo-Dio, per introdurre la novità di Cristo, in cui la verità è
parola, certo, ma Parola fatta carne».88 ,,
A nostro avviso, una simile impostazione del discorso
teologico, che ricalca certamente nella sua essenza il modello
scritturistico, non può oltrepassare i limiti ovviamente pastorali
dell'annuncio.89 Ma allora dove sta l'elaborazione riflessiva
che non può non qualificare la teologia come tale? Dove sta la vera
mediazione culturale se ciò che ci si propone - a nostro avviso un po'
ingenuamente - è la semplice rottura escatologica con lo status quoì
Che valore ha un linguaggio puramente evocativo disancorato dalla solida
prospettiva critica e. rigoriz-zatrice dell'ontologia?
Fatto salvo il dovuto rispetto ai grandi autori e alla
fatic.a di una seria e certamente appassionata ricerca, non vorremo cadere
nella trappola di una teologia narrativa che, stringi stringi, ha i
lineamenti di una novellistica agiografìca da esercizi spirituali per
novizie.
87 ) Si
veda per es. la funzione paradigmatica dell'Esodo nella teologia A.T.
8S ) S. lanza, op. cit., p. 190.
89 ) Lo stesso Jungel nota che la teologia narrativa
potrebbe avere "il proprio Sitz im Leben nell'annuncio",
E. jungel, Dio mistero dell'uomo, ve. it. Broscia 1982, p. 13. Essa
non ha le caratteristiche della riflessione critica: cfr. G. colombo, La
teologia politica di }. B. Metz, in "Teologia" 4 (1979), p.
364.
92
Parte seconda
Metafisica
MATERIA E FORMA
SENSO METAFISICO ED ESPANSIONI ANALOGICHE DELL'ILEMORFISMO
IN S. TOMMASO D'AQUINO"
introduzione
L'importante dicotomia metafisica tra l'ente in potenza e
l'ente in atto, che anima da cima a fondo l'intelaiatura speculativa della
sintesi tomista, trova la sua principale applicazione nell'ambito
cosmologico con la distinzione tra i due princìpi costitutivi dell'ente
sensibile: la materia e la forma.
Se la materia indica la potenzialità dell'ente sensibile,
la forma ne rappresenta l'attualità, e come tale essa è sinonimo di
principio strutturante, di fonte di operatività e di aspetto
intelligibile.
Tuttavia, l'estensione semantica di questi due termini
supera analogicamente questa loro prima contestualizzazione cosmologica.
Proprio in questa prospettiva, il linguaggio ilemorfico -
così spesso avversato dai sostenitori di un pensiero deellenizzato e
deellenizza-tore - rientra in un uso comune assai generalizzato e anche
standardizzato.
Noi tutti parliamo usualmente di materie di studio,
di materiali di costruzione, di formazione, di informazione,
di buona forma fisica ecc. Si potrebbe quasi dire - con tutta
l'evidente esagerazione della battuta - che l'ilemorfismo è una dottrina
di senso comune.
Ma, pensando le cose un po' più a fondo, ci si accorge
che una simile affermazione non è poi del tutto esagerata: essa contiene
un'anima di verità che va debitamente chiarita e precisata.
Se per senso comune non si intende il semplice insieme
delle opinioni e delle espressioni generali ammesse in una determinata
epoca,
*) In «Divus Thoriias» 6 (1993).
95
parte seconda
ma quel complesso di certezze spontanee dell'intelligenza
umana, comuni a tutti gli uomini perché fondate - seppur ancora in modo
confuso - sulla nozione prima di ente e sui suoi principi, ' allora le
nozioni di materia e di forma possono essere in certo modo ad esso
attribuite o ricondotte.
E nell'ambito specifico della filosofia realista, quale
riflessione critica sul senso comune o fondativa e rigorizzatrice delle
verità spontanee dell'intelligenza, che tale operazione viene attuata: in
essa vengono tematizzati con rigore i primi principi dell'ente e sulla
loro base si elabora la giustificazione critica e l'approfondimento
preciso di quell'ontologia rudimentale che è appunto il senso comune.
A modo di restituzione riflessa, la teorizzazione
filosofica si ricontestualizza nell'uso comune del pensare attraverso il
veicolo culturale.
Il presente studio intende presentare, appunto sul piano
della riflessione filosofica, la dottrina aristotelico-tomista
dell'ilemorfismo, non soltanto nella sua fondazione metafisica e
cosmologica, ma anche nella sua interessantissima espansione analogica in
altri settori del sapere.
I. Le nozioni metafisiche di sostanza e di accidente
Nel quadro formale dell'ente in quanto ente, ambito
specifico dell'indagine metafisica, il concetto di sostanza riveste una
dignità di primo piano. Esso indica il significato analogicamente
principale dell'ente per sé, cioè secondo le diverse figure di
categorie, e costituisce il fondamento obiettivo delle principali
soluzioni speculative del realismo aristotelico-tomista.
1) il QUADRO SEMANTICO
II termine sostanza2 presenta due livelli di
significazione. In senso stretto, esso può avere un significato comune o
generico,
') Cfr. G. barzaghi, Metafisica della Cultura
cristiana, Bologna 1990, p.106. Il senso comune è quasi la prima
risposta «confusa» alle principali problematiche metafisiche, morali e
religiose operata in modo quasi spontaneo, istintivo e non criticamente
riflesso, sulla base dell'oggetto formale dell'intelligenza che è l'ente:
cfr. R. garrigou lagrange, Le sens commun, Paris 1922.
2 ) Etimologicamente, il termine sostanza deriva dal
latino substantia, sostantivo dal verbo substare (= esser
sotto). La radice Sta- si ricollega a quella sanscrita Stha-, che
indica l'essere o il render termo. Esso corrisponde al concetto
aristotelico di ouoici,
96
Materia e forma.
quando indica indifferentemente ciò che Aristotele chiama
sostanza prima (ouola JtQOTq) e sostanza seconda (ovaia
Seutéoa),3 come un concetto analogante contiene i suoi modi
analogati;4 può invece avere
il quale, derivando dal participio presente di eljai
((róoa), può essere reso con il vocabolo italiano entità, ma con
notevole diminuzione di intensità del significato tecnico.
s ) Cfr. Categorie, 2a, 11.
4 ) Cfr. S. tommaso d'aquino, De Fot., 9, 2,
ad 6; 1 Sent., 25, 1, 1, ad 7. (D'ora innanzi si tenga presente che
le opere citate senza riferimento all'autore sono quelle di S.Tommaso e
che le abbreviazioni usate sono quelle comunemente adottate negli studi
tomistici). Analogo (ó(M&vi)aov mo óiàvoiac; = aequivocum
a consilio) è quel nome che indica un significato in parte uguale e
in parte diverso rispetto ai diversi soggetti dei quali si predica. Si
tratta di un significato diverso per i diversi modi di relazione che
esprime; uguale, per l'unico riferimento che è termine di quelle
relazioni. Perciò, il nome analogo partecipa positivamente dei due
estremi contrari che sono l'univocità (significato assolutamente
identico) e l'equivocità (significati assolutamente diversi),
avvicinandosi volta a volta più all'equivocità o più all'univocità
(cfr. 1 Sent., 21, 1, 1, 2c).
Tuttavia, assolutamente parlando, l'analogia si appressa
maggiormente all'estremo dell'equivocità (molto spesso Aristotele usa il
termine equivocità in senso largo per indicare l'analogia, come pure
S.Tommaso, cfr. I, 13, 10, ad 4; De Malo, 1, 1, ad 9; 1 Ethic.,
1. 7), così che la si può descrivere come la caratteristica di quei nomi
che esprimono un contenuto assolutamente (simpliciter) diverso e
solo relativamente, o per un certo aspetto (secundum quid), uguale.
Quanto alla definibilità, il concetto analogo è, senza
alcuna giustapposizione, unico e molteplice, cioè ha una e più
definizioni. E relativamente unico per l'unità d'ordine (formale!) di
tutte le attribuzioni analoghe: gli analogati e l'analo^ante in quanto
analogante sono correlativi, e i correlativi come tali sono cointelleti. E
relativamente molteplice, perché gli analogati sono diversi
(materialmente!) e molteplici: hanno ciascuno la propria definizione. Per
es., il termine sano (analogante) si definisce come ciò che ha
la salute (aspetto unitario) in qualunque modo (aspetto
pluralizzante), perché un modo è l'essere sano dell'animale (analogato
principale; di ordine entitativo), altro modo è quello proprio della
medicina (causativo), del colorito (segnalativo) e del cibo
(conservativo), che sono gli analogati secondari. Ancora: l'analogia per
la quale il senso sta al sensibile come l'intelletto all'intelligibile,
implica più concetti e definizioni quanti sono gli analogati, ma indica
una sola proporzione comune: il rapporto oggetto proprio-facoltà.
Quanto alla precisione, il concetto analogo è imperfetto,
secondo la caratteristica posizione intermedia tra le due perfette
distinzioni: quella per differenze specifiche, tipica del concetto
univoco, e quella per diversità delle cose stesse significate, tipica del
nome equivoco. Il concetto analogo si divide secondo modalità
(cfr. I Sent., 22, 3, ad 2).
Il concetto univoco, infatti, si divide per
differenze perfettamente distinguibili ed esclusive tra loro e non incluse
attualmente nello stesso concetto univoco (cfr. I, 3, 4, ad 1 ; 1
Sent., 8, 4, 1, ad 1). Le differenze specifiche sono contenute solo potenzialmente
nel genere prossimo (cfr. De Ver., 21, 1 e; 1 Sent., 8,
4, 1, ad 2), e si aggiungono ad esso estrinsecamente (cfr. I, 3, 5 e; 11
Met., 1. \;De Ver., 1, 1 e; De Fot., 3, 16, ad 4), in modo da
dividerne solo l'universalità e non la stessa comprensione. Per es., il
concetto di animale (genere prossimo) non include se non potenzialmente le
differenze razionale e irrazionale, le quali si escludono perfettamente
tra loro. Esse, sopraggiungendo estrinsecamente, non toccano la
comprensione stessa del concetto generico, ma la sua semplice estensione:
le specie uomo e cavallo sono perfettamente animali (soggetti viventi
sensitivi), anche se non tutti gli animali sono uomini o, viceversa,
cavalli. La totalità espressa dal concetto univoco è di tipo universale:
le parti ricevono la predicazione del
97
parte seconda
un significato proprio e specifico, quando indica
esplicitamente questi suoi due modi analogici: la sostanza prima, appunto,
e la sostanza seconda.
Il significato principale, o l'analogato primo del
concetto di sostanza è quello di sostanza prima, cioè di
individuo sussistente nel genere della sostanza. L'espressione latina che
descrive questo concetto è hoc aliquid (= questo qualcosa), e
traduce l'espressione aristotelica tóóe ti.
Dal punto di vista concettuale o intenzionale, la sostanza
prima può essere comunemente detta su-pposito (suppositum); per
riferimento alla predicazione logica, invece, si dice soggetto
(subiectum). Anche se il termine della predicazione non è
necessariamente un individuo (per es., posso dire che Socrate è uomo, ma
anche che l'uomo è ani-tutto secondo assoluta identità di essenza e
perfezione; il genere animale, per es., si predica essenzialmente e con
identica intensità di perfezione dell'uomo, del cavallo ecc. (specie del
genere animale). Il tutto universale o univoco è presente tutto e
totalmente nelle sue singole parti (cfr. 1 Sent., 3, 4, 2, ad 1 ; 2
Sent., 9, 3, ad 1 ; De spirit. creai., 11, ad 2; I, 77, 1,
ad 1).
Il nome equivoco si divide secondo le cose stesse,
perfettamente distinte le une dalle altre, perché assolutamente
disparate. Le cose realmente separate tra loro costituiscono il tutto per composizione.
Il risultato è un'essenza completamente diversa dalle singole essenze
parziali così combinate. Per es., la casa è composta dalle fondamenta,
il tetto, le pareti ecc. Tipologicamente, si tratta di un tutto
integrale, il quale non è in ogni sua parte ne secondo l'essenza, ne
- afortiori - secondo la perfezione. Non è possibile una
predicazione corretta del tutto rispetto a ogni sua parte singolarmente
presa, ne della parte in riferimento al tutto (cfr. 2 Sent., 9, 3,
ob. 1 e ad 1; 3 Sent., 22, 1, 1; 5 Met.,\. 21; De spirit.
creai., 11, ad 2). Tuttavia è possibile predicare, anche se
impropriamente, il tutto di tutte le parti comulativamente prese (cfr. I,
77, 1, ad 1), oppure predicare una parte del tutto, ma per sineddoche (per
es., chiamare la casa tetto, o anima l'uomo; cfr. 2 Sent., 18, 2,
1, ad 1; I, 118, 1, ad 1).
Il concetto analogo, invece, si divide secondo modi
non perfettamente distinguibili tra loro e dallo stesso concetto analogo,
perché non estrinseci ad esso. Tali modalità, infatti, sono incluse
intrinsecamente in modo attuale, anche se implicito e
confuso, nel concetto analogo (cfr. 5 Met., 1. 9; 8,1. 5; 11,1. \;De
Pot., 3, 16, ad 4; De Ver., 21, 1 e) e lo dividono quanto alla stessa
comprensione (cfr. De Ver., 1, 1 e; 1 Sent., 8, 4, 1, ad 1;
5 Met.2,1. 9; 3 Physic., 1. 5). Per es., il concetto
di ente indica ciò che ha l'essere in qualunque modo: a modo della
sostanza, della quantità, della qualità ecc. La totalità espressa dal
concetto analogo è di tipo potenziale: le parti ricevono la predicazione
del tutto non per assoluta identità, ma secondo una certa gerarchla
proporzionale (secun-dum prius etposterius: cfr. 2 Sent.,
42, 1, 3 e; 3 Sent., 33, 2, 1, 1, ad 2; De Malo, 7, 1, ad
1;I, 5, 6, ad 3; 77, 4, 3 e; I-IL 29, 2; 27, 4; 61, 1, ad 1,88, 1, ad I).
Ente si dice prima della sostanza e poi dell'accidente; così come sano si
dice prima dell'animale e poi della medicina. La sostanza e l'accidente
sono essenzialmente enti, ma il modo di essere della sostanza è più
perfetto del modo di essere dell'accidente. Il tutto potenziale è
presente tutto secondo la sua essenza in ogni sua singola parte, ma non
totalmente, cioè secondo l'intensità di perfezione (cfr. 1,77,1,adi):
esso è perfettamente presente nella sua parte principale, mentre è
presente nelle altre solo per partecipazione (per es., la pienezza di
perfezione dell'anima si trova nell'anima razionale; nella sensitiva e
nella vegetativa si ha una certa sua partecipazione, cfr. 4 Sent.,
38,1,2,2).
98
Materia e forma
male), tuttavia l'ultimo termine della predicazione è
sempre l'individuo, che non è mai detto di altro.
Dal punto di vista reale, la sostanza prima può essere
valutata nel suo aspetto integrale o di tutto costituito, oppure nel suo
aspetto parziale.
Come tutto, essa è detta sussistenza (subsistentia),
quanto all'indipendenza nell'essere. Quanto all'essere intesa come
sottoposta a una natura comune, essa è detta res naturae (per es.,
quest'uomo rispetto alla natura umana) ; se invece è intesa come
soggiacente agli accidenti, essa è detta ipostasi (hypostasis),
soggetto e sostanza.
Secondo l'aspetto parziale, possono essere dette sostanza,
per riduzione (reductive), sia la materia che la forma, in quanto
princìpi costitutivi del composto sostanziale corporeo - come vedremo.
Il significato secondario o l'analogato secondo del
concetto di sostanza è quello di sostanza seconda, cioè di essenza.
Le espressioni latine che la descrivono sono : quod
quid erat esse o quid est, che traducono le espressioni aristoteliche
tò ti t|v elvai e tò ti éoxi.5 In senso stretto e proprio,
la sostanza seconda è la quidditas, come genere della sostanza.6
Ad essa si riducono i generi e le specie della sostanza e la sostanza come
universale: sebbene quest'ultima si predichi di un soggetto, non sussista
per sé, ma sia comunicabile a più soggetti, tuttavia sottosta agli
accidenti.7 In senso improprio, sostanza seconda è la
quiddità come essenza o natura di una cosa, intesa come principio
strutturale comune a tutti i predicamenti.8
In senso più lato, il termine sostanza è impiegato per
indicare il principio o il primo avvio di ogni cosa, soprattutto quando
questa è contenuta virtualmente nel suo principio. In questo modo S.
Tomma-so dice che i primi princìpi indimostrabili sono sostanza della
scienza, che in essi è virtualmente precontenuta; allo stesso modo, la
fede è sostanza delle cose che si sperano, secondo la celebre descrizione
di Eb
11, I.9 ....
Altro ambito di applicazione lato sensu del termine
sostanza è quello economico: proprietà e ricchezze, o comunque i beni
esterni che l'uomo possiede sono detti appunto sostanze.10
5) Per tutti questi diversi significati cfr. I, 29,
2; 5 Met., 1. 10.
6 ) Cfr. 1 Sent., 25, 1, 1, ad 7; 5 Met.,
1. 10; 7, 1. 1; 10, 1. 3.
7 ) Cfr. 7 Met., 1. 10.
8 ) Cfr. Ibid.
") Cfr. II-II, 4, 1.
10 ) Cfr. II-II, 86, 3; C.G., Ili, 131; 132; 4
Ethic., 1. 1.
99
parte seconda
Anche dal punto di vista della flessione avverbiale del
termine sostanza è importante segnalare qualche osservazione
speculativamente utile.
L'avverbio substantialiter (sostanzialmente) si
semantizza per opposizione ad accidentaliter (accidentalmente), o
per opposizione a es-sentialiter (essenzialmente); nell'ordine
sopraccategoriale, per opposizione a supersubstantialiter
(soprassostanzialmente).
Nell'ordine categoriale, quando si oppone ad accidentalmente,
l'avverbio è sinonimo di essenzialmente. Esso indica la
modalità ontologica tipica dell'essenza; sul piano logico è in parallelo
con \a.perseità della predicazione secondo il primo, secondo e
quarto modo dicendi per se, cioè la modalità per la quale il
soggetto, o ciò che gli compete per essenza, è causa del predicato che
gli viene attribuito nell'enunciazione.11
Quando invece si oppone a essenzialmente,
l'avverbio indica la modalità ontologica tipica della sostanza prima e
equivale a hypostati-ce (ipostaticamente), come nel caso
dell'unione della natura umana e di quella divina nell'unica persona del
Verbo incarnato.12 Sul piano logico, esso è in parallelo alla perseità
della predicazione secondo il terzo modo dicendi per se, cioè la
modalità che segnala l'individuo sussìstente nel genere della sostanza:
per la sua isolata sussistenza, non è in altro, ne si dice di altro.13
Nell'ordine sopracategoriale, l'avverbio supersubstantialiter,
di chiara matrice neoplatonica, indica la modalità increata dell'essenza
divina, che sorpassa, per eminenza di perfezione, ogni sostanza creata.14
2) la POSIZIONE ONTOLOGICA
Sul piano entitativo, la sostanza si impone alla
rilevazione intellettiva come un dato assolutamente evidente, giacché è
lo stesso ente che sta a fondamento di ciò che constatiamo come semplice
modificazione: ogni variazione è sempre variazione di qualcosa.
Diciamo che ente è ciò che ha l'essere, e questo è la
sostanza che sola sussiste.15
") Cfr. 1 Post., 1. 10.
12 ) Cfr. De unione Verbi ine., 1.
") Cfr. 1 Post., 1. 10,
*4) Cfr. In Div. Nom., I, 1. 1; IX, 1.
4; I, 57, 1.
") Cfr. 12 Met., 1. 1.
100
Materia e forma
Del resto, il modo di essere della sostanza, pur non
essendo l'unico, è quello fondamentale. Il termine ente indica qualcosa
che propriamente è in atto rispetto alla potenza o capacità d'essere.
L'ente che esprime attualità, distinguendosi da ciò che è puramente
potenziale, è ente in senso assoluto (simphciter) e si denomina
appunto sostanza; l'ente che invece esprime attualità per distinzione da
una potenza secondaria, cioè appartenente a qualcosa di già
sostanzialmente attuale, è ente in senso relativo (secundum quid)
e si denomina accidente.16
") Cfr. I, 5, 1, ad 1. Etimologicamente, il termine
accidente deriva dal latino acci-dens, participio presente del
verbo uccidere (accadere). Esso corrisponde al termine greco
aup.peprixós, divenuto filosoficamente tecnico con la riflessione
aristotelica.
In S. Tommaso, il termine accidente può avere due
significati. In senso lato, accidente equivale a accadimento, evento
casuale (cfr. 1 A/et., 1. 3; C.G., Ili, 5); in senso stretto, il
termine accidente riceve il proprio significato da una duplice
opposizione. Quando si oppone a sostanza, esso significa il modo di essere
tipico dei nove predica-menti o categorie, che ad essa fanno seguito;
quando si oppone ad essenza, esso significa l'accidente logico o
predicabile (cfr. I, 77, 1, ad 5).
Secondo le sue flessioni aggettivale (accidentalis) e
avverbiale (accidentaliter), il senso del termine indica tutto ciò
che è in opposizione a sostanzialità. In questo modo, l'espressione predicazione
accidentale o per accidens sta ad indicare:
A) secondo un'accezione più ampia, il fatto che il
predicato ne appartiene alla definizione del soggetto, ne il soggetto è
posto nella definizione del predicato (per es., l'uomo è bianco), come
invece avviene nella predicazione per se;
B) secondo un'accezione più ristretta, invece, il fatto
che il predicato si dice di un soggetto in forza di un altro soggetto,
come quando un accidente si predica di un altro accidente (per es., il
bianco cammina; il colto è bianco), oppure il soggetto stesso viene
predicato dell'accidente (per es., il bianco è legno). In entrambi questi
ultimi casi, l'attribuzione non è mai giustificata dal soggetto di
predicazione, ma da ciò che si suppone sotto il termine che funge da
soggetto. Negli esempi dati, dire che il colto è bianco significa
dire che quell'uomo particolare, al quale accade di essere colto, accade
anche di essere bianco; dire che il bianco è legno equivale a dire
che quel particolare soggetto, cui accade di esser bianco, è legno. Di
tale soggetto supposto, l'accidente si predica accidentalmente, mentre la
specie del soggetto si predica essenzialmente (cfr. 1 Post., 1.
33).
E da notare che la distinzione aristotelica tra ente per
se e ente per accidens non discrimina la sostanza
dall'accidente, perché nell'ente per se rientrano le nove
categorie successive alla sostanza, che sono propriamente gli accidenti.
Tale distinzione riguarda la pura predicazione, per cui il tutto
complessivo espresso dal giudizio - per es. - «l'uomo è bianco» è un ente
per accidens, cioè accidentalmente. Invece l'accidente, come
naturalmente distinto dalla sostanza, è ente per se, nel senso che
significa l'accidente ma non a modo di accidente: indica il quanto,
il quale ecc., senza consigmficare il soggetto di inerenza. Per
es., bianco, così come è assunto nei predicamenti, indica la sola
qualità, la bianchezza, che significa un accidente, ma a modo di
sostanza. Tuttavia, esso consignifica, conscguentemente, il soggetto,
perché bianco è un soggetto che ha la bianchezza (cfr. 5 Met.,
1. 9). In altri termini, si potrebbe dire che, nell'accidente
predicamenta-le, si deve fare distinzione tra la ragione di genere o
predicamento, e la ragione di accidente (cfr. 1 Sent., 8, 4, 3). La
ragione di genere o predicamento appartiene all'accidente preso in
astratto (per es., bianchezza); l'accidente preso in concreto invece (per
es., bianco) rientra nel predicamento solo per riduzione (cfr. De ente
et ess., 7).
101
parte seconda
Dal punto di vista ontologico, la sostanza precede
l'accidente, cioè ogni sua modificazione, perché mentre non esistono
accidenti che non dicano ordine di inerenza alla sostanza, si può dare
una sostanza che non richieda accidenti. .
L'accidente in senso fisico o predicamentale viene
constatato come una determinazione aggiunta alla sostanza, cioè all'ente
in senso forte. Tale determinazione conferisce soltanto l'essere in tale o
tal altro modo, e non l'essere in senso assoluto; essa modifica la
sostanza supponendola come ente primo.17 Per questo motivo,
l'accidente fisico, più che ente, è qualcosa dell'ente:19
per es., la bianchezza si dice ente per il fatto che per essa qualcosa (la
sostanza) è bianco, e non perché essa abbia una sua propria sussistenza.
D'altra parte, la molteplicità di caratteristiche, che
l'ascia trasparire una certa unità, manifesta l'essere della sostanza,
perché dove c'è qualcosa di uno, lì c'è un ente,
Dal punto di vista gnoseologico, l'incontestabile primato
della sostanza risulta dal fatto che una cosa è maggiormente conosciuta
quando ne è nota la natura, piuttosto che la quantità, la qualità ecc.
Per es., diciamo di conoscere una cosa quando sappiamo che è un uomo/o un
cavallo, e non che è alta un metro e ottanta centimetri, o che è di
colore bianco ecc. '
Anche per quanto riguarda la definizione, la sostanza
precede l'accidente, perché nella definizione di ogni accidente si deve
porre il suo proprio soggetto, cioè la sostanza, così come nella
definizione di camuso (=naso schiacciato) si pone il naso, che soggiace a
tale caratteristica.19
3) la DESCRIZIONE ESSENZIALE
Secondo il significato comune del termine, la sostanza si
descrive come ciò alla cui essenza compete l'essere in sé e per sé,
e non l'essere in altro, cioè in un soggetto - come invece conviene
all'accidente. L'accidente predicamentale, infatti, viene descritto corte ciò
alla cui essenza compete l'essere in altro, cioè in uri soggetto o
sostanza.20
17) Cfr. De prindp. nat., 2; I,. 76, 4.,
") «Dicitur magis entis quam ens», I, 45, 4; 90, 2-
e; 17 Met. 2, 1. 1.
") Cfr. 7 Met., 1.1.
20 )
Cfr. I, 3, 5, ad 1; III, 77, 1, ad 2; C.G., I, 25; De Fot., 7, 3,
ad 4; Quodl., 9, 3,
(5), ad 2. .
102
Materia e forma
Nella ragione analogica di ente reale, secondo le diverse
figure di categorie, i due modi analogici che ne esprimono compiutamente
l'essenza si distinguono per l'opposizione tra il sussistere e ['inerire.
Come alla sostanza compete il sussistere, cioè l'avere
l'essere come un soggetto, così all'accidente compete l'inerire, cioè
l'avere l'edere in un soggetto. Nell'ordine delle realtà finite,
nelle quali l'essere è ricevuto in un'essenza dalla quale si distingue
realmente,21 non è data una terza modalità.
La sostanza seconda, in senso stretto, è il primo
predicamento, la prima categoria, il supremo genere dei predicati che
indicano ciò che è il soggetto:22 non è in altro, ma si può
predicare di altro.
; La sostanza prima, invece, è descrivibile come
l'individuo sussistente nel genere della sostanza.23 E
esattamente l'ipostasi, il supposi-to, che sussistendo nella natura
razionale si dice persona, secondo la celebre definizione di Boezio:
«ratiònalis naturae individua substantia».24 Non è in altro
come in un soggetto, ne si predica di un soggetto.25
21) La distinzione reale tra essenza e essere nelle
realtà diverse da Dio viene argomentata, appunto, sulla base della
unicità dell'Essere per sé sussistente.
Dio, essendo semplicissimo, privo di ogni potenzialità,
è lo stesso Essere per sé sussistente, cioè incomposto quanto allo
stesso rapporto tra l'essenza e l'essere. Ora, l'Essere per sé
sussistente non può essere che unico, poiché ogni moltiplicazione
risulta: a) o da addizioni differenziali (per es., il genere si moltiplica
nelle specie attraverso le differenze specifiche), e allora l'Essere per
sé sussistente non sarebbe più puro essere, ma essere più una certa
forma; b) o da ricezione nella materia (per es., come la specie si
moltiplica negli individui), e allora l'Essere per sé sussistente non
sarebbe più sussistente, ma materiale; e) oppure da separazione, per la
quale ciò che è assolutamente per sé è separato da ciò che è
ricevuto per partecipazione, il che sarebbe ancora sconveniente allo
statuto della sussistenza dell'Essere puro, che come tale è
incomunicabile. Dunque l'ente diverso da Dio non è il proprio essere, ma
ha l'essere per partecipazione, essendo composto quanto allo stesso
rapporto tra essenza e essere. Cfr. De ente et esseri., 4.
22 ) Cfr. 2 Sent., 37, 1, 1 e. I predicamenti
o categorie possono essere considerati da un punto di vista logico o da un
punto di vista ontologico. Nella prima prospettiva essi sono definibili
come i supremi generi dei predicati; nella seconda prospettiva, invece,
essi si configurano come i supremi generi della realtà, che si
distinguono tra loro in ragione del diverso modo di essere. Essi sono
appunto la sostanza e i nove generi di accidente, cioè: quantità,
qualità, relazione, azione, passione, quando, dove, sito e abito. Cfr. 5
Met., 1. 9. Vedremo tra breve come essi si articolino per riferimento
alla sostanza. • .
Il predicamento sostanza, se dal punto di vista ontologico
è quello che esprime il modo di essere in sé, dal punto divista logico
è quello che indica il soggetto per identità: per es., Socrate è uomo.
23 ) Cfr. 1 Sent., 25, 1, 1, ad, 7, C.G.,
IV, 49.
24 ) Cfr. I, 29, 1; 31, 2, ad 1.
•"') Cfr. 5 Met., 1. 10; De Pot.,
9, 1.
103
parte seconda
sere di un soggetto e in un soggetto:26
per es., il mio pensare non è la mia sostanza, ma ad essa inerisce, pur
distinguendosene. ,
Questo implica, dal punto di vista ontologico, la
dipendenza dal soggetto e la composizione con il soggetto stesso;27
dal punto di vista gnoseologico, il riferimento al soggetto nella
definizione dell'accidente.28 " - '
Infatti, l'accidente ne ha un'essenza completa come la
sostanza, ne è parte di un'essenza completa, perché è ente soltanto in
modo secondario. Esso non ha neppure una definizione completa. Nella
definizione dell'accidente preso in astratto, il soggetto di inerenza
rientra quasi a modo di differenza, mentre la stessa determinazione
accidentale tiene quasi il posto del genere (per es., la bianchezza è
ciò per cui qualcosa è bianco; la camusità è lo schiacciamento del
naso); nella definizione dell'accidente preso in concreto, invece, il
soggetto di inerenza occupa quasi il posto del genere (per es., diciamo
che bianco è ciò che ha la bianchezza; camuso è il naso schiacciato).29
, :
E da notare, tuttavia, che il soggetto non rientra come
costitutivo nell'essenza dell'accidente, ma compare nella sua definizione
per indicarne la dipendenza. Ciò vale non solo per gli accidenti semplici
(es. schiacciato), nei quali non si da riferimento a un soggetto determinato,
ma anche per gli accidenti copulati, nei quali si da, invece, un
intrinseco riferimento a un soggetto determinato. Per es., camuso
e schiacciato indicano essenzialmente la stessa cosa; camuso
aggiunge a schiacciato la relazione a un determinato soggetto (il
naso), che compare nella sua definizione, per addizione alla medesima
essenza.
Perciò, quando parliamo di naso camuso, per intenderci
basta sostituire all'aggettivo camuso l'aggettivo schiacciato,
e non occorre ripetere il riferimento al soggetto: non si dice che il naso
camuso è il naso naso schiacciato^ Gli accidenti hanno dunque, in
qualche modo (secundum quid), un'essenza, cioè per una certa
somiglianzà proporzionale con la sostanza, che sola la possiede in modo
primario.31
26) Cfr. C.G., IV, 14.
27 ) Cfr. 1 Sent., 8, 4, 3.
2S ) Cfr. De ente et ess., 7.
29 ) Cfr. I-II, 53, 2, ad 3; C.G., IV, 14; De ente
et ess., 7.
x ) Cfr. 7 Met., 1. 4.
") Quanto fin qui detto vale per l'accidente
predicamentale.
L'accidente logico o predicabile, in senso forte
(quinto predicabile), fa la sua comparsa nell'ordine degli enunciabili
come relazione attributiva non implicante necessità, giacché non rientra
nella comprensione di una cosa concepita secondo la sua sostanza (cfr. De
Pot., 7, 4, ad 8), ne secondo le sue proprietà specifiche.
104
Materia e forma, 4)
le QUALIFICAZIONI CARATTERIZZANTI
a) La prospettiva ontologica
Dal punto di vista ontologico, due sono le proprietà
della sostanza: il sussistere e il sottostare.1'2
Il sussistere, o la sussistenza, compete al supposito
w significato come tutto individuale concreto per sé (per
es., Socrate), nel quale e dal quale si distinguono, almeno
concettualmente, il principio determinante o essenza (per es.,
umanità) e il principio attuante o essere (per il quale il
soggetto esiste).
Tale distinzione però è reale nell'ordine finito o
creato, perché solo Dio è assolutamente semplice; d'altra parte, se in
un ente si riscontra qualcosa che non appartiene alla sua essenza,
alla sua natura cioè alla sua specie, alla sostanza seconda, in tale ente
il supposito si distingue dalla natura: è il caso degli accidenti,
dell'essere, dell'operare e dei princìpi individuanti nelle realtà
corporee; tutte cose che non rientrano nell'essenza delle creature.34
L'accidente predicabile, in senso meno forte (quarto
predicabile), cioè l'accidente proprio, implica una necessità di
predicazione non per l'intelligibilità del soggettp, ma solo per il suo
imprescindibile riferimento al soggetto stesso.
L'accidente predicabile è descrivibile come ciò che non
appartiene all'essenza di una cosa, cioè non si predica di essa ne a modo
di genere (primo predicabile), ne di specie .(secondo predicabile), ne di
differenza (terzo predicabile).
Se è causato dai princìpi intrinseci dell'essenza, cioè
della specie, così da accompagnarla sempre e necessariamente, si
dice accidente proprio (quarto predicabile) e si descrive come ciò
che conviene sempre a tutti gli individui di una sola specie (cfr. De
Pot., 10, 4, ad 7; 1 Post., 1. 14). Per es., la capacità di
ridere nell'uomo.
Se non è causato dai princìpi essenziali specifici, ma
da quelli individuali, allora abbiamo l'accidente cosiddetto comune
(quinto predicabile). Esso si definisce come ciò che, unito a un
soggetto, ne può essere separato senza corruzione del soggetto stesso
(cfr. C.G., II, 80). Nel caso di princìpi permanenti, abbiamo l'accidente
inseparabile (per es., il maschile e il femminile); nel caso di
princìpi non permanenti, abbiamo l'accidente separabile (per es.,
il camminare, il sedere ecc. ; cfr. De Anima, 12, ad 7; De
spi-rit. creai., 11).
Occorre notare che la separabilità e l'inseparabilità,
descritte in questi due sottocasi, riguardano il riferimento al soggetto
come individuo, mentre la separabilità tipica dell'accidente quinto
predicabile si riferisce al soggetto come specie. Perciò, sia l'accidente
inseparabile, come l'accidente separabile non sono implicati
nell'intelligibilità della specie, ne con ciò che le è proprio;
conscguentemente sono l'accidente in senso più forte. .
32 ) Cfr. De Pot., O, le..
") E da rilevare che nel linguaggio tomistico, .come
nello stesso linguaggio di S. Tommaso, il termine supposito viene sempre
preso come equivalente del termine sostanza individua e quindi in un senso
ontologico, méntre nella nomenclatura inizialmente proposta, sulla stessa
scia di una precisazione di S.Tommaso, il termine supposito avrebbe una
valenza essenzialmente logica. ;
34 ) Cfr. I, 3, 3; III, 2, 2.
105
parte seconda
L'essenza o natura sostanziale individua (per es., questa
umanità) è significata come principio determinante,35
rispetto al supposito significato come quel tutto che ha tale essenza. Per
questo motivo, nelle realtà finite non si può predicare l'essenza del
suo supposito: per es., non si può dire che Socrate è la sua umanità;
cosi si dice che l'umanità e ciò per cui l'uomo è uomo, o ciò per cui
Socrate è uomo.
L'essenza conferisce la perseità individuata, cioè la
completezza specifica e l'individualità, perché è orientata
attitudinalmente al supposito che da essa viene sostantifìcato.36
L'essere è il principio attuante, che riceve la propria
determinazione dall'essenza sostanziale, ma si riferisce al supposito
quanto al suo esercizio.
E a partire da esso, o meglio dalla sua partecipabilità,
che si istituisce la distinzione reale tra natura o essenza individua e
supposito. Infatti, nelle cose che si dicono per sé, il supposito e la
sua essenza si identificano, mentre nelle cose che si dicono in modo
accidentale (per accidens), il supposito e la sua essenza non si
identificano totalmente. Poiché l'essere delle cose create non rientra
per sé nella loro essenza, ma si aggiunge estrinsecamente (accidit),
occorre ammettere un recet-tore, cioè il supposito, distinto
dall'essenza:37 l'essere appartiene al supposito e non alla
natura.38
35) Cfr. Ili, 2, 2, ad 3; Quodl., 2, 4, ad
s.c. A questo riguardo occorre far notare che l'espressione più esatta
sarebbe parte formale, ma preferiamo non anticipare contestualmente
nozioni che esporremo solo successivamente.
31; ) Cfr. De unione Verbi ine., 4.
Anticipando applicativamente anche in questo caso un discorso che è
successivo, diciamo che, nella sostanza corporea, dalla forma deriva la
determinazione distinguente, dalla materia, invece, l'individuazione.
Nell'ambito spirituale angelico (sostanza separata), è la stessa forma
che è per sé individuata e completa specificamente; in quello umano,
l'anima separata dal corpo ha una sua sussistenza, ma incompleta dal punto
di vista della specie, in quanto per sé essa è forma sostanziale del
corpo umano.
37 ) Cfr. Quodl., 2, 4 e e ad 2.
38 ) Proprio su questa appartenenza dell'essere al
supposito («suppositum intelligi-tur ut habens esse, non autem
natura» Quodl., 2, 4, ob. 2), si aprono, all'interno della scuola
tomista, due diverse soluzioni speculative circa il problema del
costitutivo determinante (formale) del supposito, cioè di ciò per cui il
supposito è tale.
Giovanni Capreolo (f 1444) sostiene che ciò che
costituisce il supposito, terminando positivamente la natura individua, è
la partecipazione dell'essere per sé (cfr. Deferì" siones
theologiae Divi Thomae Aquinatis, III, 5, 3, 3 [ed. Paban-Pègues],
Tours 1900).
Se si assume il supposito in senso denominativo, cioè
come individuo che sussiste per sé, o individuo sostanziale che ha
l'essere per sé e non in altro, l'atto di essere è consignificato o
connotato dal supposito indirettamente.
Se si assume invece il supposito in senso formale, cioè
come l'individuo più il suo essere per sé, allora l'essere
risulta un suo costitutivo.
Il Cardinal Tommaso de Vio, detto il Gaetano (1468-1534)
indica, invece, in una «pura terminazione della natura della sostanza» (In
S. Th., Ili 4, 2 [ed.Leonina], Roma
106
Materia e forma
II sottostare compete alla sostanza in quanto
fondamento di inerenza degli accidenti fisici, che, oltre a modificarla
conferendo ,un essere secondario, sono suo principio di riconoscimento.39
L'accidente fisico, infatti, si rapporta in qualche modo
alla sostanza secondo il modello della causa efficiente, nel senso che la
sostanza funge da soggetto attivo nella produzione dell'accidente naturale.
1903), che chiude la natura individua e la costituisce
capace di acquistare l'atto di essere senza mutare la propria struttura,
il costitutivo del supposito. Tale terminazione viene solitamente
classificata dai seguaci di questo commentatore come «modo sostanziale».
A nostro modo di vedere, entrambe le prospettive
presentano dei limiti. La definizione del supposito in senso formale del
Capreolo va assunta come significato più debole del supposito stesso.
Essa non indica uà'aggregazione di componenti reali, ma di
semplici ragioni o concetti, così come se dicessimo che bianco è
il composto di soggetto più la bianchezza; denominativamente, invece, bianco
è ciò che ha la bianchezza.
L'atto di essere non può essere principio costitutivo
reale del supposito, perché, come la natura, è un principio quo
(= per cui), e insieme ad essa non può costituire un quod,
cioè un tutto concreto.
La pura terminazione del Gaetano, o il modo sostanziale
dei gaetanisti, come ciò per cui (quo) l'essenza o natura
individua (quo) si costituisce come quod, cioè supposito,
soggiace alla medesima aporia: come agevolmente si rileva anche in questo
caso, due quo non possono dare origine a un quod.
Una via che sembra essere percorribile, come tentativo di
soluzione non aporerica, è quella dell'approfondimento della nozione
denominativa di supposito proposta dal Capreolo: in essa, l'essere è
visto come ciò che si riferisce al supposito in modo complementare (cfr. C.G.,
II, 53) e perciò non costitutivo («non est de ratione suppositi», Quodl.,
2, 4, ad 2).
Il supposito sarebbe l'ente perfettissimo, descrivibile
come ciò che da, per, in un'essenza sostanziale individuale completa, ha
l'essere (cfr. A. boccanegra, L'uomo in quanto persona, centro della
metafisica tomistica, in «Sapienza» 22 [1969], pp. 491-507). Il
supposito, come id quod, non è risultanza sintetica di due quo,
cioè dell'essenza più l'essere, ma il loro fondamento: attuabile
dall'essere e determinabile dall'essenza. Come tale, esso non ha un
costitutivo formale. L'essere (id quo) ne è l'atto ultimo.
L'essenza sostanziale, individuale, completa specificamente (id quo)
ha un aspetto passivo per il quale è sorretta dall'io quod ed è
attuata dall'essere; ha anche un aspetto attivo, per il quale sostantifica
il soggetto e l'essere, conferendo la perseità.
A rincalzo di questa tesi boccanegriana, potremmo
aggiungere che effettivamente essa risulta congrua sul piano speculativo
giacché si pone come la proposta risolutrice per oltrepassamento di
un'alternativa aporerica. La proposta teoreticamente plausibile -a nostro
avviso - consiste nell'evidenziare e sostituire il presupposto che
determina inevitabilmente la detta aporia. In altri termini, occorre
cambiare prospettiva di indagine. Quella costruttivistico-sintetica,
sia del Capreolo che del Gaetano, implicati Non ci si può dunque
chiedere come si venga a costituire il supposito, anche se è spontaneo
porsi tale quesito, che poi risulta teoreticamente impertinente. Rimane
perciò come sola proponibile la prospettiva alternativa, cioè quella risolutivo-analitica
: il supposito è dato originario; su di esso si riflette
mettendone in luce, non i princìpi costitutivi, ma la determinazione
specificante e il principio attuante. L'opinione proposta riconosce
comunque umilmente di doversi sempre inchinare di fronte a questa vera crux
philo-sophorum.
3 ") Cfr. De Pot., 9, 1 e.
107
parte seconda
Questo tipo di accidente scaturisce quasi per emanazione
dai princìpi intrinseci della stessa sostanza.40 Dai princìpi
specifici scaturisce l'accidente proprio; dai princìpi
individuali, invece, scaturisce l'accidente comune, sia inseparabile
che separabile - come abbiamo già visto. • •
Tuttavia, alcuni accidenti provengono estrinsecamente
alla sostanza, la quale, nei loro riguardi si rapporta come semplice
soggetto di inerenza, per quell'aspetto di potenzialità, o di ulteriore
attuabilità che porta in sé in quanto finita.
In questo caso, si danno due eventualità: o l'accidente
indotto è contrario ai princìpi intrinseci del soggetto (per es., il
calore nell'acqua), oppure l'accidente indotto non contrasta, anzi
perfeziona i princìpi del soggetto ricevente (per es., la luce
nell'aria).41
Nella seconda eventualità si collocano anche gli
accidenti soprannaturali, i quali hanno come causa propria soltanto
Dio. Essi non coartano il soggetto naturale spirituale (angelo o anima
umana), ma Io perfezionano, pur elevandolo al di sopra delle sue capacità
intrinse-che: la grazia non toglie la natura, ma la perfeziona.42
Ma l'accidente fisico si rapporta alla sostanza anche
secondo il modello della causa finale : gli accidenti sono ordinati alla
sostanza in vista della sua attuazione perfettiva.43
Nell'ordine dell'attualità, infatti, la sostanza
primeggia, come ente in senso forte (ens simpliciter),
sull'accidente (ens secundum quid).
E nella sostanza che l'accidente riceve l'essere per
partecipazione. Tuttavia, nell'ordine della perfezione, cioè della bontà
ontologica, l'ente sostanziale finito trova il completamento connaturale
nel possesso di quell'attualità ultima, anche se meno perfetta, che è
l'accidente.
In questa prospettiva, S. Tommaso dice che secondo la
prima attualità, cioè quella sostanziale, una cosa è ente in
modo assoluto e bene solo in modo imperfetto o parziale; secondo
l'attualità ultima, invece, cioè quella conferita dall'accidente, una
cosa è ente in modo imperfetto, ma bene in senso assoluto.44
40) Cfr. I, 77, 6 e e ad 3.
41 ) Cfr. 1 Sent., 17, 1, 2, ad 2. •")
Cfr. I, 1, 8, ad 2. .
43 ) Cfr. C.G., Ili, 75.
44 ) Cfr. I, 5, 1, ad 1. A modo di esempio: certo la
cultura, intesa come complesso di habitus buoni che perfezionano
secondo il meglio la persona umana sia nell'ordine fisico che
spirituale (dianoetico ed etico), non costituisce il soggetto umano nella
sua sostanza naturale, anzi la suppone; tuttavia, meglio un uomo colto di
uno incolto. Per una semantizzazione in questo senso e non equivoca di
cultura ci permettiamo di rinviare a G. barzaghi, Metafisica della
cultura cristiana, cit.
108
Materia e forma
b) La prospettiva logica
Dal punto di vista logico, la sostanza viene espressa
direttamente dai nomi sostantivi, che indicano il soggetto per opposizione
all'accidente (aggettivo).
I sostantivi concreti indicano il supposito di una data
natura, perché significano il modo sostanziale (per es., uomo, Dio ecc.).
Perciò, nel caso delle attribuzioni trinitarie - dove per
la particolare costituzione metafisica del soggetto risulta con più
evidenza, quanto ad esemplificazioni, il particolare valore logico dei
termini implicati -, i sostantivi essenziali si predicano, quanto al
numero, al singolare delle tré persone divine, perché hanno numero da se
stessi, cioè dalla natura che esprimono: per es., diciamo che il Padre,
il Figlio e lo Spirito Santo sono un unico Dio.45 Quanto alla
supposizione, essi possono stare sia per l'essenza, secondo una
supposizione assoluta (per es., Dio crea), sia per la persona, secondo una
supposizione personale(per es., Dio genera = il Padre genera).46
Sempre nel caso delle attribuzioni trinitarie, i
sostantivi personali si possono predicare dei nomi essenziali per la sola
identità metafìsica della cosa, ma non per il modo specifico di
significare (per es., si dice che Dio è il Padre), perché in Dio essenza
e persona sono la stessa cosa.47 ! „ ',;„•.
, : . . ,
Nel caso delle attribuzioni cristologiche, i sostantivi
concreti, che indicano la natura umana e la natura divina, sono
predicabili di Cristo, perché l'unico supposito, cioè la persona, del
Verbo, sussiste nelle due nature.
Così diciamo con tutta verità di predicazione, oltre che
di termini, che Cristo è uomo e che Cristo è Dio; che Dio è uomo, in
quanto il termine Dio suppone per la persona del Verbo, e che
l'uomo è Dio, in quanto il termine uomo suppone per la medesima
persona del Verbo, sussistente nella natura umana.48
I sostantivi astratti, invece, indicano la natura
significata a modo di principio determinante (per es., umanità,
divinità ecc.).49
Perciò, nelle attribuzioni trinitarie, i sostantivi
essenziali non possono supporre per la persona: non si può dire che la
deità generi o che sia generata; possono invece ricevere la predicazione
dei nomi perso-
45 )
Cfr. I, 36, 4, ad 7.
46 ) Cfr. I, 39, 4.
") Cfr. I, 39, 6.
4S ) Cfr. Ili, 16, 1; 2; 4.
49 ) Cfr. I, 39, 5, ad 3.
109
parte seconda
naii sostantivi concreti, soltanto per l'identità
metafisica della cosa significata, ma non per il modo preciso di
significare: per es., si può dire che la deità è il Padre.50
Sempre i sostantivi essenziali possono ricevere la predicazione dei nomi
personali e nozionali aggettivi, solo per l'aggiunta di un sostantivo: per
es., si può dire che la deità è u-na cosa che genera, se cosa
in questo caso suppone per persona.^
I sostantivi personali astratti (=nozioni, che
nella Trinità indicano le relazioni distinguenti e costitutive le persone
divine) possono ricevere la predicazione dei sostantivi personali ed
essenziali concreti, per l'identità metafisica della cosa significata,
anche se quanto al modo di significare non esprimono ne l'essenza divina,
ne la persona, ma la sua ragione distintiva (qua): per es.,
possiamo dire che la paternità è Dio, o che la paternità è il Padre.52
Nel caso delle attribuzioni cristologiche, i sostantivi
astratti che indicano la natura umana non possono essere predicati della
natura divina e viceversa:53 non si può dire che la divinità
è l'umanità.
II. La struttura fisica della sostanza sensibile
Abbiamo detto in esordio che materia e forma sono i due
princìpi costitutivi dell'ente sensibile: ciò equivale a dire che essi
sono i princìpi strutturanti la sostanza corporea.
In termini speculativi si deve dire che materia e forma
rappresentano le condizioni di intelligibilità e dunque di incori
traddittorietà metafisica dell'ente empiricamente rilevabile.
1) la DETERMINAZIONE DELLA COSTITUZIONE ILEMORFICA
DELL'ENTE SENSIBILE
La materia e la forma,54 intese in termini
ontologici generali come causa materiale e causa formale, vengono
diagnosticate come costi-
50 )
Cfr. Ibid., 6.
51 ) Cfr. I, 39, 5, ad 5.
52 ) Cfr. I, 32, 2, ad 2.
53 ) Cfr. Ili, 16, 5.
") Etimologicamente, il termine materia deriva dal
latino materia, forse ricondu-cibile a sua volta al vocabolo latino
mater, nel designare ciò da cui si origina qualcosa (cfr. 1
Physic., 1. 15). Tecnicamente esso corrisponde all'aristotelico dàt).
Dal canto suo, il termine forma deriva dal latino/orma, la
cui origine incerta viene fatta risalire per metatesi dal greco [ioo(pr|
(forcellini) ; oppure alla radice del verbo (popeìv, che significa
portare (curtius); oppure alla radice sanscrita Dhar (=- tenere,
sostenere, contenere), risolta solitamente nella radice latina Far, For
(anderson-
110
\ Materia e forma
turivi dell'ente naturale sensibile a partire dal
dinamismo che caratterizza quest'ultimo.
Constatiamo sensibilmente l'esistenza dell'ente
diveniente, il quale ha come condizioni intrinseche del proprio essere:
dalla parte dell'essere e del divenire la potenzialità, cioè
l'essere in potenza, il poter essere, e ['attuazione, cioè ciò
per cui l'ente in potenza si attua; dalla parte del solo divenire, invece,
il non essere ancora in atto, cioè ^privazione. Per es., un pezzo
di ferro può acquistare diverse fogge (atto), non solo perché ne è
capace (potenza), ma anche perché ne è privo (privazione).
Infatti, dal nulla non viene nulla, e dell'ente in atto
non si da attuazione, perché già realizzata (per es., non si può
accendere una candela già accesa): perciò solo dall'ente in potenza
viene l'ente in atto.55
Le condizioni estrinseche dell'ente diveniente sono: la
presenza di un agente attuante, perché ciò che è in potenza non
può darsi autonomamente l'atto del quale è privo (nemo dat quod non
habet);^ {'intenzione finalizzata dell'agente, come determinazione
della sua inclinazione ad attuare qualcosa.57 ,
Ora, ciò che è in potenza nell'ordine stesso
dell'essenza - come è evidente nel mondo sensibile -, si dice materia o
causa materiale, la quale ha come suo accidente proprio la privazione, ed
è ciò da cui (ex quo) procede il moto generativo.
La materia che funge da sostrato nelle trasformazioni
sostanziali, cioè nella generazione e nella corruzione delle entità
sensibili, si dice materia prima.5* Essa è pura
potenzialità.
Ciò che, nello stesso ordine, conferisce l'atto o
l'essere alla materia si dice forma, la quale è appunto il principio
attuante.
meyer). Esso corrisponde ai termini eléoc; e
èvreÀ.éxElOt del vocabolario filosofico di Aristotele.
w ) Cfr. De princ. nat., 1 e
2.
56 ) Ciò che è in potenza, in quanto è in potenza,
non raggiunge l'atto da sé (== per il semplice fatto che è in potenza),
altrimenti la potenza si identificherebbe assurdamente con l'atto. Per
es., non è per la capacità o potenza di scrivere, che attualmente sto
scrivendo; se così fosse, la mia capacità di scrivere - che precedeva il
mio scrivere in atto - sarebbe il mio stesso scrivere attuale e si
negherebbe come capacità: se io scrivessi attualmente per il
semplice fatto che potevo scrivere, in realtà quel potevo è
uno scrivevo:
che perdura attualmente, cioè il mio scrivere inattuato.
Dunque, ciò che è in potenza acquista l'atto da un altro ente
già in atto, che ne è la causa. Questo significa che l'attuazione di una
potenzialità è sempre un effetto, un causato.
57 ) Cfr. De princ. nat., 3.
58 ) Cfr. 12 Met., 1. 2.
Ili
parte seconda
Essa è ciò a cui (ad quod) si termina il moto
generativo dell'ente sensibile: se conferisce l'essere propriamente
sostanziale in riferimento alla materia prima, si dice forma
sostanziale. '
La materia che gode già di un'attualità sostanziale, ma
è ancora aperta a ulteriori attuazioni di ordine accidentale, che non
conferiscono l'essere in senso assoluto, ma solo in tale o tal altro modo,
si dice soggetto o materiaseconda: è il caso del ferro
nell'esemplificazione sopra proposta.
Queste ulteriori attuazioni di ordine accidentale si
dicono/orme accidentali: sono appunto le diverse fogge (vaso,
piatto, sfera ecc.) che quel pezzo di ferro può assumere. Il ferro è
materia seconda, cioè è già un soggetto costituito con una sua
specifica forma sostanziale, rispetto a una materia prima che funge da
sostrato nella sua corruzione.
Il principio agente e il suo termine intenzionale si
dicono rispettivamente causa efficiente o movente, o agente, e causa
finale o fine.
Dunque, la forma si presenta quale principio d'attuazione
nell'ente sensibile, entrando in composizione con la materia e costituendo
con essa l'essenza della sostanza corporea, o modificando completivamente
questa sostanza.
2) descrizione DEI DUE COPRINCÌPI
a) La materia
La materia prima è un principio costitutivo (id
quo} dell'essenza dell'ente sensibile e, come tale, non ha essa stessa
un'essenza.59
Essa è pura potenza passiva; è la sua stessa potenza
passiva, cosi come Dio è la sua stessa potenza attiva,60
perché è ciò che è primo e principale nell'ordine della recettività:
soggiace a ogni forma sostanziale di ordine sensibile e alla privazione
che consente la trasformazione, senza includere in se stessa ne le forme,
ne la privazione.61
In questo senso, S. Tommaso può affermare che
«comunemente viene denominata materia prima ciò che, nel genere della
sostanza, è come una certa potenza, intesa al di là di ogni specie,
forma e privazione, e tuttavia recettiva di forme e privazioni».62
''•') Cfr. De Ver., 3, 5.
60 ) Cfr. 1 Sent., 3, 4, 2, ad 4; De Anima,
12, ad 12.
61 ) Cfr. De princ. nat.,2. ---•--—————•-
°) De spirit. creat., 1; cfr. I, 3, 8; 7, 2, ad 3;
1 Physic., 1. 13.
112
Materia e forma
Naturalmente va precisato che la materia prima è nel
genere della sostanza non nel senso di qualcosa di in sé attualmente
sussistente, ma come ciò che è in potenza a essere qualcosa in atto
sostanziale:63 essa entra nella costituzione sostanziale di
ogni corpo naturale.64
Il soggetto è la sostanza sensibile che soggiace
alle trasformazioni accidentali, e ha come sostrato e costitutivo della
sua generazione e corruzione sostanziale la materia prima.
Esso ha una grande importanza dal punto di vista, della
descrizione della materia prima. Dalla funzione del soggetto,, si risale
per analogia alla funzione della materia prima, giacché quest'ultima non
è per sé intelligibile.
Come riconosciamo - per es. - che il legno è qualcosa di
diverso dalla forma del sedile e del letto, perché può trovarsi sotto
l'una o l'altra, così giungiamo alla nozione di materia prima quando
osserviamo che dall'unione dell'idrogeno e dell'ossigeno si produce una
nuova sostanza: l'acqua. Ciò che funge da sostrato di tale mutazione è
appunto la materia prima.65
b) La forma
La forma è descrivibile come ciò per cui (id quo)
una cosa è determinata a essere ciò che è. E il principio determinatore
relativo alla materia che viene ad essere determinata, in quanto a sua
volta principio di indeterminazione o potenzialità.
In modo più specifico, la forma sostanziale «è
ciò per cui la materia prima viene costituita ente in atto e questo
qualcosa {hoc ali-quici)».^ Per questo essa è detta atto della
materia; come tale non è l'essenza di una cosa, ma rientra con la materia
stessa nell'essenza di una cosa come suo principio.
In questo senso, la forma sostanziale non può mai
esistere senza la materia, come la materia senza la sua forma sostanziale,
perché ciò che esiste è il composto.
E il caso della forma corporea, cioè di quell'atto
formale non sussistente, ma per riduzione appartenente all'ordine
sostanziale, che conferisce essere e unità al corpo naturale.
") Cfr. 8 Met., 1. 1.
") Cfr. 1 Physic., 1. 15; 2 Physic., 1.
2.
65 ) Cfr. 1 Physic., 1. 13.
") Cfr. De ente et ess., 2.
113
parte seconda
Tuttavia, in quanto atto, la forma sostanziale può
assumere la stessa fisionomia della sostanza, cioè dell'atto formale
sussistente, anche se non è pura e semplice attualità (solo Dio è atto
puro).
E il caso della forma spirituale. In modo completo
si dice sussistente l'angelo; in modo incompleto, invece, si dice
sussistente l'anima umana, perché è una certa sostanza spirituale e nel
contempo forma sostanziale del corpo umano. /
La/orma accidentale, dal canto suo, è ciò per cui la
materia seconda o soggetto riceve una modificazione completiva, non
costitutiva dell'essenza. • •
Mentre la forma sostanziale fa essere la materia in senso
assoluto (simpliciter), la forma accidentale fa essere la materia
in modo secondario (secundum quid), cioè sotto un certo aspetto
aggiunto. Il calore, per es., non fa essere il suosoggetto in senso
assoluto, ma lo fa essere caldo: fa sì-che l'acqua sia calda, i non che
sia acqua.67
3) la CARATTERIZZAZIONE SPECIFICA
a) La materia
Dal punto di vista ontologico, la materia prima e
ingenerabile e incorruttibile, perché non è qualcosa di sussistente,
un ente, ma un semplice principio privo di ogni attualità, di ogni forma.
Se fosse generabile e corruttibile, occorrerebbe supporre
un soggetto precedente dal quale provenga o nel quale si risolva, il che
è assurdo: la materia prima precederebbe se stessa, mentre per
definizione essa è il soggetto primo dal quale (ex quo) si genera
qualcosa per sé.68
Tuttavia, essa è creata - o meglio concreata - d_a
Dio,69 insieme alle forme che la determinanq_specificamente:70
anche ciò che sta dalla parte della potenza è creato, se tutto ciò che
riguarda l'ente finito è creato.
Se la fórma è principio di specificazione della materia,
o della sua individuazióneSpecifica, la materia, a sua volta, in
quantosoggiacente
67 )
Cfr. I, 76, 4.
68 ) Cfr. / Physic., 1. 15.
69 ) Cfr. I, 44, 3.
70 ) Cfr. I, 44, 3, ad 4; 45, 5. G. barzaghi, La
nozione di creazione in S. Tommaso d'Aquino, in «Divus Thomas» 3
(1992), pp. 62-81 e in questo volume.
114
Materia e forma
a certe dimensioni, è principio di individuazione^
numerica della forma.71 La materia quantitate signata,
cioè la materia determinata dalla quantità, è il principio di
individuazione all'interno di una stessa natura specifica: ciò che
distingue un individuo corporeo da un altro, per es. quest'uomo da
quell'altro, sono «questa carne e queste ossa».72
Dal punto di vista gnoseologico, la materia prima, in
quanto pura potenzialità, è inintelligibile per sé e può essere
concepita solo in rapporto alla forma cui soggiace73 e alla
quale dice ordine.74
In riferimento ai diversi livelli di concettualizzazione,
la materia già formata è caratterizzabile come sensibile e come
intelligibile.
La materia, sensibile è la materia corporea che
soggiace alle qualità sensibili quali il freddo, il caldo, il secco,
l'umido ecc.75 Essa si dice comune, quando rientra nella
concettualizzazione universale come elemento essenziale: per es., carne e
ossa appartengono ài concetto specifico di uomo.
La materia sensibile è individuale quando è
determinata dalla quantità dimensiva (questa carne e queste ossa): non
rientra nella definizione della specie, ma in quella dell'individuo,
supposto che se ne dia una definizione.76
La materia intelligibile è la sostanza in quanto
soggiacente alla quantità. Poiché la quantità precede le qualità
sensibili nell'inerire alla sostanza - come vedremo -, può essere
concettualizzata senza di esse.77 E il tipico grado di
concettualizzazione o di astrazione della matematica.
Nella determinazione della materia intelligibile, si può
prescindere dalla materia intelligibile individuale (questa o
quella sostanza), ma non dalla materia intelligibile comune, cioè
dal riferimento alla sostanza cui inerisce la quantità come
accidente.78
b) La forma
La forma è caratterizzabile secondo i diversi livelli o
gradi ontologici nei quali essa si presenta.
71 )
Cfr. De ente et ess., 2, I, 75, 4.
72 ) Cfr. Ibid., I, 86, 3.
73 ) Cfr. 1 Physic., 1. 13.
74 ) Cfr. 2 Physic., 1. 4; I, 15, 3, ad 3; 87,
1; 8 Met., 1. 1.
75 ) Cfr. I, 85, 1, ad 2. •. '
7 ') Cfr. De ente et ess., 2.
") Cfr. I, 85, 1, ad 2.
7S ) Cfr. De Ver., 2, 6, ad 1.
115
parte seconda
- La forma si dice estrinseca o esemplare79
quando è intesa come ciò a somiglianzà del quale qualcosa si genera.
Infatti, l'esemplato si rapporta al suo esemplare secondo la forma.80
- La forma si dice intrinseca quando, in senso
stretto, è lo stesso principio strutturante e determinante una cosa,81
giacché appartiene alla natura stessa della forma essere nel soggetto del
quale è forma.82
La forma sostanziale, dal punto di vista statico, è
principio dell'essere sostanziale e, come tale, è unica, perché
uno è l'ente che da tale attuazione risulta.83 Essendo la
materia finalizzata alla forma,84 giacché riceve da essa la
propria determinazione, deve esserle proporzionata,85 cosi come
la forma sostanziale materiale non oltrepassa la proporzione della
materia:86 ogni atto, infatti, corrisponde alla propria
potenza.87
Per sé la forma subisce una duplice limitazione: individuale,
da parte della materia rispetto alla forma specifica; specifica, da
parte della differenza rispetto alla forma del genere.88 In
questo secondo modo, le forme si differenziano sempre secondo una scala gerarchica,
giacché le differenze formali si fondano su una certa contrarietà
che, a sua volta, implica il più e il meno, come il possesso e la
privazione.89
La forma è anche principio di intelligibilità,
perché una cosa è conoscibile secondo l'attualità che le proviene dalla
forma.90 Dal punto di vista dinamico, la forma sostanziale, in
senso attivo, è principio dell''operazione, perché ogni agente
agisce in forza della sua forma, della sua attualità.91 In
senso passivo, la forma sostanziale è edotta dalla potenza della
materia,92 dalla quale non può separatamente sus-
79 )
Cfr. 5 Met., 1. 2.
80 ) Cfr. I, 18, 4, ad 2; 56, 1, ad 3.
81 ) Cfr. 5 Met., 1. 2.
82 ) Cfr. I, 40, 1.
83 ) Cfr. I, 76, 8.
8< ) Cfr. I, 47, 2.
85 ) Cfr. I-II, 37, 4 e; 4 Sent., 17, 1, 2, 2
e.
86 ) Cfr. II-II, 24, 3, ad 2.
87 ) Cfr. C.G., II, 81; 83; IV, 84. -
88 ) Cfr. De spirit. creai., 1, ad 2.
s9 ) Cfr. In De causis, 4; I, 47, 2.
Considereremo tra poco, in modo più approfondito e articolato, questo
tema che si riferisce all'ordine e alla intelligibilità.
90 ) Cfr. I, 87, 1. '
•») Cfr. I, 3, 2; 76, 1.
92 ) Cfr. C.G., II, 86.
116
Materia e forma
sistere - come si è detto -, fatta eccezione per l'anima
umana, che è creata immediatamente da Dio. ;,
Non essendo qualcosa di sussistente (quod), ma ciò
per cui (quo) qualcosa è, alla forma sostanziale come tale non
spetta ne il divenire, ne l'essere creata, perché ciò compete al
soggetto o sostanza:93 quando si parla di produzione della
forma, in realtà si intende parlare della cosa o soggetto che è prodotto
per mezzo di essa.94
La forma accidentale ha la caratteristica di attuare solo modalmente
il soggetto, cioè im una dimensione semplicemente completiva e non
costitutiva.
In questa prospettiva, la sostanza funge da materia in
qua, in quanto è appunto il soggetto di inerenza delle forme
accidentali.
- Se si considera l'aspetto metafisico o essenziale
dell'inerire, cioè le sue determinazioni specificanti, la forma
accidentale si qualifica per le diverse modalità con le quali
caratterizza la sostanza stessa. Si tratta dei nove predicamenti
successivi alla sostanza, con la quale costituiscono i supremi generi dei
predicati (punto di vista logico), o i supremi generi di realtà.95
Quando la forma accidentale inerisce intrinsecamente alla
sostanza, si possono dare due modalità: una assoluta e l'altra relativa.
Secondo la modalità assoluta: se la forma accidentale
segue la materia del soggetto, essa si esprime come quantità:, se
invece segue la forma del soggetto, si esprime come qualità.
La quantità predicamentale96 è l'accidente
proprio della sostanza
93 )
Cfr. I, 45, 8.
94 ) Cfr. De virt. in comm., 11.
n ) Cfr. 5 Met., 1. 9.
9 ') In S.Tommaso, il termine quantità ha un
significato analogico assai esteso, indicando, in certo modo, tutto ciò
che dice grandezza, numero, estensione e perfezione.
In senso proprio, esso indica la quantità per sé o
secondo la sua essenza, cioè la grandezza in quanto tale.
Se si pone l'accento sull'intensità di tale
grandezza, S. Tommaso usa l'espressione quantità di virtù (cfr. 5
Met., 1. 18). Essa si identifica con la stessa perfezione
ontolgica di una cosa e ha come criterio o misura la natura o forma
della cosa stessa. In questo senso, possiamo parlare - per es. - di una
grande scienza, di maggiore o minore carità ecc. (cfr. I-II, 52, 1). Gli
scolastici la chiamano anche quantità trascendentale.
Se si pone l'accento sulla estensione in senso
stretto della grandezza, S. Tommaso parla di quantità dimensiva.
Essa appartiene all'ordine predicamentale: è il primo dei nove
predicamenti successivi alla sostanza (cfr. De Ver., 29, 3 e),
conseguendo direttamente - cioè in modo proprio - al principio materiale
del complesso ilemorfico (cfr. 5 Met., 1. 9; 1 Physic., 1.
3; 3 Physic., 1. 5; De Fot., 9, 7c; I, 76, 1, ad 3; 77, 6).
In senso improprio, il termine quantità può essere
applicato alla designazione di ciò che è quantità solo in modo
accidentale (per accidens], cioè non in forza di se stesso,
117
parte seconda
corporea (composto sostanziale ilemorfico). Constatiamo,
infatti, che le realtà corporee sono estese, hanno cioè grandezza,
dimensioni, .tutina in forza del modo proprio del suo termine di
riferimento. Il moto e il tempo si dicono quantità, per il fatto che
subiscono una divisione quantitativa, cóme conseguenza della divisione
della quantità alla quale si riferiscono : per es., una distanza da
percorrere (cfr. 5 Met., 1. 15). . , ,
La quantità predicamentale è descrivibile come posizione
o ordine delle parti nel tutto (cfr. C.G., IV, 65). Essa, infatti, da
dimensione o estensione alla sostanza corporea, secondo altezza, lunghezza
e profondità (cfr. De ente et ess., 2).
Da un punto di vista quasi materiale (ecco già a questo
punto una applicazione per estensione analogica della terminologia
ilemorfica a un contenuto di ordine puramente teoretico e non fisico ! Ma
la sua precisa elaborazione avverrà più avanti in questo sta-' dio),
la quantità implica la distinzione diparti, l'avere parti fuori
delle parti: per es., nel corpo umano la testa non è il tronco, il
tronco non è una gamba ecc.
Da un punto di vista quasi formale, la quantità implica Verdine
(cfr. I, 14, 12, ad 1) di queste parti, cioè una certa misurabilità,
così che S. Tommaso può anche definirla come misura della sostanza
(cfr. 9 Met., 1. 1 ; De ente et ess., 7; I, 28, 2 e). Nella
quantità si danno sempre un prima e un poi, cioè una sequenza nelle
parti.
Duplice è l'angolo prospettico sotto il quale si può
caratterizzare la quantità: quello metafisico e quello
conoscitivo. ;
- Sul piano metafisico, la quantità predicamentale, come
primo accidente della sostanza corporea, ha il carattere della sensibilità.
Essa conferisce la divisibilità alla sostanza corporea, la quale, priva
della quantità, risulterebbe indivisibile come una realtà spirituale
(cfr. C.G., IV, 65). Se la sostanza corporea, dotata della propria
quantità, non è divisibile all'infinito, giacché un corpo naturale
richiede un minimo specifico di grandezza (cfr. 1 Physic., 11. 9 e
15; De Fot., 4, 1, ad 5), la quantità estesa, come tale, implica
una divisibilità all'infinito (cfr. I, 3, 1; 1 Sent., 19, 3, 1, ad
2).
Si dice divisibile e non divisa, in quanto le sue
parti non sono attualmente presenti nel continuo esteso, ma solo potenzialmente
(cfr. 7 Met., 1. 13), altrimenti l'esteso non sarebbe uno,
ma una molteplicità di unità estese, più o meno unite tra loro. Le
parti potenzialmente divisibili nel continuo sono infinite, perché sono
sempre estese e dell'esteso si da sempre divisione (cfr. 1 Physic.,
1. 9).
In quanto capace di individuazione per sé (cioè
indipendentemente da un soggetto di inerenza, come invece avviene per gli
altri accidenti), la quantità concorre con la materia - come si è già
visto - all'individuazione dei corpi (cfr. C.G., IV, 65; In B. Trin.
1, 2, 2, ad 3).
Astraendo dalla materia sensibile, la quantità si
individua da sé, come vediamo nelle figure geometriche, che possiamo
semplicemente immaginare come individue (per es., una linea, una
circonferenza). La quantità, infatti, implica posizione, come si
è detto, cioè sito, non come ordine delle parti nel luogo, ma
come ordine delle parti nel tutto (così esso è la differenza della
quantità: cfr. 4 Physic., 1. 7).
La materia, cioè il soggetto primario non ricevuto in
altro, m quanto segnata dalla quantità (quantitate signata) si
costituisce come principio di individuazione - come abbiamo già
accennato.
Si dice segnata dalla quantità, in quanto soggiace alle
dimensioni quantitative. Tuttavia non si tratta di dimensioni terminate,
cioè con figura e misure determinate : al frequente variare di tali
determinazioni, infatti, varierebbe lo stesso individuo, che non sarebbe
più numericamente uno. Tali dimensioni sono perciò interminate
(cfr. In B.Trin., 1, 2, 2 e).
Poiché la quantità è un accidente e l'essere
accidentale non può precedere quello sostanziale (cfr. 1 Sent., 8,
5, 2), la condizione di individuazione dei corpi prevede non solo la
materia, ma anche la sua attuazione attraverso la forma sostanziale della
corporeità; a questa seguono come accidenti propri le dette dimensioni
interminate (cfr. I, 76, 4, ad 4).
tl8
Materia, e forma
tavia non sono la loro propria estensione. Esse possono
variare nelle loro dimensioni, rimanendo immutate nella loro struttura,
sia specifica che individuale. Per es., un uomo cresce in statura secondo
le normali tappe di sviluppo fisico dell'età, eppure resta sempre lo
stesso individuo di natura umana. Questo significa che la quantità non è
costitutivo della sostanza corporea, ma ne è appunto l'accidente proprio,
realmente distinto da essa.
La qualità predicamentale può essere complessivamente
descritta come quella forma accidentale che modifica o dispone la sostanza
in se stessa: per es., la sapienza si aggiunge qualitativamente all'uomo e
lo costituisce intrinsecamente sapiente.97
In questo modo, il principio di individuazione segue
sempre la forma sostanziale generica della corporeità, nel suo
distinguersi e precedere concettualmente la forma sostanziale
specifica. Ogni genere, infatti, ha i propri accidenti, i quali fungono da
disposizioni per la forma più specifica o superiore. Perciò, da
un punto di vista genetico dei concetti, la forma generica della
corporeità precede e si appropria la quantità dimensiva interminata
individuante, la quale - a sua volta - è intesa come dispositiva
della materia in diverse parti per la ricezione delle singole forme di
un'unica specie (cfr. I, 76, 6, ad 1). In realtà, però, è la stessa
forma sostanziale specifica che, contenendo in sé virtualmente le
perfezioni generiche inferiori, conferisce i diversi gradi di perfezione
alla materia (cfr. Ibid., ad 2).
La quantità dimensiva interminata conferisce alla
sostanza corporea anche la localizzazione (cfr. Ili, 76, 5) e la rilevabilità
per indicazione (segnaliamo l'individuo indicandolo con il dito: cfr. De
nat. mat., 3).
- Sul piano conoscitivo, abbiamo la quantità
matematica (cfr. Ili, 77, 2, ad 4).
Essa risulta per astrazione dalla materia sensibile sia
individuale che comune, ma non dalla materia intelligibile. Quest'ultima,
infatti, non è altro che la sostanza in quanto soggiace alla quantità.
Poiché la quantità, come primo accidente della sostanza, precede le
qualità sensibili nell'inerire alla sostanza (cfr. Ili, 77, 2 e), può
essere pensata prescindendo da quelle stesse qualità (cfr. I, 85, 1, ad
2; 8 Met., 1. 5).
Nella tipica divisione della quantità matematica si
distinguono : una quantità continua, cioè estensiva, fatta di
linee, superfici e corpi matematici (=• tré dimensioni); una quantità
discreta o numerica (cfr. 3 Physic., 1. 7), che scaturisce
dalla divisione della quantità continua (cfr. In B. Trin., 1, 2,
2, ad 6) ed è la molteplicità misurata o misurabile attraverso l'unità
(cfr. 10 Met., 1. 8).
<)7 ) Cfr. I, 28, 2 e; I-II, 49, 2 e; 5 Met.,
1. 9.
In S. Tommaso, il termine qualità è sinonimo di
determinazione distintiva o differenziale di una cosa, secondo la
tipicità propria di un principio formale. Esso può indicare - in senso
lato - il principio differenziale del genere, cioè la differenza
sostanziale, secondo la quale è attuata e determinata la potenzialità
della materia prima (cfr. 5 Met., 1. 16); oppure esso si riferisce
a ciò che attua il soggetto sostanziale m modo secondario, cioè
all'accidente in generale. In senso stretto, però, il termine qualità
indica il secondo dei nove predicamenti successivi alla sostanza (cfr.
I-II, 49, 2 e), i
Proprio in questo senso predicamentale, la qualità si
caratterizza secondo i diversi modi con i quali si rapporta alla sostanza.
Dal punto di vista della connaturalità al soggetto di
inerenza, la qualità si dice naturale, quando non eccede, anzi
segue le capacità e le esigenze della natura specifica del soggetto; si
dice, invece, soprannaturale, quando le sue finalità o i suoi
orientamenti
119
parte seconda
Secondo la modalità relativa, la forma accidentale si
esplica come riferimento del soggetto ad altro, cioè come relazione.
Quando la forma accidentale inerisce estrinsecamente alla
sostanza, si verificano altre due modalità.
Se l'estrinsecità è solo parziale, perché la forma
accidentale si riferisce al soggetto almeno come a principio, oppure come
a termine, allora abbiamo rispettivamente Vagire e il subire.
superano le inclinazioni specificamente connaturali al
medesimo soggetto: la grazia santificante è una qualità soprannaturale
(cfr. I-II, 49, 2 e).
Dal punto di vista della specifica funzione dispositiva,
le caratteristiche speciali della qualità segnalano le sue diverse specie
(cfr. I-II, 49, 2 e). •
- Se modifica la sostanza o dispone accidentalmente il
soggetto rispetto alla sua stessa essenza, abbiamo l'abito e la disposizione
(prima specie della qualità). Queste qualità dispongono bene o male il
soggetto rispetto alla sua natura, giacché quest'ultima ha sempre
ragione di fine e dunque di bene. Per es., la salute è un abito che
dispone bene il soggetto in se stesso; la malattia, invece, lo dispone
male in se stesso. Ciò che distingue, ancora modalmente, l'abito dalla
disposizione è la maggiore o minore transitorietà con la quale
esercitano la loro azione: la natura, infatti, è il fine del moto
generativo. Così, l'abito è difficilmente mobile (per es., la
malattia); la disposizione, invece, è facilmente mobile (per es.,
la salute cagionevole).
- Se la modifica qualitativa riguarda l'attività o la
passività del soggetto, in rispondenza ai suoi princìpi naturali, cioè
alla forma e alla materia, allora abbiamo rispettivamente la potenza
e {'impotenza (seconda specie della qualità), la passione e
la qualità sensibile (terza specie della qualità). In questi due
casi, la modalità dispositiva non riguarda il fine, ma solo il grado di facilità
di esercizio (potenza-impotenza), o il maggiore o minore grado di stabilità
(passione-qualità sensibile).
Li potenza dispone il soggetto all'operazione. Si
tratta della facoltà operativa, che può essere: attiva, come
l'intelletto agente, nell'ordine spirituale, o la facoltà nutritiva,
l'accrescitiva, la generativa e la motoria nell'ordine corporeo; oppure
può essere passi-va, come l'intelleto possibile e la volontà,
nell'ordine spirituale, o i sensi e l'appetito sensitivo, nell'ordine
corporeo. ,, .
L'impotenza si oppone alla potenza come semplice in'debeilimento
(per es,, una vista debole). , .. • ;
La passione e la qualità sensibile sono
qualità che implicano un'alterazione nell'ordine sensibile. I colori, i
suoni, gli odori, i sapori, la mollezza, la durezza ecc. appartengono a
questa classe. La passione indica una situazione facilmente transitoria,
rispetto alla stabilità segnalata dalla qualità sensibile {patibdis
qualitas). Si è soliti.esemplificare tale diversità con il rossore
del viso dovuto a pudore (passione), opposto, al carattere somatico tipico
del temperamento sanguigno (qualità sensibile). :.
- Se la determinazione qualitativa si rapporta al soggetto
secondo la quantità dello stesso, essa non implica ne la disposizione
buona o cattiva, ne una situazione più o meno transitoria. La quantità,
infatti, per sua natura non include il carattere di cene o di male, ne è
coinvolta nel moto. i
In questo caso abbiamo Informa e Sfigura. Queste
qualità sono delle terminazioni della quantità (cfr. I, 7, 1, ad
2). La forma si riferisce all'essere specifico dell'artefatto. La figura,
invece, è la terminazione della quantità corporea naturale ed è il
segno principale per il quale distinguiamo le diverse specie appartenenti
a quest'ordine. Per es., alle diverse specie animali corrispondono diverse
figure corporee (cfr. I, 35, 1 e).
120
Materia e forma
Se l'estrinsecità è totale, allora la forma accidentale
può esprimersi come misura del soggetto quanto al tempo, o quanto al
luogo. Rispetto al tempo, abbiamo il quando; rispetto al luogo,
invece, abbiamo il dove, se non si considera l'ordine delle parti
nel luogo, il giacere o sito, se si considera tale ordine.
La forma accidentale estrinseca, che si rapporta al
soggetto senza esprimere alcuna misura, è V abito, cioè l'essere
rivestito - da non confondere con la prima specie della qualità.
- Se si considera l'aspetto fisico o entitativo
dell'inerire, cioè il generico aver l'essere in un soggetto, la forma
accidentale presenta caratteristiche ordinarie e straordinarie.
In via ordinaria, essa ha l'essere in un soggetto, che è
in modo primario la sostanza (subiectum quod); tuttavia,
secondariamente, cioè in virtù della sostanza alla quale inerisce, una
forma accidentale può essere soggetto (subiectum quo) di un'altra
forma accidentale. Per es., il colore inerisce alla sostanza corporea
attraverso la superficie quantitativa.98
Dal soggetto sostanziale di inerenza, la forma accidentale
riceve la propria individuazione" e, conscguentemente, V
incomunicabilità ad altro soggetto: la forma accidentale,
numericamente una, non passa da soggetto a soggetto, altrimenti non
sarebbe più numericamente una.100
In via straordinaria, la forma accidentale può esistere
senza soggetto di inerenza, per l'onnipotenza di Dio, come nel caso delle
specie eucaristiche in forza del miracolo della transustanziazione.
Infatti, Dio è la causa prima dalla quale dipendono tutte le altre cause
e i loro effetti: Egli può quindi ottenere, in via straordinaria, lo
stesso effetto delle cause seconde, non supponendole.101
D'altra parte, in questa eventualità, non si
contravverrebbe alla natura della forma accidentale, perché questa non
implica l'attuale esistenza in un soggetto, ma l'essenziale attitudine ad
avere l'essere in un soggetto; tale attitudine non viene minimamente
intaccata.
4) il RIFLESSO LOGICO
Come abbiamo detto poco più sopra, l'intelligibilità
degli enti sensibili ha come suo principio la forma. In questo senso la
forma è
w ) Cfr.
I, 77, 7, ad 2; I-II, 7, 1, ad 3.
") Cfr. I, 77, 7, ad 2; I-II, 7, 1, ad 3.
100 ) Cfr. Ili, 77, 1.
101 ) Cfr. Ibid.
121
parte seconda
sinonimo - anche se in modo piuttosto lato e non preciso -
di essenza e di specie.102
a) Inquadramento tematico
Specie
(lat. species dal verbo spedo = guardare, osservare)
significa in generale apparenza, aspetto visibile, forma, figura.
S. Tommaso usa questo termine con diversi significati.
In senso attivo, specie sta per visione.m
In senso passivò, il termine specie è vocabolo chiave sia nell'ordine
ontologico , sia nell'ordine logico.
Nell'ordine ontologico, se ci si colloca sul piano
sensibile, specie può indicare la semplice apparenza esterna, come
nel caso delle specie sacramentali;104 oppure è sinonimo di bellezza.10'1
Se ci si colloca sul piano intelligibile, specie ricorre - come si è
appena detto - come sinonimo di essenza e di forma.
Nell'ordine gnoseologico, se si considera la conoscenza
dal punto di vista psicologico, la specie intelligibile è sia
principio dell'atto conoscitivo, come suo elemento informativo (è la species
impressa; ciò per cui si conosce), sia termine dello stesso, come concetto
nel quale si conosce la realtà (è la species expressa; id in quo
cognoscitur)1^
Se ci si situa Sul piano logicò, invece, la specie è una
nozione astratta, un puro ente di ragione, che indica ciò che è
intermedio tra l'individuo e il genere.
Esattamente in quest'ultima accezione, la specie è un
predicabile, cioè uno dei cinque modi con i quali un predicato si
dice di un soggetto: genere, specie, differenza, proprio e
accidente.
Così, quando dico di Socrate che è uomo, predico del
soggetto la specie; quando dico che Socrate è animale, predico del
soggetto il genere; quando dico che Socrate è razionale, predico del
soggetto la differenza specifica; quando dico che è bianco, predico del
soggetto l'accidente.
Essi si distinguono secondo il riferimento all'essenza di
una cosa.
102 )
Cfr. 5 Met., 1. 2; 1 De gen. et coir., 1. 4.
103 ) Cfr. I-II, 4, 5.
104 ) Cfr. Ili, 76, 7.
105 ) Cfr. I, 39, 8.
106 ) Cfr. I, 85, 2; In Joann., 1, 1. 1.
122
Materia, e forma
Se il predicato indica l'essenza della cosa esprimendola
in modo indeterminato, cioè non del tutto completo, abbiamo il genere,
che si dice predicabile, appunto, in quid (essenza) incomplete.
Se la esprime in modo determinato e completo, abbiamo la specie, che si
dice predicabile in quid complete.
Se il predicato esprime l'essenza nel suo aspetto più
formale e determinante, abbiamo la differenza, che si dice predicabile in
quale quid (è la qualità essenziale).
Se il predicato non indica l'essenza, ma ciò che con essa
è collegato necessariamente, abbiamo il proprio, che si dice predicabile in
quale necessario (qualità necessaria), perché consegue ai principi
intrinseci dell'essenza.
Se il predicato ne indica l'essenza, ne ciò che ad essa
consegue necessariamente, abbiamo l'accidente, che si dice predicabile in
quale contingenter (qualità necessaria).
La specie converge con il genere e, con la differenza nel
designare la stessa essenza come un tutto,107 esplicitandolo in
modo diverso. La specie, rispetto al genere e alla differenza, si
costituisce come la loro coalizione complessiva implicita, perché è il
risultato della contrazione del genere per mezzo della differenza.108
Dal canto suo, la definizione non è altro che la
esplicitazione della specie secondo le sue due componenti concettuali,
cioè il genere e la differenza specifica. In questo senso, animale
razionale è la definizione della specie uomo, in quanto
quest'ultima risulta appunto dalla determinazione del genere prossimo
animale per mezzo della differenza specifica razionale, che ne
limita l'estensione per esclusione della differenza contraria
(irrazionale), specificante l'animale bruto.109
La specie, nella sua situazione intermedia tra il genere e
l'individuo, per contrazione del genere stesso mediante differenze, è
caratte-rizzabile come suprema, subalterna e infima o specialissima.
Questa nomenclatura scolastica rispecchia il coordinamento che intercorre
tra i generi e le specie, così come è schematizzato dal filosofo
neoplatonico Porfirio (Isagoge).
Suprema è la specie che, non ammettendo altre specie
superiori a sé, ma solo inferiori, si colloca sotto il genere superiore e
coincide con il primo genere subalterno.
107 )
Cfr. 2 Sent., 3, 1, 5.
108 ) Cfr. I-II, 35, 8; II-II, 17, 5; 1 Perih.,
1. 8; De Fot., 8, ad 5.
1M ) Cfr. 3 Physic., 1. 1. .
123
parte seconda
Subalterna è la specie che ammette sia superiori che
inferiori a sé, identificandosi con il secondo genere subalterno e il
genere prossimo o infimo.
Infima o specialissima è la specie che ammette specie
superiori, ma non inferiori: è la specie in senso stretto, sopra
descritta, che sta tra il genere prossimo e gli individui.
Ecco la celebre esemplificazione schematica:
sostanza (gen.supr.) composta semplice (aiti.
costit. ) (diff. divisiva)
corpo (1 gen.sub./spec-supr.) animato inanimato
vivente , (2 gen.sub./l spec.sub.) sensitivo non
sensitivo
animale' (gen.pross.72 spec.sub.) razionale non
razionale
uomo (spec. infima) Sacrate (individuo)
Da questo schema appare evidente il parallelo che, sulla
scia di Aristotele, S. Tommaso e gli scolastici istituiscono tra le specie
e i numeri (species sunt sicut numeri). Infatti, come questi ultimi
variano per addizione o sottrazione di unità, così le specie variano per
addizione o sottrazione di una differenza.110
b) .La problematica
Secondo una certa proporzione, la specie corrisponde al
composto naturale, cosi come proporzionalmente il genere si rapporta alla
materia e la differenza alla forma.111
La radice della composizione logica, infatti, è la
composizione metafisica della potenza e dell'atto, che si riscontra
nell'ente fiito.
110
111'
') Cfr. 8 Met., 1. 3; I, 50, ad 1. ') Cfr. 1
Sent., 19, 4, 2, 2, s.c.; De ente et ess., 3.
124
Materia e forma
In ambito endtativo, essa è la composizione dell'essenza
e dell'essere, riscontrabile in tutte le creature, sia corporee che
spirituali.
In ambito quidditativo o essenziale, essa è la
composizione della materia e della forma, riscontrabile nelle sole
creature corporee.112 In questo senso, la definizione,
rigorosamente composta dal genere e dalla differenza, segnala la
composizione reale del definito.113
Tuttavia, la corrispondenza della specie al composto,
così come quella del genere alla materia e della diferenza alla forma, è
solo proporzionale, perché trova in quelle parti solo una radice,
ma non il suo pieno fondamento, che è di ordine intellettivo. Genere,
specie e differenza specifica sono enti di ragione (intentiones
secundae).
Materia e forma, nelle creature corporee, sono parti
integrali, dalla cui composizione risulta una terza realtà, che è il
tutto sostanziale (per es., corpo organico + anima razionale = uomo). Come
tali, esse non sono predicabili del tutto: non è possibile dire che
l'uomo sia corpo organico, oppure che sia anima razionale.114
Il genere e la differenza, dal cui rapporto invece nasce
la specie, non ne sono parti integrali; non sono due princìpi reali dalla
cui sintesi si origina una terza realtà, ma due concetti che stanno alla
base di un terzo. Come tali, essi esprimono lo stesso tutto, la stessa
totalità della quale perciò sono predicabili: posso dire che l'uomo è
animale e posso dire che è razionale.115 Ciò che li distingue
è appunto la proporzionale corrispondenza alla materia e alla forma nelle
sostanze corporee, e all'essenza e all'essere in quelle spirituali.116
Perciò, il genere e la differenza devono fondarsi sullo
stesso tutto composto, in quanto tutto, denominandolo però a partire
dalle sue componenti. Il genere viene così desunto da ciò che è
materiale nella sostanza; la differenza da ciò che è formale.117
I termini materiale e formale, infatti, indicano
rispettivamente il tutto connotando la materia o la forma, dalle quali
traggono denominazione. In questo senso, S. Tommaso dice che «la natura
sensitiva, dalla quale si desume la nozione di animale, è materiale
nell'uomo rispetto alla natura intellettiva, dalla quale si desume la
differenza specifica dello stesso, cioè razionale».118
112) Cfr C.G II 54
113 ) Cfr. 1 Sent., 25, 1, 1, ad 2; 7 Met.,
1. 9.
114 ) Cfr. De ente et ess., 3.
"5) Cfr. Ibid.
lró ) Cfr. De nat. generis, 5; C.G., II, 95.
"7) Cfr. De ente et ess., 6.
118 )
Cfr. C.G., II, 95.
125
parte seconda III. Espansioni analogiche
1) L'ANALOGIA
Nella filosofia realista, l'attenzione al reale in tutte
le sue singole e dettagliate espressioni si manifesta con la dottrina
dell'analogia.119 Per essa, non soltanto è possibile
salvaguardare la molteplicità e ricchezza dei contenuti senza
riduzionistiche semplificazioni, ma è anche possibile estendere la
conoscenza in riferimento a contenuti assai diversi tra loro, per quella
legge di proporzione e di proporzionalità che anima la struttura
dell'essere.
a) Descrizione
L'analogia si presenta come il riflesso logico dell'ordine
ontologico. La molteplicità organizzata secondo partecipazione gerarchica
e causalità sul piano metafisico, viene espressa logicamente con concetti
119 ) II
termine analogia deriva dal greco avaXoyla. Si tratta di un termine
astratto, composto dalla proposizione ava, che nei composti indica un
confronto di somiglianzà, e dal sostantivo Xóvoc;, che significa
ragione, misura, rapporto o relazione. I Latini (Cicerone, Varrone) resero
il termine àvaKoyia con l'equivalente proportio
(proporzione). Dal punto di vista usuale, il termine analogia ebbe una
tipica applicazione di ordine matematico. Infatti, mentre il termine
^óyos presso i matematici greci (Euclide) indicava la ragione e la
ragione o relazione di commisurazione tra due quantità omogenee (per es.,
il 6 si riferisce al 3 secondo la ragione del doppio), il termine
àvaXoyia indicava la relazione di commisurazione tra due o più ragioni
(per es., 6:3 = 8:4). La stessa distinzione terminologica viene mantenuta
anche nell'applicazione filosofica.
In S. Tommaso, si assiste a un'oscillazione. Per un verso,
egli conviene con i Classici nel chiamare l'àvaXoYLCt proporzione (proportio
sive analogia, cfr. J Sent., 1,1,1;
3 Met., 1. 10;4Physic., 1. 12; 2 Pori., 11. 17
e \3;1 Cael.et Mundo, \. 14; De Ver. 2, 11;
De princ. nat., 6; In B. Trin., I, 2, 2; I, 13,
5). Per un altro verso, egli se ne distingue, facendo rientrare sotto il
significato del termine proporzione anche il 'kóyoc, dei Classici (ratio
idest proportio, cfr. 1 De anima, 1. 9; 11 Met., \. 3) e
riservando il termine proporzionalità (proportionalitas) per
indicare la tipicità dell'avaXoyia (cfr. 5 Ethic., 1. 5; 1
Post., 1. 12; 4 Sent., 49, 2, 1, ad 6; De Ver., 2, 3, ad
4; 23, 7, ad 9; I, 12, 1, ad 4; 14, 3, ad 29). Da ciò consegue che
l'unico termine analogia viene ad esprimere sia il Àóyoc; che l'avaKoyia,
per poi distinguersi in analogia di proporzione o attribuzione (kóyoc,-ratio)
e analogia di proporzionalità (avako^ia-proportio), cfr. De
Ver., 2, 11; 2, 3, ad 4. Sul tema dell'analogia e sulle sue
problematiche cfr. G. barzaghi, Analogia, ordine e il fondamento della
sintesi tomista, in «Sapienza» 1 (1987), pp. 65-97; AA. VV., Origine
e sviluppi dell'analogia. Da Parmenide a S. Tommaso, Vallombrosa 1987;
B. mon-tagnes, La doctrine de l'analogie de l'otre d'après Saint
Thomas d'Aquin, Louvain 1963; S. ramirez, De analogia, Madrid
1972.
126
Materia e forma
che si predicano analogicamente, cioè per contenuti
relativamente somiglianti. Infatti, il concetto analogo indica
simultaneamente, anche se in confuso, più cose diverse coordinate in
certo modo tra loro. Per es., il termine sano indica sia il fisico
dell'uomo, sia la medicina, sia il cibo, l'ambiente vitale e tutto ciò
che a qualsiasi titolo dice ordine alla salute dell'uomo.120
Sul piano logico, l'analogia rappresenta la soluzione di
predicabi-lità intermedia tra l'estremo dell'univocità e quello
dell'equivocità. Infatti, un nome comune può riferirsi a più cose in un
triplice modo:
univocamente, equivocamente e analogicamente.
Univoco è quel nome che esprime un significato
assolutamente identico rispetto ai diversi soggetti dei quali si predica
(per es., uomo detto di Pietro, Paolo ecc.); equivoco è quel nome
che indica un significato assolutamente diverso rispetto ai diversi
soggetti dei quali si predica (per es., gallo detto dell'animale e
dell'antico abitante delle Gallie); analogo è quel nome che esprime un
significato in pane uguale e in parte diverso rispetto ai diversi soggetti
dei quali si predica - come abbiamo già notato ed esemplificato.
A livello metafisico, l'analogia si configura, nei suoi
due aspetti di proporzione e di proporzionalità, rispettivamente come una
qualsiasi relazione di una cosa a un'altra, senza considerare l'entità
dell'eccedenza in perfezione dell'una rispetto all'altra,121 o
come una qualsiasi relazione o somiglianzà tra due o più proporzioni
convergenti in uno stesso ordine.122
La fondazione di questa descrizione si articola in due
fasi.
- Dalla ragione e proporzione matematica, si passa alla
proporzione e proporzionalità metafisica. Oltrepassando il genere della
pura quantità predicamentale, che dice ordine delle parti nel tutto ed è
principio della uguaglianza e ineguaglianza secondo una misura
determinata, si giunge alla nozione di pura relazione d'ordine, che non
implica una misura determinata e precisa di rapporto.123 Per
es., si passa dalla ragione del doppio, per la quale il 6 si rapporta al
3, oppure dalla proporzione per la quale 4:2 = 10:5, e si arriva alla
proporzione tutta
12Ù )
Cfr. la nota n. 4 di questo studio.
121 ) Cfr. I, 12, 1, ad 4; 3 Sent., 1, 1, 1,
ad 3; 4 Sent., 49, 2, 1, ad 6; De Ver., S, 1, ad 6; 23, 7,
ad 9; 26, 1, ad 7; In B. Trin., Pro., 1, 2, ad 3; De Pot.,
6, 7, ad 6; 7, 10, ad 9;
C.G., III, 54.
122 ) Cfr. 5 Ethic., 1. 5; De Ver., 2,
11; 23, 7, ad 9.
123 ) Cfr. De Ver., 2, 11; I, 12, 1, ad 4.
127
parte seconda
metafìsica tra la sostanza e l'accidente come enti,
oppure tra il Creatore e la creatura secondo la dipendenza dell'effetto
dalla causa, sorpassando ogni limitazione di misura, giacché Dio sta a
ciò che gli compe-te per natura come la creatura sta a ciò che le è
proprio.124
- La struttura ontologica fondamentale sulla quale si
innesta la possibilità della concettualizzazione analogica è dunque
l'ordine, secondo i tipici rapporti di dipendenza dell'effetto dalla
causa, della materia dalla forma, della potenza dall'atto.125
b) Articolazione e caratterizzazione
Si danno divèrsi tipi di analogia, i quali partecipano,
più o meno intensamente, la natura di relativa somiglianzà e relativa
diversità, o di intermedio tra l'equivocità e l'univocità, propria
dell'analogia come tale. '
S. Tommaso situa l'analogia all'interno dell'equivocità.
Egli distingue tra l'equivocità assoluta, aperta e casuale dei nomi che
indicano attualmente e esplicitamente più cose disparate,126 e
l'equivocità relativa o secondo analogia, nascosta e imperfetta, dei nomi
che indicano attualmente più cose diverse, ma implicitamente coordinate
per somiglianzà con qualcosa di principale.127
Questa equivocità secondo analogia è la stessa analogia.
Essa si sottodistingue in analogia in senso lato e analogia in senso
stretto.
L'analogia in senso lato è quella che si da solo secondo
l'essere e non secondo l'intenzione logica (secundum esse et non
secundum in-tentionem) o la predicazione.129 Si tratta
dell'analogia che gli Scolastici denominano analogia di ineguaglianza o
fisica.
L'analogia in senso stretto è quella che si da secondo la
stessa intenzione logica, cioè la definizione e la predicazione, nelle
quali si verifica propriamente la formalità dell'analogia.
Se la relazione di somiglianzà o convenienza si realizza
tra più cose per riferimento a una prima e principale, allora abbiamo
l'analogia di proporzione o di attribuzione,m o
per ordine, comparazione, relazione di una o più cose a un'altra.132
124) Cfr. De Ver., 23, 7, ad 9.
125 ) Cfr. In B. Trin., Pro., 1, 2, ad 3;
C.G., Ili, 54.
"6) Cfr. I, 13, 5; 1 Ethic., 1. 7; 5
Ethic., 1. 1; De fall., 4.
127 ) Cfr. 1 Ethic., 1. 7; 5 Ethic., 1.
1; 1 Sent., 31, 2, 1, ad 2; 7 Physic., 1. 8.
1M ) Cfr. I Sent., 35, 4, ad 5; I, 77, 4, ad
1.
131 ) Cfr. De princ. nat., 6; De Fot.,
3, 5; Comp. Theol., I, 27.
"2) Cfr. I, 13, 5; I-II, 20, 3, ad 3; 4
Met.,.\. 1.
128
Materia e forma
Questo tipo di analogia prevede due modi di riferibilità
tra gli analogati: secondo la sola predicazione e non secondo l'essere [secun-dum
intentionem tantum et non secundum esse), e così abbiamo l'analogia
di attribuzione per denominazione estrinseca; secondo la
predicazione e l'essere nello stesso tempo (secundum intentionem et
secundum esse simul), e così appare la figura dell'analogia di
attribuzione intrinseca e formale.m
Se invece la relazione di somiglianzà o convenienza è
tra due o più proporzioni, allora abbiamo l'analogia di.
proporzionalità."4 Questa analogia conosce due gradi:
uno proprio, nel quale il nome analogo si dice di tutti gli
analogati secondo il significato proprio, in modo proporzionale; l'altro
improprio o metaforico, quando il nome analogo si dice secondo il
significato proprio solo in una delle proporzioni e nell'altra
simbolicamente.135
- L'analogia di ineguaglianza o fisica si dice secondo
l'essere e non secondo la predicazione perché la diversità relativa che
caratterizza l'analogia è riscontrabile, in questo caso, solo a livello
della realtà nella sua consistenza naturale e non a livello della sua
definizione logica:
qui infatti vige la più rigorosa univocità.
Questa analogia indica il rapporto che intercorre tra le
specie reali di un medesimo genere logico. Si consideri, per es., il
rapporto tra le specie uomo, cavallo ecc. e il genere animale. Animale si
predica univocamente dell'uomo e del cavallo per assoluta identità; ma,
dal punto di vista reale, il modo di essere animale dell'uomo è più
perfetto di quello del cavallo. Entrambi sono animali, ma non allo stesso
modo.136 Così, il termine animale è analogo per analogia di
ineguaglianza.
- L'analogia di proporzione o di attribuzione e
generalmente ca-ratterizzabile come il tipo di predicazione che nasce
dalla riferibilità di più cose a una prima e principale, la quale è
sorgente della denominazione.
Questo analogato principale contiene perfettamente la
forma, la cui denominazione viene attribuita agli analogati secondari per
una certa dipendenza: l'analogato principale rientra nella definizione
degli analogati secondari.137 Per es., sano si dice
principalmente dell'anima-
133 )
Cfr. S. ramirez, En tomo a un famoso texto de Santo Tomas sabre
analogia, in «Sapienria» (BA) 8 (1953), pp. 166-192. "4)
Cfr. De Ver., 2, 11. "5) Cfr. I, 13, 3, ad 1.
"6) Cfr. De Malo, 2, 9, ad 16. "7)
Cfr. I, 13, 6.
129
parte seconda
le, perché in esso si trova formalmente la salute; nel
caso della medicina e del cibo si ha solo l'attribuzione per una certa
riferibilità alla salute dell'animale.
Tale riferibilità è di ordine causale: secondo la causa
finale, come nell'esempio riportato, perché la medicina si dice sana in
quanto è fatta per ricostituire la salute; secondo la causa efficiente,
come medico si dice dello strumento usato dall'uomo esperto in
medicina; secondo la causa quasi materiale, come ente si dice della
quantità, della qualità ecc., perché si riferiscono all'ente
sostanziale come a soggetto di inerenza; secondo la causa esemplare, come
le diverse verità create si dicono tali per imitazione della verità
increata.138
In modo particolare, l'analogia di attribuzione estrinseca
si struttura sul semplice riferimento per pura denominazione di una o
più realtà a un'altra principale, nella quale sola si da la forma
reale che è principio d'essere e di denominazione. La salute si trova
solo nel corpo dell'animale, non nel cibo, ne nella medicina, ne nel
colorito; questi ultimi analogati si dicono sani per una pura relazione
estrinseca: ristabiliscono, mantengono o segnalano la salute.
L'analogia di attribuzione intrinseca, invece, si
istituisce non soltanto sulla base del riferimento denominativo, ma anche
in base alla partecipazione gerarchica della stessa forma reale, presente
in modo eminente nell'analogato principale. Per es., ogni cosa è detta
buona per la bontà divina, che ne è principio esemplare, efficiente e
finale, ma anche perché intrinsecamente ogni cosa è partecipe realmente
di quella bontà.139
- L'analogia di proporzionalità si istituisce sulla base
di almeno quattro analogati che garantiscono la similitudine tra due
proporzioni. Per es., possiamo dire che l'intelletto sta
all'intelligibile, come la
"8) Cfr. Deprinc. nat., (,; 1 Ethic.,
1. 7; 4 Met., 1. 1; 11, 1. 3; 1 Sent., 19, 5, 1 e 2;
De Ver., I, 4; I, 16, 6.
Se il riferimento è secondo una proporzione finita, tale
per cui gli analogati convengono nello stesso genere o sono perfettamente
commensurabili (per es., il colorito sano è strettamente commensurabile
alla salute dell'uomo, tanto da segnalarla), abbiamo l'analogia di
proporzione o attribuzione in senso stretto (cfr. De Ver., 2, 11;
Quodl., 10, 17, ad 1); se invece il riferimento non si
istituisce sulla base di una distanza finita e di commensurabilità
perfetta tra gli analogati, allora abbiamo l'analogia di proporzione o
attribuzione in senso largo (per es., tra il Creatore e la creatura).
E da notare che, in ragione di questa distinzione,
S.Tommaso a volte nega l'analogia di proporzione tra Dio e la creatura
(cfr. De Ver., 2, 11 e, supponendo la distanza finita), a volte
l'afferma (cfr. I, 12, 1, ad 4; 13, 5; C.G., I. 34; 1 Sent., Pro.,
2, ad 2; 2 Sent., 16, 1, ad 3, supponendo la distanza infinita).
"9) Cfr. I, 6, 4; De Ver., 21, 4,
ad 2.
130
Materia e forma
vista al visibile. In questo caso, la forma analoga non
risiede in un primo analogato, ma è immersa in tutti gli analogati, così
che l'uno non rientra nella definizione dell'altro. Si può comunque dire
che l'analo-gato principale nell'analogia di proporzionalità consiste nel
rapporto di proporzione, formalmente partecipato dai mèmbri
dell'analogia:
nell'esempio riportato, si tratta del rapporto che lega la
facoltà al proprio oggetto.140
L'analogia di proporzionalità metaforica, sviluppandosi
sopra una certa traslazione dei termini, consente di trattare delle
difficili cose dello spirito con la semplicità delle immagini sensibili a
noi più usuali. In questo senso possiamo parlare di Dio come sole
dell'anima, per la sua attività illuminatrice a livello spirituale : Dio
sta all'anima, come il sole all'aria.141
2) applicazione TEMATICA
Se sul piano ontologico l'analogia fondamentale è quella
di proporzione o di attribuzione,142 è però l'analogia di
proporzionalità quella che consente la vera espansione conoscitiva.
Attraverso una sintesi razionale, l'analogia di proporzionalità abbina la
profonda e tecnica analisi teoretica dell'ordine con la vivacità
espositiva tipica dell'esemplificazione.
Ed è proprio attraverso l'analogia di proporzionalità
propria che si verifica l'espansione delle nozioni di materia e di forma
dall'ambito tipicamente cosmologico ad altri ambiti dell'essere.
L'aspetto più generale sotto il quale possono essere
rappresentate la materia e la forma è rispettivamente quello
dell'indeterminato determinabile e della determinazione determinante.
Perciò, ogni volta che ci imbattiamo in un ordine nel quale due termini
si rapportino tra loro secondo i detti parametri, è possibile istituire
una nomenclatura di carattere ilemorfico e un'analisi teoreticamente
proporzionale a quella principalmente cosmologica.
140 ) In
particolare, l'analogia di proporzionalità propria, articolandosi sul
significato proprio dei nomi, prevede una duplice possibilità di
formulazione: una diretta e ordinata, l'altra inversa o commutata. La
proporzionalità propria diretta si ha, per es., quando diciamo che
l'essenza sta all'essere come il poter agire sta all'agire; la
proporzionalità propria commutata, invece, risulta dall'inversione dei
termini proporzionali, collegando il primo al terzo e il secondo al
quarto: l'essere sta all'agire come l'essenza al poter agire (cfr. De
Anima, 12, s.c. 1).
"") Cfr. lSent.,4, 1, 1; Ibid.,
22, 2; C.G., I, 30; DePot., 7, 5, ad 8; I, 13, 3, adi. 142)
Cfr. G. barzaghi, Analogia, ordine e il fondamento della sintesi
tomista, cit.
131
parte seconda
a) La materia
La nozione di materia, cosi come è stata sin qui
presentata e analizzata dal punto di vista metafisico e cosmologico, si è
configurata in termini tecnici come materia ex qua e materia in
qua.
Si parla di materia ex qua, o di cui una cosa è
fatta, per indicare il sostrato appunto potenziale che nelle realtà
sensibili viene attuato o determinato dalla forma, con la quale entra in
composizione.
Se l'attuazione compositiva è di ordine sostanziale,
allora - come si è detto - la materia che viene ad essere informata si
dice materia prima ed è un semplice costitutivo. Se l'attuazione
formale non è di ordine sostanziale, ma accidentale, allora materia è lo
stesso soggetto già costituito. Si parla di materia in qua o in
cui si trova una determinata forma accidentale, proprio per indicare
il soggetto di inerenza.
Sul piano gnoseologico troviamo la prima espansione
analogica del concetto di materia.
Si tratta della materia circa quam, cioè intorno
alla quale si esercita un certo atto conoscitivo, una certa indagine
scientifica, o comunque si opera.143
Essa ha come sinonimi: soggetto in ambito
epistemologico e oggetto in campo psicologico.144
Anche in questo caso si distinguono : a) un soggetto o
oggetto materiale primario, che riveste un aspetto maggiormente unitario e
unificante, in quanto termine principale della considerazione e, a sua
volta, ragione considerativa di tutto ciò che in qualche modo con esso si
connette (gli scolastici lo chiamano obiectum formale quod: per
es., il colore per la vista; Dio nella sua essenza per la teologia; l'ente
in quanto ente per la metafisica); b) un oggetto materiale in senso
stretto, che comprende la diversità e la pluralità di quegli oggetti che
in modi diversi si riferiscono all'oggetto materiale primario e, sotto
questa prospettiva, possono essere considerati da un'unica facoltà o da
un'unica scienza: per es., nella teologia si studiano anche le creature in
quanto dicono ordine a Dio.145
Nel settore più precisamente logico, materia
dell'enunciazione o del sillogismo (materia enuntiationis; materia
syllogismi) sono il soggetto, il predicato e il termine medio
dell'argomentazione.146
143) Cfr. I-II, 55, 4; 2 Sent., 36, 1, 5, ad
4.
144 ) Cfr. I, 1, 7.
145 ) Cfr. I, 1, 3 e 8.
146 ) Cfr. 1 Post., 11. 1; 4; 22; 1 Perih.,
1. 13.
132
Materia e forma
L'aggettivo materiale indica ciò che è connesso
con la materia, in quanto ha un essere nella materia, come le realtà
sensibili;147 oppure in quanto esprime un certo soggetto come
tutto, connotandone il principio materiale intrinseco (per es., la natura
sensitiva, dalla quale si desume la nozione di animale, è ciò che è
materiale nell'uomo, rispetto alla natura intellettiva).148
L'avverbio materialmente (materialiter), nel suo
contrapporsi all'avverbio formalmente (formaliter), indica il modo
della considerazione, che assume in un oggetto ciò che non è
specificamente determinante.
Sul piano psicologico, per es., nella considerazione
visiva rientra una molteplicità di oggetti visibili diversificati tra di
loro.
Il loro elemento o principio unificante e specificante
nella visibilità è il colore (sono visibili in quanto sono colorati),
che rappresenta la ragione formale del loro essere oggetto della vista.
L'essere pietra, cavallo, uomo, ecc. di questi diversi oggetti visibili
è, invece, la loro condizione materiale, rispetto alla visibilità: sono
molteplici e indeterminati nelle diversità specifiche delle loro
nature, mentre sono qualcosa di unitario e specificamente uno nella
considerazione dell'aspetto per il quale sono comunque tutti visibili,
cioè colorati.149
Considerarli dunque materialmente significa coglierli
nella loro irrelata molteplicità.
Sul piano ontologico, parlare materialmente dell'uomo, per
es., significa considerarlo nella prospettiva della sua natura sensibile,
per la quale vengono esercitate le operazioni che si classificano come
azioni dell'uomo (respirare, camminare, vedere ecc.); parlare
formalmente dell'uomo, invece, significa considerarlo nell'ottica della
sua differenza specifica, la razionalità, fonte di quelle operazioni
classificate come propriamente umane, o dell'uomo in quanto uomo
(deliberare, scegliere, ecc.).150
k) La forma
Secondo l'analisi metafisica proposta, la nozione di forma
è indicativa, a diversi livelli, dell'aspetto strutturalmente
determinante l'ente sensibile.
"7) Cfr. I, 43, 2; C.G., II, 56.
14S ) Cfr. C.G., II, 95.
149 ) Cfr. I-II, 54, 4.
150 ) Cfr. I-II, 1, 3, ad 3; 7, 4; 10, 1; C.G., III,
2.
133
parte seconda
Abbiamo visto che con il termine forma si può intendere
la causa formale, sia come forma sostanziale, sia come forma accidentale,
ma anche come essenza, natura o specie, quando viene intesa come un certo
grado di perfezione ontologica e principio non solo strutturante l'ente
sensibile, ma costitutivo di una cosa nella sua specie.
Se consideriamo la dimensione artificiale dell'ente, si
profilano due possibili settori di applicazione terminologica: quello
dell'attività immanente di ordine spirituale e conoscitivo, e quello
dell'attività transitiva.
Nel settore dell'attività immanente conoscitiva, sono
situabili -per es. - espressioni come forma syllogismi, forma
argumentandi, forma arguendi.151 Esse indicano l'aspetto
strutturale e necessario di un'inferenza, prescindendo dai suoi contenuti
di verità.
Nell'ambito dell'attività transitiva, cioè perfettiva di
una realtà diversa dall'operazione del soggetto agente, possiamo
rintracciare due zone dell'artefatto: quella nella quale la forma
artifìcialis o forma artificiati, per opposizione alla forma
naturalis, si aggiunge come accidente152 alla natura della
cosa, apportando una modifica in linea naturale, rispondente a\\a.
forma artis presente nella mente dell'artefice;153 quella
nella quale l'azione artificiale diviene veicolo di una perfezione
soprannaturale: nei sacramenti, la forma sacramenti, rappresentata
dalle parole del ministro, determina una materia di ordine sostanzialmente
naturale, costituendo una realtà assolutamente nuova di indole
simbolico-strumentale, capace di produrre la grazia che significa.154
A livello intenzionale o conoscitivo, forma diviene
sinonimo di idea, species, imago, exemplar, e le espressioni che
segnalano detta sinonimia sono: forma intellecta seu. intelligibilis;1^
forma imaginabilis Seu imaginata;156 forma exemplaris seu
idealis.157 ;
La dimensione completiva della forma si colloca sempre
nell'ordine accidentale, ma in modo speciale il termine viene ad indicare
in quest'ordine anche un tipo particolare di accidente: la quarta specie
della qualità. In questa accezione, forma è ciò che da l'essere
specifico, debitamente proporzionato, all'artefatto (per es., parliamo di
for-
151 )
Cfr. 1 Post., 11. 4; 22; 26; 27; 1 Physic., 1. 5.
152 ) Cfr. / Post., 11. 4; 22; 26; 27; 1
Physic., 1. 5.
153 ) Cfr, I, 45, 7; III, 78, 2.
154 ) Cfr. III, 72, 4.
155 ) Cfr. I, 14, 5, ad 3; 47, 7.
156 ) Cfr. I, 78, 4.
157 ) Cfr. 3 Sent., 27, 2, 4, 3, ad 1.
134
Materia e forma
ma della statua) e si distingue dalla figura, che indica
la terminazione quantitativa di un ente corporeo, secondo la disposizione
delle parti.158
L'aggettivo formale sottolinea l'aspetto di
principalità o essenzialità che si riscontra o si evidenzia in una cosa,
in quanto relativo alla forma costitutiva della cosa stessa, alla
attualità, unità, determinazione che da tale forma deriva.
Così - per es. - ciò che è formale nell'uomo è la
ragione, perché sua differenza specifica. •
La stessa qualificazione, applicata all'oggetto della
conoscenza (obiectum formale), indica a un tempo l'oggetto
principale o specifico di una facoltà o di una scienza, e la prospettiva
o il punto di vista sotto il quale ci si colloca per considerarlo e
considerare in relazione ad esso tutti gli altri oggetti.159
L'avverbio formalmente (formaliter) ricopre lo
stesso valore ed estensione semantica dell'aggettivo, indicando una
modalità essenziale, specifica, determinante.
Sul piano logico della predicazione, parlare termalmente
significa usare i termini nel loro senso stretto, preciso; esclusivo.160
Sul piano ontologico, formalmente può indicare la
rispondenza reale o entitativa di un'attribuzione, come quando diciamo -
per es. -che sano si dice termalmente dell'animale, in quanto la
salute è una qualità che ad esso inerisce intrinsecamente. In questo
modo formalmente si contrappone a efficientemente o causalmente,
avverbi che sottolineano una relazione denominativa puramente estrinseca
(per es., la medicina non si dice formalmente sana, ma causalmente,
perché è capace di causare la salute dell'animale, pur non possedendola
intrinsecamente), come ad ogni altro avverbio su questa medesima linea (obiettivamente,
terminalmente, dispositivamente).
Sempre sul piano ontologico, formalmente indica la
modalità con la quale un effetto è precontenuto nella sua causa, secondo
la sua stessa natura. Per es., in questo modo l'uomo generato è
precontenuto nell'uomo generante, con il quale è in continuità
specifica. In questa
15S )
Cfr. 7 Physic., 1. 5. Secondo un significato improprio, il termine
forma viene usato come equivalente a figura (cfr. 4 Sent., 1, 1, 1,
3, ad 2). Per es., quando S. Tom-maso si riferisce alle apparizioni
angeliche sotto sembianze umane, descritte nella Sacra Scrittura, usa
l'espressione «in forma hominum», dove forma sta evidentemente per
figura (cfr. C.G., Ili, 57).
15i> ) Cfr. I, 1, 3 e 8.
160 ) Cfr. 1 Sent., 18, 1,-4.
135
parte seconda
prospettiva, l'avverbio si contrappone a eminentemente
(eminenter), che esprime la presenza della perfezione dell'effetto
nella sua causa, tolto ogni difetto e limite: è il modo con il quale le
perfezioni create sono precontenute in Dio.161
3) un INTERESSANTE ESEMPIO DI ORDINE PSICOLOGICO
Una stimolante e interessante espansione concettuale del
rapporto ilemorfico, per analogia di proporzionalità propria, è
rappresentata da una finissima analisi psicologica dell'unione d'amore,
proposta da S. Tommaso.
Dice S. Tommaso: «Vi sono due tipi di unione. L'una
produce un'unità relativa, come l'unione di elementi aggregati, che si
toccano solo superficialmente; e questa non è l'unione -d'amore, giacché
l'amante viene condotto nell'intimo dell'amato, come si è detto. L'altra
è l'unione che produce un'unità assoluta, come l'unione dei continui, e
della forma e della materia; e questa è l'unione d'amore, perché l'amore
fa sì che l'amato sia forma dell'amante».162
L'amante, dunque, sta all'amato come la materia alla
forma.
In questa tesi, in virtù del realismo analogico,
parametri di ordine metafisico divengono criterio ermeneutico di un fatto
e di una dinamica di ordine psicologico, così come, in altre circostanze,
parametri di ordine psicologico divengono criterio'interpretativo o
esplicativo della struttura metafisica.163
Tale è la radicalità dell'unione d'amore da essere
paragonabile alla composizione ontologica dell'ente sensibile, cioè
ilemorfico, e così alta è la sua intensità di perfezione da assumere la
fisionomia dell'ente sostanziale.
L'amore è una passione, cioè un moto dell'appetito
sensitivo. Ora, l'appetito sensitivo è una potenza passiva e, come
ogni realtà passiva, trova il proprio perfezionamento quando viene ad
essere determinato dalla forma del principio attivo suo proprio, cioè ad
esso proporzionato.
L'oggetto appetibile è infatti ciò che muove e determina
l'appetito e ne costituisce il termine di acquietamento, come per altro
verso la
161 )
Cfr. I, 4, 2.
162 ) 3 Sent., 27, 1, 1, ad 5.
163 ) Spesso S. Tommaso esprime in termini di
«desiderio» la relazione trascendentale che lega la materia alla forma:
cfr. C.G-, III, 22.
136
Materia e forma.
forma intelligibile è il principio motivo e determinante
l'intelletto: la ricerca e il dubbio cessano quando l'intelletto viene
informato cioè determinato dalla forma intelligibile, cosi da fissarsi
nel possesso della conoscenza.
Allo stesso modo, l'appetito, una volta imbevuto o
impregnato dalla forma del bene che è il suo oggetto, si fissa in esso
amandolo. L'amore è appunto questa specie di trasformazione dell'affetto
nella cosa amata: l'appetito concupiscibile riceve dal bene appreso una
prima trasformazione di armonizzazione (coaptatia) o proporzione al
bene stesso, come compiacimento e affascinamento, che è appunto l'amore.164
In questo senso il bene amato diviene forma dell'affetto,
«e poiché tutto ciò che diviene forma di qualcosa diviene uno con esso,
l'amante, attraverso l'amore, diviene una cosa sola con l'amato, che si è
costituito come forma dell'amante».165
L'unità a modo sostanziale, che si viene a creare tra
l'amante e l'amato, fa sì che l'amante percepisca l'amato come un alter
ego.166
Sempre in forza di questa unità quasi sostanziale
prodotta dall'amore, l'amato diviene criterio o regola delle azioni
dell'amante, perché la forma di una cosa è il principio e la regola del
suo agire: l'amante viene inclinato dall'amore ad agire secondo le
esigenze dell'amato. E tutto ciò che l'amante fa o sopporta per l'amato
risulta perciò piacevole: l'agire in conformità alla propria
natura-forma è sempre sommamente piacevole e spontaneo.
E interessante notare come l'analogia o la proporzione tra
la materia e la forma sia adeguata a descrivere anche le caratteristiche
più tipiche dell'amore nei suoi stessi effetti,167
anche se si passa a una significazione metaforica.
1M )
Cfr. I-II, 26.
165 ) 3 Sent., 27, I, 1 e.
'") Cfr. 9 Ethic., 1. 4.
167 ) Gli effetti dell'amore sono nove: quattro di
ordine psichico o formale e cinque di ordine fisiologico o materiale.
Nell'ordine psichico, {'unione dell'amante all'amato e la mutua
inerenza dell'amante e dell'amato rappresentano gli effetti inferiori
e formali giacché si identificano in qualche modo con l'amore stesso. L'estasi
è l'effetto esterno, mentre lo zelo rappresenta un effetto
indiretto o secondario perché si colloca nell'irascibile.
Gli effetti fisiologici o organici, che cioè si avvertono
nel corpo, sono: la ferita d'amore (vulneratio) - si è colpiti
quasi nel cuore con forti palpitazioni cardiache -, {'ardore o fervore
(ebullitio} - desiderio intenso di raggiungere l'amato -, lo struggimento
(li-quefactio) - quasi ci si scioglie per la ricezione del bene amato
-, il languore (deliquium} - tristezza per l'assenza dell'amato -,
il gaudio o fruizione (fruitio) - quando l'amato è presente. Cfr.
I-II, 28.
137
parte seconda
Si dice infatti che l'amóre produce una ferita, perché
come la forma raggiunge l'intimo di ciò che essa informa e viceversa,
così l'amante e l'amato si compenetrano, quasi restando vicendevolmente
trafitti.
Siccome poi la trasformazione di un soggetto implica la
perdita della sua forma originaria per acquisirne una nuova, in forza
della penetrazione d'amore l'amante perde in qualche modo la sua forma e
separandosi in certo modo da se stesso tende all'amato: in questo senso si
dice che l'amore produce l'estasi e il fervore.
D'altra parte, come un'entità naturale non perde la
propria forma se non in quanto vengono a mancare quelle disposizioni per
le quali la forma era ricevuta nella materia, così occorre che l'amante
in qualche modo perda quelle condizioni terminali che lo costituivano come
entità autonoma o originaria, ben determinata e chiusa in sé; in questo
senso si dice che l'amore causa uno struggimento, una liquefactio:
il cuore si scioglie, si liquefa e come liquido non Sta dentro i propri
limiti.168
Ma l'aspetto, per così dire, più crudelmente esaltante
dell'analogia nell'ilemorfismo d'amore è il parallelismo con la morte.
L'innamoramento postula una duplice morte metaforica: una di fatto e una
possibile.
Di fatto, l'amante spira dolcemente in certo senso, quasi
a modo sacrificale, perdendo - come si è detto - le proprie connotazioni
per assumere la nuova forma dell'affiato. Ma la condizione tragica della
morte d'amore si da nel caso della non corrispondenza dell'amato: il
sottrarsi dell'amato all'amante è come la separazione dell'anima dal
corpo, è la morte dell'amante.
In questa linea, l'analisi teoretica Ofilosofica
realistica trova perfetta sintonia con le sublimazioni affettive del canto
poetico;
I' vo come colui ch'è fuor di vita
che pare, a chi lo sguarda, ch'orno sia
fatto di rame o di pietra o di legno,
che si conduca sol per maestria
e porti ne lo core una ferita
che sia, com'egli è morto, aperto segno.169
168) Cfr. 3 Sent., 27, 1, 1, ad 4.
169 ) G. cavalcanti, Canzoniere, «Tu m'hai
sì piena di dulor la mente» Vili, 9-14, in G. contini (a cura di). Poeti
del duecento,- Milano-Napóti 1960, Voi. 2, p. 499.
138
LA NOZIONE DI CREAZIONE IN S. TOMMASO D'AQUINO^
La nozione di creazione è il grande concetto che assesta
speculativamente i rapporti metafisici tra Dio e il mondo. Esso esprime
una verità che appartiene alla rivelazione ebraico-cristiana. Tuttavia,
quanto al suo valore teoretico, rientra di diritto nell'ordine delle
verità sondabili razionalmente e dunque filosofiche. Nella creazione,
riletta sapienzialmente con gli occhi della fede cristiana, si riverberano
le perfezioni del Dio trinitario, il cui mistero è al centro della
medesima fede.
Ambientazione semantica
II termine creazione deriva dal latino creatio, da creo
(creo, procreo, eleggo), in qualche caso causativo da cresco
(crescere, nascere da, svilupparsi).
Nell'A. T. il termine creare traduce i verbi greci jtoieiv
(fare) e xn^eiv (fondare), che i Settanta utilizzarono per esprimere
l'ebraico bara' (creare, come azione riservata a Dio e diversa da
quella dell'uomo). Se in Gen 1, 1 non si ha ancora la chiara o
terminologicamente esplicita formulazione della creazione dal nulla,
in 2 Mac 7, 28 essa fa la sua inequivocabile comparsa. Nel N. T. è
il verbo %Ti£,eiV, con i suoi derivati, che indica con più marcata
frequenza l'attività creatrice di Dio.1
"•) In «Divus Thomas» 3 (1992).
') Cfr. peres. Rm 1, 20; 8, 23; 1 Pt4,
19;£Z>4, 13. Per una informazione più dettagliata si vedano : W.
foerster, Ktizo, in Grande lessico del Nuovo Testamento, tr.
it. Brescia 1969, coli. 1235-1329; H. H. esser, Creazione/Ktizo, m
Dizionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento, tr. it. Bologna
1986, pp. 399-409.
139
parte seconda
In S. Tommaso, creazione e creare, in senso lato, indicano
il fare in generale,2 o l'eleggere.3 In senso
stretto, invece, essi indicano Fazione propriamente divina per la quale
l'ente finito è tratto dal nulla. In questa prospettiva, abbiamo le
espressioni più generali come produzione (productio), processione
(processio)* o emanazione (emanatio) delle creature da Dio.5
Creazione significa anche la relazione che da tale azione risulta, per la
quale la realtà creata è in rapporto con il Creatore.6
Il guadagno inferenziale
S. Tommaso assume per fede il fatto della creazione
dell'universo dalla rivelazione, ma la inferisce anche metafisicamente
sulla base della dottrina della partecipazione. L'impianto generale della
sua argomentazione si articola in due fasi fondamentali: una via di
risoluzione e una via di composizione.7
Secondo la via di risoluzione, da alcuni segni di
relatività8 riscontrati nel mondo (moto, concatenazioni
causali, contingenza, imperfe-
2 ) Cfr.
De Pot., 3, 8, ob. 2.
3 ) Cfr. I, 45, 1, adi; I-II, 97, 1.
4 ) Cfr. I, 44, intr.
5 ) Cfr. I, 45.
6 ) Cfr. I, 45, 3, adi e ad2.
7 ) II movimento discorsivo della ragione si sviluppa
secondo due vie: quella di invenzione o composizione (via inventionis
vel compositionis), e quella di giudizio o di risoluzione (via
iudicii vel resolutionis). La via di invenzione, che da origine al
processo discorsivo partendo dall'intelligenza dei primi princìpi e
proiettando la ricerca alla scoperta del novum, si caratterizza per
il metodo sintetico. Dal semplice si passa al complesso: dalla causa
all'effetto (es. dall'essenza si passa alle proprietà; dall'aseità di
Dio alla partecipazione del mondo), dalla nozione più universale a quella
più particolare (es. dal genere alla specie). La via di risoluzione, che
termina il processo discorsivo con l'intelligenza dei primi princìpi,
alla luce dei quali esamina, valuta e controlla le scoperte fatte, si
caratterizza per il metodo analitico. Dal complesso si passa al semplice:
dall'effetto alla causa (es. dalla proprietà all'essenza; dal mondo a
Dio), dalla nozione più particolare a quella più universale (es. dalla
specie al genere, ai trascendentali); cfr. I, 79, 8 e 9; In B. de
Trin., 2, 2, 1, ad3; I Post., 11. 1 e 35; De Ver., 15,
1.
8 ) A proposito del punto di partenza delle vie
tomistiche per la prova dell'esistenza di Dio, preferiamo parlare di segni
di relatività piuttosto che di contingenza, giacché la dipendenza da
altro - punto cruciale della prova - appartiene più all'ordine della
relatività che all'ordine della contingenza. Tutto ciò che è
contingente è certamente relativo, ma non tutto ciò che è relativo è
contingente: si da anche un necessario che ha in altro la causa della sua
necessità. D'altra parte, proprio nelle vie tomistiche la contingenza è
solo uno dei segni della dipendenza del mondo, e non ne rappresenta la
caratteristica principale. E interessante notare, a questo riguardo, il
preciso pensiero di S. Tommaso. Sul piano ontologico, la contingenza è la
modalità di ciò che può essere e non essere (I, 86,3). Contingente,
infatti, è ciò che per sé è indifferente all'essere e al non essere
(C.G., I, 15), mentre necessario è ciò che non può essere diversamente
da come è
140
La nozione di creazione
zione, finalità) si passa all'affermazione dell'esistenza
di Dio come primo motore immobile, causa prima incausata, essere
necessario per sé, essere perfettissimo, intelligenza finalizzatrice,9
il quale, per queste sue prerogative di perfezione, si configura co'me la
pura attualità, lo stesso Essere per sé sussistente.10
Attraverso la via di composizione o di invenzione, da
Dio si passa nuovamente al mondo, scoprendolo come creato, perché non
è possibile a priori pensare un ente diverso da Dio, se questi è
già tutto l'essere nella sua perfezione. Se però si constata a
posteriori l'esistenza di un tale ente diverso da Dio, esso non può
che avere l'essere per partecipazione da Dio, cioè essere da lui
creato."
In modo più specifico, questa seconda fase
(compositivo-inventi-va), che porta alla creazione, si sviluppa attraverso
due tappe speculative. Anzitutto occorre verificare l'integrale dipendenza
causale del mondo da Dio;12 in secondo luogo occorre
evidenziare la modalità di questa dipendenza integrale del mondo da Dio.13
A) Quanto all'integrale dipendenza causale del mondo da
Dio, l'argomentazione di S. Tommaso può essere sillogisticamente
formalizzata nel modo seguente.
(non contingit aliter se habere: 1 Post.,
1. 44). Poiché la disposizione all'essere e al non essere proviene dalla
materia, che è pura potenza (De Fot., 5, 3c), contingenti sono le
realtà composte di materia e forma, soggiacenti alla generazione e alla
corruzione (I, 2, 3; 86, 3). Necessarie, invece, sono quelle realtà che
non sono coinvolte nei processi di generazione e corruzione. Secondo S.
Tommaso, a tale classe appartengono: a) nell'ordine corporeo : la materia
prima, che permane sotto il variare della forma, e i corpi celesti,
nei quali - secondo la cosmologia medievale - la possibilità della
materia è completamente terminata da una sola forma, a differenza dei
corpi terrestri, nei quali la materia è soggetta all'acquisto di forme
diverse (De Pot., 5, 3c); b) nell'ordine spirituale, abbiamo Vangelo
e Vanirmi umana. Come pure forme non soggiacciono alla generazione
e alla corruzione. Tuttavia la necessità che è legata a queste realtà
non esclude la loro dipendenza causale da un ente necessario per sé
(Dio). Nessuna di esse è il suo proprio essere: solo Dio è il suo stesso
essere. Perciò non è assurdo che il Creatore, come può conferire loro
l'essere, così possa anche sottrarlo, senza contraddizione.
Sotto questo aspetto, nella manualistica tomistica (cfr,.
per es. T. M. zigliara, Summa philosophica, Paris 1902, I, pp.
423-426; S. vanni rovighi, Elementi di filosofia, Broscia 1974, I,
pp. 107-110) si è soliti ampliare il concetto di contingenza estendendolo
anche all'ente che S. Tommaso definisce come necessario «che ha altrove
là causa della sua necessità» (I, 2, 3; C.G., I, 15). Questo, però,
non è certo m sintonia. con il pensiero dell'Aquinate, il quale propone
come «più ragionevole» la sopraesposta tesi di matrice averroista,
rispetto a quella di Avicenna, per il quale contingente è tutto ciò che
è diverso da Dio (De Pot.c 5, 3c). '') Cfr. I, 2, 3.
10 ) Cfr. I, 3, 4.
") Cfr. I, 44 e 45.
") Cfr. I, 44, 1.
") Cfr. I, 45, 1. .
141
parte seconda
Maggiore: tutto ciò che ha l'essere per
partecipazione è causato, quanto allo stesso essere, da ciò che e
l'essere per essenza.14 Infatti, tutto ciò che partecipa (=
prende parte)15 è composto dal partecipante (ciò che ha... )
e dal partecipato (l'essere), come dalla potenza e dall'atto: o perché
una parte è in potenza rispetto all'altra, o perché le parti sono in
potenza rispetto al tutto.16 Ora, ciò che è in potenza non
riceve l'atto da se stesso, pena l'assurdo d'essere già in atto in quanto
in potenza,17 dunque lo riceve da altro; il che equivale a dire
che il composto è causato.18 D'altra parte, la causa non può
risultare a sua volta
") Cfr. I, 3, 4.
") Cfr. In B. de Hebd., 1. 2.
") Cfr. I, 3, 7.
17 ) Cfr. I, 2, 3; 3, 1.
18 ) Causato è sinonimo di effetto (2
Post., 1. 7): il composto è sempre un effetto. Due sono i modi
attraversò i quali viene rilevato un effetto: uno quasi richiesto per il
costituirsi della nozione; l'altro è a un livello diagnostico tipico
della criticità filosofica, ed è il nostro caso. .^
A) Nel costituirsi della nozione, l'effetto è
colto come ciò che dipende da altro nel proprio essere, in
quanto se ne scorge immediatamente l'origine produttiva, la novità di essere
e la relazione di produzione. Ciò avviene — per es. — nell'esperienza
introspettiva con la quale cogliamo il nostro agire transitivo come fonte
e ragione di alcune trasformazioni artificiali, che non appaiono come
semplicemente successive a tale agire, ma da esso prodotte (io sto
scrivendo una lettera e la lettera è scritta da me). Questa minimale
esperienza è sufficiente per semantizzare, a livello di senso comune, le
due nozioni correlative di causa ed effetto, e per l'originaria
formulazione del principio di causalità in generale (ogni effetto
dipende dalla sua causa: cfr. I, 104, 1; perciò, posto l'effetto deve
preesistere la causa: cfr. I, 2, 2). Infatti la conoscenza di tutti i
primi princìpi proviene dalla particolare natura dell'intelletto, che
nell'ispezione delle nozioni coglie i loro rapporti reciproci universali
(per es., conosciuto che cosa è il tutto e che cosa è la parte,
l'intelletto riconosce che ogni tutto è superiore a ogni sua parte).
Tuttavia il serbatoio di tali nozioni è l'esperienza sensibile,
dalla quale l'intelletto le ricava per via astrattiva (l'intelletto non
può sapere che cosa sia il tutto e che cosa sia la parte, che cosa sia
la causa e che cosa sia l'effetto, se non attraverso le specie
intelligibili ricavate dall'esperienza: per es. quella di un tavolo —
tutto —, con le sue gambe, il suo piano ecc. - parti. Cfr. I-II, 51, 2c;
2 Post., 1. 20; C.G. II, 78; 4 Met. 1. 6).
B) A livello critico filosofico, l'effetto viene inteso
come ciò che implica una causa, perché ha tutte le caratteristiche
metafisiche del derivato e non primario. La mobilità, la composizione, il
possesso partecipativo di qualche perfezione sono aspetti che segnalano,
per un determinato ente, la tipica dimensione dell'effetto (cfr. I, 2, 3c;
3, 7; C.G. II, 15). Tutti, infatti, sono riducibili al fondamentale
rapporto che lega la potenza all'atto: ciò che è mobile passa dalla
potenza all'atto; gli elementi sono in potenza il composto; il
partecipante sta al partecipato come la potenza all'atto. Ora ciò che è
in potenza, in quanto è in potenza non raggiunge l'atto da sé (•—
per il semplice fatto che è in potenza), altrimenti la potenza si
identificherebbe assurdamente con l'atto (per es., non è per la capacità
o potenza di scrivere, che attualmente sto scrivendo; se così fosse, la
mia capacità di scrivere - che precedeva il mio scrivere in atto —
sarebbe il mio stesso scrivere attuale e si negherebbe come capacità
: se io scrivessi attualmente per il semplice fatto die potevo
scrivere, in realtà quel potevo è uno scrivevo che perdura
attualmente, cioè il mio scrivere inattuato); dunque ciò che è in
potenza acquista l'atto da un altro ente già in atto, che ne è
causa. Questo significa che l'attuazione di una potenzialità è sempre un
142
La nozione di creazione
da composizione, pena il processo all'infinito in questo
ordine causale, il che condurrebbe all'assurdo di un composto incausato.
Dunque ciò che è l'essere per essenza, cioè secondo pura attualità, è
causa di ciò che ha l'essere per partecipazione.19
Minore: l'ente diverso da Dio ha l'essere per
partecipazione, e Dio è l'essere per essenza. Infatti, Dio è l'essere
semplicissimo giacché, come primo ente incausato e perfettissimo,20
è privo di ogni potenzialità,21 è atto purissimo, è lo
stesso Essere per sé sussistente, cioè iri-composto quanto allo stesso
rapporto tra l'essenza e l'essere.22 L'Essere per sé
sussistente non può essere che unico,23 poiché ogni
moltiplicazione risulta: a) o da addizioni differenziali (per es., il
genere si moltiplica nelle specie attraverso le differenze specifiche), e
allora. l'Essere per sé sussistente non sarebbe più puro essere, ma
essere più una certa forma; b) o da ricezione nella materia (per es.,
come la specie si moltiplica negli individui), e allora l'Essere
sussistente non sarebbe più sussistente, ma materiale; e) oppure da
separazione, per la quale ciò che è assolutamente per sé è separato da
ciò che è ricevuto per partecipazione, il che sarebbe ancora
sconveniente allo statuto della sussistenza dell'Essere puro, che come
tale è incomunicabile.24 Dunque l'ente diverso da Dio non è
il proprio essere, ma ha. l'essere per partecipazione.
effetto, un causato. Per questa via, lo stesso principio
di causa assume una formulazione più specifica e criticamente vagliata:
nulla passa dalla potenza all'atto se non per un altro ente già in atto
(cfr. I, 2, 3c).
") Cfr. C.G., II, 15; De ente et essenzia, 4.
20 ) Cfr. I, 2, 3.
21 ) Cfr. I, 3, 1.
22 ) Cfr. I, 3, 4. Privilegiamo il termine essere
rispetto a esistenza in quanto metafisicamente più preciso e più consono
al vocabolario filosofico di S. Tommaso. Infatti, nella terminologia
dell'Aquinate, esistenza in senso proprio indica il fatto di
esistere o di essere, cioè il fatto che un'entità è posta fuori delle
sue cause o dal nulla (cfr. I, 7, pr. ;
De Ver., 3, 3, ad8; 11,3, ad6; C.G., IV, 63), e non il
principio attuante. D'altra parte, l'esistenza non va intesa nel senso di
una mera presenzialità fenomenologica, ma come una consistente attualità
(Cfr. De div. Nom., 4, 1. 14). In questo modo, l'esistenza è il
dato cui si indirizza la domanda fondativa di ogni scienza: se il soggetto
d'indagine sia (quaestio an sit), cui segue la ricerca sulla natura
e le proprietà del medesimo soggettò (quaestio quid sit: cfr. 2 Post.,
1. 1). L'esistenza è perciò il fondamento realissimo della verità del
giudizio o enunciazione con la quale affermiamo o neghiamo qualcosa circa
la realtà (cfr. 1 Perih., '1. 14), e si contrappone alla mera
apparenza (cfr. 1 De gen. et cor-rupt., 1. 4; C.G., IV, 29; De
sensu et sensato, 1. 8). In senso meno proprio, poi, il termine
esistenza è usato da S. Tommaso come sinonimo di sussistenza,
quando cita e interpreta la definizione di persona divina data da Riccardo
di S. Vittore: esistenza incomunicabile di natura divina (cfr. 1 Sent.,
34, 1, 1, ad3); I, 29, 3, ad4; De Fot., 9, 2, adl2).
23 ) Cfr. De ente et essentia, 4.
24 ) Cfr. I, 13, 9 e 11; In div. nom. 2, 1. 3.
143
parte SEC0NDA
Conclusione:
perciò l'ente diverso da Dio è causato quanto allo stesso essere da Dio.
B) Quanto alla modalità della dipendenza integrale del
mondo da Dio, l'argomento tomistico può essere sillogisticamente
formalizzato nel modo seguente.
Maggiore: tutto ciò che è causato da Dio quanto allo
stesso essere è creato. Infatti la dipendenza radicale del mondo da Dio
quanto allo stesso essere, cioè di ogni ente in quanto è ente e non in
quanto è questo particolare ente (hoc ens) o di tale particolare
natura (tale ens), implica un'emanazione universale da Dio, che è
la causa universale.25 Ora, come ciò che procede da una causa
particolare secondo un'emanazione particolare non è presupposto alla
stessa emanazione (per es., perché si generi un uomo occorre presupporre
antecedentemente il non-uomo), cosi ciò che procede dalla causa
universale secondo un'emanazione universale non è presupposto da essa:
l'ente viene dal nonente, cioè l'entità del mondo viene dal nulla.26
Questo è ciò che indichiamo con il termine creazione.
Minore: da quanto concluso nella prima argomentazione,
l'ente diverso da Dio è causato quanto allo stesso essere da Dio.
Conclusione: dunque l'ente diverso da Dio è
creato.27
25) Cfr. I, 44, 2.
26 ) Cfr. I, 45, 1.
27 ) II teorema della creazione ha avuto una
formulazione rigorizzatrice nel pensiero di un grande maestro di
metafisica: Gustavo Bontadini. La sua «protologia», o discorso
metafisico essenziale, si propone come guadagno speculativo della figura
teoretica della creazione con la stessa dimostrazione che porta al
riconoscimento dell'esistenza di Dio. Ebbene, la «protologia» si
presenta come una sintesi a priori metafisico-dialettica, che manda
incontrovertibilmente in sé la verità del protocollo logico (= tesi:
l'essere è e non può non essere) e del protocollo
fenomenologico (= antitesi: il divenire implica il non essere
dell'essere). La reciproca contestazione della tesi e dell'antitesi viene
risolta nella sintesi con l'invenzione speculativa del Dio
creatore. Se il divenire, come non essere dell'essere, è contraddittorio
(tesi) eppure è un dato (antitesi), occorre rimuovere la
contraddittorietà (apparente) del divenire e non il divenire stesso. La
sinergia di queste due istanze genera appunto il principio di Parmenide ad
honorem: «l'essere non può essere originariamente annullato, il
divenire non può essere originario» (G. bontadini, Per una teoria del
fondamento, in id.. Metafisica e deellenizzazione, Milano 1975,
p. 28), che è l'equivalente del principio di creazione. Si ha così il
rinvio a un Ulteriore, vero Essere totale, immutabile, non
semplicemente giustapposto al divenire, ma sua causa integrale. Il
divenire viene così salvato perché è «.posto e tolto»
«posto come tolto» dalla potenza creatrice: il non essere
dell'essere, il divenire che compare nella sfera empirica, è
metempiricamente sanato dall'atto creatore-annullatore che lo pone come
tolto. L''annullamento ha come risultanza empirica quel non
essere che serve da trampolino di lancio per inferire quella sua
dimensione metempiricamente positiva (['annullare, come atto, è un
positivo), che io integra nell'essere immutabile di Dio. In questo senso,
il divenire non è nulla fuori dell'atto creatore-annullatore: è identico
nel modo di essergli diverso (cfr. ibid., pp. 18-24).
144
La. nozione di creazione
L'essenza della creazione
In sintesi, la creazione viene descritta da S. Tommaso
come un'emanazione (emanatio),29 un'uscita (exitu-s)
dal primo principio, una produzione (productio) assoluta
dell'essere29 o di una cosa nell'essere secondo tutta la sua
sostanza.30
Analiticamente, alla creazione competono due condizioni
metafisiche strutturali:
A) Anzitutto essa implica la non presupposizione di una
materia31 o di un soggetto preesistente,32
altrimenti verrebbe meno l'aspetto di
Per parte nostra, condividiamo l'esigenza di rigore
inferenziale sulla base della reductio in primum principium. Il
trampolino di lancio è senza dubbio l'apparente con-traddittorietà del
divenire, sia come originario che come tale, giacché dire
divenire originario è dire divenire senz'alerò, cioè
divenire e basta o, appunto, come tale. La «pro-tologia»
dice l'intelaiatura minimale rigorosa, ma va integrata perché a noi pare
che sfumi la consistenza ontologica del mondo. Il divenire è solo {'aspetto
per il quale si esige l'inferenza dell'Ulteriore, di Dio, ma non è il
mondo. Occorre, secondo noi, porre l'accento sull'ente diveniente: non
c'è il divenire, ma dei soggetti divenienti; il divenire è sempre
divenire di qualcosa! Questi^soggetti, in quanto divenienti
rimandano all'Ulteriore; in quanto enti non rimandano. E chiaro poi
che la partecipazione, l'avere in parte l'essere risulta dal divenire del
diveniente: acquisire e perdere l'essere sono segni del possesso parziale
e della non identità totale. D'altra parte, se il ricorso al binomio
potenza-atto sembra non pienamente rigoroso o inessenziale — giacché è
la dialettica essere-non essere che fa scattare la molla infarenziale
secondo il minimo -, tuttavia esso salva i diritti di consistenza
del diveniente, dell'ente che diviene. La potenza soggettiva
passiva è l'aspetto per cui un ente è capace di ricevere ulteriori
attuazioni; essa salva appunto la consistenza ontologica del mondo: segna
il consistere del soggetto diveniente, non risolvibile simpliciter
nel divenire come tale. Perciò si ribadisce: quanto al minimo di impianto
per andare al Dio creatore, la «protologia» è essenzialmente vincente.
Quanto all'integralità del discorso ontologico, essa è limitata, perché
non salva la specificità del creato: discorrendo sulla creaturalità reduplicative,
smarrisce la creatura-lità in senso specifico (specificative).
L'essere creato, che nella via lunga (= secondo la dicotomia
potenza-atto) è un aspetto accidentale (si veda più avanti il
testo della nostra indagine) dell'ente diverso da Dio, nella via breve
(= secondo la dicotomia essere-non essere) diventa quell'essenziale,
che è nulla come essere perché è nulla fuori dell'atto creatore. Il
concetto di soggetto e di potenza passiva è la prima soluzione
speculativa che dirime la contraddittorietà del divenire,
salvaguardandone la consistenza (è divenire di qualcosa) e realizzando la
possibilità della distinzione-diversità costitutiva rispetto a Dio
creatore. Dal punto di vista speculativo, la distinzione dell'ente m
potenza e atto è il primo livello della conciliazione teoretica tra
il protocollo empirico (divenire: incre-mento-decremento) e il protocollo
logico («Ex ente non fit ens quia iam est ens»; «ex nihilo nihil
fit»): la soluzione è appunto l'ente in potenza, «ex ente in potentia
fit ens actu» (cfr. 1 Physic., 1. 14). Il secondo livello della
conciliazione è l'inferenza dell'Atto puro e conseguentemente del
rapporto creativo. A riguardo dell'intera problematica, cfr. Atti
del IV Congresso nazionale A.D.I.F. (1972), in «Sapienza» 3-4 (1973); A.
gnemmi, La protologia nel pensiero di Gustavo Bontadini, Trento
1976.
28 ) Cfr. I, 45, 1.
2 ") Cfr. I, 45, 5.
30 ) Cfr. 2 Seni., 1, 1, 2.
31 ) Cfr. I, 44, 2. ") Cfr. I, 45,
3.
145
parte seconda
assolutezza o di incondizionatezza della produzione
secondo l'integrante dell'essere. In questo senso, la creazione non è una
mutazione.33 Non è una mutazione in senso stretto,34
perché la generazione e la corruzione assolute suppongono un soggetto
comune puramente potenziale,35 che è la materia prima rispetto
alla forma sostanziale e alla privazione; d'altra parte, i moti di
alterazione, di aumento, decremento e moto locale, suppongono un soggetto
comune come ente completo e attuale. Non è neppure una mutazione in senso
largo o si-militudinario, per cui si avrebbe la continuità o comunanza di
tempo (come per es. si dice che il giorno viene dalla notte), perché
prima della creazione del mondo il tempo non c'era. Per questo si dice che
la creazione è dal nulla (ex nihilo), perché viene a essere
negato un soggetto preesistente: dal nulla significa non da
qualcosa.^
33 ) II
termine mutazione, in S. Tommaso, indica genericamente il semplice
variare di uno stesso soggetto, che si trova in condizioni diverse in
momenti diversi (cfr. I, 45, 2, ad 2). Si può parlare di mutazione
secondo il nostro modo di significare o di intendere, oppure secondo la
stessa realtà delle cose. Secondo il nostro modo di significare, possiamo
applicare il termine mutazione alla creazione e siWannichilazione
in senso passivo. Infatti, nell'uno come nell'altro caso non si ha un
medesimo soggetto che si presenti in modo diversi secondo il prima e il
poi. Nella creazione si ha l'integrale produzione dell'ente che prima non
era; nell'annichilazione se ne da la totale riduzione al nulla. Tuttavia,
secondo il nostro modo di esprimerci, diciamo che nella creazione una
medesima cosa che prima non era assolutamente ora è, anche se la sua
consistenza e il suo significato entitativo sono soltanto ora e non
prima. La stessa riflessione si estende proporzionalmente
all'annichilazione. Secondo la realtà stessa delle cose, si può dare un
duplice tipo di mutazione. Se il soggetto permanente è la stessa natura
comune di ente (cfr. Ili, 75, 4, ad3), mentre ciò che varia è tutta la
sostanza secondo la materia e la forma, abbiamo la transustanziazione
(cfr. Ili, 75,6). Se il soggetto permanente si pone nell'ordine della
sostanza, si verificano due sottotipi di mutamento. Al permanere della
materia prima e al variare della forma sostanziale corrisponde la mutazione
sostanziale:
se si passa dalla privazione della forma al suo acquisto,
abbiamo la generazione sostanziale; se si passa dal possesso della
forma sostanziale alla sua privazione, abbiamo la corruzione
sostanziale (cfr. 11 Al et., 1. 11). Al permanere invece della
stessa forma sostanziale e al variare delle sole forme accidentali,
corrisponde la mutazione accidentale. In questa linea, nel caso che
la variazione sia istantanea, cioè senza successione -come avviene nel
modello della mutazione sostanziale - abbiamo la generazione
accidentale (cioè l'acquisto di un accidente), oppure la corruzione
accidentale (cioè la perdita di un accidente). Nel caso, invece, che la
variazione si venfichi secondo una successione temporalmente misurabile,
abbiamo il moto in senso stretto: atto di ciò che esiste in
potenza, in quanto in potenza (cfr. 3 Physic., 1. 2), che implica
progresso e continuità nella variazione (cfr. 1 Sent. 8, 3, 3). La
gradualità tra estremi, che consente la maggiore o minore intensità di
uno stesso dato, e che si riscontra in tré categorie o generi supremi,
determina tré tipi di moto. Secondo la qualità sensibile (terza specie
della qualità) abbiamo \'alterazione (per es. nel colore, nel
sapore, ecc.); secondo la quantità, abbiamo 1''aumento e la diminuzione;
secondo il luogo, abbiamo il moto locale (cfr. 5 Physic., 1.
3).
34 ) Cfr. De Pot., 3, 2.
35 ) Cfr. C.G., II, 17.
36 ) Cfr. I, 45, 1, ad3; De Pot., 3, 1, ad7.
146
La nozione di creazione
B) In secondo luogo, nella cosa che si dice creata, si
riscontra una priorità del non essere rispetto all'essere. Si tratta di
una priorità di natura e non cronologica. In questo senso, se la cosa
creata fosse la-
I sciata a se stessa, si ridurrebbe al nulla, giacché
essa ha l'essere solo per l'influsso della causa creatrice. Così la
creazione differisce dalla generazione eterna intratrinitaria, perché il
Figlio riceve dal Padre lo stesso essere assoluto senza dipendenza, e
quindi senza riconducibili-
' tà al nulla originario.37 Perciò, in questo
caso, il dal nulla della creazione indica il semplice ordine di
anteriorità del non essere sull'essere.
Come si è detto, per sé si tratta di un'anteriorità di
natura; tuttavia la fede cristiana ci fa supporre38 anche
un'anteriorità di durata o cronologica, non nel senso per cui ci sarebbe
un tempo nel quale c'è il nulla e un tempo nel quale è creato il mondo
(questa è pura immaginazione),39 ma nel senso che il mondo ha
avuto origine nel tempo, non è eterno: anche il tempo ha avuto un
iniziò.
Le proprietà della creazione
La creazione presenta delle caratteristiche generali e
altre più specifiche. Le caratteristiche generali conseguono alla sua
natura complessa rispetto al nostro modo di conoscerla. In questa
prospettiva, infatti, la creazione è un mistero insieme accessibile e
inaccessibile alla ragione umana.40 Le caratteristiche più
specifiche, invece, risultano dai due modi con i quali può essere assunta
significativamente la nozione di creazione: in senso attivo e in senso
passivo.
le CARATTERISTICHE GENERALI
a) La creazione è un mistero accessibile alla
ragione umana, in quanto la dipendenza radicale nell'essere stesso del
mondo da Dio, secondo S. Tommaso, storicamente sarebbe stata scoperta da
alcuni filosofi dell'antichità pagana, anche se a fatica, dopo molto
tempo e con la mescolanza di molte imprecisioni.
Si deve tuttavia notare che S. Tommaso non è molto chiaro
o certo nell'identificazione di questi autori. Nel De Potentia (q.
3, a. 5),
37 ) Cfr. 2 Sent.,
1, 1, 2.
38 ) Cfr. ibid..
w ) Cfr. De Pot., 3, 2.
40 ) Cfr. 2 Sent., 1, 1,2.
147
parte seconda
dopo una carrellata sui filosofi che ricercavano le
ragioni del sorgere delle cose distinte specificamente, egli afferma che
Fiatone e Aristotele sono giunti alla considerazione dello stesso essere
universale e, in base a ciò (implicitamente), alla nozione di creazione.
Nella Summa (I, 44, 2), invece, Fiatone e Aristotele sono
ridimensionati; infatti considerando l'ente come questo o come il
tale e non in quanto ente, si sono anch'essi limitati
all'indagine sulle cause particolari delle cose. Altri pensatori
arrivarono alla considerazione più universale e, dunque, alla nozione di
creazione: si allude ai filosofi cristiani, o ad altri autori pagani?
Forse S. Tommaso qui si riferisce proprio ai Dottori cristiani.41
Dal punto di vista teoretico, la creazione del mondo è
dimostrabile per l'esigenza metafisica che l'ente finito ha di essere
ancorato radicalmente all'essere infinito, pena contraddizione, come si è
visto. Il dal nulla della creazione indica l'inconsistenza
fondamentale dell'ente finito se separato dalla causa del suo essere (causa
essendi): esso non suppone un soggetto o materia originaria di
derivazione; da sé è puro nulla.
D'altra parte, la concezione creazionistica non è
contraddittoria, non contravvenendo all'assioma ex nihilo nihil
(dal nulla non viene
41 )
Certamente il problema non è di facile soluzione. Le proposte che si
possono avanzare al riguardo sono di ordine semplicemente congetturale.
L'edizione canadese della Summa (Ottawa 1941) ritiene che questi
autori siano i Dottori cristiani e forse Mosè Maimonide. Così ritengono
anche l'ed. spagnola (Madrid 1948) e Garrigou Lagrange, il quale si limita
però ai soli filosofi cristiani (cfr. De Dea trino et creatore,
Torino 1944, p. 237). Th. Pègues(cfr. Commentaire Francois Litteral de
la Somme Theologique^oulou-se 1908, III, p. 15), invece, ritiene che
si tratti comunque di Fiatone e Aristotele; e sulla stessa linea si
colloca il P. Centi nell'ed. italiana della Somma Teologica (ESD),
adducen-do come ragione che, per escludere Plafone e Aristotele
dall'ipotesi, occorrerebbe sostenere che essi, secondo S. Tommaso, non
sarebbero giunti alla considerazione dell'ente in quanto ente: il che non
sarebbe assolutamente vero, stando alle affermazioni di S. Tommaso,
soprattutto nel Commento alla Metafisica del Filosofo.
Per parte nostra riteniamo che l'opinione del P. Centi
offre un argomento per un certo aspetto convincente: almeno Aristotele,
nella sua concezione metafisica dell'ente, ha raggiunto la vetta
speculativa della forma reduplicativa dell'ente in quanto ente, secondo
10 stesso riconoscimento di S. Tommaso (cfr. 4 M et.
1.1). Tuttavia la nozione di creazione non è esplicitamente un
guadagno aristotelico: secondo S. Tommaso, essa è semplicemente non
contraria ai princìpi di Aristotele (cfr. 8 Physic., 1. 2). In
questo senso, questo passo della Somma è virtualmente conciliabile
con quello del De Potentia, perché anche in quel caso non si dice
apertamente che Plafone e Aristotele e i loro seguaci siano giunti in modo
chiaro alla nozione di creazione, ma a ciò che la implicherebbe. Perciò
sembra si debba effettivamente propendere per la soluzione che vede in
quegli aliqui i filosofi cristiani ed ebrei (come Mosè Maimonide),
precisando comunque che tale ambito genetico della nozione - così
strettamente legato alla rivelazione divina — non inficia minimamente
11 valore filosofico della stessa. Nella rivelazione
divina sono presenti alcune verità che possono essere provate anche dalla
ragione umana, giacché sono soprannaturali solo quanto al modo e non
quanto alla sostanza.
148
La nozione di creazione
nulla). Infatti, la preposizione da non deve essere
intesa in senso causale, quasi che il nulla fosse una causa;42
ne si deve supporre un'inter-pretazione mutazionistica della creazione,
per la quale si richiederebbe effettivamente una materia o un soggetto
d'intervento preesistenti,43 oppure la paralogistica
alternativa tra una simultaneità di essere e non essere, e la scansione
temporale tra i due contraddittori. La preposizione da (ex) non
indica anteriorità o posteriorità di tempo, ma di natura o d'ordine:44
nella creatura non c'è nulla che non sia da Dio;
tutto è da Dio perché la creatura da se stessa è nulla,
cioè dal nulla di se stessa (ex nihilo sui).
b) La creazione, però, è anche mistero inaccessibile
alla ragione umana, alla pari del mistero trinitario, se si fa rientrare
nella sua essenza il cominciamento nel tempo, cioè la durata temporale
del mondo e la sua non coeternità con il Dio creatore. In questo senso,
la creazione del mondo, intesa come non eternità del mondo, è un
articolo di fede.45
Che il mondo abbia avuto un inizio è credibile, ma non è
dimostrabile. E credibile perché è rivelato: in Gen 1, 1 si
legge: «In principio Dio creò il cielo e la terra». L'espressione «in
principio» può indicare: 1°) che la creazione è avvenuta nel Figlio
come principio esemplare,46 per escludere il dualismo manicheo;
2°) che è avvenuta senza intermediar!, perciò prima di tutto;
3°) che è avvenuta al principio del tempo, cioè che il tempo è
creato con il cielo e la terra,47 per escludere appunto
l'eternità del mondo. Ma la creazione nel tempo è altrettanto credibile
perché non è impossibile: in senso assoluto, Dio vuole necessariamente
solo se stesso; dunque non è necessario che voglia l'altro da sé.48
Non è necessario che il mondo sia sempre stato.49
Non si può dare una dimostrazione di un inizio o
creazione nel tempo del mondo perché, razionalmente parlando, è del
tutto plausibile la sua eternità.50 Certo non si tratta di
un'eternità indipendente da
42 )
Cfr. De Pot., 3, 1, ad7.
43 ) Cfr. De Pot., 3, 1, adi.
44 ) Cfr. De Pot., 3, 1, adIO.
45 ) Cfr. I, 46, 2.
46 ) Cfr. Col 1, 16. Non esistono due principi
delle cose: uno buono e l'altro cattivo, come sostengono le dottrine
manichee, o anche semplicemente dualistiche nel senso che nell'ordine
creato si separino gli aspetti positivi e quelli negativi dello stesso. La
creazione è tutta buona, tutta interessante, tutta apprezzabile perché
fondata nel suo sapientissimo principio che è il Verbo di Dio.
47 ) Cfr. I, 46, 3c e adi.
48 ) Cfr. I, 19, 3.
w ) Cfr. I, 46, 1.
50 ) Cfr. De aetemitate mundi.
149
parte seconda
Dio: ciò sarebbe contro la fede (eretico) e contro la
filosofia (falso). Sarebbe però possibile una creazione ah aeterno,
cioè dall'eternità secondo un'integrale dipendenza dal Dio creatore.
Se si considera la cosa dalla parte di Dio, la
possibilità scaturisce dalla sua infinita onnipotenza. Se ci si pone dal
punto di vista del creato, l'impossibilità potrebbe risultare o dalla
mancanza della potenza passiva come condizione della generazione, o per
evidente contrad-dittorietà dell'assunto. Quanto alla mancanza della
potenza passiva, si tratta di un postulato della stessa creazione dal
nulla, come si è visto. Quanto alla presunta contraddittorietà, si deve
dire che dalla parte della causa efficiente non è assurdo perché non è
necessario che essa preceda cronologicamente l'effetto. Dio produce il suo
effetto instan-taneamente e non attraverso la successione del moto
(prima-poi), con la supposizione di potenza passiva (il moto è atto di
ciò che è in potenza in quanto in potenza); del resto, se è possibile
che un agente finito, produttore di una semplice forma, la faccia essere
simultaneamente a sé (per es. il sole rispetto al fenomeno
dell'illuminazione), a. fortiori ciò si deve ammettere per un
agente che produce Finterà sostanza con la creazione.
Dalla parte dell'effetto non è assurdo perché, come si
è già detto, il dal nulla non implica una scansione di
anteriorità-posteriorità temporale, bensì di natura; cioè la natura
della creatura è tale che sarebbe nulla se fosse lasciata a se stessa,
senza l'influsso causale di Dio. In secondo luogo, si aggiunga che non è
assurdo il processo all'infinito nella concatenazione delle cause della
generazione e non dell'essere, così che le generazioni degli uomini,
potendo essere infinite, implicherebbero la possibilità dell'eternità
del mondo.51 In terzo luogo, il mondo non sarebbe coeterno a
Dio per identità di durata: la differenza qualitativa sta nel fatto che
l'eternità di Dio è per durata simultanea (tota simul); altra sarebbe
invece l'eternità come durata successiva del mondo nel tempo. Dunque non
è contraddittoria l'idea di un mondo creato dall'eternità.
Si dimostra rigorosamente la creazione del mondo, ma non
si può dimostrare ne che sia ab aeterno, ne che sia avvenuta nel
tempo: questo rimane un problema puramente dialettico, cioè risolvibile
con ragioni soltanto probabili o sofistiche.52
51) Cfr. I, 46, 2 e adi.
52 ) Cfr. I, 46, 1.
150
La nozione di creazione
le
CARATTERISTICHE SPECIFICHE
a) La creazione, presa in senso'•attivo (active
sumpta), è la creazione considerata prospetticamente dalla parte di
Dio.53 Da questo punto di vista, essa si identifica
sostanzialmente con la stessa essenza divina e con l'aggiunta di una
relazione di ragione verso le creature.
Si identifica con la stessa essenza divina perché,
essendo Dio semplicissimo, egli è il suo stesso agire;54
implica l'aggiunta di una relazione di ragione verso le creature, perché
significa un rapporto di produzione tra l'agente e l'effetto, ma non reale
da parte di Dio, giacché in Dio non si danno mutazioni, ne a lui
ineriscono accidenti. Dio si dice in relazione con le creature non perché
si riferisca ad esse, ma perché le creature si riferiscono a Dio. Allo
stesso modo parliamo ~ per es. -di colonna destra e di colonna sinistra
non perché intrinsecamente esse sostengano realmente tali relazioni, ma
soltanto in rapporto alla posizione che noi realmente assumiamo rispetto
ad esse spostandoci nello spazio.55 In questo modo il titolo di
creatore può convenire a Dio nel tempo e non dall'eternità, non
implicando in lui tale relazione una reale modificazione.56
. Creare è proprio di Dio. Non è possibile una
mediazione causale-strumentale, perché si presupporrebbe una creatura
alla creazione.57
Creare compete a Dio in forza del suo essere, cioè della
sua essenza comune alle tré Persone trinitarie, perché la produzione
dell'essere delle creature deve venire dall'Essere sussistente in quanto
tale; però questo non significa che essa sia un'azione necessaria,
perché Dio agisce liberamente, cioè per intelligenza e volontà.58
Nell'onnipotenza divina, infatti, sono racchiuse come possibili infinite
diverse modalità del creato, compossibili con le attuali eppure non
attuate.59
Tuttavia, per appropriazione, è possibile attribuire al
Padre la creazione per la sua potenza, al Figlio-Verbo per la sua
sapienza, allo Spirito Santo per l'amore, così come in ogni operazione
deliberata l'artefice (Padre) agisce per l'intelletto (Figlio) e la
volontà (Spirito Santo).60 '
") Cfr. I, 45, 3, adi.
") Cfr. I, 3, 4 e 6.
") Cfr. 5 Mef., 1. 17.
54 ) Cfr. I, 13, 7.
57 ) Cfr. I, 45, 6: C.G., II, 21; De Fot., 3,
4.
58 ) Cfr. I, 14, 8; 19, 4.
5 ") Cfr. C.G., II, 23.
w ) Cfr. I, 45, 7.
151
parte seconda
b) la creazione in senso passivo (Passive sumpta)
è la creazione considerata prospetticamente dalla parte della creatura.
Da questo punto di vista, essa consiste in una pura relazione reale
predicamenta-le (secundum esse) della creatura al creatore.
Sottratto ogni moto dalla natura della creazione, rimane soltanto la
relazione61 reale62 dalla parte della creatura,
perché essa è ciò che dipende dal creatore.
Si tratta di una relazione reale predicamentale perché il
rapporto con la causa creatrice non rientra nella definizione o
nell'essenza dell'ente causato, ma si aggiunge conseguendo a ciò che
appartiene alla sua natura. Dal fatto che un ente ha l'essere per
partecipazione, segue che sia causato.63 L'essere che è
partecipato dall'ente creato non è pienamente intelligibile se non in
quanto ricondotto all'essere divino.64 In questo modo, dal
punto di vista dell'essenza si fonda l'autonomia della realtà creata,
mentre dal punto di vista dell'essere se ne vede la dipendenza assoluta da
Dio.65 Per il fatto poi che l'essere viene attribuito per
partecipazione all'essenza, non solo si dice che l'essere è creato, ma
anche l'essenza, giacché essa, prima di ricevere quell'essere, non è
nulla al di fuori dell'essenza creatrice.66 L'essenza creata è
nell'essenza divina come un suo possibile modo di partecipazione
si-militudinaria e non di comunicazione reale,67 e si rapporta
ad essa come l'esemplato all'esemplare ideale, così come è pensato
progettualmente dall'intelligenza divina.68
Rispetto alla sostanza creata, cui sola spetta
propriamente l'essere e dunque l'essere creata (gli accidenti e i
princìpi sostanziali, come la materia prima e la forma
sostanziale, si dicono concreati),69 la creazio-
61 )
Cfr. I, 45, 2, ad2.
") Cfr. I, 13, 7.
") Cfr. I, 44, 1, adi.
M ) Cfr. De Pot., 3, 5, adi.
65 ) Con quest'analisi profondamente metafisica del
rapporto tra creatura e Creatore, si mette in luce il fondamento anche
dell'atteggiamento pratico che l'uomo deve assumere nei confronti del
creato. E proprio da questa lettura metafisica della creazione che può
per esempio essere giustificato il richiamo del Concilio Vaticano II alla legittima
«autonomia delle realtà terrene» (cfr. Gaudium et spes, n. 36);
le creature hanno una loro propria consistenza, delle loro
proprie leggi. Tuttavia ciò non deve essere inteso nel senso che le
cose create non dipendano da Dio. Dal punto di vista dell'essenza, la
creatura è autonoma: ogni creatura nella sua essenza specifica è
conoscibile, definibile senza riferimento a Dio. Dal punto di vista
dell'essere partecipato, la creatura dipende da Dio: l'essere
partecipato ericevuto e come tale rinvia per sé a chi lo
conferisce, e non è intelligibile indipendentemente da tale rinvio.
<•'•) Cfr. De Fot, 3, 5, ad2.
") Cfr. In Dw. Nom., 2, I. 3.
68 ) Cfr. I, 44, 3c e adi.
69 ) Cfr. I, 45, 4.
152
La nozione di creazione
ne come relazione può essere intesa come antecedente o
conseguente alla sostanza creata. Quanto all'inerire (esse in),
essa è posteriore alla sostanza creata, giacché la suppone come ogni
altro accidente suppone la sostanza. Quanto all'essenza della relazione
creativa (esse ad), invece, la creazione precede la sostanza creata
e la fonda:70 in questo senso, a noi pare che si possa ritenere
che la relazione tra la creatura e il creatore sia di ordine
trascendentale.71 La creatura in quanto creatura,
esprime un rapporto essenziale con il Creatore.72
70) Cfr. I, 45, 3, ad3.
71 ) È la relazione secundum dici, cfr. I,
13, 7, adi; De Fot., 3, 3, ad3; 7, 9, ad4 e ad5.
72 ) Se il rapporto di creazione è estrinseco
all'essenza dell'ente creato preso in senso specificativo (= soggetto di
una determinata natura), giacché l'essenza specifica non rinvia, come si
è detto, a Dio, rispetto all'ente creato inteso in senso reduplicativo - in
quanto creato, cioè comprendendo la sua struttura entitativa
complessiva, coallzzante l'essenza specifica e l'essere per assemblaggio
partecipativo (= soggetto che in una determinata essenza specifica ha
l'essere; ente completo) — tale rapporto diviene intrinseco. Nel primo
caso, la relazione è predicamentale e si aggiunge alla struttura
specifica del soggetto. Nel secondo caso, essa è trascendentale: non
rientra nell'essenza specifica però, bensì nella struttura dell'ente
creato come tale. In questo senso, si accettano evidentemente le
osservazioni critiche che tomisticamente sono sollevate a una troppo
semplicistica concezione della relazione creativa passiva in senso
trascendentale, di certa manualistica (cfr. S. giuliani, Nota critica a
proposito della questione se la creazione passiva Sta relazione
trascendentale o predicamentale, in «Angehcum» 38 (1961), pp.
36-72). E chiaro cioè che la relazione trascendentale si colloca
nell'ordine dei princìpi intrinseci. Essa si riscontra tra la materia
(potenza-determinabile) e la forma (atto-determinante); si
riscontra anche nei princìpi estrinseci coimplicati in qualche modo con
la struttura dell'essenza specifica, come l'esemplare e il fine:
l'esemplare opera intrinsecamente nell'essenza dell'immagine, perché è
la stessa forma in quanto è nella mente dell'artefice che la concepisce
per produrla; il fine invece struttura la potenza o il soggetto a esso
finalizzato (l'occhio è fatto per vedere) in quanto il fine è
l'esemplarità della forma tradotta nell'ordine di intenzione. L'ordine
dell'efficienza, invece, «è estrinseco all'ordine dell'essenza» (ibid.,
p. 62): la forma dipende dall'esemplare che è nella mente
dell'artefice e non dalla sua efficienza. Ciò vale anche nel caso
dell'efficienza divina: l'essenza possibile esiste già costituita,
nell'ordine stesso dell'essenza, nell'intelletto divino che pensa
l'essenza divina come partecipabile, e non dipende dall'efficienza di Dio:
anzi questa dipende da quella. «Perché vi siano ordine e
conseguente-mente dipendenza essenziali, è necessario che l'essenza
dipenda in quanto essenza» (ibid., p. 67). Tuttavia ciò vale per
l'essenza dell'ente creato in senso specificativo (l'essenza specifica),
non invece dell'essenza dell'ente creato in senso reduplicativo:
l'assemblaggio di cui si è detto non è metafisicamente originario e
implica intrinsecamente l'ordine dell'efficienza. Perciò si ribadisce: 1)
dal punto di vista dell'essenza, la dipendenza è nulla, è
estrinseca; la creabilità è una proprietà dell'essenza del possibile.
2) Dal punto di vista dell'edere: a) come attuante, esso è il
proprio o l'attuazione della proprietà (creabilità) dell'essenza
possibile attuata- esso viene specificato dall'essenza-; b) come partecipabile
o partecipato creazionisticamente, esso è in se stesso essenzialmente
da altro: è la creaturalità, seguendo la cui linea la
creatura per se stessa è nulla, cioè e nulla da se stessa. Da
questo ultimo punto di vista, a nostro parere si manifesta la relazione
trascendentale come tipica della creazione passiva. In questo modo si
evitano anche gli errori metafisici dei sostenitori di una relazione
trascendentale tra creatura e
153
parte seconda
Avendo Dio creato non per acquistare, ma per comunicare la
propria bontà e perfezione,73 nelle creature si trova una
somiglianzà della Trinità.74 Nelle creature razionali, cioè
dotate di intelligenza e volontà, si trova in particolar modo una
somiglianzà per immagine, perché esse rappresentano la causa
secondo una certa similitudine quanto alla stessa sua forma (per es.
l'uomo generato somiglia all'uomo generante; oppure, la statua di Mercurio
somiglia a Mercurio); d'altra parte, le processioni delle Persone
intratrinitarie si realizzano secondo gli atti dell'intelletto e della
volontà, giacché il Figlio procede dal Padre come il verbo o concetto
dell'intelletto, e lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio come
l'amore che è nella volontà.
In tutte le creature, poi, si trova una somiglianzà a
modo di traccia (vestigium), perché tutte rappresentano la causa
secondo la sua sola causalità e non secondo la sua stessa forma (per es.,
il fumo rappresenta la causalità del fuoco e non la sua natura). D'altra
parte, ogni creatura è qualcosa di sussistente, ha una forma che la
specifica e un certo ordine o relazione ad altre cose. Come sostanza o
fondamento essa rappresenta il Padre, che è causa non causata; per la
forma o specie, rappresenta il Verbo di Dio, artefice sapiente di ogni
cosa; per l'ordine, infine, rappresenta lo Spirito Santo, in quanto
amóre, perché l'ordine universale è effetto della volontà del
Creatore.
creatore dal punto di vista dell'essenza specifica, cioè:
l'univocismo scotistico, per il quale in ultima analisi il creari o
il creatum esse diverrebbero l'essenza della creatura (si veda il
nostro rilievo critico alla posizione bontadiniana alla nota 27);
l'arbitrarismo teologico di Ockham, per il quale le essenze dei possibili,
proprio in quanto essenze avrebbero per causa l'onnipotenza divina;
l'emenazionismo, per il quale Dio opererebbe ex necessitate naturile
immergendosi nell'essenza stessa dell'emanato.
73 ) Cfr. I, 44, 4.
74 ) Cfr. I, 45, 7.
154
ANALISI TEORETICA DEL CONCETTO DI PREMOZIONE FISICA
SECONDO I PRINCÌPI DI S. TOMMASO D'AQUINO"
1. Il termine premozione (dal latino praemotio,
composto risultante dall'avverbio prae = innanzi, e dal sostantivo motio
=: movimento, influsso) non appartiene al vocabolario di S. Tommaso.
La sua formulazione nasce in ambito tomistico, nel
contesto polemico che oppose la scuola tomistica, appunto, alla scuola
molinista a riguardo della dottrina della predestinazione e del rapporto
tra la grazia divina e la libertà dell'uomo.1
Tuttavia il concetto metafisico che tale termine esprime
è, senza ombra di dubbio, rintracciabile nel pensiero di S. Tommaso.
Il concetto di premozione sta a indicare l'assoluto
primato della causalità divina rispetto alla stessa azione libera della
causa seconda, non limitandosi Dio a un semplice concorso
simultaneo.
Mentre per Molina, Dio (causa prima) e la libertà umana
(causa seconda) sono due cause parziali coordinate tra loro, che
concorrono per influsso vicendevole all'unico effetto (atto libero), come
due cavalli posti sulle due sponde di un canale trainano un unico
battello,2 per i tornisti, Dio e la libertà umana sono
entrambi cause totali dell'atto libero, ma con una coordinazione che subordina
la causalità della causa seconda alla causalità prima e principale della
causa prima. Premozione significa, dunque, primato di causalità
efficiente, per oltrepassare il concetto di semplice influsso o mozione
per concomitanza sul medesimo effetto.
*) In «Divus Thomas» 4 (1993).
') Controversia De auxiliis: cfr. DS 1997;
2008; 2170; 2564.
2 ) Cfr. Concardia, XVI, 13, 26.
155
parte seconda
2. La premozione, insieme al concorso simultaneo, è
inferita speculativamente come modello causale che rende intelligibile il
rapporto tra due cause che sono, insieme e distintamente, cause totali di
un unico atto libero.
Dio, infatti, non solo da forma alle cose, ma anche le
conserva nell'essere, le applica all'azione ed è fine di ogni azione.31
princìpi basilari di tale inferenza sono riconducibili al primato
universale della causalità divina: sia dal punto di vista
dell'efficienza, che dal punto di vista della modalità operativa.
Secondo l'efficienza, Dio è la prima causa incausata, il
motore immobile che sta all'origine di ogni moto,4 perché
tutto ciò che è in
3 ) Cfr.
I, 105, 5, ad 3. _
4 ) II termine moto deriva dal latino motus,
participio passato', del Verbo movere (muovere). Nella lettura
participiale del termine, esso ha una valenza dinamica passivo-effettuale
(mosso); nella lettura sostantiva, invece, la valenza del termine è
semplicemente cinematica: moto come puro movimento o divenire. '
In S. Tommaso il termine moto, nella sua lettura
sostantiva, ha una duplice accezione.
1) In senso improprio, moto è sinonimo di operazione
(cfr. 2 Sent.., 15, 3, 2c). Moto è qui inteso come atto di ciò
che è perfetto, cioè già in atto, per opposizione all'attuazione di una
potenza, cioè l'atto di ciò che è imperfetto (cfr. I-II, 31, 2, ad 1).
Si tratta, in altre parole, dell'atto vitale, per il quale il vivente,
appunto, è visto come ciò che opera per sé e in sé, o muove se stesso
(cfr. De Pot. 10, le; 3 De Anima, 12). In questo modo il
termine moto può designare: in genere tutte le operazioni di ordine
immanente della creatura, sia spirituali, come il conoscere e il volere
(secondo la processione del concetto dall'intelligente e l'amore
dall'amante; cfr. De Pot., 10, le); sia sensitive (cfr. I-II, 31,
2, adi). A quest'ordine appartengono tutti i moti appetitivi della
sensibilità. Il moto dell'appetito naturale è proprio della
facoltà vegetativa, che esercita la sua tendenza (per es., aver fame e
aver sete) indipendentemente dalla conoscenza (cfr. II-II, 8, 1, ad3): si
tratta dei cosiddetti moti primo-primi, cioè completamente
involontari (cfr. 2 Sent., 24, 3, 2c). Il moto dell'appetito
animale, invece, suppone il conoscere sensitivo, che è così
all'origine dei suoi stessi atti: le passioni, cioè i moti dell'animo
(motus animi;
cfr. I, 17, 7, ad 2), come l'amore, il desiderio, il
piacere ecc. ; (cfr. I-II, 22, 2) sono questi gli atti della sensualità (motus
sensualitatis), detti anche moti secondo-primi. Essi possono
essere soggetti a un dominio incompleto della volontà, nel senso che pur
non essendo comandati dalla ragione, tuttavia possono essere impediti nel
loro sorgere dalla volontà (cfr. 2 Sent., 24, 3, 2c). La modalità
impropria dell'uso del termine moto può designare anche la stessa
attività divina, nella quale per eccellenza è da escludersi ogni
imperfezione e potenzialità. Secondo il modello dell'agire immanente,
troviamo in Dio le processioni del Figlio dal Padre e dello Spirito
Santo dal Padre e dal Figlio, come il concetto procede dall'intelligente e
l'amore dall'amante (cfr. De Pot., 10, le). Secondo il modello
dell'agire transitivo, la creazione — m senso attivo - esprime la
processione o il moto della bontà e della sapienza divina che si
comunicano alle creature (ctr. I, 73, 2c;
Div. Noni., II, 1. 2; IX, 1. 4; De Pot., 10,
le; G. barzaghi, La nozione di creazione in S. Tommaso d'Aquino,
in «Divus Thomas» 3 (1992), pp. 62-81 e in questo volume.
2) In senso proprio, si danno ancora due accezioni del
termine moto: una comune e l'altra specifica.
Secondo l'accezione comune, il termine moto equivale a mutamento
(mutatio). Con esso si indica genericamente il semplice variare di uno
stesso soggetto che si trova
156
Analisi teoretica del concetto di premozione
moto è mosso da altro, e nell'ordine delle cause o motori
per sé subordinati non è possibile procedere all'infinito, ma occorre
giungere a un primo, dunque non mosso cioè causante incausato.
Dal punto di vista della modalità operativa, la
causalità di Dio opera intimamente in ogni agente creato, perché
il Dio creatore produce lo stesso essere della creatura.
in condizioni diverse in momenti diversi;(cfr< I,. 45»
2, ad2). Si può parlare di mutamento secondo il nostro modo di
significare o diintendere, oppure secondo la stessa realtà delle cose.
Secondo il nostro modo di significare, possiamo parlare
della creazione e deQ'anni-chilazione, in senso passivo.
Infatti, nell'uno come nell'altro caso non si ha un medesimo soggetto che
si presenti in modi diversi secondo il prima e il poi. Nella creazione si
ha l'integrale produzione dell'ente che prima non era; nell'annichilazione
se ne da la totale riduzione al nulla. Tuttavia, secondo il nostro modo di
esprimerci, diciamo che nella creazione una medesima cosa che prima non
era assolutamente ora è, anche se la sua consistenza e il suo significato
entitativo è soltanto ora e non prima (cfr. I, 45, 2, ad2).
La stessa riflessione si estende proporzionalmente all'annichilazione.
Secondo la realtà stessa delle cose, si può dare un
duplice tipo di mutamento. Se il soggetto permanente è la stessa natura
comune di ente (cfr. Ili, 75, 4, ad3), mentre ciò che varia è tutta la
sostanza secondo la materia e la forma, abbiamo la transustanziazio-ne
(cfr. Ili, 75, 6). Se il soggetto permanente si pone nell'ordine della
sostanza, si verifi-cano due sottotipi di mutamento. Al permanere della
materia prima e al variare della forma sostanziale corrisponde il mutamento
sostanziale: se si passa dalla privazione della forma al suo acquisto,
abbiamo la generazione sostanziale; se si passa dal possesso della
forma sostanziale alla sua privazione, abbiamo la corruzione
sostanziale (cfr. 11 Met., 1. 11). Al permanere della stessa
forma sostanziale e al variare delle sole forme accidentali, corrisponde
il mutamento accidentale. Nel caso che la variazione sia
istantanea, cioè senza successione - come avviene nel modello del
mutamento sostanziale -, abbiamo la generazione accidentale (cioè
l'acquisto di un accidente), oppure la corruzione accidentale
(cioè la perdita di un accidente). Nel caso, invece, che la variazione si
verifichi secondo una successione temporalmente misurabile, abbiamo il
moto in senso stretto.
Quindi, l'accezione specifica del termine moto indica
proprio quella specie di mutamento reale, che esclude l'istantaneità e
implica progresso e continuità nella variazione.
Il moto è constatato attraverso l'esperienza che noi
abbiamo del nostro mondo: «è certo e consta anche al senso che qualcosa
in questo mondo è in moto» (I, 2, 3). Vediamo - per es. - una pianta che
cresce e fruttifica, un uccello che vola, un masso che rotola;
riconosciamo l'incremento continuo della nostra scienza ecc.
Essenzialmente, il moto si definisce come atto di ciò
che esiste in potenza, ili quanto in potenza (cfr. 3 Physic.,
1. 2; I, 9, le).
I) Analisi metafisica o formale della definizione.
Il moto, come atto di ciò che è imperfetto (cfr. I, 18, le), ha un
duplice aspetto.
A) Dal punto di vista della perfezione, il moto si dice atto,
perché ciò per cui una cosa, prima esistente in potenza, si attua è
l'atto; ora, questa attuazione si da con il moto (per es., una casa in
costruzione si distingue dal suo essere semplicemente costruibile, come
l'atto si distingue dalla potenza), dunque il moto è atto.
B) Dal punto di vista dell'imperfezione, si danno due
livelli nel moto, i quali stanno tra loro come il generico allo specifico.
1) Secondo il livello generico, il moto è atto di ciò che esiste in
potenza, perché si trova sempre in ciò che subisce una certa
riduzione
157
parte seconda
La volontà divina permea causalmente tutto l'ente in ogni
sua differenza; così Dio opera in ogni ente rispettandone la natura e le
proprietà specifiche. Se così non fosse, le forme naturali sarebbero
prive di una propria consistenza e densità ontologica e operativa,
rappre-
all'atto, cosa impossibile in ciò che invece è già
completamente in atto (per es., l'acqua bollente è in potenza rispetto al
suo raffreddamento, ma non all'ebollizione). 2) Secondo il livello
specifico, il moto è atto di ciò che esiste in potenza in quanto in
potenza, perché è sempre relativo a un soggetto che ha già della
attualità, riferendosi ad esso per quell'aspetto che ha ancora di
potenziale (per es., il bronzo in atto è in potenza la statua, cioè è
ulteriormente attuabile quanto all'essere statua, non quanto all'essere
bronzo).
II) Analisi fisica o materiale della definizione.
Il moto, come atto del mobile in quanto è mobile, è un atto imperfetto,
perché intermedio tra la pura potenza e l'atto terminale. Con
un'espressione sinonima e imprecisa si potrebbe dire che il moto è il passare
dalla potenza all'atto. Come atto, il moto si rapporta a qualcosa di più
imperfetto, che lo precede come punto di partenza; ma è esso stesso
potenziale in riferimento a un ulteriore atto al quale tende. Per
es., l'atto dell'edificabilc in quanto edificabilc (potenza) non è
l'edificio già concluso in atto, ma l'essere edificato, cioè il
divenire edificio (cfr. 3 Physic., 1. 3). L'edificabilc è in atto
quando viene edificato in atto (cfr. 11 Met. 1. 9).
Il moto esprime, dunque, continuità e successione
(cfr. 1 Sent., 8, 3, 3), per opposizione alla istantaneità che
caratterizza la semplice mutazione. Esso, infatti, si sviluppa attraverso
due termini positivi: è «da soggetto a soggetto», intendendo per
soggetto non il sostegno della forma, ma un dato positivo (cfr. 5 Physic.,
1. 2). Il punto di partenza (terminus a quo) e il punto di arrivo (terminus
ad quem) devono essere tra loro contrari, così da ammettere qualcosa
di intermedio, che consenta la gradualità, cioè la continuità e la
successione nel passaggio (per es., l'acqua, nel riscaldarsi, prima è
fredda, poi tiepida, quindi calda). Il mutamento, invece, si realizza
all'istante, cioè senza progresso, perché i due termini della sua
attuazione (la partenza e il traguardo) sono tra loro contraddittori
(l'uno nega semplicemente ciò che l'altro afferma) e non ammettono
perciò una via intermedia: al cessare dell'uno, subentra per questo
stesso fatto l'altro. E il caso della generazione (da non soggetto a
soggetto) e della corruzione (da soggetto a non soggetto). Nella
generazione e nella corruzione della sostanza, non c'è un momento nel
quale ci sia qualcosa di medio tra la sostanza e la non sostanza: o la
sostanza c'è tutta, o non c'è affatto (cfr. De Ver., 28, le).
(Qualitativamente, il moto può essere cartatterizzato
sotto un duplice angolo prospettico.
I) Dal punto di vista tipologico, si danno tré specie di
moto, secondo le tré categorie, o generi supremi, che ammettono una
contrarietà non solo tra le differenze specifiche (cosa comune ad ogni
genere, perché le differenze sono sempre opposte tra loro come
l'affermazione e la negazione: per es. razionale e irrazionale), ma tra le
stesse specie, così da comportare maggiore o minore intensità e massima
distanza tra due determinati estremi (cfr. 5 Physic., 1. 3).
A) Secondo le qualità della terza specie (qualità
sensibili), come il colore, il sapore ecc., che implicano una gradazione
continua tra gli estremi (per es., tra il bianco e il nero si da tutta la
gamma dei colori) si sviluppa il moto di alterazione.
B) Secondo la quantità si da il moto di aumento e diminuzione,
rispetto agli estremi specifici di una determinata cosa alla quale ci si
riferisce (per es., una determinata specie animale o vegetale ha un minimo
e un massimo di altezza).
C) Secondo il luogo abbiamo il moto locale, sempre
assumendo due estremi determinati per un determinato moto (per es., andare
da casa a scuola; cfr. ibid.).
158
Analisi teoretica del concetto di premozione
sentando una semplice occasione dell'unica azione di Dio;
l'azione creatrice stessa di Dio sarebbe impotente a produrre, per
partecipazione similitudinaria, l'essere creato e l'operare che ne
consegue.
Nel primo caso, si contesterebbe la testimonianza dei
sensi, che nel giudizio circa il sensibile proprio non errano (quando il
senso tat-
II) Dal punto di vista del soggetto che diviene, la legge
fondamentale del moto è quella della causalità: tutto ciò che è in
moto è mosso da altro (cfr. I, 2, 3c).
Se infatti il moto è atto di ciò che è in potenza in
quanto in potenza, esso ha sempre le caratteristiche dell'effetto, cioè
del derivato. Ciò che è in potenza non passa all'atto se non per un
altro ente già in atto: l'ente in potenza, in quanto in potenza, non
acquista l'atto da sé, cioè per il semplice fatto di essere in potenza,
altrimenti si darebbe un'assurda identità della potenza con l'atto. Per
questo motivo, è contraddittoria l'idea di un soggetto che nello stesso
tempo e sotto lo stesso aspetto sia movente e mosso, cioè che muova se
stesso (cfr. C. G., I, 13). Per es., l'acqua di una bacinella non può
essere nello stesso tempo e sotto lo stesso aspetto calda e fredda, ma
sarà fredda in atto e calda in potenza. Che l'acqua, prima fredda, poi
sia calda, non può essere dovuto al suo semplice esser fredda (il suo
esser in potenza calda), altrimenti l'esser fredda e l'esser calda
sarebbero identici. Perciò l'esser fredda, cioè priva di calore, è la
condizione del riscaldamento, è la capacità (potenza) di ricevere il
calore, ma non la sua causa. Il riscaldamento dell'acqua è dovuto a una
fonte estrinseca - per es. il fuoco — già attualmente calda.
Questo principio del moto si chiama motore o movente.
Motore per se è quello che produce direttamente la
mozione (cfr. 8 Physic., 1. 7).
Se si considera il motore avendo come punto prospettico il
moto, esso si divide in mobile e immobile. Motore mobile o mosso è quello
attuato da un altro motore per lo svolgimento della sua azione causale:
così - per es. - la mano, nell'atto di scrivere, è movente o motore
rispetto alla penna, ma è mossa rispetto alla volontà dello scrivente.
Motore immobile, invece, è quello che non viene attuato da un altro
motore per il suo esercizio operativo, ma è già da sé in atto. La
necessità di un motore immobile è data dal principio della
improcedibilità all'infinito dei motori mossi e tra sé coordinati (cfr.
I, 46, 2, ad 7). Se non ci fosse un primo movente, quindi non mosso, i
motori intermedi non muoverebbero (cfr. I, 2, 3c); d'altra parte, si può
anche osservare che se non ci fosse un primo motore già in atto per se
stesso e non attuato o attuabile, il moto sarebbe originario: il moto non
sarebbe semplicemente dalla potenza, ma per o a. causa della
potenza, con l'evidente contraddizione più sorpa segnalata. Dio è il
motore immobile che è all'origine di ogni moto: in quanto immobile,
nell'esercizio della sua causalità, è atto puro.
Se si considera il motore in relazione al mobile, si
prospettano due eventualità.
Quando il motore è all'interno dello stesso mobile, si
dice motore intrinseco ed è il tipico principio del moto vitale: così
l'animale muove se stesso; naturalmente non nel senso che tutto l'animale
muova totalmente se stesso (sarebbe in potenza e m atto nello stesso tempo
e sotto lo stesso aspetto), ma nel senso che nell'animale l'anima muove il
corpo, la parte attiva muove la parte passiva (cfr. 8 Physic., 1.
10). Se la mozione prodotta è conforme alla natura del soggetto, il moto
è sempre naturale. Se si rapporta la mozione alla sola parte
corporea del soggetto, allora si può anche dare un moto relativamente (secundum
quid) violento: il contrasto è con l'inclinazione naturale del corpo,
ma non con la natura totale del soggetto. Per es., un saltatore in alto
costringe il proprio corpo a vincere la gravita nell'elevarsi sopra
l'asticella, ma rispetto alla capacità, intrinseca alla natura dell'uomo,
di effettuare tale impresa, l'atto è naturale (cfr. I-II, 6, 5, ad3).
159
parte seconda
tile è vicino al fuoco, per es., sente il calore del
fuoco, o che il fuoco è caldo; tale giudizio non si darebbe se altro
fosse l'agente che è causa del calore sentito). Si darebbe, inoltre,
scandalo per la ragione, per la quale nulla della natura è invano:
sarebbero perfettamente mutili le forme e le forze naturali, se le cose
non fossero dotate di una propria operatività (sarebbe inutile appiccare
il fuoco alla legna, se Dio bruciasse la legna senza il fuoco).
Se il principio del moto non è nello stesso mobile,
allora si parla di motore estrinseco. Anche in questa prospettiva si
devono distinguere una mozione e un moto naturale e una mozione e un moto
violento. Nel primo caso, il moto naturale è dovuto alla presenza
strutturale nel soggetto mobile del principio intrinseco passivo,
che rende capace il soggetto di ricevere la mozione: per es., ciò che è
caldo in atto (il fuoco) muove naturalmente ciò che per sua natura è in
potenza caldo, cioè può naturalmente ricevere il riscaldamento
(l'acqua). Nel secondo caso, invece, si colloca il tipico motore violento
estrinseco, come - per es. - il braccio che lancia un sasso (cfr. 8 Physic.,
1. 8).
Motore per accidens è quello che produce
indirettamente la mozione del mobile. Dal punto di vista della
predicazione, si parla di motore per accidens nel caso
dell'attribuzione della mozione a un aspetto accidentale del movente (per
es., diciamo che il pittore risana, ma non perché pittore, bensì per il
fatto che quel soggetto che è pittore ha in sé anche la capacità
di guarire, che non gli deriva dall'essere capace di dipingere), oppure
nel caso dell'attribuzione della mozione al tutto, mentre appartiene alla
parte (per es., diciamo che l'uomo percuote, perché la sua mano percuote;
cfr. 8 Physic., I. 7).
Dal punto di vista dell'essere, si parla di motore per accidens
nel caso del removens prohibens, cioè della causa che non si
rapporta produttivamente all'effetto, ma toglie gli ostacoli che si
oppongono alla sua produzione. Per es., il moto verso il basso, proprio
dei corpi gravi e loro attitudine naturale, è causato per se dalla
causa stessa che ha generato il grave (chiedersi perché il corpo grave
tenda verso il basso, è chiedersi perché il grave è grave; così ciò
che produce il grave produce anche il suo moto verso il basso;
cfr. 8 Physic., 1. 8). Tuttavia, tale moto può
trovare degli impedimenti: ciò che rimuove detti impedimenti funge da suo
motore solo indirettamente. Per es., i pali che sostengono un edificio
pericolante impediscono che per se stesso crolli. Chi abbatte questi pali,
rimuove l'impedimento al crollo, ma non ne è la sua causa diretta.
Il moto è atto del movente e del mosso, perché ciò che
il movente causa con la sua azione e ciò che il mosso riceve passivamente
è realmente la stessa cosa, così come identica è la distanza coperta da
chi sale e da chi scende da un medesimo pendio: solo per riferimento al
punto di partenza e al punto d'arrivo si distinguono la salita e la
discesa (cfr. 3 Physic., 1. 4). In quanto il moto procede dal
motore verso il mobile, esso è atto del movente; in quanto è nel mosso,
come ricevuto dal motore, è atto del mobile. Per es., il riscaldare è
atto del movente; il riscaldarsi è atto del mobile (cfr. C.G., Ili,
22).
Dalla parte del movente o motore, si colloca il
predicamento azione, cioè l'atto per il quale l'agente è
termalmente tale ed è principio o origine del moto (cfr. I, 41, 1, ad2).
Poiché il moto è atto di ciò che è in potenza in quanto in potenza,
non compete per sé al motore, il quale dice attualità. Supposto che il
motore sia a sua volta mosso, il moto gli compete direttamente in quanto
è mosso e solo indirettamente (per accidens) in quanto è motore.
Il moto non è mai propriamente atto del movente, ma del mosso (cfr. 3 Physic.,
1. 4).
Dalla parte del mobile, si colloca il predicamento della passione,
cioè la ricezione della mozione del soggetto agente da parte del soggetto
mobile, che si costituisce, perciò, come mosso (cfr. I, 41, 1, ad2). Per
la definizione data di moto, risulta evidente che esso è per se stesso
atto del mobile (cfr. 3 Physic., 1. 4).
160
Analisi teoretica, del concetto di premozione
Nel secondo caso, si contesterebbe la stessa bontà e
onnipotenza di Dio.5
3. La premozione può essere descritta secondo i suoi
due-aspetti, o meglio dimensioni metafisiche, cioè; nel suo significato
iattivo (ac-tive sumpta) e nel suo significato passivo (passive
sumpta)^
A) In senso attivo, la premozione divina è la stessa
azione divina, cioè Dio stesso, in quanto muove la causa seconda
all'emissione della sua propria azione, prima dell'azione stessa. In altri
termini, essa è l'azione per la quale Dio attua la causa seconda in atto
primo, perché passi all'atto secondo, cioè all'operazione stessa.
Per es., nell'ordine corporeo, l'azione con la quale il
fuoco riscalda l'acqua, prima che essa stessa, riscaldata, sia a sua volta
fonte di riscaldamento per un altro soggetto, è appunto il riscaldamento
in senso attivo.
In questo modo, la premozione si distingue dal concorso
simultaneo - sempre in senso attivo - giacché questo è l'azione divina
con la quale Dio partecipa alla creatura l'entità dell'operazione e del
suo termine. :
Tale azione si riferisce alla causa seconda in atto
secondo (cioè agente), la quale, sotto detto influsso, è causa
strumentale rispetto all'essere dell'operazione, perché agisce in virtù
della càusa principale che è Dio movente, come il pennello (strumento)
riceve tutta la virtù della sua azione - quanto all'esercizio -
dall'azione del pittore (causa principale).
La causa seconda funge però da causa principale quanto
all'essenza dell'operazione, così da specificare, secondo la propria
natura, l'operazione stessa: il pennello, per es., determina il risultato
dell'azione causale del pittore sulla tela con quei tratti che sono tipici
del suo proprio agire e si distinguono nettamente da quelli di una matita
o di un semplice pastello.
B) In senso passivo, la premozione divina è il
venir attuata della stessa causa seconda, cioè la ricezione della azione
motiva divina nella causa seconda: nell'unico moto che nella mozione lega
la causa prima alla seconda, l'atto del mobile si distingue, per
distinzione di ragione e non reale, dall'atto del motore, e si qualifica
come esser mosso.7
5 ) Cfr. 1 Perih., 1. 14; I, 105, 5c; De
Fot., 3, 7; C.G., Ili, 67.
6 ) Cfr. 1 Sent. 40, 1, 1, ad 1.
7 ) Cfr. 3 Physic., 1. 4; C.G., II, 57; III,
150.
161
parte seconda
Si tratta di un complemento della causalità della causa
seconda (com-plementum causalitatis o complementum virtutis agentis
secundi)3 un'entità cosiddetta viale o transitiva,
applicativa della causa seconda in atto primo all'atto secondo, cioè alla
sua propria operazione.
In questo modo, la premozione si distingue ancora dal
concorso simultaneo in senso passivo, in quanto quest'ultimo è l'essere
partecipato all'effetto prodotto dalla causa seconda, diverso dall'essere
partecipato all'agente in vista della sua costituzione in atto secondo.
C) Dalla premozione, sia attiva che passiva, va nettamente
distinta {'operazione prodotta dalla causa seconda sotto l'influsso
causale dell'agente principale (nell'es. sopra proposto, il riscaldamento
prodotto dall'acqua precedentemente riscaldata).
E l'azione che consegue al congiungimento del ricevente e
del ricevuto, cioè del soggetto e della mozione passiva in esso
risultante dall'influsso della causa agente principale.
Se si considera il soggetto che esercita l'operazione,
allora ogni agente particolare è immediatamente legato al suo effetto; se
si considera la virtù operativa per la quale si esercita l'operazione,
allora la virtù operativa della causa principale (Dio) è più
immediatamente legata all'effetto, rispetto alla virtù della causa
seconda, perché «la virtù inferiore non si collega all'effetto se non
per la virtù del superiore».9
4. Possiamo caratterizzare la premozione Secondo un
duplice livello: quello dell'azione stessa di Dio e quello dell'azione
della libertà umana.
A) Al livello dell'azione divina la premozione si
caratterizza come predeterminante e infallibile.
La premozione è predeterminante, dicono i
tornisti, perché attuazione di un decreto eterno della volontà di Dio.
La volontà, come anche la scienza divina, si identifica con Dio stesso,
che in quanto atto puro non può subire modificazioni.10
In questa stessa linea, la premozione è infallibile,
perché infallibile è l'ordine della provvidenza e della predestinazione:
tutto l'effetto della predestinazione viene da Dio, causa prima, che muove
le cause seconde non solo con volontà antecedente universale (non
necessaria-
8 ) Cfr.
C.G., Ili, 66; De Fot., 3, 7, ad 7.
9 ) De Fot., 3, 7c.
10 ) Cfr: I, 19, 4 e 7.
162
Analisi teoretica del concetto di premozione
mente si realizza), ma anche conseguente, cioè del
particolare concreto, che si realizza infallibilmente sotto tale
mozione." ,
La volontà divina antecedente non è assoluta,
perché considera semplicemente in astratto il suo termine (per es.. Dio
vuole in universale che tutti gli uomini siano salvi); solo la volontà
conseguente si rapporta concretamente e realisticamente al suo termine,
perché considera tutte le circostanze per le quali, per es., chi rifiuta
Dio è dannato.
E quasi superfluo ricordare che tra volontà antecedente e
volontà conseguente si da solo una distinzione di ragione, e non vanno
supposte in sequenza cronologica. L'infallibilità della premozione è
fondata sulla certezza di causalità e non di semplice prescienza.12
B) Al livello dell'azione libera della creatura razionale,
la premozione è fìsica e non necessitante.
La premozione si dice fisica per opposizione a morale, nel
senso che il suo influsso riguarda l'esercizio dell'atto libero e non la
sua specificazione. Dal fatto che la volontà sia mossa da Dio secondo
un'inclinazione intcriore, non si esclude che essa si muova da sé, sotto
tale mozione, così che resti salva la ragione stessa del merito e del
demerito."
Nel senso dell'influsso fisico, la volontà creata perde
la propria indifferenza passiva, in quanto viene attuata, ma non perde
l'indifferenza attiva di dominio sul proprio agire.14
La premozione non è necessitante, dunque, perché per
l'efficacia assoluta della volontà divina, non solo le cose che Dio vuole
che avvengano si realizzano, ma anche si attuano secondo il modo che egli
vuole: alcune in modo necessario, altre in modo contingente.
Così, l'azione di Dio sulla volontà non sottrae a essa
l'attività volontaria, ma ne è la stessa efficacissima garanzia.15
L'essenza stessa della libertà consiste proprio in
quell'indifferenza attiva dominatrice dell'atto che si rapporta a un bene
finito e, perciò, non necessitante attrattivamente.
L'azione libera, attuata dalla premozione a volere un dato
oggetto, nel volerlo rirnane ancora libera, per quella medesima
indifferenza di dominio attivo, che caratterizza la stessa libertà di
Dio.
") Cfr. I, 19, 6c; 22, 4; 23, 6; De Ver., 23,
2.
") Cfr. I, 19, 6, ad 1; De Ver., (,, 3.
") Cfr. I, 105, 4; I-II, 10, 2.
") Cfr. I-II, 10, 4.
15 ) Cfr. C.G., Ili, 90; I, 19, 8; 83, 1, ad 3.
163
parte seconda
L'assoluta immutabilità di Dio non inficia minimamente la
sua libertà, perché la perfetta attualità del suo volere non è
necessitata da ciò che è voluto ma non ha un ordine necessario alla
bontà divina: allo stesso modo diciamo possibile un enunciato, non nel
senso che indichi una certa potenzialità suscettibile di attuazione, ma
nel senso che esprime una relazione tra soggetto e predicato che non è
necessaria ne impossibile (per es., che un triangolo abbia due lati uguali
è un enunciato possibile). In questo stesso senso, Dio vuole non
necessariamente ciò che immutabilmente vuole.16
In modo proporzionalmente analogo, la libertà creata è
infallibilmente mossa da Dio, ma non necessitata. La sapienza divina regge
con potenza l'universo, disponendo ogni cosa dolcemente.17
16) Cfr. C.G., I, 82; 5 Met., 1. 14.
17 ) Sap 8, 1; I, 22, 2, s.c.
164
Parte Terza
Antropologia e cultura
LA PASSIO TRISTITIAE SECONDO S. TOMMASO. UN ESEMPIO
DI ANALISI REALISTA*
La tristezza o malinconia, nelle sue diverse forme ed
espressioni,' è una passione dell'anima umana che da sempre ha attratto
l'interesse di psicologi, filosofi, teologi, poeti e maestri di
spiritualità. Sia la sua generale interpretazione negativa nell'età
medievale, sia la sua esaltazione nell'età moderna2 sono
sintomo inconfondibile del misterioso fascino che circonda questo
fondamentale stato emotivo-psicologico.
Degna di assoluto rilievo è l'analisi che di tale
passione propone S. Tommaso. In essa gli aspetti positivi e quelli
negativi si armonizza-
*) In «Sacra Dottrina» 1 (1991).
') In modo piuttosto generale si potrebbe dire che per sé
siamo soliti chiamare dolore la sofferenza puramente fisica; tristezza,
invece, la sofferenza spirituale. Fatica o pena è il dolore che
coinvolge sia lo spinto che il corpo. Dal punto di vista degli effetti
esterni, se si considera la sofferenza rispetto al male che affligge gli
altri - soprattutto la morte - parliamo di lutto; se si considera
invece quella sofferenza che deriva dal male che ci affligge personalmente
siamo soliti parlare di mestizia - quanto all'aspetto che assumiamo
- e di pianto, in tutte le sue diverse sfumature e gradazioni; se
si considera infine quella sofferenza che deriva da un qualsiasi male,
proprio o altrui, parliamo di tedio. Cfr. S. ramirez, De
passionibus animae, Madrid 1975, pp. 294-295.
2 ) Tristezza e temperamento malinconico hanno subito
nel corso della storia diverse interpretazioni e valutazioni. Nella Sacra
Scrittura si racconta degli stati di depressione di Saul alleviati dalla
musica di Davide (cfr. 1 Sam 16, 23). Aristotele notò una certa
connessione tra il temperamento malinconico e la genialità nell'ambito
artistico e scientifico (cfr. Problemata, 30, 1). Nel medioevo,
tale stato d'animo e condizione temperamentale non godettero di grande
stima, anzi la loro prossimità all'accidia (vizio capitale) li rese
oggetto di valutazioni fortemente negative. Così anche nel periodo della
Controriforma il giudizio fu veramente negativo: S. Teresa vide nella
malinconia uno strumento del demonio (cfr. Fondazioni e. 7). Nel
rinascimento, invece, come anche nell'età moderna, malinconia, pazzia e
genialità furono pareggiate in un connubio che divenne per i secoli
successivi l'emblema di ogni personalità artistica di una certa levatura.
Cfr. panofski-saxl, Diirers «Melancholia» I, Leipzig-Berlin 1923.
rudolf e mar-got wittkower, Nati sotto Saturno, London 1963, tr.
it. Torino 1968; R. klibanski, E. panofski F. saxl, Saturn and
Melancholy, London 1964.
167
parte terza
no nell'equilibrato realismo dell'antropologia
dell'Aquinate; soprattutto in riferimento al livello più elevato
dell'esercizio dell'attività spirituale: la contemplazione.
L'aspetto psicologico della tristezza (I-II, qq. 35-38)
1. la
NATURA DELLA TRISTEZZA (Q. 35, 1-2)
Dal punto di vista della struttura psicologica, la
tristezza è una passione dell'appetito concupiscibile, cioè un moto
dell'anima a livello sensitivo, che si innesta nella tendenza al piacere
sensibile e che consegue alla percezione o rappresentazione del male
fisico presente.
Essa presuppone due requisiti fondamentali: una certa
unione del soggetto con qualche male e la coscienza di tale unione.
Secondo la facoltà che presenta o rappresenta il male al soggetto e la
natura dello stesso male che lo affligge, si distinguono tré diversi
aspetti di questa passione.
Il dolore è di ordine fisico esterno e nasce
dall'unione del soggetto con il male fisico presente, percepito
tattilmente.
La tristezza sensitiva è di ordine sensitivo
interno: nasce dalla rappresentazione immaginativa di un male fisico che
può essere presente, passato o futuro.
La tristezza spirituale ha un'estensione superiore
a quella sensitiva, giacché può riferirsi a qualsiasi tipo di male.
Gli aspetti che maggiormente interessano il nostro
discorso sono ovviamente il secondo e il terzo.
2. le PROPRIETÀ DELLA TRISTEZZA (Q. 35, 3-7)
Dalla trattazione tomistica, due risultano essere le
proprietà fondamentali della tristezza: l'essere contraria al piacere
(aa. 3-6) e l'ammettere una certa gradualità di intensità (a. 7).
La tristezza è per sé contraria al piacere perché ha un
oggetto formale contrario: la tristezza è relativa al male, mentre il
piacere si riferisce al bene.
Tuttavia non ogni tristezza è contraria a ogni piacere.
Infatti il moto passionale è specificato dall'oggetto. Se l'oggetto di
due moti
168
La passio tristitiae secondo S. Tommaso
passionali contrari è identico, le due passioni sono tra
loro direttamente e specificamente contrarie: per es. compiacersi o
rattristarsi per la presenza di una certa persona. Ma se gli oggetti dei
due moti sono tra loro diversi, anche le due passioni non risultano
contrarie tra loro. In questo senso, se i due oggetti sono disparati,
anche le due passioni risulteranno tali e non contrastanti: per es.
rattristarsi per la sofferenza di una persona amica e godere per la
bellezza della contemplazione; se i due oggetti sono poi contrari tra
loro, i moti passionali della tristezza e del piacere non solo non
contrastano ma hanno una certa affinità e convenienza reciproca: per es.
godere del bene e rattristarsi del male.3
Anzi, indirettamente (per accidens) la tristezza
può essere fonte di piacere, cosi come il piacere può causare la
tristezza.
La tristezza può causare il piacere o la gioia in una
duplice prospettiva.
Dal punto di vista dell'oggetto, spesso si sopporta il
dolore in vista della gioia: «per aspera ad astra»;4 oppure
per l'ammirazione che accompagna la conoscenza della sofferenza:
l'ammirazione infatti è un desiderio unito alla speranza, che sempre è
motivo di gioia per la certezza della reale presenza del bene.5
Dal punto di vista del soggetto, diversi sono i modi nei
quali la tristezza causa la gioia.
Anzitutto essa spinge alla ricerca di ciò che la può
alleviare. Poi perché attualmente essa fa ricordare ciò che si ama e per
la cui assenza cisi rattrista: l'amore è fonte di gioia, e così tutto
ciò che da esso deriva, compreso il dolore e la tristezza, perché in
essi lo si percepisce.6
Anche il ricordo di una cosa triste passata aumenta la
gioia, in ragione dello scampato pericolo.7
Il piacere può essere a sua volta fonte indiretta di
dolore, come nel caso dell'eccesso nel cibo ecc.8
La tristezza ammette al suo interno diversi livelli di
intensità.
3 )
Riferirsi ai contrari allo stesso modo comporta contrarietà, per es.
avvicinarsi al male e avvicinarsi al bene; riferirsi ai contrari in modo
contrario implica una certa somiglianzà, per es. avvicinarsi al bene e
allontanarsi dal male. Cfr. I-II, 35, 4 e.
4 ) Cfr. I-II, 35, 3, ad 1.
5 ) Cfr. I-II, 32, 3, ad 3.
') Cfr. I-II, 32, 4 e; 35, 3, ad 2.
7 ) «Nam carere malo accipitur in ratione boni»,
I-II, 32, 4 e.
8 ) Cfr. I-II, 32, 2.
169
parte terza
Anzitutto rispetto al piacere, se la tristezza gode di
un'intensità psicologica inferiore, giacché non si può mai dare un male
che sia assolutamente ripugnante e non implichi una certa relazione di
convenienza con il soggetto,9 tuttavia indirettamente e
occasionalmente si può dare un maggiore istinto di fuga dalla tristezza
che di desiderio del piacere: per es. nel caso che la tristezza impedisca
ogni piacere, oppure se essa ha una causa più radicale di quella che
suscita il piacere, o ancora quando nasce dalla percezione dell'amore che
si nutre per qualcuno che è assente.10 ;
In secondo luogo, l'intensità della tristezza o dolore
intcriore può essere valutata rispetto al dolore fisico o esterno.
In termini assoluti, la tristezza dell'animo è superiore
al dolore fisico, perché l'anima è superiore al corpo così come la
ragione e l'immaginazione - che presiedono alla percezione del male
rattristante -sono superiori al tatto. Il dolore esterno dipende da un
male che colpisce direttamente il corpo e solo indirettamente il desiderio
del bene;
la tristezza invece proviene da un male che contrasta
direttamente il desiderio del bene secondo tutta l'estensione
rappresentativa propria della ragione o dell'immaginazione."
3. I DIVERSI TIPI DI TRISTEZZA (Q. 35, 8)
La divisione proposta da S. Tommaso12 non
enuclea vere e proprie specie di tristezza perché detta divisione non è
di un genere secondo le sue differenze specifiche, ma per applicazione
della stessa tristezza a diverse materie a essa estranee, così come
l'astronomia si dice specie della matematica perché è il risultato
dell'applicazione dei princìpi matematici in un ambito
cosmologico.
La tristezza ha per oggetto il male proprio; ora tale
materia diviene estranea in due modi: o perché il male non è proprio,
oppure perché non solo non è proprio ma non è neppure un male.
Nel primo caso, cioè quando il male non è proprio, ma
altrùi, si ha la misericordia, che è la tristezza per il male
altrui stimato come
9 ) Cfr.
I-II, 35, 6. Il bene invece, oggetto del piacere, può essere
assolutamente conveniente; e così il piacere gode di una certa
perfezione.
10 ) Cfr. Ibid. ") Cfr. I-II, 35, 7.
12 ) E una divisione mutuata dal Damasceno, De
Fide orth., II, 14 (PG 94, 932) e dal Nemesio (Ps. Nisseno), De
fiat. hom., 19 (PG 40, 688).
170
La. passio tristitiae secondo S. Tommaso
proprio. Nel secondo caso, invece, quando si considera il
bene altrui come proprio male si ha l'invidia, se quel bene è un
bene posseduto onestamente; si ha invece V indignazione se si
tratta di un bene posseduto disonestamente. ,
Dal punto di vista degli effetti, la tristezza assume
un'ulteriore tipologia. Supposto che effetto principale della tristezza
sia un certo istinto alla fuga, se la tristezza non trova tale sbocco
abbiamo l'ansietà o angustia; se invece essa è tanto intensa da
togliere persino l'istinto e l'attività esterna abbiamo l'accidia.
4. le
CAUSE DELLA TRISTEZZA (Q. 36)
Per sé, i princìpi dinamici del moto passionale hanno
una duplice dimensione: una oggettiva e una soggettiva.
Dal punto di vista dell'oggetto o del fine, la causa
formale della tristezza è il male che affligge il soggetto. Infatti la
tristezza è in qualche modo un moto di fuga o di allontanamento, il quale
si riferisce più alla ragione di male che a quella di bene perduto, anche
se materialmente le due cose poi coincidono (a. 1).
Dal punto di vista del soggetto si danno due livelli di
causalità:
una prossima e l'altra remota.
Siccome il moto desiderativo si rapporta principalmente al
bene e conscguentemente al male per evitarlo, la causa soggettiva
prossima, a modo di terminus a quo della tristezza, è il desiderio
del bene.
Infatti noi ci rattristiamo in quanto il nostro desiderio
di bene è contrastato da un ostacolo che ne ritarda l'esaudimento, o che
addirittura lo impedisce in modo assoluto (a. 2).
Ma d'altra parte, poiché l'amore è la causa prima di
tutte le passioni e ha come propria dinamica essenziale la tendenza
unitiva,13 esso rappresenta la causa remota della tristezza. La
separazione, la divisione da ciò che costituisce in qualche modo la
perfezione di un soggetto è avvertita con dolore (a. 3).
Dispositivamente, a modo di conditio sine qua non,
causa della tristezza è la forza maggiore contrastante l'inclinazione
naturale del
") Cfr. I-II, 28, 1.
171
parte terza
soggetto a un determinato bene (a. 4), la quale determina
l'applicazione o il congiungimento del soggetto con il male.14
5. gli EFFETTI DELLA TRISTEZZA (Q. 37)
L'aspetto più interessante di un moto passionale è
rappresentato dai suoi effetti, giacché è proprio a partire da essi che
noi avvertiamo le sue caratteristiche differenziali.
Dal punto di vista psicologico, S. Tommaso evidenzia tré
effetti importanti della tristezza: due di questi si collocano nell'ordine
dell'agire intcriore o spiritualmente immanente al soggetto, il terzo
invece riguarda l'ordine dell'agire transitivo, cioè dell'operare
esterno.
Il primo effetto spirituale è sul piano intellettivo. La
tristezza o dolore inferiore può essere a tal punto intensa da assorbire
l'attenzione del soggetto così da impedire l'acquisto di una nuova
conoscenza, anche se non può giungere a impedire completamente la
contemplazione come il dolore esterno - soprattutto quello negli organi
che servono alla conoscenza quali la testa, gli occhi, le orecchie ecc.
(a. 1, ad 3).
Il secondo effetto spirituale è sul piano affettivo. In
senso metaforico, l'anima si dice aggravata per il fatto che la
volontà è impedita nel suo moto verso il bene dalla presenza di un male
che l'appesantisce e le impedisce la fruizione del bene (a. 2). E proprio
l'effetto contrario del piacere, il quale «dilata» l'animo.15
Tale appesantimento dell'animo e del principio di ogni
azione può determinare anche l'assoluta immobilità dell'operare - terzo
effetto -, se manca la speranza di riuscire ad allontanare il male: l'uomo
profon-
") E interessante notare come da un punto di vista
strutturale la causa della tristezza si trova connaturalmente nel
temperamento malinconico. Si danno però anche altre condizioni acquisite
che la possono alimentare, quali la vecchiaia, la nostalgia, la
nevrastenia; oppure le semplici esigenze elementari della natura corporea
come la fame, la sete o la monotonia di una situazione che è innaturale
per un soggetto che è per natura coinvolto nel moto come l'uomo: come
dice l'adagio: «variationes delectant». Cfr.
ramirez, op. cit., p. 310. 15) Cfr.
I-II, 33, 1.
172
La passio tristitiae secondo S. Tommaso
damente triste è solito restare immobile a fissare senza
interesse il suolo o il vuoto. Le cose fatte con tristezza sono sempre
imperfette.
Tuttavia, se si considera la tristezza come causa
dell'agire, permanendo la speranza di riuscire nel tentativo di debellare
il male che affligge il soggetto, allora l'azione a tal fine ordinata è
fortemente incrementata: vengono aumentate l'audacia e l'ira (a. 3).
Dal punto di vista fisiologico (a. 4), la tristezza
sortisce l'effetto più deleterio.
Mentre le altre passioni che implicano un moto
desiderativo risultano nocive in ragione dell'eccesso che le può
accompagnare, la tristezza è nociva per sua natura, perché è contraria
al moto vitale espansivo tipico dell'uomo.
La tristezza è molto più grave, in questo senso, del
timore o della disperazione in quanto si riferisce a un male già presente
e non soltanto futuro.
L'aspetto morale della tristezza (q. 39)
Nonostante la sua specifica gravita, la tristezza non è
però il male più grande e, d'altra parte, essa riveste un aspetto di
bene sia utile che onesto che la rende, in qualche caso, moralmente buona.
Se parlando in termini assoluti la tristezza è male
perché è presenza del male che impedisce la quiete del desiderio nel
possesso del bene conveniente, in termini relativi - cioè per riferimento
o considerazione delle circostanze - essa è un bene.
Supposto infatti ciò che è doloroso o male, è bene
riconoscerlo come tale e rattristarsene (a. 1). Se non lo si avvertisse,
ci si troverebbe di fronte a un male psicologico del soggetto; il
riconoscimento invece del male come tale è segno del buono stato della
natura del soggetto senziente.
Se non si stimasse riprovevole il male, saremmo di fronte
al male morale del soggetto; stimare invece riprovevole il male è indice
della bontà morale dello stesso soggetto.
Perciò, a condizione della corretta valutazione del male
in concreto, la tristezza assurge a valore di bene onesto (a. 2).
Rispetto al moto di fuga o di ripulsa del male, la
tristezza è utile se è relativa a ciò che deve essere fuggito (per es.
il peccato) o comunque cautamente evitato (per es. le occasioni di
peccato) (a. 3).
173
parte terza
E dunque impossibile che la tristezza sia il peggiore dei
mali. Se essa nasce dalla presenza di un vero male è un buon sintomo:
peggio sarebbe non giudicarlo tale o addirittura non
rifiutarlo. Se anche nascesse dalla presenza di un male solo apparente - e
quindi un vero bene - peggio sarebbe la completa
alienazione dal vero
bene (a. 4).
I rimedi alla tristezza (q. 38)
Se la tristezza è un male, ma non assoluto e
insormontabile, è in qualche modo possibile porvi rimedio. In questa
prospettiva si evidenzia l'ottimismo equilibrato di S. Tommaso che sembra
voler evitare l'eccessivo pessimismo anche ai suoi discepoli o lettori.16
In cinque articoli sono raccolte le riflessioni che S.
Tommaso propone come possibili indicazioni di rimedi alla tristezza. La
prima indicazione è di ordine generale, le altre quattro sono più
specifiche e si possono raggruppare sotto due distinte classi
fondamentali: rimedi di ordine prettamente psico-fisiologico e rimedi di
ordine spirituale.
In modo generico ogni piacere mitiga qualsiasi tristezza
(a. 1). Quest'ultima, infatti, è una specie di fatica dell'inclinazione
al bene in quanto ostacolata dal male; il piacere invece è una sorta di
quiete della medesima inclinazione nel possesso del bene e perciò è, in
certo modo, ristoro a quella fatica innaturale.
Dal punto di vista delle disposizioni soggettive,
qualsiasi tristezza può essere mitigata da qualsiasi piacere, cioè da un
piacere di qualsiasi ordine (ad I): il piacere infatti agisce assorbendo
l'attenzione e distogliendo o distraendo l'animo dal motivo del dolore.
In questo modo, per es., l'ascolto di una bella musica, il
vedere cose belle, il cantare ecc. sono motivo di letizia anche dello
spirito, pur appartenendo all'ordine dell'esercizio fisico, così come del
resto si possono dare gioie spirituali che sanno mitigare il dolore fisico
(per es. una grave fatica o sofferenza fisica viene in qualche modo
alleviata dal motivo sacrificale di un'offerta a Dio per le persone che si
amano di più).
") Cfr. P. lumbreras, El dolor en Sto. Tomasy en
los clasicos, in «Angelicum» 29 (1952), p. 341. È interessante
notare il fatto che S. Tommaso, trattando delle undici passioni in
particolare, consacri solo alla tristezza ben cinque articoli,
comprendendo anche il tema dei rimedi che stiamo per esaminare.
174
La. passio tristitiae secondo S. Tommaso
In modo più specifico o in dettaglio, S. Tommaso
considera appunto quattro rimedi.
Nell'ordine psico-fisiologico abbiamo il pianto,
come rimedio proprio e diretto, il sonno e i bagni come
rimedi indiretti.
Il pianto (a. 2) è il rimedio più appropriato e diretto
per la tristezza, in quanto è il suo effetto conveniente.17
L'operazione che è conveniente alle condizioni o allo stato del soggetto
è infatti ad esso connaturale e dunque dilettevole: cosi è il pianto per
chi è triste. Tutto ciò che arreca diletto mitiga la tristezza.
D'altra parte, un'eccessiva chiusura introspettiva,
concentrata sul male che affligge, è più dolorosa rispetto alla
possibilità di un'effusione esterna. L'attenzione psicologica - in questo
secondo caso - viene in qualche modo smorzata rispetto all'eccessiva
concentrazione, per es. con il parlare, oppure proprio con il semplice
pianto: quasi ci si scarica del peso della tristezza e se ne è alleviati.
Il sonno e i bagni (a. 5) sono rimedi mediati o indiretti
della tristezza perché agiscono immediatamente sul corpo del soggetto.
La buona disposizione fisica, che avvertita sensibilmente
desta diletto (ad 1), consiste in un fondamentale moto vitale connaturale
alla corporeità dell'uomo; moto vitale che viene oppresso dalla tristezza
e alimentato connaturalmente dal riposo equilibratore, dai bagni e da
altri esercizi ginnico-sportivi, o anche semplicemente turistici.
Nell'ordine spirituale si possono collocare gli altri due
rimèdi considerati da S. Tommaso: la. compassione delle persone
amiche e la
contemplazione. •• • •
'
La compassione degli amici (a. 3) appartiene all'ambito
dei rimedi esterni, coinvolgendo, seppur spiritualmente, gli altri e la
loro attività.
La compassione delle persóne amiche ci è di grande
conforto e consolazione per due ragioni. Da una parte, infatti, il
compatire, cioè il soffrire con chi soffre, la solidarietà nel dolore,
è in qualche modo avvertito spiritualmente come una condivisione del
medesimo peso, il quale risulta così meno gravoso.
17 ) La
relazione tra il soggetto triste e il male che lo affligge è
evidentemente di sconvenienza; la relazione invece che lega l'effetto
della tristezza - come è appunto il pianto - e il soggetto triste è di
convenienza; cfr. caietanus, In S. Th., I-II, 38, 2, ad 2 et ad 3.
175
parte terza
D'altra parte, la compassione è effetto e segno
dell'amore. Il sentirsi amati è fonte di gioia, perché ci fa percepire
un bene che in qualche modo è in noi, e siamo spinti a riamare la bontà
e l'amore altrui con naturale diletto.18
La contemplazione (a. 4) infine, anche se appartiene a un
ordine disomogeneo a quello della passionalità, è tuttavia un valido
rimedio d'ordine interiore. , ;
Anzitutto alla contemplazione è legato il diletto più
alto, perché essa riguarda l'esercizio fine a se stesso della facoltà
più nobile e specifica della creatura razionale rispetto a ciò che è
più degno di considerazione.19
La contemplazione congiunge per sé al bene connaturale
all'intelletto, che è il vero, e da questo punto di vista muove perciò
l'affettività: così il sapersi conoscente, in qualsiasi genere di
materia, reca diletto, e questo è tanto più intenso quanto più forte è
l'amore che si nutre per la scienza.20
D'altra parte, se è vero che si può dare una tristezza
obiettiva contraria alla contemplazione, cioè in ragione dell'oggetto o
della materia considerata (per es. meditare sul male, sulla sofferenza
ecc.), tuttavia non esiste per se o direttamente una tristezza che
ostacoli il piacere dell'atto contemplativo, dal punto di vista del
soggetto contemplante. Nella contemplazione ci si compiace del contemplare
in quanto tale: è il gusto del contemplare per il contemplare, nel quale
l'oggetto non ha un vero e proprio contrario, perché nel conoscere le
nozioni che rappresentano i contrari non si da contrasto ma
coimplicazione.21
Solo indirettamente (o per accidens) si può
affiancare una forma di tristezza alla contemplazione, ma che non la può
scalfire direttamente e intrinsecamente. Tale tristezza, infatti, riguarda
l'affaticamento degli organi corporei sensoriali che in diversi modi
devono amministrare il materiale sensibile che è punto di partenza e di
appoggio per la considerazione intellettiva dell'uomo.22 Ciò
significa che questa tristezza
18 )
Cfr. I-II, 32, 5. Dal punto di vista della compassione e del consolare si
evidenzia l'importanza e, nel contempo, la profondità del mistero che
circonda la passione della tristezza. Proprio una delle opere di
misericordia spirituale la riguarda: «consolare gli afflitti».
Nell'ambito dei difetti della passionalità o dell'affettività, la
tristezza rappresenta in qualche modo il livello di intensità più
elevato. Cfr. II-II, 32, 2.
19 ) Cfr. I-II, 3, 5; 31, 5; II-II, 180, 7.
20 ) Cfr. caietanus, In S. Th., I-II, 38, 4,
ad 2.
21 ) Cfr. I, 14, 8.
22 ) Cfr. I, 84, 7.
176
La passio tristitiae secondo S. Tommaso
è di genere completamente disparato rispetto al diletto
della contemplazione oppure è indirettamente affine a esso, in quanto
rattristarsi per l'impedimento della contemplazione è in qualche modo
compiacersi della stessa.23
Anzi, sebbene l'intelletto speculativo - il quale esercita
la contemplazione - non muova l'affettività dal punto di vista
dell'oggetto considerato, tuttavia la muove dal punto di vista della
stessa attività contemplativa, che è un bene connaturale all'uomo: m
questo modo, per il principio della «ridondanza» delle attività di
ordine superiore su quelle di ordine inferiore, il diletto contemplativo
si riversa anche sulle attività sensoriali, rriitigandone il dolore.
Conclusione
Dalla presente esposizione del pensiero di S. Tommaso a
proposito della passio tristitiae emerge, con sufficiente
chiarezza, l'indole unitaria dell'antropologia tomista e la complessiva
articolazione dell'analisi realista di un dato antropologico. Sensibilità
e spiritualità, emotività e razionalità, dinamismi psico-fisiologici e
valori morali si compenetrano prospetticamente in un quadro critico di
indiscutibile pregio.
E importante rilevare che, proprio in un tale quadro, la
passione della tristezza non viene tratteggiata con lineamenti
assolutamente negativi. Esistono circostanze psicologiche e morali nelle
quali essa ha un valore nettamente positivo.
Vorremmo così osservare come una moderata inclinazione
malinconica faciliti un'introspezione silente e profonda che sa valutare
le cose secondo la loro radicazione ontologica, favorendo lo spirito
metafìsico. La tristezza per il limite del bene presente e la nostalgia
della sua illimitata pienezza sono appunto il segno emotivo della
differenza ontologica tra l'ente per partecipazione e l'Essere per sé
sussistente.
La stessa vita di fede implica una situazione esistenziale
nella quale la tristezza ha un ruolo di primo piano. Nelle tribolazioni
della vita i cristiani sono chiamati a essere «quasi tristes, semper
autem gauden-tes» (2 Cor 6, 10).
La moderata tristezza, che accompagna il momento presente,
caratterizza il luogo della prova purificatrice e perfezionatrice
dell'uomo nella grazia, sotto l'azione dello Spirito Santo {Gv 15,
1-8); essa è sostenuta e alleviata dalla certezza gioiosa del premio
futuro: «Beati gli afflitti, perché saranno consolati» {Mt 5,
4).
") Cfr. I-II, 35, 5 e et ad 4.
177
parte terza
ARTE E MALINCONIA. PUNTI CARDINALI DI UN RAPPORTO
PSICOLOGICO'
Ambientazione problematica
A prima vista, arte e malinconia sembrano termini tra i
quali non si possa dare una qualche composizione. Una cosa infatti è il
piano estetico e altro è l'ordine della passionalità. Diversi sono anche
i rispettivi riferimenti specifici: il bello nel caso dell'arte e il male
nel caso della malinconia.
Tuttavia, nella storia della cultura, l'abbinamento dei
due termini non solo compare con una certa costanza, ma sembra addirittura
codificato. Esperienza e teoria convergono nel rintracciare un legame
certamente importante e significativo tra queste due espressioni umane.
In modo piuttosto sintetico si potrebbe dire che il
rapporto tra arte e malinconia è di tipo circolare: per alcuni versi la
malinconia è fonte di creatività artistica di eccezionale levatura e
profondità di ispirazione; per altri versi è l'arte che si rivolge alla
malinconia svolgendo una funzione terapeutica.
Nell'uno come nell'altro caso, l'arte manifesta la duplice
dimensione della sua anima, il suo essere realtà di «confine» tra il
sensibile e l'intelligibile, o se si preferisce tra il mondo visibile e il
mondo invisibile: essa è segno di una genialità che sembra sorpassare le
condizioni normali dell'umano, ma per far questo si immerge nella pura
dimensione della materialità e della sensibilità; sublimando le energie
e le tensioni più profonde della stessa sensibilità, si affaccia in modo
mi-
» In
«Sacra Doctrina» 2 (1991).
178
Arte e malinconia
sterioso agli spazi di ciò che è superlativo, assoluto e
perciò fonte di liberazione.
In questa breve indagine vorremmo evidenziare questa
duplice portata del fenomeno arte, precisamente in riferimento alla
condizione emotivo-passionale della malinconia. Prima consideriamo
l'aspetto per così dire creativo e ispiratore della malinconia; poi
prenderemo in esame l'aspetto in certo senso terapeutico dell'arte in
riferimento alla malinconia.
A) Malinconia e genialità
1. il CONCETTO DI MALINCONIA E LE SUE INTERPRETAZIONI
La tristezza o malinconia, nei suoi diversi moduli
espressivi, è una passione dell'anima umana che ha sempre attratto
l'interesse di psicologi, filosofi, letterati e anche maestri di
spiritualità.
Da un punto di vista tecnico essa è descrivibile come un
moto dell'animo umano a livello sensitivo, che si innesta nella tendenza
al piacere sensibile che consegue alla percezione o rappresentazione del
male fisico presente.' Essa è il corrispondente sul piano
dell'interiorità, sia emotiva che spirituale, del dolore fisico esterno.
Se il termine tristezza indica propriamente questo
dinamismo passionale, il termine malinconia invece sembra più
adeguato a descrivere la situazione temperamentale di un soggetto nel
quale tale moto passionale ha una significativa prevalenza.
Ma tanto grande è il fascino che circonda il; mistero di
questo fondamentale stato emotivo-psicologico che nel corso della istoria
ha subito diverse interpretazioni e valutazioni.
Nella Sacra Scrittura si racconta degli stati di
depressione di Saul alleviati dalla musica di Davide.2 ,
Aristotele notò una certa connessione tra il temperamento
malinconico e la genialità nell'ambito artistico-scientifico: tutti gli
uomini che hanno dimostrato una certa eccellenza nel campo della
filosofia,
') Cfr. G. barzaghi o. p.. La «passio tristitiae»
secondo S. Tommaso. Un esempio di analisi realista, in «Sacra
Doctrina» 1 (1991), pp. 56-71 e in questo volume, pp. 171-184.
2 ) Cfr. 1 Sam 16, 23.
179
parte terza
della politica, della poesia e dell'arte in generale
appartengono a quella classe temperamentale nella quale prevale l'umore
malinconico. Ma se il malinconico è capace di tali altezze, egli può
anche essere soggetto ad alterazioni depressive vicine alla pazzia.3
Ippocrate, il grande medico del V sec. a. C., fu il
teorico della divisione in quattro umori fondamentali delle sostanze
fluide che compongono il corpo umano: sangue, flegma, bile gialla e bile
nera. Al prevalere della bile nera corrisponderebbe il temperamento
malinconico, così come al sangue il sanguigno, al flegma il flemmatico e
alla bile gialla il collerico.4 La patologia nascerebbe appunto
dall'eccedenza dell'una o dell'altra sostanza, mentre la salute
dipenderebbe dal loro armonico equilibrio.
Questa teoria della patologia umorale passò al Medioevo e
al Rinascimento attraverso l'opera del medico Galeno (II sec. d. C.).
Nel Medioevo, il temperamento malinconico non godette di
grande stima, anzi la sua prossimità all'accidia (vizio capitale) lo rese
oggetto di valutazioni fortemente negative. Così anche nel periodo della
Controriforma il giudizio fu veramente negativo: S. Teresa d'Avila vide
nella malinconia uno strumento del demonio.5
Nel Rinascimento, invece, come anche nell'età moderna,
malinconia, pazzia e genialità furono pareggiate in un connubio che
divenne per i secoli successivi l'emblema di ogni personalità artistica
di una certa levatura.6 ' ;
L'idea rinascimentale detl'«artista pazzo» o il legame
romantico di «genio e sregolatezza», al di là di una semplice vox
populi per la quale l'artista è sempre «matto»,'folle, stravagante,
eccentrico; venne teorizzata sulla base dello stesso pensiero classico.
Due furono gli influssi fondamentali: quello platonico e
quello se-necano - anche se per il secondo si trattò di un travisamento.
A Seneca risalirebbe la tradizione che collega la genialità e la pazzia
come malattia mentale. Ma il detto dell'autore latino - tanto spesso
citato - :
«Nullum magnum ingenium sine mixtura dementiae fuit»7
(Nessun grande ingegno fu mai senza mistura di pazzia), debitamente conte-
3 ) Cfr.
aristotele, Problemi, 30, 1.
4 ) Per la descrizione dei temperamenti cfr. le
senne, Trattato di caratterologia, Roma 1960.
5 ) Cfr. S. teresa, Fondazioni, e. 7.
6 ) Cfr. panofski-saxl, Durers «Melancholia» I,
Leipzig-Berlin 1932; R. kli-banski, E. panofski, F. saxl, Saturn and
Melancholy, London 1964.
7 ) seneca, De tranquillitate animi, 17,
10-12.
180
Arte e malinconia.
stualizzato, rimanda alla visione platonica del fuoco
dell'ispirazione divina.8
Nella tradizione platonica, infatti, la pazzia che sembra
caratterizzare l'autore ispirato non è quella «cllnica», ma quella
«creativa». Il pensatore greco si riferisce a quella mania o
sacra follia dell'entusiasmo e dell'ispirazione dalla quale sono presi
poeti e veggenti.
A dire il vero. Plafone non aveva un'opinione favorevole
all'espressione artistica - è assai nota la sua condanna dell'arte
formulata nella Repubblica - perché fonte di illusione e di
erroneità nel campo della conoscenza. Tuttavia non si deve dimenticare un
aspetto importante della dottrina estetica di Fiatone: l'idea del bello è
l'unica realtà del mondo intelligibile che riesce a comunicarsi con una
certa vivacità al sensibile e suscitare quindi un'attrazione verso il
divino in modo misterioso ma irresistibile.9
Marsilio Ficino, grande filosofo umanista e commentatore
dei Dialoghi platonici, operò una conciliazione tra le idee di
Fiatone e quelle di Aristotele: egli sostenne che la malinconia dei grandi
spiriti non era altro che una «metonimia» della mania
entusiastica di cui parlava Fiatone. Così il Rinascimento accolse la
conclusione del Ficino:
«solo il temperamento malinconico era capace
dell'entusiasmo creativo descritto da Fiatone».10
Il Ficino, in perfetta linea con lo spirito del tempo,
operò anche un collegamento della sua tesi con teorie astrologiche.
L'astrologia vedeva una connessione tra pianeti, costellazioni e le
qualità e i destini dell'uomo sulla terra. Così - per es. - il pianeta
rossiccio al quale veniva attribuito il nome di Marte (il dio della
guerra) influenzava tutti coloro che erano nati sotto il suo dominio: tali
uomini sarebbero stati collerici e predestinati a essere soldati. Il
pianeta più veloce nei suoi movimenti era chiamato Mercurio, come il
lesto messaggero degli dei olimpici: sotto il suo influsso sarebbero nati
gli uomini più industriosi, dediti al commercio, alle arti, allo studio.
Ebbene, nel Rinascimento il patrono degli artisti e degli studiosi non fu
più Mercurio, ma Saturno, il dio meditabondo e solitario, e i soggetti
malinconici vennero qualificati come saturnini. Tutto questo fu
opera del Ficino.
8 ) II
detto di Schopenhauer secondo il quale «il genio è più prossimo alla
pazzia dell'intelligenza media» è un tipico esempio di
un'interpretazione decontestualizzata del detto di Seneca. Cfr. R. e M.
wittkower, Nati sotto Saturno, tr. it. Torino 1968, p. 113. -
9 ) Si veda al riguardo l'erotica platonica
esposta nel Fedro.
10 ) R. e M. wittkower, op. cit., p. 117.
181
parte terza 2. le INDICAZIONI DELL'ESPERIENZA
Se si considerano le opinioni degli psicologi e degli
psichiatri a riguardo del rapporto malinconia-follia-genialità, si
riscontrano pareri assai discordi. Da un lato vi sono i sostenitori della
connessione stretta," dall'altro gli oppositori, che vedono nel gemo
in qualche modo il culmine dell'equilibrio e della perfezione morale e
intellettuale, mentre la psicosi non è creativa di nulla.12 .
,
E dunque spontaneo ricondurre tale rapporto a un semplice
assemblaggio di ordine culturale in qualche modo ormai assurto a mito;
ma non bisogna neppure dimenticare che il mito stesso ha
sempre una funzione rappresentativa, intensificatrice di un qualche dato
di fatto. Così è anche per il rapporto tra genialità - o comunque
eccellenza nell'ordine artistico e intellettuale e malinconia.
Evidentemente non si tratta di una relazione necessaria, di stretta
dipendenza causale - per così dire -, ma di semplice disposizione.
Un'indole pensosa, meditativo-contemplativa, è in un
certo senso l'aspetto temperamentale e materiale richiesto, quasi a modo
di condizione ad melius esse, dello stesso spirito metafisico, che
ha poi diverse modalità espressive: teoretiche ed estetiche. Il sapere
metafisico, infatti, (intendendo con questo termine una conoscenza
importante della struttura globale e del senso profondo delle cose) unisce
in sé con equilibrio il rigore inquisitivo della ricerca e la profondità
dell'interesse. ;. .
E un sapere meditativo, animato dalla véra curiosità,
cioè dalla ricerca del sapere per il sapere e non del sapere per
«aver-saputo».13 E un sapere contemplativo, cioè interessato
alla profondità del contenuto, il che è sempre accompagnato da un
invincibile stupore ammirativo.^ • • : :
Ebbene, tale indole è riscontrabile principalmente in
un soggetto malinconico, caratterizzato appunto da una certa introversione
silente (meditativo), moderatamente malinconica (contemplativo^ tristezza
") Moreau, Lombroso, Moebius.
12 ) Pelman, Frankl. Cfr. R. e M. wittk.otor, op.
cit., pp. 113-114.
") Cfr. M. heidegger, Essere e tempo,
tr. it. Torino 1970, § 36.
H ) «Prima et maxima contemplatio est admiratio
maiestatis», S. bernardq, De
Consideratione, 5, 14; eh. S. tommaso D'Ao., S.
Th., I-II, 41, 4, ad 5; II-II, 180, 3,
ad 3.
182
Arte e malinconia
per il limite del bene presente e nostalgia della
sua illimitata pienezza.15
Al di là di questa valutazione, più frutto di esperienza
che di rigorosa analisi teorica, non pare si possa effettivamente e
onestamente andare.
Anche la casistica, che solitamente viene elencata a
testimonianza dell'abbinamento in questione - casistica che già sul piano
dei termini implicati è evidentemente equivoca per le variazioni
semantiche culturalmente o ambientalmente determinate -, è più una
rassegna oggetti-vamente suggestiva che un vero e proprio argomento.
E così Dùrer fu definito da Melantone come Melancholicus,
perfèttamente raffigurato dalla sua incisione dal titolo Melancholia
I: un angelo meditabondo, circondato da strumenti di precisione
geometrica e di un valore profondamente allegorico.16
La malinconicità di Michelangelo fu addirittura oggetto
di riflessione dello stesso artista che la immortalò in questo sonetto
autobiografico: «La mia allegrez'è maninconia/ E '1 mio riposo son
questi disagi».17
Lo stesso Raffaello ci offre una sua interpretazione della
malinconia di Michelangelo, dipingendolo raccolto in meditazioni
solitàrie nella sua Scuola d'Atene, secondo i canoni iconografici
della Malinconia.18
Autori come Ugo Van der Goes, Annibale Carracci, il
Mastelletta sono oggetto di descrizioni che mescolano l'argomento
«topico» e la vera e propria patologia,19 e la loro
considerazione ci porterebbe troppo lontano dall'assunto.
Ciò che qui conta rilevare è che un animo moderatamente
malinconico - e quindi non patologicamente squalificato - è in una
condizione privilegiata quanto all'intuitività e al rigore che devono
guidare l'espressione artistica.
") Un esempio estetico di questo si può trovare - a
nostro parere - nel contrappunto XVIII de L'arte della fuga di J.
S. Bach: una fuga incompiuta o tronca (casualmente o volontariamente
tale?), il cui terzo soggetto inizia con le note che nella nomen» datura
musicale tedesca formano il nome bach, e che evoca un anelito metafisico
all'infinito, per cui si autotrascende.
16 ) Cfr. panofski-saxl, Durer's «Melancholia»
I, cit.
17 ) Cit. in wittkower, op. cit., p. 38.
18 ) Cfr. redig de campos, Raffaello e
Michelangelo, Roma 1946. ") Cfr. wittkower, op. cit., pp.
123-133.
183
parte terza B) Arte e tristezza
1. la FUNZIONE CATARTICA DELL'ARTE
«Secondo noi la musica non va praticata per un unico tipo
di beneficio che da essa può derivare, ma per usi molteplici, perché
può servire per l'educazione, per procurare la catarsi ... e in terzo
luogo per il riposo, il sollevamento dell'animo e la sospensione dalle
fatiche».20
Così si esprime Aristotele nell'ottavo libro della Politica,
descrivendo gli effetti che la musica ottiene sull'animo dell'ascoltatore.
Tra di essi quello che va sottolineato, in relazione al nostro tema, è
indicato dal termine catarsi.11 Con questo termine
Aristotele vuole indicare la purificazione che l'opera d'arte
compie nello spirito di colui che la contempla. , , .
Ma in che cosa consiste questa purificazione e qua! è la
ragione del potere catartico dell'arte?
Nel libro della Poetica, Aristotele definendo la
tragedia ne rileva l'effetto di sollevare e purificare l'animo dalle
passioni.22 Gli studiosi hanno messo in evidenza l'ambiguità
dell'espressione aristotelica. Essa ha una caratterizzazione di ordine
morale, oppure di tipo semplicemente fisiologico?23 E una
purificazione delle passioni o una purificazione dalle
passioni?
20 )
aristotele, Politica, 8, 7, 1341 b 32 (tr. it. A. Viano).
21 ) II termine greco kàtharsis significa
appunto purificazione. Nell'uso classico vengono distinti ben tré
livelli di applicazione. 1) A livello magico-religioso la k. consiste
nella liberazione dal male, inteso come impurità, attraverso la
partecipazione ai culti misterici che consentono di ottenere la salvezza
(si vedano al riguardo i culti orfici dell'antica Grecia); 2) a livello
filosofico-razionale la k. è di ordine puramente intellettivo:
il sapere filosofìco è la vera purificazione che
introduce alla felicità (così Fiatone nel Fedone 69, a-b); 3) a
livello poetico-estetico, la k. è la purificazione prodotta dall'arte e
si colloca su un piano evidentemente emotivo-passionale (è questo il
livello considerato da Aristotele); cfr. il termine Catarsi in G.
reale, Storia della filosofia antica, Milano 1980, V (Lessico), pp.
45-46. Anche nel periodo moderno la catarsi estetica è stata teorizzata
da diverse angolature prospettiche e con differenti interpretaziom. 1) La
catarsi artistica come liberazione dal sensibile verso la pura
razionalità è l'ideale estetico di Schiller. 2) La catarsi artistica
come immersione metafisica e contatto con l'assoluta in-seità delle cose
è la proposta del misticismo schopenhaueriano. 3) La sublimazione degli
istinti è la versione psicanalitica della catarsi artistica. Cfr. G.
flores D'ARCAR, Catarsi, in Enciclopedia filosofica, Firenze
1968.
n ) Cfr. aristotele, Poetica, 6, 1449 b
24-28.
23 ) Cfr. W. J. verdenius, Kàtharsis tòn
pathemàton, in AA. W., Autour i'Ari-state, Louvain
1955, pp. 367-373.
184
Arte e malinconia
In altri termini: si tratta di una sublimazione
delle passioni per eliminazione di ciò che in esse c'è di negativo in
senso morale, oppure una rimozione delle passioni stesse in senso
fisiologico?
A giudizio di G. Reale, la catarsi aristotelica non può
essere ridotta totalmente a questi due estremi interpretativi. In certo
modo sarebbe possibile che «Aristotele intravvedesse in quella piacevole
liberazione operata dall'arte qualcosa di analogo a quello che noi oggi
chiamiamo "piacere estetico"».24 E in effetti, se si
prende in considerazione lo sviluppo contestuale dell'affermazione
aristotelica della Politica - sopra riportata -, si nota come il
filosofo cerchi di operare una certa distinzione tra la catarsi e i
due piani menzionati.
Una cosa è la funzione pedagogica dell'arte, altra cosa
quella fisiologica, come il sollevamento dell'animo, altra ancora è la
funzione catartica.
«Da tutte queste considerazioni evidentemente risulta che
bisogna far uso di tutte le armonie, ma non di tutte allo stesso modo,
impiegando per l'educazione quelle che hanno un maggior contenuto morale,
per l'ascolto di musiche eseguite da altri quelle che inclinano all'azione
o ispirano la commozione. E queste emozioni come pietà, paura,
entusiasmo, che in alcuni hanno una forte risonanza, si manifestano però
in tutti, sebbene in alcuni di più e in altri di meno. E tuttavia vediamo
che quando alcuni, che sono fortemente scossi da esse, odono canti sacri
che impressionano l'anima, allora si trovano nelle condizioni di chi è
stato risanato o purificato. Ea stessa cosa vale necessariamente per i
sentimenti di pietà, di paura e in genere per tutti i sentimenti e gli
affetti di cui abbiamo parlato, che possono prodursi in chiunque per quel
tanto per cui ciascuno ne ha bisogno: perché tutti possono provare una
purificazione e un piacevole alleggerimento. Analogamente, le musiche
particolarmente adatte a produrre purificazione danno agli uomini una
innocente gioia».25
D'altra parte però non si deve neppure trascurare il
fatto che comunque le passioni non sono per sé contrarie alle virtù
morali nella concezione aristotelica. Esse sono infatti la materia che
riceve la pro-
24 ) G.
reale, Storia della filosofia antica, cit., II, p. 452.
25 ) aristotele, Politica, 8, 8, 1341 b
35-1342 a 16 (tr. A. Viano). La stessa distinzióne si può rintracciare
anche in questo altro passo: «II flauto non è strumento che favorisca le
qualità morali, ma suscita piuttosto emozioni sfrenate, tanto che lo si
deve usare soltanto in quelle occasioni in cui l'ascolto di esso produce
catarsi più che accrescimento di sapere», Politica, 8, 6, 1341 a
21-24 (tr. A. Viano).
185
parte terza
pria informazione dalla razionalizzazione intrinseca
apportata dalle virtù morali.
In questo senso si può, anche rintracciare una dimensione
morale di questa, purificazione dei sentimenti: nella passione
razionalmente purificata dall'esperienza estetica rifulge quella
universalità e, dignità evocatrice della virtù.26
E proprio in questa dimensione di universalità, in certo
modo concretizzata o sensibilmente mediata, che si radica il potere
terapeutico dell'arte. . ,
Per Aristotele l'arte non è semplicemente l'imitazione
di cose reali, ma comprende in sé il possibile e in questo senso supera
la pura dimensione empirica.
Mentre lo storico descrive le cose accadute,il poeta
descrive le cose che possono accadere (cioè le cose possibili),
«secondo le leggi della verisimiglianza o della necessità».27
In qualche modo la poesia rappresenta l'universale nel particolare,
attraverso una logica interna, una necessità che rendono verosimili le
cose narrate.
Per questo motivo la poesia partecipa del carattere della
filosofia, che si occupa dell'universale. «E proprio in questo sollevare
la cosa all'universale che risiede il valore dell'arte e la sua funzione
chiarificatri-ce e purificatrice».28
Ebbene, l'arte come tale - anche se non consta che
Aristotele abbia esteso o applicato il suo concetto di catarsi anche alle
arti figurative -, in forza della sua simmetria, è generatrice di
purificazione.29
Si può anche osservare che l'effetto catartico dell'arte
si radica certamente nel potere universalizzante dell'espressione
artistica, ma non va trascurato neppure il meccanismo per così dire riflessivo
dello strumento estetico. L'arte in qualche modo purifica le passioni in
quanto sostituisce all'oggetto dell'emozione l'emozione stessa: essa fa
riflettere l'emozione su se stessa.
Se la passione si dirige immediatamente alla cosa o alla
persona che suscitano amore o odio, timore o speranza, gioia 9 tristezza,
l'arte pilota con la sua razionalità concreta (insieme dì eventi
collegati tra
26 )
Cfr. C. mazzantini, L'estetica nel pensiero classico, in Grande
antologia filo-sofica, Milano 1970, II, p. 187. , , ...-. . -, • ,
27 ) aristotele, Poetica, 7, 1451 a-b (tr. M.
Valgimigli). . :
2S ) U. spirito, Estetica, in Enciclopedia
universale dell'drtei Venezia-Roma 1963,
V,,col. 72. . , , ., ,. ^ !
29) Cfr. B. gentili, A. plebe, La critica
dell'arte nel mondo occidentale, in Encicl.
univ. dell'arte, cit., IV, col. 1134. . . ,
186
Arte e malinconia
loro in modo logico e verosimile — come nella tragedia;
oppure con suoni aritmeticamente armonizzati ed evocativi sul piano
dell'immaginazione - come nella musica) la passione verso la sua stessa
essenza rappresentandola, oggettivandola.30
Evidentemente, anche nel caso della tristezza, la
purificazione può verificarsi attraverso il piacere estetico.
Tra i vari rimedi che S. Tommaso d'Aquino propone come
terapia per la tristezza - oltre al pianto, il sonno e i bagni - si
trovano la compassione degli amici e la contemplazione.^
La compassione, come solidarietà nel dolore, è in un
certo senso una condivisione del medesimo peso, il quale risulta perciò
meno gravoso; come segno dell'amore che altri nutrono per noi, ci fa
avvertire un bene che in qualche modo è in noi, il che è fonte di gioia.32
Ma non soltanto la compassione altrui allevia la
malinconia; la nostra stessa compassione può essere generatrice di quel
diletto che purifica la tristezza rendendola indirettamente fonte di
piacere. «Lo stesso dolore può essere indirettamente piacevole, in
quanto è accompagnato dall'ammirazione, come negli spettacoli; oppure
perché fa ricordare una cosa amata e fa sentire l'amore di essa, per la
cui mancanza si prova dolore. Quindi, siccome l'amore è piacevole, anche
il dolore e tutte le altre cose che dall'amore derivano sono piacevoli, in
quanto in essi si percepisce l'amore. E per questo motivo può essere
piacevole anche il dolore negli spettacoli, giacché in esso si fa sentire
un qualche amore concepito verso i personaggi ricordati».33
Dal punto di vista dell'oggetto, la tristezza può essere
dunque fonte di piacere per l'ammirazione che accompagna la conoscenza
della sofferenza: l'ammirazione infatti è un desiderio unito alla
speranza, che sempre è motivo di gioia per la certezza della reale
presenza del bene.34
La rappresentazione tragica, dunque, - secondo S. Tommaso
— svolge in questo modo la sua funzione catartica. Si può dire così
che l'esperienza estetica è una cura della passione attraverso lo stesso
materiale passionale razionalmente controllato, o meglio ancora subli-
30 )
Cfr. N. abbagnano, Aristotele, in id., Storia della filosofia,
Torino 1982, I, pp. 177-179.
") Cfr. S. Th., I-II, 38, 3-4.
32 ) Cfr. G. barzaghi, La «passio
tristitiae»..., cit. p. 68 e in questo volume. . 33) S.
Th., I-II, 35, 3, ad 2.
34 ) Cfr. S. Th., I-II, 32, 3, ad 3. G.
barzaghi, La «passio tristitiae»..., cit., pp. 57-58 e in questo
volume.
187
parte terza
mato : la terapia per la tristezza, in qualche caso, può
essere la stessa tristezza come occasione dell'amore, o più precisamente
la profondità dell'amore scoperta da una simpatia malinconica.
2. il BELLO E LA CONTEMPLAZIONE
Come abbiamo detto, anche la contemplazione è,
secondo S. Tommaso, uno dei rimedi per la tristezza, perché il piacere
che l'accompagna, in qualche misura, ridonda dallo spirito sulla
sensibilità.35 ' '' ;
E siccome la contemplazione ha un orientamento
radicalmente estetico, per mezzo di essa si può sviluppare la funzione
catartica dell'arte nei confronti della tristezza.
Per contemplazione si intende un semplice compiacimento
conoscitivo rispetto a un oggetto immediatamente dato, cioè senza
ispezione discorsiva: è un indugiare spontaneo e senza tedio nella
considerazione di ciò che si percepisce come conveniente.
Per questo motivo non c'è contemplazione che non abbia
per oggetto il bello, o, se si vuole, l'aspetto per il quale le cose sono
belle. La bellezza, infatti, è il segno per eccellenza della pura gratuità,
e la contemplazione non è una ricerca dell'utile, un giudizio di valore
sul bene onestamente conseguibile, o il desiderio del piacevole come tale,
ma il puro compiacimento nel riconoscimento del bene perché è tale.
Il bello ha, per cosi dire, un'ossatura metafisica
ben ancorata alla struttura del reale, tanto da esserne una proprietà trascendentale
- come dicono i filosofi scolastici -: il bello è cioè una
caratteristica o proprietà dell'ente in quanto ente, è un modo speciale
di significare l'ente, e come tale è coestensivo a ogni cosa.36
Il bello ha tré condizioni: integrità, debita
proporzione e chiarezza.
^'integrità è sinonimo di perfezione, la debita
proporzione è la consonanza che lega le diverse parti di un tutto tra
loro, per riferimento a ciò che in esso è primo e principale (è la
razionalità del bello);
la chiarezza (claritas) è il livello formale del
bello. Il pulchrum si distingue dagli altri trascendentali (ente,
uno, cosa, vero, bene) proprio perché è il riconoscimento chiaro
della perfezione e della bontà dell'ente.
35 ) Cfr. S. Th:, I-II, 38, 4.
36 ) G.
bakzaghi, Metafisica della cultura cristiana, Bologna 1990, pp.
189-190.
188
Arte e malinconia
«Belle sono quelle cose che viste piacciono» dice S.
Tommaso;37 il bello è lo stesso bene in quanto presente a una
facoltà conoscitiva e non al desiderio. Proprio per questo esso implica
una razionalità intrinseca: quella debita proporzione che è l'ordine
oggettivo apprezzato dalla facoltà dell'ordine che è l'intelligenza.
Dice J. Maritain: «Se la bellezza da diletto ai sensi, è
perché essa è essenzialmente una certa eccellenza o perfezione nella
proporzione delle cose all'intelligenza. Da ciò le tré condizioni che S.
Tommaso le attribuiva: integrità, perché l'intelligenza ama l'essere,
proporzione, perché l'intelligenza ama l'ordine e ama l'unità, infine, e
soprattutto, splendore o chiarità, perché l'intelligenza ama la luce e
l'intelligibilità».38
Così S. Tommaso insegna che nella «vita contemplativa,
che consiste nell'atto della ragione, la bellezza si trova essenzialmente
e di per sé», perché la bellezza consiste in una certa chiarezza e
debita proporzione.39
Ebbene, il bello connaturale all'uomo è quello che attrae
l'intelligenza attraverso i sensi. E l'arte, l'arte del bello, plasma la
materia sensibile per infondervi quella forma di integrità, proporzione e
chiarezza che causa la gioia dello spirito.
Anche le proprietà dell'arte bella sono la gratuità
e il puro diletto, perché la bellezza ha natura di fine e non di
mezzo.
Così, secondo i suoi diversi livelli (liberale e
meccanico),40 l'arte bella o del bello - come i suoi prodotti
-, esprime nelle diverse mate-
37 ) S.
Th, I, 5, 4 ad 1.
3S ) J. maritain, Arte e Scolastica, tr. it.
Broscia 1980, p. 25.
39 ) S. Th., II-II, 180, 2, ad 3.
w ) Le arti belle o del bello si dicono liberali
perche richiedono il semplice lavoro dell'anima e sono finalizzate al puro
diletto; esse si distinguono dalle arti servili o meccaniche, le
quali richiedono il lavoro del corpo, che è a servizio dell'anima, e sono
finalizzate alla utilità vitale (es. medicina, ginnastica, agricoltura,
zootecnia, industria, arti-gianato ecc.). Ma le arti liberali non si
identificano semplicemente con le arti del bello. Le arti liberali sono
quelle che perfezionano l'esercizio della ragione in due modi;
direttamente e indirettamente.
I) In modo diretto, abbiamo le arti liberali che
perfezionano intrinsecamente la ragione nel suo esercizio, oppure quelle
che la perfezionano per estensione all'operazione della fantasia. A)
Intrinsecamente sono arti liberali le arti scientifiche, come la logica
(rispetto al rigore dell'argomentare), la grammatica (rispetto alla
correttezza dell'espressione), la retorica (rispetto alla
persuasività dell'argomentare), e le discipline matematiche pure,
cioè {'aritmetica e la geometria (rispetto alla facilità
dell'argomentare). B) Per estensione all'operazione della fantasia,
abbiamo le vere arti belle.
II) Sono indirettamente arti liberali quelle che
perfezionano l'esercizio della ragione rispetto alle facoltà sensitive
che dispongono alla conoscenza razionale e in dipendenza da essa. A questa
classe appartengono la metodologia o topica, che si
riferisce in-
189
parte TER2A
rie, con rigore (razionalità) e fantasia (profondità
evocativa), quell'%-niversale concreto — l'opera d'arte - che è
sintesi di valori spirituali e riflesso dell'assoluto.
E proprio questo contatto con l'assoluto che libera
l'animo da quel gravame (tristezza) nato dall'impedimento della
fruizione del bene da parte della volontà.41
In perfetto connubio e senza antagonismo, l'elemento apollineo
(solarità) e quello dionisiaco (oscurità) si coallzzano in
questa operazione terapeutica. . ; ,
Quanto all'elemento apollineo, abbiamo la condizione di
universalità dell'opera d'arte. L'arte, quanto al concepimento, è
l'estensione dell'ordine logico alla fantasia: è questa l'espressione del
rigore, della
sieme alla fantasia e alla cogitativa (ragione
particolare), e la mnemotecnica, che riguarda la memoria sensitiva.
Ma le arti belle si rapportano al bello connaturale
all'uomo, cioè al bello di ordine sensibile, e quindi implicano una
traduzione fìsica o - come si è detto - meccanica..- In questo
senso si distingue tra arti belle che sono liberali per sé e meccaniche
per estensione, e arti belle che sono meccaniche per sé e liberali quanto
al concepimento e alla finalità.
I) L'arte bella liberale per sé e meccanica per
estensione può riguardare la parola o i suoni.
A) Quanto alla parola abbiamo la poesia, che
descrive appunto con parola ritmata, immaginosa, carica d'affetto e di
pensiero, la vita del poeta stesso o la vita altrui. 1) Nel caso della
vita dello stesso poeta abbiamo la poesia lirica. 2) Nel caso della
vita di altri si possono dare: a) la.p. narrativa e b) la.p.
drammatica, cioè con azione rappresentata: la tragedia (grandi
passioni e grandi caratteri) e la commedia (piccole passioni e
caratteri medi).
B) Quanto ai suoni, abbiamo la musica, che descrive
e suscita gli affetti attraverso una disposizione ritmica, cioè
simmetrica, di suoni diversi successivi (^melodia, che da il disegno del
componimento) e simultanei (= armonia, che da il colore alla
composizione). Dal punto di vista teorico, la musica è una scienza
subalterna all'aritmetica, perché ne applica le leggi al mondo dei suoni.
II) L'arte bella meccanica per sé e liberale quanto al
concepimento e alla finalità si realizza secondo la forma e la figura
visiva nel colore, nella massa e nello spazio.
A) Nel colore abbiamo la. pittura e la. fotografia (dal
punto di vista statico) e la cinematografia (dal punto di vista
dinamico), che ritraggono il reale su superficie piana e colorata,
investendolo di un aspetto ideale e emotivo.
B) Nella massa si sottodistinguono: 1) la scultura,
che ne sfrutta l'aspetto statico, ritraendo la persona umana nel solido,
secondo un aspetto ideale; 2) la dama, che sfrutta l'aspetto
dinamico della massa, aggiungendo alla funzione della scultura
la carica drammatica (azione).
C) Nello spazio si da Y architettura, che abbraccia
lo spazio situandolo, cioè stabilendo il giusto ordine delle parti nel
luogo.
Occorre notare che queste arti, quanto alla teoria, si
subalternano alla geometria, applicandone le conclusioni e le leggi alle
tré materie indicate.
41 ) In senso metaforico, l'anima si dice aggravata
per il fatto che la volontà è impedita nel suo moto verso il bene dalla
presenza di un male che l'appesantisce e le impedisce la fruizione del
bene.
190
Arte e malinconia
scientificità e della sistematicità (aspetto formale
dello spirito artistico).
Quanto all'elemento dionisiaco, abbiamo la condizione di
concretezza dell'opera d'arte. La fantasia immerge lo spirito nel
particolare concreto, creando le premesse di una conoscenza per connaturalità
e simpatia: è questa l'espressione dell'interesse, della
problematicità, dell'ispirazione (aspetto materiale dello spirito
artistico).
In questo modo, nella contemplazione estetica la passione
della tristezza è purificata e non soppressa, perché diviene essa stessa
strumento, quasi dispositivo, di vera liberazione: la mistica
tellurico-dionisiaca della malinconia introduce, attraverso la mistica
solare-apollinea della razionalità, all'accoglienza dell'umano come tale,
in una specie di redenzione estetica naturale.
Conclusione
Da questo breve studio risulta in sintesi quanto segue.
1) Tra arte e malinconia si da un rapporto importante,
anche se dai contorni non sempre evidenti, anzi in certo modo misteriosi,
come misteriosa è la profondità dell'animo umano che presiede ad
entrambe le espressioni.
2) Anche se non è possibile determinare in senso
rigoroso sul piano psicologico le precise modalità dell'influsso della
malinconia sulla genialità, o comunque eccellenza, dell'ispirazione
artistica, tuttavia esistono delle ragioni di convenienza che
mostrano la plausibilità di ciò che i classici avevano
empiricamente constatato. In un certo qual modo, il temperamento
malinconico è una condizione privilegiata dello spirito metafisico
dell'artista.
3) E tanto profondo il legame tra situazione emotiva e
espressione artistica, che la prima può ricevere, per la guarigione dei
suoi eccessi, un'azione terapeutica da parte della seconda, senza essere
per nulla cancellata e squalificata. Esiste una purificazione della
malinconia attraverso la pura contemplazione estetica.
4) Solo in un'analisi di tipo realista, che tenga
fermi tutti gli elementi che costituiscono l'integralità dell'umano —
cioè senza sbandamenti di tipo spiritualistico o materialistico - è
possibile cogliere e delineare con sufficiente pertinenza la ricchezza del
rapporto psicologi-co-estetico - nel caso proposto - tra passione della
tristezza e bellezza artistica.
191
parte terza
E proprio nell'umile realismo filosofico di S. Tommaso
d'Aquino che si possono rintracciare i princìpi fondamentali di questa
indagine, perché in esso l'anima umana è vista come il confine e {'orizzonte
tra il materiale e lo spirituale. «Si dice che l'anima intellettuale è
quasi un certo orizzonte e confine tra le cose corporee e
quelle incorporee, perché è sostanza incorporea, eppure forma del
corpo».42
42) Contro Gentes, II, 68.
192
LE BASI E I METODI DELLA PERSUASIONE.
TRA COSCIENZA MODERNA E NUOVA EVANGELIZZAZIONE»
Aspetto teorico fondativo
la COSCIENZA
Non c'è convinzione che non richieda evidenza e non c'è
evidenza che non susciti convinzione; eppure i nostri convincimenti non
sono sempre persuasivi e la persuasione provoca o accresce l'assenso della
mente più di quanto possa a volte l'evidenza teoretica.
Per questo esistono opinioni epocali che tengon testa alla
scientificità più rigorosa e anzi, non di rado, la fondano e la
sostengono: così che la sensibilità, da antagonista oscura della
ragione, se ne fa all'occasione culla o stimolo impellente.
E quanto più la scienza o la razionalità scientifica si
approssimano per via obiettiva a ciò che è appannaggio della
deliberazione e della scelta - o di ciò che in qualche modo può
rientrare nel loro orizzonte -dimettono per forza o per avvedutezza il
connaturale rigore, per declinarsi in ciò che è contingente o probabile
con fantasia dialettica.
E questo l'alveo tipico della coscienza, cioè
dell'applicazione della scienza (nel senso generale di conoscenza)
all'agire.' In esso, il testificare, il sollecitare, il legare o
obbligare, l'accusare, rimordere o scusare si sviluppano quasi come in una
quintessenza che aleggia tra la necessità della norma, la libertà
del progetto, le determinazioni dell'ente e le varianti situazionali.
La coscienza è un giudizio valutativo della
ragione che esprime una «sintesi personale» fatta di esperienza,
temperamento, convincimenti critici e soprattutto persuasioni radicali.
*) In «Divus Thomas» 2 (1992). ') Cfr. S. tommaso
d'aquino, 5. Th., I,. 79, 13.
193
parte terza
Come tale, essa non rappresenta una facoltà, ma è quasi
il risultato attuale e sintetico dell'attività di diverse facoltà, unite
in un giudizio assiologico.
La coscienza morale è propriamente un giudizio valutativo
circa il bene o il male in concreto, la bontà o malizia di un atto.2
La diversa intensità e valenza di tale giudizio da individuo a individuo
e, nello stesso individuo, secondo le tappe della sua evoluzione
psicologica, fatta di forza temperamentale, educazione, consuetudini
ambientali, esperienza storica, intense intuizioni spirituali e violente
emozioni, è dovuta al condensamento vitale di tali diverse istanze.
E perciò evidente che la coscienza morale è in qualche
modo il cuore della cultura di una persona, perché è proprio la cultura,
nel senso passivo o possessivo del termine,3 che realizza
formalmente detto condensamento.
La cultura è il complesso degli habitus, cioè di
quelle qualità della prima specie, che affinano le varie facoltà (o
anche l'organismo generale dell'uomo, come habitus entitativi) che
sono perfettibili nel com-
2 ) II
giudizio di coscienza ha più le caratteristiche di una «definizione»
che di una «intimazione»; è più un vedere imparziale che un comando.
In questo modo, esso si distingue dal giudizio di scelta o dall'imperium
prudenziale. Cfr. P. noble, La coscienza morale e le leggi del suo
sviluppo morale, Torino 1926, p. 16, n. 1. Per i diversi modi con i
quali viene concepita la coscienza morale, si veda la seguente
letteratura: A. moli-naro-a. valsecchi, La coscienza, Bologna 1971;
C. E. nelson (ed. by), Conscience. Theological and Psychological
Perspective, New York 1973; L. elders, La doctrine de la conscience
de S. Thomas d'Aquin, in «Revue Thomiste», 83 (1983), pp. 533-557;
S. privitera, La coscienza. Temi etici nella storia, Bologna 1986;
E. kaczynski, La coscienza morale nella teologia cattolica, in
«Angelicum» 1 (1991), pp. 65-94.
3 ) Distinguiamo tré significati del termine
cultura: 1) Attivo = Cultura come lavoro di coltivazione della
natura umana, in vista del suo perfezionamento (causa efficiente). 2)
Passivo = Cultura dal punto di vista soggettivo, cioè la perfezione
stessa o lo stato di possesso dell'insieme di quelle perfezioni che
è termine della cultura come azione. In questo senso, la cultura è, a un
tempo, a) il risultato, il possesso ontologico di ordine
qualitativo (causa formale intrinseca); b) la meta (causa finale) e
e) il modello ideale dell'azione culturale (causa esemplare
estrinseca o esemplare). 3) Obiettivo-strumentale = Insieme dei mezzi e
degli oggetti attraverso i quali si acquista, si conserva, si manifesta,
si comunica e si trasmette la perfezione umana. La concezione classica di
cultura racchiude implicitamente in sé questi tré significati; la
concezione moderna aggiunge la caratterizzazione sociale; la concezione
dell'antropologia contemporanea si innesta nel punto di vista sociologico
e assume esclusivamente il terzo di questi significati, prescindendo però
dalla qualificazione assiologica che esso desume dalla presenza del
termine «perfezione umana». Il significato completo e esauriente di cultura
deve dunque comprendere l'integralità di questi fattori, anche se quello
principale è quello passivo-soggettivo. Cfr. G. barzaghi, Metafisica
della cultura cristiana, Bologna 1990.
194
Le basi e i metodi della persuasione
pimento delle loro operazioni e indeterminate quanto alla
diversificata varietà di queste stesse (molteplici per numero e secondo
il modo).4
Ebbene, gli habitus sono la cultura umana non
soltanto perché perfezionano l'uomo nella sua integralità di anima e di
corpo, ma anche perché rappresentano il «tesoro» dell'attività umana,
coimplicandone la duplice dimensione di tradizione e di progresso. Essi
infatti si propongono, a un tempo, come sintesi della vita umana e comeprinci-.pio
del suo vero progresso, sia nell'ordine individuale, che in quello
sociale.
Gli habitus contengono tutta la vita umana:
passata, presente e futura.5
- Rispetto al passato gli habitus acquisiti fungono
da condensatori: in essi si trova condensata tutta l'attività
passata perché si generano per ripetizione degli atti corrispondenti, i
quali si trovano perciò condensati e accumulati in essi.
- Rispetto al presente, gli habitus sono usati
attraverso la deliberazione (si usano quando si vuole), che controlla hic
et nunc tutta l'attività umana in quanto tale.
- Rispetto al futuro, gli habitus attuano il
progressivo perfezionamento dell'attività umana, conferendo ad essa
prontezza, costanza, diletto, perché contengono sinteticamente tutta la
perfettibilità dell'uomo: ad essi compete la sua vera evoluzione.6
La coscienza non è dunque semplicemente l'applicazione
all'atto della scienza, ma di una scienza che ha una fisionomia culturale,
nel senso precisato.
La formazione e la guida della coscienza non è dunque una
pura rigorosa istruzione nozionale e neppure un'imposizione coercitiva. La
disciplina razionale deve essere sempre accompagnata dalle inclinazioni
emotive e dalle flessioni temperamentali di fondo, che fungono da plesso
connaturalizzante.
L'intimità più segreta e psicologicamente feconda della
personalità è educata attraverso un'opera di persuasione radicale, dove
la pura probabilità di ciò che è interessante e profondo prevale, a
volte, sul termalmente incontrovertibile.7
4) Per un esame fondativo di questa tesi e
un'analisi in dettaglio del complesso culturale secondo le diverse
facoltà, cfr. G. barzaghi, of. cit..
5 ) Cfr. S. ramirez, De habitibus in communi,
Madrid 1973, I, p. 5. ") Cfr. Ibid.; G. barzaghi, Cultura y
orden. Virtualidades y perspectivas delpen-samiento ramireziano, in
«Ciencia Tomista», t. 118, 385 (1991), pp. 331-347.
7 ) Per es. si possono dare delle argomentazioni
dimostrative metafisicamente incontrovertibili dell'esistenza del Dio
creatore, cioè intellettualmente cogenti, ma meno persuasive di alcune
esperienze esistenziali al riguardo.
195
parte terza
S. Tommaso dice che il procedimento della scienza morale
è razionale quanto al termine, cioè non rigorosamente risolutivo
e tale da rimanere in una certa opinabilità, dovuta all'assoluta
contingenza e all'infinita variabilità della materia considerata.8
Questo è l'ambito tipico della dialettica9 o
dell'argomentazione probabile.
L'argomentare dialettico ha per oggetto: il contingente
operabile in generale,10 come anche quei problemi che non
possono avere una soluzione scientifica o dimostrativa (es. eternità del
mondo);" tutte le problematiche che possono avere una soluzione
dimostrativa, ma che il dialettico si accontenta di ancorare a
proposizioni non immediate (o per se), perché ammesse come
evidenti dalla maggior parte degli uomini, o dai più sapienti. "Si
tratta di soluzioni per autorità13 o per segni probabili.14
L'argomentare dialettico procede a modo di ricerca15
e di tentativo,16 ponendo interrogativi sulle stesse premesse,
giacché non assume incontrovertibilmente l'una o l'altra parte della
contraddizione.'7
8) «Alio modo dicitur processus rationalis ex
termino, in quo sistitur procedendo. Ultimus enim terminus ad quem
rationis inquisitio perducere debet, est intellectus principiorum, in quae
resolvendo iudicamus; quod quidem quando fit, non dicitur processus vel
probatio naturalis, sed demonstratio. Quandoque autem inquisitio rationis
usque in ultimum terminum non perducit, sed sistitur in ipsa inquisitione,
quando scilicet quaerenti adhuc manet via ad utrumlibet; et hoc contingit,
quando per probabi-les rationes proceditur, quae natae sunt tacere
opinionem et fidem, non autem scien-tiam, sic rationalis processus
distinguitur contra demonstrativum». In B. Trin. 2, 2, 1, 1. S.
Tommaso precisa poi che questa modalità del processo razionale è propria
della scienza morale (cfr. Ibid., ad 3).
9 ) II termine dialettica è semanticamente
polivalente e quindi tendenzialmente equivoco. Esso può indicare {a.
prova per assurdo o confutazione (Zenone-Aristotele);
l'arte del contendere (Sofisti); il dialogo
ironico-maieutico (Socrate); la legge che regge il pensare e
l'essere (Fiatone); la parte della logica che si occupa delle argomentazioni
probabili (Aristotele); la triadicità dello sviluppo dell'essere con
la legge della manenza-uscita-ritorno (Proclo) ; l'ambito della antinomicità
della pura ragione (Kant) ; la teoria dell'oltrepassamento (Hegel).
In questo caso assumiamo il termine secondo la valenza aristotelica di logica
del probabile.
10 ) Cfr. S. tommaso D'Ao., S. Th.,1, 83, 1.
") Cfr. id., S. Th., I, 46, 1.
") Cfr. id., S. Th., I, 12, 7; 1 Post.,
1. 31.
3 ) Cfr. id. De Ver., 14, 2.
4 ) Cfr. id. S. Th., Ili, 9, 3. ,
5 ) Cfr. id. S. Th., 11-11, 51, 2 e 4; I-II,
57, 6, ad 3.
6 ) Cfr. id. 4 M et., 1.4.
7 ) Cfr. id. 1 Post., 11. 5 e 21.
196
Le basi e i metodi della persuasione
I princìpi assunti nell'argomentare dialettico sono
estranei alla natura delle cose,18 perché appartengono
comunemente al pensato in quanto pensato: sono i luoghi comuni - di
cui si parlerà più avanti -19 in contrapposizione a quelli propri
e dimostrativi.
D'altra parte, questo tipo di argomentazione è anche
quello più adeguato all'ambiente riflessivo o di fluire spirituale tipico
della coscienza. E il metodo più tipico del meditare, nel quale si
sintetizzano, appunto, profondità di interesse e una certa ricerca e
valutazione coinvolgenti non solo il ragionare, ma anche la sensibilità
umana in tutte le sue forme: soprattutto la memoria, oltre che
l'immaginazione, la cogitativa e il fascio temperamentale-passionale.20
18) Cfr. id., 1 Post., 1. 13; 4 Met.,
1. 4.
") Per es. si argomenta dialetticamente secondo il
luogo del genere e della specie quando dal fatto che Socrate è uomo si
prova che è animale, perché ciò di cui si predica la specie si predica
il genere; cfr. id., De fall., 4.
E interessante notare come nel vocabolario tecnico di S.
Tommaso l'uso del termine logicus non stia a indicare la
qualificazione rigorosa di un asserto o di un'argomentazione, quanto
invece la genericità degli stessi in opposizione a una valutazione naturale
o ontologica. Così si ha una definizione logica (definitio logica
vel dialettica} se si definisce attraverso la sola forma ciò che per
sé ha l'essere nella materia (per es. se si definisce la passione
dell'ira come desiderio di vendetta, quando nella realtà fisica essa
comporta un'alterazione fisiologica; cfr. 1 De anima, I. 2); oppure
se non si giunge con la definizione ai princìpi stessi della cosa, ma ci
si limita ad alcune condizioni comuni (per es. quando si definisce la
sostanza come ciò che non si predica di un soggetto, ma che riceve le
altre predicazioni; cfr. 7 Met., 1. 2), allora la definizione non
porta alla conoscenza degli accidenti propri di una cosa (cfr. 1 De
anima, 1. 1). Nella linea dell'argomentazione invece, la ragione o
prova logica (ratio sive probatio logica) si oppone alla prova
dimostrativa o analitica, giacché procede da princìpi comuni o probabili
e non da princìpi propri. Per es. se si argomenta la superiorità della
dimostrazione universale rispetto alla particolare per il fatto che ciò
che è universale è più conoscibile, si da una ragione logica, basata su
un medio comune a tutta la conoscenza e non proprio della conoscenza
dimostrativa. Se invece si adduce come motivo il fatto che ciò che è
universale, portando in sé immanente la propria passio
(proprietà), ne è la causa, allora si da una ragione analitica o
dimostrativa, perché riguarda propriamente la struttura tipica del sapere
dimostrativo (cfr. 1 Post., 1. 38).
Un altro esempio più evidente di prova logica o
dialettica si ha nel caso in cui si vo-. lesse provare che l'odio e
l'amore sono nell'appetito concupiscibile, perché i contrari hanno il
medesimo soggetto. Ci si trova di fronte a un argomento dialettico anche
nel caso in cui si usi un medio dimostrativo contingente per concludere a
ciò che è necessario, perché non si da omogeneità, e corrotto il medio
cessa la ragione della conoscenza della conclusione necessaria, così che
neppure precedentemente poteva essere considerata tale (cfr. 1 Post.,
1. 13): per es, dimostrare l'esistenza di Dio dalla bellezza dei fiori.
20 ) Cfr. G. barzaghi, La meditazione, Bologna
1992.
197
parte terza
la PERSUASIONE
II persuadere, come la divinità greca che lo simboleggia (Peitho),11
è la forza argomentativa della parola che «avvince senza
costringere», che «obbliga senza necessitare»:22 è il
connubio di pathos e di logos che fa breccia, a modo di
innovazione, negli stretti meccanismi ermeneutici della precomprensione.
Non che la persuasione si riduca a un camuffamento
sofistico di ragioni personali o emotive, sotto la veste argomentativa;23
ma certamente nell'argomentazione persuasiva ha grande importanza la
conte-stualizzazione particolare del discorso, il quale viene quindi
sempre più permeato o sorretto da fattori extrateoretici.
Secondo Perelman e OIbrechts-Tyteca, si dice persuasiva
«un'argomentazione che pretende di valere soltanto per un uditorio
particolare», convincente invece «è quella che si ritiene possa
ottenere l'adesione di ogni essere ragionevole».24
La retorica è appunto l'arte e la scienza che si occupa
della persuasione: Aristotele la definisce come «la facoltà di scoprire
in ogni argomento ciò che è in grado di persuadere».25
Le basi dell'argomentazione
Le basi dell'argomentazione persuasiva sono rappresentate
appunto dalla precomprensione del soggetto,26 cioè
dall'orizzonte di significanza all'interno del quale viene filtrata o
valutata la sensatezza e la comprensibilità di un contenuto, insieme alla
sua accettabilità. In questo contesto, con il termine precomprensione
intendiamo rife-
21 ) Peitho
e la dea della persuasione. Figlia di Oceano e Teti, è catalogata tra
le Oceanidi (cfr. esiodo, Teogonia, 349). Essa rappresenta
specialmente la persuasione d'amore e perciò è abbinata spesso ad
Afrodite. Cfr. F. W. hamdorf, Griechische Kultpersonifikationen der
Vorhellenistischen Zeit, Mainz 1964, pp. 63-64.
22 ) G. carchia, Che cosa significa
"persuaderei?, in AA. W., Gli stili (fell'argo-mentazione,
«Quaderni della Fondazione S. Carlo», 3 (1989), p. 39.
23 ) Cfr. G. dumas, Traité de psychologie,
Paris 1924, II, p. 740.
24 ) ch. perelmann e olbrechts-tyteca, Tratte de
l'argumentation. La nouvelle rhétorique, Paris 1958, tr. it. Torino
1976, I, p. 30. Con questa descrizione si intende superare la rigida
opposizione kantiana soggettivo-oggettivo che distingue nella credenza la
persuasione (soggettivo) dalla convinzione (oggettivo): cfr. I. kant, Critica
della ragion pura, tr. it. Bari 1975, II pp. 622-623.
25 ) aristotele, Retorica, tr. it. Bari 1973,
I, 1, 1355b, pp. 25-26.
26 ) Sul tema dell'ermeneutica si vedano: H.
G. gadamer, Verità e metodo, ti. it. Milano 1972; L.
pareyson, Verità e interpretazione, Milano 1971.
198
Le basi e i metodi della persuasione
rirci a ciò che Aristotele intende con il plesso dei
mezzi argomentativi tecnici sui quali ci si deve fondare per
persuadere.27
Nella precomprensione distinguiamo due livelli: uno
preculturale o naturale e uno culturale.
Il livello pre-rculturale o naturale, o di senso
comune, è l'ambito d,elle convinzioni. , . , .
Si tratta del primitivo livello di contatto tra
l'intelligenza umana e l'ordine delle, cose, neLquale avviene la scoperta
dei primi princìpi di ordine logica-ontologico: tutti radicati
analiticamente nella nozione di ente,28 quanto al loro statuto
teoretico, ma geneticamente connessi con l'esperienza, quanto ai termini
sui quali si articolano.29
27) Ecco un breve schema espositivo circa la nozione
di retorica in Aristotele.
I) La sua natura, è analoga a quella della
dialettica;
A) Quanto all'oggetto: essa si occupa di ciò che è
proprio di tutù gli uomini conoscere e non di una scienza specifica.
B) Quanto al\a funzione: essa elabora argomenti
probabili o opinabili/vedendo i mezzi di persuasione in ciascun
argomento probante (pistis) tecnico (cioè condotto con metodo e
non fattualmente dato).
II) II suo metodo tipico:
A) Genericamente parlando assume due classi di
mezzi persuasivi:
1) per V ambientazione condizionale del discorso
retorico: a) Yethos dell'oratore:
egli deve presentarsi come saggio, onesto e
benevolo per esser persuasivo; b) il pathos dell'uditorio: sono le
passioni da suscitare o da sfruttare per la persuasione.
2) per la strutturazione dello stesso discorso
retorico:
a) a livello formale:
— \'entimema o sillogismo retorico: espressione
concisa e sintetica (massima), a modo di sillogismo tronco (si tace una
premessa) che assume come princìpi i luoghi comuni (princìpi che possono
essere dialetticamente applicati a diverse materie e senza proprietà).
— L'esempio o induzione retorica: induzione
tronca. L'esempio può essere storico o inventato, come la parabola
o la favola.
b) a livello materiale con i momenti elaborativi
del discorso retorico: heuresis (inventio), oikonomia (dispositio),
lexis (elocutio), hypokritike (pronuntiatio). La memoria, come
quinto elemento, verrà aggiunta in epoca latina.
B) In modo specifico il metodo si determina
situazionalmente;
1) Nelle assemblee giudiziarie: genere giudiziario,
circa il giusto e l'ingiusto nel passato, difendendo e accusando.
2) Nelle assemblee deliberative: genere deliberativo,
circa l'utile e il dannoso nel futuro, consigliando e sconsigliando.
3) Nelle assemblee celebrative: genere epidittico,
circa il bello e il turp'e nel presente, lodando e biasimando.
2S ) Cfr. S. tommaso, C.G., II, 83; .De Ver.
1, 1; 8, 15; 11, 1 ad 12; 24, 1, ad 20;
S. Th., I, 55, 2; 1-11, 51, 1; 2 Sent.,,24, 2,
3.
—"') Cfr. id., 1 Post., 1. 30 (si veda anche
la nota dell'ed. Leonina a p. 259); 4 Met., 1. 6.
199
parte terza
Questi primi princìpi di ordine speculativo
(identità-non contraddizione; ragion sufficiente; causa efficiente e
finale) sono, per così dire, l'intelaiatura intelligibile e perciò la
chiave di lettura dell'ordine.
L'intelletto possibile riceve la sua prima determinazione
perfettiva dall'abito di questi princìpi, che accompagnano ogni
intelligenza in modo naturale e quindi, assolutamente parlando,
pre-culturale.
Questo rapporto di spontanea immediatezza tra l'ordine e
la ragione umana ha un primo diretto sbocco in quella originaria sapienza
e cultura irriflessa, sintetizzata nel senso comune. Con questa
espressione intendiamo quel complesso di certezze spontanee
dell'intelligenza umana, comuni a tutti gli uomini,30 e che
costituiscono in modo confuso una prima risposta alle principali
problematiche metafisiche, morali e religiose.31
Si tratta di uno stadio culturale primitivo, in quanto
nella sua naturalezza ha un che di istintivo.32 La stessa cosa
vale per l'ambito pratico, termalmente racchiuso nella sinderesi, o
abito dei primi princìpi morali, o abito della coscienza.
Dialetticamente parlando, a questo livello appartengono i
quadri argomentativi o luoghi comuni (topoi) universali, o schemi
all'interno dei quali sono virtualmente contenute le argomentazioni che
possono essere sviluppate comunemente - appunto - in qualsiasi materia
data.
Si tratta dei serbatoi da cui trarre (inventio) le
premesse per i sillogismi retorici. A questo livello, la loro applicazione
è ancora generale, pre-critica o pre-filosofica: questi princìpi possono
avere cioè un'applicazione generale e quindi dialettica - come appunto
nel senso comune -, oppure specifica e di riflessione, rispetto all'ente
come tale, e quindi di carattere filosofico e metafisico rigoroso.
Dal punto di vista della catalogaziene, nella Retorica
Aristotele elenca ventotto luoghi per gli entimemi reali e nove per quelli
apparenti.33 Nei Topici, egli raccoglie i luoghi sotto
cinque schemi o luoghi generali: genere, proprietà, accidente,
definizione, identità; perché questi sono i modi con i quali un
attributo si rapporta al soggetto di predicazione in una qualsiasi
giustificazione persuasiva.34
30) Cfr. id., C.G., II, 84.
31 )
Cfr. R. garrigou-lagunge, Le sens commun, Paris
19.22, p. 86.
32 ) Cfr. T. M. zigliara, Summit philosophica,
Paris 1902, I, p. 257.
33 ) Retorica, II, 23-24.
34 ) Topici, I, 4-8.
200
Le basi e i metodi della, persuasione
Nella teoria dell'argomentazione contemporanea - Perelman
-sono i luoghi che Aristotele raccoglie sotto lo schema dell'accidente
a richiamare l'attenzione: ciò che può appartenere o non appartenere a
un medesimo oggetto è anche la base per la comparazione tra oggetti, e
quindi è il fondamento delle gerarchle e delle valutazioni (es. se sia
più desiderabile il bello o l'utile).35
Perelman e OIbrechts-Tyteca operano un raggruppamento dei
luoghi comuni sotto sei idee o quadri più generali, distinguendo i luoghi
della quantità («quando una cosa vale più di un'altra per
ragioni quantitative»), della qualità (primato dell'unicità), dell'ordine
(primato del precedente sul successivo), dell'esistente (primato
dell'attuale sul possibile: «meglio un uovo oggi che una gallina
domani»), dell'es-senza (preminenza di ciò che raccoglie tutte le
caratteristiche tipologiche di un certo genere, per es. essere un Pico
della Mirandola per la memoria), della persona (preferibilità di
ciò che indica autosufficienza, merito).36
Sempre a questo livello universale appartengono i mezzi
persuasivi legati alla caratterizzazione etica di chi propone i contenuti:
condizione indispensabile per ottenere udienza è {'autorevolezza,
la quale raccoglie in sé le caratteristiche della saggezza
(nessuno ascolta chi vuole ingannare) e della benevolenza (nessuno
ascolta chi non desta il senso di disposizione all'amicizia).37
Il livello culturale o di senso ambientale,
differenziato progettualmente secondo diversi modelli o ideali, è
l'ambito delle persuasioni.
L'ideale o modello è l'esemplare a imitazione del quale
l'agente produce la forma nella materia conveniente. La forma intrinseca
della cultura umana è il complesso degli habitus che perfezionano
l'uomo nella sua totalità; dunque la causa esemplare o modello della
cultura umana {in fieri) deve trovarsi nell'ideale obiettivo di
perfezione umana. Esso corrisponde all'ideale umano.
Tuttavia, distinguendo tra l'ideale assunto nella sua
astrattezza formale e la sua concreta o materiale identificazione, è
possibile comprendere il costituirsi di diverse culture, nel senso
di diversi parametri ideali di comportamento, dettati da diverse «visioni
del mondo».
35 )
Cfr. Ibid.; perelman e olbrechts-tyieca, op. cit.. I, p. 90.
36 ) Cfr. perelman e olbrechts-tyteca, op. cit.,
I, pp. 91-104.
37 ) Cfr. la nota n. 27 di questo studio.
201
parte terza
L'ideale della cultura umana in astratto è Yhumanitas
nella sua accezione assiologica: non l'essenza umana, ma la dignità della
persona umana.
Nella concretezza della storia si danno poi diversi modi
di realizzare questo ideale di umanità: si danno diversi umanesimi.
In questo senso esistono anche princìpi o luoghi
comuni tipici o specifici delle diverse culture, situazionalmente e
storicamente privilegiati.
A modo di esemplificazione si potrebbe riprendere la
distinzione perelmaniana tra spirito classico e spirito
romantico, come ambiti culturali emblematicamente distinti dai
rispettivi luoghi comuni' della quantità e della qualità..'1"'
Stabilità, universalità, immutabilità, eternità,
estensione' nella condivisione sono i segni tipici della mentalità e
della cultura classica;
originalità, novità, unicità, precarietà, progresso
sono invece i caratteri della mentalità e della cultura romantica.
L'uso dell'uno o dell'altro luogo comune consente di
penetrare argomentativamente nella precomprensione classica o romantica
senza dover ricorrere a dimostrazioni rigorose e forse inefficaci. Così -
se ci si consente una esemplificazione - volendo persuadere un uditorio di
cultura classica e tradizionalista allo studio della filosofia, basterebbe
ricorrere al luogo della quantità, presentando la filosofia come la somma
delle verità perenni. Al contrario, ma con lo stesso intento e sortendo
il medesimo effetto, se si volesse persuadere un uditorio di cultura
romantica e progressista allo studio della filosofia, basterebbe ricorrere
al luogo della qualità, presentando la filosofia come ciò che ha
pilotato le grandi scoperte e le geniali innovazioni nello sviluppo
storico.
Oltre a questi luoghi tipici, occorre anche considerare i
fattori emotivi e temperamentali del destinatario o recettore dei
contenuti: si tratta delle passioni da suscitare o da sfruttare come mezzo
di persuasione.39 Rimangono sempre veri gli adagi
aristotelico-scolastici:
«Qualis unusquisque est talis finis videtur ei» e
«Unusquisque secun-dum quod est dispositus sic iudicat».
Esistono sentimenti che qualificano particolari uditorii
in modo stabile: per esempio l'esuberanza tendente all'esagerazione nei
giovani; il compiacimento nel ricordo del passato nelle persone anziane.
3S )
Cfr. perelman e olbrechts-tyteca, op. cit.. I, pp. 101-104. 39)
Cfr. la nota n. 27.
202
Le basi e i metodi della, persuasione
Esistono anche determinazioni emotive di ordine
situazionale: per esempio l'indignazione in un corteo di protesta.
// metodo persuasivo
II metodo persuasivo consiste dunque nel veicolare
contenuti importanti e impegnativi (valori e verità più profonde)
attraverso lo strumento dialettico o l'uso dialettico - nel senso
precisato - della cultura ambiente e personale, o dei suoi luoghi tipici,
e della fisionomia tem-peramentale o emotivamente situazionale del
destinatario-interlocù-tore.
E dall'insieme di logos, pathos e ethos che
viene a costituirsi il meccanismo della persuasione.
Ma è soprattutto ì'inventio (heuresis} - ricerca
e ritrovamento delle argomentazioni o dei mezzi più adeguati a render
accettabile una tesi - che rappresenta il cuore del metodo retorico. L'inventio
è il vero crogiuolo logico, psicologico, culturale nel quale
metodicamente prende vita la persuasione.
Certo, gran parte della sua efficacia è dovuta alla
grazia personale, alle doti di natura, ma ciò non toglie il suo aspetto
più propriamente critico o, se si preferisce, scientifico: la retorica docens,
cioè nel suo momento formalmente speculativo di studio e teoria
dell'argomentazione persuasiva, è scienza.40 E scienza
rigorosa dell'assenso opinativo.
Determinazioni specifiche o applicative a proposito della
«nuova» evangelizzazione
quanto ALLA PLAUSIBILITÀ DEL METODO
L'evangelizzazione come tale è un'«incarnazione
culturale»:41 il Figlio di Dio, facendosi uomo, ha assunto
tutte le condizioni storico-etno-geografìche della situazione, anche
correggendo e contestando le idee che quella cultura alimentava.
40 )
Cfr. S. tommaso, 4 M et., 1. 4.
41 ) Fede e incutturazione. Documento della
commissione teologica internazionale, in «II Regno-documenti» 9 (1989),
p. 277.
203
parte terza
«L'ammirabile "condiscendenza" dell'eterna
sapienza»42 si realizza in modo proprio attraverso la dinamica
dell'inculturazione.
L'antico popolo di Israele mutuò le sue più antiche
istituzioni (circoncisione; sacrificio di primavera; riposo sabbatico) dai
popoli vicini. La stessa cosa si deve dire per gran pane della sua cultura
generale, anche se gli elementi così assunti hanno subito profondi
mutamenti, una volta innestati nella sua fede.
«Gli autori biblici hanno utilizzato e insieme
trasformato le culture del loro tempo per narrare, attraverso la storia di
un popolo, l'azione salvifica che Dio farà culminare in Gesù Cristo, e
per unire i popoli di ogni cultura, chiamati a formare un solo popolo, di
cui Cristo è il capo».43
Il messaggio salvifico si è «incarnato» fin dall'inizio
in forme culturali ben determinate, secondo il suo stesso contenuto
essenziale. E difficile ritrovarlo allo stato puro, poiché già nella
stessa Sacra Scrittura è immerso in una cultura determinata: strutture
linguistiche;
rappresentazioni simboliche già strutturate dal punto di
vista letterario; civiltà seminomade.44
«Poiché Dio nella Sacra scrittura ha parlato per mezzo
di uomini alla maniera umana, l'interprete della Sacra Scrittura, per
vedere bene ciò che egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con
attenzione che cosa gli agiografi in realtà hanno inteso significare e
che cosa a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole».45
Così il Vaticano II mette in luce questa problematica tanto delicata.
42 ) Dei
Verbum, n. 13.
43 ) Fede e inculturazione, cit., p.
277.
44 ) Cfr. J. D. barthelemy, Introduzione al
volume Fede e cultura alla luce della Bibbia. Atti della sessione
plenaria 1979 della Pontificia commissione biblica, Torino 1981, pp.
11-15. I criteri per poter determinare una certa specificità del
messaggio rivelato sono le reazioni positive o negative ai modelli
culturali con i quali si confrontano gli autori ispirati.
A) La reazione negativa indica ciò che è essenziale e
intangibile nel messaggio.
B) La reazione positiva segnala l'accettazione dei
modelli: è il fenomeno dell'acculturazione, cioè «l'insieme dei
fenomeni di interpenetrazione tra culture differenti».
Esempio del secondo tipo di reazione è l'accettazione
della lista delle virtù secondo la catalogaziene ellenistica (Cfr.
Col 3, 12). Esempio di assimilazione dialettica - cioè per
negazione e successiva accettazione - è sul tema della sedentarizzazione
e l'esperienza primitiva del deserto. In Osea la terra di Canaan è «dono
nuziale», ma anche «occasione di adulterio». Tornare alla fedeltà è
tornare al deserto. Tuttavia la conversione consente, anche nella
stanzialità cananaica, di poter ricevere il vero dono nuziale: la
giustizia. Cfr. Ibid..
45 ) Dei Verbum, n. 12.
204
Le basi e i metodi della persuasione
Grande importanza deve perciò essere riconosciuta ai
generi lette-rari, perché la verità rivelata è proposta in modi assai
diversi (storico, profetico, poetico ecc.), secondo moduli espressivi
storicamente ed etnicamente determinati.
Anche la «nuova» o «seconda» evangelizzazione46
deve assumere i
46 ) Per
un minimale approccio al dato magisteriale cfr. giovanni paolo II, Discorso
a Nowa Huta, 9.6.79;lD., Christifideles laici, 1988; id., Redemptoris
missio, 1990. Dichiarazione della Assemblea speciale per
l'Europa del Sinodo dei vescovi, 14.12.91.
a) A nostro avviso, il dato va anzitutto ben calibrato
semanticamente. Parlare di «nuova» evangelizzazione non significa
parlare di rievangelizzazione. La nuova o «seconda» evangelizzazione si
distingue dalla semplice opprima evangelizzazione proprio perché non
consiste nel puro annuncio kerygmatico. E infatti sufficientemente agevole
capire che il destinatario della nuova evangelizzazione non si trova nelle
condizioni ricettive del destinatario della primitiva evangelizzazione.
Una cosa infatti è il mondo non cristiano nel quale risuona per la prima
volta l'annuncio evangelico e altra cosa è il mondo scristianizzato o
secolarizzato nel quale l'annuncio è già risuonato ed è in certa misura
semanticamente squalificato.
b) In secondo luogo, ma sempre in forza della prima
precisazione, la nuova evangelizzazione deve certamente confrontarsi con
il clima ateistico, indifferentistico, seco-rarisrico e soprattutto di
sincretismo religioso e settario, ma avendo come termine operativo i
cristiani, cioè i battezzati che hanno perso il senso vivo della fede. E
infatti esperienza pastoralmente comune il fatto di constatare una
mentalità, assai generalizzata anche tra gli stessi fedeli cosiddetti
praticanti, di indeterminazione: indeterminazione sul piano della
conoscenza, perché non v'è quasi la minima chiarezza sui contenuti dottrinali
della fede cristiana; indeterminazione sul piano pratico delle decisioni,
perché si ci trova più o meno consapevolmente combattuti tra le istanze
provenienti dalla cultura ambiente, che sembrano o sono realmente in
contrasto con la fede cristiana, e un vago senso religioso che di quella
fede rappresenta quasi l'ultima traccia.
e) E proprio questa nebulosa identificazione della fede
cristiana con questo vago e tendenzialmente asettico senso religioso che
rappresenta il bersaglio negativo della nuova evangelizzazione. Occorre
ricondurre la coscienza cristiana alla verità di se stessa:
occorre, in altri termini, ridestare il senso cristiano
della vita secondo {'integrità dei suoi fattori soprannaturali
(cioè essenzialmente tipici e differenziali) e naturali (cioè
essenziali a modo di presupposto e di conseguenza).
Da una parte si deve combattere uno strano manierismo
cerimoniale e devoziom-Stico - che da sempre accompagna in modo quasi
parassitano l'anima ben più realistica della vita cristiana - tendente a
camuffare la fede nel Cristo dietro i paramenti di una religione
«debole» e inefficace: troppo spesso un ritualismo ornamentale dal
sapore fol-kloristico, proprio di una religiosità etnica, sembra farla da
padrone. Non soltanto le celebrazioni liturgiche sono più attente
all'aspetto coreografico del movimento rappresentativo piuttosto
che al significato ripresentativo del mistero cristiano, ma la
stessa omiletica geme sotto le coltri di un pensare da tempo in letargo:
il linguaggio metaforico, che l'uso classico aveva consacrato a simbolo di
genialità innovativa come sostegno alla difficoltà del concetto
dottrinale, mortifica il gusto del vero concepimento meditativo in una
ripetitività di immagini stereotipe e anodine. Alla serena profondità
del chiaro-scuro metafisico dell'esperienza teologale e della sua seria
razionalità si e sostituito il vago e aproblematico intuizionismo
sperimentale, fatto di balugini! onirici e ta-bulistici o di dubbie
apparizioni ed esaltanti miracolismi.
D'altra parte, si deve riaccogliere l'integralità dei
fattori che costituiscono 1 umano. Occorre lasciarsi avvincere dal
richiamo dell'umano in quanto umano, per comprendere in modo più pieno il
senso profondo della condiscendenza di Dio e non^svihre
l'inesauribile ricchezza del divino comunicato all'umano. Del resto,
scriveva già leil-
205
parte terza
connotati metodologici dell''inculturazione della
fede. La seconda evangelizzazione si rende infatti necessaria in forza
della variante culturale, la quale può presentare aspetti positivi e
aspetti negativi. Per inculturazione della fede si intende appunto
«un'incarnazione del Vangelo nelle culture autoctone e insieme
l'introduzione di esse nella vita della Chiesa»,47 secondo uno
spirito di accoglienza, ma anche di discernimento critico.
La Chiesa, sposa del Cristo, nella sua azione
evangelizzatrice, è profondamente attenta al rapporto con le diverse
culture ambientali. L'inculturazione, infatti, può definirsi anche come
«lo sforzo della Chiesa per far penetrare il messaggio di Cristo in un
determinato ambiente socio-culturale, invitandolo a credere secondo tutti
i suoi valori propri, dato che questi sono conciliabili con il Vangelo. Il
termine inculturazione include l'idea di crescita, di reciproco
arricchimento delle persone e dei gruppi, in virtù dell'incontro del
Vangelo con un ambiente sociale».48
Spazi importanti per tale attuazione sono rappresentati
dalle forme di pietà o religiosità popolare e dai rapporti con le
religioni non cristiane, evitando settarismi e sincretismi.
Altro grande settore è quello dell'incontro con il mondo
moderno. Accoglienza e discernimento critico, sensibilità alle
aspirazioni spirituali di fondo, capacità di analisi culturale, sono le
condizioni metodologiche che possono obiettivamente guidare gli sforzi di
evangelizzazione in questo settore.49
Se si considerano i contenuti, è evidente che
quelli direttamente o termalmente cristiani nella loro densità
soprannaturale hanno il primato propositivo, e soprattutto devono essere
accompagnati da una sapiente e precisa padronanza teologica della
dottrina. Può sembrare un'affermazione inutile questa, ma quante prediche
dottrinalmente
hard de Chardin nel lontano 1949: «II Cristianesimo,
nella misura in cui eessa (...) di abbracciare l'umano, perde il mordente
della su» vitalità e il fiore della sua attrattiva»
(Le Coeur du Problème}. ,
47 ) giovanni paolo II, Slavorum Apostoli, a.
21..
48 ) Fede e inculturazione, cit., p. 277.
49 ) Cfr. Ibid., p. 281. La Chiesa è convinta
di poter essere aiutata in diversi modi dal mondo contemporaneo nella
«preparazione del Vangelo» (Gaudium et spes, n. 40), denunciando
tuttavia i gravi errori che il nostro tempo alimenta (Cfr. Apostolicam
ac-tuositatem, n. 6) e considerando con benevolenza, promuovendo e
tutelando - nei limiti del possibile - tutto ciò che «non è
indissolubilmente legato a superstizioni o a errori» (Pio XII, Summipontificatus,
in AAS 31 (1939), pp. 413-414. Cfr. Sacrosanctum conci-lium, a. 37.
206
Le basi e i metodi della persuasione
insipide si sentono: tra un cappello di circostanza e una
chiusa maldestramente mariologica si dipanano banali riflessioni
sociologiche anti-consumistiche, o di un'ascetica demotivata e
demotivante!
Ma sono soprattutto i contenuti che solo indirettamente
rientrano nello specifico cristiano a essere di primaria importanza nel
metodo della nuova evangelizzazione. Si tratta di quei contenuti che
appartengono all'ambito della precomprensione naturale o culturale
dell'uomo.
Alla precomprensione naturale si possono ricondurre
la funzione preambolare e la funzione apologetica della
razionalità filosofica di fronte al dato rivelato. E importantissimo
presentare agli occhi della cultura contemporanea la dimensione di
razionalità che accompagna la proposta cristiana, sia per difesa della
sua plausibilità, sia per convenienza dei suoi contenuti, sia per
precisazione di quelle verità di ordine naturale che fungono da
presupposto alla fede, ma che sono per sé in-scindibili da un contesto di
sensatezza naturale per l'esistenza umana (esistenza di Dio creatore;
immortalità dell'anima umana; libertà e responsabilità dell'agire
umano; precetti di legge morale naturale).50
5C) II pensiero contemporaneo, almeno tendenzialmente
- cioè non per aperta formulazione concettuale - ripropone
un'apertura al discorso metafisico, per dissolvimento dialettico (nel
senso di confutazione dell'antitesi contraddittoria per la sua intrinseca
contraddittorietà: l'incontrovertibilità per la contraddittorietà del
contraddittorio di bontadmiana memoria) dell'istanza antimetafisica del
pensiero moderno. Se ne propone una ricostruzione schematica
storico-speculativa, con uno sviluppo personale dell'idea di
«intero storico» del compianto prof. Bontadini. La storia della
filosofia si articola speculativamente in tré movenze dialettiche, per le
quali il nostro periodo contemporaneo segnerebbe ^possibilità di
un ritorno critico positivo al valore metafisico della riflessione
classico-medievale per dissolvimento dell'antitesi
gnoseplogistico-antimetari-sica della modernità.
Tesi: Periodo classico medievale . ,
Supposta l'identità intenzionale tra pensiero ed
essere, si cimenta nella soluzione del problema ontologico circa l'uno,
il molteplice, il divenire in due momenti:
1) Momento premetafisico o di metafisica implicita:
lo spirito naturalmente religioso dell'uomo tenta una spiegazione in
termini immaginosi del problema, attraverso il mito e Ispoesia :
«Philosophus est aliqualiter philomythes, idest amator fabulae, quod
proprium est poètarum... quia uterque circa miranda versatur» (S.
tommaso, 1 Met. ,1.3).
2) Momento esplicitamente metafisico : lo spirito
naturalmente religioso dell'uomo si orienta verso soluzioni razionali
del problema:
- Intuendo l'esigenza di un pnncipio-fondamento
(arche) di tutte le cose (Milesi).
- Constatando empiricamente l'aspetto dinamico e
molteplice dell'essere (Era-difo).
- Affermando logicamente l'aspetto statico e
unitario dell'essere (Eleati).
- Postulando la duplice dimensione della realtà:
una empirica, immanente e transeunte; l'altra metempirica, trascendente e
immutabile (Fiatone).
- Argomentando la trascendenza del fondamento della
realtà esperita, attraverso il principio di causalità (Aristotele) o la
nozione di creazione (filosofia cristiana).
207
parte terza
Alla precomprensione culturale può essere, a mio
avviso, ricondotta quella funzione della razionalità filosofica che S.
Tommaso de-
Antitesi:
Periodo moderno-contemporaneo
Presupposta l'assoluta alterila tra pensiero ed essere, si
procede allo smantellamento critico del sapere metafisico,
concentrandosi sul problema gnoseologico :
Si tratta di un ciclo autorisolventesi, per dissolvimento
del presupposto, in tré momenti:
1) Momento incoativo:
a) indiretto: come riflesso dell'andare in sé del
metodo della nuova scienza fisicomatematica: dalla qualità alla quantità,
perché tentar l'essenza è cosa vana (Galileo).
b) diretto: quanto alla stessa teoria filosofica
della conoscenza. Con Cartesio il soggetto {cogito) è
originariamente chiuso in se stesso e solo mediatamente aperto alla
realtà: \'id quod cognoscitur non è più immediatamente l'essere,
ma Videa; il recupero dell'essere avviene in modo mediato
attraverso l'idea di Dio (metafisica razionalista, ontologismo,
occasionalismo). Ma è una via senza sbocco!
2) Momento tematico: con Kant il dualismo
gnoseologico viene teorizzato, con la diagnosi critica preclusiva del
«ponte» teologico (idea di Dio) verso la realtà. Noi abbiamo scienza
solo del fenomeno e non della cosa in sé, perché le
condizioni di possibilità dell'esperienza sono le stesse della
possibilità degli oggetti dell'esperienza. Dunque la problematica
metafisica diviene problematica critica: V unità fondamentale è
data dall'azione sintetizzatrice del soggetto sul materiale molteplice
e diveniente delle intuizioni empiriche; la metafisica non ha
valore scientifico perché pretende di oltrepassare l'ambito dell'esperienza
possibile.
3) Momento risolutivo secondo due prospettive:
a) Quanto al toglimento della cosa in sé: il
pensiero del fenomeno è intrascendibile:
la cosa in sé, essendo inattingibile, non è un
dato, ne può essere inferita, perché pensarla come esterna al
pensiero è contraddittorio (=pensata e non pensata insieme!).
- Argomento: (Ma.) Il fenomeno è lo stesso essere;
(mi.) il pensiero è pensiero del fenomeno producendolo; (co.) il pensiero
è pensiero dell'essere producendolo (Idealismo).
- N. B. Il recupero dell'identità tra pensiero ed
essere non è sulla base deli't'nten-zionalità, ma sulla base
della identità fisica'.
b) Quanto al recupero dell'intenzionalità: la
causalità produttiva del pensiero rispetto all'essere non
consta, ne è dimostrabile.
- Ciò che consta è la presenza eidetica
dell'essere come distinto dall'atto di pensare (= intenzionalità secondo
la Fenomenologia).
- Ciò che consta è la presenza esistenziale
dell'essere come essere-nel-mondo secondo l'unità del vissuto
esistenziale (= intenzionalità secondo l'Esistenzialismo).
Sintesi
Ritorno alla metafìsica classico-medievale (tesi),
riconoscendone il valore di posizione incontrovertibile, per autonegazione
della sua negazione (antitesi), in due momenti:
1) Momento pre-metàfisico: l'intenzionalità
all'essere nell'esistenzialismo si ferma all'evocatività del linguaggio
poetico-metaforico. Ma l'intenzionalità, come tale, non può bloccarsi a
un solo aspetto dell'essere (il vissuto esistenziale); essa si dirige di
diritto e di fatto alla totalità dell'essere, fino a tenìatizzarne il
soggetto: l'ente in quanto ente. . , ' '
2) Momento esplicitamente metafisico: ricostituita la
base gnòseologica, si riapre la possibilità della teoresi metafisica.
208
Le basi e i metodi della, persuasione
scrive come notificazione analogica dei misteri della
fede.1'1 S. Tom-maso porta come esempio al
riguardo ciò che S. Agostino fa nel De Trinitate per chiarire il
mistero della Trinità usando le dottrine filoso-fiche del suo tempo. Ora,
S. Agostino usa con questa finalità la dottrina psicologica platonica,
che S. Tommaso non condivide; se dunque S. Tommaso propone comunque come
esempio di tale mediazione ciò che dice S. Agostino, questo significa che
anche i contenuti di cultura ambiente, non sanciti da rigorose
dimostrazioni fondative, eppure positivamente opinabili o non erroneamente
deleteri,52 possono essere valido veicolo per
l'evangelizzazione.
Da un punto di vista tecnico, si potrebbe anche
dire che il metodo della seconda evangelizzazione ripropone in termini non
più sostanziali, ma semplicemente accidentali il meccanismo
dell'ispirazione nella, rivelazione, con l'assemblaggio di acceptio
rerum (cultura) e w-dicium de rebus acceptis (opportunità
critica).53
Come nella rivelazione il pensiero di Dio viene a essere
veicolato sostanzialmente dai contenuti della cultura ambiente valutati
criticamente dal giudizio ispirativo, diventando parola di Dio, così
nella seconda evangelizzazione i contenuti della cultura ambiente, che
positivamente si prestano a una maggiore comprensione situazionale e
storica della parola di Dio, sono giudicati validi ai fini di una più
piena autocomprensione della coscienza cristiana, senza per questo essere
vincolanti: non sono contenuti rivelati.
51 )
Cfr. In B. Trin., Pro., 2, 3c. In questo compito della ragione, S.
Tommaso aveva già a suo modo determinato il livello della funzione
veicolare della cultura ambiente nei confronti dell'evangelizzazione.
52 ) Dice S. Tommaso: «Ad sciendum veritatem multum
valet videre rationes con-trariarum opinionum» (1 De Cael. et mund.,
1. 22). E ancora: «Nullo enim modo me-lius quam contradicentibus
resistendo aperitur veritas et falsitas confutatur» (De per-fect.
vitae spirit., 26). S. Tommaso riconosce anche un aspetto più
positivo nel confronto con posizioni dottrinali dialetticamente
contrastanti: «Nulla falsa doctrina est quae vera falsis non admisceat» (S.
Th. I-II, 102, 5, ad 4). Questa apertura per così dire dialogica del
filosofare realista non è però fine a se stessa; il termine di
riferimento ultimo del dialogo rimane sempre la verità: «non enim
pertinet ad perfectionem intellectus mei quid tu velis vel quid tu
intelligas cognoscere, sed solum quid rei veritas habeat» (S. Th.,
I, 107, 2).
53 ) Come è noto, l'aspetto principale
dell'ispirazione divina, nell'ambito della rivelinone, si colloca
sul piano del giudizio (iudicium de rebus acceptis), con il quale
si valutano speculativamente e anche praticamente i contenuti che devono
veicolare la rivelazione.
Proprio questi contenuti (acceptio rerum) non
necessariamente sono di diretta provenienza divina. Dio può servirsi
anche di immagini o concetti tipici dell'ambiente culturale storico per
comunicare le verità trascendenti. Cfr. S. tommaso, S. Th., 1I-II,
173, 2c e adi; P. benoit, Rivelazione e ispirazione, tr. it.
Brescia 1966.
209
parte terza
E chiaro che il giudizio discretivo, in questo caso, non
è guidato dal?'ispirazione divina in senso stretto o costitutivo,
ma dalla grazia e dalla cultura personali, oltre che da una solida
dottrina.
quanto AI LUOGHI DIALETTICI
I luoghi comuni tipici o privilegiati del mondo
contemporaneo sono quelli della qualità e della persona. • '
I luoghi della qualità sono tipici della cultura
contemporanea tutta permeata dallo spirito di cambiamento e di novità.
Anche il senso della irripetibilità dell'individuo, della sua situazione
esistenzialmente decisionale e dell'apertura problematica verso il futuro
appartiene al luogo della qualità.
Il luogo della persona è altrettanto rilevante
nella coscienza_con-temporanea. Per usare l'espressione di Aristotele che
in qualche modo può rappresentare enunciativamente questo luogo, diciamo
che «ciò che non può esserci fornito dall'esterno è preferibile a ciò
che possiamo procurarci anche dall'esterno».54 Anche in questo
caso è il primato della persona e della sua interiorità che è messo in
risalto.
Che cosa vuoi dire che la nuova evangelizzazione deve
passare attraverso questi schemi? Forse che deve rinunciare a tutto il
complesso delle verità sue tipiche, oggettive e immutabili?
Evidentemente no. Ciò che si vuoi dire è che tutta la
dottrina cristiana deve essere presentata nella sua valenza dogmatica, ma
attraverso il filtro presentativo dell'interiorità, della spiritualità,
mettendo cioè in luce le verità e i valori cristiani dal punto di vista qualitativo
e soggettivo e non semplicemente quantitativo e obiettivo,
come nella cultura classica.,La teologia dogmatica può essere
perfettamente e con tutto rigore esposta secondo un'ambientazione che
potremmo dire mistica.
In altri termini, non si tratta di soggettivizzare il
dogma, ma di veicolarlo obiettivamente alla coscienza attraverso i
suoi riflessi o le sue valenze soggettive.
L'obiettività del dogma deve, d'altra parte, restare
intatta e profondamente calibrata nella sua espressione dottrinale, non
solo perché è la materia comunicata, ma anche perché diviene a sua
volta principio
54 )
aristotele, Topici, tr. it.. Bari 1973, III, 118a.
210
Le basi e i metodi della persuasione
ermeneutico materiale di quella soggettività, che funge
da principio ermeneutico formale situazionale del medesimo dogma.
Scolasticamente parlando, potremmo dire che in via
inventionis la soggettività della coscienza contemporanea e dei suoi
meccanismi di persuasione è il criterio precomprensivo dell'obiettività
dogmatica; in via iudicii vel resolutionis è invece l'obiettività
dogmatica che fonda criteriologicamente la soggettività.55
Il circolo ermeneutico, in questo caso, non patisce alcuna
petizione di principio, perché il criterio soggettivo e quello oggettivo
non sono sullo stesso piano, ma occupano rispettivamente il piano formale
e quello materiale.
quanto AL PATHOS
Ci si può richiamare al senso malinconico o nostalgico
o di smarrimento della nostra cultura contemporanea.
La cultura e la coscienza contemporanee sentono in
modo assai indeterminato - per conseguenze storiche e filosofiche della
crisi del pensiero moderno e della sua cultura -56 un certo
orientamento all'As-soluto, sotto forma di «nostalgia del
totalmente Altro»57 o di «scommessa dell'angelo».58
Questo fatto indica come la situazione ermeneutica
dell'uomo contemporaneo sia caratterizzata da una certa qual tristezza
che può essere interpretata in modi diversi e indirizzata a bersagli
altrettanto diversificati e con risultati anche dannosi perché patologici
- come insegna lo stesso Aristotele -59 non solo
individualmente, ma anche sul piano collettivo.
55 ) La via
inventionis vel compositionis ha una movenza sintetica,
orientata al no-vum; la via resolutionis vel iudicii,
invece, ha una movenza analitica, cioè di ritorno al principio
alla luce del quale valutare il novum. Cfr. S. tommaso, S. Th.,
I, 79, 8 e 9; In B. Trin., 2, 2, 1, ad 3; 1 Post., 11. 1 e
35; De Ver., 15, le e ad 4; G. barzaghi, La meditazione,
cit. pp. 49-50. Il giudizio di fede, diventando rritico e sistematico,
origina una «nuova ermeneutica capace di redimere la cultura» : così
Giovanni Paolo II nell'omelia del 9.12.1984 («Osservatore Romano»).
56 ) Cfr. G. barzaghi, Metafisica della cultura
cristiana, cit., pp. 15-22.
57 ) Cfr. M. horkheimer, La nostalgici del
totalmente Altro, tr. it., Brescia 1972.
58 ) I «nouveaux philosophes» postulano un mondo
altro dal presente, per rompere la «struttura di dominio» che
caratterizzerebbe quest'ultimo. Cfr. AA. W., In rivolta contro i
maestri-padroni, Milano 1978.
59 ) Cfr. aristotele, Problemi, 30, 1. G.
barzaghi, Arte e malinconia. Punti cardinali di un rapporto
psicologico, in «Sacra Doctrina» 2 (1991), pp. 212-231.
211
parte terza
Ebbene, l'interpretazione positiva che si può dare di
questa situazione malinconica è di carattere metafisico.
Una moderata inclinazione malinconica favorisce
l'introspezione silente e profonda, capace di valutare le cose secondo la
loro radice metafisica, alimentando lo spirito metafisico dell'uomo. La
tristezza per il limite del bene presente e la nostalgia della sua
illimitata pienezza sono il segno emotivo della differenza ontologica tra
l'ente per partecipazione e l'Essere per sé sussistente (Dio).60
In questa prospettiva, la coscienza contemporanea trova
nella sua situazione emotiva quasi una nuova «potenza obbedienziale» per
essere riorientata al senso cristiano della vita.
La persuasione «penultima» della coscienza umana è
nascosta in quel chiaro-scuro del senso del tempo informato dalla speranza
teologale, che fa della promessa della Gloria, anticipata dalla Grazia, il
fulcro di un'ansia per il compimento del bene. «Quasi tristes semper
au-tem gaudentes» (2 Cor 6, 10).
6Q )
Cfr. G. barzaghi, La «passio tristitiae» secondo S. Tommaso. Un
esempio di analisi realista, in «Sacra Doctrina» 1 (1991), pp. 56-71
e in questo volume.
212
CHIESA E CULTURA. LINEAMENTI TEORETICI DI UN
RAPPORTO"
Introduzione
II rapporto Chiesa-cultura può essere analizzato secondo
una duplice prospettiva.
Da un lato, assumendo la Chiesa come soggetto attivo di
cultura, •tale rapporto verrebbe interpretato secondo la sua massima
estensione significativa e - conscguentemente - al livello più complesso
della sua articolazione. Su questo piano, infatti, la cultura ricopre un
orizzonte semantico, ontologico e operativo di ampio raggio: v'è una
cultura naturale e una cultura soprannaturale, e tra le due vige un mutuo
scambio operativo di inculturazione e acculturazione.
Dall'altro lato, se si assume la Chiesa come soggetto
passivo della cultura, cioè come soggetto che si perfeziona in forza del
possesso culturale, il rapporto studiato subisce una precisazione o
determinazione secondo la supposizione soprannaturale del termine Chiesa e
-conscguentemente - del termine cultura.
Il concetto di cultura
A. breve AMBIÈNTAZIONE PROBLEMATICA
La nozione di cultura - a dispetto dell'uso assai
divulgato del termine che la significa - non è di semplice accesso. Il
largo spettro semantico che essa coinvolge favorisce un'oscillazione
definitoria molto spesso al limite dell'equivoco.
*) In
«Sacra Doctrina» 6 (1993).
213
parte terza
Due studiosi americani - C. Kluckhohn e A. L. Kroeber -,1
agli inizi degli anni cinquanta, raccolsero e classificarono ben 164
diverse definizioni di cultura, scelte nell'arco di tempo che va dal 1871
al 1950 e limitandosi al, solo ambito specifico di scienze quali
l'etnologia e l'antropologia - omettendo cioè le cosiddette definizioni
«umanisti-che».
La cultura è, in questo senso, a un tempo l'insieme dei
documenti della vita umana associata, un complesso di modelli di
comportamento, una eredità sociale, lo spirito di una società.2
Il concetto di cultura, che appare dal vocabolario dell'antropologia
contemporanea, ruota attorno all'idea di un insieme di modelli di
comportamento, acquisiti e trasmessi simbolicamente, caratterizzanti e
distintivi degli aggregati umani fin nella dimensione tecnologica degli
artefatti.
Dal punto di vista umanistico, invece, la cultura non può
essere limitata a un semplice dato fenomenologico, ma deve essere intesa
come «consapevole ideale di umana perfezione».3 Il concetto
di cultura implica una dimensione assiologica essenziale, in funzione di
una qualificazione secondo il meglio sul piano ontologico.
In questa linea, l'accento è posto sul concetto di
perfezione o perfezionamento della persona umana; perfezione che implica,
a livello ideale, un'immagine impegnativa, un modello assiologicamente
normativo, un dover essere, una finalità.
L'accezione antropologico-etnologica della cultura,
evitando l'implicito richiamo semantico alla nozione di perfezione
dell'uomo, si limita a connotare la cultura come prodotto dell'uomo.
Questa re-lativizzazione è a fondamento del discorso sulle culture, più
che sulla
') Cfr. C. kluckhohn-a. L. kroeber, Culture. A Criticai
Review of Concepts and Definitions, New York 1963, tr. it. Bologna
1982.
2 ) Cfr. E. B. tylor, Thè Primitive Culture,
London 1&71, tr. it. parziale Torino 1970; C. wissler, An
Introduction to Social Anthropology, New York 1929; F. boas, Thè
Minii o/Primitive Man, New York 1938, tr. it. Bari 1972; B.
malinowski, A Scientific Theory of Culture, Chapel-Hill 1944, tr.
it. Milano 1962; A. R. redcliffe-brown, White's Vieiv of Science of
Culture, in «American Anthropologist» 51 (1950).
3 ) W. jaeger, Paideia. Die Formung des
griechischen Menschen, Berlin-New York 1936-1945, tr. it. Firenze
1953, voi. I, p. 29 n. 5. In questo caso si sottolinea l'aspetto
pedagogico della cultura, nel senso della paideia e dell'arete dei
Greci, evitando -per altro - esplicitamente l'equivoco della
cultura-erudizione. Anche perJ. Maritain «la cultura consiste
nell'espansione della vita propriamente umana, la quale non comprende
soltanto lo sviluppo naturale necessario e sufficiente per permetterci di
condurre quaggiù un'esistenza retta, ma anche e soprattutto lo sviluppo
morale, lo sviluppo delle attività speculative e delle attività pratiche
(artistiche e anche etiche) che merita d'essere propriamente chiamato
sviluppo umano» : Religion et culture, Paris 1946, tr. it. Brescia
1973, p. 18.
214
Chiesa e cultura
cultura. A ciò si aggiunga che anche nella concezione
relativistica di cultura si può menzionare la scala dei valori, ma ciò
è pur sempre da un punto di vista descrittivo: cultura è semplicemente modo
di comportamento o interpretazione del mondo, sulla base di modelli
o valori arbitrariamente stabiliti dai vari gruppi sociali, che da
tali modelli vengono, appunto, qualificati (es. cultura marxista, cultura
liberale, cultura cattolica ecc.). "
La definizione, o meglio descrizione, di cultura che viene
proposta dal Concilio Vaticano II sembra essere un compromesso tra queste
due istanze. «Con il termine generico di "cultura" si vogliono
indicare tutti quei mezzi con il quali l'uomo affina ed esplica le
molteplici sue doti di anima e di corpo; procura di ridurre in suo potere
il cosmo stesso con la conoscenza e il lavoro; rende più umana la vita
sociale sia nella famiglia che in tutta la società civile, mediante il
progresso dei costumi e delle istituzioni; infine, con l'andar del tempo,
esprime, comunica e conserva nelle sue opere le grandi esperienze e
aspirazioni spirituali, affinchè possano servire al progresso di molti,
anzi di tutto il genere umano. Di conseguenza la cultura presenta
necessariamente un aspetto storico e sociale, e la voce
"cultura" assume spesso un significato sociologico ed
etnologico. In questo senso si parla di pluralità di culture».4
B. • proposta DI UNA DEFINIZIONE
A nostro avviso, una buona definizione di cultura non può
prescindere dalle esigenze definitorie della stringatezza, ma anche della
completezza.5
Tali esigenze, nel caso del termine cultura, che è
tipicamente analogico e non univoco - come le stesse descrizioni sopra
riportate stanno a testimoniare con la loro complessità -, possono essere
rispettate presupponendo una sufficiente analisi realista del complesso
denominato cultura, al fine di cogliere l'elemento di sintesi.
4 ) Gaudium
et spes, 53. Per un commento a questo testo si veda A. F. bednarski, La
cultura, Torino 1981.
5 ) Per un'analisi più dettagliata dell'indagine
definitoria sul concetto di cultura, comprensiva anche dello sviluppo
nell'uso della nozione, dell' articolazione intrinseca e delle proprietà
del dato, rimandiamo al nostro studio: G. barzaghi, Metafisica della
cultura cristiana, Bologna 1990, P. II, sez. 1.
2Ì5
parte terza
Ciò significa determinare l'analogato principale della
nozione investigata e, in forza di esso, ricostruire la sintesi d'ordine
che lega ad esso e tra loro tutti i diversi elementi del complesso
(analogati secondari) : la nozione analoga (l'analogo analogante) può
quindi essere definita nel rispetto delle esigenze ricordate,
consignificando, nel suo modo tipico, l'unità del dato essenziale e la
molteplicità delle sue espressioni.6
Il termine cultura può essere assunto, a partire dal suo
primo senso etimologico (dal verbo latino colere = coltivare),
secondo tré livelli di significazione:
1) in senso attivo = cultura come lavoro ài
coltivazione della persona umana, in vista del suo perfezionamento
(causa efficiente);
2) in senso passivo = cultura dal punto di vista
soggettivo, cioè la perfezione stessa o lo stato di possesso
dell'insieme di quelle perfezioni che è termine della cultura come
azione. In questo senso la cultura è, a un tempo, a) il risultato,
il possesso ontologico di ordine qualitativo (causa formale intrinseca);
b) la meta (causa finale) e e) il modello ideale dell'azione
culturale (causa formale estrinseca o esemplare);
3) in senso obiettivo-strumentale = insieme dei •me'z.'ii
e degli oggetti attraverso i quali si acquista, si conserva, si
manifèsta, si comunica e si trasmette la perfezione umana.
La concezione classica di cultura racchiude implicitamente
in sé questi tré significati; la concezione moderna aggiunge o esplicita
la caratterizzazione sociale; la concezione dell'antropologia
contemporanea si innesta nel punto di vista sociologico e assume
esclusivamente il terzo di questi significati, prescindendo però dalla
qualificazione as-siologica che esso desume dalla presenza del termine
«perfezione umana».
; Il significato completo ed esauriente di cultura deve
comprendere l'integralità di questi fattori.
Risulta poi evidente che il significato principale del
termine cultura si colloca nel livello passivo-possessivo, al quale
appartiene formal-mente la res culturae: la perfezione upiana. Si
tratta dell'analogato principale. L'attività culturale (primo
significato) e i mezzi di questa attività o segni del possesso della
perfezione culturale (terzo signifi-
. . '') Sulla nozione di analogia cfr. S. ramirez, De
analogia, Madrid 1970; G. bar-zaghi, Analogia, ordine e il
fondamento della sintesi tomista, in «Sapienza» 1 (1987), pp. 65-97;
id., Materia e forma. Senso metafisico ed espansioni analogiche
dell'ilemor-fismo in S. Tommaso d'Aquino, in «Divus Thomas» 3
(1993), pp. 9-61. . .
216
Chiesa, e cultura
to)sono rispettivamente gli analogati secondari per
denominazione estrinseca causativa e simbolico-segnalativa della cultura.
Perciò la definizione della cultura ha come suo soggetto
il significato passivo-possessivo o soggettivo.
Questa definizione, nella sua caratterizzazione
ontologica, prevede due prospettive di formulazione: una secondo l'essenza
fisica e l'altra secondo l'essenza metafisica.
- Secondo l'essenza fisica, l'accento viene posto sulla
nozione di perfezione. La cultura è la perfezione umana, come si è
evidenziato più sopra. Tuttavia non pare sufficiente tale semplice
determinazione, giacché l'ontologia della perfezione è assai articolata
e, conseguente-mente, anche l'ontologia della perfezione umana.7
La cultura come perfezione umana non consiste certamente
nella perfezione prima o sostanziale, perché la sostanza non è termine o
risultato dell'attività culturale, ma suo presupposto.8
7) A questo proposito risultano assai poco precise
le determinazioni con le quali alcuni autori di impostazione classica si
limitano a qualificare la cultura come perfezione umana o perfezionamento
della vita umana (sic!): cfr. B. reiser, De cultura et de
philosophia culturae, in «Angelicum» 14 (1937), pp. 355-416; A.
fisher, Quid S.Tho-mas de cultura cioccati, in Xenia thomistica.
Roma 1925, I, pp. 533-549; A. F. bed-narski, op. cit. ; id., Il
problema della specificità della cultura cattolica alla luce del Concilio
Vaticano li. Roma 1980; id., La bellezza della cultura morale,
in «Attualità della teologia morale», Roma 1987, pp. 191-209.
8 ) La perfezione prima è nell'ordine sostanziale,
ed è fondamentalmente costituita dal supposito di natura umana, nella sua
complessità essenziale di corpo e di anima. In questa prima struttura, il
primato formale va attribuito all'anima, in quanto «atto primo di un
corpo organico» (aristotele, De anima, II, 1 412b 4).
Nell'ordine della perfezione seconda, si apre l'ampio arco
dell'accidentalità predi-camentale. La perfezione seconda per eccellenza
è l'operazione, l'atto secondo. Rispetto ad essa le potenze operative e
gli habitus sono rispettivamente la perfezione seconda in atto
primo quasi sostanziale (subiectum quo dell'operazione) e la
perfezione seconda in atto primo modale.
D'altra parte, l'operazione può essere di ordine
immanente, cioè perfettiva dello stesso soggetto agente, o transitiva,
cioè perfettiva di un soggetto esterno all'agente come tale. Nel primo
caso abbiamo la vera azione beatificante, che si colloca, come gli habitus,
nella prima specie della qualità (l'azione metafisica è infatti una
qualità, un habitus lato sensu, Cfr. J. gredt, Elemento
philosophiae aristotelico-thomisticae, Friburgo (Br) 1922, I, pp. 146;
157; 223). Nel secondo caso, l'azione è di ordine strettamente
predicamentale (quinto predicamento), è l'azione fisica, produttiva di un
effetto distinto da se stessa.
Infine, si da un ulteriore perfezionamento : per addizione
(aumento estensivo o per accidens dell'habitus, quanto ai suoi
contenuti; per es. più nozioni scientifiche) e, più radicalmente, per
intensificazione di radicazione o partecipazione nel soggetto (aumento di
intensità o per se dello stesso habitus).
Nella prospettiva di questo ulteriore perfezionamento, si
deve affermare che la cultura in fieri (dinamica) non cessa una
volta acquisito l'habitus (cultura in facto esse). La
disciplina faticosa dell'acqisto continua, mescolandosi al diletto e alla
maggiore cele-
217
parte terza
La perfezione culturale si collocherà dunque nell'ambito
della perfezione seconda, cioè nell'ampio ambito degli accidenti. Ma
anche in questo caso occorre un'ulteriore determinazione precisiva.
In quest'ordine, infatti, troviamo l'operazione, che è la
perfezione seconda in atto secondo e che non può essere la cultura in
facto esse, ma soltanto in fieri - cioè la cultura nel senso
dell'attività di perfezionamento.
Sempre nell'ordine dell'accidentalità perfettiva,
troviamo le facoltà operative, che sono la perfezione seconda in atto
primo quasi sostanziale, nel senso che sono la radice quasi sostanziale
dell'operazione di una sostanza finita (quindi non immediatamente
operativa): essendo date da natura come principio di operazione non
possono essere il risultato dell'attività culturale, bensì suo
principio.
Tra la perfezione seconda in atto secondo (operazione) e
la perfezione seconda in atto primo quasi sostanziale (facoltà operative)
si da un'accidentalità intermedia, che non è semplice frutto della
struttura e spontaneità naturali, ma oggetto e termine di un'attività
progettuale e costitutiva. Si tratta degli habitus, cioè della perfezione
seconda in atto primo modale.
Gli habitus sono appunto quella prima specie della
qualità, che af^ fina le varie facoltà che sono perfettibili nel
compimento delle loro operazioni e indeterminate quanto alla diversificata
varietà di queste stesse (molteplici per numero e secondo il modo).9
Gli habitus conferiscono quella modalità per la quale
un'operazione risulta pronta, facile e dilettevole.
rità e facilità derivante dal grado di possesso dell'habitus
già acquisito. Astrattamente parlando, potremmo visualizzare, in modo
generale, il rapporto che intercorre tra i due aspetti della cultura nei
seguenti termini:
1) Cultura in fieri ad esse = azione disciplinare -
fatica;
2) Cultura in facto esse = possesso abituale della
beatitudine, e che consente un'operazione pronta, facile e dilettevole; .
'
3) Esercizio dell'abito culturale: , :
a) operazione beatificante - diletto;
b) cultura in fieri ad melius esse - fatica.
i> ) Cfr. S. tommaso d'aquino, I-II, 49, 3, ad 3.
La natura è determinata ad unum;
l'azione culturale si fonda su di essa energeticamente, ma
trova la sua propria radice nella libertà, nella determinazione
volontaria. Cfr. I, 41, 2; I-II, 10, 2, ad 2. D'ora in poi le opere
citate senza riferimento all'autore sono quelle di S. Tommaso d'Aquino.
Gli habitus sono una «disposino secundum quam
aliquis disponitur bene vel male» (5 Met., 1. 20), o meglio una
«dispositio quaedam perfecti ad optimum» (7 Physic., 1. 5;
I-II, 49, 2). Se tale disposizione modale riguarda
l'essere, abbiamo gli habitus entitativi (per es. la bellezza, la
salute, il vigore); se invece riguarda l'operare, abbiamo gli habitus operativi
(le scienze, le arti, le virtù).
218
Chiesa, e cultura.
Perciò, quando parliamo della cultura come perfezione
umana intendiamo riferirci con precisione a questa perfezione seconda in
atto primo modale, cioè al complesso degli habitus buoni. E la
cultura, dal punto di vista dell'essenza fisica, sarà definibile appunto
come il complesso degli habitus buoni.
E da notare che gli habitus rappresentano
effettivamente l'analo-gato principale della cultura giacché
rappresentano la sintesi di tutta la vita umana sia individuale che
associata: essi sono la concretizzazione qualitativa dell'attività umana
passata, presente e futura; sono il tesoro della tradizione e del
progresso.10
Questa interpretazione ontologica della cultura permette
di intendere in modo correttamente teoretico - e non semplicistico, quasi
soltanto letterariamente evocativo - la celebre descrizione di cultura che
ha dato Giovanni Paolo II: la cultura «è ciò per cui l'uomo in quanto
uomo diventa più uomo, "è" di più, accede più
all'essere»." Il maggior accesso ontologico non è assurdamente
collocabile nell'ambito della sostanza, ma degli accidenti e di quei
particolari accidenti che sono gli habitus.
Nell'ente finito, infatti, la pienezza di perfezione, che
si esprime nel bonum simpliciter, non è coestensiva all'era^ simpliciter
(atto sostanziale), ma all'ente completato dalle ultime attuazioni
accidentali:
«secundum primum actum est aliquid ens simpliciter; et
secundum ultimum bonum simpliciter».12
1Q) «Habitus sunt revera quasi synthesis humanae
vitae individualis et socialis. Habitus enim continent in se totam vitam
humanam, hoc est, praeteritam, praesentem et futuram; praeteritam quidem
quia per actus causantur seu producuntur habitus, et ideo actus omnes
praeteriti sunt veluti conservati in habitu generato, et ita habitus
po-test dici quasi consideratio vel condensator vel accumulator totius
humanae activitatis praeteritae; praesentem, quia habitus est quo quis
utitur cum voluerit, et sic humanam activitatem veluti in manu habet;
futuram etiam, quia habitus generatus prompte, con-stanter, delectabiliter
prorumpit in actus perfectiores, qui nati sunt corroborare et au-gere
illos et sic quasi in succo continent totam humanam perfectibilitatem, et
evolutio-nem. (...) Sunt itaque habitus veluti thesaurus quidam totius
humanae activitatis, tradi-tionem et progressum simul involventes», S.
ramirez, De habitibus in communi, Madrid 1973, I, pp. 5-6.
. ") Allocuzione all'UNESCO, in «La traccia»
6 (1980), p. 473.
12 ) I, 5, 1, ad 1. Sebbene ente e bene si
identifichino realmente, tuttavia si distinguono secondo il modo della
considerazione razionale: non è lo stesso il senso nel quale parliamo di
ente in senso assoluto e di bene in senso assoluto. Ente dice propriamente
attualità, la quale dice ordine alla potenzialità: si dice perciò ente
in senso assoluto ciò che si distingue originariamente dalla
potenzialità in senso assoluto; e questo è l'essere sostanziale. Il
bene, invece, dice perfezione, cioè appetibilità, che ha sempre ragione
di ultimo: perciò si dice buono in senso assoluto ciò che è ultimamente
perfetto. Ciò che invece non ha la perfezione ultima che può e deve
avere non può essere considerato buono in senso assoluto, anche se
possiede la perfezione dell'attualità sostanziale.
219
parte terza
- Secondo l'essenza metafìsica, la cultura si definisce
come sapienza umana (speculativa-pratica) posseduta in modo abituale.
Questa definizione scaturisce da un approfondimento
specificativo della riflessione precedente, ricondotta alla base causale
finalistica che è principio determinante nelle cose dinamicamente protese
al fine."
Il fine della cultura è l'ultima e completa perfezione
che l'uomo può acquisire naturalmente con le sue sole forze: è la
beatitudine naturale, possibile in questa vita. Essa consiste
complessivamente nella considerazione speculativa attuale dell'ordine
universale - di cui Dio è causa prima e fine ultimo - e nell'esercizio
attuale delle virtù etiche -che ordinano prudenzialmente la prassi umana.
Ora, l'ordine come tale è l'oggetto formale proprio della sapienza, e, in
quanto considerato da un punto di vista umano, della sapienza umana.
Dunque la perfezione ultima naturalmente possibile in
questa vita per l'uomo, la sua beatitudine, consiste nell'esercizio
speculativo-pratico della sapienza. Questo esercizio sapienziale sarà,
perciò, il fine della stessa cultura.
In questo senso, nell'ente finito, la perfezione ultima si
pone nell'ordine dell'accidentalità e non della semplice sostanza. . , ,
.
L'habitus, per sua stessa definizione, implica un
radicale riferimento ad un soggetto presupposto cui inerire a guisa di
determinazione perfettiva. Questo soggetto, già dato come base sulla
quale si innesta la cultura, è ciò che chiamiamo natura. La cultura in
facto esse è così il risultato di un intervento operativo sul dato
naturale, il quale è di per sé finalizzato a tale compimento e dunque
non opponibile ad esso per contrarietà. Tra natura e cultura si da
continuità quanto all'attuazione delle virtualità della prima nella
seconda, e discontinuità quanto alla modalità d'attuazione (cultura
in fieri). La natura procede per pura spontaneità, la cultura invece
secondo deliberata progettualità.
Tuttavia, il primato appartiene all'aspetto di
continuità, giacché è naturale per l'uomo la modalità culturale
(deliberata progettualità) dell'autoperfezionamento. Del resto, volendo
sottodistinguere all'interno della stessa modalità culturale un duplice
livello del progetto razionale, cioè: 1) una progettualità ausiliare
rispetto ai principi attivi della natura (ed è la cultura in senso
stretto, nella quale l'artificialità dell'intervento razionale è solo
relativa al modo dell'esphcitazione; è l'artificiale quoad modum,
cioè quanto al processo ma non quanto al suo termine), e 2) una
progettualità costitutiva (che corrisponde alla cultura in senso più
lato e comprensivo del livello oggettuale-strumentale, nella quale
l'artificialità non solo è procedurale, ma anche terminale; è
l'artificiale quoad substantiam, cioè sia quanto al processo che
al termine prodotto), ebbene anche in questo secondo livello la cultura si
porrebbe di per sé in continuità con la natura.
13 ) Dalla definizione o, meglio, descrizione
attraverso la causa finale si possono dedurre le definizioni che si
costituiscono sulla base delle altre cause - soprattutto quella materiale
e formale (definizione essenziale)-; questo avviene perché ci troviamo in
un ordine di cose in cui ha estrema rilevanza la nozione, appunto, di
fine: «Potissime de-monstrationes sumuntur a fine in illis in quibus
agitur aliquid propter finem.sicut in naturalibus, in moralibus et
artificialibus», 5 Met., 1. 3.
220
Chiesa e cultura
E poiché la perfezione della beatitudine aggiunge alla
perfezione della cultura la semplice attuazione seconda dell'esercizio
(atto secondo),, la cultura sarà la stessa sapienza umana, colta nella
sua dimensione dispositivo-abituale (perfezione seconda in atto primo
modale).
L'articolazione specifica della cultura si evidenzia
sempre sulla base dell'oggetto della sapienza, cioè dell'ordine: ai
diversi livelli dell'ordine corrispondono le diverse parti o espressioni
della cultura nel suo senso principale.
' All'ordine ontologico, che la ragione considera ma non
fa,14 corrisponde la cultura intellettuale o speculativa;
all'ordine che la ragione, considerando, fa, corrisponde la cultura
pratica.
Se l'ordine viene posto dalla ragione in se stessa,
abbiamo la cultura logica, delle arti liberali e in genere delle
arti belle quanto al concepimento {cultura estetica).
Se l'ordine viene posto dalla ragione nelle operazioni
della volontà, abbiamo la cultura morale.
Se l'ordine viene posto dalla ragione nelle cose esterne
all'agente in quanto agente, abbiamo la cultura poietica in genere,
comprensiva delle arti servili o meccaniche: sia utili (cultura fisica,
cultura igienica, cultura tecnologica in tutta la sua espansione), sia
belle quanto all'esecuzione (cultura estetica).
Il concetto di cultura cristiana
Da quanto abbiamo visto, la cultura, a livello ontologico,
si colloca nell'ordine degli accidenti. Essa è il complesso degli habitus
buoni o delle qualità che perfezionano la persona umana in se stessa
e nel suo operare.
Anche la soprannatura, in quanto partecipata alla
creatura^razio-naie, si situa nello stesso ambito dell'accidentalità
perfettiva.15 E dun-
H ) Cfr.
1 Ethic., 1. 1. Per l'articolazione completa delle parti della
cultura, cfr. G. barzaghi, op. cit., pp. 105-114.
15 ) La grazia è il soprannaturale in senso stretto.
Essa si distingue dalla natura perché, nella sua
costituzione essenziale, è la stessa vita divina, il mistero del Dio uno
e trino.
Per questo motivo, essa trascende assolutamente l'ordine
naturale. Anche se la stessa creazione si colloca ad un livello di
gratuità, perché è un'iniziativa libera da parte di Dio, tuttavia essa
non è la comunicazione della vita divina, giacché questa comunicazione
si attua sostanzialmente a livello delle processioni intratrinitarie.
Dunque, una possibile partecipazione alla vita intima di
Dio è concepibile solo a livello accidentale e in modo non dovuto, o
gratuito in senso forte. In quanto comum-
221
parte terza
que agevole concludere che anche per la soprannatura si da
una dimensione culturale, nel senso precisato. Come esiste un complesso di
habitus buoni di ordine naturale, così esiste un complesso di habitus
di ordine soprannaturale. Questo complesso qualitativo, che perfe-
cata alla creatura intelligente (unico suo possibile
destinatario), la grazia è un accidente creato, che qualifica in modo
assolutamente nuovo il soggetto che la riceve.
Naturalmente, la dimensione accidentale della grazia ed il
suo aspetto di finitezza riguardano il suo modo di essere; quanto
all'essenza, invece, essa è la stessa partecipazione della vita di Dio e
gode di un'ampiezza infinita. L'intenzionalità del conoscere e dell'amare
rendono possibile questa seconda dimensione essenziale della grazia: è
Dio che si rende presente in modo totalmente nuovo e libero allo
spirito della creatura, come oggetto di conoscenza e di amore.
In questo modo, la grazia è una partecipazione finita di
un bene infinito. Quanto all'essenza, dunque,la grazia è perfettamente
disomogenea rispetto alla natura. Quanto invece al modo d'essere
accidentale, sotto il quale solo può essere conferita, essa suppone un
soggetto già costituito nell'ordine sostanziale naturale. Un dono, per
essere tale, richiede qualcuno che lo possa ricevere senza esigerlo.
Non esiste perciò simpliciter un'esigenza della
grazia da parte del soggetto naturale, ma c'è l'esigenza assoluta di un
soggetto sostanziale da parte della grazia. La priorità della natura
rispetto alla soprannatura non si impone solo a livello entitativo, ma
anche a livello operativo: «La fede suppone la conoscenza naturale, come
la grazia suppone la natura e la perfezione il perfettibile» (I, 2, 2, ad
1). La conoscenza d'ordine naturale, circa le verità metafisiche
(esistenza di Dio; spiritualità e immortalità dell'anima umana;
libertà, ecc.) e la legge morale naturale, è presupposta
a modo di preambolo o prerequisito alla conoscenza soprannaturale.
Le nozioni che entrano nel campo del soprannaturale,
secondo le combinazioni oscure degli enunciati di fede, devono essere note
quanto ai loro contenuti puramente naturali (per es. che cosa significa
persona, natura), perché l'atto di fede o il giudizio di fede (per es.
Cristo è vero uomo e vero Dio secondo l'unità della persona divina e la
diversità della natura umana e di quella divina) sia ragionevolmente
ammissibile.
Perché il credere non sia un atto irragionevole, inumano
e dunque immorale, occorre valutare la non evidente contraddittorietà
dell'asserto proposto.
Ciò implica la conoscenza dei contenuti concettuali e
della loro compossibilità metafisica.
Lo stesso discorso vale per la conoscenza della legge
soprannaturale: occorre una preconoscenza circa il senso della legge
morale, la natura della norma, i contenuti della legge morale naturale,
perché si possa valutare la ragionevolezza del comandamento
soprannaturale. Il perfezionamento apportato dalla grazia alla natura ha
una duplice finalità: una elevante ed una sanante.
La finalità principale della grazia è quella elevante,
proprio perché essa è per se stessa la partecipazione alla vita divina.
La finalità risanatrice della grazia (supposta la situazione di ferimento
della natura umana dopo il peccato originale) è invece secondaria e
direttamente funzionale alla prima.
Sebbene il soprannaturale sia disomogeneo rispetto alla
natura, superandone la proporzione, tuttavia ad essa conviene secondo la
potenza obbedienziale.
Non esiste nella creatura un'esigenza del soprannaturale,
ne v'è in essa una capacità attiva per esso.
Esiste però una potenza passiva. Non si tratta
evidentemente della semplice potenza passiva che si rapporta all'agire
naturale ad essa proporzionato (per es. la capacità della combustione
legata al legno e attuata dal fuoco). Nella creatura intelligente si da
anche una potenza passiva che si rapporta direttamente al primo agente,
cioè a Dio, il quale può condurre la creatura ad un'attuazione più alta
di quella che le è connaturale.
222
Chiesa e cultura
ziona la persona umana secondo la dimensione divina della
grazia, è la cultura soprannaturale. Grazia santificante, virtù
teologali, virtù morali infuse, doni dello Spirito Santo sono appunto il
complesso degli habitus buoni soprannaturali che costituiscono la
cultura soprannaturale.
La qualificazione cristiana di questa cultura deriva dalla
mediazione del Cristo. E vero che la chiamata al soprannaturale e il dono
della grazia, in senso assoluto, prescindono dal Cristo; ma nella presente
condizione della storia dell'umanità, successiva al peccato originale, la
grazia viene soltanto attraverso Gesù Cristo.
L'economia attuale è un'economia salvifica,, di
redenzione, che passa attraverso il mistero dell'incarnazione, della
passione, della morte, della risurrezione e ascensione di Cristo. Il
Cristo è l'unico mediatore tra Dio e gli uomini, perché è vero Dio e
vero uomo, e ha in sé tutte le cose.
A. L'ESSENZA -METAFISICA DELLA CULTURA CRISTIANA
In perfetta analogia di proporzionalità con la cultura
umana, la cultura cristiana si definisce essenzialmente come sapienza
cristiana speculative-pratica posseduta in modo abituale.
1) E sapienza perché ha per oggetto l'ordine
soprannaturale, considerato dal punto di vista stesso di Dio che è la
causa suprema. Il fine della cultura cristiana sta nella perfezione
soprannaturale dell'uomo, che si realizza nella comunione gloriosa e santa
con la vita di Dio. Ora, tale traguardo è consentito dalla carità, che
ci unisce a Dio in modo specialissimo e ottiene la sua piena espansione e
sviluppo attraverso il dono connesso della sapienza. D'altra parte,
essendo la carità
Questa è la potenza obbedienziale. La sua ampiezza è
perciò superiore a quella dei principi attivi immanenti.
La potenza obbedienziale è la condizione metafisica per
la quale il rapporto tra natura e soprannatura è di trascendenza della
seconda sulla prima, ma nello stesso tempo non di esclusione. L'attuazione
soprannaturale non distrugge l'identità sostanziale della creatura,
perché si colloca nell'ordine dell'accidentalità e - d'altra parte -
l'apertura generica delle facoltà spirituali a tutto l'ente e a tutto il
bene in communi mostra la non indifferenza della natura verso la
proposta soprannaturale.
Tra i due ordini c'è distinzione reale, ma anche armonia,
così che la grazia sia realmente un perfezionamento conveniente anche se
non dovuto.
Per un approfondimento della tematica cfr. A. galli, La
teologia della grazia secondo S.Tommaso e nella storia, Bologna 1987.
223
parte terza
la forma di ogni altra virtù, è sulla sua base che deve
compaginarsi l'intero organismo culturale cristiano. 2) La cultura
cristiana è insieme speculativa e pratica, non solo perché copre
l'estensione del conoscere e dell'agire, ma anche - e soprattutto -
perché, nell'intima unione con Dio, trova in Dio stesso l'oggetto della
contemplazione e il motivo dell'azione: «Per lo stesso fatto che la
sapienza che è dono è più alta della sapienza che è virtù
intellettuale, in quanto raggiunge Dio più da vicino attraverso una certa
unione dell'anima con lui, non solo ha la capacità di guidare nella
contemplazione, ma anche nell'azione».16 La sapienza divina
infusa contempla le cose divine in se stesse e le considera come regola
per ordinare le cose umane.
3) Si aggiunge: posseduta in modo abituale, per segnalarne
il preciso livello ontologico distintivo. La cultura è per sé un
complesso di habitus buoni ; cosi anche la cultura cristiana. Essa
si distingue in questo modo dalla beatitudine mistica, che ne è
l'esercizio attuale.
Potremmo precisare meglio l'asserzione distinguendo tré
aspetti della cultura.
a) La cultura cristiana in fieri ad esse consiste
nel moto della giustificazione, per la quale si costituisce il possesso
abituale radicale dell'organismo soprannaturale: grazia santificante,
virtù infuse e doni dello Spirito Santo.
b) La cultura cristiana in facto esse è il
possesso abituale in modo formale dell'organismo soprannaturale, come
complesso di habitus soggetti a sviluppo e perfezionamento.
e) La cultura cristiana in fieri ad melius esse,
per un verso può coincidere con l'atto mistico, se nell'esercizio degli habitus
soprannaturali -soprattutto dei doni- si considera solo l'effetto prossimo
(la dolcezza beatificante dell'atto virtuoso); per un altro verso essa è
l'a-zione che tende finalisticamente allo sviluppo dell'organismo
soprannaturale, ordinandosi a traguardi di perfezione ulteriore.
B. il
DUPLICE LIVELLO DELLA CULTURA CRISTIANA
Certamente la fede cristiana trascende sia l'ordine della
natura, sia quello della cultura umana, perché frutto di rivelazione
soprannaturale. Ma proprio per questo motivo essa è a un tempo
«compatibile» con ogni cultura umana, in tutto ciò che questa ha di
«conforme alla
16 )
II-II, 45, 3, ad 1.
224
Chiesa e cultura,
retta ragione e alla buona volontà», ed è essa stessa
«un fatto dinamizzante di cultura» per eccellenza.17 Ciò
significa che la grazia di Cristo suppone la natura umana; elevandola la
guarisce dalle ferite del peccato, la corrobora rispettandone i dinamismi.
«La sopraelevazione alla vita divina è la finalità
specifica della grazia, ma essa non può realizzarsi senza che la natura
sia guarita e senza che l'elevazione all'ordine soprannaturale conduca la
natura, nella sua linea propria, a una pienezza di perfezione».18
Da questo rilievo risultano, in complesso, due possibili
livelli di qualificazione cristiana della cultura. , i
- Il livello della cultura cristiana che è tale quanto
alla sostanza o in senso strettamente essenziale (per se).
- Il livello della cultura cristiana che è tale solo
quanto al modo o in senso indiretto ed estrinseco (per accidens) e
quindi come presupposto o conseguenza.
a) II livello essenzialmente cristiano di una cultura
coincide con una certa perseità culturale del cristianesimo, intesa in
modo corretto.
E profondamente vero che il cristianesimo trascende
l'ordine della cultura umana, perché, pur rientrando nella storia, è un
fatto e una dottrina di origine divina. Esso non è storicamente
relativizzabile.
Tuttavia, nel suo intimo, è la comunicazione della vita
divina all'uomo: la natura umana viene coinvolta in un dinamismo, in una
finalità che la portano sopra se stessa.
Il Cristianesimo è dunque essenzialmente coltivazione
dell'uomo secondo questa nuova dimensione.
b) II livello indiretto o accidentale della cultura
cristiana comprende presuppositivamente le sue condizioni di
possibilità nell'ordine naturale.
Si tratta delle nozioni o verità di ordine .metafìsico o
semplicemente culturale, che fungono da sostegno al contenuto rivelato, o
lo veicolano attraverso l'ispirazione.
A modo di conseguenza appartengono al livello
indiretto della cultura cristiana quelle verità o quelle nozioni che
fanno la propria
17 )
Cfr. Fede e inculturazione. Documento preparato dalla commissione
teologica internazionale nella sessione plenaria del dicembre 1987,
approvato in forma specifica nella sessione plenaria dell'ottobre
1988 e pubblicato con il placet di s. era. il Card. Rat-zinger,
presidente della commissione; in «II Regno-documenti» 9 (1988), p. 276.
18 ) Ibid.
225
parte terza
comparsa sulla scena fìlosofica o culturale della storia
umana, solo dopo o in conseguenza della rivelazione cristiana.
Tali nozioni, intrinsecamente naturali, nascono dalla
riflessione razionale sul mistero rivelato, per un'esigenza di
plausibilità o di chiarificazione della sua proposta, ma con un campo di
applicazione successiva più esteso. Tale è, per esempio, il caso della
nozione di persona.
La Chiesa e la cultura umana
I. il
LIVELLO PRESUPPOSITIVO
Abbiamo visto còme la grazia cristiana si innesti
sulla natura, senza cancellarla o sostituirla. Ciò significa che la
natura come tale rientra nel disegno ricapitolativo di Dio in Cristo.
In un senso perciò strutturale, essa appartiene al
progetto cristiano sull'uomo, tuttavia non in termini strettamente
formali. Una cosa è il discorso sull'uomo; altra cosa è il discorso sul
cristiano, anche se il discorso sul cristiano non può integralmente
prescindere dal discorso sull'uomo.
Il messaggio evangelico è rivolto all'uomo ed è per
l'uomo, ma perché si elevi a ciò che lo supera infinitamente, senza
annientarsi.
a) II piano ontologico
Dal punto di vista ontologico, appartengono al livello
indiretto della cultura cristiana tutte le perfezioni abituali, l'insieme
degli habitus buoni, che costituiscono la cultura umana, con i loro
specifici dinamismi.
Evidentemente, si tratta di ciò che il cristianesimo
auspica e stimola, pur riconoscendo la sua autonomia.19
«L'attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì
piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra
presente, dove cresce quel corpo dell'umanità nuova, che già riesce ad
offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo. Pertanto,
benché si debba accuratamente distinguere il pro-
19 ) Cfr. Gaudium et spes, n.36.
226
Chiesa e cultura.
gresso terreno dallo sviluppo del regno di Cristo,
tuttavia nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l'umana
società, tale progresso è di grande importanza per il regno di Dio».20
b) II piano gnoseologico
Dal punto di vista gnoseologico, appartengono al livello
indiretto della cultura cristiana tutti quei contenuti di verità
razionale che pre^ ludono a quelle rivelate, oppure quei contenuti di
cultura-ambiente, che sono coinvolti nel meccanismo dell''ispirazione
divina e servono a veicolare le verità rivelate.
1) Se consideriamo le verità razionali, ad esse viene
riconosciuta una triplice funzione: preambolare, strumentale e
apologetica.
Il ruolo preambolare delle verità razionali è
già stato evidenziato:21 esso consiste in una introduzione
ragionevole al credere sulla base, della dimostrazione dell'esistenza di
Dio creatore, della libertà umana, dell'immortalità dell'anima
razionale, dell'esistenza e determinazione della legge morale naturale
ecc.
Il ruolo strumentale si sviluppa all'interno della
fede stessa, per l'approfondimento teologico del dato rivelato, in vista
di una sua analogica comprensione e sistemazione. Tutte le scienze umane
sono coinvolte in tale approfondimento, ma prima di ogni altra la
filosofia.22
Il ruolo apologetico è per sé prettamente
negativo: è la difesa contro le contestazioni rivolte alla fede,
mostrando la loro falsità, o almeno la non cogente necessità. Tuttavia
lo sforzo speculativo per la solu-
20 ) Ibid.,
a. 39.
21 ) Cfr. la nota n.l5 del presente studio.
22 ) Questo livello o funzione della razionalità
filosofica viene descritto da S. Tom-maso come notificazione analogica dei
misteri della fede (cfr. In B. Trin., Pro., 2,3 e.). Questa
notificazione può essere realizzata anche attreverso i concetti o le
immagini culturali usualmente comuni ad un determinato ambiente purché
presentino, pur nella loro semplice opinabilità e non incontrovertibile
fondazione, una certa plausibilità - cioè non siano erroneamente
deleteri. S.Tommaso addita come esempio ciò che fa S. Agostino nel De
Trin.ita.te, quando usa le dottrine filosofiche del suo tempo
(neoplatonismo) per chiarire analogicamente il mistero della SS.Trinità.
Questa mediazione rappresenta il tipico processo dell'inculturazione,
cioè dell'introduzione della fede in una cultura, e dell'acculturazione,
cioè dell'uso di certi contenuti culturali per un arricchimento
situazionale della conprensione della fede. A questo riguardo mi sia
concesso rinviare a G. barzaghi, Le basi e i metodi della persuasione.
Tra coscienza moderna, e nuova evangelizzazione, in AA. VV., La
coscienza morale e l'evangelizzazione oggi. Tra valori obiettivi e
tecniche di persuasione, Bologna 1992, pp. 147-170; G. barzaghi, 77 Catechismo
della. Chiesa cattolica. Le basi dottrinali della fnitova.
evangelizzazione», in «Vita e Pensiero» die. 1992, pp. 802-810.
227
parte terza
zione delle istanze sollevate può riconvertirsi
positivamente, con approfondimenti importanti nell'ordine della funzione
strumentale.
2) Se si considerano i contenuti della cultura-ambiente,
nella quale si inserisce la rivelazione, anche in questo caso ci troviamo
di fronte a ciò che solo indirettamente appartiene al patrimonio
cristiano.
Come è noto, l'aspetto principale dell'ispirazione
divina, nell'ambito della rivelazione, si colloca sul piano del giudizio (iitdicwm
de rebus acceptis), con il quale si valutano speculativamente ed anche
praticamente i contenuti che devono veicolare la rivelazione.
Proprio questi contenuti (acceptio rerum) non
necessariamente sono di diretta provenienza divina. Dio può servirsi
anche di immagini o concetti tipici dell'ambiente culturale storico per
comunicare le verità trascendenti.23
«Poiché Dio nella sacra scrittura ha parlato per mezzo
di uomini alla maniera umana, l'interprete della sacra scrittura, per
vedere bene ciò che egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con
attenzione che cosa gli agiografi in realtà hanno inteso significare e
che cosa a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole».24
Cosi il Vaticano II mette in luce questa problematica tanto delicata.
Grande importanza deve perciò essere riconosciuta ai
generi lette-rari, perché la verità rivelata è proposta in modi assai
diversi (storico, profetico, poetico ecc.), secondo moduli espressivi
storicamente ed etnicamente determinati.25
II. il
LIVELLO CONSEGUENTE
La presenza del messaggio cristiano nella storia dell'uomo
non solo suppone delle condizioni di recettibilità, ma -in loro assenza-
essa stessa le costituisce e le promuove. La cultura soprannaturale, la
cultura cristiana quanto alla stessa sostanza ha un riflesso sensibile
nell'ordine della cultura umana.
") Cfr. II-II, 173, 2c e ad 1; P. benoit, Rivelazione
e ispirazione, tr. it. Brescia 1966.
24 ) Dei Verbum, n. 12.
25 ) Ibid., n. 13. Per uno sviluppo di questa
problematica cfr. G. barzaghi, Le basi e i metodi della persuasione.
Tra coscienza moderna e nuova evangelizzazione, cit.
228
Chiesa e cultura
a) II piano ontologico
Dal punto di vista ontologico, il messaggio cristiano
«non distòglie dal compito di edificare il mondo, ma impegna ad esso con
un obbligo ancor più stringente».26
Nonostante la specifica finalità salvifica
soprannaturale, con la comunicazione della vita divina all'uomo, la luce
della verità cristiana si riverbera su tutto il mondo: risana ed eleva la
«dignità della persona umana», consolida la compagine sociale,
arricchisce di un significato più profondo il lavoro quotidiano
dell'uomo, rendendo «più umana la famiglia degli uomini e la sua
storia».27
In questo senso, tra evangelizzazione e promozione umana
intercorrono legami profondi.28
A livello antropologico: l'uomo che è soggetto
dell'evangelizzazione è concretamente situato in un contesto
economico-sociale.
A livello teologico: il piano della creazione non
è dissociabile da quello della redenzione: il Cristo redentore è lo
stesso Verbo per mezzo del quale ogni cosa è stata fatta e nel quale
tutto sussiste (Gv 1, 3; Col 1, 16-17); d'altra parte la
redenzione «arriva fino alle situazioni molto concrete dell'ingiustizia
da combattere e della giustizia da restaurare».29
A livello evangelico: la proclamazione della
carità ed il suo esercizio promuovono - e non possono non promuovere -
«l'autentica crescita dell'uomo» nella vera giustizia e nella vera pace.30
Dove è necessario, la Chiesa stessa può e deve suscitare
opere di misericordia, destinate al servizio di tutti, specie dei più
bisognosi.31
Il motivo soprannaturale della loro produzione consente
anche alle attività di ordine economico un orientamento cristiano.
b) II piano gnoseologico
Dal punto di vista gnoseologico la rivelazione contiene
delle verità che appartengono, per sé all'ordine naturale (revelata
per accidens).
Sempre legate alla rivelazione, ma con una modalità
diversa, si danno anche altre verità di ordine puramente filosofico.
26 ) Gaudium
et spes, n. 34.
27 ) Ibid., n. 40.
2S ) Cfr. paolo VI,. Evangelii nuntiandi, n.
31.
2 ") Ibid.
30 ) Ibid.
") Cfr. Gaudium et spes, n. 42.
229
parte terza
Mentre il primo tipo di verità è contenuto nella
rivelazione stessa, questo secondo tipo non v'è contenuto, ma è
estrinsecamente collegato con il mistero rivelato.
L'entrata del dogma cristiano sulla scena della
riflessione filosofì-ca stimola la ragione all'approfondimento del suo
stesso apparato concettuale, per una determinazione più precisa della
possibilità e non evidente contraddittorietà del vero rivelato.
In questo modo le nozioni filosofiche di essenza ed
essere, di sostanza ed accidente, di natura e persona nei loro reciproci
rapporti, di mutamento e produzione, subiscono un approfondimento e un
assestamento teoretico, grazie all'occasione della rivelazione del mistero
trinitario, dell'incarnazione e dell'eucaristia.
La Chiesa e la cultura cristiana
II soggetto primario della.cultura cristiana è la persona
umana. Il soggetto secondario (nel senso parziale) fondamentale e
immediato formalmente è l'anima, alla cui essenza inerisce come abito
enthativo la grazia santificante abituale.
Materialmente anche il corpo partecipa a tale dimensione.
Evidentemente esso non riceve la grazia per inerenza come l'anima, ma è
il «tempio» dello Spirito Santo (7 Cor 6, 19). La gloria di Dio deve
rna-nifestarsi anche nel corpo (1 Cor 6, 20).
«Principalmente lo Spirito Santo è nel cuore degli
uomini, nel quale, per suo mezzo, è infusa la carità - come si dice in Rm
5, 5. Tut-' tavia, secondariamente egli è anche nelle membra corporee, in
quanto esercitano le opere della carità».32
La gloria di Dio deve manifestarsi anche nel corpo (1
Cor 6,20): in questa vita, attraverso il servizio delle cose di Dio -
il che non esclude, anzi comporta anche il valore soprannaturale di una
certa educazione fisica, arricchita di motivazioni teologali e ascetiche
-;33 nell'altra vita, con la trasformazione gloriosa della
resurrezione. Allora il corpo sarà impassibile, cioè non patirà
dolori, malattie, morte;34 sarà sottile, nel senso che
acquisterà una certa spiritualità;35 sarà agile e pienamente
32 ) Super
Primam Ep. ad Cor. lect., VI, 1. 3.
33 ) Cfr. A. F. bednarski, Cultura ed educazione
fisica alla luce del pensiero di S. Tommaso d'Aquino, Roma 1972, pp.
31-33. 3") Cfr. Suppl., 82, 1. 35) Ibid.,
83, 1.
230
Chiesa e cultura,
obbediente allo spirito;36 sarà chiaro,
cioè pieno della bellezza e splendore della gloria dell'anima.37
Le facoltà formalmente interessate alla ricezione degli
abiti operativi soprannaturali sono l'intelletto, la volontà e l'appetito
sensitivo. Le altre facoltà possono ricevere mozioni préternaturali
attraverso la grazia attuale.
Per quanto riguarda il soggetto secondario fondamentale
mediato, cioè la società, nell'ordine soprannaturale abbiamo la Chiesa.
Essa è infatti una società perfetta con una vita e un fine
soprannaturali.38 In ultima analisi le diverse immagmi bibliche
che la evocano come \'ovile (Gv 10, 1-10), il campo o
ì'edificio (1 Cor 3, 9), ^famiglia di Dio (Ef 2,
19-22), la sposa dell'Agnello (Ap 19, 7), il corpo
mistico (1 Cor 12;
Col 1, 24) mettono metaforicamente in evidenza diversi
particolari aspetti della sua natura,39 ma molto
realisticamente sono tutte ricon-ducibili a un'obiettiva determinazione in
termini sociali.
La Chiesa è una società perfetta.
Nella riflessione ecclesiologica, si è soliti distinguere
due aspetti di questa congregatio ecclesiale, cioè
dell'unica Chiesa:40 un aspetto passivo e un aspetto attivo.
La Chiesa congregata (aspetto passivo) rappresenta
l'insieme dei fedeli che, radunati dal Padre, incorporati al Cristo,
vivificati dallo Spirito Santo, tendono al perfezionamento della santità.
La Chiesa congregante (aspetto attivo) rappresenta
l'insieme dei mezzi gerarchicamente compaginati, che consentono la vita di
santità.
La Chiesa congregata è soggetto mediato della cultura
cristiana, in quanto sono i singoli fedeli che costituiscono il soggetto
immediato degli abiti soprannaturali infusi, e sono personalmente chiamati
a perfezionarsi.41
La Chiesa congregante è propriamente l'apparato
gerarchico-ma-gisteriale-sacramentale che, essendo finalizzato
strumentalmente alla santificazione della Chiesa congregata, gode di un
certo grado di sussistenza entitativa rispetto alle sue parti.42
In questo senso la Chiesa è
3<i )
Ibid., 84, 1. i
37 ) Ibid., 85, 1.
38 ) Cfr. Lumen gentium, e. S. Si veda anche
Y. congar, L'idee de l'Eglise chez S. Thomas d'Aquin, in id., Esquisses
du Mystère de l'Eglise, Paris 1941, pp. 59-92.
39 ) Cfr. Lumen gentium, nn. 6-7.
40 ) Cfr. Ibid., nn. 8; 10; 11.
41 ) Cfr. Ibtd., e. 5.
") Cfr. De Ver., 29, 4; II-II, 39, 1.
231
parte terza
sacramento di salvezza,43 e in un certo modo è
un soggetto primario della cultura cristiana, a livello degli strumenti.
Il magistero della Chiesa, attraverso un'assistenza
particolarissima dello Spirito Santo, sviluppa l'interpretazione autentica
della parola di Dio nell'esplicitazione dogmatica44 e nella
capacità di approfondimento pastorale dei problemi e delle modalità di
annuncio del Vangelo (ufficio profetico).45 ;
Anche la funzione di governo (ufficio regale) e di
santificazione (ufficio sacerdotale) conoscono un arricchimento sotto
l'impulso e l'assistenza dello Spirito Santo: nel promulgare leggi adatte
alla regolamentazione della vita della Chiesa, nell'amministrazione dei
sacramenti a «carattere»46 e nel perfezionamento di ciò che
concerne il culto divino.
In un certo senso la Chiesa è soggetto primario della
cultura cristiana anche in quanto complessivamente è corpo mistico.
Così infatti esprime un'unità sussistente non riconducibile alla
semplice somma dei singoli mèmbri. Tuttavia occorre riconoscere che la
coltivazione cristiana di questo soggetto riguarda il suo aspetto creato e
non quello increato. Il primo, infatti, comprende l'anima creata della
Chiesa: le virtù teologali, i sacramenti e la gerarchla; il secondo
invece comprende l'anima increata cioè lo Spirito Santo, che non va
soggetto a perfezionamento, ma è il principio efficiente di esso.
Nell'ordine dei mezzi, che sono a un tempo, ma sotto
diversi aspetti, strumento e segno della cultura cristiana, si collocano i
sacramenti. Essi non sono un reale soggetto di inerenza, ma semplice veicolo
della grazia santificante, nell'azione sacramentale.
Per altro verso, tutta la dimensione simbolica della
liturgia e la sua ambientazione artistica sono atte a significare e
richiamare la vita soprannaturale.47 L'arte sacra ha una
funzione importantissima nell'e-sprimere la bellezza divina attraverso gli
strumenti offerti nella creazione e investiti dei criteri della
razionalità.
43 )
Cfr. Lumen gentium, n. 1.
44 ) Cfr. Dei verbum, n. 10.
45 ) Cfr. Gaudium et spes.
46 ) II carattere sacramentale è una potenza
spirituale soprannaturale, inerente all'intelletto pratico, la quale
conferisce un potere attivo (ordine) o passivo (battesimo, cresima) in
ordine alla santificazione. E uno strumento che abilita al culto
cristiano. Cfr. Ili, 63, 2.
47 ) Cfr. Sacrosanctum condlium, n. 2.
232
237
della STESSA COLLANA:
1 - E. zoffoli,
Galileo: fede nella Ragione, ragioni della Fede, pp.
188, L. 18.000.
2 - G. barzaghi,
Metafisica della cultura cristiana, pp. 222, L.
25.000.
3 - T. tyn,
Metafisica della sostanza. Partecipazione e analogia entis,
pp. 976, L. 100.000.
4 - S. parenti,
Comunicazione, credibilità di Cristo, fede, pp. 160,
L. 18.000.
5 - R. spiazzi,
Natura e grazia,
fondamenti dell'antropologia cristiana secondo S. Tommaso
d'Acquino, pp. 252, L. 22.000.
6 - C. pandolfi,
S. Tommaso filosofo nel commento ai Salmi,
interpretazione dell'essere nel modo «esistenziale»
dell'invocazione,
pp. 368,
L. 36.000.
7 - A. stagnitta,
La fondazione medievale della psicologia, pp. 192, L.
18.000.
8 - M. forlivesi,
Conoscenza e affettività.
L'incontro con l'essere secondo Giovanni di San Tommaso,
pp. 432,
L. 45.000.
9 - G. Di nola,
Tommaso Campanella, il nuovo Prometeo, pp. 272, L.
27.000.
10 - G. Di nola, Simone Weil.
Una voce profetica per i nostri tempi, pp. 208, L.
20.000.
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INDICE
Prefazione
PARTE PRIMA RAGIONE E TEORESI
Senso e valore della ratio tomistica
9-1. L'ETIMO
9-2. L'USO IN S. tommaso 13 - 3. la POSIZIONE ONTOLOGICA
13 - 4. L'ESSENZA 13 - 5. le CARATTERISTICHE
L'ambiente logico della razionalità
19 - I.
situazione TERMINOLOGICA
20 - II. determinazione ESSENZIALE
22 - III. caratterizzazione QUALITATIVA
23 - A. La logica giudicativa «docens» 23 - 1.
Aspetto formale 29 - 2. Aspetto materiale
31 - B. La logica giudicativa «utens»
32 - C. La logica inventiva
32 - 1. La Dialettica
33 - 2. La Retorica
34 - 3. La Poetica 34 - D. La Sofistica
Natura e proprietà della razionalità filosofica in S.
Tommaso d'Aquino p. 37
37-1.
L'ETIMOLOGIA
37 - 2. L'USO DEL TERMINE IN S. tommaso
38 - 3. la GENESI DEL DATO
39 - 4. L'ESSENZA DELLA FILOSOFIA
42 - 5. le CARATTERISTICHE DELLA FILOSOFIA
42 - Le caratteristiche radicali
45 - Le caratteristiche quasi speciali
45 - Divisione della filosofia, nelle sue parti
50 - Le caratteristiche delle parti della filosofia
50 - 1. La metafìsica
54 - 2. La matematica
55 - 3. La filosofia naturale
57 - 4, La logica
58 - 5. La filosofìa morale
58 - 6. Le arti meccaniche
59 - 6. conclusione
La teologia come scienza:
esplicitazioni e approfondimenti del concetto tomistico p.
60
60 - introduzione
61 -
ambientazione SPECULATIVA 65 - la DOTTRINA DI S. tommaso
65 - a) II concetto di scienza
72 - b) Scienza prima e scienza subalterna
74 - e) Lo statuto scientifico della teologia
78 - esplicitazione O INTERPRETAZIONE ESPANSIVA
79 - a) La mediazione filosofica
80 - 1. La formalità naturale. 85 - 2. Ancillarità
della filosofia? 88 - b) La mediazione culturale
PARTE SECONDA METAFISICA p. 93
Materia e forma.
Senso metafisico ed espansioni analogiche
dell'ilemorfismo in S. Tommaso d'Aquino p. 95
95 - introduzione 234
96 - I.
le NOZIONI METAFISICHE DI SOSTANZA E DI ACCIDENTE
96 - 1) II quadro semantico 100 - 2) La posizione
ontologica 102 - 3) La descrizione essenziale 105 - 4) Le qualificazioni
caratterizzanti 105 - a) La prospettiva ontologica
109 - b) La prospettiva logica
110 - II. la STRUTTURA FISICA DELLA SOSTANZA
SENSIBILE
110 - 1) La determinazione della costituzione
ilemorfica dell'ente sensibile 112 - 2) Descrizione dei
due coprincìpi
112 - a) La materia
113 - h) La forma
114 - 3) La caratterizzazione specifica
114 - a) La materia
115 - b) La forma
121 - 4) II riflesso logico
122 - a) Inquadramento tematico 124 - b) La
problematica
126 - III.
espansioni ANALOGICHE
126 - 1) L'analogia
126 - a) Descrizione
128 - b) Articolazione e caratterizzazione
131 - 2) Applicazione tematica
132 - a) La materia
133 - b) La forma
136 - 3) Un interessante esempio di ordine psicologico
La nozione di creazione in S. Tommaso d'Aquino p. 139
139 - ambientazione SEMANTICA
140 - il GUADAGNO INFERENZIALE 145 - L'ESSENZA DELLA
CREAZIONE 147 - le PROPRIETÀ DELLA CREAZIONE
147 - Le caratteristiche generali 151 - Le caratteristiche
specifiche
Analisi teoretica del concetto di premozione fisica
secondo i princìpi di S. Tommaso d'Aquino p. 155
235
PARTE TERZA ANTROPOLOGIA E CULTURA p. 165
La passio tristitiae secondo S. Tommaso. Un esempio
di analisi realista p. 167
168 - L'ASPETTO PSICOLOGICO DELLA TRISTEZZA
(I-II, qq. 35-38)
168 - 1. La natura della tristezza (q. 35, 1-2) 168 - 2.
Le proprietà della tristezza (q. 35, 3-7)
170 - 3. I diversi tipi di tristezza (q. 35, 8)
171 - 4. Le cause della tristezza (q. 36)
172 - 5. Gli effetti della tristezza (q. 37)'
173 -
L'ASPETTO MORALE DELLA TRISTEZZA (q. 39)
174 - I RIMEDI ALLA TRISTEZZA (q. 38)
177 - conclusione
Arte e malinconia. Punti cardinali di un rapporto
psicologico p. 178
178 -
ambientazione PROBLEMATICA
179 - A) malinconia E GENIALITÀ
179 - 1. Il concetto di malinconia e le sue
interpretazioni 182 - 2. Le indicazioni dell'esperienza
184 - B)
arte E TRISTEZZA
184 - 1. La funzione catartica dell'arte 188 - 2. Il bello
e la contemplazione
191 - conclusione
Le basi e i metodi della persuasione. Tra coscienza
moderna e nuova evangelizzazione p. 193
193 - aspetto TEORICO FONDATIVO
193 - La coscienza
198 - La persuasione
198 - Le basi dell'argomentazione
203 - // metodo persuasivo
203 - determinazioni SPECIFICHE O APPLICATIVE
A PROPOSITO DELLA «NUOVA» EVANGELIZZAZIONE
203 - Quanto alla plausibilità del metodo
210 - Quanto ai luoghi dialettici
211 - Quanto al pathos
236
Chiesa e cultura. Lineamenti teoretici di un rapporto p.
213
213 - introduzione
213 - il
CONCETTO DI CULTURA
213 - A. Breve ambientazione problematica
215 - B. Proposta di una definizione
221 - il
CONCETTO DI CULTURA CRISTIANA
223 - A. L'essenza metafisica della cultura cristiana
224 - B. Il duplice livello della cultura cristiana
226 - la
chiesa E LA CULTURA UMANA
226 - I. Il livello presuppositivo
226 - a) II piano ontologico
227 - b) II piano gnoseologico
228 - II. Il livello conseguente
229 - a) II piano ontologico
229 - b) II piano gnoseologico
230 - la chiesa E LA CULTURA CRISTIANA
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