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RITIRO SPIRITUALE - PAESTUM - NOVEMBRE 96
Inizia oggi il nostro ritiro annuale durante il quale vi chiedo la massima concentrazione perché questi giorni possano essere il più fruttuosi possibile, cercando di rientrare in noi stessi, allo scopo di esaminare il nostro modo di essere cristiani alla ricerca della nostra identità cristiana perché cercare di conoscersi richiede impegno e profonda concentrazione sulla nostra personalità. Il Vangelo, la Scrittura, le lettere di S. Paolo, ma in particolare il vangelo di S. Giovanni, ci suggeriscono le operazioni mentali da compiere in questa opera di ricerca che, in realtà, sono quelle che fin dall’antichità i Padri della Chiesa hanno operato ed anche la Chiesa odierna normalmente compie nella liturgia, nella preghiera e nel suo incontro con Dio. Tutto questo possiamo riassumerlo in poche parole sapendo che la liturgia è una memoria, un ricordo e che non possiamo realizzare la preghiera se non andiamo indietro con la nostra memoria a tutta quanta la storia della salvezza. Quando leggiamo la storia dei mistici, delle sante donne e degli uomini di preghiera, ci accorgiamo che essi hanno sempre messo al primo posto questo movimento della memoria mentre S. Giovanni della Croce e S. Teresa d’Avila hanno sostenuto che per poter pregare è necessario possedere tre facoltà: la memoria, l’intelletto e la volontà. La memoria La memoria serve a ricordare le meraviglie che il Signore ha fatto, ovvero tutto ciò che il Signore ha compiuto nella storia della salvezza, perché solo con il ricordo di queste cose possiamo poi trasferirci psicologicamente e mentalmente in questa dimensione. Possiamo avere degli esempi negli uomini della storia della salvezza e della Chiesa per assumere le nostre decisioni nel dialogare con Dio. La memoria infatti comporta proprio questa presenza di Dio. Leggendo il Vangelo di Giovanni si rimane stupiti nel vedere come la categoria del "ricordare" sia continuamente presente nel suo discorso come leggiamo in Gv. 2,13-17 :"Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e i cambiavalute seduti al banco. Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori del tempio con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato». I discepoli si ricordarono che sta scritto: "Lo zelo per la tua casa mi divora." Questo è un esempio chiave del processo mentale e psicologico. Di fronte ad un fatto storico, che stava avvenendo davanti a loro, i discepoli ricordano la parola della Scrittura. Questo deve essere il procedimento mentale che anche noi dobbiamo seguire circa gli avvenimenti della nostra vita, imparando a leggerli alla luce della Parola di Dio ripensando a quello che il Signore ha fatto e detto nel corso della storia della salvezza. In Gv 2,18-22 leggiamo ancora: "Allora i Giudei presero la parola e dissero:« Quale segno ci mostri per fare queste cose?» . Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricorderanno che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù". Vedete allora come il "ricordare" alimenta la nostra fede, ci da conferma di determinate cose che abbiamo capito o che forse avevamo pensato e di cui non avevamo conferma. Ad un certo punto ci ricordiamo e tutto diventa più chiaro. Credo che questo processo avvenga normalmente nella vita di ognuno di noi. Se leggiamo la Scrittura, se ci nutriamo della Parola, se diamo spazio alla realtà di Dio nella nostra vita, allora dentro di noi s’innesca questo processo spirituale, questo modo di affrontare la realtà per cui nulla avviene nella nostra vita che non abbia un riflesso, un richiamo nella Scrittura. E’ chiaro quindi che per noi è assolutamente necessaria la memoria senza per questo dimenticare e tralasciare quest’altra grossa verità che la nostra vita è un insieme di cose e di avvenimenti collegati tra di loro a partire dalla nostra prima infanzia. La memoria ci serve per ricordare, al di là di quelle che sono state le cose della storia della salvezza universale, gli avvenimenti, i fatti e la presenza di Dio nella nostra storia personale. Saremmo insensati se lasciassimo trascorrere gli avvenimenti della nostra vita senza ricordare frequentemente questo filo che lega la nostra esistenza. Così facendo possiamo renderci conto che, in realtà, nulla è avvenuto nella nostra vita che non sia stato già preordinato e predisposto da Dio e prendiamo coscienza delle tante volte, se non sempre, che abbiamo incontrato il Signore realmente, con i fatti e le coincidenze della nostra vita, con i suggerimenti che venivano direttamente dallo Spirito. Per noi cristiani é essenziale saper usare la memoria, imparare ad attivarla per poter leggere a ritroso il nostro passato e domandarci oggi, alla luce dell’esperienza il vero significato delle cose che abbiamo vissuto ed imparato. Così facendo ci é capitato e ci capiterà, di rileggere alcuni episodi della nostra vita ed esclamare: "..forse il Signore voleva dirmi.." oppure "può darsi che quella tale cosa mi é capitata proprio perché, dopo, riflettendoci ......." Questo è esattamente quanto è accaduto ai discepoli di Gesù. L’evangelista Giovanni infatti afferma che : " quando poi fu resuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alle parole dette da Gesù" (Gv.2,22). Questo processo non si è verificato dopo pochi giorni, ma certamente i discepoli e gli apostoli di Gesù avranno impiegato molti anni a ricordare, rileggere e capire così come ha fatto la Chiesa primitiva. Quando leggiamo le Lettere ed i Vangeli che sono stati scritti alcune decine di anni dopo, ci rendiamo conto che i discepoli non avevano mai tralasciato di ricordare con la loro memoria le cose che aveva detto e fatto il Signore e, parlando tra di loro e comunicando agli altri quegli avvenimenti sono arrivati a comprendere, anche se lentamente, sempre più profondamente le verità dell’insegnamento di Gesù. Questo è l’importante perché é una tecnica di vita, è un modo di vivere che deve diventare nostro con semplicità ma, è anche la constatazione del fatto che non possiamo capire tutto e subito. Pretendere di capire tutto e subito é una pretesa sciocca per coloro che si mettono nella condizione psicologica di dire "non ho capito, quindi non è vero, e basta! ..." Il giusto atteggiamento consiste invece nel considerare che, anche se al momento non abbiamo compreso, rileggiamo i passi della Scrittura e li meditiamo e vedremo come, successivamente, le cose che non erano chiare diventano più comprensibili grazie all’azione dello Spirito Santo che avremo invocato per aiutarci nella conoscenza della verità. In questi giorni vorrei che fosse chiaro a tutti , anche in conseguenza dell’operazione di rilettura della nostra vita, che arrivassimo ad una decisione definitiva, ferma, ultima senza avere dubbi e incertezze, per affermare con convinzione certezza che siamo cristiani per le nostre motivazioni di fede e di certezze che ci vengono dalla parola di Dio e dall’insegnamento della Chiesa che scruta e studia la Parola alla luce della grazia e della teologia. Certamente possono presentarsi nella nostra vita momenti di difficoltà e di perplessità, ma non possiamo ogni volta mettere in discussione tutto quello che abbiamo deciso. Dobbiamo invece perché sta avvenendo "questa" cosa in "questo" momento preciso della nostra vita e, alla luce di quanto abbiamo costruito e deciso prima, cercare di affrontare e risolvere al meglio il problema che si è presentato. Diversamente non potremo costruire nulla tanto meno possiamo fare come coloro che dopo alcuni anni, se non mesi di matrimonio, hanno seri dubbi sulla loro scelta matrimoniale. Essendo sposati non si discute più ma la nuova situazione va affrontata con serenità e serietà secondo gli impegni assunti davanti a Dio quando è stato celebrato il sacramento. Analogamente questo vale anche per la professione, la scelta dell’università da frequentare e le altre cose della nostra vita perché a nessuno viene in mente dopo diversi anni, chiedersi se ha sbagliato o meno a fare quella determinata scelta. Questo atteggiamento vale anche per la nostra fede, ovvero per la nostra scelta del Signore che non è una realtà astratta ma un preciso atto della nostra volontà per cui, se abbiamo scelto di seguire Lui non si torna indietro. Le citazioni del vangelo di Giovanni mettono in evidenza continuamente questo processo mnemonico legato alla scelta di fede dei discepoli che certamente può aiutare anche noi a pregare ed a vivere spiritualmente. Le radici della nostra fede hanno un preciso fondamento nella storia della salvezza, nella presenza dello Spirito Santo che ha guidato con sapienza la storia, per capire che Lui è presente anche nella nostra vita quotidiana e ci assiste nelle scelte che dobbiamo operare nella misura in cui ci affidiamo a Lui e questo vuol dire avere una fede viva! In Gv 12,12 leggiamo: "Il giorno seguente, la gran folla che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei rami di palme e uscì incontro a lui gridando: Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele! Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra, come sta scritto: Non temere, figlia di Sion ! Ecco, il tuo re viene, seduto sopra un puledro d’asina. Sul momento i suoi discepoli non compresero queste cose; ma quando Gesù fu glorificato, si ricordarono che quanto era avvenuto era stato scritto di lui e questo gli avevano fatto". In questo passo Giovanni ci indica la procedura mentale che ci aiuta a capire in che modo occorre leggere la nostra vita e come rileggere gli avvenimenti. Ancora in Gv 15,18: "Se il mondo vi odia, sappiate che prima di odiare voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelto dal mondo, per questo il mondo vi odia. Ricordatevi della parola che vi ho detto: un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola osserveranno anche la vostra." Il Signore stesso invita tutti noi a tenere presente quali sono le implicanze per aver fatto la sua scelta e quali sono stati i punti fermi, le cose chiare che successivamente ci hanno consentito di dire si a Lui, anche se spesso lo dimentichiamo, mentre il Signore continua a parlarci. Se abbiamo fede e viviamo di fede niente succede per un puro caso e, come Gesù è stato il Maestro per i suoi discepoli lo è per noi oggi e, come ha parlato loro come a prediletti, nella sua bontà e magnanimità fa anche con noi, non ci abbandona e non ci lascia. Non c’è niente di straordinario se continua a dare anche a noi perché non è avaro.
Domanda di Paola : se non succede niente a caso, come si deve interpretare il peccato ?
Risposta : il Signore permette ma siamo noi che agiamo con il nostro libero atto di volontà in quanto il peccato è rifiuto al suggerimento del Signore riguardo le cose rette. Rispetta la nostra libertà e non ci impedisce di esercitarla con il suo intervento.
Domanda di Lella :come si avverte e si distingue il nostro modo di sentire rispetto alla parola del Signore ?
Risposta : una cosa sono i nostri pensieri e ben altra cosa è la Parola di Dio che avvertiamo dentro di noi in maniera così certa che non può essere confusa con un fenomeno psicologico sia nelle nostre scelte di vita fondamentali o meno come nel caso del matrimonio, della scelta di studi, di lavoro o nella vita consacrata. In tutti questi casi sentiamo che Lui dentro di noi suggerisce la scelta da fare.
Domanda di Zio Pa : anche senza la grazia ?
Risposta : per certe cose si. Cioè anche in un momento in cui possiamo non essere in stato di grazia, in quel frangente il Signore interviene e ci da la grazia come suo dono gratuito.
Domanda di Zio Bruno : la mancanza della grazia non pregiudica la sua chiamata ?
Risposta : certamente è più difficile. E’ il discorso che spesso mi sentite fare riguardo a coloro che non sono battezzati. In teoria costoro possono conoscere Dio, vivere secondo coscienza ma certamente per loro è più difficile rispetto a coloro che hanno ricevuto il battesimo. Questo perché il battezzato si trova nella condizione di avere il sussidio, la luce, la forza dello Spirito mentre l’altro si trova a vivere in "puris naturalibus" cioè se ce la fa bene altrimenti....... In alcuni casi il Signore può dare una grazia particolare come ci ricorda il testo degli Atti 10, la chiamata di Cornelio, o il centurione ai piedi della croce i quali per grazia hanno riconosciuto nel Cristo il Figlio di Dio pur essendo in peccato in quanto pagani che non avevano accolto il messaggio del vangelo. Oltre a suggerirci la tecnica di "ricordare" il Signore fa di più: vediamo. Il Signore ha operato facendo affidamento sulla memoria dei discepoli nonostante che molte cose fatte e dette da Lui i discepoli non le avevano capite in quel momento. Pensiamo all’evangelista Giovanni: è possibile che mentre Gesù parlava Giovanni capiva tutto e con precisione? Certamente no perché solo in seguito ha ricordato e meditato e, per il dono della grazia dello Spirito Santo, le ha capite. Infatti leggendo Gv 16,4 "ma io vi ho detto queste cose perché, quando giungerà la loro ora, ricordiate che ve ne ho parlato. Non ve le ho dette dal principio perché ero con voi". Analogamente quando Filippo e Tommaso dissero: "Mostraci il Padre." non avevano capito niente, ma Gesù ha fatto il discorso ben sapendo che poi avrebbero capito quando lo Spirito Santo avrebbe concesso loro il dono della comprensione. Ancora in Gv. 16,12 "Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future". Possiamo dire di essere anche noi nella stessa condizione degli Apostoli quando leggiamo la Parola e non comprendiamo se non in un secondo momento quando ci confrontiamo con la Scrittura con umiltà e disponibilità lasciandoci illuminare dallo Spirito. La memoria è importante in quanto ci aiuta a ricordare il nostro passato per capire il futuro perché, solo ricordando come sono andate le cose, potremo progettare il futuro evitando eventuali errori commessi in precedenza anche se in buona fede o per ignoranza. San Tommaso, ricordando la virtù della prudenza, afferma che i giovani non possono essere prudenti in quanto non hanno un passato, non hanno una memoria delle cose precedenti per cui non possono programmare il loro futuro. La virtù della prudenza è la capacità di valutare i mezzi da adottare per raggiungere un preciso scopo. Per potere dire di andare in una certa direzione e voler fare una determinata cosa, devo conoscere le difficoltà, le contraddizioni, le possibilità che questo processo mi riserva. Questo processo ci aiuta a sbagliare meno nel ricordo del passato senza il quale non possiamo prevedere niente. I giovani ignorano che la vita è piena di difficoltà di ogni genere mentre l’adulto, che ha già vissuto, quando inizia una nuova esperienza, si avvia lentamente guardandosi attentamente a destra e a sinistra diversamente dalla persona giovane la quale procede baldanzosa perché crede che a lui tutto riesca, tutto è possibile...e procede. Lo Spirito santo ha la funzione di guidare e illuminare la nostra vita e questa è la ragione per la quale invoco sempre lo Spirito Santo prima di iniziare qualsiasi cosa in quanto lo Spirito è veramente la luce, la forza, il motore della nostra vita. Sarebbe drammatico non saper fare tesoro anche delle esperienze negative e non farsi guidare dallo Spirito. La qual cosa spiega la nostra grande devozione verso la terza Persona della SS. Trinità che invochiamo particolarmente in questi giorni di ritiro perché si doni a noi e ci illumini per non lasciare niente di nascosto del nostro passato che possa aiutarci a fare chiarezza dentro di noi che siamo protesi verso il futuro. Il discernimento Riprendiamo le nostre considerazioni sul Vangelo di Gv. 14,15: "Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi." Ed ancora un po’ più avanti Gv 14,25 "Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, Egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che Vi ho detto". Questa memoria e conoscenza sapienziale che diventa attualizzazione: "voi saprete..." cioè l’aver dentro questa certezza, questa comprensione, questa conoscenza, che non è frutto dello studio delle cose del mondo ma dello Spirito "Egli vi insegnerà .... e vi ricorderà" e saprete. Quindi, fidando nell’aiuto dello Spirito Santo, in questi giorni vogliamo rivedere la nostra vita, rileggere le nostre esperienze, per poter arrivare a questa sapienza: "Egli vi insegnerà". Per questo dobbiamo veramente pregare, implorare lo Spirito Santo, perché ci dia questo sapere che è certezza, che è coscienza piena, è luce. L’intelletto E’ questo il secondo movimento mentale che dobbiamo compiere in questi giorni: conoscere, comprendere, sapere. Anche in questa fase dobbiamo rifarci alla Scrittura, alla vita di Gesù, alle cose che Egli ha compiuto nella nostra vita, agli avvenimenti della nostra esistenza, per cercare di entrare dentro di noi. Sapete bene che quando la Scrittura parla di conoscere secondo il modo di pensare ebraico, non intende solo un atto della nostra intelligenza, ma presuppone anche la nostra partecipazione affettiva, per cui la conoscenza è un atto che risulta da tutta l’attività della nostra personalità. Io conosco quando ho "esperienza" delle cose che determina la conoscenza. Il termine "esperienza", secondo il pensiero dei Greci, sta ad indicare la conoscenza diretta del viaggiatore che attraversa un territorio, un luogo ("experior" = io provo). Quindi per i greci l’esperienza era il frutto della conoscenza di chi in prima persona aveva fatto un viaggio e lungo la strada aveva incontrato delle persone e, avendo meditato sugli avvenimenti poteva affermare di conoscere. In questa prospettiva la conoscenza per gli ebrei e l’esperienza per i greci, avevano il valore di un’attività svolta in prima persona da coloro che potevano affermare di conoscere. Vi ho sempre invitati all’esperienza religiosa, perché è assurdo parlare di Dio, affermare determinate cose senza di Lui senza averLo mai sperimentato.
Domanda di Paola :Siamo d’accordo, ma questo dipende dal Signore che ci fa il dono di comprendere.
Risposta : Naturalmente bisogna voler fare l’esperienza di Dio; e in questi giorni di ritiro dobbiamo volerla fare, invece se mi distraggo o perdo il mio tempo posso dire che non ho fatto l’esperienza di Dio, perché il Signore ha legato queste cose ad una capacità dell’uomo di elevarsi al suo livello. Dicevano gli scolastici che tutto ciò che un recipiente riceve assume la forma del recipiente. Quindi se si vuole conoscere una realtà di tipo spirituale é necessario elevarsi a quel livello, altrimenti non é possibile. Ricapitoliamo: se vogliamo conoscere il Signore, dobbiamo tentare di elevarci al suo livello spirituale, altrimenti non lo potremo mai conoscere. Dio, che è Spirito, chiede a noi di fare l’esperienza dello Spirito. Dobbiamo tener presente che il Signore non è geloso dei suoi doni, ma vuole darceli; ci chiede però di mostrargli che anche noi li vogliamo invece di dimostrare il contrario pensando ad altre cose . Su questo punto dobbiamo essere chiari con noi stessi: il Signore che non ci dà niente che non abbiamo chiesto, implorato, aspettato, sospirato... Quindi, se ci muoviamo a livello degli "animali" (cioè a livello di una buona parte degli uomini), non possiamo aspettarci e non avremo niente da Dio! Non posso aspettarmi un dono da Lui mentre mi comporto in maniera indegna, non vivo in intimità con Lui nella preghiera e nella meditazione della Sua Parola. Richiamo, a questo proposito, la vostra attenzione su un primo concetto di Giovanni molto importante, Gv 6,47: "In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo. Allora i giudei si misero a discutere tra di loro:«Come può costui darci la sua carne da mangiare?» . Gesù disse:«In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me". Cerchiamo di capire bene questo passo! : "Vivrà per me come io vivo per il Padre". Vuol dire che la nostra scelta non può essere che definitiva, non possiamo andare a fare la comunione senza tener presente che avendo mangiato questo pane vivo per Lui e, se vivo per Lui, vivo per Lui una volta e per sempre! Non è possibile che ogni volta ricominciamo ad avere gli atteggiamenti dei farisei. E ancora in Gv 6,58: "Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i vostri padri e morirono, Chi mangia questo pane vivrà in eterno", e ancora Gv 6,60: "Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: «Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?» " - a volte anche noi ci troviamo di fronte a questa difficoltà di ammetterlo, di accettare - "Gesù, conoscendo dentro di sé che i suoi discepoli proprio di questo mormoravano, disse loro: « Questo vi scandalizza?" - anche noi ci scandalizziamo, ci scoraggiamo, ma questo atteggiamento non può più essere il nostro perché oramai abbiamo fatto la nostra scelta - "E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? É lo spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita. Ma vi sono alcuni tra voi che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E continuò: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio». Disse allora Gesù ai Dodici: «Forse anche voi volete andarvene? » La volontà Questa è la domanda che dobbiamo porci in questi giorni, alla quale dobbiamo dare una risposta che, una volta data, deve essere definitiva. Gv 6,8:"Gli rispose Simon Pietro:« Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio »". Questi siamo noi che abbiamo creduto e conosciuto, cioè noi tutti sappiamo che Gesù è il Santo di Dio, lo sappiamo di dentro, nel profondo del nostro cuore per cui smettiamola di fare strani ragionamenti: "sì.......è vero, però .... ma non ho tenuto presente che....." perché di dentro Lui ci ha dato e ci dà lo Spirito il quale ci dice che Lui è il Santo di Dio. Su questa conoscenza non ci sono questioni da fare, ma dobbiamo procedere con Lui come hanno fatto i discepoli che lo hanno scelto e basta! Tommaso, quando si avviavano a Gerusalemme disse: «Andiamo e moriamo con Lui!» Non ci possono essere altri discorsi. Certo, facendo questa scelta ci saranno delle conseguenze, ve l’ho sempre detto, come contraddizioni, difficoltà, rifiuto delle persone, croce.... Ma se avete il coraggio di dire che Lui non è il Santo di Dio, ditelo e traetene le conseguenze perché non si può accettare la condizione di titubanza, di dubbio ma o è sì, o è no. Se sì, sapete quali sono le conseguenze. D’altra parte voi non potete sfuggire a questo sì, non potete dire non ci credo, non è vero.
Domanda di zio Bruno: «Noi mettiamo in discussione questo perché sappiamo che Lui è il Santo di Dio. Il problema, parlo per me, è quello di essere combattuti continuamente nel corso della nostra vita, dalle pressioni esterne che talvolta ci vincono....»
Risposta: E’ vero ma sappiamo che possiamo cadere e quindi bisogna rialzarsi e ripartire. Questo deve essere il nostro atteggiamento anche se c’è in noi la debolezza, la nostra miseria, la nostra incapacità. Ma non è accettabile che cadiamo, ci sediamo e restiamo lì... perché pensiamo di non farcela. E’ evidente che c’è un peso che ostacola la nostra arrampicata ma non dobbiamo fermarci, le nostre cadute sono conosciute dal Signore, sono miseria, e non ne terrà conto, perché se ci mette sulle spalle un peso che non possiamo sostenere, cadremo anche ma dobbiamo alzarci di nuovo perché fermarsi è pericoloso, anche solo per riposarsi, perché in quel momento potrebbe passare un "treno" importante....che potremo perdere.
Domanda di zio Pasquale: «Perché il Signore ci dice queste cose in toni così drammatici?»
Risposta : Perché il Signore, specie quando abbiamo desiderio di andare verso di Lui, ci mette davanti delle grosse difficoltà per metterci alla prova, in quanto sta operando una selezione; come leggiamo: «Non ho forse scelto io voi? Eppure uno di voi mi tradirà...». A queste parole immaginiamoci come dovevano sentirsi gli altri discepoli. Egli ci esamina continuamente, e dovremmo avere un’idea diversa del Signore perché Egli ci vuole un grande bene e ci prova uno per uno, perché il suo rapporto con noi è un rapporto di amore che non può prescindere dalla prova della Croce. «Mi vuoi bene? » chiede a Pietro e se le difficoltà le supero dicendo "ti voglio bene, malgrado tutto!" allora è segno che gliene voglio veramente. A questo proposito ricordiamo il discorso di Giobbe che, dopo aver passato tanti guai, si rivolge a Dio e Gli dice: « perché te la sei presa con me?» ed il Signore gli risponde che voleva provare fino a quanto Giobbe Gli voleva veramente bene così come Adamo ed Eva che hanno avuto la tessa prova..... La ragione Il punto nodale del discorso consiste nell’aver creduto e conosciuto che Gesù è il Santo di Dio e, da questo credere e conoscere, dipende il movimento della nostra ragione. Mi ricordo della presenza di Dio nella mia vita e in quella dell’uomo; conosco e capisco questa realtà di Dio, che mi impegna a conoscere e capire, nello sforzo costante di ripensare alle cose del Signore, perché non sempre la Sua Parola è subito comprensibile ma richiede del tempo e quindi è necessario leggere ed approfondire, finché lo Spirito Santo non ci concede il dono di capire e di conoscere. La nostra identità Il discorso dell’amore per Dio e le Sue cose spesso ci sfugge e non aderiamo a Lui con la nostra ferma volontà. Egli ci chiede di essere amato con la nostra umanità, l’intelligenza, la vita, il cuore e l’esperienza della condivisione che significa amore. Da quel momento in poi dobbiamo operare per questa realtà che amiamo....Questo ci fa capire perché la Comunità è immobile e passiva, perché evidentemente non amiamo. Siamo chiamati ad operare invece di badare al resto come l’esame, il lavoro, il successo...E qui viene il discorso della nostra identità: « Chi siamo ?», degli impiegati, dei professionisti, dei padri di famiglia, che abbiamo da dedicarci a questo come primo compito, o siamo altro? Qual è il nostro primo dovere, e cosa ci compete per primo? Se non abbiamo le idee chiare circa la nostra identità cristiana stiamo vivendo in una condizione dicotomica, una forma di schizofrenia e, anche se sappiamo di essere tali, in realtà siamo altro. In questi giorni dobbiamo arrivare a chiarire la nostra identità e, come noi siamo animale-uomo razionale, così dobbiamo renderci conto che siamo uomo-cristiano. Dobbiamo ricordarci che, pur rimanendo uomini, con i nostri impegni che competono alla nostra vita quotidiana, in primis siamo cristiani per cui dobbiamo mettere insieme queste due realtà! E convivere con esse in simbiosi e non scindere i nostri impegni del nostro essere cristiani e figli di Dio. Il Signore Gesù ci richiama a ricordare, conoscere, volere e amare e a tale riguardo desidero ricordarvi il comando del Signore che dice: "Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore." Quindi non basta solo conoscere e ricordare, ma anche volere osservare, e c’è questa bella espressione sempre di Giovanni, al Cap 9,30: "Proprio questo è strano, che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Ora, noi sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma se uno è timorato di Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta." ... Ecco un elemento costitutivo per la nostra preghiera e la nostra intercessione che ci dice che: se uno fa la volontà di Dio, Dio lo ascolta, e questo è molto importante per saper stabilire il nostro rapporto con Lui. Non possiamo ignorare che Egli rimane nell’amore del Padre perché ha fatto tutto ciò che il Padre gli ha chiesto e se osserviamo i suoi comandamenti, rimarremo nel suo amore. Praticamente è questo il contenuto del discorso dell’ultima cena: "In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui" (Gv 14,20). Il Signore non si manifesta a tutti, ma solo a chi accoglie i suoi comandamenti e li osserva. A tale proposito desidero richiamare la vostra attenzione sul terzo atto della nostra personalità cioè quello dell’amore, del volere che ci porta all’osservanza. Spesso quando vediamo che la nostra vita spirituale si blocca, non procede, quando vediamo che ci sono cose che non riusciamo a superare, allora dobbiamo andare a guardare un poco indietro ; a ricordarci se abbiamo effettivamente osservato sempre i comandi e la volontà del Padre, dare uno sguardo alla nostra fedeltà al Signore. E’ un discorso su cui insisto: a mio avviso ci manca la fedeltà, cioè l’atto della volontà e dell’impegno. Sono i due aspetti che mi lasciano perplesso e mi fanno pensare che non abbiamo scelto il Signore come avremmo dovuto, che spiega questa nostra "sonnolenza" e "ottusità" di fronte alle esigenze del Signore la qualcosa mi meraviglia! "Usando" le parole del Signore devo dire così: "Se Tiro e Sidone avessero visto", e se gli altri avessero avuto tutto quello che ha avuto questa Comunità, credo che avrebbero fatto "cose da pazzi". Penso che, da un punto di vista puramente informativo, noi, nel corso di circa ventotto anni, abbiamo detto, ripetuto, spiegato, fatto corsi di logica, di metafisica, di storia, di filosofia, di psicologia, di cristologia...insomma abbiamo fatto tanto eppure siamo fermi! Questo mi fa concludere che non abbiamo capito che bisogna amare, e quindi, dobbiamo interrogarci su questa nostra incapacità di amare il Signore e di osservare i suoi comandamenti. Il discernimento Ancora, volevo richiamare la vostra attenzione sul discernimento. Il discernimento che ci mette nella condizione di guardare dentro di noi per renderci conto se le cose che scegliamo, facciamo, desideriamo fare, vengono da Dio oppure no. Questa tecnica ha una discendenza "ignaziana": in quanto S. Ignazio ha cominciato, suggerendo alla comunità questa tecnica per cercare di capire che quando vogliamo fare una cosa, quando ci troviamo a contatto con delle persone, dobbiamo domandarci se quello che desideriamo fare o la persona che incontriamo, vengono da Dio oppure no. Questa azione si chiama discernimento degli spiriti, perché ci mette in condizione di capire se nel momento in cui sento l’impulso a fare la tal cosa, è Dio che suggerisce di agire, se lo spirito che mi muove viene da Dio oppure no. Questo riguarda non solo la nostra condizione personale, ma anche la scelte di vita che facciamo, che molte volte ci vengono ispirate e suggerite da sentimenti e pensieri di carattere culturale, umano, terreno, naturale, ecc. Quando parliamo di discernimento degli spiriti intendiamo dire: che quando siamo mossi a fare, abbiamo la mozione dello Spirito Santo, cioè se è lo Spirito che sta parlando in noi oppure siamo noi stessi o la realtà che ci circonda, che ci muove. Questo è molto importante per la conoscenza di noi stessi. Noi sappiamo che siamo composti dal una dimensione umana e divina. La dimensione umana racchiude in se la nostra corporeità animalità, fisicità e razionalità mentre quella divina contiene la grazia dello Spirito Santo per cui per capire e conoscere che cosa ci muove, a che punto siamo, quali sono le ragioni, i movimenti del nostro spirito, dobbiamo guardare la nostra corporeità, la fisicità e le nostre caratteristiche umane, caratteriali, culturali, sociali. Ma è necessario anche verificare la nostra vita cristiana, il nostro rapporto con il Signore, vedere la cosa in se dove tende e quali siano le nostre intenzioni, il che non è facile! Perché faccio questo!? Quando vogliamo scoprire il valore e il significato di un’azione, non basta sapere solo che questa azione tende a questo scopo, perché possiamo alterare anche lo scopo dell’agire umano che può essere ordinato di per se stesso ad un certo fine con la nostra intenzione. Ad esempio: il mangiare è un atto umano, naturale, giusto, ma possiamo mangiare anche per golosità o per vanità...dipende da come lo facciamo. Oppure consideriamo lo studio come strumento di acquisizione di conoscenze che possono aiutare l’uomo nella sua funzione al servizio di Dio. Il più delle volte studiamo per acquistare potenza, per essere qualificati, per avere la stima degli altri...come possono esserci mille altre ragioni. Ecco perché dobbiamo analizzare se tutto questo lo facciamo effettivamente solo per fare gli esami, che sono fini a se stessi e al conseguimento della laurea come punto di partenza per il nostro inserimento nel mondo del lavoro o per metterci poi al servizio di Dio con le nostre acquisite conoscenze. Purtroppo devo dire che questo è uno dei grossi peccati della "Comunità" che vale per gli studenti della "Comunità" i quali vanno all’università con questa mentalità meschina e gretta, altrimenti non si può spiegare che abbiamo studenti universitari che non hanno idee! E’ evidente che non hanno inserito il loro studio in una visione d’insieme della scienza che a loro interessa, qualunque materia essi studino, costoro si fanno un’idea generale della loro scienza la quale viene inserita nel progetto, nella visione di vita, nel senso della loro umanità. Invece, con stupore, notiamo che ognuno studia le singole materie! Questo è un dato sconfortante perché significa che non hanno il concetto di cultura né di visione del mondo: in quanto studiano, da un certo punto di vista, per imparare a conoscere il mondo con la speranza che, partendo da questo presupposto, lentamente possano riuscire a farsi una visione di tutta quanta la realtà. Purtroppo questa è una delle carenze della nostra Comunità la quale non si eleva dal livello degli esami al livello della cultura e quindi della scienza. Premesso questo, noi dobbiamo aver presente che, il discernimento degli spiriti, perché sia tale a livello cristiano e non sia semplicemente una revisione di vita a livello puramente umano e naturale, cioè un processo che normalmente eseguono tutti gli uomini di questo mondo cosiddetti prudenti, deve venire dallo Spirito Santo. Dobbiamo rivedere il nostro passato personale per chiederci come ci siamo comportati e quali sono state le motivazioni delle nostre azioni per accorgerci che molte di esse sono fissate in noi fin dalla prima infanzia. Di fronte ad una determinata azione ciascuno di noi deve chiedersi se agisce perché gli è congeniale oppure è conseguente alla propria animalità e psichicità. Oltre alle inclinazioni di ordine fisico dobbiamo valutare anche quelle di ordine psichico come le fobie, gli interessamenti, i complessi, le verità che non ci siamo mai dette ma che in fondo conosciamo e non abbiamo il coraggio di guardare. Esaminiamo a fondo non solo i comportamenti ma anche tutte quelle azioni che avremmo voluto compiere e non abbiamo compiuto per una ragione o per l’altra. Se siamo prepotenti, violenti, arrendevoli, pazienti, ecc. Nella nostra infanzia se abbiamo accettato le parole, i suggerimenti, i consigli, i comandi dei miei genitori, oppure abbiamo solo ascoltato anche se dentro di noi c’era uno spirito di ribellione e di rivalsa. Esaminare la propria vita a livello psichico comporta una revisione fatta alla luce dello Spirito Santo e, l’obiettivo di questo esame di coscienza non dev’essere quello di valutarci moralmente o giudicarci se siamo stato buoni o cattivi bensì quello di acquisire una conoscenza obiettiva, nuda, di se stessi. Conoscersi nella nostra nudità e autenticità, indipendentemente da ogni lettura di tipo morale, religioso, cristiano, è una operazione splendida, perché ci consente di guardare chiaramente la nostra identità animale, naturale, psichica. Successivamente passare ad analizzare l’ambiente di appartenenza, la famiglia, la città, l’ambiente da si proviene, gli amici e chiedersi se abbiamo avuto la possibilità di frequentare soltanto un certo tipo di persone oppure anche altre. E se ho avuto la possibilità di scegliere liberamente, perché mi sono accompagnato con talune persone e non con altre? Da una risposta a queste domande possiamo scoprire i suggerimenti della nostra natura, le suggestioni di tipo culturale, le devianze, i condizionamenti che possiamo aver ricevuto in base all’ambiente sociale dal quale proveniamo. Ad esempio l’ammirazione per gli eroi e per i superuomini, in genere nasce da un senso di insicurezza, di debolezza, dal bisogno di riuscire a compiere certe azioni per ci proiettiamo in queste figure eccezionali. Iniziamo col comprendere le motivazioni alle nostre scelte di studio, di attività, di impiego del tempo libero, ecc. Sembra che il discorso sulla cultura, che da anni tentiamo di portare avanti per la Comunità, non attecchisca su molti di noi; parimenti, sembra che molti fra coloro che potrebbero o vorrebbero condurre tale discorso, non abbiano alle spalle una esperienza formativa adatta, per cui pur avendo tale attitudine, tale inclinazione, non s’impegnano, mancando dell’attrezzatura mentale e psicologica necessaria. Dobbiamo considerare la situazione nella quale ci troviamo e chiederci come e perché la nostra personalità si è costruita in tale modo. In seguito a questo processo di conoscenza di se stessi, ci poniamo in una condizione tale che qualunque scelta dovremo compiere potremo, anzi dovremo farla in base alla nostra personalità e sulla conoscenza delle nostra possibilità, attitudini, debolezze, ecc. Giunti a questo punto, possiamo cominciare ad approfondire l’analisi a livello personale soprannaturale e chiederci quando e come abbiamo incontrato il Signore ? Chi e/o cosa ci ha mosso verso di Lui? Quando l’abbiamo cercato, capivamo dove volevamo andare ? Che cosa ci ha suggestionato? Dobbiamo valutare come e quando il Signore ha operato su di noi, di cosa si è servito per conduci a Lui e se oggi ci troviamo nella condizione di conoscere il Signore e comprendere il valore di tali espedienti. Come ci siamo arrivati? E ancora, cosa vuole il Signore da noi? Alla luce di quanto diremo nei prossimi giorni potremo arrivare a delineare una immagine della nostra identità cristiana, generale e particolare. Se riusciremo a fare questo, ci troveremo nella condizione di procedere con un passo più deciso, senza più titubanze sapendo che, quando si affacciano in noi determinate paure, perplessità, inclinazioni, ecc.., ci troviamo nella condizione di conoscere il sintomo, poterlo gestire e superare, eventualmente medicando la ferita per poi andare avanti. Gli atleti per raggiungere certi risultati devono prepararsi adeguatamente, allenarsi, provare, cadere, rialzarsi e riprovare innumerevoli volte. Questo vale sia nell’ordine puramente fisico che in quello spirituale, dove abbiamo però l’aiuto necessario che ci viene dallo Spirito Santo il quale ci sostiene e ci accompagna. Le benedizioni Passiamo ora all’analisi della descrizione dell’identità del cristiano dal punto di vista di Dio. Chi è il cristiano secondo Dio, come lo vede, quale progetto ha su di lui. Cerchiamo questa definizione del cristiano leggendo la lettera di S. Paolo agli Efesini cap. 1,3-14. In questo complesso discorso, in cui sono intrecciati molti concetti, tentiamo di comprendere quale sia il valore di questa elezione, della benedizione, della redenzione e della salvezza che ci sono state donate gratuitamente. La prima cosa che si nota in questo brano è che tutti questi doni li riceviamo dal Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo. Il primo aspetto della nostra identità cristiana è che ciascun cristiano è il frutto della scelta, dell’elezione, della benedizione nella Trinità (vocazione trinitaria), per la mediazione di Gesù Cristo, che si è speso per noi e ci ha comunicato la benedizione. Alla base della nostra vita interiore dobbiamo considerare questa verità per cui non siamo originati da noi stessi, ma c’è la volontà (beneplacito, mozione libera) del Padre, il quale ci ha chiamati per la mediazione del Figlio. Dobbiamo sempre considerare la presenza della Trinità nella nostra vita, orientandola al Padre, a lode della Sua gloria senza mai dimenticare nelle nostre preghiere, le aspirazioni, le scelte, questo punto di arrivo dal quale discende la nostra vocazione. La prima iniziativa nella nostra vita è assunta dal Padre, per la mediazione del Figlio. E` il Padre che ci ha condotto al punto in cui siamo oggi e, se giungeremo ad un risultato nella nostra esistenza è sempre per la Sua gratuita iniziativa. Se non leggiamo la nostra vita rispetto alla predestinazione del Padre non potremo capire niente in quanto la predestinazione comporta un disegno, un progetto che il Padre ci rivela e ci affida per mezzo di Gesù Cristo, con la luce dello Spirito Santo. Paolo ci ricorda che all’origine della nostra identità di cristiani c’è il Padre: "Benedetto sia il Padre del Signore nostro Gesù Cristo" (Ef. 1,3). Il secondo aspetto riguarda la benedizione: "Che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo" (Ef. 1,4). Tutto questo vuol dire che il nostro essere cristiani ci rende benedetti in Cristo. Se solo riuscissimo a porre la nostra attenzione su questa verità e ci lasciassimo permeare interiormente da questa certezza, da questo senso di appartenenza, i nostri limiti, i complessi, le paure, risulterebbero più agevolmente gestibili perché emergerebbe forte in noi la coscienza di essere benedetti dal Padre il quale pone in noi la santità di Dio e ci rende depositari dei suoi doni. Cosa possiamo volere di più dalla vita? Dire che i cristiani hanno una vocazione trinitaria vuol dire che sono chiamati ad essere come la Trinità. Nell’Eucaristia riceviamo la Trinità ed entriamo in lei mentre con la nostra crescita nella Grazia, lentamente riproduciamo in noi i processi trinitari dei quali in larga parte non sempre ne abbiamo coscienza. Molti non si rendono conto né riescono a scorgere questa realtà che progressivamente si va costruendo dentro di noi perché, per nostra carenza, ci troviamo in una condizione di infanzia spirituale. Questa realtà invece costituisce il presupposto per la costruzione della nostra identità di cristiani, che comincia quando, con il gaudio dello Spirito Santo, riconosciamo la nostra relazione di figliolanza col Padre. Quindi, la nostra prima fonte di vita dev’essere questa garanzia, questa consapevolezza di essere benedetti. Se ci lasciamo permeare da questo sentimento, ci troveremo anche nella condizione di non commettere il peccato grave che ci fa perdere la nostra identità e la benedizione. Leggendo la Sacra Scrittura ci accorgiamo che, di fatto, in essa sia viene sottolineato l’aspetto della benedizione: Dio crea Adamo ed Eva e li benedice; salva Noè e lo benedice; chiama Abramo e lo benedice; Israele è il popolo benedetto fra tutti i popoli. La benedizione pone delle positività dentro di noi e, quando il sacerdote ci benedice, ci investe di un’energia spirituale che ci difende e garantisce dai mali del mondo e ci dona la capacità di operare nel mondo. Abbiamo fatto un primo passo nel tentativo di scoprire come ciascun cristiano deve leggersi spiritualmente e quali sono i costitutivi di base della sua vita. Abramo, Isacco e Giacobbe alla loro morte lasciarono la benedizione ai loro figli e noi cosa potremo lasciare ai nostri figli e a coloro che verranno dopo di noi? Quando Esaù chiese al padre un’altra benedizione, questi non poté dargliela. Il Signore disse ad Abramo: "In te saranno benedette tutte le nazioni della Terra", e ancora questo flusso continua. Cominciamo col pensare che siamo benedetti, che possediamo la benedizione non quella ricevuta dai Patriarchi dell’Antico Testamento, ma molto di più. Allora ecco che la nostra vita diventa diversa perché, di fronte alle difficoltà, alle contraddizioni e alle amarezze della vita, riacquistiamo la serenità, il nostro equilibrio psicologico e umano. Dobbiamo aver chiaro quanto si legge in Matteo: "Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo" (Mt 25,34-35). Da qui vediamo che siamo identificati da Gesù come i benedetti del Padre. Sia nel V.T che nel N.T. ritroviamo questa categoria della benedizione così come nelle credenze popolari, nella tradizione dei popoli e nell’atteggiamento dei primitivi, per cui è necessario distinguere questo tipo di benedizione da quella religiosa della Sacra Scrittura. Nel primo caso la benedizione viene intesa come un augurio secondo l’etimologia del termine in quanto benedire equivale ad augurare, dire del bene e, in alcune famiglie .contadine è ancora in uso una benedizione del padre verso i figli. Quando ci trasferiamo sul piano religioso, anche per i primitivi emerge la convinzione che la benedizione non abbia un valore soltanto bene augurante ma anche una trasmissione di energia, di un principio vitale, di una forza che raggiunge colui che è benedetto e fa in modo che le cose della vita vadano nella direzione che si è augurata. Sappiamo che oltre alle benedizioni esistono anche le maledizioni e si crede che, come la benedizione, anche la maledizione può influenzare la vita di una persona. Per questa ragione San Paolo dice: "Vogliate benedire e non maledire". Considerando con attenzione questa realtà, notiamo che la benedizione comporta il desiderio, la volontà di colui che benedice perché le cose vadano nella direzione indicata con la benedizione. Ma questo soggetto, con la sua intenzione e la sua forza spirituale, può effettivamente imprimere un indirizzo, una svolta nella vita delle persone? Entriamo in un campo molto complesso perché, queste considerazioni, ci fanno intuire che possediamo delle energie che non conosciamo. Come vedremo in alcune citazioni, la Sacra Scrittura ci fa intendere che la persona santa, l’amico di Dio, specialmente colui che da parte di Dio è autorizzato a benedire, come nel caso del ministro ordinato, del padre o la madre, i quali hanno questa potenza e questa forza per cui, relativamente alla posizione spirituale del soggetto, la sua benedizione come la maledizione può avere un peso determinante nella vita di una persona. Vedete che tutti cercano la benedizione dei santi che non è una semplice credenza del popolino ma, evidentemente, sullo sfondo c’è un’esperienza plurimillenaria e un insegnamento della Scrittura che ha orientato i cristiani in questa direzione. Dunque, la benedizione è una forza, un’energia che si posa sul soggetto benedetto e lo protegge, lo difende, gli evita le influenze negative, lo indirizza verso il bene e gli da la forza per operare bene. Quanto detto ci insegna che dobbiamo imparare a benedire la gente nel nome del Signore; il che significa che possiamo anche avere questa energia ma, come per gli antichi Ebrei, il soggetto agente, colui che ha la forza di benedire è solo Dio. Nella Scrittura, anche quando Dio non è nominato esplicitamente, nella mentalità degli Ebrei è sottinteso che è sempre Lui a benedire. Noi cristiani siamo intermediari, abbiamo la funzione di indirizzare il bene - che viene da Dio, nella direzione di coloro che sono benedetti cioè volere il bene degli altri sapendo di poterlo trasmettere e realizzare che non è soltanto un augurio, ma la abbiamo la consapevolezza di donare del bene. Nella Scrittura leggiamo che Dio benedice la creazione, benedice l’uomo e la donna (Gn 1,28) e questo ci fa comprendere che questa benedizione ha aggiunto qualche cosa in più alla nostra persona. Appena Gesù lascia la Terra, benedice (Lc 24,50-51). Gesù dice ai suoi eletti quando giungono dall’altra parte: "Venite benedetti dal Padre mio". Paolo ci dice che Dio "ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale". Tutto ciò ci fa comprendere che la benedizione ha una sua positività che dobbiamo augurarci di possedere come leggiamo in. Gen. 27,26-29, a proposito della benedizione che Dio elargisce a Isacco per mezzo della quale gli da il potere sulle cose. Questo ci consente di comprendere che la benedizione non è una cosa qualsiasi ma è unica tanto è che, quando l’altro figlio di Isacco, Esaù, la chiede al padre, questi gliela nega. Ma cos’è questa benedizione che possiede Isacco, questa forza, questa energia che lui spende una volta per tutte per la primogenitura che, tra l’altro, si è acquistato con una stratagemma ? Nel libro del Gen. cap.12 leggiamo: "Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò. Renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione"; e prosegue "Benedirò coloro che ti benediranno e che coloro che ti malediranno maledirò. In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra". Dunque Abramo riceve qualche cosa con la benedizione e, quando nella celebrazione dell’Eucaristia diciamo "Benedetti del Padre mio", significa che siamo benedetti in Abramo. Questa realtà della benedizione la riscontriamo anche nel brano del Gen. 30,25-30, in cui Giacobbe manifesta al suocero la volontà di andarsene e gli chiede la sua parte e questi gli risponde: "Se ho trovato grazia ai tuoi occhi... Per divinazione ho saputo che il Signore mi ha benedetto per causa tua... Giacobbe gli rispose: Tu stesso sai come ti ho servito e quanti sono diventati i tuoi averi per opera mia. Perché il poco che avevi prima della mia venuta è cresciuto oltre misura e il Signore ti ha benedetto sui miei passi". Diventerai una benedizione significa che ricevi delle qualità per cui ovunque vai porterai con te questa benedizione e, la casa di colui che la possiede, viene benedetta e prolifica. Ancora in Gen. 39,1-6 si deduce che Giuseppe possedeva questa forza, questa energia perché era benedetto dal Signore e coloro i quali gli si avvicinavano venivano benedetti da Dio. Tutto questo ci dice che la benedizione pone in noi una forza e un’energia che ci mette nella condizione di positività nella realtà. Il cristiano con il Battesimo riceve questa forza di cui deve tenere conto quando riflette sulla propria vita e sulla propria identità e, la preoccupazione per la mancanza di beni materiali, non può superare la gioia di possedere la benedizione. Nell’A.T. notiamo che la benedizione metteva nella condizione di possedere dei beni materiali mentre nel N.T. san Paolo nella lettera agli Efesini cap. 1,4 indica una svolta nel quando dice "... che ci ha benedetto con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo"; che significa come non sia importante possedere dei beni materiali quanto che la nostra vita è nei cieli. Un concetto questo da tenere ben presente in relazione al discorso sulla nostra identità che costituisce l’aspetto principale della nostra personalità. A volte vi ho esortato a fare attenzione alle persone che frequentate, a non mostrare eccessiva affabilità nei confronti di persone cattive, ad evitare di accettarle in casa. Altresì vi ho invitato ad evitare di accompagnarvi a coloro che non hanno la grazia, che non sono benedetti, che hanno delle negatività davanti a Dio. Questo non è questo un discorso legato alla superstizione tanto meno dev’essere inteso in senso radicale ma è un invito alla prudenza perché ciascuno è portatore di positività e di negatività, relativamente alla condizione o situazione contingente. Se suppongo di non poter dare alcun aiuto spirituale a tali persone e non ci sono motivazioni di carattere apostolico, è preferibile eludere o almeno non incoraggiare tali compagnie perché, prima di andare a salvare un’anima, devo valutare se corro il rischio di perdere la mia e, fintanto che si è giovani o deboli, è più facile essere deviati che aiutare gli altri a trovare la retta via. La presenza del bene o del male si accompagna alle persone come alle cose come nel caso della casa e dell’automobile che, essendo appartenute al giusto, sono state sede della benedizione del Signore e viceversa. Come coloro che vivono secondo Dio sono benedetti, così coloro che non vivono secondo Dio non sono benedetti perché conducono una vita sbandata, sono bestemmiatori e, come Giuseppe entrando in casa di Potifar porta la benedizione, così colui che non è benedetto potrebbe portare la maledizione. I sacerdoti hanno la funzione di benedire ma se non vivono secondo il Signore..... Nel testo dei Pr 11,11 leggiamo "Con la benedizione degli uomini retti si innalza una città. La bocca degli empi la demolisce" e molta attenzione merita anche il brano del Sir 3,8-10: "Onora tuo padre, a fatti e parole, perché scenda su di te la sua benedizione. La benedizione del padre consolida le case dei figli; la maledizione della madre ne scalza le fondamenta" che ci fa comprendere come la il valore della benedizione dei genitori verso i figli e come la voce della madre è ascoltata da Dio a prescindere dall’allontanamento da Dio. Ho avuto modo di appurare, nella mia esperienza di vita, che tali cose sono vere. Per questo esorto coloro che si devono sposare a guadagnarsi la benedizione dei genitori e le madri ricordino che i loro figli si benedicono soltanto, qualunque cosa facciano. La benedizione ha dunque un peso nella nostra vita che non possiamo ignorare. Dobbiamo desiderare di essere benedetti e sapere che la nostra presenza nel mondo è è finalizzata a benedire: sono benedetto e devo benedire Dio e il mondo. La benedizione nei riguardi del Signore consiste nella lode, equivale al ringraziamento, perché ci ha benedetti a sua volta e, anche se nel mondo e nella realtà il maligno dobbiamo contrastarlo con la nostra continua benedizione per tutti e su tutto augurandoci il bene delle persone e delle cose. A questo punto vediamo che si delinea un altro aspetto della nostra personalità: il desiderio, l’opera, il sentirsi responsabile per il bene delle cose. Quindi, dobbiamo riconoscerci in coloro che sono "chiamati e benedetti nei cieli dal Padre" e sentirci portatori di questa positività, partecipi di questa attività del Padre che benedice i suoi e il mondo. Vorrei concludere questo discorso sulla benedizione con un richiamo che ci deve confortare. A Maria diciamo "Benedetta fra tutte le donne", o ancora (dai Greci) "Agnella benedetta" che ci fa comprendere come Maria è il prototipo della nostra identità. Su questa categoria principale dello spirito dobbiamo fondare la nostra forza spirituale. Non importa se sono più o meno istruito, dotato, se sono italiano o tedesco, se vivo qui o lì. Devo avere questa coscienza di essere benedetto e di portare con me la benedizione del Signore ovunque vado e qualsiasi cosa faccio. Se guardiamo la nostra vita ci accorgiamo come tutto questo si verifica e, conoscendo persone di forte identità cristiana, notiamo come esse diffondono pace, serenità, sicurezza, perché possiedono il Signore mentre, guardando coloro che invece sono lontani, tante volte si avverte a livello epidermico un’influenza, un disagio, la presenza di una infelicità, di una cattiveria, di una mancanza di pace. Benedetti sono i nostri progenitori, benedetto è Abramo, i suoi discendenti , benedetta la Vergine Maria, benedetto colui che viene nel nome del Signore, benedetti gli Apostoli, benedetti gli eletti del Padre mio, benedetti noi nei cieli . Con questo ragionamento credo che ci rendiamo conto che apparteniamo realmente ad una "razza" particolare di benedetti. Questo discorso è da tenere presente quando parliamo della nostra vita, della nostra identità e, come apparteniamo alla razza umana per la nostra condizione animale razionale, così apparteniamo al mondo di Dio perché siamo stati benedetti in Cristo. Ci sono persone che hanno dei complessi, momenti di difficoltà quando devono presentarsi in società perché non possono dir di avere un posto di rilievo mentre devono tenere presente che sono benedetti e la benedizione che possiedono è la grande ricchezza della vita, l’energia fondamentale e primordiale della realtà e, dovunque vanno, sono accompagnate da Dio ed è potenziate dalla Sua benedizione. Conseguentemente siamo "datori" di tale dono nel mondo e, se viviamo nella benedizione e nella santità, possiamo dirci benefattori dell’umanità perché avendo ricevuto questo dono da Dio per una Sua gratuita scelta, abbiamo il compito e la funzione di erogare la benedizione dalla quale scaturisce la santità. Un dono che possiamo perdere a causa del peccato che rende indegni di possederlo. Da qui é evidente che non dovrebbero esserci persone complessate, che si sentono inferiori e provano disagio stando in mezzo agli altri in quanto hanno la consapevolezza che, anche trovandosi in mezzo ai personaggi più importanti della terra, con umiltà, semplicità, e modestia essi sono principio e fonte della vita vera. Questa condizione deve infondere in noi serenità e felicità perché la benedizione è dono del Padre che ci riempie. Diceva San Leone Magno: " A chi ama Dio è già sufficiente sapere di essere gradito a colui che ama; e non brama ricompensa maggiore dell’amore stesso. L’anima pura e santa è talmente felice di essere ripiena di Lui, che non desidera compiacersi in nessun altro oggetto al di fuori di Lui". Parole che trovano riscontro in quanto dice il Signore che afferma : "Là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore" (Mt 6,21) che, nel nostro caso il tesoro è la comunanza di vita con Dio. Se ci educhiamo a questo, sentiremo anche il dovere di portare agli altri la benedizione che il Signore ci donato con la nostra benevolenza, con la pazienza e nella accoglienza, come un compito preciso da svolgere nella vita che non si limita solo e semplicemente ad attendere alla nostra professione sociale ma, principalmente, è quello di essere benedetti. Come dicevamo, questo ci dovrebbe mettere in una condizione di pace e serenità di vita per cui vedendo le cose che ci passano accanto e il modo di vivere e di pensare degli uomini, non gli diamo più tanto importanza perché sappiamo che quella non è la verità. Premesso questo e leggendo il brano della lettera agli Ef. di San Paolo, prendiamo coscienza che Dio ci ha " benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo" (Ef 1, 3) che porta a chiederci quali sono queste benedizioni e l’Apostolo le enumera nel seguito del testo. Prima benedizione: la scelta "In Lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati al Suo cospetto nella carità" (Ef, 1 4) che è una elezione perché non siamo noi che ci siamo attribuiti questa benedizione ma è Dio che ce l’ha data avendoci scelti fin dall’eternità. Seconda benedizione: la figliolanza : "Predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della Sua volontà. E questo a lode e gloria della Sua grazia che ci ha dato nel Suo Figlio diletto". La filiazione divina, che non è piccola cosa. Ma un grande dono che, come cristiani non ci fa desiderare altro. Terza benedizione: la redenzione : "Nel quale abbiamo la redenzione mediante il Suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della Sua grazia." Dio per mezzo del sangue di Cristo ci ha redenti, purificati dai nostri peccati. Quarta benedizione: "Egli l’ha abbondantemente riversata su di noi con ogni sapienza e intelligenza, poiché ci ha fatto conoscere il mistero della Sua volontà, secondo quanto nella Sua benevolenza aveva in Lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi". Cioè Egli ci ha dato questa conoscenza del mistero. Più avanti Paolo dice anche che "questo mistero non era stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come al presente è stato rivelato adesso ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito" (Ef 3, 5). Allora dobbiamo chiederci se abbiamo conosciuto questo mistero e se ci siamo preoccupati di conoscerlo. Vale a dire "il disegno di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra. In Lui siamo stati fatti anche eredi" (Ef. 1,10-11) cioè siamo stati predestinati alla vita eterna. Conseguentemente abbiamo ricevuto questo tipo di eredità "essendo stati predestinati secondo il piano di Colui che tutto opera efficacemente conforme alla Sua volontà" (Ef.1,11). E infine "perché noi fossimo a lode della Sua gloria, noi, che per primi abbiamo sperato in Cristo. In Lui anche voi, dopo aver ascoltato la parola della verità, il Vangelo della vostra salvezza e avere in esso creduto, avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è caparra della nostra eredità" (Ef. 1,12-14) e caparra significa che siamo sicuri di questa eredità. Allora, come credenti dobbiamo chiederci quale significato hanno per noi queste Benedizioni. Le parole di Paolo affermano verità di vita che noi cristiani purtroppo non siamo abituati a valutare e che nel contesto di questo ritiro dobbiamo fare perché stiamo parlando di un cristianesimo ad un certo livello e più approfondito. Essere stato benedetto significa che "io" come singolo uomo sono stato scelto, sono stato fatto, costituito erede, sono stato redento, sono stato messo a parte di questo progetto di Dio e mi è stato il dono dello Spirito Santo. Se ci soffermiamo a valutare con la dovuta attenzione i doni del Signore, la nostra benedizione e la nostra identità cristiana prende consistenza più di quanto abbiamo avuto coscienza fino ad ora. Nei versetti 3 e 4 della lettera agli Ef. di Paolo, sono indicate le condizioni per ricevere le benedizioni, a quale patto e per quale scopo ci vengono donate e come si sono verificate. Primo notiamo che queste benedizioni ci sono state donate in Cristo :"Egli ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In Lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati al Suo cospetto nella carità predestinandoci ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo". Appare evidente che siamo benedetti ma in Cristo , grazie a Cristo, per la mediazione di Cristo e per il sangue versato da Lui così come è chiaro che nessuno può dirsi "autonomamente" benedetto, in quanto la morte di Cristo ci ha acquistato questa benedizione per mezzo della quale veniamo inseriti nel progetto del Padre. Da qui la nostra vocazione "cristica" di noi benedetti nel nuovo testamento. La nostra identità cristiana e tutte le nostre azioni non possono prescindere dal cordone ombelicale che ci lega a Cristo e che S. Paolo nella lettera ai Rm 14,7 ci ricorda quando dice: "Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se moriamo, moriamo per il Signore" (Rm 14,7 ) e, nella lettera ai Corinzi : "Sia dunque che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio" (Cor 10,31). Questo deve essere chiaro per ciascuno di noi in modo che la nostra identità possa essere ricondotta ad una vera intimità di vita con il Cristo. Ma c’è un altro aspetto che dobbiamo considerare. Se leggiamo con attenzione il brano della lettera agli Ef 1 ci accorgiamo che tutto è stato fatto per il libero disegno del Padre, il quale ci ha predestinati "prima della creazione del mondo" e, nella Sua benevolenza, ha voluto che fossimo redenti "secondo il beneplacito della Sua volontà". Cioè ci ha messi a parte del suo piano secondo quanto aveva prestabilito nella sua benevolenza. Nessuno di noi ha fatto niente per meritare tutto questo che ci è stato dato gratuitamente dal Padre il quale ci ha predestinati prima ancora che esistessimo destinandoci a partecipare al mistero della redenzione secondo il Suo progetto, un Suo disegno di benevolenza. Tutto questo deve farci meditare perché come diceva Gesù ai suoi discepoli "gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date" (cfr. Mt 10,8). Abbiamo ricevuto gratuitamente la benedizione, l’elezione, la filiazione adottiva, ecc. e questo ci mette in una condizione debitoria verso gli altri uomini. Altro che giudicarli, condannarli, arrabbiarsi verso di loro. Dobbiamo ricordarci invece che eravamo "straccioni" e siamo stati chiamati da Dio, siamo stati redenti, messi a parte del regno per la Sua benevolenza e, di conseguenza, abbiamo l’obbligo di essere benevoli con gli altri. Un concetto questo che lentamente dobbiamo sforzarci di capire, far entrare dentro di noi perché alla nostra amarezza, alla mancanza di disponibilità verso gli altri, al sentirci loro giudici lentamente sostituiamo la benedizione, l’accoglienza, la pazienza, la comprensione, il perdono, la dolcezza. Quando parliamo della benedizione come costitutivo della nostra identità diciamo che dobbiamo essere simili al Padre perché abbiamo ricevuto tutto gratuitamente e, per nessuna ragione, siamo autorizzati a giudicare o/e a condannare gli altri come ci viene detto con la parola di Giacomo "Ma chi sei tu che ti fai giudice del tuo prossimo" (Gc 4,12). Solo Dio ha il potere di giudicare in quanto è colui che ha fissato la legge. Altresì S. Paolo nella lettera ai Romani (Rm 2,1), in maniera decisa e ferma dice: "Sei dunque inescusabile, chiunque tu sia, o uomo che giudichi: perché mentre giudichi gli altri, condanni te stesso; infatti, tu che giudichi, fai le medesime cose. Eppure noi sappiamo che il giudizio di Dio è secondo verità contro quelli che commettono tali cose. Pensi forse, o uomo che giudichi quelli che commettono tali azioni e intanto le fai tu stesso, di sfuggire al giudizio di Dio ?. O ti prendi gioco della ricchezza della Sua bontà, della Sua tolleranza e della Sua pazienza, senza riconoscere che la bontà di Dio ti spinge alla conversione ?". Se Dio è paziente con me, se è benevolo, se mi ha dato la Sua benedizione, io sono tenuto ad essere benevolo con gli altri. Ancora Paolo attesta : "Tu però con la tua durezza ed il tuo cuore impenitente accumuli collera su di te per il giorno dell’ira e della rilevazione del giusto giudizio di Dio, il quale renderà a ciascuno secondo le sue opere la vita eterna a coloro che perseverando nelle opere di bene cercano gloria, onore ed incorruttibilità; sdegno ed ira contro coloro che per ribellione resistono alla verità ed obbediscono all’ingiustizia". Con la grazia di Dio speriamo di togliere dal nostro cuore la durezza e la presunzione di sentirci superiori e giudici degli altri. La benevolenza di Dio, la benedizione che ci è stata data e la pazienza mostrata da Dio verso di noi ha lo scopo di essere "a lode e gloria della Sua grazia che ci ha dato nel Suo figlio diletto" che ci abilita a nostra volta a dare la benedizione agli altri, ad essere rappresentanti di Dio perché tutto il mondo riconosca la sua grandezza di Dio e gli dia lode. Con questa visione delle cose allora la nostra vita si che ha un altro e alto significato diverso da quello che abbiamo potuto pensare di dargli o da quello che gli diamo normalmente. Da qui possiamo vedere che abbiamo molto da fare nel senso di convertirci, di rivedere la nostra vita, le nostre convinzioni, i nostri comportamenti ma, come prima tappa abbiamo la necessità di raggiungere questa santità e la immacolatezza, alla quale ci ha predestinati la benedizione che Dio ha elargito a tutti noi. Non possiamo trascorrere il nostro tempo inutilmente visto che siamo stati costituiti per questo ma, il tempo a nostra disposizione deve essere impiegato correttamente. Chi conosce S. Elisabetta della Trinità sa che questa Santa scoprì che la sua vocazione nella Chiesa era quella di dedicarsi alla lode della gloria di Dio per cui ha dedicato tutta la sua vita per essere una fiaccola che ardeva per dargli la dovuta lode. Sono convinto che su queste cose non ci siamo mai fermati a riflettere seriamente come cristiani in quanto il cristianesimo è proprio questo rapporto intenso, profondo, intimo con Dio Padre, nello splendore della creazione che consente, anche se lentamente, di salire in alto a guardare il volto di Dio per poi scendere per giudicare le cose come le giudica Dio. Questo non vuol dire che le cose del mondo sono tutte banali e inutili, perché la santità di Dio si afferma nella storia degli uomini anche per mezzo di esse ma, nello stesso tempo, non dobbiamo lasciarci fagocitare e catturare dalle cose del mondo che, per quanto belle e importanti, sono destinate a finire. Il cammino verso la santità e la immacolatezza ha la precedenza su tutte le altre cose. Naturalmente secondo la condizione spirituale e personale di ciascuno e, se al momento non siamo ancora pronti a intraprendere questa strada, facciamo il nostro proposito fermo e deciso di farlo al più presto chiedendo l’aiuto dello Spirito Santo che ci suggerirà il modo più adeguato per riuscirvi. In questo modo avremo la consapevolezza che, il lavoro da fare, consiste nell’approfondire la conoscenza di queste cose per poter gustare la vita vera e, anche se queste cose le conquisteremo nel tempo e lentamente, sappiamo già che c’è un altro livello di vita, un altro significato dell’esistenza per cui, chi può deve fare le sue debite scelte. Considerazioni queste che ci mettono nella condizione di approfondire il senso delle benedizioni che abbiamo ricevuto per mediazione di Cristo per la gloria del Padre che ci ha amati è stato benevolo con noi. Un gesto che ci invita alla meditazione. A questo punto é bene fermarci sulla prima benedizione per chiederci cosa significa che "In Lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati al Suo cospetto nella carità" (Ef 1,4). Questo vuol dire che il Padre, quando ha progettato il disegno di realizzarlo nel suo figlio Gesù ha visto anche me. I mistici ed i teologi affermano che quando Gesù ha consacrato per la prima volta il pane ed il vino nel Cenacolo, ha visto singolarmente tutti gli uomini che partecipavano all’Eucaristia, ha visto tutti i sacerdoti che la celebravano, tutti quelli che la hanno adorata, tutti quelli che Lo hanno offeso e maltrattato e, in quel momento sono stati percepiti da Lui tutti i peccati di offesa all’Eucaristia e di sacrilegio e vede anche noi quando partecipiamo alla comunione ! Questa presa di coscienza ci aiuta, in qualche maniera, a trasferirci alla presenza di Dio. S. Pietro nella sua lettera scrive. " Il Padre ha conosciuto il Figlio prima della creazione del mondo" (cfr. 1 Pt. 1,20) e, Gesù stesso nel cap. 17 del vangelo di Giovanni afferma : " Tu mi hai amato prima della creazione del mondo". In questo amore e nella conoscenza eterna siamo stati inseriti noi perché Egli ci ha conosciuti e voluti fino dall’origine del mondo malgrado i nostri difetti e le nostre debolezze. Sappiamo che il primo eletto è stato Gesù e l’elezione è un atto libero del Padre: "secondo il beneplacito delle Tua volontà "che tutto può. Infatti nell’episodio della trasfigurazione ed in quello del battesimo di Giovanni, il Padre lo chiama " il mio prediletto" cioè il primo eletto ma sappiamo anche che in questa elezione del Figlio c’è stata la nostra elezione e, nel guardare Lui, il Padre guarda noi e aspetta che somigliamo a Gesù per raggiungere l’età della fede adulta come quella del Figlio. Come possiamo riscontrare nella Sacra Scrittura, la scelta è una prerogativa propria di Dio e di Gesù come è avvenuto nella chiamata dei suoi Apostoli: "In quei giorni Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione. Quando fu giorno chiamò a sé i Suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede il nome di Apostoli". Da qui vediamo che la scelta comporta un atto libero di volontà e di amore. Ho letto un bell’aforisma che dice: "non domandarti quanto Dio ti vuole , ma domandati quanto vuoi bene a Dio" che ci richiama a quanto ha detto il Signore: "Io conosco quelli che ho scelto". Vale a dire che Lui sa chi sono per cui non devo scandalizzarmi per le mie debolezze, per le mie miserie che conosce e, nonostante ciò, mi ha scelto : " non siete voi che avete scelto me ma io vi ho scelto".. Molto spesso facciamo l’errore di fare un paragone tra noi e la gente comune mentre è stato Dio a sceglierci per cui possiamo fare l’errore di considerarci come gli altri, di sentirci più o meno infelici rispetto ad altri tanto meno possiamo ragionare come loro perché, avendo fatto la scelta del Signore, siamo un’altra cosa, che significa che siamo stati posti ad un altro livello e introdotti in un altro contesto mentale, di vita, di santità ecc.. A volte ci sentiamo condizionati dal fatto che i nostri parenti, amici e conoscenti vivono in maniera diversa da noi e questo è inevitabile considerando che Gesù ci ha scelti dal mondo ma, il discorso vero da farsi è un altro: vogliamo seguirlo come hanno fatto gli Apostoli ? Se abbiamo il coraggio di fare la scelta di Cristo, non dobbiamo più tornare sulla decisione presa anche se continuamente siamo nella condizione psicologica di confrontarci con il mondo che, il più delle volte, può portarci a rimpiangere le cose che gli altri si concedono senza scrupoli morali. Dobbiamo liberare e pulire il nostro cuore in maniera tale da poter avere quel bene materiale senza problemi e, dopo questi pochi giorni di ritiro, non deve esserci nessuno tra di noi che deve sentirsi complessato rispetto agli altri perché possediamo la benedizione di Dio, noi abbiamo il dono e non possiamo più invidiare gli altri ricordare che questa verità. Gli Atti degli Apostoli ci ricordano che la scelta fatta da Gesù, era una scelta nello Spirito Santo (At 1,2) in quanto il Padre mi ha scelto, mi ha scelto nel Figlio e il Figlio mi ha scelto nello Spirito. Una scelta quindi che ha operato nella Trinità che chiama in causa direttamente la nostra comunità che dovrebbe essere composta da persone felici e sempre sorridenti. Sempre nella lettera agli Efesini S. Paolo ci dice che Dio ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere "santi e immacolati al Suo cospetto". Il problema quindi non consiste nel giudizio degli altri verso di noi, ma di che cosa ne pensa il Padre e come mi rapporto a Lui santo e immacolato al Suo cospetto ? Dobbiamo imparare questa autenticità soprannaturale ed essere attenti a non dare "scandalo" perché siamo cristiani e, quando tutti ci lodano noi dobbiamo chiederci che cosa ne pensa Dio del nostro agire in quanto Lui è il solo giudice dei nostri pensieri, dei nostri sentimenti, delle nostre intenzioni che gli altri non vedono ma Lui vede e conosce visto che possiamo fare anche le cose più belle di questo mondo, ma con intenzioni cattive. A questo proposito S. Paolo, nella lettera ai Galati, riguardo alla vanagloria, afferma: "se siamo dello Spirito camminiamo anche secondo lo Spirito. Non cerchiamo la vanagloria provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri". La vanagloria che sta nascosta nel profondo del nostro Spirito dove nessuno può vederla e può inficiare la bontà delle nostre azioni che agli altri possono apparire anche bellissime mentre non lo sono, come si verifica spesso nella mela che esternamente è bella mentre internamente è bacata ed ha il verme nascosto. Non dimentichiamo ma rendiamoci conto di questa nostra chiamata all’immacolatezza e alla santità, come un nostro preciso obbligo, come leggiamo nel libro del Levitico : "siate santi perché Io il Signore sono santo" (cfr. Lev ) e nel vangelo di Gv al capitolo 17 nel quale Gesù da S. Pietro viene definito "il santo di Dio". Quando leggiamo che siamo stati chiamati ad essere santi e immacolati, spetta a noi adeguarci a queste qualità prendendo a modello gli esseri immacolati che ci hanno preceduti come lo stesso Gesù il quale è che è stato definito immacolato come leggiamo nella lettera di Pietro : "Foste liberati con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e immacolato" (Pt 1,19) o come leggiamo nella lettera agli Ebrei che : "Il sangue di Cristo che con uno spirito eterno offrì se stesso immacolato a Dio" (Eb 9,14) come la prerogativa di Cristo, del suo sacerdozio, del suo sacrificio che Gesù applica alla chiesa (Ef 5) perché vuole che la chiesa gli appaia santa ed immacolata. Nella lettera ai Colossesi San Paolo afferma " per presentarvi santi e immacolati al Suo cospetto" (Col 1,22) mentre in Fil. 2,15 : "figli di Dio immacolati in mezzo ad una generazione perversa e degenere". Ci è stato dato il compito di essere santi e immacolati ma non basta. Dobbiamo esercitarlo nella carità ossia nell’amore verso il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, come amore di figli, come rapporto reciproco di amore tra Dio e il Figlio che rende santi e immacolati amando tutti con le difficoltà che ben conosciamo, ben sapendo che non è cosa facile essere santi e immacolati in mezzo ad una generazione perversa e degenere come quella nella quale viviamo. Auspicio - Spero che quanto andiamo dicendo possa penetrare dentro di noi, per dare origine all’uomo nuovo" di cui parla San Paolo nella lettera agli Efesini, che dovrebbe essere il progetto della nostra vita: "Vi dico dunque, e Vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani nella vanità della loro mente, accecati nei loro pensieri, estranei alla vita di Dio a causa dell’ignoranza che è in loro e per la durezza del loro cuore. Diventati così insensibili si sono abbandonati alla dissolutezza commettendo ogni sorta di impurità con avidità insaziabile. Ma voi non così avete imparato a conoscere Cristo. Se proprio Gli avete dato ascolto, in Lui siete stati istruiti secondo la verità che è in Gesù, per la quale dovete deporre l’uomo vecchio con la condotta di prima, l’uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici e dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera." (Ef 4,17). E ancora "Per questo, dico, io piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternità nei cieli sulla terra prende nome, perché Vi conceda, secondo la ricchezza della Sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell’uomo interiore" (Ef. 3,14). Sempre nella lettera agli Ef. 4,17 viene indicato da Paolo ciò che il cristiano deve eliminare dalla sua vita cioè le negatività mentre al capito 3 c’è la positività: "perché vi conceda, secondo la ricchezza della Sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell’uomo interiore. Che il Cristo della fede abiti nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i Santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio". Ecco il nostro progetto, questo sforzo di identità che deve portarci a rinunciare alle passioni, ai pensieri, ai comportamenti dei pagani che sono in mezzo a noi e, nello stesso tempo, aiutarci a crescere in questa conoscenza di Cristo per avere la pienezza di Dio. Un progetto di vita che merita tutta la nostra attenzione e tutto il nostro impegno ! Queste cose le vogliamo farle non per ragionamento o per seguire una filosofia ma perché ci rendiamo conto che effettivamente è possibile trasformare la nostra umanità, facendo morire l’uomo vecchio con le sue passioni e con le sue inclinazioni per costruire l’uomo nuovo di cui parla Paolo nella bellissima lettera agli Efesini, che cresce secondo la misura di Cristo : "è Lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo. Questo affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore. Al contrario, vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di Lui, che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità" (Ef 4, 11). La nostra costruzione personale si realizza nel Corpo Mistico, la Chiesa, al di fuori della quale non si può crescere come dice Paolo : "vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di Lui, che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro". Vale a dire che ciascuno di noi, pur rimanendo se stesso, cresce solo nella collaborazione con gli altri . Tutto quanto abbiamo detto prelude al tentativo di conoscere se stessi per realizzare in noi una nuova identità, l’uomo nuovo che ci porta immediatamente al discorso di Ef 1,5 "Predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della Sua volontà" per comprendere che la filiazione divina comporta una realtà che dobbiamo tenere presente: la paternità di Dio. In questo ultimo secolo ci sono stati diversi autori e filosofi che si sono ribellati la concetto di paternità di Dio come nel caso di Freud, i quali hanno affermato che il concetto di paternità scatena nell’uomo il complesso edipico cioè la gelosia del potere del Padre che costringe l’uomo a vivere in uno stato di soggezione e di desiderio di vendetta. Marx a sua volta, ha visto la figura del padre come l’espressione dell’autorità che opprime l’uomo ingiustamente e lo tiene in una condizione di soggezione perché deve rispettare il padre. Questo dover rispettare l’autorità paterna lo porta a non opporsi ai soprusi dell’autorità civile e alla sua schiavitù sociale ed economica , come la diretta conseguenza di essere stato educato a rispettare il padre. Per cui, sempre secondo Marx, ribellarsi all’autorità paterna consente all’uomo di liberarsi dall’alienazione sociale, economica, politica ecc.. Anche Nietzsche si scagliò contro la paternità di Dio affermando che l’uomo ha il compito di lottare contro questa paternità fino al punto di poter dire che Dio è morto ed affermare così la sua supremazia perché, fino a quando c’è un padre c’è qualcuno al di sopra che mi impedisce di emergere secondo tutta quanta la mia individualità e potenzialità. Concetti che ci fanno paura, ma che pure si sono fatti strada nell’animo di molti uomini di quest’ultimo secolo e che possiamo ancora leggere negli occhi, sul volto, nel comportamento e nella vita di tanti di questi giovani che ancora oggi sono rivoluzionari, come quelli di Officina 99, che fanno letteralmente paura. Per esperienza personale posso dire che al Liceo dove insegnavo, tutte le volte che cercavo di accennare (neanche spiegare) il quarto comandamento (onora tuo padre e tua madre) la maggior parte dei giovani si ribellava con violenza. Questo si spiega in perché dentro di loro c’è il frutto dell’insegnamento dei filosofi citati e questo ci invita ad analizzarci dentro. I teologi moderni, sensibili alle critiche mosse da questi filosofi, si sono chiesti il valore, la funzione, il perché della nostra devozione al Padre, che potrebbe anche essere semplicemente un’accettazione della volontà di Dio che nasce dal timore, dalla nostra incapacità di camminare da soli nella storia, oppure la semplice accettazione dell’autorità di Dio come di una fatalità che incombe su di noi, un peso da sopportare senza saperci liberare di esso. La critica di questi filosofi ci aiuta ad interrogarci circa il nostro atteggiamento verso Dio padre, per saperne cogliere la positività e viverlo in pienezza e, la prima cosa da considerare riguardo la filiazione è che il Padre non è un estraneo per noi, non è una realtà astratta come la concepirono i popoli primitivi, il quale detiene il potere e lo esercita a scapito della nostra libertà oppure a nostre spese. Non parliamo di un dio padrone ma di un Dio che ci ha dato la vita e non ci tiene al guinzaglio, ma con la passione, morte e sacrificio del Suo figlio unigenito, per mezzo del suo sangue ci ha dimostrato un amore tanto grande che va al di là di ogni altro amore, un Padre che amando in questo modo ci ha donato la Sua vita in un modo del tutto originale che definiamo filiazione divina. Una filiazione che consiste nel fatto che mentre il padre naturale ci ha dato la sua e dopo essere stati generati siamo stati resi autonomi rispetto ai nostri genitori, nel caso del Padre celeste, invece, la Sua vita è sempre presente in noi per cui viviamo la Sua stessa . Penso, amo, progetto e desidero con la Sua presenza in me e, pur essendo libero come uomo la mia libertà non può prescindere mai dalla mozione di Dio e dalla sua presenza in me. Vi invito a meditare su questa originalità di vita in comune nella quale abbiamo questa sorta di simbiosi per cui viviamo la nostra vita e, contemporaneamente, la vita di Dio vive in noi. Dobbiamo meditare profondamente su questo nostro essere figli di Dio, che ci consente continuamente di vivere nel Padre per cui rinunciando a Lui rinuncio alla mia stessa vita. Quando Gesù dice: "Io ed il Padre siamo una sola cosa" (cfr. Gv) lo dice a livello trinitario affermando una grande verità cioè che noi ed il Padre siamo una sola cosa e, anche se nell’adozione, nella diversità della nostra natura rispetto alla Sua, portiamo il Padre in noi e vivendo questa vita viviamo nel Padre. Quando leggiamo lo straordinario Vangelo di Giovanni, che è la grande rivelazione del Padre, conosciamo quale deve essere il nostro modello di comportamento di vita secondo l’insegnamento del Signore che ha detto : "Io tutto quello che il Padre mi ha comandato lo faccio. Io non faccio niente se non quello che ho visto fare al Padre, ed il Padre mi ha dato di fare tutto quello che io vedo in Lui" (cfr. Gv.). Se leggiamo con attenzione i vangeli, quello di Giovanni in particolare, ci rendiamo conto di come la nostra figliolanza deve essere vissuta e comprendiamo questo nostro sentirci continuamente nel Padre, accompagnati da Lui, sentire l’amore del Padre in noi e per noi : amore per la creazione, per l’umanità, per la Chiesa. Questo amore del Padre, che viveva nel Figlio , vivificava il mondo quando il Figlio stava in mezzo a noi, ed oggi vive in noi perché a nostra volta possiamo vivificare il mondo in quanto figli del Padre. Naturalmente sappiamo bene, come ci ricorda San Paolo, che siamo figli adottivi e, anche se non possediamo la natura divina, abbiamo la vita divina. In questo consiste il mistero !. Vale a dire dio per natura ma per adozione, non possiamo dire di essere infiniti e tuttavia siamo infiniti nella vita di Dio. Da qui possiamo vedere come il cristiano battezzato é una creatura diversa rispetto agli altri esseri umani. Il cane ha la vita e la natura che coincidono così come coincidono nell’uomo mentre il cristiano ha la natura dell’uomo e allo stesso tempo ha la vita di Dio. Particolare importantissimo che non trova riscontro in nessun altro essere creato proprio perché egli è figlio di Dio. Una realtà eccezionale, straordinaria ed unica che il Padre ha costituito dichiarando così il Suo amore per la creazione, per essere presente in un soggetto libero e intelligente, che possa capire e corrispondere a questo Suo amore con la sua libera iniziativa e con la partecipazione di tutte le sue facoltà ed essere partecipe del suo progetto misterioso di riunificazione della realtà. Il nostro compito consiste nell’acquisire in modo cosciente, intimo e profondo questa identità di vita, questa comunione di vita ma non di natura con Dio Padre, che ci guida a vivere la stessa vita del Padre, ad avere i Suoi progetti, i Suoi desideri, le Sue prospettive. In questo consiste la nostra trasformazione reale e, quando dicevamo che siamo portatori di benedizione eravamo solo all’inizio del discorso mentre la pienezza si realizza solo nella nostra coscienza di filiazione divina. Dobbiamo renderci conto che questo mondo ci è affidato e del quale siamo responsabili compreso le persone e le loro anime così come lo siamo del fattore economico, sociale, politico e di tutte le altre componenti che lo costituiscono. A noi è stato affidato anche un altro compito: quello della salvezza, cioè lo stesso compito di Gesù Cristo nel quale siamo stati costituiti figli di Dio: "Predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della Sua volontà." E’ inutile andare a ricercare le cause, il perché abbiamo ricevuto questo compito in quanto è come se volessimo conoscere come mai siamo nati uomini o donne oppure perché siamo nati in nella nostra famiglia, in questa città o in questa epoca e non diversamente, in quanto non c’è una spiegazione razionale ma é parte della volontà di Dio. Ci è stato dato di capire tutto questo e quindi dobbiamo impegnarci ed operare! Tutto il resto è soltanto filosofia cioè non ha nessuna importanza. A ciascuno di noi è stato rivelato il concetto della nostra filiazione adottiva che ci rende fratelli di Gesù Cristo, possediamo il Padre in noi, la comunione di vita con LUI quindi dobbiamo badare alla salvezza del mondo e naturalmente delle anime "secondo il beneplacito della Sua volontà." E’ la liberissima volontà di Dio che ci ha messi in questa condizione e ci ha chiamati ad operare e vivere in questa determinata maniera "a lode e gloria della Sua grazia". Conseguentemente dobbiamo amare il Padre che è in noi e nel quale siamo al di la della ricerca di noi stessi , delle nostre motivazioni umane e delle ragioni perché tutto è "a lode e gloria della Sua grazia". Il dono della redenzione - III benedizione "Nel quale abbiamo la redenzione mediante il Suo sangue la remissione dei peccati secondo la ricchezza della Sua grazia" (cfr. Ef. 1,7). Ancora una volta rimaniamo perplessi di fronte al dono della redenzione di cui non sempre ci rendiamo conto ed esprime tutta la nostra impotenza rispetto al male in quanto per natura, dice S. Paolo, eravamo figli dell’ira e schiavi del male! Quanti di noi erano cattivi e violenti dentro di se e poi sono stati cambiati dall’incontro con Cristo possono capire profondamente cosa significhi "schiavi del male" cioè la totale incapacità di pensare al bene invece di mettere al primo posto il proprio egoismo, i propri interessi rispetto a tutti e tutto. Ancora oggi, anche se siamo stati redenti, ci portiamo dentro ancora tanto male pur non essendo presenti in noi necessariamente desideri cattivi di sopraffazione, ma certamente sono presenti ancora la malizia, la malignità, la vanagloria ecc. Tutte cose che possiamo definire di poco conto rispetto al peccato mortale, che magari ci fanno pensare di non essere più nella condizione di essere in debito con il Signore e, se questo è vero per quanto riguarda la colpa non è così per la pena che comunque poi va pagata quando saremo stati giudicati. Nella nostra realtà tutti avvertiamo, sperimentiamo e percepiamo questa nostra libertà che è la libertà dei figli di Dio liberi dal peccato.
Domanda di Zio Pasquale: che chiede a P. Benedetto chiarimenti sulla predestinazione e del perché dobbiamo sentirci privilegiati di fronte agli altri.
Risposta. E’ chiarissimo perché è scritto in Ef: "Predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della Sua volontà" quindi ringrazio Dio per il fatto di godere di questo privilegio. Per il resto so che è inutile cercare di capire. É chiaro che, al di là di questa prima risposta, devo ancora stare bene a non cadere nell’errore di dire che "sono stato scelto perché me lo merito". Sant’Agostino pose questa domanda: "Che cosa fece l’uomo Gesù per essere scelto come Cristo?" Niente. C’è solo da prendere atto che Dio lo scelse per essere Gesù Cristo, e disse "questo è mio figlio". Certamente tutto era prestabilito, come lo siamo noi ma solo l’uomo Gesù è stato scelto per essere il Cristo come mistero della libera volontà di Dio.
Domanda. Che funzione ha il libero arbitrio in questa visione ?
Risposta. Il libero arbitrio ha il compito di collaborare con dono di Dio. Gesù in quanto uomo aveva scelto di fare la volontà del Padre perché era libero nella sua scelta altrimenti non avrebbe potuto acquistare i meriti che gli hanno consentito di diventare Re dell’Universo come ha esercitato la sua libertà di scelta quando è stato tentato dal diavolo nel deserto. É vero che Gesù poteva scegliere anche se non poteva scegliere in modo diverso nel senso che dentro di Lui operava lo Spirito Santo come avviene dentro di noi che potremmo scegliere di "non fare" come tutta la nostra personalità è protesa verso questa direzione, non per nostro merito ma per grazia. Nella chiesa questo non è più un problema in quanto hanno deciso di accantonarlo ma chiediamoci il perché. Nel momento in cui sono io che voglio una certa cosa certamente in me nasce il desiderio di volerla ma, se Dio non creasse in me questa volontà, io non sarei mosso dall’atto di volere perché il volere è una realtà ontologica e, all’origine del suo agire c’è sempre Dio. Dopo svariati scontri di ordine teologico e filosofico sull’argomento fra i gesuiti e i domenicani in special modo nel 1660, durante una ennesima disputa, un gesuita aveva portato a supporto della propria tesi un testo falsificandolo la qual cosa che fu smascherata proprio da un domenicano. La cosa fu riferita al Papa il quale intervenne personalmente perché si rese conto che il problema non aveva soluzione per cui decise e ordinò che nella Chiesa ufficialmente non si discutesse più di questo problema mettendo un punto fermo alle dispute. Ancora oggi a noi domenicani appare chiaro che non possiamo fare niente se Dio non ce lo consente mentre i gesuiti sono di visione più accomodante nel senso che dicono: "Si è vero, però io ...". E’ un mistero. E il "Beneplacito della Sua volontà"...... si sostiene questo però quando andiamo a vedere alcuni suoi atti, che Lei aveva una coscienza abbastanza chiara. Questo è un discorso molto simile a quello della Madonna : " a che età la Madonna capì ?". Alcuni sostengono la tesi che Ella, essendo senza peccato, avesse capito già all’età di tre mesi. A tre mesi, oppure a tre anni, la Madonna capiva benissimo, in quanto non aveva le limitazioni che abbiamo noi. Sapeva di essere la Madre di Dio ? Certamente no in quanto non rientrava nella sua condizione umana, ma molte cose che noi impariamo con il tempo Lei le capiva semplicemente. Alla stessa maniera ci domandiamo se Gesù sapeva di essere Dio. Anche qui la risposta è no in quanto era al di fuori della nostra natura, però sapeva di essere al servizio del Padre perché l’uomo in grazia queste cose le capisce immediatamente. E Gesù si trovava nella condizione di essere di essere in grazia (e che grazia !) fin da piccolo anche se non forse non sapeva di essere Dio ma sapeva certamente di essere al Suo servizio e per una missione affidatagli da Lui. Crescendo, lentamente ha visto coincidere la sua umanità con la paternità di Dio. Alcuni sostengono che ciò sia avvenuto al momento del suo battesimo quando il Padre dice "questi è il mio figlio prediletto nel quale mi sono compiaciuto". Allora ci chiediamo se Gesù era già adulto quando ricevette il battesimo che sarebbe in contrasto con la conoscenza che a 12 anni mostra di avere. Egli afferma "io vado a fare le cose del Padre mio" che implica solo che sapeva semplicemente di dover fare la volontà del Padre suo e non di essere il figlio di Dio. E’ comunque inutile imbarcarsi in questioni di lana caprina! Siamo arrivati alla III Benedizione: "la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia" che significa che Dio elargisce secondo una sua scelta insindacabile. "Egli l’ha abbondantemente riversata su di noi con ogni sapienza ed intelligenza poiché Egli ci ha fatto conoscere il mistero del suo volere secondo quanto nella sua benevolenza, aveva in lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi". Da qui si evince che siamo di fronte ad un progetto che Dio porta dentro di se e che non riguarda semplicemente il mondo ma l’Incarnazione che riguarda noi. Nel suo disegno Dio ha prestabilito così in Lui tanto è vero che S. Paolo ci dice che Egli, Dio, avrebbe fissato lo sguardo sulle cose che ci ha rivelato. Anche gli angeli lo sanno e questo ci fa capire l’insondabile mistero della Sua volontà. A questo punto ci domandiamo se mai l’uomo col tempo scopre un concetto di giustizia diverso da quello che del Signore (cfr. lettera agli Efesini). Occorre distinguere perché quando parliamo di giustizia facciamo un discorso molto complesso in quanto parliamo di una giustizia per quanto riguarda la qualità quindi la materia, le cose e quindi, da questo punto di vista non può esserci un concetto di giustizia diverso ! Quando vogliamo misurare la qualità, il discorso diventa aleatorio ed approssimato per cui ci inserisce in quella che viene definita "la giustizia più perfetta" cioè l’equità. Equità vuol dire che, avendo due figli ad uno dei quali piace l’auto e all’altro il cavallo, per essere giusto nei riguardi di entrambi devo comprare l’auto ad uno e il cavallo all’altro. Se dessi l’auto ad entrambi mi dimostrerei ingiusto n quanto non h tenuto conto dei loro desideri facendo un torto al figlio a cui piace il cavallo. Con il tempo certamente riusciremo a comprendere una giustizia fondata sulla carità, una giustizia che bada più al bene materiale o psichico dell’uomo ma a quella giustizia che ci fa tanta paura quando il Signore per il bene della nostra anima ci manda una malattia come mezzo e strumento per la nostra conversione. La malattia o qualche cosa di simile, finalizzata alla salvezza, è un dono che la gente tante volte non riesce a comprendere. Stiamo parlando di una giustizia che non riusciamo a capire perché entriamo nella qualità per cui, gli venti della nostra vita non sono in grado di spiegarci considerando che siamo in grado solo di vederli in modo parziale. Andiamo a fare questo ragionamento alla gente e vi renderete conto della veridicità di quanto affermiamo. La Redenzione Eravamo arrivati a considerare questa nostra Redenzione di Cristo come il risultato della grazia divina. Grazia che abbiamo detto essere la benedizione, la filiazione adottiva, la redenzione che ha abbondantemente riversata su di noi con ogni sapienza ed intelligenza. La sapienza e l’intelligenza di Dio si esprime nel dono di averci messo a parte del mistero della Sua volontà. Nel vangelo di Gv. è già evidente una cosa de genere (cfr. Gv. 15) quando Gesù dice : "questo è il mio comandamento che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo : dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici se farete ciò che vi comando. Non vi chiamo più servi perché il servo non sa quello che fa il suo padrone, ma vi ho chiamato amici perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me ma Io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate portiate frutto e il vostro frutto rimanga". Se analizziamo con attenzione questa sequenza di pensieri vediamo come la scelta e l’elezione si traducono in questo amore reciproco che porta fino alla confidenza, al punto in cui Gesù metta a conoscenza i suoi fratelli di tutto ciò che ha udito dal Padre perché portino frutto. Ritornando alla lettera agli Ef. di Paolo leggiamo che "Egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà" che sta ad indicare un gesto di amore del Padre il quale ci ha messi a parte del suo segreto il che significa che non siamo più servi ma amici e figli. Ma quale è questo mistero ? "quello di ricapitolare in Cristo tutte le cose : quelle del cielo come quelle della terra" (cfr. Ef. 1). Facendo il parallelismo tra le parole di Gesù in S. Giovanni e quelle di S. Paolo, ci troviamo di fronte a questa considerazione : il Padre mi ha redento per il sangue del Figlio e mi ha voluto bene in maniera tale da rendermi in tutto della sua casa. Talmente intimo da confidarmi questo progetto che più avanti S. Paolo dice di essere nascosto nei secoli. Questo progetto nel quale gli angeli vorrebbero fissare il proprio sguardo del quale sono stato fatto partecipe in maniera più intima di loro. Questo ci fa capire quanto ci ha amato al fine di portare frutto perché non mi ha messo a parte del suo progetto senza alcuna ragione. Come vediamo, da tutte le parti arriva questa sollecitazione alla compartecipazione alla vita di Dio, da tutte le parti viene suggerito questo aspetto dinamico della nostra elezione. Dio ci chiama figli perché insieme con Lui possiamo operare per portare frutto. Questo discorso ci fa comprendere bene che cosa siamo che ci invita ad approfondire la conoscenza del disegno del Padre invece di fare finta di non capire ed essere superficiali. Se Egli ci ha messo a parte di questo disegno è evidente che da parte nostra ci deve esser una sponsorizzazione in quanto ci riguarda, perché ci ha ritenuti talmente intimi con Lui e quindi capaci di condividere la sua vita, il suo modo di pensare, perché ha creato il mondo, perché c’è l’Incarnazione che mi ha fatto capire quale è il termine della storia che è "quello di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra." (cfr. Ef. 1). Ne deduciamo quindi che la lettera agli Efesini, la lettera ai Colossesi e quella ai Filippesi spiegano il mistero che questo disegno ci riguarda. Sappiamo bene che, andando avanti nella lettura della Sacra Scrittura che il Padre della gloria ci darà uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di Lui quindi non possiamo e non dobbiamo rimanere inerti avendo avuto questa conoscenza di Dio ma, come dice S. Paolo dobbiamo impegnarci, pregare per chiedere al Padre che ci venga data la possibilità di conoscerlo di più e meglio, ci venga elargito lo Spirito di sapienza "in modo che possa egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti secondo l’efficacia della forza che Egli manifestò in Cristo". Ci chiediamo allora che cosa voglia dirci Paolo con queste parole. Dobbiamo meditare su questo progetto che non è vano tanto meno sconosciuto, che Dio aveva la forza di realizzarlo nella morte e resurrezione di Cristo così come ha avuto la potenza di farlo risorgere ed in Gesù portare a termine il progetto di ricapitolare a se tutta la creazione. Cosa intendiamo per ricapitolazione ? All’origine della creazione l’uomo era in rapporto unitario con Dio dal quale aveva ricevuto la sua natura divina, le creature dell’universo gli ubbidivano e vivevano un rapporto idilliaco con l’uomo e fra di loro proprio come quello che viene prefigurato nel libro del profeta Isaia come il tempo della pace. Con il peccato originale c’è stata la frattura nell’ordine della creazione e, di conseguenza, l’uomo possiamo dire che è stato fatto a pezzi e, di conseguenza la sua volontà, la sua intelligenza, la sua sensorialità, la sua fisicità non sono andate più d’accordo tra di loro. Conseguentemente, ogni uomo, si porta dentro questo senso di malessere e di scontentezza che vengono accentuati nell’epoca in cui viviamo, in quanto si è allontanato da Dio. Possiamo verificare tutto ciò in quanto più ci allontaniamo da Dio e più percepiamo questo senso di scontento in noi stessi e con le cose che sono state create perché ci appartengano in quanto le portiamo dentro di noi fin dall’origine. Anche molte malattie psichiche sono da attribuirsi a questa lontananza da Dio. Quando si parla di ricapitolare in Cristo intendiamo dire che la Sua funzione è proprio questa riportare l’ordine nella creazione cioè l’unità. ( Concetto sul quale p. Benedetto ritorna spesso in quanto alla base dello statuto della nostra Comunità c’è proprio l’unità) Gesù ci ha rivelato che il disegno del Padre è quello di riportare l’unità in tutte le cose. Le lettere di Paolo che avanti abbiamo citate sono incentrate sul concetto dell’unità che dovrebbe essere il nostro progetto come lo è stato del Padre : "ora in Cristo Gesù, voi, una volta lontani, siete diventati vicini grazie al sangue di Cristo egli infatti è la nostra pace" (Ef 2,14). Quando ci manca la pace e non stiamo bene c’è assenza di Cristo. Secondo S. Giacomo l’uomo per sua natura non può non peccare per cui, se questo è vero, l’unità non potrà mai realizzarsi sulla terra. Nella nostra vita possiamo raggiungere la pace interiore con il Signore che non sarà la piena pace del paradiso che potrà essere conseguita dopo un periodo di purificazione (purgatorio). Dobbiamo sforzarci di arrivare a recuperare questa unità recuperando noi stessi e gli altri uomini che si riallaccia al discorso dell’ecologia non come filantropia ma perché l’uomo è nel peccato. Se leggiamo il libro del profeta Amos ritroviamo le parole "non vi rendete conto che la terra non produce frutto ?" rivolte al popolo di Israele si era allontanato dal Signore così come possono essere dirette a noi che abbiamo tradito l’Alleanza con Dio. La nostra cecità non ci consente di vedere quali sono le necessità e quali sono le conseguenze del peccato che si riscontrano anche nella mancanza di progettualità, così come la diretta conseguenza del peccato sono le piogge eccessive che provocano notevoli e catastrofici danni in tanti casi. Capite bene che fare questi discorsi alla gente comune come quello del dilagare di tante malattie che provocano molti morti, potrebbe essere inutile perché non capirebbero, anzi ci direbbero che queste sono la diretta conseguenza dello stress, della vita complicata che conduciamo. Un giorno arriveremo ad organizzare la nostra vita in maniera ordinata quando saremo tornati a Dio, quando la nostra conversione avverrà in modo pieno.
Domanda : la ricapitolazione ha una valenza cosmica ?
Risposta : possiamo affermare di si come leggiamo nel discorso della ricapitolazione nel vangelo di Gv. al capitolo 17 "quello di ricapitolare in Cristo tutte le cose quelle della terra e quelle del cielo". " se mi amate osservate i miei comandamenti, io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre : lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere perché egli dimora presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani, ritornerò da Voi. Ancora un poco ed il mondo non mi vedrà più : voi invece mi vedrete perché io vivo e voi vedrete. In quel giorno voi saprete che Io sono nel Padre e voi in me ed io in voi" (cfr. Gv. 14,15-21)" In questo consiste il discorso dell’unità al quale dovremmo tendere con tutte quante le nostre forze. Che senso ha la nostra vita ? In quel giorno lo comprenderemo. Adesso capite perché l’osservanza dei comandamenti é l’inizio ? Non basta essere osservanti di tale legge per definirsi cristiani perché anche gli ebrei la osservano anzi, possiamo dire che non siamo nemmeno all’inizio, alla fase del principiante di colui che tende all’unione con Dio e che comincia ad eliminare il peccato dalla propria vita. Da qui si può vedere come abbiamo da lavorare per una vita intera, altro che non abbiamo nulla da fare! Il discorso della nostra umanità e della nostra identità consiste nell’addentrarsi nel mistero del Padre per realizzare l’unione con Lui che non si esaurisce qui tanto è vero che il Signore dice : "chi accoglie e miei comandamenti e li osserva, questi ama" (cfr. Gv. 14,21). Dunque l’osservanza dei comandamenti è la prima cosa, è la necessaria azione per essere amati da Gesù e dal Padre. Infatti in un altro passo del vangelo di Gv. afferma : "chi mi ama sarà amato dal Padre mio ed anche io lo amerò e mi manifesterò a lui" ( cfr. Gv. 14,21). Da qui affiora nuovamente il tema della conoscenza come il dono del Padre che ha voluto rivelare il suo disegno in Gesù il quale chiede la nostra collaborazione per portarlo avanti nel salvare l’umanità intera. Una volta realizzata questa intimità con il Signore, nel nostro cuore non ci saranno più dubbi, perplessità, difficoltà, interrogativi di ogni genere in quanto sapremo e conosceremo in virtù di Gesù, le cose da farsi. Gli disse Giuda, non l’Iscariota : "Signore come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo ?" (cfr. Gv 14,22). Mentre Gesù parla di cose così alte Giuda interviene con la sua curiosità che tante volte è la nostra quando vogliamo penetrare il mistero di Dio con domande che vorrebbero scandagliare le profondità dello stesso mistero alle quali non è possibile dare una risposta razionale ma di fede. E Gesù, che conosce il cuore dell’uomo, gli risponde : "se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui" (cfr. Gv.14,23). Ecco siamo al discorso della ricapitolazione, dell’unità, del superamento di tutte le cose negative, conseguenti al peccato, che l’uomo si porta dentro. Gesù prosegue : "chi non mi ama, non osserva le mie parole ; la parola che voi ascoltate non è la mia, ma del Padre che mia ha mandato" (cfr. Gv.14,24) Per la predicazione non occorre aver conseguito studi di alta teologia o altro titolo equipollente perché essa è meravigliosamente chiara nella sua semplicità se viene letta e meditata avendo l’aiuto dello Spirito Santo, lo Spirito di sapienza. Per parlare agli altri occorre solo il Vangelo, la parola del Padre senza aggiungere altro in quanto la Parola si fa strada nel cuore degli uomini senza bisogno di dimostrazioni ulteriori. " Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. Ma il Consolatore, lo Spirito che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la da il mondo, io la do a Voi. ( cfr. Gv.14,25-27)" La pace è l’unità e questa ce la da il Signore quando osserviamo la sua parola, quando amiamo il Padre e viviamo nella tensione della Parola. In conclusione possiamo affermare che : il peccato originale ha rotto l’unità dello universo mentre la passione, la morte e la Resurrezione di Cristo l’ha ristabilita secondo il progetto iniziale di Dio e ci ha resi figli mettendoci a parte di questo progetto. Con la Resurrezione di Gesù abbiamo ricevuto il compito di proseguire per ristabilire l’ordine della creazione, di fare unità nella carità che rende tutti una sola cosa con il Padre come senso ultimo e definitivo della nostra esistenza. Siamo chiamati ad aiutare i nostri fratelli, di ogni razza e condizione sociale di appartenenza ad evitare il peccato che infrange questa unità. L’assenza di unità è la causa prima che determina il cattivo funzionamento della nostra Comunità. Fissiamo le idee.. Nei giorni scorsi abbiamo tentato di vedere quali possono essere le caratteristiche di fondo della nostra personalità cristiana prendendo come punto di riferimento la lettera agli Ef. 1,3-14 nella quale ci viene ricordato che siamo stati "benedetti da Dio con ogni benedizione spirituale in Cristo". Partendo da li, abbiamo cercato di comprendere che cosa sia questa benedizione che consiste nella pienezza di vita che ci viene trasmessa proprio dalla benedizione del Padre. Una energia che abbiamo identificata nel possesso della grazia, cioè della stessa vita di Dio in noi che regge tutto l’universo. Benedizione che si esplicita in noi come dono della filiazione adottiva : veri figli di Dio anche se adottivi anche se privi della sua stessa natura divina perché spetta solo al suo Figlio unigenito. Vita che pulsa dentro di noi al punto tale che viviamo della stessa vita di Dio che dovrebbe farci meditare continuamente. Dovremmo essere convinti di questa realtà, lentamente lasciarci penetrare da essa e, di conseguenza, viverla che comporta impegni e responsabilità ben precise perché, se è il Padre che vive in noi, non possiamo che avere un atteggiamento di corresponsabilità di tutta la creazione, dell’universo e della stessa Chiesa. In uno con la benedizione e la filiazione, abbiamo ricevuto il dono della remissione dei peccati e, di conseguenza, non siamo più oberati dal peso del peccato ma siamo uomini liberi. La remissione dei peccati ci è stata ottenuta nel sangue di Cristo e pertanto ci troviamo nella condizione di poterci muovere rispetto agli elementi del mondo e alle altre persone, con quella semplicità, forza e serenità che assicura al figlio del padrone di poter disporre delle cose senza che esse gli facciano male. Abbiamo ricevuto insieme a questa eredità la partecipazione della conoscenza del mistero di Dio, sempre secondo il beneplacito della volontà del Padre per cui non sappiamo, come Comunità e come singoli individui, perché siamo stati chiamati. Partecipazione al mistero di Dio che si sposta sul piano operativo circa le cose da farsi, in primis quella di essere costruttori dell’unità. Il figlio, con la sua Incarnazione, è venuto nel mondo per ricapitolare in se tutte le cose quelle del cielo come quelle della terra. Ovviamente un discorso che suscita delle perplessità riguardo la nostra Comunità della quale cogliamo l’occasione per parlare. Il discorso dell’Unità Questo discorso è fondamentale per risolvere certi nostri problemi e, per chiarire a noi stessi, il senso dell’esistenza della Comunità Chiesa Viva e, come abbiamo ricordato stamattina nella celebrazione dell’Eucaristia, siamo chiamati a vivere il mistero che, come afferma S. Paolo, ci è stato comunicato dalla benevolenza del Padre. Pertanto, quando parliamo della Comunità, ne parliamo a livello di mistero, viviamo di questo mistero e, come tale, è comprensibile che non tutte le cose ci sono chiare e spiegabili. La Comunità si prefigge, insieme con Cristo, di ricapitolare a Lui tutte le cose, con lo spirito di unità. La ragione per la quale in tutti questi anni non siamo andati avanti accumulando una serie di sconfitte e fallimenti, ha la sua radice nella nostra infedeltà a realizzare tra di noi l’unità. Da qui il nostro progetto per il nuovo anno : quello di fare unità che si realizza con lo spirito di amore, con la carità come attesta Paolo. Con questa spirito tentiamo di superare tutte le difficoltà e le contraddizioni che possono dipendere da una nostra condizione mentale o psicologica, oppure da una situazione che dipende solo dalla nostra famiglia di appartenenza e che ci portiamo dietro e che poi riversiamo in Comunità. Esistono infatti reazioni ed atteggiamenti diversi dei componenti la Comunità, a secondo delle famiglie e dell’ambiente culturale e sociale dal quale essi provengono vale a dire in famiglie dove si bisticcia spesso, per cui in Comunità non riescono a vivere in pace con gli altri, come alcuni che si sono allontanati dalla Comunità proprio a causa delle loro situazioni di provenienza. Nell’ambito del discorso p. Benedetto ammette e confessa di non essersi reso conto di questo fatto che in qualche modo ha determinato la mancanza di unità e conseguentemente la scadenza della spiritualità comunitaria iniziale e lo scadimento dei nostri impegni. La Comunità inizialmente aveva assunto il compito di preoccuparsi dei giovani studenti in modo da portarli al Signore attraverso il loro inserimento comunitario. Cosa che non siamo riusciti a fare o dopo qualche tentativo è fallito miseramente perché non hanno avuto un esempio concreto e credibile al quale riferirsi. A questo proposito dobbiamo ricordare la parola di Gesù, nel vangelo di Gv.17,22.23 che dice : "non prego solo per questi ma anche per quelli che per la parola crederanno in me perché tutti siano una cosa sola come tu Padre sei in me ed io in te, siano anche essi una cosa sola in noi perché il mondo creda che tu mi hai mandato". Abbiamo fallito in pieno e poi ci meravigliamo che la gente non crede alle nostre parole e tante volte a noi stessi, perché non siamo capaci di dare una testimonianza veritiera. Non ci riusciamo perché non realizziamo il desiderio del cuore di Cristo che il Signore ha espresso pochi giorni prima di essere messo in croce. Allora, visto che allo stato attuale non siamo stati capaci di realizzarlo, vogliamo ricominciare ? Vogliamo impegnarci per vedere cosa fare per essere una cosa sola in Comunità ? A questo punto interviene Zio Guido Rapalo che dice una cosa sacrosanta: in Comunità è venuta a mancare la carità. Una affermazione che Egli può fare in quanto, essendo l’ultimo arrivato insieme a Brunella sua moglie, è la persona più obbiettiva perché queste cose le ha notate come se fosse dal fuori. Abbiamo agito e pensato in termini puramente umani e materiali per cui ci siamo separati in base alla nostra cultura, all’antipatia o simpatia che si prova verso gli altri, in base al luogo di provenienza per cui, fino a quando saremo in questa condizione, non avremo la possibilità di fare niente. La nostra Comunità vuole costituire una delle cellule base del Corpo di Cristo ma prima di tutto vuole essere Corpo di Cristo. Partendo da qui scaturirà la nostra possibilità di predicazione, di testimonianza o di tutte le altre cose che ci prefiggiamo di portare avanti. Abbiamo commesso il grande errore di dare per scontato che stavamo praticando la carità nel nostro comportamento abituale. Nella nostra identità personale e comunitaria prefiggiamoci come punto fermo, quello di vivere la benedizione, la figliolanza divina, il progetto di Dio del quale siamo stati messi a parte, vale a dire quello di ricapitolare in Cristo tutte le cose iniziando dallo sforzo di costruire l’unità. S. Elisabetta della Trinità si rese conto che doveva dedicare la sua vita alla lode e alla gloria di Dio e si dedicò interamente a questo scopo. Dobbiamo renderci conto che, la nostra identità soprannaturale divina di figli si realizza poi nell’Eucaristia sulla quale dovremmo meditare, perché il più delle volte partecipiamo a questo mistero con superficialità e leggerezza, come se fosse una medicina per guarire le nostre malattie. Questo è il minimo, il punto di partenza ! Non abbiamo compreso questa AGAPE, questo dono d’amore per cui non lo amiamo e non lo condividiamo e questa, probabilmente, è una delle cause che ci hanno impedito di procedere nell’organizzazione di una Comunità che possa essere veramente cristiana e possa produrre frutti di unità, di carità, perché non partecipiamo con il giusto spirito all’Eucaristia. Un invito a rileggere per meglio meditare i passi del vangelo di Gv. 14 e 17, i due capitoli che parlano del mistero dell’unità. " Io sono la vite, voi i tralci". Il mistero della vite e dei tralci che sta alla base dell’Eucaristia è la linfa vitale che dal cuore di Cristo attraversa la nostra vita e ci permette di realizzarci come cristiani. Tutto quanto abbiamo letto dal vangelo e detto stamani va messo a fondamento della nostra Comunità cioè, che Uno è morto per tutti perché tutti abbiamo la vita ed arrivino ad essere "una cosa sola". A questo punto riprendiamo il discorso sulle benedizioni che abbiamo ricevuto dal Padre e, come Paolo afferma, ci permettono di benedire Dio, ringraziarlo e lodarlo anche se, tante volte ci chiediamo il perché di tutto questo. Prima di lodare e ringraziare Dio per tutte le cose che abbiamo ricevuto e continuamente riceviamo, dobbiamo farlo per i doni che ci ha concesso come leggiamo nella lettera agli Ef. 1,11 : " in Lui siamo stati fatti anche eredi essendo stati predestinati secondo il piano di colui che tutto opera efficacemente conforme alla sua volontà perché fossimo a lode della sua gloria". Da qui si evince come viene delineato il senso della nostra vita: da una parte ci viene dato questa certezza di essere fatti eredi, quindi abbiamo un capitale, una proprietà, un complesso di beni che mi appartiene. Quando ci guardiamo dentro, ci accorgiamo che consideriamo poco la vita eterna perché siamo abituati a lasciarci condizionare dalle cose fisiche, materiali e naturali che ci circondano mentre dovremmo imparare a leggere tutta la nostra vita in funzione di questa eredità che ci è stata assicurata. Tutto questo ci risulta estremamente difficile a causa di una errata impostazione della nostra vita. Dopo il Concilio Vaticano, gli avversari della Chiesa ci hanno accusati di pensare alle cose del cielo trascurando quelle del mondo che ci circonda il quale ha bisogno del nostro aiuto per cui siamo arrivati al punto di pensare solo ad esse trascurando ampiamente il discorso della vita eterna. Se questo fosse stato il messaggio di Cristo, non si capisce perché nei Vangeli e nelle lettere Apostoliche, Gesù insiste tanto sulla vita eterna. Le cose di questo mondo saranno anche belle ed entusiasmanti ma non riempiono il cuore dell’uomo il quale è angosciato a causa della mancanza di pace e serenità. Questa non vuol dire che disdegniamo le cose del mondo in quanto esse costituiscono la primizia per arrivare alla vita eterna. Una finalità che non può essere dimenticata, tralasciata tanto meno sottovalutata secondo la parola del Signore Gesù che ha detto "fatevi un tesoro nei cieli". Dobbiamo cercare di comprendere queste verità per imparare a finalizzare le nostre azioni verso il fine ultimo della vita eterna . Questa eredità che la Scrittura cita più volte è proprietà di Cristo in quanto è a Lui che sono state promesse queste ricchezze perché Egli è l’erede del Padre e in Gesù siamo stati resi eredi anche noi. Molti "cosiddetti cristiani" laboriosi ed impegnati operano solo a livello orizzontale in fare del bene agli altri, a loro avviso, è una cosa buona in se ma per noi che vogliamo vivere ad un livello superiore, se operiamo allo stesso modo, possiamo dire che perdiamo il nostro tempo. Un richiamo per tutti noi in quanto non possiamo operare solo per i beni di questo mondo altrimenti perderemo la nostra vita perché ogni cosa deve essere finalizzata per il raggiungimento della nostra vita eterna e quella dei nostri fratelli, così come ci è stato promesso. La ricapitolazione in Cristo significa che, il nostro impegno sociale, civile e umano, devono perseguire lo scopo di essere ricapitolato in Lui che riconsegnerà ogni cosa al Padre. Questo non soltanto allo scopo di riunificare per consegnare ogni cosa al Padre ma di adoperarci in modo da ricostituire l’unità fra il Padre e la creazione e tutti possano vivere nella lode perenne a Dio. In altri termini il nostro impegno non deve essere finalizzato alla nostra soddisfazione personale ma alla lode della Sua gloria, come il ringraziamento e la benedizione come forma di restituzione delle benedizioni che Dio ci ha concesso. Quindi, saper finalizzare la propria vita a Dio è considerarla come benedizione a Lui. Nessuno di noi conosce il buio e le tenebre di coloro che non credono i quali hanno la vista del mondo occlusa, non riescono ad aprire i loro occhi sull’orizzonte dell’infinito, sull’eternità. Da qui possiamo considerare che questa eredità non è cosa di poco conto in quanto la storia viene costruita dagli uomini per Dio e non per se stessi e chi conduce la storia è Lui al quale la stessa appartiene. Non ha caso il Signore ha detto : "mia è la terra e quanto contiene" e non siamo altro che delle rotelline nell’ingranaggio dell’universo.
La Speranza e lo Spirito Santo
" Noi che per primi abbiamo sperato in Cristo". Come cristiani non può mancare in noi la speranza così come è primario rifarci ad essa in quanto è certezza dell’eredità eterna fondata sulla parola di Dio e dalla presenza dello Spirito santo, il quale non può fallire ne fallisce. La speranza fondata sulla parola degli uomini non è altro che una possibilità, una possibilità che il più delle volte è destinata a fallire. Se pensiamo di salvarci in base alle nostre opere ed alle nostre capacità, commettiamo un grande peccato di presunzione mentre la certezza ce la da la presenza dello Spirito Santo che abbiamo ricevuto nei sacramenti. Da questo possiamo vedere come la motivazione non è di ordine naturale ma soprannaturale senza la pretesa di considerare che ci salviamo in base a quello che siamo stati capaci di realizzare ma la certezza della salvezza viene dalla parola della Scrittura che afferma : " in Lui, anche voi dopo aver ascoltato la parola della Verità ed avere in essa creduto, avete ricevuto il sigillo dello Spirito santo che è caparra della nostra eredità in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria". Cosa significa questo sigillo dello Spirito santo? Torniamo di nuovo ad un discorso di norme importanza che troviamo come filo che attraversa l’Antico ed il Nuovo Testamento. Il sigillo è la dichiarazione di appartenenza dell’uomo a Dio in tutta la sua persona, con tutte le sue facoltà. Al tempo degli Israeliti, era il marchio che ciascuno di loro apponeva alle cose che gli appartenevano, per segnalare a chi appartenevano. Alla luce di quanto abbiamo detto, il discorso di S. Paolo diventa come un globo in cui le cose si intersecano e si incontrano tra di loro in maniera tale che l’una risponde all’altra. Dobbiamo sentire di appartenere a Dio, di possedere la sua vita, la sua energia, di possedere questo sigillo di appartenenza che ci dichiara Sua proprietà. Questo significa che il male non può toccarci anche se possiamo essere turbati dalle cose materiali e fisiche presenti nella realtà che stimolano la nostra sensorialità ma, come ripeto, non possiamo essere posseduti dal demonio perché il sigillo dello Spirito Santo in noi costituisce una condizione privilegiata di fronte alla creazione e, se riusciremo a meditare su questa grande verità nel silenzio e con la preghiera, acquisteremo una dimensione soprannaturale e niente e nessuno potrà farci del male. Il maligno potrà tormentarci fisicamente, suggestionare a livello psichico, ma non potrà fare più di tanto proprio grazie al sigillo dello Spirito che abbiamo ricevuto. Domanda : il diavolo può suggestionarci a livello tale da farci rompere il sigillo dello Spirito ?
Risposta : possiamo essere indotti a cedere ma la questione non è tanto quella di cedere al peccato piuttosto quella di essere sopraffatti dal nemico anche se, il più piccolo dei diavoletti è talmente più forte di noi che se fossimo abbandonati a noi stessi ci schiaccerebbe e ci distruggerebbe mentre, possedendo lo Spirito Santo, non possiamo essere vinti da loro.
Domanda : ci sono persone che, pur avendo ricevuto lo Spirito si perdono, perché ?
Risposta : fino a quando con la nostra libertà non accettiamo la suggestione del male non possiamo perderci perché siamo più forti del diavolo che tenta di distruggere il bene che Dio ha fatto diversamente da coloro che sono posseduti dal demonio perché, in qualche modo, è come se gli avessero la porta. Attualmente l’ultima tecnica del demonio è quella di farci credere che non esiste. In questo modo vince la battaglia contro l’uomo tranquillamente in quanto il male è dentro di lui.
Domanda : le opere di carità devono essere fatte allo scopo di ricapitolare tutto in Cristo in considerazione che stiamo collaborando con Lui ?
Risposta : Si. Infatti coloro che aiutano l’uomo in senso materiale non ne ricaveranno nulla.
Domanda : e coloro che lo fanno senza accorgersene ?
Risposta : la parabola del buon samaritano a cui fate riferimento è una parabola esplicativa di una certa situazione contingente per cui, quando facciamo le opere di misericordia e non solo, dobbiamo ricordarci che nel povero, nell’ammalato e nel sofferente è presente il Cristo. Il fatto che alcuni fanno queste cose senza accorgersene è un discorso poco chiaro in quanto se queste vengono esercitate per motivazioni puramente umane e sentimentali fanno parte della filantropia che ha lo scopo di appagare il desiderio di essere in pace con se stessi. Il problema invece è un altro cioè, se il nostro agire non è mosso da motivazioni di ordine soprannaturale, se non pensiamo al Cristo ed al suo regno, tutto ciò che facciamo serve a ben poco. Occorre che a questo punto si rende necessaria una distinzione in quanto vi possono essere cristiani che fin da bambini sono stati abituati a queste cose come a fare i fioretti e continuano a farlo implicitamente in virtù del loro spirito cristiano, costoro riceveranno il loro premio nell’altra vita perché bene o male hanno servito il Signore. Diversamente avviene per l’ateo il quale non si pone proprio questo problema e, anche se fa delle cose che in se sono buone ma non sono finalizzate al Regno, non riceveranno alcun premio e invece di andare in fondo all’inferno potranno al massimo andare un poco più su ma sempre li si ritroveranno.
Domanda : e la parabola del buon samaritano ?
Risposta : quello è un altro discorso in quanto il Signore vuole evidenziare che, come i pubblicani e le prostitute anche se peccatori, secondo la sua misericordia potranno godere del premio eterno diversamente dagli ebrei che sono i depositari delle promesse, così un samaritano anche non ha ricevuto un insegnamento cristiano ma agisce bene secondo la legge morale che ha nel cuore, già si trova più avanti di coloro che, pur avendo conosciuto Dio e la sua legge, non agiscono secondo il suo insegnamento. A tale proposito è necessario ricordare che anche il Concilio Vaticano II afferma che, chi si comporta secondo la legge morale dettata dalla cultura alla quale appartiene andrà in paradiso.
Domanda di Kristel : per i cristiani non cattolici vale lo stesso discorso?
Risposta : Si perché hanno ricevuto il battesimo e possiedono il sigillo dello Spirito Santo. Tuttavia, per la parte della verità cattolica che non hanno praticato, per quella probabilmente saranno escluse. Andranno anche in Paradiso ma certe cose non le conosceranno mai perché nella loro vita le hanno rifiutate, a prescindere se in modo cosciente o no ma resta il fatto che le hanno rifiutate e quindi per loro questo non ci sarà. Le verità che i cristiani cattolici in qualche modo possono intuire grazie all’azione dello Spirito presente in loro per il resto è tutto affidato alla misericordia di Dio.
Domanda di Kristel : ma io vedo che loro pregano, tentano di fare del bene come noi.
Risposta : è vero però, non avendo conosciuto la Madonna possiamo pensare che in paradiso non potranno fruire della sua visione e della sua amicizia lo stesso dicasi di S. Antonio o di qualsiasi altro santo.
Domanda di Paola: avete detto che la speranza cristiana della salvezza è certezza indipendentemente dalle opere, perché possediamo la caparra dello Spirito. Però le opere buone sono il frutto allora dobbiamo pensare che se non ci sono non ci salveremo?
Risposta : Certo, se non c'è proprio nessun frutto ....
Domanda di Paola : per frutto intendo il compimento della volontà di Dio. Se lui ti ha stabilito come orologio e tu invece fai il registratore non porti frutto anche se il registratore è una cosa buona.
Risposta: certo, ti troverai a pagare perché non hai segnato l'ora ed anche per aver voluto fare di testa tua però, se speravi di salvarti il Signore potrà usare verso di te la sua misericordia. Questa purtroppo è la condizione della maggior parte dei cristiani che il Signore dovrebbe escludere dal paradiso. E invece questo rientra nel discorso della caparra dello Spirito Santo. Proprio oggi diremo che questa caparra, questo sigillo è la nostra forza per cui, la buona parte dei cristiani che si comporta male, forse anche rispetto ai musulmani che si comportano bene, si salverà lo stesso e questo lascia perplessi nel pensare quale e quanto valore ha la figliolanza adottiva in Cristo che mi da il diritto all'eredità. Colui che si è comportato meglio di me, ma non ha avuto l'adozione, resta escluso da questo beneficio, anche se umanamente parlando sembra una grossa ingiustizia. Quando non diamo il giusto valore della morte di Cristo vuol dire che non abbiamo capito niente di quanto Gli dobbiamo.
Domanda di zio Bruno : questa è conseguenza anche della nostra crassa ignoranza!
Risposta : proprio crassa ignoranza, intendendo come tale ciò che avrei potuto e dovuto sapere e non ho saputo o non ho voluto sapere e molta gente non vuole conoscere la verità perché è non vuole accettarne le conseguenze. Ho incontrato molte persone che hanno un amante e non vogliono saperne di interrompere questa loro relazione extraconiugale anche se non dicono che il motivo è questo perché ci vogliono anni per essere coerenti nella vita pratica di tutti i giorni. Allo stesso modo è il discorso dell’unità che come Comunità già abbiamo fatto diversi anni fa e, nonostante continuamente ribadiamo questa esigenza dell’unità, non abbiamo capito ancora niente.
Intervento di Zio Guido - Il fatto che la Comunità abbia questo tipo di difficoltà possiamo leggerlo come un fatto positivo, come una croce. Una volta lei ci disse che nel momento in cui non si hanno delle croci bisogna preoccuparsi, perché vuol dire che qualche cosa non va, dunque potremmo leggere queste momentanee problematiche, come un momento di crescita in cui, anche se ci siamo allontanati veniamo chiamati a riavvicinarci. Personalmente lo leggo come un fatto positivo oggi che, cresciuti e posti di fronte alle difficoltà, riusciamo forse a capire l'importanza dell’unità, questo discorso portato avanti già tanti anni fa per cui mi auguro che finalmente ci rendiamo conto, non solo noi che siamo qui al ritiro, ma tutta la Comunità, che il nostro compito primario è fare costruire l'unità.
Le Benedizioni A questo punto volevo fare con voi questa considerazione. Abbiamo sentito le parole di san Paolo e ognuno di noi sa di essere stato benedetto dal Padre ma non sa ne dove ne quando e, necessariamente, per la serenità della nostra vita abbiamo bisogno di restituire il debito valore ai sacramenti. In modo particolare a quelli dell'iniziazione cristiana cioè il battesimo, la cresima e l'Eucarestia come credo che ognuno di noi debba riandare con la memoria e la propria fede al valore che essi hanno avuto e hanno nella propria vita. Possiamo immaginare di essere degli illusi, degli esaltati, di pensare autonomamente di essere stati benedetti se non avessimo fede nel Battesimo, in questo sacramento basilare che, come vedete, la Chiesa richiama continuamente alla nostra memoria, con quell'anamnesi di cui parlavamo il primo giorno e che dobbiamo recupera. Dobbiamo ritornare al valore del battesimo che rende oggettiva la presenza di Cristo nella nostra esistenza che, come tutti gli altri sacramenti, ha un valore di fondamento, di solidità, di conferma della nostra fede in una dimensione che non sia più soltanto di carattere psicologico ma di partecipazione misteriosa ma reale dei tratti salienti della vita di Cristo come di un aggancio direi fisico e concreto a Lui. Identità’ cristiana nei sacramenti Ricorderete come negli Atti degli Apostoli più di una volta viene menzionato che c'erano dei credenti i quali avevano sentito parlare di un certo Gesù Cristo ma non sapevano altro e la loro conoscenza si fermava al battesimo di Giovanni. A costoro vengono imposte le mani da parte di Paolo e su di loro scende lo Spirito Santo. Questo ci dice che senza battesimo non siamo nel seno della Chiesa cioè non facciamo parte concretamente di questa schiera di eletti, di benedetti dal Padre per cui, senza il sacramento, possiamo anche essere persone che credono di essere cristiane, ma che concretamente non lo sono. Da qui la necessità di rivalutare in noi il battesimo ma fare anche il proposito di ricongiungerci al nostro stesso battesimo, come alle radici del nostro essere stati inseriti nel mistero di Cristo perché sapete che diciamo che quando il bambino viene battezzato è incorporato in Cristo, lo rende figlio di Dio che gli da la benedizione, il diritto all’eredità, la remissione dei peccati. Tutte queste cose che abbiamo letto in San Paolo vengono annunciate e realizzate nella celebrazione del battesimo durante il quale il bambino viene liberato dal peccato originale, ottiene la remissione dello stesso, viene liberato da satana e quindi redento cioè riscattato dal dominio di satana, riceve l’olio dei catecumeni perché e viene reso più forte per la lotta contro l'avversario ed infine riceve il battesimo con l’acqua benedetta e viene consepolto con Cristo e partecipa alla Sua resurrezione. Tutti i battezzati sono resuscitati e lo devono ricordare, devono tenerlo presente nella loro mente, cioè di tanto in tanto andare a rileggere quanto dice Paolo nella lettera ai Colossesi 2,12 : "Con lui infatti siete sepolti insieme nel battesimo e siete stati insieme resuscitati per la fede nella potenza di Dio che lo ha resuscitato. Con lui Dio ha dato vita anche a voi" che vuol dire che riceviamo la stessa vita di Dio. Allora quando nel battesimo abbiamo ricevuto l'acqua, siamo stati unti con il crisma, siamo stati resi idonei a pronunciare il nome di Padre, in quel momento effettivamente la nostra identità cristiana, che non è un'ipotesi, un'illusione, o una qualunque altra credenza, ma da quel momento viene costituita. Dovremmo non soltanto ringraziare il Signore ma, ogni tanto ricordare questa fonte e questa radice per poterci realmente riconoscere e poi verificare la nostra fedeltà. San Paolo nella lettera ai Colossesi dice ancora : "Anche voi, che un tempo eravate stranieri e nemici ,con la mente intenta alle opere cattive che facevate, ora egli vi ha riconciliati per mezzo della morte del suo corpo di carne, per presentarvi santi, immacolati e irreprensibili al suo cospetto: purché restiate fondati e fermi nella fede e non vi lasciate allontanare dalla speranza promessa nel vangelo che avete ascoltato, il quale è stato annunziato ad ogni creatura sotto il cielo" (Col. 1,21-23). In base a questa venuta andiamo a rileggere il nostro battesimo per confrontarci, ( è quanto vi chiedo di fare tra oggi e domani ), che siamo veramente figlio di Dio, siamo stati liberati dal peccato, come ci dice Paolo sigillati dallo Spirito Santo, cioè siamo stati dichiarati di proprietà di Dio per cui Gli apparteniamo e, conseguentemente, siamo tenuti a partecipare al governo del mondo insieme con Dio. Tutte queste cose sono cose oggettive che devono assumere la debita rilevanza nella nostra coscienza e, come battezzati, dobbiamo convincerci che non possiamo permetterci di comportarci come qualunque altra persona di questo mondo in quanto esiste una differenza di sostanza tra i battezzati e i non battezzati che caratterizza la nostra appartenenza a Dio . Queste nostre riflessioni ci mettono di fronte all’esigenza di comportarci in un certo modo rispetto ad un altro, cioè ci danno il fondamento e la base del nostro essere testimoni e benedetti dal Padre. Cosa che lamento perché la nostra comunità non la esprime. Noi siamo dei battezzati che troppe volte ragionano da pagani, da mondani, cioè da uomini e donne che hanno perso coscienza del loro battesimo, di questo essere stati rinnovati, di aver ricevuto una vita nuova e diversa e quindi di essere stati dedicati a Dio. Penso che sarebbe utile che ci procurassimo qualcuno di quei libretti per la celebrazione del battesimo per leggervi anche le preghiere del battesimo e dico di più, vorrei incontrarmi di nuovo con tutti coloro che hanno ricevuto il sacramento della cresima per un breve periodo di rimeditazione sul sacramento e per rinnovare le promesse battesimali. Nel ricevere il sacramento non abbiamo detto solo delle parole e pronunciato delle promesse davanti a Dio ma dobbiamo chiederci che cosa hanno determinato nella nostra coscienza e a che punto di crescita cristiana siamo perché se nella nostra coscienza non è cambiato nulla rispetto a prima è evidente che non ci siamo inseriti nella coscienza ecclesiale, poiché è il battesimo che costruisce la Chiesa e non le nostre convinzioni o la nostra fede. Noi cristiani abbiamo un fondamento storico per quanto riguarda i sacramenti e sul quale sapete che insisto, la Sacra Scrittura. Anche le religioni primitive hanno sempre dei riti per mezzo dei quali in qualche maniera tentano di trasmettere, secondo la loro credenza, principi, energie e forze. A maggior ragione nella Chiesa il sacramento ha la funzione di riprodurre, non soltanto misticamente, in maniera artistica e appariscente delle convinzioni, ma di operare realmente. Sappiamo benissimo che il sacramento è un segno che nella Chiesa, mentre rinnova il significato del mistero di Cristo, lo realizza con l’intervento dello Spirito santo sul soggetto che riceve il sacramento, a differenza di qualunque altro segno che ha solo lo scopo di indicare e nulla più. A questo proposito ho trascritto per voi questa bellissima preghiera del rito della cresima che vi leggo per vostra memoria : "Voi che siete già stati consacrati a Dio nel battesimo riceverete ora la potenza dello Spirito Santo e sarete segnati in fronte con il sigillo della croce, offrendo voi stessi con Cristo, sommo sacerdote, pregherete il Padre che effonda più largamente il suo Spirito perché tutto il genere umano formi l'unica famiglia di Dio". Questo è il senso della cresima, desiderare che sia costituita da tutto il genere umano l'unica famiglia, cioè il discorso dell'unità, "la vostra vita diffonderà il profumo di Cristo per la crescita spirituale della Chiesa, popolo di Dio". Passando dal battesimo alla cresima ci rendiamo conto che si verifica questa maggiore presa di coscienza da parte nostra ma anche il dono perpetuo dello Spirito Santo ai battezzati per mezzo del quale siamo stabilizzati in maniera definitiva nel corpo mistico con un dono costante e inalienabile dello Spirito Santo il quale diventa per noi radice, fondamento totale e stabile che non ci dovrebbe più smuovere. Con il sacramento della cresima dovremmo, in maniera totale e definitiva, appartenere a Dio per la costruzione della Chiesa. Abbiamo però sentito anche un'altra parola, sulla quale dobbiamo fermarci a riflettere : "Voi sarete segnati col sigillo della croce" la quale ci ricorda che, essendo cristiani, dobbiamo condividere la croce di Cristo senza la quale non possiamo immaginare di salvare il mondo. A questo proposito vanno dette due cose. La prima è che quando ci rivolgiamo al Padre con la nostra preghiera e compiamo il nostro atto di offerta al Padre ed essendo deboli e indifesi, la prima cosa che offriamo è il sacrificio, il sangue, la passione e la morte di Cristo. In altre parole dobbiamo offrire la croce di Cristo e il suo sangue non le nostre sofferenze o le nostre rinunce in segno di mediazione perché sia ben chiaro questo aspetto importante della nostra partecipazione ai sacramenti nei quali si rinnova il mistero della passione e della morte di Cristo. La nostra devozione alla croce non deve essere semplicemente il desiderio di volere condividere, anche se tante volte, ci manca il coraggio di dire "voglio condividere", ma dobbiamo effettivamente desiderare di coprirci, rivestirci del sangue di Cristo e con la croce sulle spalle presentarci al Padre. La seconda è quella di comprendere che la nostra vita non può prescindere dalla croce lasciando al Padre l’iniziativa di darci una croce, piccola o grande che sia, a seconda delle nostre capacità, purché non la rifiutiamo mai ma la mettiamo nel nostro orizzonte di vita senza mai ribellarci alla volontà di Dio. Ricordate il passo di Matteo in cui Gesù dice di prendere su di noi il suo giogo che è dolce e il suo carico leggero ?. Da qui sappiamo che il giogo è la croce, la volontà di Dio, per cui dobbiamo inserirci in questo dinamismo della volontà di Dio invece di voler fare il più delle volte per forza la nostra volontà. Quindi riceviamo il sacramento del battesimo e della cresima, ricordiamoci che veniamo consepolti con Cristo, veniamo chiamati a partecipare al mistero della sofferenza, del dolore, della rinuncia, del distacco dalla realtà umana alla quale apparteniamo. Penso che su questo abbiamo molto da imparare ed anche le piccolissime rinunce, i "fioretti" quotidiani, possono essere un punto di partenza per acquisire la capacità di accettare la volontà del Signore. Voi ricorderete quel che dice san Paolo "Camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne. Queste cose si oppongono a vicenda sicché voi non fate quello che vorreste". Questi piccoli fioretti ci educano ad ascoltare lo Spirito quando ci suggerisce di controllarci e ancora : "Se vi lasciate guidare dallo Spirito non siete più sotto la legge. Del resto le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregoneria, inimicizia, discordie, gelosie, dissensi, divisioni, fazioni, invidia, ubriachezza, orge e cose del genere. Circa queste cose vi preavviso, come ho già detto, che chi le compie non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito è invece amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé" (Gal. 5,5ss). Questo benedetto dominio di sé che purtroppo non siamo capaci di esercitare ed i fioretti, anche se piccoli, possono aiutarci a dominare i nostri istinti, le nostre passioni e quanto altro può allontanarci dalla vita dello Spirito. Notiamo ora il passaggio che fa Paolo: "Ora quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri. Se pertanto viviamo dello Spirito camminiamo anche secondo lo Spirito" il quale esprime chiaramente il discorso della crocifissione della nostra carne. Ora, con sincerità, guardando noi stessi come comunità possiamo dire che stiamo facendo qualcosa in questo senso, possiamo dire che stiamo costruendo la nostra umanità e personalità su questa linea, possiamo dire che c'è questa nostra identificazione con la realtà di cui parla san Paolo? Sinceramente penso di no perché non lo abbiamo proprio come programma di vita e quindi non ci confrontiamo con questo discorso. Amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé e soprattutto questo desiderio di crocifiggere la nostra carne con le sue passioni e i suoi desideri è qualcosa che non ci appartiene. Quando parliamo della nostra identità suggerirei di confrontarci con tutti i benefici che abbiamo ricevuto nel sacramento del battesimo, della cresima e nell’eucarestia alla quale partecipiamo sapendo che essa piamo bene infatti che l'eucarestia è il sacrificio di Cristo ma è anche il nostro sacrifico e con Lui veniamo immolati tutte le volte che vi partecipiamo e che non deve scoraggiarci ma ci invita a fare una revisione di vita. Ho voluto agganciare il discorso della nostra ricerca di identità cristiana con i sacramenti perché mi sembra che questo sia il riferimento necessario , concreto, fisico e stabile che si realizza in noi per evitare le illusioni che ciascuno di noi può avere. Confrontandoci con i sacramenti che abbiamo ricevuto e le promesse fatte e con la crocifissione della carne e le sue passioni di cui parla san Paolo. Quando avremo operato questo tipo di confronto e di rilettura della nostra vita, probabilmente ci renderemo conto che abbiamo ancora molto da camminare e, pertanto, non siamo ancora in grado di annunciare al mondo la morte, la passione, la resurrezione di Gesù mentre, a causa della nostra identità, dovremmo essere coloro i quali annunciano i misteri di Cristo, che testimoniano il progetto del Padre e non mi pare che questo lo facciamo. Con ciò non intendo mettere in crisi nessuno tanto meno colpevolizzare ma desidero chiedere a tutti questo tipo di confronto, in questi giorni e non nei secoli futuri. Riflettiamo sulle nostre promesse battesimali e quelle fatte al momento della cresima, quali sono stati i nostri propositi per vedere se possiamo recuperare questo rapporto con lo Spirito Santo come forza, come dono. Dobbiamo infatti ricordare che, con il sacramento della cresima, abbiamo fatto il proposito di essere testimoni e la prima testimonianza è quella della nostra vita come abbiamo inoltre detto e la testimonianza di colui che ha ricevuto il sigillo dello Spirito Santo è quella dell'impegno davanti al Padre perché tutto il genere umano diventi una cosa sola. Gesù stesso dice che dalla nostra coscienza dell'unione con il Padre, con il Figlio e con la Chiesa la gente riceve la testimonianza che Lui è l’Inviato del Padre. Nel discorso della testimonianza rientra il discorso dell'unità che, mentre da un lato realizza la nostra identità completa in quanto viviamo la vita del Padre, dall'altro testimonia il mandato di Gesù davanti agli uomini. In questi giorni meditiamo sul nostro comportamento e le nostre convinzioni, cerchiamo di capire il perché delle nostre azioni confrontandoci con i nostri ideali terreni che forse occupano troppo spazio nella nostra. La ragione per cui la Comunità non realizza niente e se fa qualche cosa non porta frutto dipende dal fatto che non ha capito il mistero dell'unità e non lo vive mentre dovrebbe essere il nostro impegno primario dal quale scaturisce il desiderio di evangelizzare perché una volta diventati una cosa sola allora possiamo testimoniare al mondo che Gesù è colui che il Padre ha mandato. Sapete che con il battesimo e la cresima siamo stati consacrati sacerdoti, re e profeti e, l'esercizio del sacerdozio regale si esplica nella benedizione per il mondo, nell’essere mediatori come Gesù è il benedetto dal Padre ed esercita il suo sacerdozio davanti a Lui con la sua preghiera, con il sacrificio e con la sua croce. Conseguentemente siamo chiamati ad essere sacerdoti e mediatori, a pregare, ad intercedere e, non so se sentiamo la responsabilità che dalla preghiera e dalla riparazione dipende la vita spirituale di tanti altri uomini. Infine con la cresima dichiariamo di essere al servizio degli altri e Il sacramento in qualche maniera anticipa o, se così possiamo dire, rende comune il sacramento del diaconato cioè dichiariamo di essere servi degli altri, disponibili, accoglienti, pazienti, comprensivi verso i nostri fratelli. Anche su questo dobbiamo fare il nostro esame di coscienza per vedere se effettivamente realizziamo queste cose nella nostra vita secondo le nostre possibilità. Non dico tutti i giorni , ma almeno una volta alla settimana o una volta al mese realizziamo questo servizio? Vorrei poi che con calma, rivedessimo le nostre abitudini di vita e ci organizzassimo come Comunità, perché una volta o due al mese, il sabato pomeriggio, ci recassimo a trovare i malati, i bisognosi. Per quel che riguarda il modo di accostarci all'Eucaristia, ne parleremo successivamente. Se riusciamo ad approfondire la nostra conoscenza dell’Eucarestia e la poniamo al centro della nostra esistenza, la nostra vita sarà totalmente trasformata. Secondo me non abbiamo capito l’Eucaristia ma l’abbiamo ridotta solo a vedere se siamo stati buoni o cattivi, se siamo in stato di peccato o siamo state delle brave persone per fare poi la comunione. Non riusciamo ad intuire che di fatto, nel progetto eterno di Dio prima della creazione, di cui abbiamo parlato, al centro di tutto ciò che vediamo e possiamo intuire, delle ne convinzioni anche se positive, dell’arte, delle costruzioni e della scienza, al centro di tutto c’è l’Eucaristia. Mancando questo senso, questo concetto, ci troviamo nella condizione di vivere in maniera molto modesta, tante volte addirittura meschina, la nostra bellissima vita interiore. Se riusciamo a convincerci e, lentamente, a considerare i diversi aspetti dell’Eucaristia durante tutto quest’anno mettendola al centro delle nostre meditazioni, dei nostri approfondimenti e dei nostri studi fino al Congresso Eucaristico di Bologna, se riusciremo a comprendere che con l’Eucaristia possediamo in noi la potenza di Cristo, che è il cuore del Padre e lo riceviamo facendo la comunione, allora effettivamente la nostra vita porterebbe molto frutto come ci ricorda il Signore Gesù nel 15 del Vangelo di Giovanni. L’Eucaristia è questa potenza ma è anche la via della salvezza e della pienezza della nostra umanità e, quando notiamo in mezzo a noi persone che non funzionano a livello psichico e/o fisico nonostante partecipano all’Eucaristia , purtroppo dobbiamo dire che non hanno capito cos’è e non si nutrono positivamente di Essa. Voglio rileggervi quanto dice S. Paolo nella lettera ai Corinzi, non per spaventarvi, ma per invitarvi ad una partecipazione più densa e responsabile. "Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse : «Questo è il mio corpo che è per voi ; fate questo in memoria di me»." Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice dicendo: «Questo calice è la nuova Alleanza nel mio Sangue ; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me. Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga». Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice ; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. E’ per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti. Se però ci esaminassimo attentamente da noi stessi, non saremmo giudicati ; quando poi siamo giudicati dal Signore, veniamo ammoniti per non essere condannati insieme con questo mondo. (cfr. 1 Cor. 11,23). Commento: se è vero che chi mangia indegnamente di questo pane si ammala fisicamente, è vero anche il contrario : chi mangia bene di questo pane guarisce anche se non ce ne ce ne rendiamo conto. La partecipazione all’Eucaristia è una realtà formidabile per la nostra vita, perché la trasforma e la rende un’altra cosa abolendo dal nostro cuore le incertezze, le tristezze, le insoddisfazioni, l’attesa che possiamo realizzare chi sa che cosa perché quando possediamo Cristo possediamo già il tutto. E’ evidente che non avendo capito questo aspettiamo che debba succedere qualche cosa perché non entriamo effettivamente in comunione con Cristo. Andiamo a fare la comunione portando il peso di tutta la nostra ignoranza della realtà, il peso di tutti i nostri pensieri, convinzioni... cioè non ci abbandoniamo a Cristo, come dovrebbe essere, perché la comunione è un incontro di amicizia, di amore tale per cui c’è la trasfusione, la trasmissione dei valori e degli ideali da una parte all’altra. Mentre da parte di Cristo c’è il desiderio di comunicare, da parte nostra c’è la chiusura ermetica e quindi facciamo la Comunione senza pensare minimamente che dobbiamo convertirci, avere delle convinzioni diverse, dare un senso ed una prospettiva diversa alla nostra vita che non può essere secondo la nostra direzione. Partecipare all’Eucaristia dovrebbe portarci all’abbandono totale di noi stessi al progetto del Padre così come di fatto è stata la vita di Gesù che ha istituito l’Eucaristia come espressione di questo abbandono alla volontà del Padre: la Croce. Questa è la regione per cui voglio leggere con voi il documento del XXIII Congresso Eucaristico di Bologna che si terrà nel 1997, per non esprimermi soltanto con parole mie ma con le parole di teologi qualificati i quali ci possono aiutare lentamente a percepire questo significato, questo valore dell’Eucaristia che sinceramente alle volte lascia stupiti. Da tanti anni sono sacerdote ed ogni volta che celebro la S. Messa riconosco di non aver capito niente. Più vado avanti, più approfondisci e più dici : "Non ho capito niente, non ho partecipato nel modo dovuto perché non mi sono inserito nel mistero di Cristo". La gente si lamenta che sono lento nel celebrare la Messa. Sono arrivato alla conclusione che tra poco non dirò più la Messa, e se la dirò, sarà soltanto per coloro che vogliono parteciparvi perché la Messa non può durare meno di un’ora e mezza minimo! Di meno non è possibile perché li si riassume il dramma dell’universo e della redenzione dell’uomo ! "Facciamo presto...ho fretta , devo fare la Comunione e recarmi in orario in ufficio !" A queste persone mi verrebbe voglia di rispondere di non andare a Messa se non hanno tempo da dedicare al Signore. E’ vero che la Messa è per tutti ma è anche vero che un povero sacerdote deve celebrare come si deve e purtroppo, la celebrazione è stata ridotta quasi ad un fatto di routine ! Durante la celebrazione ho bisogno di meditare, di essere presente, di condividere, di acconsentire con la mia volontà . Da qui è chiaro che sfuggiamo l’Eucaristia perché è il sacrificio della Croce che fa paura e cerchiamo di fuggirla.
Domanda : Padre nel momento della consacrazione il sacerdote ringrazia Dio ?
Risposta : Non è quello il momento del ringraziamento ma dell’offerta e, solo quando il sacerdote pronunzia le parole : " per Cristo, con Cristo e in Cristo" è il momento dell’Eucaristia. Tutto il Canone è momento del ringraziamento mentre nella consacrazione del pane e del vino si consuma il sacrificio della morte di Gesù. L’Eucaristia va conosciuta, approfondita e non entreremo nel mistero della nostra fede se non attraverso la porta dell’Eucaristia. Abbiamo detto che i sacramenti del Battesimo e della Cresima hanno la caratteristica che riceviamo gli effetti che essi producono nella nostra vita anche se non li sperimentiamo fisicamente e visibilmente. Dovremo tentare tutti quanti di comprendere la funzione che l ‘Eucaristia, nell’intenzione del Padre, può e svolge nella nostra vita che purtroppo ignoriamo o impediamo del tutto. Pensiamo un po’ che cosa ha voluto darci il Padre donandoci l’Eucarestia con le parole " Vi lascio la pace vi do la mia pace ". Ma dov’è questa gioia e questa pace ? Ognuno di noi è tormentato da mille cose e non ha gioia ne pace perché manca la partecipazione e possiede un cuore piccolo e meschino, incapace di amare, che non lascia spazio all’amore dell‘Eucaristia. Per questo motivo affermo che, anche se in buona parte dei componenti la Comunità partecipa saltuariamente all’eucarestia è troppo poco perché l’Eucaristia è continua compartecipazione al progetto di Dio come afferma S. Tommaso : "La chiesa è il fine ed il frutto del Corpo e del Sangue di Cristo ricevuti al sacro convito. L’effetto ultimo di questo sacramento è l’unità del corpo mistico senza della quale non ci può essere salvezza". Da qui ne desumiamo che l’unità è il centro e questo non siamo riusciti a capirlo !
L’Eucaristia sacramento di Ogni Salvezza Bene, allora vorrei leggere con voi, anche se in parte, il documento L’Eucaristia sacramento di ogni salvezza. XXIII Congresso Eucaristico Nazionale - Bologna 1997) facendo con voi alcune debite considerazioni. L’ultima volta che abbiamo fatto il ritiro ho tentato di parlarvi di questo e del concetto della salvezza che già avete ben chiaro ma vedremo anche come i teologi lo esprimono con chiarezza ed in maniera succinta. L'anelito dell'uomo alla salvezza...(pag. 11 del testo) Non sempre se ne rende conto esplicitamente, ma certo l'uomo è un essere bisognoso di essere salvato. Ha bisogno di essere salvato dal male - cioè dall'indegnità morale - che insidia la sua esistenza e dal quale è spesso contaminato e sconfitto. Ha bisogno di essere salvato dalla morte: anche la sola possibilità ipotetica di finire annientato avvelena ogni sua gioia e vanifica ogni sua conquista. Infine, poiché con le sole sue capacità conoscitive non riesce a dare un senso davvero plausibile né a se stesso né al mondo, ha bisogno di essere salvato dall'assurdità dell’insignificante di tutto; un'insignificanza che inquieta e mortifica la sua indole di creatura ragionevole. Questo, antecedentemente a ogni valutazione, è ciò che l'uomo universalmente di fatto sperimenta. L'anelito alla salvezza è dunque iscritto oggettivamente in ogni cuore: è un’aspirazione che non si può eludere, se non a prezzo del soffocamento dei pensieri più lucidi e dei sentimenti più sinceri e più intensi. ......e la sorprendente risposta di Dio (pag. 12) La risposta di Dio all’anelito dell'uomo è sorprendente: eccede ogni nostra attesa e perfino ogni nostra immaginazione. Noi ne possiamo parlare solo perché lui stesso ce ne ha per primo parlato: tutta la divina Rivelazione è, in fondo, la "narrazione" di questa risposta. In sintesi, la risposta di Dio sta in un evento che è il centro e il senso dell'universo e di tutta la nostra storia; un evento che è l'attuazione di un disegno eterno, pensato e deciso prima di tutti i secoli; un evento che illumina, purifica, divinizza ogni uomo che nasce sulla terra. E solo alla sua luce l'anelito universale aria salvezza potrà essere adeguatamente compreso. Cosa davvero singolare e ancor più inaspettata, è un evento che si sublima e si compendia in una persona: la persona "data" a noi dell'Unigenito del Padre, fatto uomo, crocifisso e risorto. Si capisce allora che cosa voglia dire la verità elementare e primaria della nostra fede: Gesù, il Figlio di Dio crocifisso e risorto, è l'unico Salvatore del mondo; del mondo: cioè di tutti gli uomini e di tutte le cose. Gesù si "consegna" ai discepoli...(pag. 13) Per portare a compimento la sua opera di salvezza, prima di abbandonare questo mondo e di passare al Padre (cfr. Gv 13, 1), in segno di amore supremo (cfr. Gv 15,13), Gesù "consegna" ai suoi discepoli se stesso nel sacrificio della sua morte. Egli lascia loro la sua "vita offerta": fu suo "Corpo dato" (Lc 22, 19) come cibo; il suo «Sangue versato per la moltitudine a remissione dei peccati» (Mt 26,28) come bevanda e come la "nuova alleanza" suggellata nel suo sangue (cfr. Lc 22,20; 1 Cor 11,25). Vangelo di S. Lc 22,14 - Quando fu l’ora prese posto a tavola e gli apostoli con Lui e disse :«Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi prima della mia passione perché vi dico non la mangerò più finché essa non si compia nel regno di Dio». E preso un calice rese grazie e disse: «Prendetelo e distribuitelo fra voi perché vi dico da questo momento non berrò più del frutto della vite finché non venga il regno di Dio». Poi preso un pane rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio Corpo che è per è dato per voi, fate questo in memoria di me». Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo : Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue che viene versato per voi».
Domanda : Cosa si intende per insignificanza delle cose ?
Risposta : tutte le cose hanno un loro specifico valore come nel caso di una casa che ha valore in quanto costruita per essere abitata. Se non riesco a capire che una casa serve per accogliere l’uomo, una famiglia, rimane un luogo, un locale che ha un valore da un punto di vista economico ma non per l’uso che è stata costruita. Se non leggiamo la nostra vita in Cristo non possiamo comprenderla in quanto è come se vivessimo per una successione di atti che, non essendo legati fra loro, non hanno alcun senso. Perché il bambino dovrebbe andare a scuola, perché si dovrebbe sposare, perché avere dei figli ? Evidentemente c’è un disegno ! altrimenti ogni singolo atto per se stesso è assurdo. Allo stesso modo la nostra vita ha un significato solo nel progetto di Dio.
Domanda : Non possiamo salvarci da soli, ma da soli possiamo dannarci ?
Risposta : Certo ! Da soli o abbandonati a noi stessi ci perdiamo mentre, solo inserendoci nel discorso dell’Unità ci rendiamo conto che possiamo essere salvati come affermano i Padri della Chiesa i quali dicevano "o ti salvi insieme agli altri o ti danni senza gli altri". .....per essere "consegnato" a tutte le generazioni. Dal comando - quasi un "testamento" di Gesù nell'ultima cena i discepoli ricevono la sua "vita offerta" per trasmetterla a loro volta a quanti nei secoli crederanno in lui.( pag.13) Commento : ieri abbiamo letto in Gv. al cap.17 " Non prego solo per loro ma anche per coloro che crederanno per la loro parola " che ci fa comprendere come la preghiera è un obbligo per tutti e ci riguarda diversamente ad avere sempre considerato che è un compito esclusivo dei preti. Egli ha istituito il "memoriale" della sua donazione - «fate questo in memoria di me» (Lc 22,19) - in modo che il suo "Corpo dato" e il suo "Sangue sparso" fossero sacramentalmente disponibili nel convito della Chiesa, per tutto il tempo in cui essa ne attenderà la venuta. " Ogni volta infatti, ci ricorda san Paolo, che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché gli venga" (1 Cor.11,26). Commento : Fermando la nostra attenzione su queste cose riusciremo a capire che l’Eucaristia è un’altra realtà che ci coinvolge nella quale Gesù, per sua generosità, dona il suo corpo e versa il suo sangue per noi perché fossero sacramentalmente disponibili nel convito della Chiesa. A tale proposito c’è una bella espressione di Suor Elisabetta che dice " ma come Voi avete questo...e Lo lasciate solo!" Una delle cose che sempre mi commuove quando vado in chiesa è quella lampada accesa ed il silenzio totale in cui il Signore sta solo da sempre pazientemente ed è incredibile e impensabile questa sua solitudine, questa sua disponibilità, questa sua pazienza mentre noi , al mattino, non abbiamo neanche la delicatezza di dirgli :"Mi sono svegliato, buongiorno !" Un "dono" che dà senso e finalità all'intera creazione (pag. 14) La "consegna" del Corpo e del Sangue di Cristo alla Chiesa è un regalo assolutamente gratuito e inaspettato. Tuttavia essa rientra e va compresa nell’eterno disegno di grazia da cui tutto prende inizio. La morte e la risurrezione di Gesù di Nazaret - il suo essere "per la moltitudine" (cfr. Mt 26,28) - è la sostanza di questa suprema misericordia pensata e decisa dal Padre, che «ha tanto amato gli uomini da dare il suo Figlio unigenito» (Gv 3, 16). C'è dunque al principio un piano, che - provenendo da Dio che è la sola causa di tutto - è evidentemente unico e onnicomprensivo, e ha, come si è visto, al suo vertice il dono del Figlio nel suo sacrificio. Perciò a una maturata "intelligenza della fede" fu Signore Gesù, proprio nella sua donazione pasquale, appare la "motivazione" della creazione del mondo e particolarmente la ragione dell'esistenza stessa dell'uomo. Commento : infatti più in là si dirà che il Padre si è deciso a creare l’universo dopo aver considerato il Figlio. Una meditazione "centrale" (pag. 14) Questo basti a dire quanto sia precipuo e primario, nella "economia" della salvezza, il mistero dell'Eucaristia - cioè il mistero del "Corpo dato" e del "Sangue sparso", "consegnato" alla Chiesa - sul quale ci proponiamo di meditare. L’evento salvifico nel disegno del Padre. L'evento salvifico trova il suo cuore e il suo vertice nel sacrificio del Calvario, in quanto è premessa e ragione dello splendore della Pasqua. La contemplazione di questo "mistero" è il presupposto indispensabile di una adeguata comprensione del sacramento dell'eucarestia. Commento : Proprio perché non abbiamo capito e non comprendiamo il mistero della Croce e non ci fermiamo a meditare e pensare al significato e al valore della Croce, non ci è chiaro il mistero dell’eucaristia la quale è realizzazione e attuazione del mistero della Croce che come Comunità dobbiamo arrivare a comprendere di più e meglio. Il sacrificio della Croce come atto di predilezione del Padre...(pag. 15) Nel sacrificio del Calvario si "consuma" la predilezione del Padre per il figlio Gesù, che nella sua morte - abbandonandosi a lui dolorosamente ma incondizionatamente - ne sperimenta la vicinanza più intima (cfr. Sl. 22,12.20), per la quale non vedrà la corruzione (cfr. At 13,37) Nella morte Gesù riceve dal Padre la gloria perfetta (cfr. Gv. 8,54) :la risurrezione del terzo giorno è il segno dell’amore incommensurabile del Padre per il Figlio che gli si è affidato. Dal Salmo 22 Dio mio , Dio mio perché mi hai abbandonato ? Tu sei lontano dalla mia salvezza....... Ma io sono verme, non uomo, infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo. Mi scherniscono quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo : «Si è affidato al Signore, lui lo scampi ; lo liberi, se è suo amico». Sei tu che mi hai tratto dal grembo, mi hai fatto riposare sul petto di mia madre. Al mio nascere tu mi hai raccolto, dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio. Da me non stare lontano, poiché l’angoscia è vicina e nessuno mi aiuta.
Commento : Se leggessimo e meditassimo ogni tanto questo Salmo forse capiremmo di più l’Eucaristia, capiremmo questo Corpo e questo Sangue sparso che ci viene consegnato per farne memoria. ... come abbandono fiducioso al Padre...( pag. 15 ) Cristo non sale sulla Croce costretto: egli si dona al Padre nella pienezza del suo consenso alla volontà divina, che è il senso stesso della sua venuta nel mondo (cfr. Eb 10, 7). Nell'agonia del Getsemani non c'è una pura rassegnazione umiliata, ma una decisione, che è un atto di amore sovranamente libero: «Io offro la mia vita... Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso» (Gv 10, 17. 18). Sulla Croce non troviamo la disperazione di Gesù e neppure un suo soggiacere fatale all’inevitabile. Troviamo invece la sua "pazienza", come segno della fedeltà aria scelta del Padre, il quale ha voluto che il suo amore per gli uomini si rivelasse come perdono. La morte di Gesù si compie dunque come atto di piena e affettuosa adorazione filiale: anzitutto al Padre egli dona la sua vita, illimitatamente rimettendola a lui. Commento : facendo la Comunione penso a questo rapporto tra Padre e Figlio, il donarsi del Figlio al Padre il quale attende che mi doni in Lui insieme con Lui ? Questo mi porterebbe a vivere e sperimentare l’Eucaristia anche in questa maniera e non semplicemente a chiedere di essere perdonato dei peccati commessi per rivivere così questa esperienza dentro di noi e, in qualche maniera entrare nei sentimenti del Figlio verso il Padre e del Padre verso il Figlio. A mio parere questa dovrebbe essere l’Eucaristia che è memoriale cioè memoria. Se ricordate il primo giorno abbiamo parlato dell’anamnesi, cioè il riandare indietro con la nostra memoria ai fatti ed alla parole ? Come mai per l’Eucarestia non ci rendiamo conto che il memoriale è essenziale e che non possiamo limitare semplicemente questo rapporto che è piccino e meschino del dare e dell’avere tra noi e Lui ma mi porta a rivivere la Sua esperienza di donazione, di generosità, di pazienza, di accettazione del progetto del Padre. Questo vuol dire prepararsi a fare la Comunione che non significa semplicemente vedere se ho fatto o non ho fatto questo o quel peccato ma significa rimeditare la Passione del Signore, entrare nei sentimenti del Cuore di Cristo e riviverLo con l’aiuto della Grazia che scaturisce dal sacramento divino. Se a casa rileggerete, come mi auguro, questi testi con pazienza e con calma gli argomenti trattati nel testo uno per uno, certamente troverete questa ricchezza di esperienza dell’Eucaristia ed anche la gioia di parteciparvi.
Domanda : da qualche parte ho letto che nel momento che si celebra l’eucarestia è come se stessimo sul Golgota cioè partecipiamo fisicamente al mistero della morte di Cristo.
Risposta : certo e lo spiegheremo perché la gente non capisce che l’Eucaristia è "Il Sacrificio della Croce" per cui è evidente che nel momento che si celebra siamo ai piedi della Croce. .....come disponibilità agli uomini...( pag. 16) La stessa morte è anche il dono della vita fatto da Gesù a tutti gli uomini per la loro salvezza. Immolato come "agnello di Dio", egli «toglie il peccato del mondo» (cfr. Gv 1,29; 19,36): il suo "sangue versato" è il «sangue della nuova alleanza», vale a dire della grazia divina offerta come suggello di una indistruttibile comunione (cfr. Mt 26,27-28; Es 24,8; Lc 22,20). Commento : dobbiamo fermare la nostra attenzione sul concetto di alleanza nel sangue di Cristo che stiamo stipulando e che si realizza giorno dopo giorno quando ci comunichiamo come afferma san Pietro, rifacendosi al testo dell’Esodo :"Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di Lui". Quando facciamo la Comunione proclamiamo tutte queste cose, stipuliamo questo patto, diventiamo stirpe eletta, rappresentiamo Dio in mezzo agli uomini ? "Voi che un tempo eravate non popolo ora siete invece il popolo di Dio. Voi un tempo esclusi dalla misericordia ora invece avete ottenuto misericordia". Questa è l’anamnesi, il ricordare, usare la memoria per partecipare ai sacramenti e in particolare al sacramento dell’Eucaristia. In quel sangue che significa amore - poiché è l'amore e non la sola sofferenza a redimere - sono rimessi i peccati della "moltitudine" (cfr. Mt 26,27; Is 53, 12). Gesù muore perché ci ama: sulla Croce, appartenendo tutto al Padre, si rende incondizionatamente disponibile per tutti gli uomini. Ogni uomo allora può dire con san Paolo: «E Figlio di Dio mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20) (pag.16 del testo). Commento : devo confessarvi che i primi tempi della mia conversione cercavo di fare questo ragionamento ma non capivo questo perché è difficile pensare che Gesù veramente è morto per te. Ma se ci fermiamo a meditare, a riflettere su queste cose e lentamente le facciamo scendere dentro di noi, arriveremo al termine della nostra vita alla comprensione del mistero con lo stesso atteggiamento che avevo io che Gesù muore per noi.
Quando Gesù muore e risorge, si attua l’eterno progetto di Dio. La Croce non è (come potrebbe sembrare) un disastro, che in modo imprevisto rovini questo progetto; o un incidente banale che lo intralci; o un'iniziativa perversa degli uomini che ne comprometta il compimento. Al contrario, è l'avveramento di ciò che è stato dall'inizio pensato e voluto. Gesù viene crocifisso «secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio» (At 2,23). «Davvero in questa città - prega con stupefacente lucidità la comunità apostolica degli inizi - si radunarono insieme contro il tuo santo servo Gesù, che hai unto come Cristo, Erode e Ponzio Pilato con le genti e i popoli d'Israele, per compiere ciò che la tua mano e la tua volontà avevano preordinato che avvenisse» (At 4,27-28).
In questa vicenda di sofferenza e di amore, di immolazione e di gloria, è racchiuso dall'inizio il destino dell'uomo. Secondo l'eterno disegno del Padre, l'uomo porta radicato nel suo stesso essere la "compredestínazione" alla morte, aria risurrezione, alla esaltazione e alla regalità di Gesù (cfr. Rm 6,4; 8,28-30; Ef 2,6). Contemplando il Crocifisso glorificato, ogni uomo risale alle proprie origini e alla genesi della sua vocazione"; diviene consapevole della sorte che gli è assegnata; riscontra la "forma" del suo esistere; legge e prevede - come in un 'tipo" o in una profezia - le vicissitudini e gli eventi che saranno suoi: ossia, i medesimi eventi e le medesime vicissitudini dell'Unigenito di Dio, voluto dal Padre come il Primogenito degli uomini, che sono creati per essergli conformi. Come è chiaramente detto nella lettera ai Romani: siamo tutti «predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il Primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29; cfr. anche Ef 1, 3 -7).
Se l'uomo è chiamato dall'inizio a riprodurre in sé la conformità con Gesù risorto da morte, e se questi è stato predestinato come Primogenito, allora lo stesso Gesù risorto, e non l'Adamo terreno, appare 1"'uomo esemplare" e l'Adamo primariamente e definitivamente voluto: il primo uomo, l'Adamo della Genesi, prefigurava «il secondo uomo che viene dal cielo», era profezia dell'ultimo Adamo... datore di vita" (cfr. i Cor 15,45-46), era la «icona di colui che doveva venire» (Rm 5,14). Secondo l'acuta riflessione di Tertulliano, «in tutto quello che veniva plasmato come fango è a Cristo che si pensava: l'uomo futuro. Già da allora quel fango, rivestendo l'immagine di Cristo che sarebbe venuto nella carne, era non solo un'opera di Dio, ma anche un suo pegno» (De resurrectione mortuorum VI, 3, 5). Con Cristo appunto quel "pegno" diventa realtà, poiché egli è 1"'Adamo che riesce", l'Adamo autentico che vince le tentazioni e "ripara" ogni guasto umano. Commento : nella nostra vita, normalmente prendiamo esempio dagli uomini e dalle cose che vivono intorno a noi, che appartengono all’uomo terreno, ad Adamo, l’Adamo del Paradiso Terrestre il quale era semplicemente un segno, un’indicazione di quello che sarebbe stato il vero Adamo : l’Uomo Gesù. Come modello e come esempio da realizzare nella nostra vita non possiamo prendere un personaggio come Michelangelo, Machiavelli, Garibaldi, Leonardo o altri che non sono un modello perché il vero modello è Gesù, l’Adamo riuscito come dice il testo. Vale a dire che il Signore ha fatto prima l’Adamo di terra che non è riuscito mentre Gesù è l’Adamo riuscito che dobbiamo prendere come esempio quando nella nostra vita ci sentiamo umiliati, desiderosi e invidiamo quell’attore o quell’attrice perché vorremmo essere come loro. Quei modelli sono l’Adamo fallito non quello vero ! IL vero modello per noi deve essere Cristo, i santi, la Madonna.
In lui la diffidenza verso Dio è sostituita dal perfetto abbandono (cfr. Lc 23,46);al sospetto verso il Creatore subentra la gioia e la lode filiale (cfr. Lc.10,21) ; la ribellione è trascesa nell’obbedienza, l’adorazione succede alla pretesa e al potere <8cfr. Mt. 4,10) ; alla rivendicazione dei propri diritti divini è preferito il ruolo di colui che serve (cfr.Fil.2,6-8 ; Mt.20,28) che si pone all’ultimo posto e che dona la vita (cfr. Mt.20,28)
Commento : se non avessimo avuto Cristo e qualcuno ci avesse detto, come in effetti la gente dice, " perché tutti questi guai, tutte queste cose cattive, perché soffriamo visto che Dio è buono o non lo è ? Allora nasce la diffidenza mentre, quando vedo Cristo e vedo che in Lui si realizzano i progetti del Padre, alla diffidenza si sostituisce l’abbandono perché Dio è capace di cambiare anche la sofferenza di questo mondo in felicità. E questa non è piccola cosa !
Poiché il "principio" (cfr. Col 1, 18) è il Cristo come appare pienamente realizzato alla vista del Padre, il "primogenito dell'intera creazione" (cfr. Col 1, 15) non può essere che il Redentore nell'atto di procurarci dal santuario celeste una 'redenzione eterna' (cfr. Eb 9,12). In lui - approdo della vicenda salvifica e oggetto primo delle intenzioni divine - tutto ciò che egli ha compiuto e patito per noi continua a irradiare la sua efficacia. Perciò non bisogna dimenticare mai che il principio", il 'primogenito", il "Primeggiante" (cfr. Col 1, 18) è il Crocifisso Risorto che siede alla destra del Padre. Non c'è dunque creatura cui sia superfluo il suo sacrificio, o che si possa ritenere estranea alla sua morte. Soprattutto non si può pensare a un uomo - a nessun uomo - che non sia coinvolto nella sua Croce e nella sua gloria. Proprio questa Croce e questa gloria rappresentano il "mistero della volontà di Dio", il "disegno prestabilito" da sempre e destinato a realizzarsi nella pienezza dei tempi (cfr. Ef 1, 9- 10). Commento : questo è l’essenziale della vita.
Domanda : Come si spiega che i protestanti , pur essendo cristiani, vanificano questo discorso così importante ?
Risposta : I protestanti non credono nell’Eucarestia, per loro Cristo è venuto una volta e basta. E proprio a motivo del Figlio - singolarmente e arcanamente voluto come Figlio incarnato, paziente e glorioso - Dio si determina a volere l'universo. Il che significa che Cristo funge da "archetipo" (o esemplare) sul quale ogni cosa è modellata, ed è costituito come esito cui tutto si volge e in cui tutto alla fine si risolve e si compie (pag.20) Commento : ritorna nel testo il ricapitolare in Cristo tutte le cose come abbiamo detto ieri. Come vedete è un discorso importantissimo e interessantissimo che, una volta approfondito e assimilato, dovrebbe trasformare la nostra vita per portarci poi alla conoscenza della nostra identità ed autenticità come creature e come cristiani. Se è vero che il vecchio Adamo, gli uomini che vediamo non sono il modello, ma il modello è Cristo, è evidente che la nostra autenticità di uomini non è quella di somigliare agli uomini che vediamo ma di somigliare, per quanto umanamente ci è consentito, a Lui. E’ questo che ci rende cristiani diversamente sono o non siamo niente ! Se arriveremo ad avere questo senso della nostra autenticità la nostra vita potrà svolgersi in maniera diversa ed effettivamente acquisire quella pace, quella serenità, quella pienezza di vita che ci fa sentire ognuno al proprio posto. Ciò è possibile soltanto per mezzo della comunione che ci colloca ognuno nella propria dimensione felice.
Domanda : senza l ‘Eucarestia possiamo raggiungere la salvezza ?
Risposta : la salvezza si ottiene con il Battesimo per mezzo del quale veniamo consepolti e conresuscitati con Cristo mentre con la partecipazione all’Eucaristia riceviamo il cibo della vita per camminare nel deserto della nostra esistenza come nel caso del profeta Elia per diventare sempre più conformi a Cristo ed essere così lentamente trasformati in Lui.
Domanda : Cibandoci di Cristo le nostre cellule si trasformano e si rigenerano ?
Risposta: certo. Il nostro corpo mangiando la Carne di Cristo subisce una trasformazione e una rigenerazione anche a livello fisico e viene molto più predisposto, se così possiamo dire, , alla risurrezione.
Domanda : Allora anche fisicamente staremo meglio ?
Risposta : no è che staremo meglio ma diventeremo diversi. Leggendo la vita dei santi vi accorgete che in tanti casi sono stati guariti dall’eucarestia come nel caso di S. Caterina da Siena la quale è rimasta per quaranta giorni senza mangiare e non soltanto mentre altri santi si sono cibati per lungo tempo solo dell’Eucaristia.
Tutto l'evento salvifico è posto nelle mani dei discepoli di Gesù quando sul suo comando celebrano l'Eucaristia. Esso ci è offerto sotto la figura del pane e del vino, perché diventi principio e alimento dell'intera esistenza cristiana. Questo rito non aggiunge certo ulteriore ricchezza alla realtà del sacrificio pasquale, ma comunica - a noi che lo compiamo - un modo nuovo e tipico di parteciparvi e di fruirne, che è il modo "sacramentale": un possesso vero e sostanziale, ma adombrato, espresso e causato da segni.
Se l'eterno disegno del Padre mirava al Figlio di Dio Redentore e alla sua gloria, quando Gesù muore e risuscita quel disegno "si risolve". In un certo senso, sul Calvario la storia finisce; non perché si conduca al suo corso e si interrompa la sua cronologia, ma perché nel "Corpo dato" del Signore e nel suo "Sangue sparso" gli uomini trovano tutto quel "Dono" divino e quella "Grazia" per cui essi esistono. Il sacrificio di Cristo non attende in se stesso nessuna aggiunta e nessun perfezionamento: è avvenuto "una volta per tutte" (Eb 7,27; 9,12. 26. 28; 10, 10. 12) e conserva inesauribilmente, per ogni tempo e per ogni luogo, il suo valore e la sua efficacia salvifica universale. Gesù non dovrà ancora morire e risorgere: la sua Pasqua è unica e "sufficiente': non ha bisogno né di ripetersi né di rinnovarsi.
Toccherà agli uomini - ai quali la Pasqua è destinata dal principio - morire con Cristo, essere con lui sepolti, per risorgere e regnare con lui. Il Padre chiama alla vita gli uomini perché "facciano Pasqua"; o meglio, perché Gesù faccia Pasqua con loro, con ciascuno di loro. Così, rivivendo í suoi misteri, essi, secondo il "disegno", divengono a lui conformi. Commento : questo è il discorso che facciamo all’inizio di ogni anno e diciamo che l’anno liturgico è il tempo privilegiato nel quale la Chiesa, e quindi ognuno di noi, possa rivivere le tappe dei misteri di Cristo. La liturgia ha valore in quanto in essa possiamo essere assimilati, più che assimilare, dai misteri di Cristo : la Nascita, la Passione , la Morte, la Risurrezione, l’Ascensione... Eventi già avvenuti nei quali andiamo ad inserirci come spiegheremo.
Ora, non ci si può aspettare che il Corpo di Cristo venga nuovamente 'dato' e il suo Sangue sia nuovamente effuso, ma solo che l'identico Corpo e l'identico Sangue siano disponibili e possano essere assunti: rimanendo nella logica trascendente dell'unico piano di Dio, ci si può aspettare il "sacramento" o il "memoriale' del Corpo e del Sangue di Gesù, perché diventi possibile la "comunione' vitale con il sacrificio redentore. E difatti Gesù nell’ultima cena istituisce esattamente il "sacramento" o il "memoriale" del suo sacrificio pasquale affidando ai suoi apostoli e tramite loro a tutta la Chiesa e a tutta l’umanità, il suo Corpo come cibo e il suo Sangue come bevanda. Commento : stabilito che Gesù è morto ed è risuscitato, l’unica cosa che possiamo fare è il memoriale cioè questo "ricordare" che rende presente in quel momento l’azione che si compie ed è sacramento. Una realtà visibile e allo stesso tempo misteriosa e vitale che permette, ad ciascuno di noi, di partecipare fisicamente come diremo tra poco.
Ritroviamo nell'atto eucaristico, ed è importante che se ne acquisti consapevolezza, lo stesso valore che è manifestato dal duplice gesto compiuto da Gesù la vigilia della sua passione. Ci è messo tra le mani il suo 'Corpo dato': cioè la sua intera concretezza di uomo in cui «abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Col 2, 9) Commento : Come ai discepoli di Gesù fu posto nelle mani il Corpo e il Sangue di Cristo in cui c’è tutta la pienezza della Sua divinità, così avviene per coloro che partecipano all’eucarestia. .... e abbiamo nel calice il suo 'Sangue versato': vale a dire, ci è resa accessibile tutta la sua energia vitale e la sua potenza rinnovatrice (segue da pag. 22) Commento : sapete che quando si parla di sangue si intende dire, almeno secondo la tradizione ebraica e quindi secondo la nostra concezione, che in esso è contenuto effettivamente la potenza vitale in quanto il sangue è la sede della vita. L'Eucaristia ci pone dunque in comunione con la realtà totale del Cristo Redentore; col suo stato di vittima, che ha sancito la nuova alleanza; con la sua donazione al Padre e ai fratelli, che ha toccato il vertice nella consegna di sé alla passione e alla morte; con la sua prerogativa sacerdotale, che lo costituisce mediatore eterno tra la divinità e la creazione; con la sua regalità, che lo rende guida, capo, Signore dell’universo (pag. 23).
Commento : nell’Eucarestia abbiamo la condizione di vittima del Cristo, con la quale viene sancita e firmata l’Alleanza, la sua donazione al Padre ed ai fratelli che è la massima espressione di questo suo amore, la prerogativa sacerdotale che lo fa mediatore tra Dio e l’uomo e la sua regalità che lo fa capo dell’universo.
Gesù con le parole pronunciate sulla coppa del vino richiama esplicitamente che egli sulla croce consuma un sacrificio di alleanza: «Questo è il sangue mio dell'alleanza» (Mc 14,24). «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue» (Lc 22,20). E così ci ricorda che nel rito del pane e del vino, che abbiamo avuto l'ordine di celebrare, noi - unitamente a Cristo, mediatore unico e insostituibile - diventiamo contraenti del patto nuovo ed eterno col Dio d'Israele. E’ un patto con cui noi ci siamo legati a Dio; e perciò implicitamente, col rito, rinnoviamo gli impegni assunti con lui: l'osservanza dei comandamenti, l’accoglienza del precetto dell’amore che li riassume e h esalta, la fedeltà al nostro Creatore che è il senso e il traguardo dell'esistenza umana. Commento: O come ricorderete nel cap.14 del Vangelo di S. Giovanni, il Signore dice ai suoi discepoli "non vi chiamo più servi ma amici perché vi ho detto tutte le cose" e ancora "se mi amate osservate i miei comandamenti". Il grosso problema che si prospetta è proprio questo : noi affermiamo diciamo che tutto quanto avviene nell’Eucarestia è reale cioè, quando parliamo del memoriale e del sacrificio diciamo che il sacrificio è unico ed è il sacrificio della Croce. Ma che cosa intendiamo dire ? Per poter comprendere questo dobbiamo considerare la natura di Gesù, o meglio la Sua persona che ha in se due nature : quella umana e la natura divina ed essendo la sua persona divina tutti gli atti che Gesù compie sono atti divini. Ciò significa che le sue azioni si svolgono nel tempo, in quel tempo determinato ma, essendo atti di Dio, sono fuori del tempo e quindi sono eterni per cui il tempo rimane in qualche maniera fermo in quanto l’azione è un’azione eterna e, posta una volta rimane per sempre. Noi agiamo e quindi attuiamo, se così possiamo dire, l’azione ma l’azione sta ferma. Avviene un po’ come per la Terra che gira intorno al Sole ed anche se la sua faccia viene illuminata dal sole, il sole è fisso. In altre parole l’azione di Cristo è fissa mentre il tempo gira intorno ad essa.
Domanda : ogni azione di Cristo è eterna eppure tutte sono distinte tra loro. Come è possibile contare fuori dal tempo ?
Risposta : Per noi quelle azioni sono diverse ma in Dio sono una cosa sola. Commento : il sacrificio di Cristo è l’unico sacrificio, eppure è nel tempo, perché l’azione posta da Gesù è fuori del tempo è sempre presente. Anche se noi giriamo e ci sembra che sia mutato lo scenario mentre invece è lo stesso ed è fisso. Gesù nasce veramente la sera di Natale e noi siamo posti in contemporanea con questa azione che è da sempre. Quando celebriamo la Messa siamo nella stessa condizione degli Apostoli, di Giovanni, di Maria che, nel momento in cui Gesù veniva crocifisso, si trovavano ai piedi della Croce.
Domanda : quindi veniamo posti in quel tempo, cioè inseriti nell’eternità ?
Risposta : diciamo così anche se questo è un modo di esprimerci. E’ la nostra azione che è in questo tempo ed è il nostro tempo che è in contemporanea con questa luce.
Domanda : quando mangiamo il Corpo e beviamo il Sangue di Cristo in quale condizione ci troviamo ?
Risposta : siamo nella stessa condizione nella quale si sono trovati gli Apostoli la sera del Giovedì Santo e, anche se il Sacrificio non si era ancora consumato, questo è relativo alla Passione del giorno dopo. Quindi bisogna vedere l’azione di Gesù come un tutto unico. Egli ha cominciato la sera del Giovedì con il segno del pane e del vino ed ha istituito l ‘Eucaristia cioè il Sacramento che sta a significare che porta alla Croce. Nel momento in cui c’è la Croce il pane ed il vino, in quanto sacrificio, diventano una cosa sola con la Croce. Gesù prima ha distribuito il pane ed il vino dandogli questo valore:" è il mio Corpo, è il mio Sangue poi muore sulla Croce dove effettivamente il suo Corpo è trafitto e il suo Sangue è versato, completano questa realtà che diventa una cosa sola. Ragionando in termini umani possiamo dire che sono diversi pezzi che diventano una cosa sola.
Domanda : il Sangue che beviamo ed il Corpo che mangiamo appartengono al Cristo morto o vivo ?
Risposta: a questo punto è necessario fare una distinzione. Il Corpo ed il Sangue che mangiamo e beviamo sono realmente di Cristo vivo e di Cristo morto che, essendo risuscitato viene divinizzato nel suo corpo. Quando celebriamo la S. Messa, nel Canone diciamo che ricordiamo la Passione, la Morte, la Risurrezione e l’Ascensione di Gesù al cielo. Cioè nell’Eucaristia è presente tutta la Passione di Cristo e tutta la sua Risurrezione con tutta la sua corporeità e fisicità se così possiamo dire. Non è che mangiamo il Corpo morto di Gesù perché il suo Corpo è transeunte ma mangiamo tutto Cristo, beviamo realmente il suo sangue che scaturisce dalla sua Passione, in una dimensione che contiene sia il Cristo morto che il Cristo risorto.
Domanda: faccio un parallelo tra il sacrificio della Croce e l’agnello consumato in fretta dagli Ebrei la sera prima della partenza dall’Egitto, tra il Sangue della Croce ed il sangue dell’agnello cosparso sugli stipiti delle case dei salvati dall’ira dell’Angelo di Dio. In effetti nel Vecchio Testamento vi è la profezia del Sacrificio di Cristo sulla Croce. Quello è un sacrificio effettivo ?
Risposta: no, quello è un memoriale mentre la categoria del memoriale del Nuovo testamento è una categoria che si riconduce al memoriale degli Ebrei del Vecchio Testamento. Cioè quando gli Ebrei mangiano l’agnello della Pasqua come avviene ancora oggi, questa azione è sempre memoriale di quello che è avvenuto la sera dell’uscita dall’Egitto perché questa l’unica categoria della religione rivelata. Cioè Dio ha dato agli Ebrei questa categoria del memoriale : quando farete questo, fatelo in memoria del passaggio dell’Egitto. Quindi l’Eucaristia non è solo il Corpo sacrificato ma anche quello risorto, cioè Cristo nella sua totalità, non è solo il venerdì Santo perché, se così fosse, l’Eucaristia non sarebbe portatrice di vita.
Domanda : per semplificarmi il discorso del memoriale, mi ero fatto l’idea che tutto avviene in Cristo, e quindi la sua presenza compendia tutte le fasi della sua Passione, Morte, Risurrezione e Ascensione ma, in quanto presente in mezzo a noi, non mi spiego l’azione dell’Angelo nella notte di Pasqua nel vecchio Testamento in quanto lì non c’era Cristo.
Risposta: si ma c’è Jahvè il quale è presente e l’Angelo rappresenta il "signum" di Cristo e, quando Dio pone un’azione questa è eterna per cui, se cominciamo a ragionare in questi termini, ci accorgiamo che per molte cose siamo contemporanei a tutta la storia della salvezza. Abbiamo un concetto di tempo e di spazio puramente umano e, quando ci trasferiamo nel mistero della salvezza, il discorso diventa più complesso. Siamo contemporanei dei santi, di Mosé, di Abramo ecc.. mentre l’eternità è fissa e, ogni generazione che passa, viene a trovarsi nel raggio di luce dell’eternità e diventa sua contemporanea. Abbiamo una premessa di fede la quale ci dice che l’azione di Cristo è divina e, di conseguenza, è eterna. A questo punto il tempo non si spiega più.
L’Eucarestia è proclamazione oggettiva della morte del Signore per tutto il tempo che se ne attende la venuta: "ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché Egli venga" (1 Cor.11,26). Commento: questo brano si collega al discorso che stiamo facendo. Come avete notato in questi tre giorni ho insistito sul fatto che, se ci affidassimo soltanto alle nostre sensazioni, impressioni, convinzioni, percezioni ecc.., ci troveremmo sempre in una condizione di soggettività che ha ben poco valore. Per autenticare la nostra identità abbiamo bisogno di una dimensione, di una realtà oggettiva che viene rappresentata, dicevamo ieri, dai Sacramenti. Cioè dal Battesimo, dalla Cresima e dall’Eucaristia che è una dimensione oggettiva. Quindi non siamo degli illusi pensando di essere inseriti in Dio, ma effettivamente la realtà eucaristica, che è una dimensione oggettiva, mi inserisce in Dio.
Domanda: questi sono misteri per i quali bisogna avere solo fede ma gli altri ragionamenti servono solo a tentare di capire ?
Risposta: certamente tutti i ragionamenti sono susseguenti alla fede e possono aiutarci a capire anche se questo è molto limitato. Per esempio, abbiamo una scala da 1 a 100 che serve a misurare il grado di conoscenza della realtà della quale io capisco 1. Noi crediamo in tutto quello che Gesù ha fatto e dimostrato con la sua vita, morte e risurrezione di essere Dio e, siccome Lui è Dio e ha detto queste cose non possiamo sbagliare nel crederle. Poi, ognuno di noi, con il ragionamento, la lettura e la meditazione della Sacra Scrittura e, leggendo alla luce della fede e con la grazia di Dio , i gesti che ha compiuto Gesù, in qualche maniera riesce ad intuire, a sospettare, ad argomentare ma rimane un dato abbastanza confuso e ombroso anche se crediamo di avere capito anche se c’è da chiedersi poi che cosa siamo riusciti a comprendere.
Domanda: Padre, ma ragionando non si rischia di sfociare nell’eresia ?
Risposta: No, perché abbiamo dei dati oggettivi che sono quelli della Rivelazione, della Parola, della tradizione della Chiesa e, quando ci muoviamo in quest’ambito e non diciamo niente che sia oggettivamente contrario, opposto ad essa e quindi non possiamo sbagliare. Da qui la necessità di studiare la logica che serve ad avere dei concetti ed è la difficoltà della cultura di oggi perché sapete bene che, a livello scientifico, si mette in dubbio il concetto di sostanza, il concetto di natura. Mettendo in discussione tutta la visione metafisica della realtà noi riusciamo più a vedere i confini del discorso per cui, la teologia odierna sta diventando fideismo. Il Signore ha detto così e basta ! Non possiamo spiegarci niente. C’è stata una polemica subito dopo il Concilio se nella celebrazione Eucaristica avviene la transustanziazione oppure la transfinalizzazione. Una volta che mettiamo in dubbio il concetto di sostanza allora possiamo dire che il pane ed il vino cambiano come sostanza e diventano Corpo e Sangue, oppure dobbiamo dire che il pane e il vino rimangono quello che sono però significano una cosa diversa? Al riguardo è nata una grossa polemica al riguardo sulla quale è dovuto intervenire personalmente il Papa il quale ha detto che, pur volendolo chiamare diversamente da transustanziazione, il fatto comunque rimane sempre lo stesso : il pane ed il vino diventano realmente il Corpo ed il Sangue di Cristo. Gli accidenti del pane e del vino restano ma la sostanza cambia, rimane il colore, l’odore, il sapore però la sostanza non è la stessa.
Domanda: questi problemi non me li pongo perché non sono addentro alle questioni teologiche, ho fede e basta.
Risposta: fai benissimo a non addentrarti perché non serve a niente. La fede semplice è la cosa migliore. Molti nella nostra fede hanno grosse difficoltà sull’eucarestia che trovo molto stupido perché o credi all’esistenza di Gesù Cristo o no. Poi che l’Eucaristia sia o non sia.... L’ha detto Gesù ? Allora è vero e questo mi basta. L’essenziale è credere alla Parola di Gesù. per cui se non ti basi sulla parola di Gesù come fai a sapere se c’è transustanziazione o meno ? Sono rimasti gli accidenti ma è cambiata la sostanza, come si fa a vederlo ! Non abbiamo la possibilità e quindi è sciocco fare contestazioni. O credi o non credi.
L'Eucaristia è proclamazione oggettiva della morte del Signore, per tutto il tempo in cui se ne attende la venuta: «Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga» (1 Cor 11, 26). Commento: badate bene, quando diciamo per tutto il tempo, vuol dire che coloro che lo annunziano siamo noi. Infatti, nella celebrazione, quando il sacerdote dice :"Mistero della fede" voi rispondete :"Annunziamo la Tua morte Signore, proclamiamo la Tua risurrezione". Siamo noi, è la Chiesa che proclama tutto questo e quindi questa è l’affermazione di una oggettività, Vale a dire che tutti noi, di fronte al sacrificio che il sacerdote ha celebrato o ha consumato sull’altare, diciamo : " E’ vero " e lo annunziamo a tutto l’universo ! E proprio perché è un annunzio "oggettivo" - e non puramente soggettivo e intenzionale - in esso quella morte viene continuamente ritrovata, e ritrovata come principio di vita. «Voi annunziate la morte del Signore», dice san Paolo: la morte del Kyrios, cioè del Risorto. Non siamo quindi di fronte né a un annuncio mortuario né a un banchetto funebre. è la morte di uno che è vivo, e anzi ha vinto la morte; e perciò può colmare il rito con la sua ricchezza vitale, con la sua energia redentrice, con la sua carica di speranza (pag. 24). Commento : questa è tutta una affermazione di fede, della nostra fede nella quale crediamo ma è oggettiva. Cioè quando consideriamo la nostra identità, alla domanda : "Io chi sono ?" corrisponde l’affermazione :"Sono colui il quale dichiara, afferma, ritiene che in quel Pane e in quel Vino avviene una trasformazione per cui la sostanza del pane e del vino diventa la sostanza del Corpo e del Sangue di Cristo. Capite bene che, avere il coraggio di fare questo tipo di affermazione, muta la nostra personalità, e se abbaiamo coscienza di quello che diciamo nella sua complessità! Se non arriviamo a capire questo discorso sarà difficile renderci conto che abbiamo una identità spirituale, soprannaturale, profondamente diversa da quella che è la nostra identità naturale o umana. Allora se vogliamo veramente riconoscere, e come abbiamo detto, non possiamo fidarci della nostra condizione umana perché non è soddisfacente e non dà una risposta esaustiva alla nostra esistenza, dobbiamo decidere se rimanere sempre nel dubbio e nella perplessità o dare un significato profondo e sicuro alla nostra vita. L’affermazione che dà significato a tutta la nostra vita alla quale tutta la nostra esistenza va conformata, sta nelle parole di Gesù quando dice "Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunciate la morte del Signore finché Egli venga".
Questo è il mio corpo... questo è il mio sangue» (Mt 26,26.27). è la donazione di Cristo va ben oltre il simbolo, l'esperienza soggettiva, la pura intenzione, la significazione senza contenuto: si colloca, e ci porta, sul piano dell'essere. In virtù dell'azione trasformante del Signore, il pane e il vino qui diventano - "veramente, realmente e sostanzialmente", secondo il linguaggio nitido e coraggioso del concilio di Trento - il Corpo e il Sangue del Signore. Commento: é questa una realtà ontologica, una creazione diversa ma reale. Con l’Eucaristia affermiamo che esiste un’altra dimensione reale e oggettiva che non si vede e non si tocca ma è anch’essa realtà. Tramite il ministero sacerdotale, poi, è lo stesso Crocifisso Risorto a presiedere sacramentalmente il convito della Chiesa e a consegnarle il proprio Corpo da mangiare e il proprio Sangue da bere, per renderla partecipe di quell'evento definitivo di grazia che il trascorrere del tempo né vince né può rendere vecchio o superato. L'Eucaristia appare col il sacramento della presenza del "Corpo dato" e del "Sangue sparso", e insieme il sacramento della mediazione salvifica di Gesù: la mediazione sempre in atto del Sommo Sacerdote della nuova ed eterna alleanza (pag.24). Commento : quando il sacerdote celebra non è più lui ma è Gesù che in quel momento sta officiando. Per questa ragione il Codice di Diritto Canonico prevede la scomunica se il sacerdote nel confessionale o nella celebrazione Eucaristica esula da quanto è prescritto e, se muore mentre sta celebrando o confessando riteniamo che va direttamente in Paradiso.
Domanda : la fede ha un suo aspetto soggettivo. Pur essendo dono di Cristo è un seme e quindi c’è una crescita in noi nell’adesione al mistero della consacrazione ?
Risposta : La fede è la virtù per mezzo della quale crediamo in tutti i misteri di Cristo ma, se non aderiamo ad essi con tutte le nostre capacità, la nostra fede risulta iniziale, imperfetta ma non per questo non è fede.
"Il calice della benedizione, che noi benediciamo, - sono ancora parole di Paolo - non è forse comunione col sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?» (1 Cor 10, 16). Come si vede, noi diventiamo un'unica cosa - una "comunione" - non solo con la persona del Signore risorto, ma anche col suo sacrificio. Si istituisce come una mutua immanenza, di cui Gesù stesso ci ha dato preavviso e garanzia: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui» (Gv 6,56). Questa comunione è il principio inesauribile di vita, come ancora egli ci ha detto: «Colui che mangia di me, vivrà per me» (Gv 6,57); e si tratta di una vita che comincia quaggiù nella nostra tormentata esistenza terrestre, ma proseguirà ben oltre la storia, nei secoli senza fine: «Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno» (Gv 6, 5 1). Commento : per me ha un significato causale in forza della mia presenza in Lui ed un significato finale ovvero la sua vita si esprime in base a quanto riesce a realizzare me.
Tutto avviene, si è detto, in virtù dell'azione trasformante dello Spirito Santo. Tra la Pasqua salvifica di immolazione, di amore, di gloria, e la realtà cangiante e in crescita della Chiesa la connessione sta nel mistero sempre in atto della Pentecoste. Il Crocifisso Risorto, pervenuto alla destra del Padre, effonde sulla creazione la luce e la forza del Paraclito, che è il 'Dono" riassuntivo di tutti i doni. Per questa effusione, che attinge particolarmente ogni celebrazione compiuta per obbedire al comando del Signore, lo Spirito Santo - esplicitamente invocato nel rito - investe l'assemblea radunata attorno al pane e al vino deposti sull'altare, e tutto trasfigura e tramuta: il pane e il vino nella carne e nel sangue di Gesù, i convenuti nel "Corpo" di cui il Signore è il "capo" e il principio vitale: «Noi, i molti, siamo un corpo solo, perché tutti partecipiamo di un solo pane» (1 Cor 10, 17). Mentre però le creature inanimate e inerti non oppongono resistenza alcuna (e dunque la trasformazione del pane e del vino è totale e infallibile), le persone consapevoli e libere inverano la loro "incorporazione" a misura della docilità interiore alle sollecitazioni dello Spirito.
E mistero del "Corpo dato" e del "Sangue sparso", che si fa presente sotto i segni del pane e del vino, è un’eucaristia", cioè un'azione di grazie. Con questo nome appunto è da sempre indicato. Grande è la riconoscenza che dobbiamo al nostro Dio: egli «ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (Gv 3,16); anzi, «come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?» (Rm 8,32). Ma noi, come potremo mai sdebitarci? La misericordia del Padre ancora una volta supera ogni attesa e ogni possibile immaginazione: ci pone tra le mani gratuitamente il prezzo, per così dire, di un idoneo ringraziamento. Proprio l'eucarestia, che come abbiamo ripetutamente considerato, è il sommo e il compendio della divina generosità - diventa la più alta, la più intensa, la più adeguata risposta a Dio del nostro animo grato. Andiamo ora al capitolo terzo del documento dottrinario, dal titolo: "Eucaristia, Chiesa e vita cristiana"
Gesù nella "memoria" eucaristica consegna agli apostoli il suo Corpo e il suo Sangue, perché il sacrificio della Croce - da lui che lo ha compiuto una volta per tutte - passi a loro e a tutti gli uomini, per essere assunto e condiviso. Commento : Al centro della vita della Chiesa c’è il mistero della Croce Tutti infatti ne abbisognano, dal momento che solo in tale assunzione e condivisione essi possono diventare "immagini" del Figlio di Dio risorto da morte. Commento : solo partecipando all’eucarestia possiamo diventare immagine del Figlio e in lui venire riconosciuti e identificati dal Padre. Ne abbisognano perché possano personalmente sussistere e vivere secondo la loro 'natura teologica", cioè in conformità a quanto è stato pensato e voluto per loro nel disegno eterno. E ne abbisognano perché possano costituire la Chiesa, corpo vivo di Cristo, figura e iniziale avveramento del Regno di Dio, «sacramento universale di salvezza» (Lumen gentium, 48). Sull'intrinseca relazione sia tra Eucaristia e realtà ecclesiale sia tra Eucaristia e vita cristiana vogliamo adesso indugiare un poco nella nostra riflessione.
La Chiesa è esattamente l'umanità che, ricevendo il Corpo e il Sangue del Signore, muore con lui e nella condivisione della sua morte inizia la risurrezione: così come l'Eucaristia «è il sacramento della passione di Cristo, destinato a perfezionare l'uomo nella sua unione col Cristo che ha patito» (S. Tommaso, Summa Theologiae III, 73, 3, ad 3). Commento : un concetto questo che dobbiamo tenere presente in quanto solo dalla nostra condivisione con la morte e sepoltura del Cristo che comincia la Risurrezione. Non possiamo prescindere dalla morte pensando che poi resusciteremo perché la morte significa croce e la croce significa seppellire noi stessi, non seppellire noi stessi comunque sia, ma insieme a Cristo morto e sepolto. Questo è un concetto fondamentale per noi per tutte le volte che ci comunichiamo. Non è comunione se non c’è compartecipazione e condivisione con la passione, morte e sepoltura di Cristo e, soltanto meditando su questo mistero, lentamente troveremo più corrispondente il pensiero della croce alla nostra psicologia, alla nostra fragilità, alla nostra umanità, alla nostra debolezza altrimenti rimane sempre un fatto lontano che fa paura. Se invece ogni giorno ci incontriamo con la Croce e dichiariamo di volerla condividere con Cristo, lentamente essa può diventare per noi una realtà da partecipare con gioia perché è un onore partecipare alla Croce di Cristo. I bambini, i paurosi ed i vigliacchi non partecipano alla croce di Cristo quindi si rende necessario diventare adulti in quanto non siamo più bambini! E’ l'umanità in cui, grazie all'Eucaristia, convive tutto il mistero di carità di cui il Crocifisso è "simbolo"; perciò si definisce "sacramento della carità", che è il "vincolo della perfezione" (cfr. Col 3,14) (segue da pag.28) Commento : il Crocifisso è il simbolo della Carità del Padre verso di noi e della Carità di Gesù, il quale per amor nostro ha accettato la volontà del Padre Ancora, la Chiesa è l'umanità riscattata, che si offre con Cristo al Padre e con lui l'adora; è l'umanità dove opera la fraternità e il servizio della Croce: offerta e adorazione, fraternità e servizio, che trovano la loro sorgente e il loro culmine appunto nella celebrazione eucaristica. Infine, la Chiesa è l'unico Corpo di Cristo, il Christus totus, che a partire dal sacramento del "Corpo dato" e del "Sangue sparso" si va compiendo, così che avvenga il disegno di Dio (segue da pag. 28). Commento : Non posso pensare di essere inserito in questo disegno prescindendo dall’Eucaristia e dal mistero della Sua passione, morte e Risurrezione. Ecco allora che la nostra identità è sì fondata nel battesimo e sviluppata nella cresima, ma quotidianamente germoglia in noi, si amplia e cresce con la partecipazione all’eucarestia come ringraziamento al Padre per tutto ciò che ci ha donato e per i doni di salvezza . Ringraziamento perché ci ha inserito nel Mistero del Figlio e ci rende compartecipi della redenzione del mondo, come ringraziamento, adorazione e sottomissione alla volontà del Padre e fraternità con Cristo, il quale ci ha amati fino ad avere il coraggio di dare la vita per noi. E infine, come vedremo, l’Eucaristia è spirito di servizio verso tutti i nostri fratelli. Da qui possiamo considerare come la definizione che viene data alla comunione cioè fraternità servizio della Croce è alquanto appropriata perché per servire gli altri bisogna portare la Croce. è dunque un popolo che cresce e cammina, sostenuto nel suo sviluppo e nel suo pellegrinaggio dal vigore del «Pane di Dio... che discende dal cielo» (Gv 6,33) (segue da pag. 28). Commento: la nostra forza è nell’Eucaristia! Certo a volte siamo stanchi, scoraggiati, ci sembra di non poter camminare più come Elia che si addentra nel deserto e incontra l’angelo e gli chiede di andare con i suoi padri perché non ce la fa più. L’angelo lo sveglia e lo invita a mangiare e bere perché deve camminare a lungo. Ecco l’eucarestia che ci nutre e ci sostiene perché dobbiamo camminare a lungo. Dobbiamo uscire da questa mentalità di bambolotti in cui tutto è bello, dolce, è caro, dove non abbiamo niente da fare se non dondolarci semplicemente con le nostre debolezze. Il nostro è un cammino forte, pesante, doloroso ! Questa è la Chiesa, o meglio questa è la Chiesa che porta sulle sue spalle la redenzione del mondo e il suo peso. Se vogliamo essere veramente Chiesa, perché questa è la Chiesa e non soltanto un simbolo, ma il segno reale di Cristo che porta il mondo, quando una persona sbaglia dobbiamo sentirci tutti responsabili in quanto essa dovrebbe essere coinvolta nel sacrificio di Cristo quando facciamo la comunione.
A generare la Chiesa, a suscitarla, è il sacrificio pasquale e la carità del Crocifisso, di cui l'Eucaristia è segno efficace. La Chiesa è il fine e il frutto del Corpo e del Sangue di Cristo ricevuti al "sacro convito": «l'effetto ultimo (res) di questo sacramento è l'unità del Corpo mistico, senza della quale non ci può essere salvezza» (S. Th. III, 73, 3 c). Anzi, «l'Eucaristia è il sacramento di tutta l'unità ecclesiale» (S. Tb. III, 83, 4, ad 3). Costituita dalla passione e dalla carità di Cristo fruibili nell’Eucaristia, la Chiesa diventa a sua volta " corpo dato" e "sangue sparso". Facendo proseguire in se stessa la "consegna" di Gesù e tenendo vivo il senso della lavanda dei piedi da lui compiuta all’ultima cena (cfr. Gv 13,2-17), essa si presenta come la memoria concreta ed evidente del Redentore. Possiamo dire che la Chiesa risulta la "novità" di ogni Eucaristia. Se il sacrificio di Cristo non è rinnovato in se stesso, perché è intramontabilmente nuovo, da quel sacrificio - presente in immagine nella celebrazione sacramentale (cfr. S. Th. III, 83, 1 c) è invece continuamente rinnovata la Chiesa, che ogni Eucaristia mira a far emergere come umanità inconsueta, in cui sorprendentemente vive e agisce l'amore del Crocifisso per il Padre e per tutti gli uomini.
Gesù nell'ultima cena si è "consegnato" (cfr. 1 Cor 1 1, 23) agli apostoli, e così si è reso disponibile alla fede e all'obbedienza della Chiesa: la Chiesa nella sua unità ha ricevuto il mandato della "memoria" e, col ministero sacerdotale, la potestà di compierla. Secondo la disposizione del Signore, l'Eucaristia è "anamnesi" ecclesiale - oggettiva commemorazione rituale del sacrificio della Croce, da lui istituita quale Pasqua del popolo di Dio. La Chiesa non acquisisce mai la "signoria" e la "proprietà" del Corpo e del Sangue del Signore, che sempre e solo sarà grazia del Padre e iniziativa di Gesù Cristo, in virtù dello Spirito Santo. Tuttavia, questo Corpo e questo Sangue le sono affidati a misura della sua fedeltà e del suo affetto sponsale (che, nella Chiesa come tale, non verranno mai meno). Commento : siamo noi i responsabili dell’eucarestia che, in caso di persecuzioni, dobbiamo difendere. La celebrazione - che nei suoi riti e nelle sue preghiere rimanda tutta a Cristo - sarà l'indice e la professione incessante e ricorrente di questo affetto memore e fedele; e colui lo sarà lo stesso ministero, tutto esercitato in persona Christi, come segno e non mai come sostituzione dell'unico eterno Sacerdote (segue da pag. 30). Commento : anche se la casa di Dio è anche nostra dobbiamo starci in modo corretto.
Cristo invita a "mangiare" il pane, che è il suo Corpo e la sua carne, a "bere" al calice del vino, che è il suo Sangue (cfr. Mt 26,26-28), perché il suo stesso destino sia realmente assunto e operi efficacemente nell'esistenza di ciascuno dei suoi discepoli. Prendere parte al convito del Corpo e del Sangue del Signore significa diventare "consorti" della sua morte e quindi della sua risurrezione. In chi mangia la carne del Signore e beve il suo sangue (cfr. Gv 6,53-57) si avvera l'eterna destinazione pasquale. Commento : siamo corredentori insieme a Cristo e, grazie a Lui, acquisto il diritto a partecipare dell’eternità.
Perciò tutti gli uomini sono nativamente orientati all’Eucaristia, «memoriale della passione del Signore» (S. Th. III, 73, 5 ad 3): ogni atto di fede e di amore la include; ne rappresenta l'obiettivo e la spirituale manducazione (segue pag. 31). Commento : partecipare all’Eucaristia significa presenziare alla passione, morte e resurrezione del Signore.
Sedendo alla "mensa del Signore" (cfr. 1 Cor 10, - dove "brilla la Croce" (per usare la parola di san Giovanni Crisostomo) - l'uomo che ha accolto il Vangelo ospita in sé l'immensa carità del Padre, il quale, amandolo per primo oltre ogni merito, gli dona il Figlio crocifisso; e in lui egli diventa figlio a sua volta. E come il sacrificio del Calvario è il segno della più stretta intimità del Padre con Gesù e della sua compiacenza totale verso di lui, così la manducazione del Corpo e del Sangue del Crocifisso istituisce il più vivo legame tra Dio e il cristiano. L'uomo riceve il dono che Gesù Redentore, ponendosi in estrema umiltà a suo servizio, gli fa della propria vita: si lascia riscattare e liberare dal suo Sangue, «che è amore incorruttibile» (come dice sant'Ignazio di Antiochia, ai Romaní 7, 3). Si fa inoltre partecipe dell'adorazione, della dedizione e della confidenza filiale di Gesù verso il Padre; e si lascia offrire in sacrificio con lui, mentre offre al Padre lo stesso rendimento di grazie e la stessa immolazione della Croce. Commento : durante la Celebrazione è importante che ci sia in noi l’adesione interiore totale al dramma della passione di Cristo come massima espressione dell’amore del Padre per l’uomo, alla quale deve aggiungersi la mia offerta, la mia compartecipazione al mistero della redenzione. Questo é un momento fortissimo in cui si realizza il più vivo legame tra noi e Dio in cui il Padre ci dona il Figlio ed il Figlio ci offre al Padre. Avviene la stessa immolazione nella quale ciascuno di noi è san Giovanni Apostolo, è la Vergine Maria ai piedi della croce per cui è indispensabile entrare in tale circuito, altrimenti non partecipiamo con i frutti dovuti al mistero della redenzione. Infine, assume la carità fraterna di Gesù Cristo - che si è consegnato a tutti gli uomini "svuotandosi di sé' (cfr. Fil 2,7) - e in essa attinge la grazia di un amore sincero e di una disponibilità vera agli altri. Ogni autentica solidarietà tra noi trova qui il suo fondamento e la sua giustificazione: nei confronti dei fratelli, «se siamo compartecipi della realtà immortale, quanto più dobbiamo esserlo dei beni perituri» (Didachè 4, 8) (seg. pag. 32).
La vita cristiana, alimentata dall’Eucaristia, non è un’esperienza da consumarsi soltanto entro i limiti della "pratica religiosa" di una chiesa silenziosa e nascosta; essa è chiamata ad aprirsi alla missione salvifica verso l’umanità intera. La stessa partecipazione al "Corpo dato" e al "Sangue versato" determina un incontenibile impulso apostolico, perché il Corpo è "dato" e il Sangue è "versato" da colui che è il «Salvatore del mondo» (Gv 4,42), secondo il disegno del Padre «il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati» (1 Tm 2,4). Leggendo queste parole occorre fare un attento esame di coscienza per verificare se veramente abbiamo capito qualcosa della nostra fede e se davvero crediamo in Cristo perché non è possibile non avere un impulso apostolico. Se L’Eucaristia è il dono del Cristo che ha dato la propria vita per noi Essa stessa ci spinge a donare la vita per gli altri e questo possiamo vedere come in noi non si verifica e, conseguentemente, non possiamo inserirci nel discorso del Padre che vuole la salvezza di tutti gli uomini in quanto siamo avulsi dal mistero della redenzione e non entrando in comunione con il Padre non condividiamo con Lui questo desiderio di salvezza per gli uomini. Per questo c’è da meravigliarsi che tra di noi non vi siano vocazioni missionarie che coinvolgano giovani e famiglie pronti a partire per portare il Signore a chi non lo conosce ancora. Se il nostro cuore non si amplia, non si allarga, non ama anche questi, allora non abbiamo capito niente in quanto l’impulso missionario é il primo che ogni cristiano dovrebbe sentire dentro di sé. Perciò celebrare l’Eucaristia significa proclamare a tutti il Vangelo - la "buona notizia"- del riscatto e della rinascita, provenienti dal sacrificio di Cristo: «Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate..» (1 Cor 11,26). E non si tratta di comunicazione puramente verbale e intellettuale, ma di un dono di vita, che tende a creare e a far rifiorire tutto, secondo la parola del Signore: « Il pane che vi darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,51). Con l’Eucaristia - memoria oggettiva della Croce - noi offriamo all’umanità la sola chiave interpretativa possibile della propria inevitabile pena, e così dischiudiamo nella cappa oppressiva del dolore umano e dell’umana tristezza, uno spiraglio di serenità e un rinnovato gusto di vivere. Solo in Cristo ha senso il soffrire mentre la gente comune soffre e sopporta senza alcun motivo mentre é per mezzo dell'Eucaristia che possiamo far capire loro la ragione e lo scopo delle loro pene e delle loro sofferenze in quanto l’Eucaristia è il segno del riscatto e, un sacerdote che non sia capace di motivare le ragioni delle angustie ed afflizioni che opprimono la nostra esistenza, è un uomo che non ha capito niente del grande mistero della Redenzione che l’eucarestia dona. Con questo Sacramento della presenza salvifica del Signore, noi riportiamo tra gli uomini quel Dio che a molti sembra latitante, e che invece ha scelto di restare con noi in tutte le ore dell’esistenza, anche le più tragiche. Dio non è latitante ma è tra noi in carne ed ossa in quanto è presente con la Sua persona nel tabernacolo ma noi siamo talmente ciechi e superficiali da ignorare che durante ogni celebrazione Eucaristica, veniamo a contatto con Lui che è li ed aspetta di incontrarsi con noi. Questo purtroppo non siamo capaci di indicarlo ai nostri giovani che corrono qua e là disperandosi e bruciando la loro vita alla ricerca di un qualcosa che in realtà hanno a portata di mano. Così in ogni angolo della terra si introduce la forza della vittoria pasquale, principio rinnovatore del mondo e soprattutto dell’uomo, in tutti gli ambiti del suo esistere, del suo aggregarsi, del suo operare. E’ tanto potente l’energia, che ci viene data con la "consegna" del "Corpo dato" e del "Sangue sparso", che niente di ciò che è umano - nel comportamento privato e pubblico, nell’attività culturale, nella problematica sociale, nell’impegno politico - può essere legittimamente sottratto all’impeto di questa rinascita. Abbiamo noi il senso della vittoria pasquale? No! Quello che occorre comprendere è che nulla è impossibile se abbiamo fiducia in Cristo Gesù. A questo punto del nostro ritiro è più chiaro quanto abbiamo detto all’inizio circa il fatto di essere Benedizione: dovunque andiamo, portiamo il Signore rinnovando il mondo anche con la sola nostra presenza! Figuriamoci poi se celebriamo l’Eucaristia. Quando affermo e spero che un giorno noi, piccola comunità, potremo affrontare il drago dell’Istituto per gli Studi filosofici, a questo alludo e, mentre il laicismo e l’immanentismo dilagano, noi cattolici che facciamo? Dovremmo avere il coraggio di andare incontro a costoro ed avere la capacità di convertirli! L’invito allo studio mira proprio ad affinare i propri strumenti e andare a combattere. Il progetto che vogliamo realizzare consiste nel riunire tutti i cattolici indipendentemente dalla loro estrazione e spiritualità per metterci insieme ed affrontare il nemico in quanto la nostra debolezza deriva dalla nostra perenne divisione. Il progetto culturale di CCCV, e quindi dell’Associazione Culturale dell’Incontro e dello Spirito è quello di aggredire il nemico mediante l’unico strumento che essa intende affinare, la cultura cattolica sperando un giorno di convertire Marotta e Caianiello e, che l’impeto del vate, diventi anche il nostro.
Nella "frazione del pane" (cfr. At 2,42), mentre commemora la passione del risorto, il cristiano - con tutta la Chiesa - aspetta e implora che egli venga (cfr. 1 Cor 11,26; Ap 22,20), confidando di arrivare a condividerne la gloria, di cui il sacramento è pegno e prefigurazione. Noi non siamo tra quelli che gridano «Vieni Signore, noi ti stiamo preparando il Regno, noi ti stiamo preparando il Regno», non salutiamo il Signore con l’antica formula "Maranathà" così come accadeva nelle chiese primitive in quanto ci troviamo in una dimensione statica, amministriamo il quotidiano e le cose più scontate. Questo per me che vi seguo da anni è una grossa meraviglia che non trova giustificazione riguardo al nostro immobilismo. Se confidiamo nell’Eucaristia abbiamo Gesù con noi che si lascia toccare ed abbracciare così come hanno potuto fare i santi. Ma noi crediamo in tutto questo? La celebrazione eucaristica offre alla Chiesa ogni motivo della sua speranza, mentre già ora è l’intrattenimento più desiderato e gioioso col suo Sposo e Signore. Quando egli verrà, tutto sarà ricapitolato in Cristo morto e resuscitato, e il progetto eterno della nostra predestinazione in lui sarà pienamente compiuto. Se abbiamo fatto parte di questo progetto ed abbiamo pensato che questo è il progetto della nostra vita , se abbiamo orientato la nostra esistenza in questa direzione senza perderci, allora non occorre aggiungere altro. Dobbiamo essere il sale delle cose, portare la forza di Cristo: è mai possibile perdurare nel nostro stato di passività subendo le iniziative degli altri? E’ mai possibile che a noi manchi il desiderio di inventare, di costruire, di creare, di vedere cosa ci sia da fare? La nostra preghiera non deve essere una litania sterile, deve essere una preghiera finalizzata alla nostra vitalità in Cristo! Se il Signore si è mosso dal cielo per operare, dovremmo essere in migliaia, invece siamo solo 50: è mai possibile? Perché? Qual è la nostra identità? Abbiamo capito, sentiamo, pensiamo, crediamo di essere quello che siamo o no?
Una verità si è rigorosamente imposta alla nostra attenzione in questa riflessione sull’Eucaristia: davvero «in questo sacramento è compreso tutto il mistero della nostra salvezza» (S. Th. III, 83,4 c). Quella salvezza - che è anelito, come s’è detto, di ogni coscienza illuminata e implorazione di ogni creatura quando si avvede di essere effimera, inspiegabile, contaminata - ci è generosamente offerta dalla misericordia del Padre. Tale divina misericordia è dall’eternità un progetto d’amore, unico e onnicomprensivo. E’ diventata nella nostra storia un "evento" e una "persona" viva, concreta e adorabile: l’evento della Croce e della vittoria pasquale; la persona di Gesù, il figlio di Dio crocifisso e risorto, unico Salvatore del mondo, il solo che non delude mai chi si aggrappa a lui perché rimane «lo stesso ieri, oggi e sempre» (cfr. Eb 13,8). Questo brano ricalca il discorso affrontato ieri sera in cui si parlava dell’Eucaristia eterna. Questo evento e questo Salvatore sono adesso - nell’"oggi" dei sacramenti della Chiesa e soprattutto del mistero eucaristico - "nostri" nella forma più intensa, esauriente e più assimilabile che neppure si potesse lontanamente pensare. Grande è la miseria dell’uomo, se lasciato a sé solo; ma immensa è la sua fortuna, se si abbandona alla realtà di questa salvezza. Se capissimo solo quest’ultima cosa cioè che questa effettivamente è la nostra fortuna, avremmo trovato quell’entusiasmo, quella forza e quella gioia o propellente capaci di lanciarci nel mondo. Assumendo come cibo il "pane della vita" e bevendo al "calice della salvezza" , l’uomo ottiene tutta la ricchezza inesauribile del sacrificio della Croce. Gli è elargita, in quel banchetto, «la redenzione mediante il sangue [di Cristo], la remissione dei peccati, secondo la ricchezza della sua grazia» (Ef 1,7). Prendendo parte al Corpo e al Sangue del Signore, egli rinnova in sé i misteri della passione e della morte redentrice, pegno di resurrezione e di gloria. L’Eucaristia è la festa di nozze tra il Figlio del Re e l’umanità riscattata (cfr. Mt 22,2): una festa che ora allieta i nostri altari e proseguirà senza fine nei secoli, nel "santuario" non fatto da mani di uomo (cfr. Eb 9,24), nella «dimora di Dio con gli uomini» (Ap 21,3). A questa festa - ed è la ragione della nostra letizia ecclesiale e della nostra felicità imperitura - siamo tutti invitati. Esiste ormai una buona parte di cristiani incapace di spiegare quale sia il senso della loro esistenza e il motivo della loro gioia perché di fronte al mondo si vergognano e non sanno rispondere. Abbiamo letto soltanto il testo dottrinale mentre il resto è lasciato alla lettura personale in modo che ciascuno di noi alla celebrazione dell’Eucaristia sia capace di assumere tutti i caratteri in essa contenuti ovvero la possibilità di ricevere dal Padre il dono della figliolanza e diventare così partecipi dell’eredità e del mistero dell’unità. Rileggendo il testo, ci renderemo conto dell’unitarietà del discorso che da più giorni stiamo facendo che non sono altro che le parole dell’Apostolo che sono riassunte nell’Eucaristia. Alla fine di questa individuale riflessione, saremo forse capaci di attribuire un significato alla nostra stessa vita consci, da un lato di essere una cosa sola, dall’altro che dobbiamo andare ad annunciare Cristo al mondo. Spero che anche voi, una volta per tutte, possiate conquistare la lucidità del disegno che la nostra Comunità intende realizzare attraverso le varie attività dei mezzi di comunicazione che rientrano in un solo e unico disegno. La lettura ed il commento del documento dottrinario, per la parte iniziale, possono ritenersi conclusi.
14 Che diremo dunque? C’è forse ingiustizia da parte di Dio? No certamente! 15Egli infatti dice a Mosè: «Userò misericordia con chi vorrò, e avrò pietà con chi vorrò averla». 16Quindi non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell’uomo, ma da Dio che usa misericordia. 17Dice infatti la Scrittura al faraone: ti ho fatto sorgere per manifestare in te la mia potenza e perché il mio nome sia proclamato in tutta la terra. 18Dio quindi usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole. 19Mi potrai però dire: «Chi può infatti resistere al suo volere?». 20O uomo, tu chi sei per disputare con Dio? Oserà forse dire il vaso plasmato a colui che lo plasmò: «Perché mi hai fatto così?». 21Forse il vasaio non è padrone dell’argilla, per fare con la medesima pasta un vaso per uso nobile e uno per uso volgare? 22Se pertanto Dio, volendo manifestare la sua ira e far conoscere la sua potenza, ha sopportato con grande pazienza vasi di collera, già pronti per la perdizione, 23 e questo per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso vasi di misericordia, da lui predisposti alla gloria, 24cioè verso di noi, che ci ha chiamati non solo tra i Giudei ma anche tra i pagani, che potremmo dire?Dio ha ritenuto opportuno agire così in modo che la sua misericordia fosse manifesta anche a quelli che non la meritano. Se il progetto di Dio coincide con quello di salvezza per tutti gli uomini, noi non possiamo fare altro che aderire liberamente a questa iniziativa e questo è il senso in cui va letta tutta la lettera ai Romani di Paolo.
Conclusione E’ giunto il momento di tirare le conclusioni di questa nostra settimana. Prima di concludere, andiamo a leggere le parole di S. Agostino che commentano la prima lettera di S. Giovanni in cui quest’ultimo afferma «Noi abbiamo veduto e siamo testimoni». ...Forse, alcuni di voi fratelli, ignari di greco, non sanno quale sia in greco il significato di testimonio, termine comunissimo, entrato nel vocabolario religioso. Il greco chiama martiri quelli che noi latini chiamiamo testimoni. E chi non sentì parlare di martirio? Su quali labbra di cristiano non risuona ogni giorno il nome dei martiri? Potesse quel nome anche stabilirsi nel nostro cuore tanto da farci imitare la sofferenza dei martiri e non mettere sotto i piedi i loro esempi. Per questo Giovanni ci ha detto «Noi abbiamo veduto e siamo testimoni». Noi abbiamo veduto e siamo martiri! Essi, dando testimonianza sia di quanto videro come di quanto udirono da coloro che erano stati testimoni oculari, sopportarono tutte le sofferenze del martirio perché quella testimonianza spiacque agli uomini contro i quali era diretta. I martiri sono testimoni di Dio. Dio volle avere come suoi testimoni gli uomini affinché, a loro volta, gli uomini avessero come testimone Dio stesso.... ...Abbiamo veduto, dice Giovanni, e siamo testimoni: ma dove essi videro? Nella sua manifestazione. E che significa nella sua manifestazione: nel sole?. Vale a dire in questa luce visibile? Colui che fece il sole, come poté essere visto nel sole se non perché egli abbia messo nel sole la sua tenda, e, quale sposo che esce dal talamo, balzò innanzi come un gigante verso la sua meta? Chi fece il sole è prima del sole, prima della stella del mattino, prima degli astri tutti, prima di tutti gli angeli. Egli è il vero creatore poiché tutto per mezzo di lui fu fatto e senza di lui niente fu fatto. Ma perché anche con quegli occhi della carne che vedono il sole, egli potesse essere visto, pose la sua dimora nel sole stesso, manifestò cioè la sua carne nel chiarore di questa luce terrena. L’utero della Vergine fu la sua stanza nuziale, poiché è là che si sono uniti lo sposo e la sposa. Poiché sta scritto «e saranno i due una sola carne». Ed anche il Signore dice nel Vangelo «dunque non sono due ma una sola carne». Molto opportunamente Isaia ricorda che quei due sono un solo essere: Parlando in persona di Cristo dice:« Egli pose sul mio corpo una mitra come al suo sposo e mi arricchì di un ornamento come la sua sposa» Qui, come si vede, è uno solo che parla e si dichiara insieme sposo e sposa, poiché non sono due ma una sola carne; e ciò avvenne perché il Verbo si è fatto carne ed abitò tra noi. La Chiesa si unisce a quella carne e si ha così il Cristo totale, corpo e membra. Noi, dice Giovanni, siamo testimoni ed annunciamo la vita eterna che era presso il Padre e si è manifestata in noi, in mezzo a noi. Più chiaramente si direbbe "manifestata a noi". Le cose, dunque, che abbiamo visto e sentito, le abbiamo annunciate a voi. Faccia bene attenzione la vostra carità: le cose che abbiamo visto e sentito le annunciamo a voi. Essi videro presente nella carne il Signore stesso, da quella bocca raccolsero le sue parole e ce le hanno trasmesse. Perciò anche noi abbiamo sentito anche se non abbiamo visto: siamo forse meno fortunati di quelli che videro e udirono? Ma perché allora aggiunse «affinché anche voi abbiate comunione con noi»? Essi videro, e noi no, e tuttavia noi e loro siamo una cosa sola.; la ragione è questa: è che abbiamo la stessa fede. Ci fu un tale che, non avendo visto non credette e volle toccare con mano per arrivare in questo modo alla fede. Disse costui:«Io non crederò se non avrò messo le mie dita nel segno dei chiodi e non toccherò le sue cicatrici». Il Signore apparve all’improvviso per lasciarsi toccare dalle mani degli uomini, Lui che sempre si offre allo sguardo degli Angeli. Il discepolo avvicinò la mano ed esclamò:«Signor mio e Dio mio». Egli toccò l’uomo e riconobbe Dio. Il Signore, allora, per consolare noi che non possiamo stringerlo con le mani, essendo Egli già in cielo, ma soltanto raggiungerlo con la fede, gli disse:«Tu hai creduto perché hai visto; beati che credono senza vedere». In questo passo siamo noi ad essere indicati, si avveri in noi quella benedizione che il Signore ha preannunziato per le future generazioni. Restiamo saldamente attaccati a ciò che non vediamo perché essi che videro ce l’attestano affinché, afferma Giovanni « Anche voi abbiate comunione con noi». Che c’è di straordinario ad avere comunione con degli uomini? Aspetta ad obiettare, considera ciò che Egli aggiunge:« E la nostra comunione sia con Dio Padre e Gesù Cristo suo Figlio». Queste cose ve le scriviamo affinché sia piena la vostra gioia. Proprio quella vita in comunione, proprio nella carità e nell’unità Giovanni afferma la pienezza della gioia. Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui ed annunciato a voi: che cosa abbiamo qui? Essi toccarono con le loro mani il Verbo di Dio. Toccarono colui che dall’inizio era unico Figlio di Dio e divenne nel tempo visibile e tangibile. A quale scopo venne? Quale novità ci annunciò? Che insegnamento volle impartirci? Perché mai fece ciò che fece, cosicché, essendo Verbo divenne carne? Essendo Dio, soffrì dagli uomini le cose più indegne, sopportò gli schiaffi da quelle stesse mani che Egli aveva plasmato: che cosa ci volle insegnare? Che cosa mostrare? Che cosa annunciare? Se sentiamo discorrere di questi fatti, cioè della nascita di Cristo, senza riceverne un insegnamento, perveniamo piuttosto ad una distruzione che a un adempimento dello Spirito. Senti parlare di grandi cose: bada con quale frutto ne senti parlare. Che cosa dunque volle insegnare il Verbo? Che cosa annunciare? Ascolta cosa dice Giovanni:« Dio è luce e in Lui non vi sono tenebre». Quegli parla di luce, non c’è dubbio, ma le sue parole sono oscure. E’ bene allora che la luce stessa di cui ci ha parlato l’apostolo rischiari i nostri cuori per comprendere ciò che Egli disse e cioè che Dio è luce e in lui non vi sono tenebre. Che cosa s’intende per luce? Che cosa per tenebre? Questo ad evitare che ci si limiti ad affermazioni unicamente pertinenti al nostro modo dio vedere umano. Dio è luce, obietta uno qualsiasi, ma anche il sole è luce, anche la lucerna è luce, anche la luna è luce. La luce di Dio deve essere, evidentemente, qualcosa di superiore a queste luci, di più prezioso ed eccellente. Tanto questa luce deve stare al di sopra delle altre, tanto Dio dista dalla creatura quanto il creatore dalla sua creazione, la sapienza da ciò che per suo mezzo fu fatto. Potremo essere vicini a questa luce se conosceremo quale essa è, se ad essa ci accosteremo per esserne illuminati: poiché in noi stessi siamo tenebre, ma illuminati da essa possiamo diventare luce e non essere da essa gettati nella confusione perché da noi stessi ci gettiamo nella confusione. Che vuol dire "gettarsi nella confusione da noi stessi"? Significa riconoscersi peccatori. Chi non si lascia gettare nella confusione dalla luce? Chi ne è illuminato. Che cosa significa esserne illuminati? Accorgersi di essere ricoperti dalle tenebre del peccato e bramosi di essere rischiarati da quella luce. Ad essa ci si accosta in questo modo. Perciò accostatevi a Lui e siatene illuminati ed i vostri volti non arrossiranno. Non arrossiranno di essa se, nel momento in cui ti rivelerà la sua miseria, sentirai dolore di questo tuo stato e capirai la bellezza di quella luce..» Con questa lettura abbiamo ripercorso i temi di questi giorni in modo che sia evidente la necessità, da parte nostra, di essere illuminati e diventare luce. C’è in queste righe il discorso della nostra identità che non è quella di un uomo qualunque, ma di cristiano che ha ricevuto l’investitura della testimonianza di Giovanni e degli Apostoli. Noi siamo individui che hanno cercato di prendere coscienza di questa realtà e cioè che il Verbo si è fatto carne ed è venuto in mezzo a noi per annunciarci la vita eterna ; siamo uomini che hanno preso coscienza che la vita non è quella che vedono i nostri occhi come possono vedere la luce del sole, della luna o di qualunque lucerna non sono la luce vera. La luce vera, di cui parla Giovanni nel prologo, è quella che viene dal Padre che ci invita a diventare luce. Leggiamo dunque il prologo di Giovanni allo scopo di comprendere pienamente che la banalità di questa nostra vita non può riempirci, non deve più coinvolgere la nostra esistenza, sempre che da parte nostra, vi sia il coraggio di specchiarsi nell’eucarestia nella quale riscopriamo la pienezza della nostra identità, i veri lineamenti del nostro volto e riceviamo quella forza prorompente che può diventare il motivo rigeneratore della nostra personalità ed anche la forza per essere presenti in questo mondo. Tutto questo con entusiasmo, con gioia, con pienezza e la Scrittura afferma con chiarezza che vivere al di fuori di Cristo equivale a vivere per il nulla, nel vuoto totale. Cosa ci troveremo tra le mani alla fine della nostra esistenza? Quale sarà il senso delle azioni operate nell’arco della nostra vita? La risposta è univoca: piccinerie, meschinità, vanità, egoismo, orgoglio, interesse privato, insomma niente! Forse nessuno di noi immagina cosa si provi nel recarsi al capezzale di un moribondo che si accorge proprio in punto di morte di aver speso la propria vita per niente. Il Documento Dottrinario coglie molto bene il nostro bisogno di salvezza, salvezza dalla nostra meschinità, dalla nostra malizia, dalla nostra incapacità di vivere in mezzo agli uomini con semplicità, vedendo in qualunque cosa, in qualunque gesto, Dio con la sua bontà. Noi, al contrario, siamo inclinati a vedere in ogni cosa il male per cui non ci dobbiamo meravigliare se, spesso, il nostro comportamento è dettato dal desiderio di sopraffare il prossimo ma viviamo come i Santi con semplicità! Tornando a noi, in questi giorni ci siamo messi alla ricerca della nostra vera identità in questo mondo che, nel bene o nel male, ci ha colmati di delusione. Ognuno di noi è alla ricerca di quella "grande occasione" capace di farci spiccare il volo realizzando così le nostre sfrenate ambizioni mondane. Vivere la vita in questo modo sappiamo bene che non conduce a niente e, la grande occasione tanto attesa ,non arriverà mai. Questa condizione di vita è migliore di quella in cui si trova a vivere chi dalla vita è stato già sconfitto ed amministra il quotidiano in attesa della morte. Una morte ingloriosa per aver speso la propria vita nella ricerca della pienezza che non ha raggiunto mai che al massimo avrà come giusto premio quello di pulire il sottoscala del Paradiso mentre sentiremo così le voci di gioia dei santi che cantano senza vedere e capire. Vale la pena ricordare che anche ambire a grandi conquiste in campo spirituale non è un atteggiamento prudente mentre il Signore ci invita ad essere realisti perché non diventeremo mai come S. Antonio, anche se chi vi parla per un certo periodo della propria vita lo ha creduto. Stasera, davanti al Santissimo dovremo rivedere la nostra impostazione di vita e fare dei propositi. Ci riconosciamo? In che ci riconosciamo? Durante questi giorni di esercizi sono stati analizzati molti aspetti e abbiamo visto come sia possibile valorizzare la nostra figliolanza adottiva, approfondire la conoscenza del mistero di Cristo nelle diverse possibilità per facciamo la nostra scelta e cerchiamo di penetrare più a fondo in questa realtà che tanto ci attrae. Impariamo a partecipare meglio all’Eucarestia per potere arrivare ad essere una cosa sola con Gesù che rappresenta il dono che Dio ci ha concesso : quello di incontrare il mistero di Gesù Crocifisso. Alla croce di Cristo dobbiamo arrivarci gradatamente senza pensare che la nostra chiamata individuale sia quella di essere crocifissi come avvenne a Lui. Tutti però possiamo capire che, con l’eucarestia, ci è stata consegnata la croce di Cristo di cui occorre fruirne, apprezzarla ed offrirla al Padre. Questa offerta al Padre non si identifica con l’offerta della sofferenza individuale ma quello che possiamo fare è offrire le nostre miserie e le nostre pene che vengono giustificate solo dal sangue di Cristo. Se non impariamo ad apprezzare questo mistero di amore, di dedizione, di adorazione del Padre come ha fatto Gesù e che ci viene consegnato nella Comunione, come potremo realizzare la nostra umanità tanto meno la nostra identità cristiana. Accettare il dono della croce significhi parteciparvi e saper valutare la Croce di Cristo per cui, non trovandoci in questa condizione corriamo il rischio di non capire che Cristo è morto per noi. Pertanto, se facciamo questo primo passo nella pratica dell’eucarestia, possibilmente quotidiana, riusciremo a penetrare nel mistero del pane di Cristo, del Cuore che ha accettato la volontà del Padre e forse, in questa maniera e per questa via, potremo gustare di più questa nostra vocazione di condivisione del progetto del Padre : quello di salvare gli uomini. Da qui nasce spontanea in noi l’esigenza e la necessità di essere testimoni trasparenti e credibili in virtù del Battesimo, della Confermazione che abbiamo ricevuto e dell’eucarestia alla quale partecipiamo come segno della nostra condivisione alla Croce. Questo è quanto stasera dobbiamo offrire al Padre nel Sacramento Eucaristico attraverso le mani del Figlio e la luce dello Spirito Santo, cercando di capire cosa il Signore abbia voluto suggerirci nell’arco di questa settimana di ritiro spirituale. Dobbiamo fare in modo che il Signore Gesù, il Bambino del giorno di Natale, ci trovi già avviati alla preparazione dell’Eucaristia del Giovedì Santo avanzando in Dio, passo dopo passo, secondo le nostre forze e capacità. Rivestiti così del coraggio di abbandonare l’uomo vecchio, inizieremo a condividere le aspirazioni di vita del nuovo Adamo, abbandonando il primo Adamo, l’uomo vecchio. Questo discorso, in buona parte, ci deve energia, fermezza e decisioni necessarie per il superamento delle nostre debolezze in modo che, rinfrancati dallo stato di schiavitù nei confronti delle cose mondane, possiamo diventare tutti uomini nuovi nella consapevolezza che questa lotta continua con noi stessi, non può essere condotta con le sole nostre forze ma solo con l’aiuto di Cristo. Appoggiandoci al Cristo, di cui ci nutriamo nell’Eucaristia, potremo avere quella fondata speranza che viene dallo Spirito di poter affrontare la vita non per i nostri interessi privati, ma per il Regno, la sola realtà per la quale vale la pena di impegnarsi. Nell’Eucaristia quotidiana troviamo la nostra vera identità, il nostro entusiasmo, la gioia e la pienezza della vita. E’ impensabile che ad alcuni comunitari manchi questo entusiasmo e la volontà di battersi contro il nemico che non può essere battuto con le proprie forze ma solo con l’aiuto del Signore. Avere il coraggio di battersi implica l’impossibilità di scoraggiarsi di fronte alle aggressioni del male che subiamo nella nostra vita perché abbiamo la forza di Cristo che è con noi e, quando siamo riuniti in suo nome, abbiamo la certezza che è tra noi. E’ indispensabile possedere questo senso della vita per poter camminare insieme nel mistero, nella luce del mistero e vivere del mistero nella piena consapevolezza che il Padre ci ha chiamati ad essere benedizione e figli adottivi per cui è inutile voler capire il mistero. E’ la ragione per la quale facciamo parte di una comunità religiosa e, pieni di vita, di coraggio e di speranza, ci impegniamo certi dell’amore del Padre. Una coscienza questa che dobbiamo portare dentro di noi che ci dà forza ed energia per affrontare le difficoltà della natura, della realtà e del mondo. Spesso la Comunità si trova in momenti di "stallo" a causa idi un grosso problema che non riusciamo a risolvere quello dell’unità in modo particolare con coloro che non sono vicini a noi per tanti motivi e non per loro scelta. Vi invito a sforzarvi di costruire e custodire l’unità compatibilmente con le nostre possibilità. Cerchiamo il sabato pomeriggio di fare visita a quelle famiglie che hanno i bambini per cui non è facile per loro muoversi per venire da noi ed anche questo è un modo per fare unità. Questo implicare amore, capacità di mettere da parte noi stessi chiamando il Signore in mezzo a noi, in modo che le famiglie non si sentano mai da sole ma collaborate ed aiutate dal nostro spirito di servizio. Un altro mio suggerimento è quello di arrivare a loro mediante l’informazione perché possano essere al corrente delle diverse attività e iniziative comunitarie mediante la pubblicazione di un foglio interno formato A3 piegato, in cui dare notizia di tutto quello che avviene nell’arco del mese e per scambiarci le nostre idee. Questo eviterà a chiunque il peso di sentirsi escluso ! Prologo del Vangelo di S. Giovanni. Gv 1,1-4 : "In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio :tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini". Questo rievoca quanto abbiamo già detto e cioè che il Padre ci ha scelti prima della creazione del mondo e ci ha eletti in Cristo. Gv 1,5 : "la luce splende nelle tenebre ma le tenebre non l’hanno accolta". Siamo noi le tenebre che non hanno accolto e non lo accolgono Cristo nonostante sia luminoso, splendente e visibile. Gv 1,6-9 : "Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Egli non era la luce, ma doveva rendere testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo". Veniva nel mondo la luce vera e, nonostante ciò, viviamo nelle tenebre rifiutandola. Gv. 1,10-13 : "Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto. A quanti però l’hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio : a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, ma da Dio sono stati generati". Questa è la generazione adottiva di cui abbiamo parlato in questi giorni. Gv 1,14 : "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi ; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità". Purtroppo non l’abbiamo visto e non lo vediamo. Questa è la grande verità per cui dobbiamo chiederci come e cosa fare per poterlo vedere ed accoglierlo. Come giustificare questa nostra insensibilità ed incapacità di scorgere questa luce? E’ Dio a non farsi vedere o siamo noi che non lo vogliamo vedere? Vedere Dio e vivere coerentemente in Cristo è una cosa che spaventa chiunque, anche noi perché significa fare una scelta radicale e coerente ed impegnarsi per Lui soltanto. Gv 1,15-16 : "Giovanni gli rende testimonianza e grida : «ecco l’uomo di cui io dissi : Colui che viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia." Questo è un punto fondamentale! perché l’uomo che ritiene che i doni che ha ricevuto dipendono solo dalle sue capacità è un folle in quanto i doni che riceviamo, li otteniamo solo in virtù della nostra preghiera comune. Il Signore benedice questa nostra unione ed anche se siamo pronti a ricevere la benedizione allo stesso tempo non siamo disposti ad ammettere e a riconoscere di averla ricevuta. Questa è superbia ed orgoglio di cui dovremo rispondere al Signore. Gv 1,17 : "Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo". Al centro della nostra spiritualità dobbiamo porre questo Figlio nel quale tutti siamo stati fatti figli. Concludiamo dicendo che, pur non avendo potuto parlare della Madonna, Ella è la "Benedetta fra le donne" così come il figlio suo è "benedetto" e come noi siamo "benedetti" avendo ricevuto questa benedizione nei cieli. Ecco che, memori di questa nostra identità con la Madonna, è necessario invocarla in modo che questa benedizione che abbiamo ricevuto non vada dispersa nella nostra insania mentale di uomini che, pur avendo ascoltato e compreso tutte le cose dette sinora, tra due o tre giorni riprenderanno a vivere scelleratamente come gli altri uomini che non conoscono, dimenticando di essere stati scelti e prediletti. Che il Signore benedica noi e tutta la Comunità.
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2001 2000 |