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Sul rapporto tra filosofia e fisica.

Lettera a Teofobo.

Caro Teofobo,

ci sono delle perplessità, da parte mia, perplessità forti. Il che vuol dire rischi di costruire dei castelli in aria. Un fisico che fa

filosofia non ha delle credenziali particolari, può anche essere un

pessimo filosofo, pur avendo un'ottima fama di fisico. Questo vale per

Heisenberg quanto per Einstein (…addirittura Einstein!). Inoltre la

fisica può essere un punto di partenza. Ma appena ci si chiede cos'è

qualcosa e non semplicemente come funziona, allora si salta nella filosofia.

Non pensare che per me la linea che separa le due scienze sia così marcata e

nitida: nei casi concreti si fatica a capire in che ambito ci si sta

muovendo, e quindi che strumenti bisogna usare per sciogliere la questione.

Le domande sono una buona cartina di tornasole e, a mio avviso, possono

indicarci verso che direzione vogliamo andare. Ti faccio solo un esempio,

che non approfondisco: il principio antropico.

Hai colto degli aspetti molto interessanti, riguardanti la

conoscenza in generale. Di per sé conoscenza vuol dire

relazione, il che indica che ci siano almeno due termini che tra cui questa

relazione si pone, altrimenti la relazione diventa una semplice parola senza

significato. Diciamo allora che conoscenza indica relazione tra conoscente e

conosciuto (anche quando i due coincidono il conoscente è inteso sotto la

formalità di conosciuto).

La verità è una proprietà della conoscenza, e può essere definita, (e qui

prendo una posizione ben distinta), adeguatio rei et intellectu, cioè

adeguamento, commisurazione, tra intelletto e realtà. Non adeguamento

dell'intelletto alla realtà, né adeguamento della realtà all'intelletto, ma

dell'intelletto e della realtà. Nella realtà c'è qualcosa di esprimibile,

che richiede un esprimente per essere esplicitato. Quindi il prodotto

dell'uomo è questa esplicitazione, questo "dire" la realtà. È vero, la

realtà si può dire in tanti modi, alcuni di essi possono essere equivalenti,

cioè si possono usare strumenti e schemi concettuali riferiti allo stesso

oggetto. Credo che in sostanza l'aspetto che hai colto io lo traduco

in questi termini. LA RAGIONE È CAPACE DI AUTOSUPERARSI ALL'INFINITO.

Cioè non esiste il modello definitivo.

Che stiamo dicendo, che non esiste la verità assoluta? Tutt'altro: stiamo

dicendo che la realtà è infinitamente approfondibile, cioè posso sempre

scoprire e approfondire ciò che già conosco. Un nuovo modello, un nuovo

pensiero non deve necessariamente contraddire quello precedente, ma lo può

semplicemente approfondire.

È vero, i principi sono un prodotto dell'uomo, ma questo non significa che

non siano veri. Dal canto mio è assolutamente vero, ad esempio, che la

fisica classica funziona, nei confini che queste stessa materia si è

costruita. Questione di ordini di grandezza, di scelta di problematiche, e

non questione di storia. Entro questi margini la fisica classica è

assolutamente vera.

Il principio di causa ed effetto? È un principio, quindi non si dimostra,

cioè si pone come evidente. Per te non è evidente? Per Heisenberg non è

evidente? Potrete essere contraddetti dalla realtà, la quale è giudice della

conoscenza.

Il che porta a dire che c'è una verità e un errore, cioè c'è un modello

adeguato o inadeguato alla realtà. C'è una reale responsabilità oppure una

reale mancanza di responsabilità, dalle antenne radio ai casi di malattia che

citano i giornali. Questo è vero o è falso. Questo sarà vero o falso sempre.

Sebbene il termine assoluto abbia un senso sciolto da qualsiasi condizione,

la nostra conoscenza è sempre condizionata, ha sempre dei limiti, il che non

vuol dire che, fermi restando quei limiti, non sia sempre vera.

Tu, caro Teofobo, affermi che la mancanza di fondamento

dischiude la possibilità di una lotta per il dominio. In alternativa

ti propongo questa prospettiva. La fallibilità della mente umana

necessita per l'uomo uno sforzo non banale nella ricerca della verità

(mancanza di errore, sempre all'interno di un certo contesto), in questo

sforzo si riesce o si fallisce.

fra Fabio Maria Gragnano OP

 

Precisazione

La definizione aristotelica che spesso viene
citata, quella dell'adequatio per intenderci, non è relativa alla verità, ma
alla conoscenza umana in quanto tale. Che cosa vuol dire questo?

1: La conoscenza in quanto tale è la capacità di divenire altro, senza essere
altro...questo significa adeguamento dell'intelletto e della realtà.
2: La verità è una qualità non della conoscenza, ma del giudizio!!
Ancora una volta questo significa che sono nel vero non quando
conosco che cosa è la mela, o cosa è una casa, ma solo quando dico che la mela
è rossa, se oggettivamente la mela che mi sta di fronte ha come attributo il
colore rosso. E’nel giudizio che i miei concetti di mela e rosso vengono
uniti. Se questi corrispondono alla realtà allora il giudizio sarà vero, se al
contrario le cose non si danno così come io dico allora sarò nel falso.
Emmanuel Fabiani.

 

 

 

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