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E’ possibile fare graduatorie tra culture e civiltà diverse? Il profondo concetto di "Uomo" non ha discriminazioni di Benedetto Maria Fulgione Le polemiche e gli interrogativi che sono nati nel nostro mondo occidentale, improvvisamente e inopinatamente costretto a confrontarsi con uomini e culture di estrazione diversa dalla nostra, ci impongono di affrontare decisamente un concetto che può apparire ed essere equivoco. Cosa intendiamo dire con il termine: cultura. La parola cultura ha due riferimenti di significato che si richiamano reciprocamente e che rendono non sempre chiaro il senso che si vuol dare al termine quando si parla o si scrive. Cultura di per sé vuol dire coltivazione. E si intende coltivazione dell’uomo. La coltivazione delle piante si dice coltura. Coltivazione perseguita e ricercata coscientemente da coloro che si dedicano alla coltivazione della propria o dell’altrui umanità. Come c’è l’agricoltore che coltiva le piante c’è l’uomo di cultura che si dedica alla crescita e alla prosperità dell’uomo. L’uomo di cultura è colui che studia qualche aspetto del sapere umano, che fa scienza, che fa arte o esplicita qualunque altra attività che cura l’uomo, tende a perfezionarlo, a farlo avanzare sulla linea della sua migliore umanità. Si fa cultura quindi nelle scuole, nelle università, nei laboratori scientifici, nelle accademie d’arte, o anche solo interessandosi del sapere per avere una propria visione del mondo.Il secondo significato del termine potrebbe essere espresso in maniera quasi equivalente ma più chiara con la parola civiltà. La civiltà è il risultato di una coltivazione dell’uomo diciamo così spontanea e non diretta in particolare da nessuno incaricato di questo. Essa fa seguito al luogo geografico dove è insediata la comunità umana, al fattore clima, alle risorse economiche che il luogo offre, agli avvenimenti storici che si sono susseguiti nel tempo, alle tradizioni familiari, tribali, religiose, alle possibilità di contatto con altri popoli e ai mille altri fattori che rendono una civiltà diversa dall’altra e un uomo diverso dall’altro. La civiltà più che essere perseguita sempre e coscientemente dai singoli o da tutti gli appartenenti a una data società, è il frutto di una sedimentazione, che si è andata costituendo nel tempo, di esperienze, ragionamenti passati di padre in figlio, di strumenti, materie o tecniche di lavoro trasmessi nella comunità di generazione in generazione, di atteggiamenti psicologici acquisiti di fronte a cose , persone, situazioni date, di gusti, inclinazioni, preferenze, comportamenti che solo parzialmente sono controllati o scelti dal soggetto umano. Tutti questi elementi poi, convergono o si coagulano nell’elezione spontanea di determinati valori che fungono da punti di riferimento comuni al modo di ragionare, di essere e di agire dei singoli e di quella data società. Conseguentemente a tale elezione di valori poi, la data società si dà proprie forme di governo, istituti giuridici e tutte le altre cose che costituiscono una società strutturata. La civiltà di appartenenza non sempre e non totalmente è frutto del volere o dell’indirizzo dato dal singolo alla propria personalità o al complesso del mondo dove egli vive. In realtà si appartiene alla propria civiltà. Per intenderci, diciamo che la civiltà è come un fattore ereditario che si riceve indipendentemente dalla volontà del soggetto e che condiziona perennemente le scelte o le inclinazioni del più avvertito degli uomini. Per quanti sforzi faccia ogni uomo è più o meno condizionato dalla sua civiltà di origine. In questo non è diverso da ogni altra pianta. Il Solopaca, è diverso dal Barolo e dal Chianti perché proviene da un ceppo diverso, da un terreno diverso e da una coltivazione diversa. Coltivazione che deve tenere conto della composizione chimica della terra, del sole, dei venti, dell’esposizione del terreno e di tutti gli altri fattori che condizionano e determinano l’essere dell’uno o dell’altro vitigno. Ecco allora: la cultura non può prescindere, e non deve prescindere dalla civiltà di appartenenza, che è come la propria terra, come il proprio sole, come l’aria che si è respirata appena nati, ma altra è la cultura, altra la civiltà cui si appartiene. Diciamo che la cultura in genere è come lo sviluppo e l’elaborazione cosciente e perseguita liberamente dei valori provenienti dalla propria civiltà. Di per sé quindi, dire cultura l’una e cultura l’altra non è errato, ma comporta confusioni. Appare chiara, allora, la situazione in cui ci siamo venuti a trovare di fronte ai musulmani in questi ultimi decenni ed ora esplosa fragorosamente. Si dice è uno scontro di culture. Certo. Ma più ancora è uno scontro di civiltà. E questo che vuol dire? Vuol dire che le civiltà non sono raffrontabili perché sono costruite su terreni differenti, su esperienze passate differenti, in un clima socio economico differente, in un contesto storico differente, ecc... Chi è in grado di dire cosa sia più giusto o meno giusto per questo o quel risvolto dell’una o dell’altra civiltà formatasi in un contesto che non è quello dell’altra? Quali i valori più giusti? Quali i parametri di civiltà più veri? Dipende dai mille punti di vista da cui si può guardare la civiltà e in definitiva l’uomo. Ecco perché si dice che non si può giudicare, o condannare o avversare una o altra civiltà senza fare ingiustizia. Esistono parametri assoluti di verità per quanto riguarda lo sviluppo e la crescita dell’uomo se non la sua stessa umanità in relazione al suo proprio mondo di appartenenza? Uomo uno e uomo l’altro e uomo l’altro ancora. Appartenenti a culture diverse e, soprattutto, a civiltà diverse. Non omologabili e al di là di ogni impossibile giudizio. L’uomo degli spazi sconfinati e assolati del deserto non è l’uomo delle pianure ugualmente sconfinate ma ghiacciate del Nord . Ci dobbiamo convincere di questo: non è uomo vero colui che abita in Occidente, o nella raffinata Europa del terzo millennio e meno uomo o non vero uomo colui che abita in Africa, Asia o dove che sia. Il vero uomo abita in Occidente ed in Oriente, al Nord e al Sud del mondo e appartiene indifferentemente a questa o a quella civiltà e cultura. Dobbiamo assolutamente ampliare il nostro concetto di uomo e, soprattutto, dobbiamo imparare a sentire che quando incontriamo qualcuno di appartenenza culturale e civile diversa dalla nostra ci troviamo dinanzi ad un vero uomo come noi. Non ci resta che il dialogo e una lunga reciproca pazienza. Benedetto Maria Fulgione. |
2001 2000 |