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IL TEMPO DELLO SPAZIO
di Francesco Giordano
L’entusiasmo
dell’inizio di questa mia collaborazione esige una pausa preliminare
nella quale io possa consentirvi la comprensione di un connotato che ha
sempre accompagnato l’espressione del mio pensiero di architetto: il
prescindere da ogni riferimento ideologico prelevando dal mio io
interiore solo quei valori che sento in discussione nel dibattito.
Questa premessa scaturisce dalla coscienza di non poter negare la
verità di me stesso tanto ai lettori cattolici quanto a tutti quelli
che non si riconoscono in quel sistema di valori. La verità per me non
consiste nel rivelarvi quali sono le intimità del mio credere o non
credere, quanto nella autonomia del mio pensiero da tale questione, che
per tanto rifugge da ogni forma di utilizzo ideologico da parte di
quanti non riescono a dismettere il diaframma che contamina la
limpidezza del pensiero scritto aggiungendo pregiudiziali e presunte
identità di appartenenza in un senso o nell’altro. Diversamente si
negherebbe all’architettura la idoneità ad essere voce degli uomini
in quanto tali, in nome dell’universalità e dell’assolutezza di
esigenze fisiche e metafisiche che l’uomo conosce da quando è al
mondo, e che oggi più che mai chiedono di essere accordate all’architettura
come sua legittima e primigenia vocazione.
"...la
vita dello spirito, come l’arte del narrare, era fatta, doveva
saperlo, di sentieri intrapresi e poi ripersi, d’itinerari non
preordinati e che se per caso conducevano in qualche posto, lo facevano
a prezzo di lunghi sviamenti. Solo che l’arte trasceglie e concentra :
e come alla fine ha di norma per posta di conferire un assetto e magari
un senso all’incongruo, si rassegna a trascurare i vagabondaggi della
mente e i mille erratici trasalimenti che la sollecitano. Pure, chi
avesse voluto studiarsi qualcuna delle sue pagine manoscritte, vi
avrebbe riconosciuto, dai pentimenti, dalle cancellature, dagli indugi
intorno ad una frase che non si lasciava completare, dai vocaboli
annotati al bordo del foglio a mo’ di segnali inutilizzati o
utilizzati solo più tardi, la traccia dei suoi lunghi appostamenti per
sorprendere la rapida scia di un’idea, delle gallerie scavate per
offrire una nicchia semantica al balenio delle sue intuizioni, delle sue
sofferte vittorie espressive, dei suoi molti naufragi di fronte alle
cose che non si lasciavano scrivere. Non c’era verso: di troppi
pensieri scorgiamo solo la traiettoria, e colmare la distanza che li
separa dalle parole è come gettare esili ponti su fiumi che scorrono
via"(M. Pomilio).
Il problema
della figurazione nelle arti, del segno in architettura, che oggi si
pone con imprescindibile urgenza, nasce dalla natura del primo compiuto
modello ontologico e spaziale elaborato dall’uomo: lo spazio
euclideo o spazio geometrico. Questo modello ha da sempre
incarnato un’ideale di razionalità ed oggettività, non solo per le
istanze della sua formulazione ma, più gravemente, perché in esso si
è voluto vedere una consapevolezza del pensiero umano senza accorgersi
che esso costituisce innanzitutto un modello irrazionale di sicurezza
ontologica. L’incapacità di accettare la complessità della
mutevolezza del reale , il suo carattere di accidente, ha dettato il
bisogno, tutt’altro che razionale, di trascendere il sensibile nella
formulazione di modelli che permettano all’uomo di non smarrirsi ,
quindi, di accettarsi in quanto soggetto capace di relazionarsi all’universo
e di avere nozione non tanto della sua realtà effettiva quanto dell’immagine
che della realtà il modello offre. Accanto alle più note conquiste
scientifiche, questa formulazione, tuttavia, ha separato la coscienza
epocale dalla percezione sensibile dell’essere nel mondo a favore del
pulsionale bisogno di verità realizzabile solo nel cristallo dell’astrazione.Ovviamente
la realtà ontologica dell’uomo è tutt’altro che incontaminata
dalla mutevolezza, e lo iato tra pensiero e reale, tra eideia e percezione
ha prodotto una soggezione di fronte alle esigenze dell’unico canale
di contatto plausibile tra la figurazione interiore e il reale: l’empatia.
Sotto questa luce la figura dell’uomo-artista poliedrico può essere
letta come necessità di possedere la totalità dell’essere; quanto il
rinascimento e l’accademia settecentesca la necessità di esprimere un
ordine cosmico conoscibile ;che tuttavia non è conosciuto ma supposto.
Semiologicamente la codificazione dei linguaggi espressivi diventa lo
strumento per tramandare in senso universale quei contenuti teoretici.
Oggi la dissoluzione di un rapporto codificato tra forma ed idea più
ancora che tra arte e società non costituisce una condizione migliore
poiché il bisogno atavico di trasferire nel campo dell'esistere le
istanze che caratterizzano l'essere dell’ uomo, le realtà e
caratterizzazioni fisiche o metafisiche del mondo in quanto dato, la
condizione di un contesto che permane indipendentemente da un opera che
ce la sottolinei, è privato del momento in cui queste istanze diventano
racconto partecipando della continuità del tempo. Questo è un momento
fondamentale del produrre, irriducibile quanto l’idea di superare il
sensibile con l’astrazione di un modello. In altre parole il bisogno
di rappresentazione è soddisfatto mentre quello di trasmissione rimane
inespresso in quanto il sistema dei codici ha assunto altre forme e
gradi di complessità non unificabili ed universalizzabili.. È perciò
importante riconoscere che lo spazio architettonico, in quanto un
micro-contesto nella vita di un uomo, è capace di utilizzare i canali
dell’empatia e della percezione sensibile che restituiscono una
coscienza del reale non in termini di modello ma nei termini complessi
dell’ esperienza. Ciò è possibile solo se il rapporto tra pensiero
ed espressione contingente diventa dinamico anziché armonico:
così che il contenuto significante del linguaggio sia il tempo.
In architettura il problema è leggibile nel rapporto tra forma segno e
significato. In questa ottica le conquiste dello spazio dinamico
utilizzato dai maestri della architettura moderna sono una lezione
preziosissima per il bisogno di una architettura "narrante" e
quindi dinamica; che riesca ad sostituire nel rapporto tra architettura
ed uomo l'oggetto con il soggetto. Non manufatti
"chiusi", ma architetture che si predispongono all’uomo, in
cui significati si liberano e si rivelano sincronicamente al momento
della fruizione e non siano già tutti dati. L’adozione di una cifra
stilistica personale può essere compatibile con questo discorso e non
risultare univoca e penalizzante così come l’inconfondibile mano di
un maestro non ci impedisce di avere emozioni intimamente personali.
Carlo Scarpa
doveva aver capito che l’estrema integrazione nell’annullamento
delle parti genera rappresentazione che è anche apparenza e ciò ha per
effetto il capovolgimento dell’integrazione stessa: l’unità invece
delle sue composizioni è l’evidenza di una strutturazione di parti
leggibili prima nella loro identità sintattica e perciò riconoscibili
nelle loro relazioni. Ne consegue che pur nella completezza dell’immagine
d’insieme le architetture di S. conservano esperienze nascoste,
livelli molteplici di lettura, frammentazioni che consentono di tenere
un piede sulla solidità del linguaggio tettonico e di incespicare con l’altro
nelle specificità semantiche, nelle contingenze del preesistente: una
storia di forme, di tensioni, di dinamiche e forze, di tempi attraverso
i quali gli elementi quasi si muovono a comporsi tra di loro, lasciando
il tempo del gioco personale, della riflessione intima, del racconto: ad
ognuno di noi … donandoci un nuovo immaginario di poesia… un giorno
guardando un quadro ho immaginato per esso una cornice, un oggetto che
lo contenesse ma che fosse disposto ai suoi movimenti, ai suoi
slittamenti; tanto grande e solo in mezzo ad una grande sala da poter
attraversare la cornice stessa con l’onirica suggestione di entrare
quasi nella sua tela.
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Bibliografia:
C. De Sessa, Capire lo spazio architettonico/studi
di ermeneutica spaziale, Officina Edizioni.
G. Durand, Le strutture antropologiche dell’immaginario,
edizioni Dedalo.
G. De Fiore, La figurazione deello spazio
architettonico, Vitali e Ghianda.
W.Worringer, Astrazione ed Empatia, Einaudi
Carlo Scarpa,Fondazione Querini Stampalia, ingresso
alla sala conferenze,1973.
FrancescoGiordano,
"cornice",1999.
(clic on)
Francesco Giordano,
"cornice",
dettaglio.
Esercizio linguistico |