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COMUNITÀ CATTOLICA CHIESA VIVA L'UMILTÀ Ti
benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché
hai tenute nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e
le hai rivelate ai piccoli
L'anima
mia magnifica il Signore E
il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, Perché
ha guardato l'umiltà della sua serva. Tratto
da Filotea
di San Francesco di Sales L'UMILTÀ ESTERIORE Disse il profeta Eliseo ad una povera vedova: Prendi tutti i vasi vuoti che hai e riempili d'olio. Per ricevere la grazia di Dio nei nostri cuori, dobbiamo vuotarli di noi stessi. Il gheppio, stridendo e fissando gli uccelli da preda, li mette in fuga per una forza misteriosa; per questo è il preferito delle colombe, che vicino a lui si sentono sicure. Allo stesso modo l'umiltà respinge Satana e conserva in noi le grazie e i doni dello Spirito Santo. È per questo che i Santi, e in modo articolare il Re dei Santi e sua Madre, onorano e amano l'umiltà più di tutte le altre virtù morali. Sono
diverse le ragioni per le quali dobbiamo considerare vana la gloria che ci viene
attribuita: o perché non è in noi, o anche perché, pur essendo in noi, non
è nostra o ancora perché, pur essendo in noi ed essendo nostra, non è
meritata. La nobiltà della stirpe, il favore dei potenti, la popolarità,
sono glorie che non hanno la radice in noi, ma o nei nostri predecessori o
nella stima degli altri. C’è gente che va superba e altera perché cavalca un
bel destriero, perché ha un bel pennacchio sul cappello, perché indossa
vestiti meravigliosi. Non ti pare che quella gente sia un po’ matta? Se
proprio vogliamo parlare di gloria, spetta al cavallo, allo struzzo e al sarto.
Ci vuole proprio un bel coraggio per prendere in prestito un po’ di stima da
un cavallo, da una piuma, da una piega dell'abito! Altri
si sentono importanti e si danno delle arie per un bel paio di baffi all'insù,
per una barba ben curata, per i capelli ricciuti, per le mani delicate; perché
sanno danzare, giocare, cantate; e non ti pare che anche questi abbiano una
rotellina fuori posto? Vorrebbero aumentare il proprio pregio e la propria
reputazione con cose frivole e insulse! Ci
sono poi quelli che, per quel poco che sanno, esigono onore e rispetto dal
mondo intero; tutti dovrebbero, secondo loro, precipitarsi a imparare
qualcosina alla loro scuola. Loro si sentono maestri, la gente li considera
soltanto dei pedanti. Ci sono anche quelli che sono convinti di essere molto
belli e credono che tutti li corteggino. Tutto
ciò è tremendamente vuoto, sciocco e senza senso; la gloria che proviene da «
valori » così insignificanti deve essere ritenuta vana sciocca e frivola. Il
bene vero si conosce come il vero balsamo: la prova della genuinità del
balsamo si fa distillandolo nell'acqua; se va a fondo e rimane sommerso è
valutato finissimo e prezioso. Allo stesso modo per sapere se un uomo è
veramente saggio, sapiente, generoso, nobile, bisogna vedere se le sue doti
tendono all'umiltà alla modestia al nascondimento: in tal caso si tratta di
doti genuine; ma se galleggiano e si mettono in mostra sono false e tanto
maggiori saranno gli sforzi che faranno per farsi notare, tanto più sarà
evidente che non sono doti autentiche. Le
perle nate e cresciute all'aperto, al vento e al rumore dei tuoni, hanno
soltanto l'involucro di perle, dentro sono vuote. Allo stesso modo le virtù e
le belle qualità degli nomini,
nate e cresciute nell'orgoglio, nell'esaltazione di sé e nella vanità, hanno
soltanto l'apparenza del bene, senza linfa, senza midollo e senza solidità. Gli
onori, la stirpe, le dignità sono come lo zafferano; più lo calpesti e più si
rinforza e rende bene. Essere belli, quando ci si tiene, perde il suo pregio: la
bellezza per piacere deve essere disinvolta; la scienza ci rende ridicoli quando
ci gonfia e degenera in pedanteria.
Se siamo puntigliosi per la stirpe, per il rango, per i titoli, offriamo
le nostre qualità all'esame sindacatore degli altri, alla loro inchiesta su di
noi, all'indagine e così ci ritroveremo le nostre credute qualità svuotate e
scostanti; sì, perché l'onore che è bello quand'è ricevuto in dono,
diventa dozzinale e di nessun pregio quando è preteso, cercato e mendicato. Quando
il pavone fa la ruota per farsi
notare, drizzando le sue belle piume, scopre tutto il resto e fa vedete da tutte
le parti ciò che ha di meno bello; i fiori sono belli quando sono piantati in
tetra; una volta staccati appassiscono. Il profumo della mandragola può
esserci di aiuto per capire: coloro che la odorano da lontano e di passaggio, ne
rimangono conquistati; ma coloro che la odorano da vicino e con insistenza ne
rimangono intontiti o addirittura ammalati; lo stesso avviene per gli onori che
danno una dolce consolazione a chi li gode da lontano e solo leggermente, senza
spenderci troppo e diventate ansioso; ma chi ci si attacca e se ne ciba,
merita di essere biasimato e ripreso. La
ricerca e l'amore della virtù ci rende già un po’ virtuosi;
la ricerca e l'amore degli onori invece, ci tende soltanto meritevoli di
disprezzo e di rimprovero. Le
persone serie non perdono tempo nell'inutile groviglio di gerarchie, di onori,
di saluti; hanno altro da fare! Questo è un terreno per il perditempo. Chi può
avere perle non va alla ricerca di conchiglie: coloro che tendono alla virtù,
non si agitano alla caccia di onori. Ognuno
ha diritto di rimanere nel proprio rango senza mancare di umiltà, a condizione
che ciò avvenga con naturalezza e senza contese. Mi sembra che si possa fare un paragone con quelli
che tornano dal Perù i quali, oltre all'oro e all'argento, portano con sé
anche scimmie e pappagalli; costano poco e non pesano molto per il carico
della nave; così è di coloro che tendono alla virtù senza per questo lasciare
il loro rango e gli onori inerenti; a condizione che ciò non sottragga loro
troppo tempo e troppa attenzione e
che sia senza gravarsi di dubbi, d'inquietudine, di dispute e di contese.
Tuttavia non parlo di coloro la cui dignità è in rapporto con una carica
pubblica e nemmeno di alcune situazioni particolari nelle quali le conseguenze
potrebbero incidere negativamente; in tali casi ognuno deve rimanere al posto
che gli compete con prudenza e
discrezione, accompagnate sempre da carità e cortesia. L'UMILTÀ INTERIORE Tu, Filotea, mi chiedi di condurti avanti nell'umiltà: quello che ho detto finora riguarda più il campo della saggezza che quello dell'umiltà; quindi andiamo avanti. Molti non vogliono pensare alle grazie che Dio ha loro dato personalmente, non ne hanno il coraggio perché temono di cadere nella vanagloria e nel vuoto compiacimento. E qui si sbagliano: S. Tommaso d'Aquino dice che il mezzo per giungere all'amore di Dio è il pensiero dei suoi benefici; meglio li conosciamo e più amiamo Dio. Direi proprio che niente può umiliarci di fronte alla misericordia di Dio quanto i suoi benefici, e niente può umiliarci di fronte alla sua giustizia quanto le nostre offese. Pensiamo a quello che Egli ha fatto per noi e a quello che noi abbiamo fatto contro di Lui; e, come dobbiamo pensate ai nostri peccati più piccoli, dobbiamo pensate anche alle sue grazie più piccole. Non dobbiamo temere che il conoscere i doni che ha posto in noi ci gonfi; è sufficiente che abbiamo sempre presente questa verità: ciò che di buono c'è In noi non viene da noi. Rifletti: i muli, animali pesanti e maleodoranti, non cessano di essere tali solo perché sono carichi di mobili preziosi e profumati appartenenti al principe. Che cosa abbiamo di buono che non ci sia stato dato? E se ci è stato dato, perché insuperbircene? È proprio il contrario: la seria riflessione sui doni ricevuti ci rende umili; la conoscenza genera la riconoscenza. Ma se poi, vedendo i doni di Dio in noi, venisse a solleticarci in qualche modo la vanità, c'è sempre pronto un rimedio infallibile: pensiamo alla nostra ingratitudine, alla nostra imperfezione, alla nostra miseria: se pensiamo ai guai che abbiamo combinato quando Dio non era con noi, scopriremo subito che quanto di buono riusciamo ad imbastire con Lui, non è nel nostro stile e del nostro sacco. Ne proveremo gioia sincera perché il bene c’è, ma ne daremo il merito a Dio perché Lui solo ne è l'autore. La Santa Vergine dice che Dio opera in lei meraviglie, e lo fa soltanto per umiliarsi e dare gloria a Dio; la mia anima magnifica il Signore, dice, perché ha fatto in me cose grandi. Spesso diciamo che non siamo nulla, anzi che siamo la miseria in persona, la spazzatura del mondo; ma resteremmo molto male se ci prendessero alla lettera e se ci considerassero in pubblico secondo quanto diciamo. È proprio il contrario: fingiamo di fuggire e nasconderci solo perché ci inseguano e ci cerchino; dimostriamo di voler essere gli ultimi, seduti proprio all'ultimo angolino della tavola, ma soltanto per passare con grande onore a capotavola. L'umiltà vera non finge di essere umile, a fatica dice parole di umiltà; perché è suo intendimento non solo nascondere le altre virtù, ma soprattutto vorrebbe riuscite a nascondere se stessa; se le fosse lecito mentire, o addirittura scandalizzare il prossimo, prenderebbe atteggiamenti arroganti e superbi, per potercisi nascondere e vivere completamente ignorata e nascosta. Eccoti il mio parere, Filotea: o evitiamo di dire parole di umiltà, oppure diciamole con profonda convinzione, profondamente rispondente alle parole. Non abbassiamo gli occhi senza umiliare il cuore; non giochiamo a fare gli ultimi se non intendiamo esserlo per davvero. Questa è la mia regola generale e non faccio alcuna eccezione; aggiungo soltanto questo: la buona educazione esige qualche volta che cediamo la precedenza a persone che certamente non l'accetteranno; questa non è doppiezza o falsa umiltà: in tal caso l'offerta della precedenza è un segno d'onore, e poiché non ci è concesso di tributario a chi di dovere secondo il merito non è cosa fatta male darne almeno un piccolo segno. Questo vale anche per alcune espressioni di onore e di rispetto che, strettamente prese, non sembrano rispecchiare la verità: ma lo sono abbastanza se colui che le pronuncia ha seriamente l'intenzione di onorare e dimostrare rispetto a colui cui sono indirizzate. Anche se le parole hanno un significato che va oltre la nostra intenzione, non facciamo nulla di male a servircene quando l'uso è corrente. Personalmente preferirei che le parole fossero rispondenti, il più fedelmente possibile, ai nostri pensieri, e questo per poter seguire sempre e dappertutto la linea della semplicità e della spontaneità affettuosa. L'uomo
sinceramente umile sarebbe più contento se fosse un altro, anziché lui stesso,
a dire di lui che è un miserabile, un nulla, un buono a nulla
o, perlomeno, se sa che si dice, non si oppone, ma approva di cuore.
Perché, se è vero che ne è convinto, è naturale che sia contento di vedere
condivisa la propria opinione. Molti
affermano che vogliono lasciare l'orazione mentale ai perfetti perché essi non
ne sono degni; altri protestano che non hanno il coraggio di fare spesso la
comunione, perché non si sentono sufficientemente purificati; altri ancora
dicono di temere di essere causa di disonore per la devozione se ci si
impegnano, a causa della loro enorme miseria e fragilità altri rifuggano dal mettere i loro talenti al
servizio di Dio e del prossimo perché, dicono, conoscono la loro debolezza
e potrebbero inorgoglirsi vedendosi strumenti di qualche cosa di buono;
temono di consumarsi facendo luce agli altri. Tutte queste preoccupazioni sono
soltanto inganni, una sorta di umiltà non soltanto falsa, ma perversa, per
mezzo della quale, con molta sottigliezza e senza dirlo, si critica l’operato
di Dio, o almeno si tenta di coprire di umiltà l’orgoglio della propria
opinione, della propria indole, della propria pigrizia. Domanda
a Dio un segno dall'alto, dal cielo o dal basso, dal profondo del mare, dice il
Profeta all'infelice Acaz, che risponde: No, non lo domanderò e non tenterò
il Signore! È veramente perverso. Ostenta un grande sentimento di rispetto
verso Dio e, colorando d'umiltà la sua presunzione, rifiuta la grazia di cui
Dio vuole dargli un segno. Non pensa che rifiutare i doni che Dio vuole darci è
orgoglio! Dobbiamo ricevere i doni che Dio ci manda; l'umiltà è obbedire e
seguire più da vicino i suoi disegni. Dio vuole che noi siamo perfetti e
unendoci a Lui esige che lo seguiamo da vicino il più possibile. Il superbo,
che confida solo in se stesso, ha infinite ragioni per non porre mano ad alcuna
iniziativa: ma l’umile trova tutto il coraggio nella sua incapacità: più si
sente debole e più diventa intraprendente, perché tutta la sua fiducia è
riposta in Dio, che si compiace di manifestare la sua potenza nella nostra
debolezza e far trionfare la sua misericordia basandola sulla nostra miseria. Molto
umilmente e santamente dobbiamo tentare tutto quello che è giudicato opportuno
per il nostro progresso spirituale da coloro che hanno la responsabilità della
nostra anima. Pensate
di sapere ciò che non si sa, è stupidità manifesta; voler fare il sapiente in
un campo in cui sappiamo benissimo di essere ignoranti, è una vanità
insopportabile; per conto mio non vorrei fare il sapiente nemmeno in quello che
so, ma nemmeno atteggiarmi a ignorante. Quando
lo richiede la carità, bisogna dare al prossimo, con franchezza e dolcezza
allo stesso tempo, non soltanto guanto gli è utile all'istruzione, ma anche
ciò che gli fa piacere. L'umiltà nasconde e copre le virtù per conservarle,
le lascia vedere quando lo esige la carità, per accrescerle, svilupparle e
perfezionarle. L’umiltà
richiama alla mente quell'albero delle isole di Tilo che di notte chiude e
protegge i suoi bei fiori di colore incarnato e li dischiude soltanto quando si
alza il sole, sicché la gente del paese dice che questo fiore di notte dorme.
Così fa l'umiltà che copre e nasconde tutte le virtù e le perfezioni umane e
le lascia apparire solo per il servizio della carità, perché è una virtù del
cielo, non della tetra, divina, non umana: e il vero sole delle virtù sulle
quali deve sempre brillare. Si può concludere che le forme di umiltà che
portano pregiudizio alla carità, sono certamente false. Non vorrei atteggiarmi a matto, ma nemmeno a saggio:
perché se l'umiltà mi impedisce di fare il saggio, la semplicità e la
franchezza mi impediscono di fare il matto; se è vero che la vanità è
contraria all'umiltà, è anche vero che l'artificio, l'affettazione e la
finzione sono contrarie alla franchezza ed alla semplicità. E
anche se qualche celebre servitore di Dio ha fatto il matto per essere
schernito dal mondo, ammiriamolo pure, ma non imitiamolo. Per lasciarsi andare
a quegli eccessi quei Servi di. Dio hanno avuto motivi personali fuori
dell'ordinario che non ci autorizzano a trarre conclusioni per noi. Davide,
saltando e danzando più di quanto sembrasse opportuno, davanti all'Arca
dell'alleanza, non voleva fare il matto; ma, molto semplicemente e senza
artifici, con quelle danze voleva dimostrate la gioia straordinaria di cui
traboccava il suo cuore. Quando
sua moglie Micol glielo rimproverò come una follia, non fece caso
all'umiliazione, ma continuò a manifestare con naturale schiettezza la sua
gioia e diede prova di saper accettare un po’ di disprezzo per il suo Dio. Per
questo io ti dico che, se a seguito di atti di una vera e schietta devozione,
sarai stimata persona di poco conto, degna di disprezzo o pazza, l'umiltà ti
farà gioire per quel fortunato attacco che non ha le sue ragioni in te, ma in
coloro che ti attaccano. L'UMILTÀ CI FA AMARE L'ABIEZIONE Procedo
oltre, Filotea, e ti dico di amare l'abiezione sempre e in tutto. Ma, mi
chiederai, che cosa vuol dire amare la propria abiezione? In latino abiezione
vuol dire umiltà e umiltà vuoi dire
abiezione; di modo che, quando la Madonna nel suo Cantico dice che, poiché il
Signore ha visto l'umiltà della sua serva, tutte le generazioni la chiameranno
beata, vuol dire che il Signore, con bontà, ha guardato la sua abiezione, la
sua meschinità, la sua bassezza, per colmarla di grazia e di favori. C'è
tuttavia differenza tra la virtù dell'umiltà e l'abiezione; l'abiezione è
la pochezza la bassezza e la meschinità che alberga in noi, senza che ci
pensiamo; la virtù dell'umiltà invece è la conoscenza veritiera e
l'ammissione della nostra abiezione. L’apice
dell'umiltà così intesa consiste non soltanto nel riconoscere la nostra
abiezione, ma nell'amarla ed esserne contenti; non per mancanza di coraggio o di
generosità, ma per esaltare maggiormente la Maestà divina e dare al prossimo una stima maggiore che a
noi stessi. Ti incoraggio a questo e, per essere più esplicito, ti dirò che,
tra i mali che ci affliggono, alcuni sono spregevoli, altri onorati: a quelli
onorati molti si adattano, ma nessuno vuol saperne di quelli spregevoli.
Prendi, per esempio, un devoto eremita, coperto di cenci e tremante dal freddo:
tutti onoreranno il suo abito a brandelli e proveranno compassione per la sua
sofferenza; ma se un povero artigiano, un povero galantuomo o una povera ragazza
si trovano nelle stesse condizioni, verranno
coperti di disprezzo, derisi e la loro povertà sarà spregevole. Se
un Religioso accetta con devozione un duro richiamo del superiore, o un figlio
dal padre, tutti chiameranno quel comportamento mortificazione, obbedienza,
saggezza; se un cavaliere o una dama dovessero subire, per amore di Dio, la
stessa cosa da parte di qualcuno, di qualunque cosa si tratti, tutti la
chiameranno codardia o vigliaccheria: ecco un altro male spregevole. Poni
il caso che uno abbia un tumore al braccio e un altro al volto:
il primo soffre soltanto il male, ma il secondo, con il male, si trova il
disprezzo, l'isolamento e l'abiezione. Io
ti dico che non soltanto devi amare il male, il che è opera della virtù della
pazienza; tu devi amare anche l'abiezione, e questo è opera dell'umiltà. Ci
sono poi delle virtù disprezzate
e delle virtù onorate: la pazienza, la dolcezza, la semplicità e la stessa
umiltà, per i mondani, sono virtù vili e da disprezzare; per contro stimano
molto la prudenza, il valore, la liberalità. Ci
sono addirittura atti della stessa virtù che a volte sono disprezzati e a volte
onorati; prendi, ad esempio, l'elemosina o il perdono delle offese; sono
entrambi atti di carità: la prima è onorata da tutti, il secondo è disprezzato
dal mondo. Un giovanotto o una ragazza che non si lasciano trascinare ai
disordini di una brigata dissoluta nel parlare, nel giocare, nel ballare, nel
bere, nel vestire come loro, saranno scherniti e criticati e il loro riserbo sarà
chiamato bigottismo o esibizionismo. Amare queste conseguenze vuol dire amare
la propria abiezione. Passiamo
a un altro campo: la visita agli ammalati. Se ti mandano dal più reietto
secondo il mondo, per te sarà un'abiezione; per questo l'amerai. Se ti mandano
da gente bene sarà un'abiezione secondo lo spirito, perché il merito e la virtù
saranno minori; amerai anche quella abiezione. Se si cade nel bel mezzo della
strada, oltre al male, ci trovi la vergogna; anche questa va amata. Ci sono
alcune colpe che non comportano altro male all’infuori dell'abiezione; l'umiltà
non esige che le commettiamo apposta, ma, che una volta commesse, non ce ne
preoccupiamo. Si tratta di certe sciocchezze, mancanze di educazione, o
sbadataggini, che vanno evitate finché si è in tempo, per comportarsi
educatamente e con prudenza: ma una volta che ci siamo caduti, bisogna accettare
l'abiezione che ne consegue ed accettarla di cuore per amore dell'umiltà. Ma
vado oltre: se per collera o
mancanza di controllo, mi sono lasciata andare a parole indecorose o offensive
di Dio e del prossimo, me ne pentirò sinceramente e sarà profondamente
dispiaciuta per l'offesa che cercherò di riparare meglio che potrò; ma non
lascerà passare l'occasione per accettare volentieri l'abiezione e il disprezzo
che ricadranno su di me. Se fosse possibile separare le due cose, respingerei
con forza il peccato e terrei umilmente l'abiezione. Ma
pur amando l'abiezione che deriva dal male, non bisogna arrendersi alla
fatalità del male che ne è la causa; bisogna correre ai ripari. Occorre
farlo in modo efficace e con cura, soprattutto poi, quando il male è soltanto
una conseguenza. Se
sono afflitta da un male spregevole al volto, farò di tutto per guarire,
senza far nulla perché sia dimenticata l'abiezione che me ne è venuta. Se ho
commesso qualche cosa che non offende alcuno, non cercherò scuse, perché, pur
trattandosi di un difetto, non è permanente: se me ne scusassi sarebbe solo per
evitare l'abiezione che me ne viene. Questo l'umiltà non lo permette. Ma, se
per disattenzione o leggerezza, ho
offeso o scandalizzato qualcuno, riparerò l'offesa con qualche scusa che
risponda a verità; perché in tal caso, il male ha radici e la canti esige che
lo sradichi. Qualche
volta capita anche che la carità esiga che poniamo rimedio all'abiezione per il
bene del prossimo, al quale è necessaria la nostra buona reputazione; in tal
caso pur togliendo l'abiezione dagli occhi del prossimo, per impedirne lo
scandalo, dobbiamo rinchiuderla e nasconderla nel nostro cuore perché ne sia
edificato. Tu,
Filotea, vuoi sapere quali sono le abiezioni migliori:
ti dico subito, e senza esitazione, che quelle più utili all'anima e
più gradite a Dio, sono quelle che incontriamo per caso o che sono legate alla
nostra condizione; la ragione è che non le abbiamo scelte noi, ma le abbiamo
ricevute come Dio ce le ha mandate. E Lui sa scegliere sempre meglio di noi. Se
fosse necessario scegliere, ricordati che le più grandi sono le migliori; e sai
quali sono le più grandi? quelle maggiormente contrarie alle nostre inclinazioni,
sempre, beninteso, in linea con la nostra vocazione. Te lo dico una volta per
sempre: la nostra scelta e la nostra preferenza rovina o almeno diminuisce,
tutte le nostre virtù. Chi ci farà la grazia di poter dire con il grande Re
Davide: «Ho scelto di essere abietto nella casa del Signore, piuttosto che
abitare nelle tende dei peccatori »? Il
solo che lo può, cara Filotea, è Colui che per innalzare noi, è vissuto e
morto come obbrobrio degli uomini e abiezione del popolo. Ti ho detto molte cose che potranno sembrarti dure
quando ci rifletterai sopra; ma, credimi, risulteranno più dolci dello zucchero
e del miele, quando le metterai in atto. COME VA CONSERVATO IL BUON NOME PRATICANDO L'UMILTÀ Per
una virtù ordinaria non ci sì scomoda a lodare, ad onorare, a dare gloria a
chi la possiede; questo si fa soltanto quando la virtù è eccellente. Con la lode, infatti, noi vogliamo portare gli altri
ad avere stima per le ottime qualità di qualcuno; con l'onore facciamo sapere
a tutti che quella stima noi l'abbiamo; la gloria, poi, a mio parere, è il
lustro della reputazione che scaturisce dalla somma di molte lodi e onori:
possiamo dire che le lodi e gli onori sono come pietre preziose, dalla
composizione delle quali, come un gioiello, nasce la gloria. L'umiltà
non accetta che noi pensiamo di essere migliori e che abbiamo diritto di
essere anteposti agli altri; non permette nemmeno che andiamo alla caccia di
lodi, di onori, di gloria, cose che devono essere tributate soltanto
all'ottimo. Accetta
il consiglio del Saggio che dice di aver cura
del nostro buon nome, perché
il buon nome è la stima, non dell'ottimo, ma soltanto di una semplice e
ordinaria prudenza e onestà di vita, che l'umiltà non ci impedisce di
riconoscere in noi stessi; di conseguenza non ci vieta di desiderarne il
relativo buon nome. È
vero che l'umiltà disprezzerebbe il buon nome se la carità non ne avesse
bisogno; ma visto che è uno dei fondamenti della società umana. e che, senza
di essa, noi siamo addirittura dannosi per la Lente e non soltanto inutili, a
motivo dello scandalo che daremmo; la carità richiede e l'umiltà di buo grado
accetta, che noi desideriamo e conserviamo con cura il buon nome. Prendi
a paragone le foglie degli alberi che, di per sé, non valgono gran che, e
tuttavia tendono un grande servizio, non solo nel dare un bell'aspetto
all'albero, ma anche nel proteggere i frutti finché sono teneri; è la stessa
cosa per il buon nome che, per sé, non è da desiderare fortemente; tuttavia è
molto utile, non soltanto come abbellimento della vita, ma anche per proteggere
le nostre virtù, in modo particolare quelle ancora tenere e deboli. L'obbligo
di conservare il buon nome e di essere realmente come la gente ci stima, esige
che abbiamo un coraggio generoso sostenuto da una forte e dolce violenza. Conserviamo
le nostre virtù, cara Filotea, perché sono gradite a Dio, grande e sommo fine
di tutte le nostre azioni; ma allo stesso modo che coloro i quali vogliono
conservare i frutti, non si accontentano di fare marmellate, ma li sigillano in vasi adatti alla
conservazione. così, pur rimanendo l'amore di Dio la principale garanzia per le
nostre virtù, possiamo servirci, a tale scopo, anche del buon nome e con
utilità. Tuttavia
nella difesa del nostro buon nome non dobbiamo essere troppo zelanti, esatti e
puntigliosi: quelli che sono delicati e sensibili in modo esagerato per tutto ciò
che concerne In loro reputazione, assomigliano a quelli che ingurgitano
medicine per il minimo disturbo: costoro, intatti, volendo proteggere la loro
salute la rovinano del tutto; così, chi vuole, con troppa premura, proteggere
il proprio buon nome, lo perde del tutto, e sai perché? La tenerezza verso se
stessi rende strani, ribelli, insopportabili, vasto ideale per i maldicenti. Non
dar peso e disprezzare l'ingiuria e la calunnia, ordinariamente è un rimedio
molto più efficace del risentimento, della contestazione, della vendetta: il disprezzo le rende evanescenti; chi se ne inquieta, invece
dà l'impressione di confessare. I
coccodrilli fanno del male soltanto a coloro che ne hanno paura; la maldicenza
fa del male solo a chi se ne preoccupa. Il
timore eccessivo di perdere il buon nome dimostra mancanza di fiducia nel suo
fondamento. che è la vita onesta. Le città dotate di ponti di legno su grandi
fiumi, ad ogni alluvione temono di vederli travolti; quelle invece che sono
dotate di ponti in pietra, temono soltanto in caso di piene eccezionali.
Similmente coloro che hanno un anima cristiana con solide basi, non fanno
abitualmente caso alle alluvioni delle lingue malefiche
coloro invece che si sentono deboli, temono di essere tra volti ad ogni
occasione. Chi
vuol godere di un buon nome nei confronti di tutti, lo perde proprio nei
confronti di tutti; merita di perdere l'onore chi vuole mendicarlo da loro che
il vizio ha reso indiscutibilmente infami e senza onore. Il
buon nome è l'insegna che indica dove alloggia la virtù; è evidente che la
virtù viene prima. Ecco perché, se ti dicono: sei un ipocrita perché ti sei
incamminata nella devozione; se ti considerano un uomo senza carattere perché
hai perdonato un'ingiuria, lascia correre, non farci caso. Per prima cosa abbi
presente che tali giudizi sono emessi da persone vuote e superficiali;
quand'anche poi il buon nome si perdesse davvero, l'importante è non perdere
la virtù e non deviare dal suo cammino mi pare logico che si dia la preferenza
ai frutti sulle foglie, ossia ai beni spirituali interiori su quelli esteriori. Va bene essere gelosi
del proprio buon nome, ma non idolatri! È vero che non bisogna scandalizzare
l'occhio dei buoni, ma nemmeno si deve contentare quello dei cattivi. La barba
è un ornamento adatto al volto dell'uomo e i capelli a quello della donna:
se si strappano alla radice i peli dal mento o i capelli dalla testa,
probabilmente non ti spunteranno più; ma se li tagli soltanto, o magari anche
li radi, rispunteranno molto presto, più forti e più folti. Lo stesso
avviene per il buon nome: la lingua dei maldicenti può tagliano o anche
addirittura raderlo, giacché, dice Davide, è come un rasoio affilato; ma
niente paura! Rispunterà presto più bello di prima e anche più forte! Se
invece il nostro buon nome viene distrutto dai nostri vizi, dalle vigliaccherie,
dalla nostra cattiva condotta, beh! allora possiamo aspettare tutto il tempo che
vogliamo, e non rispunterà! Sarà inutile l'attesa perché abbiamo estirpato
la radice. La
radice del buon nome è la bontà e l'onestà della vita; finché sono presenti
in noi, possono sempre rigenerare il buon nome giustamente conquistato. Lascia
quella vuota conversazione, quell'attività inutile, quell'amicizia
frivola, quella compagnia equivoca, se danneggiano il tuo buon nome, perché il
buon nome vale più di tutte quelle vuote soddisfazioni; ma se la gente mormora,
riprova o calunnia perché ti impegni nella pietà per avanzare nella
devozione e nel cammino verso il bene eterno, lascia abbaiare i cani contro la
luna; anche se dovessero riuscire a costruire un'opinione negativa sul tuo
buon nome, e in tal modo tagliare e radere i capelli e la barba del buon nome,
sta tranquilla che presto rispunterà. Il rasoio della maldicenza sarà utile al
tuo onore, come la roncola alla vigna, perché la rende copiosa di frutti. Teniamo
sempre gli occhi fissi su Gesù Cristo crocifisso, camminiamo al suo servizio
con fiducia e semplicità, accompagnata da saggezza e devozione: sarà Lui a
proteggere il nostro buon nome. Se permette che ci sia tolto è solo per darcene
uno migliore o per favorirci nella crescita dell'umiltà. Ricorda bene che
un'oncia di umiltà vale più di mille libbre di onore. Se
veniamo ripresi ingiustamente, opponiamo serenamente la verità alla calunnia;
se persiste, insistiamo nell'umiltà. Mettiamo il nostro buon nome, unitamente
alla nostra anima nelle mani di Dio; non potremmo trovare migliore garanzia. Serviamo
Dio nella buona e nella cattiva fama, sul l'esempio di S. Paolo: potremo così
dire con Davide: Mio Dio, è soltanto per Te che ho sopportato l'obbrobrio e che
ho tollerato che la vergogna coprisse il mio volto. Faccio
eccezione per certi crimini talmente atroci e infamanti che nessuno deve
accettare di vedersene attribuire la paternità; anzi bisogna liberarsi anche
dal sospetto se si può fare nel rispetto della giustizia. La stessa eccezione va fatta per le persone dal cui buon nome dipende l'edificazione di molti; in tali casi è necessario perseguire la riparazione del torto ricevuto, e questo secondo la più rigorosa morale teologica. Tratto
da Enciclopedia teologica L'OPERA
Dl DIO NEGLI UMILI ·
Dio
guarda gli umili e si china verso di essi; infatti, non gloriandosi che della
propria debolezza, essi si aprono alla potenza della sua grazia che, in essi,
non è sterile. Eccelso è il Signore e guarda verso l'umile, ma al superbo volge lo sguardo da lontano. Sal
138,6 Ed Egli mi ha detto :«Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti il manifesta pienamente ne/la debolezza». Ah vanterò quindi ben volentieri del le mie debolezze, perché dimori in `ne lo potenza di Cristo. 2Cor.
12,9 ·
Non
soltanto l'umile ottiene il perdono dei suoi peccati, ma la sapienza
dell'onnipotente ama manifestarsi per mezzo degli umili che il mondo disprezza. Chi si esalta
sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato. Lc.
18,14 Perché ciò
che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza
di Dio è più forte degli uomini Dio
ha scelta ciò che nel morndo è ignobile e disprezzato e ciò che è nullo per
ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a
Dio. 1
Cor. 1, 25.28-29 ·
Quale
umiltà di colui che il Signore manda a preparargli la via e che desidera solo
scomparire. Di una umile vergine, che non vuole che essere la sua ancella, Dio
fa la madre del suo Figlio, nostro Signore. … uno che
viene dopo di me, al quale io non sono degno di sciogliere il legaccio del
sandalo. Gv.
1,27 Eccomi sono la serva del Signore, avvenga di me quella che hai detto. Lc
1,38 ·
Colui
che si umilia nella prova sotto la mano onnipotente del Dio di ogni grazia
partecipa agli abbassamenti di Cristo crocifisso, sarà, al pari di Gesù,
esaltato da Dio a suo tempo e parteciperà alla gloria del Figlio di Dio. Con
tutti gli umili Egli canterà eternamente la santità e l'amore del Signore che
ha fatto i essi grandi cose. E se siamo
figli, siamo anche ere' li: eredi dì dio, coeredi di Cristo, se veramente
partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria. Rom.
8,17 L'UMILTÀ
ED I SUOI GRADI ·
L'umiltà
è innanzitutto la modestia che si oppone alla vanità. Il modesto, alieno da
pretese irrazionali, non si fida del proprio giudizio. Signore, non
si inorgoglisce il mio cuore, e non si leva con superbia il mio sguardo: non
vado In cerca dì cose grandi, superiori alle mie forze. Prov. 3, 7 Non valutatevi
più di quanto è conveniente valutarsi, ma valutatevi in maniera da avere dì
voi uno giusta valutazione, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha
dato. Rom.
12,3 Non aspirate a
cose troppo alte, ma piegatevi invece a quelle umili. Rom.
12,16 ·
L'umiltà,
che si oppone all'orgoglio, sta ad un livello più profondo; è l'atteggiamento
della creatura peccatrice dinanzi all'onnipotente ed ai tre volte santo; l'umile
riconosce di aver ricevuto da Dio tutto ci che ha; seno senza valore, da se non
è nulla. Questo umile che si apre alla sua grazia, Dio lo glorificherà. Chi dunque
ti ha dato questo privilegio? Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricciuto? F
se l'hai ricevuto, perché te ne vanti come non l’avessi ricevuto? 1
Cor. 4,7 Cosi anche voi,
quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite:« Siamo servi
inutili». Lc.
17,10 Il timore di
Dio è una scuola d, sapienza, prima della gloria c’è l’umiltà. Prov.
15,33 Il Signore
rende povero ed arricchisce, abbassa ed esalta. Solleva dalla polvere il misero,
innalza il povero dalle immondizie, per farli sedere insieme con i capi del
popolo e assegnar loro un seggio di gloria. 1
Sam. 2, 7-8 ·
Incomparabilmente più profonda è l'umiltà di Cristo che col suo abbassamento
ci salva, ed invita i suoi discepoli a servire i loro fratelli per amore,
affinché in tutti sia glorificato Dio. |
2001 2000 |