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 Haiku: un’istantanea

di Alessandro Gambardella

Bibliografia: 
AA.VV., “Cento haiku”, a cura di I. Carocci, Guanda.
AA.VV., “Haiku in Italia”, a cura di G. Manacorda, Empirìa.
Arzeni, F., “L’immagine e il segno. Il Giapponismo nella cultura
europea tra Ottocento e Novecento”, Il Mulino.
Barthes, R., “L’impero dei segni”, Einaudi.
Kato, S., “Storia della letteratura giapponese”, 3 voll., Marsilio.
Kato, S., “Arte e società in Giappone”, Edizioni della Fondazione 
Giovanni Agnelli.
Pasqualotto, G., “Estetica del vuoto”, Marsilio.
Suzuki, D. T., “Zen and Japanese Culture”, Tuttle

L’economia dell’espressione è la ricca dote della poesia.

A differenza della prosa essa è concisa, essenziale. I particolari, in poesia, sono reiterati sopralluoghi sulla medesima scena, nell’ossessiva ricerca di una precisione descrittiva che relega l’immaginazione nel limbo delle facoltà soppresse.

La potenza semiologica della poesia, quindi, risiede nella pregnanza occulta di poche parole; negli interminabili viaggi mentali che una pausa concede.

Queste caratteristiche sono comuni all’intero corpus poetico, con differenze strutturali e argomentative a seconda del creatore, della corrente letteraria, del momento storico, del credo religioso, dell’appartenenza etnica.

La cultura di un popolo trasuda dalla lirica dei suoi rappresentanti. La poesia segue l’evoluzione delle problematiche esistenziali, del rapporto dell’uomo con la propria terra, con i propri spazi interiori.

E’ possibile utilizzare le forme espressive di un popolo come strumenti diagnostici, per evidenziarne la storia, le tradizioni, i vizi e le virtù.

Tra le civiltà che alla semplicità di un verso poetico o di un gesto pittorico hanno affidato la loro essenza vi è, prima fra tutte, quella giapponese.

Strumento esegetico per eccellenza che la civiltà nipponica mette a disposizione di etnologi ed esteti è l’haiku, vessillo letterario del Giappone e formula espressiva tra le tante, intenzionalmente affini, che questo paese produce.

L’haiku è l’espressione poetica della mentalità giapponese. La sua struttura, diciassette sillabe in tre versi, 5/7/5, è essenziale, assolutamente non ridondante. Dal punto di vista storico, l’haiku ha come antecedenti i generi poetici del waka, “poesia giapponese”, e del renga. Il primo ha una struttura di cinque versi per 31 sillabe; l’altro, una sequenza ripetuta di cinque, sette, cinque, sette e sette sillabe per verso. Il renga era una correlazione di waka, con la differenza che due sequenze consecutive non potevano essere composte dalla stessa persona. I primi versi del renga (5/7/5) portarono all’haiku, che, da un punto di vista strutturale, ne costituisce una forma più concisa.

L’haijin, il poeta di haiku, si attiene a delle semplici ma rigorose regole compositive: la struttura sillabica e il soggetto, generalmente la natura, nelle sue molteplici e variegate rappresentazioni. Il resto è improvvisazione, spontaneità.

guardo la luna:

nuvole se alzo gli occhi, se li abbasso

il sereno

Miura Chora (1729 - 1780)

La sua spontaneità, però, si ottiene solo dopo un rigido addestramento.

Spesso, l’haijin lavora per mesi su un haiku, dopo aver fotografato mentalmente il protagonista del suo componimento.

L’haijin non è un poeta sedentario; non è meditabondo se non per affinare il ricordo, per liberarsi dell’eccesso.

“Nell’haiku la parsimonia di linguaggio è oggetto d’una cura che a noi pare inconcepibile, perché non si tratta tanto di essere concisi (cioè di restringere il significante senza diminuire l’intensità del significato), quanto, al contrario, di agire sulle radici stesse del senso, per ottenere che questo senso non si diffonda, non si interiorizzi, non si faccia implicito, non si liberi, non vaghi nell’infinito della metafora, nella sfera del simbolo. La brevità dell’haiku non è un pensiero ricco ridotto ad una forma breve, ma un evento breve che trova tutt’a un tratto la sua forma esatta.” – Roland Barthes.

L’haiku è la sensazione che anticipa la contemplazione e la subordina, anzi, la elide. E’ la fuggevolezza dell’attimo, toccata e fuga…e mai più!

E’ un affondo, meglio, una stoccata; una folata di vento che ridesta l’assopito e lo coinvolge, sbalordito spettatore, nella pittoresca, genuina e cruda danza della vita.

L’haiku è un’impressione, un’istantanea del mondo; non documenta, illustra. Eppure non s’impone.

te no ue ni

kanashiku kiyuru

hotaru kana.

Nelle mie mani,

ahimè, svanisce

un bagliore di lucciola!

 

Kyorai (1651-1704)

 

L’haiku non simbolizza nulla e non significa nulla; ogni commento lo annullerebbe, cancellando per sempre l’attimo che custodisce.

Elena Dal Pra (a cura di )

Haiku

Arnoldo Mondadori Editore

lit.12000

Roland Barthes

L'impero dei segni

Einaudi 

Lit. 26000 

 

 

 

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