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Nota del compilatore: Questo libricino vuole essere una raccolta di scritti e di spunti di meditazione sul tema della fortezza alla luce di una visione Cattolica. Gli articoli riportati, frutto di una breve ricerca bibliografica e di una raccolta delle pagine web disponibili sul sito ufficiale del vaticano, si offrono in occasione dell’incontro mensile della Comunità Cattolica Chiesa Viva sulle virtù cristiane.

Essi vogliono essere innesco di pensiero e di ricerca; non esauriscono gli argomenti proponibili né impongono alcun approccio metodologico agli infiniti discorsi intorno alla Verità.

 

 

Nella stessa collana 

L’umiltà: A cura di Stanislao Capriolo

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La Prudenza: A cura di Gianluca Cimmino

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La Giustizia: A cura di Bruna Cardinale

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La Fortezza: A cura di Jotis Salvatore Spasiano

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La Temperanza: A cura di Eleonora Nesi

 

 

Comunità Cattolica Chiesa Viva

 

La fortezza

 

 

 

 

 

“beati gli afflitti perché saranno consolati”

(Mt.5,4)

 

 

15 Aprile ’00 ore 20.30

Napoli via misericordiella 30 sede CCCV

 

       

 

INDICE

 

I DONI DELLO SPIRITO NEL VECCHIO TESTAMENTO                    

ESTRATTO SULLA FORTEZZA DI PIPIER                                  

La disposizione a morire                                                         

La fortezza non può fidare in se stessa                                      

Resistere e assalire                                                                   

Fortezza vitale,morale e mistica                                                

Dalla DOMINUM ET VIVIFICANTEM                                    

Lo Spirito nel rafforzamento dell’uomo interiore                      

Eleuterio F. Fortino:Lo Spirito in soccorso alla nostra debolezza             

Angelo Amato :Lo Spirito sorgente inesauribile di doni          

Susanna Tamaro : Accettazione di un dono                               

APOSTOLICAM ACTUOSITATEM (sull’apostolato dei laici) 

Sabino M. Palumbieri: il risorto è la risposta …                      

In breve : il dono della fortezza (Ardusso)                     

   

I doni dello Spirito nel vecchio testamento

 

«il Signore Dio plasmò l'essere umano con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici uno spirito di vita e l'essere umano divenne uno spirito vivente» (Gn 2, 7).

«Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza, di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore» (Is 11. 2).

«Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo... Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi» (Ez 36, 27).

«Io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie. Anche sopra gli schiavi e sulle schiave, in quei giorni, effonderò il mio spirito» (Gl 3f 1-2).

«Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire... essi [gli apostoli] furono tutti ripieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo spirito dava loro il potere di esprimersi» (At 2f 1,4).

 

 

Estratto da sulla fortezza  di Josef Pieper (1965)

 

La disposizione a morire.

 

La fortezza presuppone la vulnerabilità; senza vulnerabilità non vi è assolutamente la possibilità di fortezza. Un angelo non può essere forte, poiché non è vulnerabile. Esser forte significa cioè: saper accettare una ferita. L’uomo può essere forte proprio perché è essenzialmente vulnerabile.

            Ferita : con questo si intende ogni attentato, che va contro la mia volontà, della naturale incolumità, ogni offesa dell’essere che riposa in se stesso, tutto ciò che accade contro la nostra volontà  a noi e in noi, tutto ciò dunque che è in qualche modo negativo, doloroso, dannoso, angosciante e opprimente.

            L’estrema e più profonda ferita è però la morte. E anche le lesioni non mortali sono immagini della morte; questa estrema violazione, quest’ultimo **No** si rispecchia ed agisce nelle violazioni precedenti.

Così ogni fortezza si riferisce alla morte; ogni fortezza sta in vista della morte. Fortezza è in fondo disposizione a morire, per meglio dire :disposizione a cadere, cioè: a morire nella lotta.

Ogni ferita dell’essere naturale avviene in funzione della morte. Così ogni agire con fortezza trova alimento nella disposizione alla morte come nella sua più profonda radice, anche se, apparentemente, l’azione può sembrare ancor assai lontana persino da qualunque pensiero di morte. Una **fortezza** che non giunge sino alla profondità della disposizione a cadere è guasta nella radice e senza efficacia reale.

 

La disposizione si dimostra nell’impegno e la fortezza si perfeziona nella testimonianza del sangue. Il martirio è la specifica e la più alta opera, propria della fortezza. La disposizione al martirio è la radice  essenziale di ogni fortezza cristiana. Senza questa disposizione non vi è fortezza cristiana.

Un’epoca dal cui campo visivo scompaiono il concetto e la reale possibilità della testimonianza del sangue deve necessariamente avvilire la fortezza ad una bravata. Si deve osservare però che questa scomparsa può accadere in molti modi. All’idea imborghesita che la verità e il bene **vincono** da sé senza l’impegno della persona, è strettamente coordinato il facile entusiasmo che non si stanca di parlare della **gioiosa disposizione al martirio**: identica è nei due casi la deformazione dell’essenza della testimonianza del sangue.

 

La Chiesa pensa diversamente su questo punto. Da una parte essa spiega : la disposizione alla testimonianza del sangue per Cristo cade direttamente sotto il precetto divino strettamente obbligatorio ( cadit sub praecepto); **l’uomo deve ritenersi pronto a farsi uccidere piuttosto che rinnegare Cristo o peccare gravemente** .

Essere pronti alla morte è dunque uno dei fondamenti della vita cristiana. Daltra parte però, per quanto riguarda l’entusiasmo facilone per il martirio, sentiamo quel che pensa la chiesa dei martiri .

La chiesa primitiva , da Cipriano a Gregorio da Naziano ad Ambrogio, hanno ammesso persino, come sembra, che Dio toglierà prima la forza di resistere a coloro che baldanzosamente sollecitarono la testimonianza del sangue,fidando nella loro determinazione. Tommaso d’Aquino infine, nella cui summa un articolo tratta per così dire delle **gioie della fortezza**(utrum fortis delectetur in suo actu), dice che la sofferenza del martirio copre persino la gioia spirituale dell’azione grata a Dio **a meno che la sovrabbondante grazia divina elevi l’anima con strapotente forza verso le cose divine**. Davanti alla prosaica dura realtà che entra in campo in queste gravi asserzioni tutti gli entusiasmi parolai e i semplicismi svaniscono  nel nulla. Ma soltanto allora si fa luce sul vero significato di questo fatto fondamentalmente  che la Chiesa annovera la prontezza alla testimonianza del sangue tra le basi fondamentali della vita dei cristiani.

 

L’accettazione della ferita costituisce una parte, il carattere preliminare della fortezza. Il forte non accetta la ferita per se stessa. Egli vuole invece per mezza di essa conservare o conquistare un’incolumità più profonda e più essenziale!

Questa certezza di diventare partecipe di una incolumità, nel ricevere la ferita, nella lotta per il bene –incolumità che è più strettamente e più intimamente legata all’essenza della vita umana di ogni tranquillità puramente naturale – questa certezza non è mai venuta meno nella coscienza cristiana; anche se ai critici e agli avversari del cristianesimo non è sempre riuscito di scoprire e di apprezzare giustamente questa certezza e il posto che essa tra le forze vitali cristiane.

 

Il martirio apparve alla Chiesa primitiva come una vittoria, sia pure una vittoria mortale:**Egli  vince con la sua morte per la fede; vivendo  senza la fede sarebbe vinto**. Dice S.massimo di  Torino , un vescovo del V sec., parlando del martire. E Tertuliano :**Noi vinciamo se veniamo condotti davanti ai giudici**. Il fatto che queste vittorie comportino la morte oppure delle ferite, fa parte delle condizioni alle quali il cristiano, e forse non soltanto il cristiano, è nel mondo. Tommaso d’Aquino pare quasi ritenere legato all’assenza della fortezza, che essa lotti contro il prevalere del male, che il forte vinca soltanto morendo o ricevendo ferite.

Innanzi tutto e prima di tutto: il forte non accetta la ferita per se stessa. La sofferenza per amore della sofferenza è un controsenso non meno per il cristiano che per l’uomo naturale. Il cristiano non disprezza le cose che vengono annientate dalla ferita. Il martire non disprezza senz’altro  la vita anche se la ritiene inferiore a ciò per cui si sacrifica. Il cristiano ama la sua vita , dice Tommaso, non soltanto con le forze naturali del corpo che anelano alla vita ma anche con le forze morali dell’anima spirituale. E ciò non è detto come una giustificazione. Non si intende con questo che l’uomo ami la sua vita naturale appunto  perché egli sia soltanto un uomo, ma che egli le ami proprio ed in quanto egli sia un uomo buono. La stessa cosa vale tanto per la vita stessa quanto anche per tutta la cerchia di ciò che è racchiuso nella naturale integrità: gioia, salute, successo felicità. Tutte queste cose sono beni più alti , la cui perdita ferirebbe più profondamente il nucleo essenziale dell’esistenza umana.

Tutto ciò non viene invalidato dal fatto che la vita eroica dei santi e dei cristiani è naturalmente, tutt’altra cosa che il risultato di un calcolo  accuratamente soppesato della perdita e del guadagno.

Questa **tensione** non si può risolvere in un accordo; per lo spirito finito e per la vita terrena, essa, in ogni modo, non può essere respinta ed annullata. Ma essa  è piena di contraddizioni né più né meno della frase del vangelo : chi ama la propria vita, questi la perderà (Jo. 12,25) Essa non è maggiormente incomprensibiledel fatto sorprendente che Tommaso d’Aquino, aperto alla verità e rivolto al mondo, al quale così spesso si ricorre a favore di un chiaro ottimistico riguardo a questo mondo, questo stesso Tommaso insegni: alla conoscenza veramente penetrante delle cose create corrisponde una fondamentale tristezza ; una tristezza così insuperabile che non può essere tolta all’uomo da alcuna volontà( foss’anche quella tristezza di cui si parla nelle beatitudini nel discorso della montagna: beati coloro che piangono perché saranno consolati).

È assolutamente senza prospettive voler superare il confine dell’inconoscibile. Questi problemi del significato  e della misura dell’olocausto di beni naturali, sfociano direttamente nel mistero impenetrabile, che è connaturato alla concreta esistenza dell’uomo stesso, cioè con la esistenza di un essere corporeo-spirituale, creato-innalzato, caduto e redento.

 

La fortezza non può fidare in se stessa

           

            Se l’essere della fortezza consiste nell’accettare ferite nella lotta per la realizzazione del bene, si presuppone allora che il forte sappia che cosa è il bene e che egli sia forte precisamente per amore del bene. ** Per il bene il forte si espone al pericolo della morte ** . **La fortezza  nel superamento del pericolo ,non cerca il pericolo , ma la realizzazione del bene ragionevole** . **Accettare la morte non significa lodare la morte in sé per sé , ma soltanto in vista del bene** .  Non è la ferita che importa ma la realizzazione del bene.

            Perciò la Fortezza , sebbene pretenda dall’uomo la cosa più difficile, non è la prima né la più alta tra le virtù. Poiché non sono la difficoltà e lo sforzo che fanno la virtù, ma soltanto il bene.

            La fortezza rimanda ad alcunché di più originario secondo natura. Essa è essenzialmente qualche cosa di secondario, qualche cosa di subordinato, qualche cosa che riceve la sua misura- ed è inserita in un ordine disposto secondo significato e grado,  del quale essa non è il primo membro. La fortezza non è indipendente, non regge su se stessa Essa riceve il suo preciso significato soltanto in relazione a qualche cosa d’altro.

**la fortezza non può fidare in se  stessa ** dice Ambrogio.

 

Anche un fanciullo sa che nella serie delle virtù cardinali la fortezza è al terzo posto. Questo ordine di enumerazione non è casuale: o al tempo stessi una successione di significato.

            Prudenza e giustizia precedono la fortezza.Ciò non significa nient’altro che questo : senza prudenza e giustizia non vi è fortezza; soltanto chi è prudente e giusto può essere anche forte; è semplicemente impossibile essere veramente forti senza essere appunto anche , per ciò stesso , prudenti e giusti.

            Non è dunque possibile paralare dell’essenza della fortezza senza aver presente la sua relazione con la prudenza e la giustizia.

            In primo luogo : soltanto il prudente può essere forte. Fortezza senza prudenza non è fortezza. La sorpresa che nasce in noi, quando riflettiamo su questa proposizione, dimostra  la misura di quanto ci siamo estraniati dai fondamenti naturali della classica dottrina di vita della Chiesa . soltanto il tempo presente comincia, esitante a scoprire nuovamente il posto della prudenza nel sistema delle virtù e l’alto suo rango, quale si manifesta in quella proporzione. Mettere insieme fortezza e prudenza contraddice , in certo senso, la concezione che ha l’uomo odierno della prudenza e della fortezza. Ciò deriva in parte dal fatto  che l’uso linguistico di oggi , con l’espressione prudenza non vuole significare precisamente  ciò che  ha inteso la teologia classica con prudentia e discretio. Per prudenza intendiamo piuttosto l’astuzia , che permette allo scaltro, al **furbo**, al **tattico** di sottrarsi all’impegno assai pericoloso della persona e con ciò di sfuggire alla ferita e persino alla possibilità di una ferita. Prudenza : a noi sembra che essa sia piuttosto quella falsa **circospezione** e quella **calma riflessione** alla quale si appella il vile per poter evitare guai. A tale **prudenza** la fortezza appare francamente imprudente e stupida.

            Forse si dovrebbe associare al concetto di prudenza un’altra immagine terminologica tedesca. ( La sociologia del linguaggio  ha messo sull’avviso che appunto nelle espressione  linguistiche di concetti, relativi a norme morali, il vero e proprio significato primitivo impallidisce ben presto, svanisce o si deforma nel significato precisamente opposto ; da ciò risulterebbe il dovere di un sempre di un sempre vigile rimodellamento creativo della terminologia etica). Io ho proprio proposto occasionalmente di parlare di **obbiettività** invece che di **prudenza**[2], sebbene non si debba negare che anche il significato di questa parola nella lingua usuale coincide solo in parte con il significato classico di prudentia e discretio. Tuttavia con ciò riesce più felice avere un’idea di questo significato.

            È oggettivo colui che nel suo giudizio e nel suo agire si conforma al**logos obbiettivo** della realtà. Ma è questo appunto anche il primitivo e preciso significato della prudenza. Si intende la **sapienza** di colui al quale tutto ha il sapore, quale realmente è, cui sapiunt omnia prout sunt (come è detto nella formulazione sublimemente semplice di san Bernardo di Chiaravalle e dell’imitazione di Cristo)[3].

 

La prudenza ha un doppio aspetto. Uno , conoscente , **ricevente la misura**, è rivolto alla realtà; l’altro , decidente , imperante , e **dante misura** è rivolto alla volontà  e all’azione. Nel primo aspetto della prudenza si rispecchia la verità delle cose reali; in questo si rende visibile la norma dell’agire.

            E il rapporto della prudenza con la realtà viene essenzialmente prima del suo rapporto con l’azione. La prudenza- conoscendo e dirigendo - **traduce** la verità delle cose reali nella bontà dell’agire umano. E l’agire umano  è obbiettivamente  buono soltanto per il fatto che esso è riconvertibile** in vera conoscenza delle cose: il peccato poggia sempre anche , non soltanto!, su una opinione erronea dell’essenza delle cose.

            Così la prudenza  non è semplicemente la prima nell’ordine delle virtù cardinali, ma è addirittura la genetrix virtutum[4] ; essa genera le altre virtù; è la forma del corpo [5]. Dall’uomo operante si pretende innanzi tutto che abbia una conoscenza della realtà, e precisamente  una conoscenza direttiva intorno  all’agire; questa **conoscenza direttiva** costituisce l’essenza della prudenza[6] **ogni virtù morale deve essere prudente**. Senza prudenza non vi è né giustizia né fortezza né temperanza. Tutte e tre sono frutto della prudenza.        

            La fortezza diventa dunque la fortezza per il fatto che è **informata** dalla prudenza . Il doppio significato di questa parola **informare** è molto importante. **Informare** significa primieramente e ne, nell’uso odierno della lingua,principalmente: istruire; in secondo luogo questa parola come espressione specifica scolastica e come diretta derivazione del latino informare, significa: dare l’intima forma. Riferiti al rapporto della prudenza e della fortezza, questi due significati si intrecciano : nell’**insegnamento**che la fortezza accoglie dalla prudenza, quella riceve da questa la sua intima forma cioè la sua peculiare essenza come virtù.

 

            La virtù della fortezza non ha niente a che fare con un cieco slancio, pura espressione della forza vitale (essa d’altra parte presuppone una vitalità sana, forse più di ogni altra virtù). Non è già forte colui , che senza riflettere e senza discernere , si espone ad un pericolo  qualunque ; poiché questo non significa altro che ritenere , inconsciamente e indistintamente, che  tutte le cose possibili sono più importanti  della personale incolumità, messa in gioco per questo[7].Non è il mettersi a repentaglio per una cosa qualunque che forma l’essenza della fortezza, ma soltanto una dedizione di se stessi conforme alla ragione e cioè alla vera essenza e al valore delle cose reali:**non qualitercumque,sed secundum rationem**[8]. La vera fortezza presuppone un giusto apprezzamento delle cose : tanto di quelle che si **arrischiano** come anche di quelle che si spera di conservare o di conquistare con l’impegno.

            Quella celebrazione greca, che pericle ha riassunto nelle elevate parole del suo discorso per i caduti , esprime pure una cristiana saggezza : **Giacché anche questa è la nostra maniera: osare più liberamente  là dove abbiamo meglio riflettuto. In altri invece  soltanto l’ignoranza genera fortezza ;la riflessione poi genera avidità**[9].

 

La prudenza dà a tutte le altre virtù cardinali, alla giustizia, alla fortezza, alla temperanza, l’intima forma essenziale. Ma queste tre virtù non sono dipendenti dalla prudenza allo steso modo.Prima di tutto la fortezza è meno direttamente  informata dalla prudenza che la giustizia ;  la giustizia è la prima parola  della prudenza , la fortezza la seconda; la prudenza informa per così dire la fortezza attraverso la giustizia. Per così dire la fortezza attraverso la giustizia. La giustizia si affida unicamente agli occhi della prudenza , rivolti alla realtà; la fortezza invece prudenza si affida nello stesso tempo alla prudenza e alla giustizia.

Così Tommaso motiva l’ordine delle virtù cardinali : il bene proprio dell’uomo è la realizzazione di se stesso secondo la verità  secondo la ragione , cioè secondo la verità delle cose reali. (Non dobbiamo mai dimenticare che la teologia classica della Chiesa, ragione significa sempre soltanto l’intentio verso la verità. Noi dobbiamo dunque difenderci dalla tentazione di trasferire la nostra giustificata sfiducia, beffarda nei riguardi della **ragione** sovrana della filosofia idealistica del XIX sec., sulla ratio legata alla realtà , propria della scolastica). Questo **bene razionale**, secondo il suo contenuto essenziale , sta nella conoscenza direttiva propria della prudenza . Nella Giustizia  questo bene razionale si realizza attingendo concreta esistenza : **è ufficio della giustizia  introdurre in tutte le cose umane l’ordine  della ragione** Le altre virtù- fortezza e temperanza- servono alla conservazione di questo bene (sunt conservativae huius boni ) ; loro ufficio è preservare l’uomo da una defezione del bene. Al contrario la fortezza protegge questa realizzazione e le sgombra la strada.

 

Ciò non vuol dire soltanto che unicamente il prudente possa essere forte . vuol dire inoltre che una **fortezza ** che non è informata dalla prudenza . senza la **giusta causa** non vi è fortezza . Non è la ferita che decide , ma la causa :**martyres non facit poena , sed causa**, dice sant’Agostino.[10]

**L’uomo non espone la sua persona al pericolo di morte , se non per salvare la giustizia. Perciò la lode della fortezza dipende in qualche modo della giustizia**[11];così dice Tommaso d’Aquino. E il trattato  di Ambrogio intorno ai doveri  dice : **la fortezza senza giustizia è una leva dell’iniquità**[12].

 

Resistere e assalire

 

            Esser forti non è la stessa cosa che non aver paura. La fortezza esclude, senz’altro, una determinata specie di mancanza di paura , cioè quella che si basa su un falso apprezzamento o una falsa  valutazione della realtà. Tale mancanza di paura  o è cieca e sorda dinanzi ad un pericolo reale , oppure proviene da un pervertimento dell’amore. Poiché paura e amore dipendono una dall’altro : quando uno  non ama non teme nemmeno , e chi ama erroneamente, erroneamente teme. Chi ha perduto la volontà di vivere non teme la morte. Questa indifferenza stanca di vivere  è però ben lontana dalla vera fortezza; essa è un capovolgimento dell’ordine naturale.

La fortezza conosce , riconosce e conserva l’ordine naturale delle cose. Il forte è veggente ; egli vede chela ferita che prende su di se è un male.

Egli non falsifica la realtà la realtà e non ne cambia i valori ; ha per lui il gusto che ha in realtà: egli non ama la morte , non disprezza la vita. La fortezza presuppone, in un certo senso , che l’uomo tema il male , la sua essenza non consiste nel conoscere paura, ma nel non lasciarsi indurre al male dalla paura o nel non lasciarsi distogliere dal fare il bene. Colui che – sia pure per amore del bene – si mette in un pericolo , senza essere conscio del rischio cui va incontro,oppure per istintivo ottimismo (a me non accadrà nulla)  o nella fiducia fondata sulla propria forza naturale e sulla propria capacità di lottare- questi non possiede già la virtù della fortezza[13]La possibilità di essere forte nel senso genuino  della parola , è data soltanto quando viene a mancare ogni sicurezza apparente o reale, cioè quando l’uomo naturale ha paura; e cioè non quando teme a causa di timori infondati , ma quando egli , in base ad un preciso esame della reale situazione delle cose , non può non temere, per così dire, con giusto motivo. È realmente forte solo chi –nella situazione di un caso assolutamente estremo, davanti al quale ogni miles gloriosus ammutolisce e ogni gesto eroico si svigorisce,- va incontro  a ciò che si deve temere e non si lascia impedire dal fare il bene , e proprio per amore del bene , cioè alla fine per amore di Dio e non già per orgoglio o per paura di esser ritenuto vile.

            Il valore dell’ottimismo naturale, della forza e della capacità naturale di lotta non viene per niente avvilito da questa precisazione; né il suo significato vitale, né il grande suo significato morale vengono con ciò diminuiti. È tuttavia importante vedere dove sta propriamente  l’essenza della fortezza quale virtù; essa sta al di là del vitale .Di fronte al martirio ogni naturale ottimismo diviene privo di senso e ad ogni naturale capacità di lotta sono letteralmente legate le mani ; il martirio è però il vero e più alto atto della fortezza e soltanto in questo caso estremo si palesa l’essenza della fortezza , sulla quale vengono misurate anche le sue attuazioni meno eroiche ( ad rationem virtutis pertinet, ut respiciat ultimum – è proprio dell’essenza della virtù il guardare all’estremo)[14].

            Fortezza non vuol dire semplicemente mancanza di paura. È forte chi , pur sentendo la paura dei mali non estremi e transitori, non si lascia indurre a rinunciare  agli estremi e intrinseci beni, e ad accettareciò che si deve temere in definitiva appartiene , quale **negativa **dell’amore di Dio. Alle basi semplicemente necessarie della fortezza ( e in genere di ogni virtù): **chi teme Dio non tremerà davanti ad alcuna cosa**(Ecclus.34,16).

           

            Chi dunque realizza il bene andando incontro a ciò che si deve temere, alla ferita, questi è veramente forte, Questo **andare incontro** allo spaventoso ha però due modalità. Che da parte loro formano i due atti-base della fortezza :resistenza e assalto.

            Ciò che è più inerente alla fortezza , il suo actus principalior, è la resistenza e non l’assalto. Questa proporzione si san Tommaso[15] ci appare strana e molti uomini di oggi la spiegherebbero probabilmente senza indugiocome l’espressione di una concezione e di una dottrina di vita tipicamente medioevale,**passivistica**. Tale spiegazione non colpirebbe pienamente nel segno. Tommaso non pensa di considerare in generale la resistenza come più alta dell’assalto di dire che, in ogni caso , sia più eroico resistere che combattere. Ma che significa allora questa proposizione? Che il **luogo** della fortezza è appunto quell’estremo caso grave, circoscritto , in cui la resistenza  è l’unica possibilità obbiettiva rimasta della opposizione e che in tale situazione la fortezza si manifesta, per la prima volta e definitivamente l la sua autenticità essenziale. Tuttavia appartiene senza dubbio alla visione del mondo cristiano , che l’uomo possa giungere nella situazione  di essere ferito o di cadere per la realizzazione del bene ; che dunque il male , parlando con metro mondano, possa presentarsi come forza superiore - una possibilità, che come si usa, è scomparsa dalla concezione del mondo secondo il liberalismo illuministico.

 

            Del resto ,soltanto in un senso esteriore,resistenza è qualche cosa di passivo .Tommaso fa a se stesso questa obbiezione : se la fortezza è una perfezione , allora la perseveranza  non può essere il suo proprio atto, poiché la resistenza è pura passività, è sempre un fare attivo e più perfetto di un  passivo subire. A questo egli risponde: il resistere implica una grande attività spirituale e cioè un fortissime inhaerere bono, un attenersi al bene aggrappandovisi  con ogni energia; e soltanto in questa generosa attività trova alimento  la forza per la sofferenza corporale e spirituale dovuta alla ferita e alla morte[16]Non si può negare che un cristianesimo piccolo borghese , domato e intimidito dai criteri non cristiani , costituiti da un ideale di fortezza **eroico - attivista**, nasconde questo stato di cose nella coscienza  comune e lo sfalsamento  interpretato  nel senso di un passivismo torbido e pieno di risentimento.

            Ciò è ancor più esatto  per l’immagine vigente delle virtù della pazienza. Per Tommaso la pazienza è un necessario elemento integrante della fortezza. Se noi troviamo assurda questa coordinazione di pazienza e fortezza , non  è soltanto per il fatto che siamo soliti fraintendere facilmente per attivismo  l’essenza della fortezza, non è soltanto per il fatto che siamo soliti fraintendere facilmente per attivismo l’essenza della fortezza, ma prima di tutto per il fatto che nella nostra idea - in netto contrasto con la teologia classica- la pazienza  ha preso il significato di una sofferenza di tutti i mali ai quali si va incontro , o che persino si cercano: sofferenza che non vede e non discerne , felice nel **sacrificio**, afflitta , mesta , snervata. Invece la pazienza è ben altra cosa che l’accettazione di qualche male senza alternativa:**non è paziente chi non sfugge il male, ma chi non si lascia trasportare per questoad una tristezza disordinata**[17]. Esser paziente significa non lasciarsi togliere la serenità e la lucidità dell’anima dalle ferite che nascono nella realizzazione del bene.[…]

            Chi è forte è appunto per questo anche paziente. Ma non vale il contrario. Il forte non sa soltanto sopportare il male inevitabile senza intimo smarrimento ; egli non cessa nemmeno di assalire il male e di allontanarlo, se ciò è sensatamente possibile.per far questo  è però necessaria la disposizione all’assalto:coraggio, fiducia in se stessi , e speranza di riuscire.

 

[…] Tommaso dice: fortis assumit iram ad actum suum, il forte assume l’ira nel suo proprio atto, soprattutto nell’assalto, **poiché è proprio dell’ira l’affrontare il male; cosicché fortezza e ira agiscono direttamente l’una sull’altra.

( **passività e aggressività della fortezza** nella dottrina classica)…Tuttavia resta fermo: la peculiarità della fortezza non è nell’assalto , non nella fiducia in se stessi, non nell’ira, ma nella resistenza e nella pazienza.

Una delle caratteristiche fondamentali di questo mondo , gettato nel disordine dal peccato originale, consiste in ciò, che la suprema fortezza del bene si mostra nell’impotenza. E la parola del Signore : **ecco io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi** ( mt.10,16) designa la situazione , ancor oggi attuale , del cristiano nel mondo.

 

FORTEZZA VITALE, MORALE E MISTICA

 

La virtù della fortezza preserva l’uomo dall’amare la propria vita in modo tale da perderla.

            Questa proposizione secondo la quale perde la propria vita chi la ma vale  per tutti i piani ontologici della realtà umana: nel piano **pre-morale**della salute dell’anima, in quello propriamente **morale** dell’etica naturale , e in quello **sopra-morale** dell’etica soprannaturale. In tutti e tre i piani si può parlare sensatamente di fortezza ; però è da osservare che essa è “virtù umana” nello stretto senso , soltanto nel secondo ; nel primo non lo è ancora , nel terzo è più che “virtù umana”.

 

            Concettualmente questi tre ordini si possono separare nettamente l’uno dall’altro; invece nella realtà dell’esistenza umana essi sono connessi  l’uno con l’altro; nessuno può dire nel singolo caso dove cessi la sfera della colpa  morale e cominci quella dell’infermità psichica; e non  vi è virtù **puramente naturale** nell’**eone** cristiano, senza un reale  rapporto con l’ordine di grazia. Pertanto la fortezza compenetra tutti questi ordini , come , per così dire, atteggiamento unitario essenziale dell’uomo.

 

            Alla moderna caratterologia, fondata sulla psichiatria dobbiamo l’idea che la mancanza di coraggio  nell’accettazione della ferita  e nell’offerta di se di se stessi , deve essere enumerata tra le cause  più profonde di malattia psichica.

            Carattere fondamentale di tutte le neurosi appare l’egocentrismo ansioso: lo spasmodico desiderio  di sicurezza, l’incapacità di **abbandonarsi** di chi guarda continuamente  a se stesso , in breve  quella specie di amore della propria vita che conduce appunto alla perdita della vita. È un fatto molto significativo e per nulla casuale che l’odierna caratterologia citi, spesso espressamente , quella parola della scrittura:** chi ama la propria vita , la perderà**.

Tale parola, oltre al suo significato religioso immediato, caratterizza esattamente il risultato degli studi  psichiatrico –caratterologici :**L’io incorre in un pericolo sempre più grande quando più grande è la cura con la quale si cerca di proteggerlo**[18]

            Da un lato questa fortezza premortale- che come radice della salute dell’anima , è strettamente legata alla sfera della **vitalità**- è dipendente ed è conformata inconsciamente ed incontrollatamente dalla fortezza  propriamente morale; la quale , in virtù della anima forma corporis ,  agisce nella sfera del naturale con la sua opera formatrice . dall’altro lato la fortezza pre-morale  - con una connessione altrettanto complessa – appare come la condizione prima e il fondamento  di questa vera fortezza spirituale dell’uomo e del cristiano, la quale sorge dal fondamento della fortezza radicata nella **vitalità**.

 

            La fortezza intellettuale e spirituale del cristiano si sviluppa secondo i gradi  di perfezione , soprattutto della vita intima.

            Sebbene , secondo il rango della sua essenza, l’essere soprannaturale sia incomparabilmente più alto dell’ordine  naturale, tuttavia esso è **in possesso** dell’uomo in maniera meno perfetta. Le forze vitali naturali del corpo e dello spirito  sono senz’altro al suo servizio; invece la vita soprannaturale della fede, della speranza e dell’amore gli è propria soltanto mediatamente.

            Solo attraverso lo sviluppo dei doni dello Spirito Santo  - che sono dati al cristiano insieme alla virtù teologale della carità – la vita soprannaturale diventa seconda natura, ci spinge alla santità, come impulso **naturale**[19].

 

            Dunque i gradi di perfezione della fortezza cristiana corrispondono ai gradi dello sviluppo del donum fortiduninis, cioè a quella fortezza , dono della grazia, che viene enumerata tra i sette doni dello Spirito Santo.

            Tommaso distingue tre gradi di perfezione della fortezza ( come in generale per tutte le virtù cardinali). Il grado più basso , che viene assunto però in quello immediatamente superiore, e non viene abbandonato , è costituito dalla fortezza **politica** della vita sociale ordinaria di ogni giorno. Quasi tutto quel che fu detto fin qui sulla fortezza- all’infuori delle osservazioni sul martirio- è riferito a questo grado , cristianamente parlando, iniziale. Progredendo interiormente dal primo grado al secondo ,espiatorio-purificante, della fortezza , l’uomo che si preoccupa di una più alta realizzazione dell’immagine di Dio in se stesso , varca la soglia della vera vita mistica. La vita mistica però non è altro che un più completo sviluppo del soprannaturale amore di Dio e dei doni dello Spirito Santo. Il terzo grado della fortezza- la fortitudo purgati animi , cioè la fortezza  già trasformata nella sua essenza, propria **dello spirito purificato**,- si raggiungesui più alti vertici della santità terrena, che sono già un principio della vita eterna[20]

 

            Della fortitudo purgatoria – la quale segna dunque . generalmente , per il cristiano il grado più alto di fortezza che si può raggiungere- Tommaso dice che essa dà all’anima la forza di non spaventarsi per l’accesso al mondo superiore (propter accessum ad superna)[21]. È questa a prima vista una ben strana asserzione .Essa diventa però più comprensibile se si pensa che secondo concordi  esperienze di tutti i grandi mistici , al principio e poi ancora , avanti  l’ultimo perfezionamento  della vita mistica, l’anima giunge come in una **notte oscura** dei sensi e dello spirito; e in questa essa deve sentire abbandonata e perduta , come uno che sta per annegare in alto mare. Giovanni della croce, il doctor mysticus , dice che nell’oscuro fuoco  di questa notte – che è come un vero purgatorio, la cui sofferenza supera in modo indicibile qualsiasi atto di penitenza volontaria che un asceta possa escogitare- Iddio con  mano inesorabile risanatrice, purifica i sensi e lo spirito dalle scorie del peccato.

            Il cristiano che osa gettarsi in questa oscurità e con questo salto , staccando la presa della propria mano, preoccupato della sicurezza,**si abbandona** alla assoluta alla assoluta volontà di Dio , realizzando in tal modo l’essenza della fortezza strettamente intessa ; per raggiungere la perfezione dell’amore egli va incontro a ciò che è temibile; egli non teme di perdere la propria vita per amore della vita ; egli è pronto ad essere ucciso dalla vista del Signore. (**nessun uomo mi vede e resta in vita**Ex.33-20).

Soltanto  così diviene evidente il senso proprio della locuzione **virtù eroica**: il fondamento di questo grado di vita interiore , - grado che essenzialmente lo sviluppo dei doni dello Spirito Santo[22]- è veramente la fortezza , che è la virtù per eccellenza e in primo luogo **eroica** e da cui viene tale denominazione, e precisamente la fortezza sopraelevata dalla grazia, e propria della vita mistica . La grande maestra della mistica cristiana, Teresa d’Avila dice che tra le prime  condizioni della perfezione sta, innanzi tutto, la fortezza , Nella sua autobiografia, si trova la seguente proposizione assai precisa nella sua formula:**Io ritengo che un uomo non perfetto , per camminare nella vita della perfezione , abbia più bisogno di fortezza che di diventare improvvisamente martire**[23].

            In questi  più alti gradi della fortezza , che il martire raggiunge in un unico potente impeto coraggioso , mancano le forze naturali della perseveranza. Al loro posto  entra in campo lo Spirito Santo della fortezza , che agisce **in noi ma senza di noi ** -tanto che noi vinciamo l’oscurità e conquistiamo la riva scoscesa della luce. Quando la luce , fortificante ed illuminante, di ogni certezza naturale – non esclusa la metafisica- impallidisce, e quando nell’esperienza dell’estrema tribolazione , essa si muta in una problematica mal sicura , lo Spirito dà all’uomo quella certezza della felice vittoria:certezza soprannaturale, senza turbamento anche se velata. Senza tale certezza , lotta e ferita sono obbiettivamente insopportabili, anche nel campo soprannaturale.Nel dono della fortezza lo Spirito Santo infonde nell’anima una fiducia che supera ogni timore: poiché Egli condurrà l’uomo verso la vita eterna, che è la mira finale di tutte le buone azioni e la definitiva salvezza da ogni pericolo[24].

 

            Questo tipo sovrumano di fortezza è un dono in senso assoluto. Alle vittorie di questa fortezza i maestri della chiesa hanno sempre applicato la parola della sacra scrittura:**non con la spada essi conquistarono il paese; il loro  braccio non li aiutò in questo. Ma la tua mano destra, il tuo braccio e lo splendore del tuo viso ; poiché tu fosti benigno verso di loro (Ps.44[43], 4).

 

            Agostino e Tommaso associano le beatitudini alla fortezza dono dello Spirito Santo

**beati coloro che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati**

            il dono soprannaturale della fortezza non libera affatto i cristiani dalla fame e sete di giustizia; esso non dispensa dalla dolorosa necessità di accettare la ferita e , in caso estremo, la morte nella lotta per la realizzazione del bene. Ma la verità di fede dell’appagamento finale – il quale nei primi gradi della fortezza e soprattutto  della vita interiore, viene conosciuto e posseduto per così dire soltanto  **teoricamente**- si eleva , in questo grado più alto  ad una evidenza così immediata  e tale da smuovere  la volontà quale naturalmente soltanto quella più profonda della fame e della sete , che del resto non perdono niente della loro penosa realtà, appare la certezza dell’**appagamento** che supera ogni misura , in realtà così convincente che tale certezza è già **beatitudine**

da Dominum et Vivificantem” di Giovanni Paolo II 1986

lo Spirito Santo ha assunto la guida invisibile - ma in certo modo «percepibile» - di coloro che, dopo la dipartita del Signore Gesù, sentivano profondamente di essere rimasti orfani. Con la venuta dello Spirito essi si sono sentiti idonei a compiere la missione loro affidata. Si sono sentiti pieni di fortezza.

4. Lo Spirito Santo nel rafforzamento dell'«uomo interiore»

58. Il mistero della Risurrezione e della Pentecoste è annunciato e vissuto dalla Chiesa, che è l'erede e la continuatrice della testimonianza degli apostoli circa la risurrezione di Gesù Cristo. Essa è la testimone perenne di questa vittoria sulla morte, che ha rivelato la potenza dello Spirito Santo e ha determinato la sua nuova venuta, la sua nuova presenza negli uomini e nel mondo. Infatti nella risurrezione di Cristo lo Spirito Santo Paraclito si è rivelato soprattutto come colui che dà la vita: «Colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito, che abita in voi». Nel nome della risurrezione di Cristo la Chiesa annuncia la vita, che si è manifestata oltre il limite della morte, la vita che è più forte della morte. Al tempo stesso, essa annuncia colui che dà questa vita: lo Spirito vivificatore; lo annuncia e con lui coopera nel dare la vita. Infatti, se «il corpo è morto a causa del peccato..., lo spirito è vita a causa della giustificazione», operata da Cristo crocifisso e risorto. E in nome della risurrezione di Cristo la Chiesa serve la vita che proviene da Dio stesso, in stretta unione ed in umile servizio allo Spirito. Proprio per questo servizio l'uomo diventa in modo sempre nuovo la «via della Chiesa», come ho già detto nell'Enciclica su Cristo Redentore ed ora ripeto in questa sullo Spirito Santo. Unita con lo Spirito, la Chiesa è consapevole più di ogni altro della realtà dell'uomo interiore, di ciò che nell'uomo è più profondo ed essenziale, perché spirituale ed incorruttibile. A questo livello lo Spirito innesta la «radice dell'immortalità», dalla quale spunta la nuova vita: cioè, la vita dell'uomo in Dio, che, come frutto della sua autocomunicazione salvifica nello Spirito Santo, può svilupparsi e consolidarsi solo sotto l'azione di costui. Perciò, l'Apostolo si rivolge a Dio in favore dei credenti, ai quali dichiara: «Piego le ginocchia davanti al Padre..., perché vi conceda... di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell'uomo interiore». Sotto l'influsso dello Spirito Santo matura e si rafforza quest'uomo interiore, cioè «spirituale». Grazie alla divina comunicazione lo spirito umano, che «conosce i segreti dell'uomo», si incontra con lo «Spirito che scruta le profondità di Dio». In questo Spirito, che è il dono eterno, Dio uno e trino si apre all'uomo, allo spirito umano. Il soffio nascosto dello Spirito divino fa sì che lo spirito umano si apra, a sua volta, davanti all'aprirsi salvifico e santificante di Dio. Per il dono della grazia, che viene dallo Spirito, l'uomo entra in «una vita nuova», viene introdotto nella realtà soprannaturale della stessa vita divina e diventa «dimora dello Spirito Santo», «tempio vivente di Dio». Per lo Spirito Santo, infatti, il Padre e il Figlio vengono a lui e prendono dimora presso di lui. Nella comunione di grazia con la Trinità si dilata l'«area vitale» dell'uomo, elevata al livello soprannaturale della vita divina. L'uomo vive in Dio e di Dio: vive «secondo lo Spirito» e «pensa alle cose dello Spirito».

59. L'intima relazione con Dio nello Spirito Santo fa sì che l'uomo comprenda in modo nuovo anche se stesso la propria umanità. Viene così realizzata pienamente quell'immagine e somiglianza di Dio, che è l'uomo sin dall'inizio. Tale intima verità dell'essere umano deve essere di continuo riscoperta alla luce di Cristo, che è il prototipo del rapporto con Dio, e, in lui, deve essere anche riscoperta la ragione del «ritrovarsi pienamente attraverso un dono sincero di sé» con gli altri uomini, come scrive il Concilio Vaticano II: proprio in ragione della somiglianza divina che «manifesta che nella terra l'uomo... è l'unica creatura che Dio abbia voluto per se stessa», nella sua dignità di persona, ma aperta all'integrazione e alla comunione sociale. La conoscenza efficace e l'attuazione piena di questa verità dell'essere avvengono solo per opera dello Spirito Santo. L'uomo impara questa verità da Gesù Cristo e la attua nella propria vita per opera dello Spirito, che egli stesso ci ha dato. Su questa via - sulla via di una tale maturazione interiore, che include la piena scoperta del senso dell'umanità - Dio si fa intimo all'uomo, penetra sempre più a fondo in tutto il mondo umano. Dio uno e trino, che in se stesso «esiste» come trascendente realtà di dono interpersonale, comunicandosi nello Spirito Santo come dono all'uomo, trasforma il mondo umano dal di dentro, dall'interno dei cuori e delle coscienze. Su questa via il mondo, reso partecipe del dono divino, diventa - come insegna il Concilio - «sempre più umano, sempre più profondamente umano», mentre in esso matura, mediante i cuori e le coscienze degli uomini, il Regno in cui Dio sarà definitivamente «tutto in tutti»: come dono e amore. Dono e amore: è questa l'eterna potenza dell'aprirsi di Dio uno e trino all'uomo e al mondo, nello Spirito Santo. Nella prospettiva dell'anno Duemila dalla nascita di Cristo si tratta di ottenere che un numero sempre più grande di uomini «possa ritrovarsi pienamente... attraverso un dono sincero di sé», secondo la citata espressione del Concilio. Che sotto l'azione dello Spirito Paraclito si realizzi nel nostro mondo quel processo di vera maturazione nell'umanità, nella vita individuale e in quella comunitaria, in ordine al quale Gesù stesso, «quando prega il Padre perché "tutti siano una cosa sola, come io e te siamo una cosa sola" (Gv 17,21), ci ha suggerito una certa similitudine tra l'unione delle Persone divine e l'unione dei figli di Dio nella verità e nella carità». Il Concilio ribadisce tale verità sull'uomo, e la Chiesa vede in essa un'indicazione particolarmente forte e determinante dei propri compiti apostolici. Se, infatti, l'uomo è la via della Chiesa, questa via passa attraverso tutto il mistero di Cristo, come divino modello dell'uomo. Su questa via lo Spirito Santo, rafforzando in ciascuno di noi «l'uomo interiore», fa sì che l'uomo sempre meglio «si ritrovi attraverso un dono sincero di sé». Si può dire che in queste parole della Costituzione pastorale del Concilio si riassuma tutta l'antropologia cristiana: quella teoria e prassi, fondata sul Vangelo, nella quale l'uomo scoprendo in se stesso l'appartenenza a Cristo e, in lui, l'elevazione a figlio di Dio, comprende meglio anche la sua dignità di uomo, proprio perché è il soggetto dell'avvicinamento e della presenza di Dio, il soggetto della condiscendenza divina, nella quale è contenuta la prospettiva ed addirittura la radice stessa della definitiva glorificazione. Allora si può veramente ripetere che «gloria di Dio è l'uomo vivente, ma vita dell'uomo è la visione di Dio»: l'uomo, vivendo una vita divina, è la gloria di Dio, e di questa vita e di questa gloria lo Spirito Santo è il dispensatore nascosto. Egli - dice il grande Basilio - «semplice nell'essenza, molteplice nelle sue virtù..., si diffonde senza che subisca alcuna diminuzione, è presente a ciascuno di quanti sono capaci di riceverlo come se fosse lui solo, ed in tutti infonde la grazia sufficiente e completa».

60. Quando, sotto l'influsso del Paraclito, gli uomini scoprono questa dimensione divina del loro essere e della loro vita, sia come persone che come comunità, essi sono in grado di liberarsi dai diversi determinismi derivati principalmente dalle basi materialistiche del pensiero, della prassi e della sua relativa metodologia. Nella nostra epoca questi fattori sono riusciti a penetrare fin nell'intimo dell'uomo, in quel santuario della coscienza dove lo Spirito Santo immette di continuo la luce e la forza della vita nuova secondo la «libertà dei figli di Dio». La maturazione dell'uomo in questa vita è impedita dai condizionamenti e dalle pressioni, che su di lui esercitano le strutture e i meccanismi dominanti nei diversi settori della società. Si può dire che in molti casi i fattori sociali, anziché favorire lo sviluppo e l'espansione dello spirito umano, finiscono con lo strapparlo alla genuina verità del suo essere e della sua vita - sulla quale veglia lo Spirito Santo - per sottometterlo al «principe di questo mondo». Il grande Giubileo del Duemila contiene, pertanto, un messaggio di liberazione ad opera dello Spirito, che solo può aiutare le persone e le comunità a liberarsi dai vecchi e nuovi determinismi, guidandole con la «legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù», così scoprendo e attuando la piena misura della vera libertà dell'uomo. Infatti - come scrive san Paolo - là «dove c'è lo Spirito del Signore, c'è libertà». Tale rivelazione della libertà e, dunque, della vera dignità dell'uomo acquista una particolare eloquenza per i cristiani e per la Chiesa in stato di persecuzione - sia nei tempi antichi, sia in quello presente: perché i testimoni della Verità divina diventano allora una vivente verifica dell'azione dello Spirito di verità, presente nel cuore e nella coscienza dei fedeli, e non di rado segnano col loro martirio la suprema glorificazione della dignità umana. Anche nelle comuni condizioni della società i cristiani, come testimoni dell'autentica dignità dell'uomo, per la loro obbedienza allo Spirito Santo, contribuiscono al molteplice «rinnovamento della faccia della terra», collaborando con i loro fratelli per realizzare e valorizzare tutto ciò che nell'odierno progresso della civiltà, della cultura, della scienza, della tecnica e degli altri settori del pensiero e dell'attività umana, è buono, nobile e bello. Ciò fanno come discepoli di Cristo, che - come scrive il Concilio - «con la sua risurrezione costituito Signore,... opera nel cuore degli uomini con la virtù del suo Spirito, non solo suscitando il desiderio del mondo futuro, ma per ciò stesso anche ispirando, purificando e fortificando quei generosi propositi, con i quali la famiglia degli uomini cerca di rendere più umana la propria vita e di sottomettere a questo fine tutta la terra». Così essi affermano ancor più la grandezza dell'uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio, grandezza che s'illumina al mistero dell'incarnazione del Figlio di Dio, il quale «nella pienezza del tempo», per opera dello Spirito Santo, è entrato nella storia e si è manifestato vero uomo, lui generato prima di ogni creatura, «in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui».

Dalle pagine web del sito ufficiale del vaticano per il giubileo http://www.vatican.va/jubilee_2000/magazine/documents/ju_mag_01121997_p-12_it.html#top

 

Eleuterio F. Fortino

Lo Spirito viene in soccorso alla nostra debolezza (estratto)

A quest'aspetto positivo corrisponde un secondo che esprime la debolezza della condizione umana e della situazione anomala della comunità cristiana divisa. L'uomo è legato alla «caducità» a cui il mondo stesso è sottomesso. Il creato «soffre e geme fino ad oggi», così come «anche noi gemiamo interiormente» (Rom 8, 19-23). Si è in attesa della liberazione. E l'attesa comprende una mistura di sentimenti, di sofferenza e di speranza. La stessa situazione dell'uomo è di incompiutezza e di aspirazioni. «Poichè nella speranza siamo stati salvati»(Rom 8, 24).

Per quanto riguarda la ricerca della piena unità del cristiani, il Concilio Vaticano Il aveva esplicitamente ricordato la incapacità umana di porvi rimedio. Questo proposito di riconciliare tutti i cristiani «supera le forze e le doti umane». Perciò il Concilio «ripone tutta la sua speranza nell'orazione di Cristo per la Chiesa, nell'amore del Padre per noi e nella forza dello Spirito Santo»(UR 24). Proprio alla nostra debolezza e alla nostra incapacità viene in soccorso lo Spirito. «Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza» (Rom 8, 26). Viene in soccorso innanzitutto perchè noi possiamo chiedere al Padre ciò che conviene alla nostra salvezza, per il raggiungimento della piena unità e per il nostro stesso bene «perchè noi nemmeno sappiamo che cosa conviene domandare»(Rom 8, 26).In vari modi si esplica il soccorso dello Spirito:

  1. Gesù ha detto ai suoi discepoli: «Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto»(Gv 14, 26). La piena comunione non sarà trovata in qualche accordo compromissorio, ma attorno alla Parola di Dio, attorno a quanto «ci ha detto» il Signore. La si troverà nella scia della grande Tradizione ecclesiale continuamente ispirata dalla presenza dello Spirito. Questa funzione anamnetica dello Spirito è una sicurezza per i cristiani per non disperdersi in vane ricerche di insufficiente modelli di unità. Lo Spirito insegnerà ogni cosa.
  2. In secondo luogo lo Spirito assolverà ad una funzione pedagogica, orientativa, epifanica. «Quando verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera»(Gv 16, 18). Questa promessa di funzione mistagogica è una garanzia per il dialogo ecumenico orientato al superamento delle divergenze nell'affermazione della verità rivelata. La verità tutta intera collocherà nella giusta prospettiva - forse in una nuova sintesi organica di affermazioni complementari - delle formulazioni teologiche parziali, ma non esclusive di altri aspetti possibili e veri.
  3. Infine lo Spirito - Spirito di consiglio e di fortezza - sosterrà l'intelligenza e fortificherà la volontà per proseguire la ricerca dell'unità che si dimostra sempre più chiaramente come fondata sull'Evangelo.

 

L'ANNO DELLO SPIRITO SANTO
I segni della speranza: i popoli

LO SPIRITO SANTO SORGENTE INESAURIBILE DI DONI (estratto)
Angelo Amato

 «Vieni, datore dei doni»
[]…San Giovanni, parlando della nostra vocazione alla comunione con Dio-Amore, afferma: «Da questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha fatto dono del suo Spirito» (1Gv 4,13). È nello Spirito che noi amiamo Dio. Per questo S. Agostino afferma che «lo Spirito santo è il dono di Dio a tutti coloro che per mezzo suo amano Dio»1. Lo Spirito ci abilita al rapporto interpersonale con Dio, all'alleanza tra il nostro «io» e il «tu» divino: «Il dono dello Spirito significa chiamata all'amicizia, nella quale le trascendenti profondità di Dio vengono, in qualche modo, aperte alla partecipazione da parte dell'uomo» (Dominum et Vivificantem, n. 34). È quanto S. Paolo diceva: «Viviamo sotto il dominio dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in noi» (Rm 8,5.9); «Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito» (Gal 5,25).

Per rendere possibile e facilitare questo cammino lo Spirito si fa sorgente di molteplici doni, frutti, carismi. Per questo nella solennità di Pentecoste lo invochiamo: «Vieni, Santo Spirito, vieni, datore dei doni». Tradizionalmente si parla dei sette doni dello Spirito Santo: «la sapienza, l'intelletto, il consiglio, la fortezza, la scienza, la pietà e il timore di Dio» (CCC n. 1831). Attribuiti in prima istanza al Messia (cf. Is 11,1-2)2, nel quale si realizzano in pienezza, questi doni perfezionano le virtù del battezzato, rendendolo docile e obbediente a seguire le mozioni dello Spirito. Se la vocazione del cristiano è la santità, i doni dello Spirito servono per agevolare la pratica delle virtù sia teologali (fede, speranza, carità), sia morali (prudenza, giustizia, fortezza, temperanza). Spesso la tradizione teologica ha messo in correlazione i singoli doni con le singole virtù. Ad esempio, il dono del timore viene visto in corrispondenza con la virtù della temperanza e il dono della sapienza con la virtù della carità. In realtà ogni singolo dono facilita l'esercizio di tutte le virtù, che ne escono fortemente rafforzate. Più che in una graduatoria o su una scala i doni devono essere messi in reciproca circolarità e correlazione…[]

 

 

 

 Da :I segni della speranza: la testimonianza

ACCETTAZIONE DI UN DONO ( estratto)
Susanna Tamaro Scrittrice

[]…Naturalmente ricevere il dono è soltanto il punto di partenza, la strada per rendere questo dono esplicito è spesso lunga e faticosa, carica di sofferenze. E richiede la totale confidenza nei carismi dello Spirito Santo - intelletto, scienza, consiglio, timor di Dio, fortezza, pietà, sapienza. Perché, quand’anche si riuscisse a sviluppare con successo il talento, ci sono subito pronte le potenti insidie del mondo, prime fra tutte la vanità, l’orgoglio e l’avidità, con tutte le conseguenze di oscurità, di falsi valori e di confusione. Basta abbandonare anche per poco la confidenza e il sostegno dello Spirito perché l’umiltà si trasformi nel suo opposto, la superbia….[]

DECRETO
APOSTOLICAM ACTUOSITATEM ( estratto)
SULL'APOSTOLATO DEI LAICI

Il sacro Concilio, volendo rendere più intensa l'attività apostolica del popolo di Dio, con viva premura si rivolge ai fedeli laici, dei quali già altrove ha ricordato il ruolo proprio e assolutamente necessario che essi svolgono nella missione della Chiesa. L'apostolato dei laici, infatti, derivando dalla loro stessa vocazione cristiana, non può mai venir meno nella Chiesa. La stessa sacra Scrittura mostra abbondantemente quanto spontanea e fruttuosa fosse tale attività ai primordi della Chiesa (cfr. At 11,19-21; 18,26; Rm 16,1-16; Fil 4,3).

I nostri tempi poi non richiedono minore zelo da parte dei laici; anzi le circostanze odierne richiedono assolutamente che il loro apostolato sia più intenso e più esteso. Infatti l'aumento costante della popolazione, il progresso scientifico e tecnico, le relazioni umane che si fanno sempre più strette, non solo hanno allargato straordinariamente il campo dell'apostolato dei laici, in gran parte accessibile solo ad essi, ma hanno anche suscitato nuovi problemi, che richiedono il loro sollecito impegno e zelo.

[…]Tutti i laici facciano pure gran conto della competenza professionale, del senso della famiglia, del senso civico e di quelle virtù che riguardano i rapporti sociali, come la correttezza, lo spirito di giustizia, la sincerità, la cortesia, la fortezza di animo: virtù senza le quali non ci può essere neanche una vera vita cristiana. […]

Sabino M. Palumbieri

Il Risorto è la risposta alle nostre domande. Ed è la domanda ad ogni nostra risposta.
Noi siamo la debolezza. Lui è la fortezza.
Noi siamo l'incostanza. Lui è la perseveranza.
Noi siamo la notte. Lui è la luce.
Nonostante tutto, noi siamo la stasi. Al di sopra di tutto, Lui è la Pasqua.

_____

In breve:

Il compilatore suggerisce, per coloro che sono animati da spirito di sintesi, la lettura dell’articolo dell’Ardusso qui di seguito riportato

IL DONO DELLA FORTEZZA

Sopportare e agire

di FRANCO ARDUSSO

Il cristiano trova la fortezza fra le quattro virtù cardinali (prudenza-giustizia-fortezza-temperanza) e fra i sette doni dello Spirito Santo. Alle virtù si attribuisce soprattutto una Franco Ardusso.qualità attiva, mentre i doni, che completano l’opera delle virtù, sono caratterizzati dalla passività, consistente nel lasciarsi guidare e plasmare dallo Spirito Santo e dalle sue ispirazioni, al fine di diventare suoi docili strumenti. Un autore del secolo XVII, il Lallemant, paragona il cammino di chi è guidato dai doni a una nave col vento in poppa, e il cammino di chi è sorretto dalla virtù al faticoso remare di una barca in preda alle onde del mare. Il dono della fortezza completa e perfeziona la virtù che porta lo stesso nome. Essa si caratterizza per la lotta e la resistenza nei confronti di tutto ciò che si oppone al raggiungimento del bene e ci causa fatica, dolore, angoscia. Il martirio è il più alto esercizio della fortezza. Colui che è forte è disposto anche ad affrontare la morte per realizzare il bene. Essere forti significa forse non avere paura?

Nient’affatto. «L’essenza della fortezza», ha scritto J. Pieper, «non consiste nel non conoscere la paura, ma nel non lasciarsi indurre al male dalla paura, o nel non lasciarsi da essa distogliere nel fare il bene». La fortezza entra in azione in due maniere là dove c’è un bene difficile da raggiungere: sopportando e aggredendo. Innanzitutto sopporta o resiste al male pazientando, perseverando con costanza e longanimità. Ma essa aggredisce anche il male con il coraggio, la fiducia e la speranza di una buona riuscita. San Tommaso d’Aquino ritiene che l’atto più importante della fortezza consiste nel resistere e nel pazientare. La pazienza, da non confondere con la rassegnazione, è la virtù dei forti. Santa Teresa d’Avila sostiene che ci vuole più coraggio nel camminare nella via della perfezione giorno per giorno che non per far fronte a un improvviso martirio. Il sopportare e l’agire intrepido, soprattutto in condizioni difficili (e tale può essere la snervante monotonia dei giorni!), non è certo facile: l’uomo conosce la paura, la meschinità, la pusillanimità, l’instabilità, eccetera.

Il dono della fortezza sostiene la nostra debolezza, e così ci è possibile contare sulla potenza stessa che lo Spirito mette a nostra disposizione, e ci consente di mantenerci saldi nella fede, senza lasciarci sviare dalle tentazioni e dalle lusinghe del mondo e dall’egoismo calcolatore e opportunista che ci abita. Un fine letterato contemporaneo ha descritto la fortezza come il dono, in virtù del quale «l’anima con trepida fermezza, senza sterili rimpianti per il passato, e senza vane paure per il futuro, tutta concretamente calata nel presente, accetta il combattimento interiore che ogni minuto reca con sé, radicato in quella disposizione di gagliardo impegno cui le parole di Gesù richiamano chi di lui vuole essere seguace: il regno dei cieli subisce violenza, e i violenti lo rapiscono» (G. Getto). Nella "notte scura" dei sensi e dello spirito, i mistici sperimentarono in modo particolarmente efficace il dono della fortezza che consentì loro di abbandonarsi fiduciosamente a Dio, superando timori e incertezze paralizzanti.



[1] In prima pagina di copertina “la vergine e il bambino”Leonardo da Vinci

[2] Josef Pieper, die wirklichkeit und das Gute(Kosel,Munchen,1949) pag 83 e segg.; dello stesso autore,sachlichkeit (obbiettività) und klugheit, in **der katholische Gedanke**

[3] Berndardo di Chiaravalle , sermone de diversis 18,I;Migne patrologia Latina,vol.183,pag587-de imitazionie christi.libro 2 , cap.1,31.

[4] Commentario alle sentenze ( Tommaso) 3,d.33,2,5.

[5] Ver.,14;5adII;3,d.27;2,4,3.

[6] Virt.card.,1.

[7] Summa II.II.129.5ad2

[8] summa II,II,126,2ad1.

[9] Tucidide , la guerra del peloponesso,libro2.

[10] Enarrationes in psalmos 34,13.

[11] Summa II,II,123,12ad3.

[12] De officis,I,35.

[13] Summa II ,II ,123,1ad2.

[14] Summa II,II,123,4.

[15] Summa II, II, 123, 4.

[16] Summa II, II, 123, 6 ad 2.

[17] Summa II, II, 136, 4 ad 2.

[18] Fritz Kunkel, Neurastenie und Hysterie; Handbuch der individualpsychologie (E. Wexberg,monaco 1926)

[19] Summa I, II, 68, 2

[20] Summa I, II, 62, 5.

[21] Summa I, II, 62, 5.

[22] Summa II, II, 159, 2 ad 1.

[23] La vita di Santa Teresa di Gesù, descritta da lei stessa. A cura di Aloysius Alkonfer Monaco 1933)

[24] Summa II, II 139,1.

 

 

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