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INDICE
I DONI DELLO SPIRITO NEL VECCHIO TESTAMENTO ESTRATTO SULLA FORTEZZA DI PIPIER La
fortezza non può fidare in se stessa Fortezza vitale,morale e mistica Dalla DOMINUM ET VIVIFICANTEM Lo Spirito nel rafforzamento dell’uomo interiore Eleuterio F.
Fortino:Lo Spirito in soccorso alla nostra debolezza
Angelo Amato :Lo Spirito sorgente inesauribile di doni Susanna Tamaro : Accettazione di un dono APOSTOLICAM ACTUOSITATEM (sull’apostolato dei laici) Sabino M. Palumbieri: il risorto è la risposta …In breve : il dono della fortezza (Ardusso) I doni dello Spirito nel vecchio testamento «il Signore Dio plasmò l'essere umano con polvere del suolo e
soffiò nelle sue narici uno spirito di vita e l'essere umano divenne uno
spirito vivente» (Gn 2, 7). «Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di
sapienza, di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di
conoscenza e di timore del Signore» (Is 11. 2). «Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito
nuovo... Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei
statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi» (Ez 36,
27). «Io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno
profeti i vostri figli e le vostre figlie. Anche sopra gli schiavi e sulle
schiave, in quei giorni, effonderò il mio spirito» (Gl 3f 1-2). «Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire... essi [gli
apostoli] furono tutti ripieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in
altre lingue, come lo spirito dava loro il potere di esprimersi» (At 2f
1,4). Estratto da sulla fortezza di Josef Pieper (1965) La
fortezza presuppone la vulnerabilità; senza vulnerabilità non vi è
assolutamente la possibilità di fortezza. Un angelo non può essere forte,
poiché non è vulnerabile. Esser forte significa cioè: saper accettare una
ferita. L’uomo può essere forte proprio perché è essenzialmente
vulnerabile.
Ferita : con questo si intende ogni attentato, che va contro la mia
volontà, della naturale incolumità, ogni offesa dell’essere che riposa in se
stesso, tutto ciò che accade contro la nostra volontà
a noi e in noi, tutto ciò dunque che è in qualche modo negativo,
doloroso, dannoso, angosciante e opprimente.
L’estrema e più profonda ferita è però la morte. E anche le lesioni
non mortali sono immagini della morte; questa estrema violazione, quest’ultimo
**No** si rispecchia ed agisce nelle violazioni precedenti. Così
ogni fortezza si riferisce alla morte; ogni fortezza sta in vista della morte.
Fortezza è in fondo disposizione a morire, per meglio dire :disposizione a
cadere, cioè: a morire nella lotta. Ogni ferita dell’essere naturale avviene in funzione della morte. Così
ogni agire con fortezza trova alimento nella disposizione alla morte come nella
sua più profonda radice, anche se, apparentemente, l’azione può sembrare
ancor assai lontana persino da qualunque pensiero di morte. Una **fortezza** che
non giunge sino alla profondità della disposizione a cadere è guasta nella
radice e senza efficacia reale. La
disposizione si dimostra nell’impegno e la fortezza si perfeziona nella
testimonianza del sangue. Il martirio è la specifica e la più alta opera,
propria della fortezza. La disposizione al martirio è la radice
essenziale di ogni fortezza cristiana. Senza questa disposizione non vi
è fortezza cristiana. Un’epoca
dal cui campo visivo scompaiono il concetto e la reale possibilità della
testimonianza del sangue deve necessariamente avvilire la fortezza ad una
bravata. Si deve osservare però che questa scomparsa può accadere in molti
modi. All’idea imborghesita che la verità e il bene **vincono** da sé senza
l’impegno della persona, è strettamente coordinato il facile entusiasmo che
non si stanca di parlare della **gioiosa disposizione al martirio**: identica è
nei due casi la deformazione dell’essenza della testimonianza del sangue. La
Chiesa pensa diversamente su questo punto. Da una parte essa spiega : la
disposizione alla testimonianza del sangue per Cristo cade direttamente sotto il
precetto divino strettamente obbligatorio ( cadit sub praecepto);
**l’uomo deve ritenersi pronto a farsi uccidere piuttosto che rinnegare Cristo
o peccare gravemente** . Essere
pronti alla morte è dunque uno dei fondamenti della vita cristiana. Daltra
parte però, per quanto riguarda l’entusiasmo facilone per il martirio,
sentiamo quel che pensa la chiesa dei martiri . La
chiesa primitiva , da Cipriano a Gregorio da Naziano ad Ambrogio, hanno ammesso
persino, come sembra, che Dio toglierà prima la forza di resistere a coloro che
baldanzosamente sollecitarono la testimonianza del sangue,fidando nella loro
determinazione. Tommaso d’Aquino infine, nella cui summa un articolo tratta
per così dire delle **gioie della fortezza**(utrum fortis delectetur in suo
actu), dice che la sofferenza del martirio copre persino la gioia spirituale
dell’azione grata a Dio **a meno che la sovrabbondante grazia divina elevi
l’anima con strapotente forza verso le cose divine**. Davanti alla prosaica
dura realtà che entra in campo in queste gravi asserzioni tutti gli entusiasmi
parolai e i semplicismi svaniscono nel
nulla. Ma soltanto allora si fa luce sul vero significato di questo fatto
fondamentalmente che la Chiesa
annovera la prontezza alla testimonianza del sangue tra le basi fondamentali
della vita dei cristiani. L’accettazione
della ferita costituisce una parte, il carattere preliminare della fortezza. Il
forte non accetta la ferita per se stessa. Egli vuole invece per mezza di essa
conservare o conquistare un’incolumità più profonda e più essenziale! Questa
certezza di diventare partecipe di una incolumità, nel ricevere la ferita,
nella lotta per il bene –incolumità che è più strettamente e più
intimamente legata all’essenza della vita umana di ogni tranquillità
puramente naturale – questa certezza non è mai venuta meno nella coscienza
cristiana; anche se ai critici e agli avversari del cristianesimo non è sempre
riuscito di scoprire e di apprezzare giustamente questa certezza e il posto che
essa tra le forze vitali cristiane. Il
martirio apparve alla Chiesa primitiva come una vittoria, sia pure una vittoria
mortale:**Egli vince con la sua
morte per la fede; vivendo senza la
fede sarebbe vinto**. Dice S.massimo di Torino
, un vescovo del V sec., parlando del martire. E Tertuliano :**Noi vinciamo se
veniamo condotti davanti ai giudici**. Il fatto che queste vittorie comportino
la morte oppure delle ferite, fa parte delle condizioni alle quali il cristiano,
e forse non soltanto il cristiano, è nel mondo. Tommaso d’Aquino pare quasi
ritenere legato all’assenza della fortezza, che essa lotti contro il prevalere
del male, che il forte vinca soltanto morendo o ricevendo ferite. Innanzi
tutto e prima di tutto: il forte non accetta la ferita per se stessa. La
sofferenza per amore della sofferenza è un controsenso non meno per il
cristiano che per l’uomo naturale. Il cristiano non disprezza le cose che
vengono annientate dalla ferita. Il martire non disprezza senz’altro
la vita anche se la ritiene inferiore a ciò per cui si sacrifica. Il
cristiano ama la sua vita , dice Tommaso, non soltanto con le forze naturali del
corpo che anelano alla vita ma anche con le forze morali dell’anima
spirituale. E ciò non è detto come una giustificazione. Non si intende con
questo che l’uomo ami la sua vita naturale appunto perché egli sia soltanto un uomo, ma che egli le ami proprio
ed in quanto egli sia un uomo buono. La stessa cosa vale tanto per la vita
stessa quanto anche per tutta la cerchia di ciò che è racchiuso nella naturale
integrità: gioia, salute, successo felicità. Tutte queste cose sono beni più
alti , la cui perdita ferirebbe più profondamente il nucleo essenziale
dell’esistenza umana. Tutto
ciò non viene invalidato dal fatto che la vita eroica dei santi e dei cristiani
è naturalmente, tutt’altra cosa che il risultato di un calcolo
accuratamente soppesato della perdita e del guadagno. Questa
**tensione** non si può risolvere in un accordo; per lo spirito finito e per la
vita terrena, essa, in ogni modo, non può essere respinta ed annullata. Ma essa
è piena di contraddizioni né più né meno della frase del vangelo :
chi ama la propria vita, questi la perderà (Jo. 12,25) Essa non è maggiormente
incomprensibiledel fatto sorprendente che Tommaso d’Aquino, aperto alla verità
e rivolto al mondo, al quale così spesso si ricorre a favore di un chiaro
ottimistico riguardo a questo mondo, questo stesso Tommaso insegni: alla
conoscenza veramente penetrante delle cose create corrisponde una fondamentale
tristezza ; una tristezza così insuperabile che non può essere tolta
all’uomo da alcuna volontà( foss’anche quella tristezza di cui si parla
nelle beatitudini nel discorso della montagna: beati coloro che piangono perché
saranno consolati). È
assolutamente senza prospettive voler superare il confine dell’inconoscibile.
Questi problemi del significato e
della misura dell’olocausto di beni naturali, sfociano direttamente nel
mistero impenetrabile, che è connaturato alla concreta esistenza dell’uomo
stesso, cioè con la esistenza di un essere corporeo-spirituale,
creato-innalzato, caduto e redento. La fortezza non
può fidare in se stessa
Se l’essere della fortezza consiste nell’accettare ferite nella lotta
per la realizzazione del bene, si presuppone allora che il forte sappia che cosa
è il bene e che egli sia forte precisamente per amore del bene. ** Per il bene
il forte si espone al pericolo della morte ** . **La fortezza
nel superamento del pericolo ,non cerca il pericolo , ma la realizzazione
del bene ragionevole** . **Accettare la morte non significa lodare la morte in sé
per sé , ma soltanto in vista del bene** .
Non è la ferita che importa ma la realizzazione del bene.
Perciò la Fortezza , sebbene pretenda dall’uomo la cosa più
difficile, non è la prima né la più alta tra le virtù. Poiché non sono la
difficoltà e lo sforzo che fanno la virtù, ma soltanto il bene.
La fortezza rimanda ad alcunché di più originario secondo natura. Essa
è essenzialmente qualche cosa di secondario, qualche cosa di subordinato,
qualche cosa che riceve la sua misura- ed è inserita in un ordine disposto
secondo significato e grado, del
quale essa non è il primo membro. La fortezza non è indipendente, non regge su
se stessa Essa riceve il suo preciso significato soltanto in relazione a qualche
cosa d’altro. **la fortezza non può fidare in se
stessa ** dice Ambrogio. Anche un fanciullo sa che nella serie delle virtù
cardinali la fortezza è al terzo posto. Questo ordine di enumerazione non è
casuale: o al tempo stessi una successione di significato.
Prudenza e giustizia precedono la fortezza.Ciò non significa
nient’altro che questo : senza prudenza e giustizia non vi è fortezza;
soltanto chi è prudente e giusto può essere anche forte; è semplicemente
impossibile essere veramente forti senza essere appunto anche , per ciò stesso
, prudenti e giusti.
Non è dunque possibile paralare dell’essenza della fortezza senza aver
presente la sua relazione con la prudenza e la giustizia.
In primo luogo : soltanto il prudente può essere forte. Fortezza senza
prudenza non è fortezza. La sorpresa che nasce in noi, quando riflettiamo su
questa proposizione, dimostra la
misura di quanto ci siamo estraniati dai fondamenti naturali della classica
dottrina di vita della Chiesa . soltanto il tempo presente comincia, esitante a
scoprire nuovamente il posto della prudenza nel sistema delle virtù e l’alto
suo rango, quale si manifesta in quella proporzione. Mettere insieme fortezza e
prudenza contraddice , in certo senso, la concezione che ha l’uomo odierno
della prudenza e della fortezza. Ciò deriva in parte dal fatto
che l’uso linguistico di oggi , con l’espressione prudenza non vuole
significare precisamente ciò che
ha inteso la teologia classica con prudentia e discretio. Per
prudenza intendiamo piuttosto l’astuzia , che permette allo scaltro, al
**furbo**, al **tattico** di sottrarsi all’impegno assai pericoloso della
persona e con ciò di sfuggire alla ferita e persino alla possibilità di una
ferita. Prudenza : a noi sembra che essa sia piuttosto quella falsa
**circospezione** e quella **calma riflessione** alla quale si appella il vile
per poter evitare guai. A tale **prudenza** la fortezza appare francamente
imprudente e stupida.
Forse si dovrebbe associare al concetto di prudenza un’altra immagine
terminologica tedesca. ( La sociologia del linguaggio
ha messo sull’avviso che appunto nelle espressione
linguistiche di concetti, relativi a norme morali, il vero e proprio
significato primitivo impallidisce ben presto, svanisce o si deforma nel
significato precisamente opposto ; da ciò risulterebbe il dovere di un sempre
di un sempre vigile rimodellamento creativo della terminologia etica). Io ho
proprio proposto occasionalmente di parlare di **obbiettività** invece che di
**prudenza**[2],
sebbene non si debba negare che anche il significato di questa parola nella
lingua usuale coincide solo in parte con il significato classico di prudentia
e discretio. Tuttavia con ciò riesce più felice avere un’idea di questo
significato.
È oggettivo colui che nel suo giudizio e nel suo agire si conforma
al**logos obbiettivo** della realtà. Ma è questo appunto anche il primitivo e
preciso significato della prudenza. Si intende la **sapienza** di colui al quale
tutto ha il sapore, quale realmente è, cui sapiunt omnia prout sunt (come è
detto nella formulazione sublimemente semplice di san Bernardo di Chiaravalle e
dell’imitazione di Cristo)[3]. La prudenza ha un doppio aspetto. Uno , conoscente ,
**ricevente la misura**, è rivolto alla realtà; l’altro , decidente ,
imperante , e **dante misura** è rivolto alla volontà e all’azione. Nel primo aspetto della prudenza si
rispecchia la verità delle cose reali; in questo si rende visibile la norma
dell’agire.
E il rapporto della prudenza con la realtà viene essenzialmente prima
del suo rapporto con l’azione. La prudenza- conoscendo e dirigendo -
**traduce** la verità delle cose reali nella bontà dell’agire umano. E
l’agire umano è obbiettivamente buono soltanto per il fatto che esso è riconvertibile** in
vera conoscenza delle cose: il peccato poggia sempre anche , non soltanto!, su
una opinione erronea dell’essenza delle cose.
Così la prudenza non è
semplicemente la prima nell’ordine delle virtù cardinali, ma è addirittura
la genetrix virtutum[4]
; essa genera le altre virtù; è la forma del corpo [5].
Dall’uomo operante si pretende innanzi tutto che abbia una conoscenza della
realtà, e precisamente una
conoscenza direttiva intorno all’agire;
questa **conoscenza direttiva** costituisce l’essenza della prudenza[6]
**ogni virtù morale deve essere prudente**. Senza prudenza non vi è né
giustizia né fortezza né temperanza. Tutte e tre sono frutto della prudenza.
La fortezza diventa dunque la fortezza per il fatto che è **informata**
dalla prudenza . Il doppio significato di questa parola **informare** è molto
importante. **Informare** significa primieramente e ne, nell’uso odierno della
lingua,principalmente: istruire; in secondo luogo questa parola come espressione
specifica scolastica e come diretta derivazione del latino informare, significa:
dare l’intima forma. Riferiti al rapporto della prudenza e della fortezza,
questi due significati si intrecciano : nell’**insegnamento**che la fortezza
accoglie dalla prudenza, quella riceve da questa la sua intima forma cioè la
sua peculiare essenza come virtù.
La virtù della fortezza non ha niente a che fare con un cieco slancio,
pura espressione della forza vitale (essa d’altra parte presuppone una vitalità
sana, forse più di ogni altra virtù). Non è già forte colui , che senza
riflettere e senza discernere , si espone ad un pericolo
qualunque ; poiché questo non significa altro che ritenere ,
inconsciamente e indistintamente, che tutte
le cose possibili sono più importanti della
personale incolumità, messa in gioco per questo[7].Non
è il mettersi a repentaglio per una cosa qualunque che forma l’essenza della
fortezza, ma soltanto una dedizione di se stessi conforme alla ragione e cioè
alla vera essenza e al valore delle cose reali:**non qualitercumque,sed
secundum rationem**[8].
La vera fortezza presuppone un giusto apprezzamento delle cose : tanto di quelle
che si **arrischiano** come anche di quelle che si spera di conservare o di
conquistare con l’impegno.
Quella celebrazione greca, che pericle ha riassunto nelle elevate parole
del suo discorso per i caduti , esprime pure una cristiana saggezza : **Giacché
anche questa è la nostra maniera: osare più liberamente là dove abbiamo meglio riflettuto. In altri invece
soltanto l’ignoranza genera fortezza ;la riflessione poi genera avidità**[9]. La
prudenza dà a tutte le altre virtù cardinali, alla giustizia, alla fortezza,
alla temperanza, l’intima forma essenziale. Ma queste tre virtù non sono
dipendenti dalla prudenza allo steso modo.Prima di tutto la fortezza è meno
direttamente informata dalla
prudenza che la giustizia ; la
giustizia è la prima parola della
prudenza , la fortezza la seconda; la prudenza informa per così dire la
fortezza attraverso la giustizia. Per così dire la fortezza attraverso la
giustizia. La giustizia si affida unicamente agli occhi della prudenza , rivolti
alla realtà; la fortezza invece prudenza si affida nello stesso tempo alla
prudenza e alla giustizia. Così
Tommaso motiva l’ordine delle virtù cardinali : il bene proprio dell’uomo
è la realizzazione di se stesso secondo la verità
secondo la ragione , cioè secondo la verità delle cose reali. (Non
dobbiamo mai dimenticare che la teologia classica della Chiesa, ragione
significa sempre soltanto l’intentio verso la verità. Noi dobbiamo dunque
difenderci dalla tentazione di trasferire la nostra giustificata sfiducia,
beffarda nei riguardi della **ragione** sovrana della filosofia idealistica del
XIX sec., sulla ratio legata alla realtà , propria della scolastica). Questo
**bene razionale**, secondo il suo contenuto essenziale , sta nella conoscenza
direttiva propria della prudenza . Nella Giustizia
questo bene razionale si realizza attingendo concreta esistenza : **è
ufficio della giustizia introdurre
in tutte le cose umane l’ordine della
ragione** Le altre virtù- fortezza e temperanza- servono alla conservazione di
questo bene (sunt conservativae huius boni ) ; loro ufficio è preservare
l’uomo da una defezione del bene. Al contrario la fortezza protegge questa
realizzazione e le sgombra la strada. Ciò
non vuol dire soltanto che unicamente il prudente possa essere forte . vuol dire
inoltre che una **fortezza ** che non è informata dalla prudenza . senza la
**giusta causa** non vi è fortezza . Non è la ferita che decide , ma la causa
:**martyres non facit poena , sed causa**, dice sant’Agostino.[10] **L’uomo
non espone la sua persona al pericolo di morte , se non per salvare la
giustizia. Perciò la lode della fortezza dipende in qualche modo della
giustizia**[11];così
dice Tommaso d’Aquino. E il trattato di
Ambrogio intorno ai doveri dice :
**la fortezza senza giustizia è una leva dell’iniquità**[12]. Resistere e
assalire
Esser
forti non è la stessa cosa che non aver paura. La fortezza esclude,
senz’altro, una determinata specie di mancanza di paura , cioè quella che si
basa su un falso apprezzamento o una falsa
valutazione della realtà. Tale mancanza di paura
o è cieca e sorda dinanzi ad un pericolo reale , oppure proviene da un
pervertimento dell’amore. Poiché paura e amore dipendono una dall’altro :
quando uno non ama non teme nemmeno
, e chi ama erroneamente, erroneamente teme. Chi ha perduto la volontà di
vivere non teme la morte. Questa indifferenza stanca di vivere
è però ben lontana dalla vera fortezza; essa è un capovolgimento
dell’ordine naturale. La fortezza conosce , riconosce e conserva
l’ordine naturale delle cose. Il forte è veggente ; egli vede chela ferita
che prende su di se è un male. Egli non falsifica la realtà la realtà e non ne
cambia i valori ; ha per lui il gusto che ha in realtà: egli non ama la morte ,
non disprezza la vita. La fortezza presuppone, in un certo senso , che l’uomo
tema il male , la sua essenza non consiste nel conoscere paura, ma nel non
lasciarsi indurre al male dalla paura o nel non lasciarsi distogliere dal fare
il bene. Colui che – sia pure per amore del bene – si mette in un pericolo ,
senza essere conscio del rischio cui va incontro,oppure per istintivo ottimismo
(a me non accadrà nulla) o nella
fiducia fondata sulla propria forza naturale e sulla propria capacità di
lottare- questi non possiede già la virtù della fortezza[13]La
possibilità di essere forte nel senso genuino
della parola , è data soltanto quando viene a mancare ogni sicurezza
apparente o reale, cioè quando l’uomo naturale ha paura; e cioè non quando
teme a causa di timori infondati , ma quando egli , in base ad un preciso esame
della reale situazione delle cose , non può non temere, per così dire, con
giusto motivo. È realmente forte solo chi –nella situazione di un caso
assolutamente estremo, davanti al quale ogni miles gloriosus ammutolisce
e ogni gesto eroico si svigorisce,- va incontro a ciò che si deve temere e non si lascia impedire dal fare
il bene , e proprio per amore del bene , cioè alla fine per amore di Dio e non
già per orgoglio o per paura di esser ritenuto vile.
Il valore dell’ottimismo naturale, della forza e della capacità
naturale di lotta non viene per niente avvilito da questa precisazione; né il
suo significato vitale, né il grande suo significato morale vengono con ciò
diminuiti. È tuttavia importante vedere dove sta propriamente l’essenza della fortezza quale virtù; essa sta al di là
del vitale .Di fronte al martirio ogni naturale ottimismo diviene privo di senso
e ad ogni naturale capacità di lotta sono letteralmente legate le mani ; il
martirio è però il vero e più alto atto della fortezza e soltanto in questo
caso estremo si palesa l’essenza della fortezza , sulla quale vengono misurate
anche le sue attuazioni meno eroiche ( ad rationem virtutis pertinet, ut
respiciat ultimum – è proprio dell’essenza della virtù il guardare
all’estremo)[14].
Fortezza non vuol dire semplicemente mancanza di paura. È forte chi ,
pur sentendo la paura dei mali non estremi e transitori, non si lascia indurre a
rinunciare agli estremi e
intrinseci beni, e ad accettareciò che si deve temere in definitiva appartiene
, quale **negativa **dell’amore di Dio. Alle basi semplicemente necessarie
della fortezza ( e in genere di ogni virtù): **chi teme Dio non tremerà
davanti ad alcuna cosa**(Ecclus.34,16).
Chi dunque realizza il bene andando incontro a ciò che si deve temere,
alla ferita, questi è veramente forte, Questo **andare incontro** allo
spaventoso ha però due modalità. Che da parte loro formano i due atti-base
della fortezza :resistenza e assalto.
Ciò che è più inerente alla fortezza , il suo actus principalior, è
la resistenza e non l’assalto. Questa proporzione si san Tommaso[15]
ci appare strana e molti uomini di oggi la spiegherebbero probabilmente senza
indugiocome l’espressione di una concezione e di una dottrina di vita
tipicamente medioevale,**passivistica**. Tale spiegazione non colpirebbe
pienamente nel segno. Tommaso non pensa di considerare in generale la resistenza
come più alta dell’assalto di dire che, in ogni caso , sia più eroico
resistere che combattere. Ma che significa allora questa proposizione? Che il
**luogo** della fortezza è appunto quell’estremo caso grave, circoscritto ,
in cui la resistenza è l’unica
possibilità obbiettiva rimasta della opposizione e che in tale situazione la
fortezza si manifesta, per la prima volta e definitivamente l la sua autenticità
essenziale. Tuttavia appartiene senza dubbio alla visione del mondo cristiano ,
che l’uomo possa giungere nella situazione
di essere ferito o di cadere per la realizzazione del bene ; che dunque
il male , parlando con metro mondano, possa presentarsi come forza superiore -
una possibilità, che come si usa, è scomparsa dalla concezione del mondo
secondo il liberalismo illuministico.
Del resto ,soltanto in un senso esteriore,resistenza è qualche cosa di
passivo .Tommaso fa a se stesso questa obbiezione : se la fortezza è una
perfezione , allora la perseveranza non
può essere il suo proprio atto, poiché la resistenza è pura passività, è
sempre un fare attivo e più perfetto di un
passivo subire. A questo egli risponde: il resistere implica una grande
attività spirituale e cioè un fortissime inhaerere bono, un attenersi
al bene aggrappandovisi con ogni
energia; e soltanto in questa generosa attività trova alimento la forza per la sofferenza corporale e spirituale dovuta alla
ferita e alla morte[16]Non
si può negare che un cristianesimo piccolo borghese , domato e intimidito dai
criteri non cristiani , costituiti da un ideale di fortezza **eroico -
attivista**, nasconde questo stato di cose nella coscienza
comune e lo sfalsamento interpretato nel senso di un passivismo torbido e pieno di risentimento.
Ciò è ancor più esatto per
l’immagine vigente delle virtù della pazienza. Per Tommaso la pazienza è un
necessario elemento integrante della fortezza. Se noi troviamo assurda questa
coordinazione di pazienza e fortezza , non
è soltanto per il fatto che siamo soliti fraintendere facilmente per
attivismo l’essenza della
fortezza, non è soltanto per il fatto che siamo soliti fraintendere facilmente
per attivismo l’essenza della fortezza, ma prima di tutto per il fatto che
nella nostra idea - in netto contrasto con la teologia classica- la pazienza
ha preso il significato di una sofferenza di tutti i mali ai quali si va
incontro , o che persino si cercano: sofferenza che non vede e non discerne ,
felice nel **sacrificio**, afflitta , mesta , snervata. Invece la pazienza è
ben altra cosa che l’accettazione di qualche male senza alternativa:**non è
paziente chi non sfugge il male, ma chi non si lascia trasportare per questoad
una tristezza disordinata**[17].
Esser paziente significa non lasciarsi togliere la serenità e la lucidità
dell’anima dalle ferite che nascono nella realizzazione del bene.[…]
Chi è forte è appunto per questo anche paziente. Ma non vale il
contrario. Il forte non sa soltanto sopportare il male inevitabile senza intimo
smarrimento ; egli non cessa nemmeno di assalire il male e di allontanarlo, se
ciò è sensatamente possibile.per far questo
è però necessaria la disposizione all’assalto:coraggio, fiducia in se
stessi , e speranza di riuscire. […] Tommaso dice: fortis assumit iram ad actum
suum, il forte assume l’ira nel suo proprio atto, soprattutto
nell’assalto, **poiché è proprio dell’ira l’affrontare il male; cosicché
fortezza e ira agiscono direttamente l’una sull’altra. ( **passività e aggressività della fortezza**
nella dottrina classica)…Tuttavia resta fermo: la peculiarità della fortezza
non è nell’assalto , non nella fiducia in se stessi, non nell’ira, ma nella
resistenza e nella pazienza. Una delle caratteristiche fondamentali di questo
mondo , gettato nel disordine dal peccato originale, consiste in ciò, che la
suprema fortezza del bene si mostra nell’impotenza. E la parola del Signore :
**ecco io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi** ( mt.10,16) designa la
situazione , ancor oggi attuale , del cristiano nel mondo. FORTEZZA
VITALE, MORALE E MISTICA La virtù della fortezza preserva l’uomo
dall’amare la propria vita in modo tale da perderla.
Questa proposizione secondo la quale perde la propria vita chi la ma vale
per tutti i piani ontologici della realtà umana: nel piano
**pre-morale**della salute dell’anima, in quello propriamente **morale**
dell’etica naturale , e in quello **sopra-morale** dell’etica
soprannaturale. In tutti e tre i piani si può parlare sensatamente di fortezza
; però è da osservare che essa è “virtù umana” nello stretto senso ,
soltanto nel secondo ; nel primo non lo è ancora , nel terzo è più che
“virtù umana”.
Concettualmente questi tre ordini si possono separare nettamente l’uno
dall’altro; invece nella realtà dell’esistenza umana essi sono connessi
l’uno con l’altro; nessuno può dire nel singolo caso dove cessi la
sfera della colpa morale e cominci
quella dell’infermità psichica; e non vi
è virtù **puramente naturale** nell’**eone** cristiano, senza un reale
rapporto con l’ordine di grazia. Pertanto la fortezza compenetra tutti
questi ordini , come , per così dire, atteggiamento unitario essenziale
dell’uomo.
Alla moderna caratterologia, fondata sulla psichiatria dobbiamo l’idea
che la mancanza di coraggio nell’accettazione
della ferita e nell’offerta di se
di se stessi , deve essere enumerata tra le cause
più profonde di malattia psichica.
Carattere fondamentale di tutte le neurosi appare l’egocentrismo
ansioso: lo spasmodico desiderio di
sicurezza, l’incapacità di **abbandonarsi** di chi guarda continuamente
a se stesso , in breve quella
specie di amore della propria vita che conduce appunto alla perdita della vita.
È un fatto molto significativo e per nulla casuale che l’odierna
caratterologia citi, spesso espressamente , quella parola della scrittura:** chi
ama la propria vita , la perderà**. Tale
parola, oltre al suo significato religioso immediato, caratterizza esattamente
il risultato degli studi psichiatrico
–caratterologici :**L’io incorre in un pericolo sempre più grande quando più
grande è la cura con la quale si cerca di proteggerlo**[18]
Da un lato questa fortezza premortale- che come radice della salute
dell’anima , è strettamente legata alla sfera della **vitalità**- è
dipendente ed è conformata inconsciamente ed incontrollatamente dalla fortezza
propriamente morale; la quale , in virtù della anima forma corporis ,
agisce nella sfera del naturale
con la sua opera formatrice . dall’altro lato la fortezza pre-morale
- con una connessione altrettanto complessa – appare come la condizione
prima e il fondamento di questa vera fortezza spirituale dell’uomo e del
cristiano, la quale sorge dal fondamento della fortezza radicata nella **vitalità**.
La fortezza intellettuale e spirituale del cristiano si sviluppa secondo
i gradi di perfezione , soprattutto della vita intima.
Sebbene , secondo il rango della sua essenza, l’essere soprannaturale
sia incomparabilmente più alto dell’ordine
naturale, tuttavia esso è **in possesso** dell’uomo in maniera meno
perfetta. Le forze vitali naturali del corpo e dello spirito
sono senz’altro al suo servizio; invece la vita soprannaturale della
fede, della speranza e dell’amore gli è propria soltanto mediatamente.
Solo attraverso lo sviluppo dei doni dello Spirito Santo
- che sono dati al cristiano insieme alla virtù teologale della carità
– la vita soprannaturale diventa seconda natura, ci spinge alla santità, come
impulso **naturale**[19].
Dunque i gradi di perfezione della fortezza cristiana corrispondono ai
gradi dello sviluppo del donum fortiduninis, cioè a quella fortezza ,
dono della grazia, che viene enumerata tra i sette doni dello Spirito Santo.
Tommaso distingue tre gradi di perfezione della fortezza ( come in
generale per tutte le virtù cardinali). Il grado più basso , che viene assunto
però in quello immediatamente superiore, e non viene abbandonato , è
costituito dalla fortezza **politica** della vita sociale ordinaria di ogni
giorno. Quasi tutto quel che fu detto fin qui sulla fortezza- all’infuori
delle osservazioni sul martirio- è riferito a questo grado , cristianamente
parlando, iniziale. Progredendo interiormente dal primo grado al secondo
,espiatorio-purificante, della fortezza , l’uomo che si preoccupa di una più
alta realizzazione dell’immagine di Dio in se stesso , varca la soglia della
vera vita mistica. La vita mistica però non è altro che un più completo
sviluppo del soprannaturale amore di Dio e dei doni dello Spirito Santo. Il
terzo grado della fortezza- la fortitudo purgati animi , cioè la
fortezza già trasformata nella sua
essenza, propria **dello spirito purificato**,- si raggiungesui più alti
vertici della santità terrena, che sono già un principio della vita eterna[20]
Della fortitudo purgatoria – la quale segna dunque . generalmente , per
il cristiano il grado più alto di fortezza che si può raggiungere- Tommaso
dice che essa dà all’anima la forza di non spaventarsi per l’accesso al
mondo superiore (propter accessum ad superna)[21].
È questa a prima vista una ben strana asserzione .Essa diventa però più
comprensibile se si pensa che secondo concordi
esperienze di tutti i grandi mistici , al principio e poi ancora , avanti
l’ultimo perfezionamento della
vita mistica, l’anima giunge come in una **notte oscura** dei sensi e dello
spirito; e in questa essa deve sentire abbandonata e perduta , come uno che sta
per annegare in alto mare. Giovanni della croce, il doctor mysticus ,
dice che nell’oscuro fuoco di
questa notte – che è come un vero purgatorio, la cui sofferenza supera in
modo indicibile qualsiasi atto di penitenza volontaria che un asceta possa
escogitare- Iddio con mano
inesorabile risanatrice, purifica i sensi e lo spirito dalle scorie del peccato.
Il cristiano che osa gettarsi in questa oscurità e con questo salto ,
staccando la presa della propria mano, preoccupato della sicurezza,**si
abbandona** alla assoluta alla assoluta volontà di Dio , realizzando in tal
modo l’essenza della fortezza strettamente intessa ; per raggiungere la
perfezione dell’amore egli va incontro a ciò che è temibile; egli non teme
di perdere la propria vita per amore della vita ; egli è pronto ad essere
ucciso dalla vista del Signore. (**nessun uomo mi vede e resta in
vita**Ex.33-20). Soltanto
così diviene evidente il senso proprio della locuzione **virtù
eroica**: il fondamento di questo grado di vita interiore , - grado che
essenzialmente lo sviluppo dei doni dello Spirito Santo[22]-
è veramente la fortezza , che è la virtù per eccellenza e in primo luogo
**eroica** e da cui viene tale denominazione, e precisamente la fortezza
sopraelevata dalla grazia, e propria della vita mistica . La grande maestra
della mistica cristiana, Teresa d’Avila dice che tra le prime
condizioni della perfezione sta, innanzi tutto, la fortezza , Nella sua
autobiografia, si trova la seguente proposizione assai precisa nella sua
formula:**Io ritengo che un uomo non perfetto , per camminare nella vita della
perfezione , abbia più bisogno di fortezza che di diventare improvvisamente
martire**[23].
In questi più alti gradi della fortezza , che il martire raggiunge in
un unico potente impeto coraggioso , mancano le forze naturali della
perseveranza. Al loro posto entra
in campo lo Spirito Santo della fortezza , che agisce **in noi ma senza di noi
** -tanto che noi vinciamo l’oscurità e conquistiamo la riva scoscesa della
luce. Quando la luce , fortificante ed illuminante, di ogni certezza naturale
– non esclusa la metafisica- impallidisce, e quando nell’esperienza
dell’estrema tribolazione , essa si muta in una problematica mal sicura , lo
Spirito dà all’uomo quella certezza della felice vittoria:certezza
soprannaturale, senza turbamento anche se velata. Senza tale certezza , lotta e
ferita sono obbiettivamente insopportabili, anche nel campo soprannaturale.Nel
dono della fortezza lo Spirito Santo infonde nell’anima una fiducia che supera
ogni timore: poiché Egli condurrà l’uomo verso la vita eterna, che è la
mira finale di tutte le buone azioni e la definitiva salvezza da ogni pericolo[24].
Questo tipo sovrumano di fortezza è un dono in senso assoluto. Alle
vittorie di questa fortezza i maestri della chiesa hanno sempre applicato la
parola della sacra scrittura:**non con la spada essi conquistarono il paese; il
loro braccio non li aiutò in
questo. Ma la tua mano destra, il tuo braccio e lo splendore del tuo viso ;
poiché tu fosti benigno verso di loro (Ps.44[43], 4).
Agostino e Tommaso associano le beatitudini alla fortezza dono dello
Spirito Santo **beati
coloro che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati**
il dono soprannaturale della fortezza non libera affatto i cristiani
dalla fame e sete di giustizia; esso non dispensa dalla dolorosa necessità di
accettare la ferita e , in caso estremo, la morte nella lotta per la
realizzazione del bene. Ma la verità di fede dell’appagamento finale – il
quale nei primi gradi della fortezza e soprattutto
della vita interiore, viene conosciuto e posseduto per così dire
soltanto **teoricamente**- si eleva
, in questo grado più alto ad una
evidenza così immediata e tale da
smuovere la volontà quale naturalmente soltanto quella più profonda
della fame e della sete , che del resto non perdono niente della loro penosa
realtà, appare la certezza dell’**appagamento** che supera ogni misura , in
realtà così convincente che tale certezza è già **beatitudine** da “Dominum
et Vivificantem” di Giovanni Paolo II 1986 lo Spirito Santo
ha assunto la guida invisibile - ma in certo modo «percepibile» - di coloro
che, dopo la dipartita del Signore Gesù, sentivano profondamente di essere
rimasti orfani. Con la venuta dello Spirito essi si sono sentiti idonei a
compiere la missione loro affidata. Si sono sentiti pieni di fortezza. 4. Lo Spirito Santo nel
rafforzamento dell'«uomo interiore» 58. Il mistero della Risurrezione e della Pentecoste è
annunciato e vissuto dalla Chiesa, che è l'erede e la continuatrice della
testimonianza degli apostoli circa la risurrezione di Gesù Cristo. Essa è la
testimone perenne di questa vittoria sulla morte, che ha rivelato la potenza
dello Spirito Santo e ha determinato la sua nuova venuta, la sua nuova presenza
negli uomini e nel mondo. Infatti nella risurrezione di Cristo lo Spirito Santo
Paraclito si è rivelato soprattutto come colui che dà la vita: «Colui che ha
risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per
mezzo del suo Spirito, che abita in voi». Nel nome della risurrezione di Cristo
la Chiesa annuncia la vita, che si è manifestata oltre il limite della morte,
la vita che è più forte della morte. Al tempo stesso, essa annuncia colui che
dà questa vita: lo Spirito vivificatore; lo annuncia e con lui coopera nel dare
la vita. Infatti, se «il corpo è morto a causa del peccato..., lo spirito è
vita a causa della giustificazione», operata da Cristo crocifisso e risorto. E
in nome della risurrezione di Cristo la Chiesa serve la vita che proviene da Dio
stesso, in stretta unione ed in umile servizio allo Spirito. Proprio per questo
servizio l'uomo diventa in modo sempre nuovo la «via della Chiesa», come ho già
detto nell'Enciclica su Cristo Redentore ed ora ripeto in questa sullo Spirito
Santo. Unita con lo Spirito, la Chiesa è consapevole più di ogni altro della
realtà dell'uomo interiore, di ciò che nell'uomo è più profondo ed
essenziale, perché spirituale ed incorruttibile. A questo livello lo Spirito
innesta la «radice dell'immortalità», dalla quale spunta la nuova vita: cioè,
la vita dell'uomo in Dio, che, come frutto della sua autocomunicazione salvifica
nello Spirito Santo, può svilupparsi e consolidarsi solo sotto l'azione di
costui. Perciò, l'Apostolo si rivolge a Dio in favore dei credenti, ai quali
dichiara: «Piego le ginocchia davanti al Padre..., perché vi conceda... di
essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell'uomo interiore». Sotto
l'influsso dello Spirito Santo matura e si rafforza quest'uomo interiore, cioè
«spirituale». Grazie alla divina comunicazione lo spirito umano, che «conosce
i segreti dell'uomo», si incontra con lo «Spirito che scruta le profondità di
Dio». In questo Spirito, che è il dono eterno, Dio uno e trino si apre
all'uomo, allo spirito umano. Il soffio nascosto dello Spirito divino fa sì che
lo spirito umano si apra, a sua volta, davanti all'aprirsi salvifico e
santificante di Dio. Per il dono della grazia, che viene dallo Spirito, l'uomo
entra in «una vita nuova», viene introdotto nella realtà soprannaturale della
stessa vita divina e diventa «dimora dello Spirito Santo», «tempio vivente di
Dio». Per lo Spirito Santo, infatti, il Padre e il Figlio vengono a lui e
prendono dimora presso di lui. Nella comunione di grazia con la Trinità si
dilata l'«area vitale» dell'uomo, elevata al livello soprannaturale della vita
divina. L'uomo vive in Dio e di Dio: vive «secondo lo Spirito» e «pensa alle
cose dello Spirito». 59. L'intima relazione con Dio nello Spirito Santo fa sì
che l'uomo comprenda in modo nuovo anche se stesso la propria umanità. Viene
così realizzata pienamente quell'immagine e somiglianza di Dio, che è l'uomo
sin dall'inizio. Tale intima verità dell'essere umano deve essere di continuo
riscoperta alla luce di Cristo, che è il prototipo del rapporto con Dio, e, in
lui, deve essere anche riscoperta la ragione del «ritrovarsi pienamente
attraverso un dono sincero di sé» con gli altri uomini, come scrive il
Concilio Vaticano II: proprio in ragione della somiglianza divina che «manifesta
che nella terra l'uomo... è l'unica creatura che Dio abbia voluto per se stessa»,
nella sua dignità di persona, ma aperta all'integrazione e alla comunione
sociale. La conoscenza efficace e l'attuazione piena di questa verità
dell'essere avvengono solo per opera dello Spirito Santo. L'uomo impara questa
verità da Gesù Cristo e la attua nella propria vita per opera dello Spirito,
che egli stesso ci ha dato. Su questa via - sulla via di una tale maturazione
interiore, che include la piena scoperta del senso dell'umanità - Dio si fa
intimo all'uomo, penetra sempre più a fondo in tutto il mondo umano. Dio uno e
trino, che in se stesso «esiste» come trascendente realtà di dono
interpersonale, comunicandosi nello Spirito Santo come dono all'uomo, trasforma
il mondo umano dal di dentro, dall'interno dei cuori e delle coscienze. Su
questa via il mondo, reso partecipe del dono divino, diventa - come insegna il
Concilio - «sempre più umano, sempre più profondamente umano», mentre in
esso matura, mediante i cuori e le coscienze degli uomini, il Regno in cui Dio
sarà definitivamente «tutto in tutti»: come dono e amore. Dono e amore: è
questa l'eterna potenza dell'aprirsi di Dio uno e trino all'uomo e al mondo,
nello Spirito Santo. Nella prospettiva dell'anno Duemila dalla nascita di Cristo
si tratta di ottenere che un numero sempre più grande di uomini «possa
ritrovarsi pienamente... attraverso un dono sincero di sé», secondo la citata
espressione del Concilio. Che sotto l'azione dello Spirito Paraclito si realizzi
nel nostro mondo quel processo di vera maturazione nell'umanità, nella vita
individuale e in quella comunitaria, in ordine al quale Gesù stesso, «quando
prega il Padre perché "tutti siano una cosa sola, come io e te siamo una
cosa sola" (Gv 17,21), ci ha suggerito una certa similitudine tra
l'unione delle Persone divine e l'unione dei figli di Dio nella verità e nella
carità». Il Concilio ribadisce tale verità sull'uomo, e la Chiesa vede in
essa un'indicazione particolarmente forte e determinante dei propri compiti
apostolici. Se, infatti, l'uomo è la via della Chiesa, questa via passa
attraverso tutto il mistero di Cristo, come divino modello dell'uomo. Su questa
via lo Spirito Santo, rafforzando in ciascuno di noi «l'uomo interiore», fa sì
che l'uomo sempre meglio «si ritrovi attraverso un dono sincero di sé». Si può
dire che in queste parole della Costituzione pastorale del Concilio si riassuma
tutta l'antropologia cristiana: quella teoria e prassi, fondata sul Vangelo,
nella quale l'uomo scoprendo in se stesso l'appartenenza a Cristo e, in lui,
l'elevazione a figlio di Dio, comprende meglio anche la sua dignità di uomo,
proprio perché è il soggetto dell'avvicinamento e della presenza di Dio, il
soggetto della condiscendenza divina, nella quale è contenuta la prospettiva ed
addirittura la radice stessa della definitiva glorificazione. Allora si può
veramente ripetere che «gloria di Dio è l'uomo vivente, ma vita dell'uomo è
la visione di Dio»: l'uomo, vivendo una vita divina, è la gloria di Dio, e di
questa vita e di questa gloria lo Spirito Santo è il dispensatore nascosto.
Egli - dice il grande Basilio - «semplice nell'essenza, molteplice nelle sue
virtù..., si diffonde senza che subisca alcuna diminuzione, è presente a
ciascuno di quanti sono capaci di riceverlo come se fosse lui solo, ed in tutti
infonde la grazia sufficiente e completa». 60. Quando, sotto l'influsso del Paraclito, gli uomini
scoprono questa dimensione divina del loro essere e della loro vita, sia come
persone che come comunità, essi sono in grado di liberarsi dai diversi
determinismi derivati principalmente dalle basi materialistiche del pensiero,
della prassi e della sua relativa metodologia. Nella nostra epoca questi fattori
sono riusciti a penetrare fin nell'intimo dell'uomo, in quel santuario della
coscienza dove lo Spirito Santo immette di continuo la luce e la forza della
vita nuova secondo la «libertà dei figli di Dio». La maturazione dell'uomo in
questa vita è impedita dai condizionamenti e dalle pressioni, che su di lui
esercitano le strutture e i meccanismi dominanti nei diversi settori della
società. Si può dire che in molti casi i fattori sociali, anziché favorire lo
sviluppo e l'espansione dello spirito umano, finiscono con lo strapparlo alla
genuina verità del suo essere e della sua vita - sulla quale veglia lo Spirito
Santo - per sottometterlo al «principe di questo mondo». Il grande Giubileo
del Duemila contiene, pertanto, un messaggio di liberazione ad opera dello
Spirito, che solo può aiutare le persone e le comunità a liberarsi dai vecchi
e nuovi determinismi, guidandole con la «legge dello Spirito, che dà vita in
Cristo Gesù», così scoprendo e attuando la piena misura della vera libertà
dell'uomo. Infatti - come scrive san Paolo - là «dove c'è lo Spirito del
Signore, c'è libertà». Tale rivelazione della libertà e, dunque, della vera
dignità dell'uomo acquista una particolare eloquenza per i cristiani e per la
Chiesa in stato di persecuzione - sia nei tempi antichi, sia in quello presente:
perché i testimoni della Verità divina diventano allora una vivente verifica
dell'azione dello Spirito di verità, presente nel cuore e nella coscienza dei
fedeli, e non di rado segnano col loro martirio la suprema glorificazione della
dignità umana. Anche nelle comuni condizioni della società i cristiani, come
testimoni dell'autentica dignità dell'uomo, per la loro obbedienza allo Spirito
Santo, contribuiscono al molteplice «rinnovamento della faccia della terra»,
collaborando con i loro fratelli per realizzare e valorizzare tutto ciò che
nell'odierno progresso della civiltà, della cultura, della scienza, della
tecnica e degli altri settori del pensiero e dell'attività umana, è buono,
nobile e bello. Ciò fanno come discepoli di Cristo, che - come scrive il
Concilio - «con la sua risurrezione costituito Signore,... opera nel cuore
degli uomini con la virtù del suo Spirito, non solo suscitando il desiderio del
mondo futuro, ma per ciò stesso anche ispirando, purificando e fortificando
quei generosi propositi, con i quali la famiglia degli uomini cerca di rendere
più umana la propria vita e di sottomettere a questo fine tutta la terra». Così
essi affermano ancor più la grandezza dell'uomo, fatto a immagine e somiglianza
di Dio, grandezza che s'illumina al mistero dell'incarnazione del Figlio di Dio,
il quale «nella pienezza del tempo», per opera dello Spirito Santo, è entrato
nella storia e si è manifestato vero uomo, lui generato prima di ogni creatura,
«in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui». Dalle pagine web del sito ufficiale del
vaticano per il giubileo
http://www.vatican.va/jubilee_2000/magazine/documents/ju_mag_01121997_p-12_it.html#top Eleuterio F. Fortino Lo Spirito viene in soccorso alla nostra
debolezza (estratto) A quest'aspetto positivo corrisponde un secondo che
esprime la debolezza della condizione umana e della situazione anomala della
comunità cristiana divisa. L'uomo è legato alla «caducità» a cui il mondo
stesso è sottomesso. Il creato «soffre e geme fino ad oggi», così come «anche
noi gemiamo interiormente» (Rom 8, 19-23). Si è in attesa della
liberazione. E l'attesa comprende una mistura di sentimenti, di sofferenza e di
speranza. La stessa situazione dell'uomo è di incompiutezza e di aspirazioni.
«Poichè nella speranza siamo stati salvati»(Rom 8, 24). Per quanto riguarda la ricerca della piena unità del
cristiani, il Concilio Vaticano Il aveva esplicitamente ricordato la incapacità
umana di porvi rimedio. Questo proposito di riconciliare tutti i cristiani «supera
le forze e le doti umane». Perciò il Concilio «ripone tutta la sua speranza
nell'orazione di Cristo per la Chiesa, nell'amore del Padre per noi e nella
forza dello Spirito Santo»(UR 24). Proprio alla nostra debolezza e alla
nostra incapacità viene in soccorso lo Spirito. «Lo Spirito viene in aiuto
alla nostra debolezza» (Rom 8, 26). Viene in soccorso innanzitutto perchè
noi possiamo chiedere al Padre ciò che conviene alla nostra salvezza, per il
raggiungimento della piena unità e per il nostro stesso bene «perchè noi
nemmeno sappiamo che cosa conviene domandare»(Rom 8, 26).In vari modi si
esplica il soccorso dello Spirito:
L'ANNO DELLO SPIRITO SANTO LO SPIRITO SANTO SORGENTE INESAURIBILE DI DONI (estratto) «Vieni, datore dei doni» Per rendere
possibile e facilitare questo cammino lo Spirito si fa sorgente di molteplici
doni, frutti, carismi. Per questo nella solennità di Pentecoste lo invochiamo:
«Vieni, Santo Spirito, vieni, datore dei doni». Tradizionalmente si parla dei
sette doni dello Spirito Santo: «la sapienza, l'intelletto, il consiglio, la
fortezza, la scienza, la pietà e il timore di Dio» (CCC n. 1831).
Attribuiti in prima istanza al Messia (cf. Is 11,1-2)2,
nel quale si realizzano in pienezza, questi doni perfezionano le virtù del
battezzato, rendendolo docile e obbediente a seguire le mozioni dello Spirito.
Se la vocazione del cristiano è la santità, i doni dello Spirito servono per
agevolare la pratica delle virtù sia teologali (fede, speranza, carità), sia
morali (prudenza, giustizia, fortezza, temperanza). Spesso la tradizione
teologica ha messo in correlazione i singoli doni con le singole virtù. Ad
esempio, il dono del timore viene visto in corrispondenza con la virtù della
temperanza e il dono della sapienza con la virtù della carità. In realtà ogni
singolo dono facilita l'esercizio di tutte le virtù, che ne escono fortemente
rafforzate. Più che in una graduatoria o su una scala i doni devono essere
messi in reciproca circolarità e correlazione…[] Da
:I segni della speranza: la testimonianza ACCETTAZIONE
DI UN DONO ( estratto) []…Naturalmente
ricevere il dono è soltanto il punto di partenza, la strada per rendere questo
dono esplicito è spesso lunga e faticosa, carica di sofferenze. E richiede la
totale confidenza nei carismi dello Spirito Santo - intelletto, scienza,
consiglio, timor di Dio, fortezza, pietà, sapienza. Perché, quand’anche si
riuscisse a sviluppare con successo il talento, ci sono subito pronte le potenti
insidie del mondo, prime fra tutte la vanità, l’orgoglio e l’avidità, con
tutte le conseguenze di oscurità, di falsi valori e di confusione. Basta
abbandonare anche per poco la confidenza e il sostegno dello Spirito perché
l’umiltà si trasformi nel suo opposto, la superbia….[] DECRETO Il sacro
Concilio, volendo rendere più intensa l'attività apostolica del popolo di Dio,
con viva premura si rivolge ai fedeli laici, dei quali già altrove ha ricordato
il ruolo proprio e assolutamente necessario che essi svolgono nella missione
della Chiesa. L'apostolato dei laici, infatti, derivando dalla loro stessa
vocazione cristiana, non può mai venir meno nella Chiesa. La stessa sacra
Scrittura mostra abbondantemente quanto spontanea e fruttuosa fosse tale attività
ai primordi della Chiesa (cfr. At 11,19-21; 18,26; Rm 16,1-16; Fil 4,3). I nostri tempi
poi non richiedono minore zelo da parte dei laici; anzi le circostanze odierne
richiedono assolutamente che il loro apostolato sia più intenso e più esteso.
Infatti l'aumento costante della popolazione, il progresso scientifico e
tecnico, le relazioni umane che si fanno sempre più strette, non solo hanno
allargato straordinariamente il campo dell'apostolato dei laici, in gran parte
accessibile solo ad essi, ma hanno anche suscitato nuovi problemi, che
richiedono il loro sollecito impegno e zelo. […]Tutti i
laici facciano pure gran conto della competenza professionale, del senso della
famiglia, del senso civico e di quelle virtù che riguardano i rapporti sociali,
come la correttezza, lo spirito di giustizia, la sincerità, la cortesia, la
fortezza di animo: virtù senza le quali non ci può essere neanche una vera
vita cristiana. […] Il Risorto è la risposta alle nostre domande. Ed è la
domanda ad ogni nostra risposta. _____ In breve: Il compilatore suggerisce, per
coloro che sono animati da spirito di sintesi, la lettura dell’articolo
dell’Ardusso qui di seguito riportato Sopportare e agire di FRANCO ARDUSSO Il cristiano trova la fortezza fra le quattro virtù cardinali (prudenza-giustizia-fortezza-temperanza) e fra i sette doni dello Spirito Santo. Alle virtù si attribuisce soprattutto una qualità attiva, mentre i doni, che completano l’opera delle virtù, sono caratterizzati dalla passività, consistente nel lasciarsi guidare e plasmare dallo Spirito Santo e dalle sue ispirazioni, al fine di diventare suoi docili strumenti. Un autore del secolo XVII, il Lallemant, paragona il cammino di chi è guidato dai doni a una nave col vento in poppa, e il cammino di chi è sorretto dalla virtù al faticoso remare di una barca in preda alle onde del mare. Il dono della fortezza completa e perfeziona la virtù che porta lo stesso nome. Essa si caratterizza per la lotta e la resistenza nei confronti di tutto ciò che si oppone al raggiungimento del bene e ci causa fatica, dolore, angoscia. Il martirio è il più alto esercizio della fortezza. Colui che è forte è disposto anche ad affrontare la morte per realizzare il bene. Essere forti significa forse non avere paura? Nient’affatto. «L’essenza della fortezza», ha scritto J. Pieper, «non consiste nel non conoscere la paura, ma nel non lasciarsi indurre al male dalla paura, o nel non lasciarsi da essa distogliere nel fare il bene». La fortezza entra in azione in due maniere là dove c’è un bene difficile da raggiungere: sopportando e aggredendo. Innanzitutto sopporta o resiste al male pazientando, perseverando con costanza e longanimità. Ma essa aggredisce anche il male con il coraggio, la fiducia e la speranza di una buona riuscita. San Tommaso d’Aquino ritiene che l’atto più importante della fortezza consiste nel resistere e nel pazientare. La pazienza, da non confondere con la rassegnazione, è la virtù dei forti. Santa Teresa d’Avila sostiene che ci vuole più coraggio nel camminare nella via della perfezione giorno per giorno che non per far fronte a un improvviso martirio. Il sopportare e l’agire intrepido, soprattutto in condizioni difficili (e tale può essere la snervante monotonia dei giorni!), non è certo facile: l’uomo conosce la paura, la meschinità, la pusillanimità, l’instabilità, eccetera. Il dono della fortezza sostiene la nostra debolezza, e così ci è possibile contare sulla potenza stessa che lo Spirito mette a nostra disposizione, e ci consente di mantenerci saldi nella fede, senza lasciarci sviare dalle tentazioni e dalle lusinghe del mondo e dall’egoismo calcolatore e opportunista che ci abita. Un fine letterato contemporaneo ha descritto la fortezza come il dono, in virtù del quale «l’anima con trepida fermezza, senza sterili rimpianti per il passato, e senza vane paure per il futuro, tutta concretamente calata nel presente, accetta il combattimento interiore che ogni minuto reca con sé, radicato in quella disposizione di gagliardo impegno cui le parole di Gesù richiamano chi di lui vuole essere seguace: il regno dei cieli subisce violenza, e i violenti lo rapiscono» (G. Getto). Nella "notte scura" dei sensi e dello spirito, i mistici sperimentarono in modo particolarmente efficace il dono della fortezza che consentì loro di abbandonarsi fiduciosamente a Dio, superando timori e incertezze paralizzanti. [1] In prima pagina di copertina “la vergine e il bambino”Leonardo da Vinci [2]
Josef Pieper, die wirklichkeit und das Gute(Kosel,Munchen,1949)
pag 83 e segg.; dello stesso autore,sachlichkeit (obbiettività)
und klugheit, in **der katholische Gedanke** [3] Berndardo di Chiaravalle , sermone de diversis 18,I;Migne patrologia Latina,vol.183,pag587-de imitazionie christi.libro 2 , cap.1,31. [4] Commentario alle sentenze ( Tommaso) 3,d.33,2,5. [5]
Ver.,14;5adII;3,d.27;2,4,3. [6] Virt.card.,1. [7] Summa II.II.129.5ad2 [8] summa II,II,126,2ad1. [9] Tucidide , la guerra del peloponesso,libro2. [10]
Enarrationes in psalmos 34,13. [11] Summa II,II,123,12ad3. [12]
De officis,I,35. [13] Summa II ,II ,123,1ad2. [14]
Summa II,II,123,4. [15]
Summa II, II, 123, 4. [16] Summa II, II, 123, 6 ad 2. [17] Summa II, II, 136, 4 ad 2. [18]
Fritz Kunkel, Neurastenie und Hysterie; Handbuch der individualpsychologie
(E. Wexberg,monaco 1926) [19] Summa I, II, 68, 2 [20] Summa I, II, 62, 5. [21] Summa I, II, 62, 5. [22] Summa II, II, 159, 2 ad 1. [23] La vita di Santa Teresa di Gesù, descritta da lei stessa. A cura di Aloysius Alkonfer Monaco 1933) [24]
Summa II, II 139,1. |
2001 2000 |