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L’umanità a caccia di Alieni!  
 

  Siamo soli nell’universo? Questa è la domanda che da sempre l’uomo si è posto nel disperato tentativo di dare una spiegazione alla immensità dell’universo, così vuoto e disabitato.

Domanda che è sfociata in due distinti e contrapposti filoni. Il primo è quella che viene chiamata “Ufologia”, ossia una teoria che tenta di dare una spiegazione ai presunti avvistamenti di UFO, che avvengono ormai da oltre cinquanta anni in tutto il mondo.

Il secondo è una ricerca scientifica accurata, che coinvolge i maggiori paesi industrializzati e che vede l’impiego di Radiotelescopi, come quello italiano del Cnr a Medicina (Bo), capace di analizzare contemporaneamente 24 milioni di canali radio.

Questo tipo di ricerca iniziò trent’anni fa, quando un astronomo americano, Frank Drake, sviluppò una formula per stimare il numero di civiltà extraterrestri esistenti nell’universo.

Tale formula è però basata su un metodo non rigoroso, utilizza in pratica fattori che non sono scientificamente determinabili in modo univoco, ma sono frutto di speculazioni.

Essa è espressa in maniera matematicamente semplice in quanto si serve solo di moltiplicazioni tra parametri cosmici, biologici e tecnologici. Si scrive così:

N=R f n l i c L

N rappresenta il numero di civiltà tecnologicamente evolute nella nostra sola Galassia, R è il numero di stelle presenti in media nella Galassia, f la frazione di stelle che può possedere un sistema planetario, n il numero di pianeti che potrebbero permettere l’evoluzione della vita, l il numero di pianeti dove attualmente è sviluppata la vita (il fattore tempo è importante in quanto il periodo di evoluzione tecnologica di una civiltà su un pianeta potrebbe non coincidere con quello di una civiltà su un altro pianeta), i è il numero di pianeti dove la vita ha raggiunto uno stadio intelligente, c il numero di pianeti dove si è raggiunta una tecnologia atta alla comunicazione interstellare, infine L è la vita media di tali civiltà tecnologiche.

Ebbene, pur introducendo i parametri più pessimistici pensabili, si ottiene comunque un numero esorbitante, pari a centinaia di milioni!

Questo risultato eccezionale ha fatto sì che i maggiori paesi, tra cui su tutti ci sono ovviamente gli Stati Uniti, creassero un progetto grandioso, per la ricerca di segnali intelligenti provenienti dallo spazio.

Nacque così, ufficialmente nel 1982, il SETI (Search for Extra Terrestrial Intelligence), di cui lo stesso Drake è il presidente, progetto che nell’arco di questi vent’anni ha avuto notevoli progressi ma anche a volte bruschi ridimensionamenti dovuti ovviamente alla mancanza di risultati ed alla conseguente sfiducia da parte dei paesi che investono nel progetto cospicui capitali.

I due problemi che affliggono i programmi del SETI sono quello della distanza e quello denominato del “pagliaio cosmico”. Il primo appare veramente insormontabile (escludendo ipotesi di cunicoli spazio-temporali e fenomeni tipo Stargate!), date le enormi distanze che ci separano dalle altre stelle, quantificabili in termini di almeno dieci anni luce.

Il secondo problema comprende tutte le difficoltà dovute al fatto che non sappiamo dove focalizzare le nostre ricerche, vista l’immensità dell’universo, per cui ci si riduce a cercare il classico ago nel pagliaio.

Attualmente, se si escludono le sonde Pioneer e Voyager lanciate negli anni ottanta, la ricerca è focalizzata nell’uso di tecniche radioastronomiche, nella speranza di captare un segnale radio intelligente, anche se questo fosse partito da una civiltà forse estinta da migliaia di anni, per dedurre almeno che non siamo soli in questo universo.

A questo punto ci si chiede quale sia la posizione della Chiesa in proposito. Essa si può così sintetizzare: “Tanto la scienza che la teologia si occupano dell’universo in cui viviamo.

La prima si chiede: come è nato l’universo? La seconda: perché è stato creato l’universo, qual è il suo scopo e il suo destino? La scienza si serve delle osservazioni, degli esperimenti e della logica matematica; la teologia della Bibbia, della tradizione e della ragione. Al giorno d’oggi, in seguito alle nuove scoperte scientifiche, il teologo si deve confrontare con la possibilità della vita extraterrestre in tutte le sue forme e deve ammettere che Dio ha permesso lo sviluppo di creature «a sua immagine e somiglianza» su altri pianeti dell’universo.

Ciò è quanto ha detto un teologo-scienziato olandese durante il congresso del SETI svoltosi a Sydney, e che ha riportato la rivista Newton nel numero di Giugno 1998.

 

 

Approfondimenti in rete:

http://www.seti.org

http://www.seti-inst.edu/welcome-page.html

 

 

 

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