L'Onu non è più uno dei tanti palazzi di New York?

di Giovanni Palombarini

Nel disastro provocato dalla guerra degli Usa e dell’Inghilterra comincia a intravedersi un dato che potrebbe rivelarsi di segno positivo. Tante previsioni si sono rivelate sbagliate e il fallimento di Bush e Blair appare grande: in Iraq dilaga la violenza, non solo quella di tipo terrorista, crescono le tensioni fra le varie comunità di quel paese, i costi umani ed economici stanno diventando insostenibili, la pace in Medio Oriente è sempre più lontana. A ciò si aggiunge un’opposizione interna che sta progressivamente crescendo nei due paesi anche per effetto del disvelarsi dell’inesistenza delle ragioni addotte a sostegno della guerra (le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, ormai è chiaro per tutti, era soltanto un pretesto). Così Usa e Inghilterra oggi chiedono l’aiuto delle Nazioni Unite.

Dunque, l’Onu non è più solo uno dei tanti palazzi di New York, secondo una sprezzante definizione di alcuni sostenitori della politica estera dell’attuale amministrazione americana e della sciagurata guerra all’Iraq. Dalla sera alla mattina è tornato a essere la sede dove governanti ragionevoli discutono e se possibile regolano i rapporti internazionali. I fatti, si diceva una volta, hanno la testa dura: e oggi, di fronte alla dura, quotidiana dimostrazione che le popolazioni irachene non desideravano affatto essere "liberate" da americani e inglesi, e al fatto che anche i più tenaci avversari di Saddam Hussein chiedono loro di andarsene, Bush è costretto a chiedere all’Onu di dare una mano. Con ciò riconoscendo, sia pure a denti stretti, che le motivazioni addotte a sostegno della guerra erano insussistenti e che le conseguenze sono insostenibili (eppure la "vecchia Europa", dalla quale l’Italia ha pensato bene di smarcarsi, aveva cercato di spiegare preventivamente tutto ciò all’alleato americano).

Certo, le difficoltà permangono grandi. Usa e Inghilterra, con la risoluzione che hanno elaborato per ottenerne l’approvazione da parte del Consiglio di sicurezza, cercano sostanzialmente di coprirsi le spalle, chiedendo aiuto per realizzare la sicurezza e dividere le spese, senza volere rinunciare neppure in minima parte alle ragioni strategiche ed economiche che le hanno spinte alla guerra nonostante l’opposizione dell’Onu e la contrarietà di centinaia di milioni di persone in tutte le parti del mondo. Così il documento riserva ancora agli Usa il comando militare delle forze armate sul campo, il controllo sul nuovo governo iracheno e la padronanza dell’economia di quel paese senza proporre, nella sostanza, cambiamenti significativi: in particolare sembra dire poco o nulla a proposito della restituzione della sovranità (e delle sue ricchezze) al popolo iracheno. Molti paesi, compresi quelli che in Consiglio di sicurezza si sono opposti alla guerra, ne hanno perfettamente compreso gli scopi e i limiti, per cui si profila un altro braccio di ferro.

E però va detto che si è determinata un’occasione per il ripristino di un minimo di legalità internazionale. Certo, Usa e Inghilterra hanno inferto un duro colpo all’Onu. Ma è anche vero che la comunità delle nazioni, nel momento in cui ha rifiutato di assumersi la paternità di quell’ennesima guerra dettata dagli interessi imperiali, ha posto le fondamenta per un rilancio di cui mai come oggi, non solo per la vicenda irachena, vi è un grande bisogno. Quel no, che in febbraio è stata una decisione onorevole e coraggiosa, appare oggi anche un punto di forza. Per questo oggi le Nazioni Unite hanno davanti al mondo un’occasione unica di riscatto che non devono lasciarsi sfuggire. Si tratta di essere fermi oggi come all’inizio dell’anno, vale a dire costringere gli aggressori, oggi in difficoltà, a riconoscere un ruolo effettivo e decisivo dell’Onu per restituire all’Iraq una piena sovranità e la pace: è un compito difficile per tutti gli Stati contrari a guerre e invasioni, ma non impossibile.

Peccato che l’Italia, anziché schierarsi con coloro che operano per il ripristino del diritto internazionale, per bocca del presidente del consiglio Silvio Berlusconi vada riproponendo una guerra infinita e totale: i dittatori (quali?) devono andarsene, "altrimenti interveniamo, con la forza". Si può facilmente immaginare, purtroppo, quale potrà essere il nostro ruolo in sede Onu a fronte della questione irachena, anche se i sostenitori del governo incredibilmente parlano di una mediazione italiana. A smentirli basta il rilievo che in Europa, agli incontri che contano per cercare convergenze sulla questione irachena, l’Italia non viene neppure invitata.

Settembre 2003

 

 

 

 

 

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