Appunti per una riflessione

(per il prossimo Consiglio Nazionale di Md)

di I. Juan Patrone

 

Quello che stiamo affrontando è un passaggio difficile per Magistratura democratica

La prima osservazione che mi viene da fare è che non deve sfuggire a nessuno che Md, in quanto tale, viene ormai apertamente e pubblicamente indicata come un vero e proprio avversario, tutto politico, dei piani di trasformazione della Repubblica della maggioranza. Ciò si è potuto testualmente leggere nel recente (solo apparentemente) delirante intervento del Presidente del Consiglio e nelle appendici di Bondi, ma è presente anche, in modo neppure troppo trasparente, nei d.d.l. presentati in Parlamento tendenti ad istituire nuove Commissioni d’inchiesta sulla "politicizzazione" dell’ordine giudiziario, in interviste e in dichiarazioni estemporanee di esponenti del partito di maggioranza, ed in atti giudiziari "quotidiani" quali le continue istanze di ricusazione fondate sulle "opinioni politiche del giudice" e le azioni disciplinari ormai in corso.

Se per un verso ciò potrebbe stimolare il nostro senso di autostima e l’orgoglio di appartenenza al gruppo, (troppo onore, Cavaliere, vorrei poter dire), dall’altro ci pone, ben al di là delle nostre intenzioni e delle nostre stesse forze e capacità organizzative, in un ruolo di resistenza istituzionale che, se assumiamo come reale, non può che farci tremare i polsi per la sovraesposizione, non solo mediatica, cui quotidianamente ci costringe ed ancor più ci costringerà in futuro. Se passerà, in una forma o in un’altra, il ddl sulla Commissione parlamentare, dobbiamo essere consapevoli del fatto che tutti i nostri documenti, tutte le nostre pubblicazioni, tutte le nostre iniziative, verranno messe al setaccio.

Si attaccheranno a parole e frasi contenute nei documenti, anche i più antichi, verremo analizzati con metodi da polizia politica, interrogati, convocati. Siamo la "mela marcia" e vorranno eliminarci per normalizzare la giurisdizione. Occorre, perciò, attrezzarsi per tempo.

La seconda osservazione riguarda i molteplici piani della nostra azione associativa e di gruppo, piani che tendono a moltiplicarsi e richiedono, per evitare dispersioni di forze ed incertezza di obbiettivi, l’individuazione di priorità che devono essere poi sostenute con saldezza di argomentazione e capacità di comunicazione, sia all’interno della magistratura che verso l’esterno. Per quanto riguarda la comunicazione, dobbiamo anche tener conto del fatto che siamo in un sistema informativo talmente distorto da non consentire che limitatissime possibilità di uscita mediatica su scala nazionale, a fronte di attacchi tanto generalizzati quanto immotivati se pur suggestivi per una parte dell’opinione pubblica.

Occorre quindi studiare bene come e su quali obbiettivi muoverci e con quali forze cercare le indispensabili alleanze. Ma questo ci pone anche il problema dei temi e delle sedi in cui avere questo confronto. Come ha scritto Martinelli, il "punto di vista esterno" è cosa ben diversa dal cercare conforto, all'esterno, ai "punti di vista interni" della magistratura, e spetta in primo luogo ad Md, per sua stessa storia e vocazione, cercare, e possibilmente trovare, sedi ed atteggiamenti idonei. Temo infatti fortemente sia l’autoreferenzialità che la sindrome della cittadella assediata che a volte sembrano circolare fra i magistrati, sentimenti del tutto giustificabili ma irrimediabilmente sbagliati. Non è, credo, difendendo "tutta" la magistratura e "tutte" le decisioni che si rende un buon servizio al ruolo della giurisdizione nel sistema costituzionale. Occorre perciò, difendendo i principi ed i valori ed in particolare quelli che costituiscono il fondamento dello stato di diritto, allo stesso tempo continuare ad accettare il contraddittorio sulle disfunzioni della giustizia, anche su quelle che dipendono dai magistrati e dal loro modo di lavorare.

Concordo perciò con Livio Pepino quando scrive che la nostra autoreferenzialità di questi anni (unite alla miopia e al disinteresse di altri) ha creato qualche frattura e costruito alcuni steccati fra i giuristi, e non solo (penso, essenzialmente, alle continue querelles fra magistrati ed avvocati), e che senza un netto cambiamento di prospettiva la stessa nostra possibilità di incidere sullo scenario istituzionale è minima.

Allargo però l’orizzonte della sua proposta: non si tratta solo di trovare altri soggetti composti da giuristi di diversa estrazione e da operatori dei settori del sociale in cui operiamo, ma di riaprire il confronto, mantenendo ben salda la nostra specificità e quindi senza ammiccare a nessuno, con la dimensione della politica e dei movimenti sociali, senza paura e senza iattanza.

Continuo infatti ad essere persuaso del fatto che vi sia un nesso inscindibile tra la politica del governo in materia di giustizia, gli attacchi alla magistratura ed a singoli magistrati, e le politiche economiche e sociali che vengono perseguite dalla maggioranza che governa il Paese.

Se questo è vero, significa che qui ed ora non si tratta solo di difendere l’indipendenza e l’autonomia della magistratura, ma nello stesso tempo di difendere "i diritti" e lo stato di diritto, secondo l’esperienza ereditata dal secondo Novecento. I nostri interlocutori, perciò, non dovranno essere solo i soggetti che si occupano di giustizia (le altre correnti, gli avvocati, i professori di diritto), ma anche le forze politiche e sindacali e culturali in genere. Si tratta, appunto, di riprendere i fili di un discorso che, a volte, è parso esser stato un po’ trascurato, di rilanciare il punto di vista esterno, nel suo significato più pieno, nel momento in cui si deve difendere, addirittura, lo stesso principio di eguaglianza.

 

Md e il punto di vista esterno

Noi da tempo riteniamo, credo con un qualche fondamento, di non essere "solo" una componente dell’associazionismo giudiziario, ma anche qualcosa di più: un soggetto collettivo che, come riconosce anche chi ci avversa con tanta acredine, è a volte evidentemente capace di incidere su settori più ampi della cultura e delle istituzioni. E’ l’immagine, che personalmente mi è molto cara, di Md come intellettuale collettivo. Ed è l’immagine di un gruppo proiettato dall’interno della giustizia verso l’esterno della giurisdizione e della magistratura, sia nel senso della nostra tradizionale apertura al dibattito con altre forze presenti nella società, ma anche nel senso della assunzione del punto di vista esterno, anche quando esso è critico e non fa sconti alla giustizia per come essa viene esercitata in concreto. Il punto di vista esterno deve restare, a mio avviso, l’elemento essenziale di un vero dibattito democratico sulla giustizia ed Md, nelle dovute forme, non può e non deve sottrarsi al suo compito su questo terreno.

Mi pare che la situazione politica ed istituzionale presenti alcuni elementi di fondo sui quali vale la pena continuare ad insistere, nelle analisi e nel dibattito interno ed esterno, perché oggi, in Md ma anche nelle stesse altre componenti della ANM, nessuno si deve illudere che, passato prima o poi il governo Berlusconi e ritornato finalmente l’ing. Castelli alle sue amate misurazioni acustiche, tutto ritorni come prima, perché così, a mio parere, così non è e non può più essere. Neppure le ultime sortite di Berlusconi e dei suoi fidi portavoce cambiano, a mio avviso, questa prospettiva.

Chi ha avuto la pazienza di leggere alcuni miei precedenti interventi, sa che da qualche tempo sto cercando di sostenere l’idea che la crisi dello Stato costituzionale di diritto che stiamo attraversando non è congiunturale, ma strutturale, e che, pur presentando la politica del secondo governo Berlusconi aspetti specifici assai inquietanti, che toccano direttamente lo stesso principio di eguaglianza formale tra i cittadini, la tendenza in atto ha caratteristiche più ampie e più profonde, che prescindono dalla contingenza italiana e che trovano le loro radici in concezioni della politica e dello Stato che sono condivise da ampi settori dello stesso schieramento avversario della destra, da quegli "incauti apprendisti stregoni" della sinistra [Silvestri, Attacco ai diritti, 2003] che credono all’onnipotenza della rappresentanza politica su ogni altro principio o valore.

Da un punto di vista schiettamente teorico, Md deve aver presente che questi "apprendisti stregoni", che ora sono - dopo un significativo, ma comunque quantitativamente modesto, successo elettorale amministrativo - nuovamente affaccendati a dibattere di schieramenti e liste più che di programmi e idee, sul terreno delle politiche costituzionali sono nostri avversari esattamente come i "saggi" o presunti tali della destra, e che buona parte delle nefandezze ora proposte dalla maggioranza trovano antecedenti, a volte testuali, nei lavori della mai abbastanza criticata Bicamerale, vera e propria fucina del progetto di una nuova governabilità attraverso un aumento dei poteri dell’esecutivo. Esse, inoltre, sono presenti in proposte di riforma costituzionale dell’attuale minoranza presentate in questa legislatura, come il sen. D’Onofrio ha immediatamente dichiarato, con tono di sfida politica, appena uscito dal laboratorio montano.

Sono anche convinto che la crisi attuale, pur presentando caratteristiche che possono, a prima vista, apparire simili a quelle della lunga stagione della inattuazione costituzionale degli anni ’50 e ’60, sia in realtà da quella radicalmente diversa perché:

    1. non si tratta una crisi nazionale, ma mondiale; le trasformazioni economiche e sociali hanno profondamente trasformato il quadro di riferimento e la prospettiva statalistica, in economia come per il diritto, appare definitivamente tramontata;
    2. non concerne singoli aspetti del rapporto tra società, economia e politica, ma riguarda l’intero modo della rappresentanza democratica, dei luoghi e dei modi della decisione (e, quindi, della produzione delle norme giuridiche) che tali rapporti devono regolare; la legge statale non è più la forma tipica della regola uguale ed astratta, e sembra addirittura che di regole (effettive e non solo nominali) non ve ne siano più;
    3. la insufficienza della legge riguarda i modi di produzione e di distribuzione della ricchezza ed i meccanismi regolativi delle stesse ed ha quindi caratteristiche intrinsecamente strutturali; si leggano in proposito le analisi di G. Rossi in Il conflitto epidemico, 2003.
    4. riguarda infine (la crisi) il diritto internazionale come l’abbiamo conosciuto negli ultimi decenni, entrato con la guerra in Iraq in una fase di regressione allo stato di natura che, senza una svolta radicale oggi non prevedibile, porterà al suo definitivo tramonto e, sul piano nazionale, alla messa in soffitta dell’art. 11 Cost. (come D’Alema ha peraltro più volte auspicato.

Non si tratta quindi, come avvenne allora, diciamo da Gardone in poi, di chiedere la piena attuazione di un testo costituzionale esistente che presentava enormi ed inesplorate potenzialità, quanto di rilanciare lo stesso costituzionalismo moderno, che appare in gravissima crisi davanti all’emergere prepotente di teorie proceduralistiche della costituzione e di machiavellismi tanto volgari quanto insidiosi. Allora era una battaglia per affermare una interpretazione della Costituzione, oggi si tratta di difendere lo stesso costituzionalismo da una crisi che, oggi, appare evidente (Dogliani). Essa, perciò, richiede risposte diverse dal semplice giuramento di fedeltà alla linea di Gardone, che pure deve restare sempre ben presente alle nostre analisi.

Credo perciò che sia confermata la tesi secondo la quale è in atto una vera e propria "questione costituzionale" [Dogliani – Elia, 2002], cui non può che rispondersi con una rinnovata "lotta per la Costituzione" che non può però esaurirsi nella pur necessaria strenua difesa della Carta del 1948, ma deve guardare avanti, se non vuole esaurirsi in un atteggiamento necessariamente conservatore e perciò, probabilmente, perdente. La "questione costituzionale", infatti, concerne non solo e non tanto i pur gravissimi attacchi alla magistratura ed alla giurisdizione, con le leggi ad hoc e la pressante richiesta di assoluta impunità, ma investe massicciamente i diritti sociali, prevede il tentativo di stabilizzare per legge il monopolio televisivo ed informativo, mette in discussione lo stesso principio di eguaglianza, e mina le fondamenta stesse dello Stato di diritto come l’abbiamo conosciuto nella seconda metà del secolo scorso.

Ma non voglio qui tediarvi oltre con questo abbozzo di analisi, e vi rimando ai recenti articoli di Dogliani e Silvestri sul nostro "Attacco ai diritti", all’intervento di Luigi Ferrajoli al congresso di Roma, ad un bell’intervento di Giovanni Palombarini su Il Manifesto del 31 luglio, ad alcune recenti prese di posizione di costituzionalisti non certo "di sinistra" come L. Elia ed A. Pace.

Non credo agli untori: la colpa della crisi in atto non sta nelle scampagnate tipo quella, un po’ grottesca, di Lorenzago di Cadore, o nell’incredibile accettazione del contraddittorio, sulle proposte in quel remoto luogo avanzate, da parte di non pochi, e non di poco spicco, esponenti dell’opposizione. La crisi non la provocano Calderoli in bermuda che discetta di riforme costituzionali o D’Alema che gli risponde prendendolo sul serio, questi essendo i sintomi e non le cause di una crisi più profonda, che concerne la politica nel suo insieme e nel suo rapporto con le istituzioni.

Credo invece, come abbiamo già provato ad abbozzare al congresso di Roma, che sia proprio la a trovarsi in una drammatica crisi di idee e progetti, incapace, non dico di trovare la cura, ma addirittura di fare una diagnosi credibile della attuale profonda trasformazione dei modi di produzione e di distribuzione della ricchezza, e che per tali ragioni tenda a spostare sul piano delle istituzioni e del governo della società la sua drammatica carenza di analisi e di proposta.

Di fronte ad una ormai risalente difficoltà di mantenere lo stato sociale regolato secondo il modello del welfare occidentale, difficoltà la cui evidenziazione ed analisi risalgono, almeno, ai primi anni ’80, si tende a trasferire la crisi sulle istituzioni dello stato costituzionale di diritto, che viene assunto come troppo complesso per consentire a chi governa di assumere le scelte (ma quali nessuno lo dice) necessarie. Da qui la centralità, nel dibattito politico, del tema dell’ampliamento dei poteri dell’esecutivo, che si vogliono più estesi ed incisivi, e l’insofferenza verso le istituzioni di garanzia sottratte al gioco delle maggioranze, che si assumono essere un impiccio e un fattore di ritardo nelle decisioni. Già nel 1983 N. Bobbio indicava nel suo "Il futuro della democrazia" il rischio di un ritorno al "governo degli uomini", in contrapposizione al "governo della legge", quale scorciatoia per la soluzione dei problemi delle società complesse.

Come si vede, nulla di nuovo sotto il sole.

La situazione, apparentemente, sembra senza uscita. Più si aggravano i problemi economici e sociali e meno ad essi si è capaci di dare una risposta sul piano delle idee e dei programmi politici, tanto più aumenta uno sterile ed un po’ ridicolo dibattito su sigle e schieramenti; e tanto più (almeno in Italia) si alimenta il falso dibattito sulla inutile scorciatoia delle c.d. riforme costituzionali, un vero e proprio surrogato dell’incapacità di dare risposte, anche minime, in termini politici allo strapotere del mercato e dei suoi protagonisti "eversivi" (tali perché si sottraggono, per definizione, alle regole imposte dall’esterno). Una società premoderna, dominata da un conflitto selvaggio e privo di leggi, buone solo, queste ultime, per la minuta regolazione dei rapporti "a valle" e per la repressione del dissenso.

Per meglio descrivere questo (poco rassicurante) scenario, rimando al classico saggio di Luciani, L’antisovrano e la crisi delle costituzioni, in Riv. dir. cost., n. 1 del 1996, ed ai saggi contenuti nel volume "Lo stato di diritto", a cura di D. Zolo e P. Costa, Feltrinelli, 2002, in particolare agli scritti dello stesso Zolo, di Ferrajoli e di Portinaro, oltre che al già ricordato libro di G. Rossi. Di fronte ad un mercato, sempre più finanziario e meno industriale, globale, governato da regole che sfuggono a qualsiasi controllo pubblico, il ruolo stesso della legge statale è ormai tramontato e persino le istituzioni sovranazionali esistenti, dall’ONU al WTO, dalla Unione europea agli altri organismi regionali, appaiono del tutto impotenti. Come scrive Portinaro, si è per anni agitato il problema dello strapotere dei giudici (una polemica non solo nazionale) e non ci si è accorti dell’enorme potere realmente gestito dalle grandi Firms di avvocati e consulenti, dai top managers che sfuggono ad ogni controllo degli azionisti, dalle Banche d’affari che maneggiano enormi capitali di provenienza non troppo limpida.

Per Md deve essere chiaro che il quadro è questo e che dobbiamo operare di conseguenza.

Innanzitutto sul piano della interpretazione. Ha ragione Livio quando scrive che negli ultimi tempi "molti segnali dicono che la magistratura, e anche Md, non ne è sufficientemente consapevole e non è preparata al ruolo di garanzia dei diritti e delle libertà di tutti che pure dovrà sempre più assumere (anche perché l’ultimo decennio è stato un periodo di elevata autoreferenzialità e di scarsa capacità di revisione critica). Lo dimostra, tra l’altro, lo scarso interesse per i temi di frontiera che pure sono oggi centrali: la crescita del carcere, l’immigrazione, la tossicodipendenza, la criminalizzazione del dissenso e della diversità etnica e religiosa, etc."

A mio avviso, quindi, l’idea di un garantismo egualitario e non selettivo deve oggi tornare ad essere centrale nelle nostre iniziative culturali e nelle nostre prassi giudiziarie. E ciò deve valere in civile ed in penale, nel diritto del lavoro come in quello di famiglia e minorile. Forse è giunto il momento di tornare a polemizzare con qualche giudice e qualche PM. Senza tema di suscitare anche qualche polemica interna.

Poi occorre avere come riferimento costante, in tutte le nostre prese di posizione, in tutti i documenti, in tutte le iniziative pubbliche, la crisi costituzionale in atto e la necessità del rilancio del costituzionalismo come dimensione unificante dei singoli saperi e delle singole tecniche interpretative, l’unica che legittima, politicamente, la giurisdizione ed il suo "terribile" potere.

Ed ancora, di fronte alle miserie del dibattito politico nazionale ed alla insistita polemica sulle riforme che andrebbero fatte, occorre continuare, allargandolo, il discorso sulla Costituzione europea, senza particolare indulgenza verso il progetto della Convenzione, nelle parti in cui non ci sta bene, ma senza dimenticare che quella continentale è l’unica vera dimensione costituzionale oggi possibile e praticabile.

Il documento che ha preparato il Congresso di Roma e gli articoli di Papi Bronzini di questi ultimi mesi sono una buona base di partenza per un dibattito che, in buona parte, è tutto da inventare e che per Md deve diventare centrale e prioritario. In particolare, dovremo preparare un nuovo documento e su quello aprire un’ampia discussione nelle nostre sezioni, con convegni aperti all’esterno.

Infine, vi è la necessità di definire i luoghi e gli interlocutori: ma qui mi permetto di aprire un nuovo capitolo.

 

Una breve analisi delle forze in campo e le nostre possibili alleanze

Il periodo, circa un anno, che è andato dal febbraio del 2002 al febbraio 2003 ha visto la nascita e la rapida ma disordinata crescita di vasti movimenti, di massa e di opinione, che, in vario modo e su diversi obbiettivi, hanno cercato di opporsi al declino dello Stato costituzionale di diritto. In gran parte si è trattato di movimenti che si sono collocati fuori dal circuito tradizionale dei partiti e della politica. Oltre alla vasta mobilitazione sindacale radunatasi sotto le bandiere della CGIL, abbiamo avuto il movimento dei c.d. Girotondi e il movimento che, in modo peraltro assai vario, si riconosce nei Forum sociali.

In quei dodici mesi abbiamo avuto (a) la straordinaria mobilitazione della CGIL e la manifestazione nazionale al Circo Massimo, (b) la rapida emersione del girotondismo sino alla immensa folla autoconvocata di Piazza San Giovanni a settembre, (c) il Forum sociale europeo di Firenze ed il suo immenso corteo finale, (d) infine la marcia per la pace di febbraio, manifestazione che sembra aver radunato, anche nei simboli, le tre anime di cui ho detto: quella sindacale, quella legalitaria e quella dei movimenti sociali.

Ora, tutte, sembrano un po’ in crisi e pare aver ripreso il sopravvento la "politica dei politici" cui si dedicano, ormai in modo quasi esclusivamente autoreferenziale, i partiti dell’opposizione compresa Rifondazione.

Con tutti questi attori sociali Md ha avuto qualche contatto. Sinora l’approccio è stato occasionale ed insufficiente (salvo, ritengo, quello con la CGIL). Ora occorre porre rimedio.

Premetto subito, a scansi di equivoci, che condivido integralmente la linea sino ad oggi tenuta dal gruppo, secondo la quale Md non deve aderire a nessun comitato, commissione, forum. Due sono infatti i rischi di un nostro coinvolgimento organico: (a) quello di restare coinvolti in dichiarazioni, prese di posizione, polemiche, gestiti da altri e che ci esporrebbero a sicura critica e a qualche conseguenza disciplinare, oggi più che mai da evitare; (b) la constatazione che il nostro ruolo deve accentuare e non svilire la professionalità di un gruppo di giuristi usi ad esercitare la critica "dall’interno" dell’istituzione.

Oltre all’impegno, meritorio, del nostro Gruppo lavoro col sindacato, dovremo verificare con chi e come confrontarci, senza tralasciare di contattare, nei limiti del possibile, anche le forze politiche a noi, tradizionalmente, più vicine, sperando in un loro (improbabile, almeno a breve) ravvedimento attuoso.

 

Md e la magistratura

Dobbiamo essere consapevoli del fatto che, se venisse meno il decisivo apporto e la guida della ANM da parte di Md, l’associazionismo giudiziario rischierebbe, oggi più di prima, una deriva corporativa e parolaia, tanto attenta a salvaguardare i privilegi della categoria (il cd "prestigio") quanto pronta a compromessi sui terreni decisivi della tutela effettiva dei diritti, della difesa della Costituzione in tutte le sue parti, in una parola della centralità della giurisdizione e della magistratura, più che dei magistrati.

La scelta dell’impegno associativo, sulla quale credo che ormai in Md non vi sia più discussione, per noi da tempo ha assunto un valore strategico che va oggi rafforzato, specie nelle sedi locali e nei gruppi di lavoro della ANM, che esistono solo e se Md da loro un decisivo apporto. Non devo, credo, ricordare a nessuno che, come disse Verardi a Venezia, Md "è" l’associazione e che tutti devono essere consapevoli che, oggi, la possibilità stessa della nostra esistenza come gruppo organizzato ed il nostro peso nel dibattito istituzionale esterno dipendono dalla forza che noi riusciamo ad ottenere tra i colleghi. Da questo punto di vista un nostro arretramento, nei consensi o nella nostra influenza in associazione ed al CSM, rischierebbe di innescare reazioni a catena dall’esito oggi imprevedibile.

Comprendo lo stato d'animo di chi, ad ogni ricorrente e massiccio attacco mediatico, propone quali manifestazioni di evidente ed ostentata resistenza atti quali autodenunzie, autosospensioni, scioperi bianchi, ed appelli in varia (e possibilmente eclatante) forma all'opinione pubblica ed al Quirinale. Credo però che si tratti di idee da non coltivare perché sostanzialmente inutili, quando non controproducenti. Pur non dovendosi escludere a priori il ricorso a forme anche estreme di lotta, nessuno credo possa ragionevolmente pensare di poter reggere un braccio di ferro di questo genere con la maggioranza politica, avendo questi media e queste istituzioni di garanzia.

Dobbiamo perciò assolutamente tenere, e quando possibile ulteriormente migliorare, le posizioni conquistate nel consenso dei magistrati e che ci hanno visto condurre vittoriosamente due campagne elettorali ravvicinate ed insidiose come sono state quella per il CSM e quella per il CDC della ANM, nelle quali si era apertamente scommesso, anche truccando le carte con la modifica delle norme sull’elezioni dei consiglieri togati, sulla sconfitta di Md a vantaggio di una presunta maggioranza silenziosa di magistrati, stufi di essere manovrati dai soliti militanti rossi. I nostri risultati devono essere rimasti sullo stomaco a molti, dentro e fuori la magistratura.

Ora dobbiamo consolidare, anche politicamente, il brillante risultato raggiunto.

Ferma restando la assoluta necessità di confermare la scelta strategica delle alleanze elettorali per il CSM (e, ovunque sia possibile, per i Consigli giudiziari) con il Movimento e Art. 3, va pur detto che i dati del CDC vanno studiati con attenzione, perché a mio avviso hanno presentato, all’interno di un dato nazionale percentuale più che buono, qualche problema che va analizzato e risolto per tempo, senza attendere la vigilia della prossima tornata elettorale.

Pur essendo assolutamente d’accordo con chi, come il Segretario ed il Presidente, hanno a suo tempo criticato alcuni toni da "quasi- sconfitta" che pure sono circolati al nostro interno, perché il risultato mi è sembrato inequivocabilmente buono, resta però a mio avviso un dato di fatto e cioè che Md mi è parsa uscire dal voto più "urbana" (nel senso di una concentrazione del suo consenso in grandi sedi) e un po’ più vecchia, visto che nelle zone dove (osservo empiricamente) sono concentrati i magistrati più giovani non siano andati benissimo. Ed è emersa sulla m.list anche una pericolosa una tendenza al lamento localistico quando non personale, atteggiamento che, a mio avviso, va stroncato sul nascere, dovendo essere assolutamente chiaro a tutti che questo è un gruppo dove si sta per lavorare insieme e non per concorrere a coprire posti, oltretutto di potere assai dubbio, gli uni contro gli altri.

Per questa ragione le prossime candidature andranno preparate per tempo e con la massima attenzione, ad evitare qualsiasi equivoco in proposito. Esse, in prospettiva, dovranno sempre più essere espressione delle attuali articolazioni di lavoro in Md e meno della rappresentanza locale, mentre mi dico sin d’ora del tutto favorevole alla apertura di un franco e tempestivo dibattito interno sulle c.d. "quote", visto che il problema della sotto rappresentanza delle colleghe, al CSM e al CDC, non è "un problema delle donne", ma una questione che coinvolge tutti i magistrati e, se non risolto, rischia di incrinare la stessa democrazia interna. Non è possibile che un gruppo come il nostra abbia una sola componente dell’Esecutivo ed una sola eletta al CSM e converrete che qualcosa non va.

Poi occorrerà capire le ragioni della nostra mancata crescita (e qualche volta persino del chiaro arretramento) in alcuni distretti, specie ma non solo a sud, ciò per evitare ulteriori sorprese negative e per meglio valorizzare il chiaro successo ottenuto, ad es., a Roma e Milano o la rassicurante tenuta in altri distretti.

Credo poi che nei confronti dei magistrati e della magistratura associata Md abbia un compito che non può eludere, e cioè quello di aprire una discussione, pacata ma non formale, su quello che emerge dalla sentenza Previti. Mi riferisco, come credo appare chiaro, alla questione della corruzione in magistratura.

Franco Ippolito, durante un colloquio personale, ha efficacemente detto che tutti noi che abbiamo condiviso una esperienza associativa, sia essa in Md o nella ANM, dobbiamo chiederci: "ma dove eravamo ? possibile che non ci accorgessimo di nulla, possibile che le sentenze venissero scritte negli studi professionali e depositate in poche ore e che nessuno se ne accorgesse ?".

Questa estate, sulla mailing list, su iniziativa (mi pare) di Marco Paternello, si è aperta una breve discussione, che poi si è spenta lì. Non dobbiamo gettare la polvere sotto il tappeto.

La questione, come hanno scritto in alcuni messaggi Giovanni Cannella, Maura Nardin e altri, riguarda il sistema tabellare, ma non solo. L'unica strada che possiamo ragionevolmente percorrere è quella della riflessione pacata su ciò che è accaduto, non solo a Roma (qualcuno ricorda il caso Curtò o si rammenta di Cono Lancuba ?), non solo nel caso IMI SIR, e certamente non solo negli anni '90.

Il materiale documentale a nostra disposizione credo sia abbondante, basta cercare negli indici delle annate di Questione Giustizia, del Notiziario di MD, delle Cronache dal CSM, di Omissis, ma riguarda la segnalazione di omissioni e denuncia opacità, non affronta il nodo del problema, anche se sarà necessario riprenderlo per vedere le posizioni di Md in rapporto alle prassi degli uffici. D’altronde, se non ricordo male, Omissis era nata proprio per questo scopo.

Mi pare quindi buona la proposta di Francesco Vigorito, di aprire una discussione pubblica sul tema.

Occorre poi ragionare sul fatto, che è stato sottolineato molto opportunamente da Luca Minniti, che una cosa è (ri)affermare la necessità costituzionale del sistema tabellare, altra cosa è sostenere che esso, oggi, funziona. Generazioni di nostri rappresentanti al CSM e nei Consigli giudiziari possono testimoniare di incredibili ritardi nell'invio e nell'esame delle proposte, ed ancora di uffici, non di secondo piano, rimasti per molti anni in situazione di tabelle prorogate o provvisorie, oppure di tabelle approvate e poi disattese con incredibile disinvoltura. Devo anche dire, avendo frequentato la materia come componente il CG, che spesso le circolari in materia erano (sono ?) di difficile lettura, incredibilmente dettagliate, tali da dare adito ad infinite questioni sulla loro stessa interpretazione, il che non ha facilitato il compito di chi era chiamato ad applicarle. Ancora di recente Luigi Marini, fra gli altri, ci ha raccontato delle difficoltà che affronta il CSM in materia. Occorre quindi ragionare anche su questo aspetto della vicenda e correggere ciò che non funziona, o almeno provarci. Tutti devono essere consapevoli che oggi la questione del funzionamento della giustizia non è un tema legato alla sola efficienza del sistema (il che sarebbe, peraltro, di per sè un obbiettivo degno di essere perseguito) ma riveste un'importanza decisiva sotto il profilo politico ed istituzionale, perché su questo versante, dalle valutazioni di professionalità alla organizzazione degli uffici, dalla ponderazione del lavoro giudiziario alla tempistica in genere siamo deboli, anzi debolissimi, e perciò facilmente attaccabili.

Su questo punto credo che sarebbe opportuna una iniziativa della ANM, magari di quella romana perché più "toccata" dalla vicenda Metta & soci, ma se gli altri non si muovono (come credo) perché preferiscono non far volare qualche straccio, allora credo che dovremo farlo noi.

Infine una osservazione sul metodo di lavoro. Quando sono entrato in Md (1980, uditore senza funzioni) le riunioni nazionali (e molte locali) erano in buona parte dedicate all’esame "del documento" o "dei documenti", con infinite discussioni, presentazione di emendamenti, interventi sull’odg, etc. Spesso, si trattava della "conta" interna tra maggioranze e minoranze.

Oggi, grazie al cielo, tutto ciò sembra finito, ma stiamo cadendo nel difetto opposto, produciamo pochi documenti, generalmente costituiti da dichiarazioni del Segretario alla stampa e sulle liste, e poco più. Persino al Congresso non abbiamo approvato una mozione, ma solo la relazione di Claudio.

A me sembra che qualche documento, presentato dall’Esecutivo o da altri, sia ogni tanto opportuno proporlo, e se possibile approvarlo, ai Consigli nazionali. Ciò faciliterebbe il lavoro per il sito (che avrebbe qualche news da pubblicare) aiuterebbe la nostra memoria storica futura, darebbe un indirizzo ai tanti che alle riunioni nazionali non possono o non vogliono venire, darebbe un calendario agli impegni assunti.

Che ne dite se cominciamo dal Consiglio Nazionale del 27/28 settembre ?

Roma, settembre 2003

 

 

 

 

 

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