Come ci vedono dall’estero

(alla ricerca di un ordinamento giudiziario europeo)

di Gualtiero Michelini

Le vicende giudiziarie del nostro paese, culla del diritto e fondatore dell’Unione europea, stimolano l’interesse dei colleghi degli altri paesi; le peculiarità del nostro attuale governo e l’anelito riformatore che lo muove, in materia di servizio giustizia e non solo, suscitano preoccupazione mista a sbalordimento.

Può perciò capitare di essere invitati in iniziative promosse da magistrati stranieri a descrivere cosa sta succedendo, e così cercare di raccontare i nostri casi ad una platea di giudici. A me è capitato, grazie alla rete di Medel, di confrontarmi con colleghi austriaci e tedeschi.

Per descrivere la situazione italiana attuale esiste uno strumento utilissimo e, in un certo senso, neutrale: il rapporto del Rapporteur speciale delle Nazioni Unite sull’indipendenza dei giudici e degli avvocati Dato’ Param Cumaraswamy, inviato dalla Commissione per i diritti umani ONU in missione in Italia, in relazione ai segnalati rischi per l’indipendenza dei giudici dopo le proteste verificatesi in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2002.

Già il rapporto provvisorio (pubblicato su Questione Giustizia 4/2002, con nota di Ignazio Juan Patrone, "L’ispettore dell’ONU in Italia. Ovvero: un marziano a Roma") individua molto chiaramente gli attuali problemi della giustizia italiana nelle "ingombranti" procedure, sia penali che civili, e nel fatto che a Milano sono in corso delicati processi a carico di "prominenti" esponenti politici, incluso l’attuale Presidente del Consiglio.

Sulla base della descrizione contenuta nel rapporto, le recenti riforme legislative in materia di rogatorie internazionali, attenuazione/depenalizzazione del falso in bilancio, rientro di capitali dall’estero, legittimo sospetto, sospensione dei processi, risultano ai giudici di altri paesi europei incoerenti con la normativa vigente europea ed in contrasto con le linee di sviluppo orientate al ravvicinamento/armonizzazione delle legislazioni. Un istituto come il legittimo sospetto, poi, non sembra esistente nella legislazione austriaca neppure nella formula antecedente la legge Cirami, in quanto le problematiche connesse all’imparzialità dei giudici vengono risolte con i meccanismi di astensione e ricusazione.

Ma oltre alla solidarietà per le motivazioni espresse nello sciopero e nelle altre iniziative di protesta dei magistrati italiani, il confronto con magistrature vicine geograficamente e culturalmente, oltre che inserite nel contesto comunitario, offre alcune riflessioni comparate.

In Austria (dove è vigente la Costituzione del 1928, quindi anteriore all’occupazione nazista ed alla seconda guerra mondiale) i magistrati sono circa 1800 per una popolazione di circa 6 milioni di abitanti. Non c’è un Consiglio superiore della magistratura, non c’è carriera a ruoli aperti, il pubblico ministero dipende dall’esecutivo; in assenza di Consiglio superiore, assunzioni, promozioni, trasferimenti e formazione dei magistrati sono gestiti dal Ministero della Giustizia.

Per le promozioni in Corte d’Appello ed in Corte di Cassazione, il meccanismo è sostanzialmente di cooptazione; con una certa anzianità e merito, la domanda dell’aspirante viene esaminata da una specie di consiglio giudiziario che esprime il proprio parere; se il parere è favorevole e vi sono posti liberi, il Ministro può firmare la promozione alla corte superiore, che determina un aumento di stipendio.

Uno stipendio leggermente superiore percepiscono anche i pubblici ministeri rispetto ai giudici. Non c’è separazione di carriere né incompatibilità, sicché si può passare dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa senza sbarramenti. Tuttavia, l’esercizio delle funzioni di pubblico ministero è considerato simile all’esercizio di funzioni amministrative presso il Ministero della Giustizia (incarico possibile nella carriera di un magistrato austriaco, con un sistema analogo a quello italiano o francese), in un certo senso para-giurisdizionale: ciò perché la catena gerarchica degli uffici di Procura ha al suo vertice, appunto, il Ministro della Giustizia, al quale i pubblici ministeri hanno l’obbligo di riferire periodicamente in merito al proprio lavoro, e dal quale possono ricevere direttive vincolanti in relazione anche a singoli processi, in assenza di un principio generale di obbligatorietà dell’azione penale.

Nel settore civile, che sicuramente registra tempi di definizione delle controversie molto inferiori agli standards italiani, praticamente tutti gli atti viaggiano per posta ordinaria; la maggior parte delle liti sino a € 10.000 viene definita in unico grado con sentenze inappellabili; per le liti di valore tra € 10.000 e 30.000 è la Corte d’Appello a decidere se l’appello è ammissibile o meno in relazione al fatto che la controversia coinvolga questioni di interesse generale; le cause di lavoro sono decise da un collegio formato da un giudice ordinario e da un rappresentante delle organizzazioni dei lavoratori ed uno delle organizzazioni dei datori di lavoro.

In Germania, ugualmente, non c’è consiglio superiore; i magistrati sono decisamente di più, circa 30.000 per circa 80 milioni di abitanti; il pubblico ministero è collegato all’esecutivo; le carriere hanno sviluppo regionale e federale, e sono specializzate in magistrati giudicanti, requirenti, "sociali" (del lavoro e della previdenza sociale), amministrativi.

E’ consentito e normale che un magistrato sia iscritto ad un partito politico, e spesso nei giornali si parla di giudici socialdemocratici o conservatori; alcune associazioni di magistrati sono organicamente inserite nei sindacati della funzione pubblica.

Il sistema costituzionale e legislativo italiano di garanzia dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura realizzato in Italia con il Consiglio superiore e la carriera economica automatica salvo demerito è considerato molto avanzato, e quindi le modifiche prospettate costituirebbero un arretramento da un modello ritenuto possibile paradigma di uno statuto europeo della magistratura.

Dalla comparazione del diverso assetto ordinamentale del pubblico ministero mi sembra possa ricavarsi che quello della separazione delle funzioni o delle carriere è, in parte, un falso problema o comunque un problema organizzativo e di bilanciamento dei poteri. Ciò che rileva davvero è il principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale. Nella civilissima Austria non c’è separazione delle carriere, ma l’esecutivo è in grado di controllare l’esercizio dell’azione penale. E’ questo l’equilibrio costituzionale verso il quale ci stiamo dirigendo in Italia?

settembre 2003

 

 

 

 

 

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