Precari per legge*
di Giovanni Cannella
La legge sul mercato del lavoro recentemente approvata dal parlamento contiene sei deleghe, in tema di collocamento e intermediazione di manodopera, contratti a contenuto formativo, part-time, nuove tipologie di lavoro, certificazione dei rapporti e funzioni ispettive. Come è noto, il disegno di legge originario conteneva anche altre deleghe, in materia di incentivi all'occupazione, ammortizzatori sociali, art. 18 ed arbitrato, che sono state stralciate nel giugno del 2002, inserite in un separato provvedimento (S/848bis), e formato oggetto, in parte, del "Patto per l'Italia" del 5.7.2002. La Camera ha poi aggiunto nel provvedimento altri due articoli, 9 e 10, in tema di socio di cooperative e benefici alle imprese artigiane, commerciali e del turismo (che non contengono deleghe ma norme dirette).
Va riproposta in primo luogo la critica, già sollevata quando il disegno di legge fu presentato, all'uso della delega in una materia così delicata. Come è stato giustamente rilevato (Angiolini), non si è mai verificato in precedenza che venisse usato lo strumento delle deleghe per modificare, in senso peggiorativo ed incisivamente, una disciplina così delicata come quella dei rapporti di lavoro, che era stata prodotta "dal parlamento a seguito di un dibattito ricco e approfondito", ed ha implicazioni anche costituzionali, che richiedono "istanze di discussione e verifica democratica che solo nell'attività delle Camere possono essere soddisfatte pienamente". Tale strumento sembra nascondere l'intenzione (peraltro non riuscita, date le proteste che ne sono scaturite) di mettere la sordina all'impatto di una riforma epocale. Poiché le deleghe, infatti, per loro natura devono indicare solo i "principi" e i "criteri direttivi", si possono permettere ampi margini di genericità, come è avvenuto appunto per le deleghe in esame, limitando quindi il dibattito parlamentare, che spesso non può andare oltre la critica alle intenzioni che emergono dalle generiche disposizioni. Una volta approvate le deleghe, a seguito di un povero dibattito parlamentare, il Governo potrà emettere i decreti delegati, senza alcuna ulteriore effettiva verifica delle Camere (salvo che in sede di parere delle commissioni permanenti).
Ciò premesso la filosofia di fondo della legge è bene espressa nella relazione di accompagnamento dove si critica l'attuale normativa lavoristica, nella quale "alla iper-tutela degli occupati si contrappone, infatti, la sotto-tutela dei disoccupati" e si indica l'obiettivo di spostare le tutele dal rapporto al mercato, riducendo quindi le attuali tutele nel rapporto, sul presupposto della "posizione di privilegio" degli insiders rispetto agli outsiders (i disoccupati, gli emarginati dal mondo del lavoro).
La legge omette, tuttavia, di aumentare per adesso le tutele nel mercato e comincia intanto a limitare le tutele nel rapporto attraverso vari interventi, che tendono a: 1) ridurre i vincoli attualmente esistenti per i datori di lavoro a garanzia dei lavoratori, ad esempio in tema di collocamento e decentramento produttivo; 2) aumentare la precarizzazione del mondo del lavoro, con la creazione di nuove tipologie di rapporti e con l'estensione dei lavori atipici ad altri settori (ad es. all'agricoltura); 3) accentuare l'autonomia collettiva e individuale a scapito delle disposizioni inderogabili di legge; 4) marginalizzare l'intervento della magistratura del lavoro.
Non c'è spazio per un compiuto commento dell'intera legge e mi limiterò quindi agli esempi più evidenti di riduzione delle tutele.
In tema di collocamento e decentramento produttivo si manifesta chiaramente l'intenzione di allentare gli attuali "vincoli soffocanti" per gli imprenditori (pag. 9 della relazione introduttiva), mediante un'opera di "snellimento e semplificazione delle procedure", di "semplificazione degli oneri amministrativi e burocratici", di apertura al privato, con riduzione dell'intervento pubblico (viene ridimensionata in particolare l'essenziale funzione pubblica di controllo del collocamento al lavoro, con rinascenti rischi di abusi e discriminazioni).
Ciò comporta, fra l'altro, la sostanziale abrogazione della legge n. 1369/60 in tema di divieto di intermediazione di mano d'opera. La relativa delega, ammette infatti, con il ritorno al vecchio caporalato, l'appalto di mere prestazioni di lavoro, quando sussista una ragione tecnica, organizzativa o produttiva, individuata dalla legge o dai contratti collettivi nazionali o territoriali. Ciò significa, oltre ad evidenti rischi di disparità di trattamento tra zone diverse (dato il rinvio anche alla contrattazione territoriale), il sostanziale svuotamento del divieto, favorito dalla previsione di una originale "certificazione", non già della natura del rapporto (come si vedrà nella specifica delega in materia), ma addirittura della liceità anche penale dell'intermediazione. Ma la delega allenta anche il vincolo previsto dall'art. 2112 c.c., che garantisce il lavoratore in caso di trasferimento d'azienda, riducendo il requisito dell'autonomia funzionale del ramo d'azienda al solo momento del trasferimento (cioè non occorre più che l'autonomia preesista al trasferimento), con la possibilità quindi per il datore di lavoro di creare strumentali e temporanee condizioni di autonomia di un settore di lavoro, per trasferire singoli lavoratori da un'azienda all'altra senza alcun limite e senza il loro consenso (lo confessa espressamente la relazione di accompagnamento, pag. 10).
Altre deleghe estendono, come si è detto, la precarizzazione dei rapporti di lavoro, eliminando, ad esempio, ogni vincolo al lavoro supplementare per il part-time orizzontale anche per casi e modalità fissate dai sindacati (anche territoriali), ma con il semplice consenso del lavoratore in carenza dei contratti collettivi (è facile immaginare con quale libertà di determinazione per il lavoratore). E' prevista inoltre l'estensione di forme flessibili ed elastiche di part-time nei rapporti a termine e l'integrale estensione del part-time al settore agricolo. E' autorizzata infine qualsiasi forma flessibile ed elastica del part time verticale o misto, consentendo cioè modifiche della ripartizione settimanale e giornaliera dell'orario di lavoro anche comunicate dal datore di lavoro giorno per giorno o addirittura attimo per attimo come nel caso del "lavoro intermittente", che impedirebbe al lavoratore l'organizzazione del proprio tempo, con una pesante disgregazione delle normali condizioni di vita. Analoghe conseguenze comporta il lavoro a "prestazioni ripartite" (c.d. job sharing) fra due o più lavoratori obbligati in solido nei confronti di un datore di lavoro per l'esecuzione di un'unica prestazione lavorativa, che viene fatto passare per una nuova opportunità di lavoro, ma che comporta in realtà anche in questo caso uno stato di incertezza del singolo lavoratore sulla durata della prestazione settimanale o giornaliera, essendo egli sempre esposto alla necessità di sostituire l'altro lavoratore, e potrebbe far nascere nuove figure di sfruttamento ad esempio di uno dei lavoratori obbligati nei confronti dell'altro.
Un discorso a parte e più articolato merita la delega che si occupa delle collaborazioni coordinate e continuative (art. 4), e cioè dei c.d. cococo, poiché si inserisce nell'attuale intenso dibattito tra giuristi e forze politiche per la tutela urgente di rapporti di lavoro che stanno ormai ai margini del mondo produttivo.
La delega prevede lodevolmente nuove tutele a favore dei collaboratori (e si tratterebbe forse dell'unico settore nel quale le tutele del rapporto verrebbero aumentate invece che diminuite): tuttavia la previsione sembra riferirsi ad ipotesi limitate e non necessariamente a quelle che più hanno bisogno di essere garantite.
I nuovi diritti si riferiscono, infatti, solo ai contratti di collaborazione stipulati per iscritto, che si riferiscano ad un progetto o programma e che abbiano durata determinata o determinabile. Ma cosa succede se manca la forma scritta, che sembra posta a pena di nullità? Non è prevista la conversione in rapporto subordinato, né ciò può costituire l'effetto naturale per un rapporto che non ne abbia i requisiti previsti dalla giurisprudenza e non potrà quindi applicarsi la disciplina del rapporto dipendente. D'altra parte, se la forma scritta diventa essenziale al rapporto coordinato e continuativo, non potranno neppure applicarsi le specifiche disposizioni previste per tale rapporto, né quelle nuove previste nel disegno di legge in discussione, di cui si dirà, né quelle esistenti (e cioè tutela processuale e previdenziale, in tema di malattia, pensione, infortunio, maternità, ecc.).
Da ciò consegue che l'imprenditore potrebbe non avere alcun interesse a stipulare il contratto per iscritto con conseguente inutilità della disposizione.
La delega prevede poi che il rapporto dei cococo vada distinto dai rapporti occasionali, "intendendo per tali i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivo per lo svolgimento della prestazione sia superiore a 5.000 euro". La disposizione comporta l'estensione dell'attuale concetto di lavoro occasionale (con effetti forse anche sul concetto di lavoro occasionale subordinato), escludendo quindi qualsiasi tutela per un fascia di collaboratori che attualmente gode almeno delle limitate tutele processuali e previdenziali di cui si è detto.
La delega inoltre limita, come si è visto, la figura dei cococo alle ipotesi riconducibili "a uno o più progetti o programmi di lavoro o fasi di esso". La norma sembra comportare che quelle prestazioni che non possono per loro natura essere configurate con riferimento ad un programma o ad un progetto predeterminato all'inizio del rapporto o di ogni fase dovrebbero essere escluse dalla categoria dei collaboratori coordinati e continuativi ed escluse quindi non solo dalle tutele predisposte nella legge delega, ma addirittura delle precedenti tutele già esaminate. Si tratterebbe della maggior parte degli attuali collaboratori, dai pony express agli addetti ai call center, dagli amministratori di condominio ai collaboratori dei giornali, ecc., a meno di non volere estendere il significato della parola "programma" o "fase di esso" a tal punto da rendere inutile la disposizione. L'alternativa è che tutti i rapporti non riconducibili ad un programma o un progetto debbano intendersi subordinati: ma davvero l'attuale governo intendeva considerare subordinati tutti questi lavoratori, compresi gli amministratori di condominio o i consiglieri di amministrazione delle società?
Va rilevato ancora che se nell'atto scritto non viene indicato il progetto o il programma di lavoro la conseguenza non può che essere, a mio avviso, l'inapplicabilità al rapporto della disciplina dei collaboratori coordinati. Lo stessa conseguenza si avrebbe se il contratto non prevedesse la durata del rapporto, determinata o determinabile.
Da tutto ciò deriva che la "previsione di tutele fondamentali a presidio della dignità e della sicurezza dei collaboratori, con particolare riferimento a maternità, malattia e infortunio, nonché alla sicurezza nei luoghi di lavoro", di per sé positiva, riguarda in realtà ipotesi limitate e residuali, e probabilmente proprio i casi che meno hanno bisogno di tutela. Va considerato d'altra parte, come si è detto, che i cococo godono già di tutele per "maternità, malattia e infortunio", mentre generali tutele "a presidio della dignità" dei lavoratori, come ad esempio la non discriminazione, sono già riconosciute ai lavoratori autonomi.
Un accenno, infine, agli effetti delle deleghe sulla giurisdizione, che rischiano di mortificare l'originaria funzione del processo del lavoro, un processo, "volontariamente diseguale" per riequilibrare lo svantaggio di partenza del lavoratore rispetto al datore di lavoro, in esecuzione dei precetti costituzionali.
L'obiettivo di marginalizzare l'intervento del giudice del lavoro non è affatto nascosto: era già scritto a chiare lettere nel Libro bianco di Maroni ed invocato per risolvere la crisi della giustizia del lavoro, imputabile ovviamente ai magistrati, "sia per i tempi con cui vengono celebrati i processi, sia per la qualità professionale con cui sono rese le pronunce". In sostanza, poiché i tempi della giustizia sono lunghi e la qualità professionale dei magistrati scadente, meglio ridurre al minimo il loro intervento.
L'ipocrisia di tali affermazioni è stata svelata successivamente dal grave comportamento del Ministro della giustizia, che, sta ritardando, con risibili giustificazioni, i concorsi e la conseguente applicazione della legge sull'aumento d'organico, che prevede, tra l'altro, il raddoppio dei giudici del lavoro.
L'aumento immediato non avrebbe consentito di giustificare il progetto di ridimensionamento della giurisdizione del lavoro, ritenuta troppo invasiva nei confronti degli imprenditori, che si inserisce a pieno titolo nel progetto complessivo di riduzione del controllo di legalità.
Tutti gli interventi già visti vanno in generale in questa direzione, perché è ovvio che l'allentamento dei vincoli per gli imprenditori, l'estensione della precarizzazione e l'esaltazione dell'autonomia collettiva e individuale riducono notevolmente lo spazio di intervento del giudice.
A ciò si aggiunge in modo specifico la delega relativa alla "certificazione" della natura del rapporto, autonomo o subordinato, che sarà effettuata da enti bilaterali, costituiti dalle associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori (e sullo sfondo incombe la delega sull'arbitrato di equità, attualmente stralciata).
La certificazione è formalmente volontaria, ma lo scopo della delega è chiaramente rivolta a "ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei rapporti di lavoro", e quindi per poter raggiungere tale risultato la "certificazione" dovrebbe avere un peso, se non decisivo, comunque molto rilevante sulla qualificazione.
Già oggi la giurisprudenza dà un notevole peso al nomen iuris, cioè alla volontà espressa nel contratto, e sempre più afferma che molte attività possono essere svolte indifferentemente con la forma del rapporto autonomo o subordinato in base alle scelte delle parti. E facile quindi immaginare cosa succederà con l'approvazione di tale disposizione. Si tenderà a dare rilievo esclusivo alla "certificazione", a cui il lavoratore difficilmente potrà sottrarsi all'inizio del rapporto (per lavorare spesso si accetta qualsiasi condizione), mentre la formula della procedura ed anche lo stesso termine usato "certificazione", che dà un connotato quasi "legale" all'accertamento effettuato, costituiscono un notevole freno anche psicologico alla contestazione successiva, sia con riferimento alla correttezza della definizione data, sia nell'ipotesi in cui le concrete modalità del rapporto si siano poi svolte in maniera difforme da quelle indicate nella "certificazione".
Va considerato, fra l'altro, che anche in caso di accertamento giudiziale difforme dalla "certificazione", la delega sembra prevedere che i suoi effetti permangono fino all'accertamento stesso, e quindi ad un rapporto certificato scorrettamente come autonomo non potrà applicarsi la disciplina più favorevole del rapporto subordinato se non per il periodo successivo all'accertamento giudiziale. La conseguenza è evidente: nessuno farà causa per accertare la natura di un rapporto formalmente autonomo durante il rapporto stesso, perché rischierebbe di perdere il posto; nessuno farà causa successivamente alla cessazione, perché l'accertamento non avrebbe alcun effetto sul rapporto esaurito.
In conclusione la legge nel suo complesso costituisce l'inizio di quella controriforma del diritto del lavoro, ipotizzata nel Libro bianco di Maroni (e che proseguirà con le deleghe sull'art. 18 e l'arbitrato), che mette in discussione la stessa ragion d'essere del diritto del lavoro e cioè la necessità di tutelare in modo speciale il lavoratore come parte debole del rapporto, e ciò in spregio al principio costituzionale di eguaglianza sostanziale. Alla fine di questo progetto sembra esserci l'intenzione di riportare il rapporto di lavoro nell'alveo dei normali rapporti commerciali, dove le parti stanno sullo stesso piano senza tutele particolari.
Roma, 24 febbraio 2003
* Si tratta della relazione svolta per l'incontro di studio e di riflessione sulla Legge delega in materia di occupazione e mercato del lavoro , organizzato il 24 febbraio 2003 dall'Osservatorio sull'occupazione e le condizioni del lavoro a Roma, costitutito dall'Assessorato del Comune di Roma alle Politiche per le periferie, per lo sviluppo locale e per il lavoro.
Omissisa
cura di magistratura democratica romana
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